Testimoni della carità politica
Lettera pastorale per i fedeli laici al servizio del bene comune
Carissimi,
le novità del presente, la ricchezza e la complessità dei percorsi
del pensiero umano, come anche dell’esperienza quotidiana, richiedono una
costante traduzione in parole e opere delle ragioni della speranza evangelica, in
modo che sia possibile proporre a ogni persona e all’intera società i criteri e le
norme di vita che scaturiscono dall’autentica realtà dell’uomo, quale ci è stata
pienamente rivelata in Gesù Cristo (cf. Lettera dei Vescovi Italiani all’Azione
Cattolica).
In particolare, come assicurare la coerenza con le proprie convinzioni
cristiane nell’attività politica? Come armonizzare, a livello dottrinale e di prassi, i
due distinti ambiti della fede cristiana e dell’agire politico, evitando i due opposti
rischi del “dualismo” e del “riduzionismo”? Come conciliare l’autonomia della
sfera politica con la fedeltà ai valori e alle norme di comportamento scaturenti dal
Vangelo ed attualizzati dal magistero della Chiesa?
Trattiamo solo alcuni essenziali elementi chiarificatori, attinti al recente
insegnamento della Chiesa. Mi soffermerò sulla ispirazione cristiana in politica.
Espongo, perciò, non tanto ciò che il cristiano può e deve “portare” in
politica (il suo contributo specifico in termini di elaborazioni culturali,
programmi, proposte, azioni concrete ...) quanto e soprattutto ciò che il cristiano
deve “essere” nell’ambito dell’agire politico (i suoi atteggiamenti etico-religiosi;
il suo proprio modo di rapportarsi al mondo e agli uomini e, più specificamente, il
vivere la politica come espressione di amore-servizio alla comunità e di scelta
preferenziale per i poveri; lo sforzo di mediazione culturale dei valori cristiani; il
discernimento critico di ideologie e programmi altrui; l’apertura al dialogo e alla
collaborazione con gli altri).
La questione del soggetto, infatti, è primaria e decisiva: solo se il cristiano
“è” quale deve essere, potrà “dare” o “apportare” qualcosa di suo nella
costruzione di una società autenticamente umana.
Più precisamente, dopo alcune puntualizzazioni sul dovere dell’impegno
politico per il cristiano, illustrerò i temi dell’amore-servizio e della scelta
preferenziale per i poveri, quali dimensioni essenziali della ispirazione cristiana,
nella sfera dell’agire politico, nonché il tema della alimentazione cristiana
dell’attività politica, quale fondamentale condizione di questa.
L’impegno politico come “dovere etico”
L’impegno politico in senso lato, ossia l’impegno, qualunque ne sia la
forma, per la promozione del bene comune, costituisce per il cristiano un preciso
dovere morale, dalle motivazioni e caratteristiche specificamente evangeliche.
Opportunamente il Concilio Vaticano II sottolinea che “tutti i cristiani devono
prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi
devono essere di esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e
la dedizione al bene comune” (G. Sp. 75) e ancora “il dovere della giustizia e
dell’amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, contribuendo al bene
comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove ed aiuta
anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di
vita degli uomini” (G. Sp. 30).
Specificamente, la “Octogesima Adveniens” dichiara che “la politica è
una maniera esigente (...) di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri (...) i
cristiani, sollecitati ad entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di
raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e il vangelo e di dare, pur in mezzo
ad un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà
della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini” (n.
46). Riferendosi alla ricerca di nuovi modelli di organizzazione politica, Paolo VI
dichiara che il parteciparvi è un dovere dei cristiani: “La duplice aspirazione
all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a promuovere un tipo di società
democratica. Diversi modelli sono proposti, taluni vengono esperimentati, ma
nessuno soddisfa del tutto, e la ricerca resta aperta tra le tendenze ideologiche e
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pragmatiche. Il cristiano ha l’obbligo di partecipare a questa ricerca e alla
organizzazione e alla vita della società politica” ( Ib, n. 24).
L’impegno politico come responsabilità apostolica
In pari tempo, l’impegno politico del cristiano costituisce anche una
responsabilità apostolica, cioè nei confronti dell’evangelizzazione, a motivo dello
stretto legame tra l’impegno politico del cristiano (e, più generalmente, ogni suo
impegno nell’ordine storico o terreno), la credibilità della Chiesa a cui egli
appartiene e dello stesso Vangelo che essa annuncia. Tale impegno, in altri
termini, assume valore di necessaria ed efficace testimonianza evangelica; il
venirvi meno costituirebbe grave forma di controtestimonianza: “Oggi più che
mai la Parola di Dio non potrà essere annunciata e ascoltata se ad essa non si
accompagna la testimonianza della potenza dello Spirito Santo che opera
nell’azione di cristiani posta al servizio dei fratelli, proprio su quei punti dove
sono in gioco la loro esistenza ed il loro avvenire” (Oct. Adv. 51).
E, inoltre, “la missione di predicare il Vangelo, ai nostri giorni, richiede
che ci impegniamo per la totale liberazione dell’uomo già nella sua esistenza
terrena. Difatti, se il messaggio cristiano intorno all’amore e alla giustizia non
dimostra la sua efficacia nell’azione a favore della giustizia nel mondo, più
difficilmente esso acquisterà credibilità presso gli uomini del nostro tempo” (III
Sinodo dei Vescovi, La giustizia nel mondo, 7).
L’attività politica come amore-servizio
La ispirazione cristiana, in ogni settore dell’esistenza, consiste nel porre,
alla base del proprio operare, i valori evangelici. Tra questi quello sorgivo, che
sintetizza tutti gli altri è la “carità” o amore per gli uomini (che nasce e si alimenta
alla “carità” di Dio per noi). Risulta, allora, evidente che la ispirazione cristiana si
esprime essenzialmente nel primato riconosciuto e vissuto della legge dell’amore
fraterno, “il Comandamento” di Cristo che riassume e contiene tutti gli altri.
Di conseguenza, fa parte di questa ispirazione sia, in negativo, la denuncia
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e il rifiuto di ciò che si oppone a tale amore fraterno (l’egoismo dominante nelle
mentalità e cristallizzato nelle strutture sociali), sia, in positivo, l’affermazione e
la realizzazione di tutto ciò che promuove l’amore fraterno.
“Chi non vede il contributo fondamentale, in questo campo, dello spirito
cristiano, il quale va incontro alle aspirazioni dell’uomo ad essere amato.
L’amore dell’uomo, primo valore nell’ordine terreno, assicura le condizioni della
pace, sia sociale che internazionale, affermando la nostra fraternità universale”?
(Oct. Adv. 23) Questa visione di fede deve alimentare, perciò, quel complesso di
atteggiamenti concreti nei quali si sostanzia e si manifesta l’azione politica
cristianamente ispirata.
a) L’uomo che la fede rivela e verso cui essa orienta quale oggetto
dell’attività politica di servizio, non è in primo luogo l’umanità in generale, e
neppure semplicemente l’umanità nelle sue ulteriori determinazioni sociologiche
(popoli, classi sociali, categorie professionali ...). Invece, lo spirito cristiano
guarda l’uomo da riconoscere, amare, servire, promuovere, liberare; in primo
luogo, direi, l’uomo singolo, concreto, storico; è la persona umana con il suo
nome, il suo volto e la sua storia unici e irripetibili; è ogni singolo essere umano,
perché - ed è qui la specifica motivazione di fede - creato da Dio a sua immagine e
redento da Cristo.
“Si tratta dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione.
Non si tratta dell’uomo “astratto”, ma reale, dell’uomo “concreto” “storico”. Si
tratta di “ciascun”, uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della
Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo
mistero. Si tratta dell’uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui
permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso. L’uomo così com’è
“voluto” da Dio, così come è stato da Lui eternamente “scelto”, chiamato,
destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio “ogni uomo, l’uomo” il più
concreto”, “il più reale”; questo è l’uomo in tutta la pienezza del mistero del
quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro
pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre” (R. H.
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13).
b) Questa spiccata sensibilità verso l’uomo “concreto” deve, tra l’altro,
portare l’uomo politico di ispirazione cristiana a “sentire” vivamente la
concretezza storica della realtà “popolo” al cui servizio è chiamato ad operare, per
immergersi in essa ed “esistere con il popolo”. Maritain scrive: “Se in modo
collettivo e nella maggioranza dei casi le formazioni temporali di denominazione
cristiana trascurano di esistere così con il popolo, si introduce nel mondo un
disordine profondo, che costa caro (J. Maritain, Exister avec le peuple, in
Oeuvres, 19 12-939).
Tali considerazioni offrono elementi importanti per una revisione del
significato, sia teorico che pratico, del “popolarismo” ereditato dalla tradizione
del movimento cattolico italiano. In realtà, questo senso dell’uomo “concreto”,
del popolo “concreto”, costituisce un antitodo efficacissimo ad una concezione e
ad una prassi della politica di tipo anonimo e spersonalizzante, tecnocratico e
astratto, che contribuisce al processo di “reificazione”, “alienazione” e
“manipolazione” dell’uomo, che, in così larga misura, caratterizza la nostra
società.
c) La visione di fede, poi, non si esaurisce qui, ma va più in profondità.
L’uomo concreto, inserito in un popolo storico e reale, non è soltanto un essere
partecipe della comune umanità, un simile, un pari, e neppure solo una creatura
immagine di Dio oggetto della redenzione operata da Cristo. Egli appare
identificato con Cristo stesso. Si rivela, a questo punto, la motivazione più forte
per l’impegno di amore-servizio in cui deve consistere l’attività politica del
cristiano.
d) Sempre nella prospettiva di fede, l’uomo appare come un “essere per
l’altro”, avente una essenziale dimensione “sociale” (o in altri termini, una
struttura ontologica “relazionale”), e ciò ad una profondità che la semplice
ragione umana non può cogliere. Egli è fatto a immagine di Dio Trinità, che è
comunione di persone nell’amore.
Perciò operare per la promozione dell’uomo significa anche promuovere
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la sua socialità. La razionalità politica non viene negata o ignorata dalla visione
cristiana dell’attività politica, ma prolungata e approfondita, arricchita di
dimensioni e motivazioni nuove e più forti.
e) L’amore-servizio implica anche una serie di atteggiamenti interiori e di
comportamenti concreti:
- una impostazione generale di vita nella linea della fraternità: “quanto
avete fatto all’ultimo dei miei fratelli, è a me stesso che l’avete fatto o negato”
(Mt. 25, 31-46);
- lo spirito di iniziativa per ricercare e scoprire il mondo degli altri, le
situazioni di bisogno, il tipo d’interventi personali e collettivi, le strutture e le
istituzioni. Si tratta di mettere in opera una grande “immaginazione sociale”,
dedicandovi sforzi di creatività ed inventiva;
- un disinteresse negli interventi di servizio che si compiono o si
progettano: disinteresse personale (in termini economici, di carriera, di prestigio,
di ricerca di gratitudine, ecc.) e disinteresse collettivo (di gruppo o categoria
sociale, di partito, di corrente, di chiesa ecc.).
L’unico interesse da perseguire deve essere la promozione degli altri;
l’unico legittimo compenso deve consistere in quell’essere di più che da tale
comportamento deriva e che significa crescita in profondità, nella dimensione
umana e in quella cristiana. La vera soddisfazione sarà quella evangelica: “Vi è
più gioia nel dare che nel ricevere” (At. 20,35);
- lo spirito di sacrificio, che è condizione indispensabile, nella lucida
consapevolezza di ciò che questo tipo di impegno politico richiede, quando sia
vissuto seriamente e sistematicamente. Cristo “ci insegna col suo esempio che è
necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene
messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia” (G. Sp. 38);
- il senso del bene comune o generale, contro ogni spirito corporativo,
ogni forma di clientelismo e contro i favoritismi partitici o confessionali;
- uno stile di rispetto e amore per gli avversari politici.
In una lettera dell’agosto 1954, quasi alla vigilia della morte, Alcide De
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Gasperi scriveva queste parole, che possono rappresentare una valida sintesi di
quanto esposto finora: “Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere l’uno
all’altro è il senso del servizio del prossimo, come ce lo ha indicato il Signore,
tradotto ed attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar
vanto dall’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti
“tradisca” la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità”.
L’attività politica come “scelta preferenziale per i poveri”.
La politica comporta come fine il bene integrale della persona. Nelle
attuali condizioni del mondo il bene comune della comunità politica non è solo il
bene comune di una parte dell’umanità, per quanto grande e importante possa
essere, ma il bene comune universale.
Come già accennato, la vocazione politica costituisce un servizio, un
grande servizio. Gesù ha sempre servito e mai comandato. “Io sono in mezzo a voi
come colui che serve”. In realtà, “La fede in azione si chiama carità, e la carità in
azione si chiama servizio” (Madre Teresa).
Se la politica vuole essere un “servizio” della società civile in quanto
società di persone aventi ognuna una propria dignità, un proprio valore e un
proprio fine, essa non può non essere ispirata da principi etici. Se così non è,
diviene oppressiva e lesiva dei diritti e della dignità delle persone, in primo luogo
di coloro che nella società sono più deboli e svantaggiati, e quindi più bisognosi di
essere presi a carico dell’azione politica. La politica è infatti chiamata per sua
natura a creare una società giusta e perciò a eliminare le condizioni e le cause che
creano disuguaglianze e ingiustizie. Così la “questione etica” è la questione
politica “fondamentale”, quella da cui dipendono sia il benessere della società, sia
il raggiungimento del fine della politica.
Paolo VI definiva plasticamente i poveri come “coloro che non contano e
sui quali si decide senza sentirne il parere”.
La scelta preferenziale per i poveri è un aspetto essenziale di quel valore
fondamentale dell’esistenza cristiana che è la “povertà evangelica”.
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Questa ha due aspetti indissociabili:
a) quello di distacco o libertà interiore rispetto ai beni (e non solo
economici) che si possiedono quale condizione per un loro uso veramente
“umano” e soprattutto per renderli comunicabili e condivisibili fra tutti secondo il
disegno di Dio;
b) quello di servizio-promozione dei poveri, siano essi singole persone,
gruppi e classi sociali, nazioni.
In altri termini, povertà evangelica significa “essere poveri” e, insieme,
“essere con i poveri e per i poveri”.
Si tratta di una esigenza intrinseca dell’amore cristiano: amore aperto a
tutti nella sua universalità, ma, a immagine dell’amore di Dio, quale si è a noi
rivelato in Cristo, con una netta priorità o predilezione nei confronti dei “poveri”:
gli ultimi, i piccoli, gli emarginati, gli oppressi.
Alla luce di questa visione di fede, appare tra l’altro indispensabile, nel
concreto contesto dei fedeli laici impegnati in politica, sottoporre a revisione una
certa concezione e determinate teorie, tendenzialmente di tipo statico, che fanno
da copertura ideologica allo “status quo”, privilegiando di fatto i gruppi sociali e
le categorie professionali più forti.
E’ urgente elaborare e tradurre nella prassi politica effettiva un
“interclassismo dinamico” che dia concretezza ed efficacia alla “scelta
preferenziale per i poveri”.
L’alimentazione cristiana dell’attività politica
Per poter vivere questa ispirazione cristiana è necessario attingerla alle sue
sorgenti: vivere intensamente la propria vita cristiana nelle sue dimensioni
specifiche ed essenziali (quella della fede, speranza e carità; amore di Dio e degli
uomini, figli di Dio) e vivere il proprio rapporto personale con Cristo, nella
Chiesa, “luogo” della presenza sacramentale, santificante e liberatrice del
Signore, incontrato nel segreto della preghiera.
Si tratta dunque di riscoprire - a livello di convinzioni, ma soprattutto di
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esperienza - la “contemplazione” come fonte e alimentazione della propria attività
politica.
L’azione politica per il cristiano non ha senso se non è costantemente
sorretta e mediata dalla contemplazione. L’incontro-servizio con l’uomo, quando
è autentico, è contemplativo, e fa del cristiano un contemplativo nell’azione. Ciò
suppone evidentemente l’incontro con il Cristo nella preghiera come punto di
partenza per una corretta impostazione del proprio essere nella storia;
l’accettazione del mistero pasquale come logica di vita e, soprattutto, il
confrontarsi nella Chiesa dinanzi alla Parola di Dio ed all’Eucarestia, per far
crescere nella fede, il proprio sforzo di servizio all’uomo e alle sue vere esigenze.
Questa “dimensione contemplativa della vita” è uno degli elementi
irrinunciabili che qualifica l’impegno politico del cristiano e che, costituiscono,
pertanto, la struttura portante di un’autentica “spiritualità politica”.
In riferimento alla tradizione cattolica italiana, pensiamo che la
figura-simbolo per eccellenza, per quanto riguarda questo aspetto fondamentale, è
quella di Giorgio La Pira, il “politico contemplativo”.
In questa linea resta significativo un discorso tenuto da P. Arrupe,
Generale dei Gesuiti, ad un Convegno internazionale dove tratteggiava tra l’altro,
“l’immagine dell’uomo politico cristiano”:
- uomo di fede profonda e di preghiera, che per amore di Cristo si mette al
servizio dei fratelli per attuare il bene comune ai diversi livelli;
- uomo che non si rinchiude nello spirito angusto e opportunistico di
partito;
- uomo che possiede un forte senso della Chiesa, e che si lascia illuminare
dalla sua dottrina sociale e politica;
- uomo che esercita il potere per servire, senza mai cadere nell’idolatria
del potere;
- uomo umile, che sa consultare e ascoltare gli altri, e non soltanto la gente
del suo partito o i suoi elettori;
- uomo che, di fronte alle difficoltà, ha fiducia nella forza di Dio;
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- uomo che, forte della propria testimonianza di vita, cerca di incarnare
nella società i valori evangelici di rispetto, di fraternità, di progresso umano, di
giustizia, di dedizione e di speciale attenzione ai poveri.
Per l’uomo politico cristiano bisogna insistere sulla necessità della
preghiera, dei sacramenti, dell’amore di Gesù Cristo negli altri. Per santificare la
politica è necessario prima di tutto che gli uomini politici aspirino alla santità. In
definitiva, come afferma Maritain, nel suo “umanesimo integrale”, “un
rinnovamento sociale vitalmente cristiano sarà opera di santità o non sarà”.
Certo lo Spirito santo non farà mancare la presenza operosa di politici
santi e giusti. Ci conforta, a riguardo, un bellissimo testo di S. Ambrogio: “una
quantità di giusti giova alla salvezza dei popoli. Perché essa comprime e recide
l’invidia, mette in crisi la malvagità, aumenta la grazia, dato che nessuno deve
essere invidioso del merito altrui, quando giovi anche a lui. E ogni malvagio, dal
momento in cui accetta uno che lo riscatti, spesso lo imita, di sicuro lo onora e
quasi sempre anche lo ama. Il giusto stesso, se sa di poter essere di giovamento ad
altri, cresce nello zelo e con quella grazia unisce i popoli, accresce la solidarietà
dei cittadini, la gloria della città. Come è felice la città che ha un grande numero di
santi! Come è lodata dalla bocca di tutti! E la sua condizione è ritenuta felice e
destinata a durare” (De Cain et Abel, 11, 12).
Testimoni di Cristo
Maria di Nazaret, che nella sua vita ha cantato le grandi opere che il
Signore ha operato nella storia dell’umanità è immagine della Chiesa che ancora
oggi, nell’impegno e nella dedizione dei suoi figli, è chiamata a testimoniare al
mondo il progetto del Padre che «ha disperso i superbi nei pensieri del loro
cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di
beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53).
I cattolici potranno svolgere ancora un grande ruolo sociale soprattutto se
accoglieranno con fiducia l’appello di Giovanni Paolo II: «Dal travaglio profondo
che il popolo italiano sta attraversando sembra salire verso la Chiesa una grande
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domanda: quella che essa sappia anzitutto dire Cristo, l’unica parola che salva;
quella anche di non fuggire la Croce, di non lasciarsi abbattere dagli apparenti
insuccessi del proprio servizio pastorale; quella di non abdicare mai alla difesa
dell’uomo. I figli della Chiesa potranno così contribuire a ravvivare la coscienza
morale della nazione, facendosi artigiani di unità e testimoni di speranza per la
società italiana» (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno ecclesiale di
Palermo).
Tutti abbraccio e benedico.
7 giugno 2002
Solennità del Sacro Cuore di Gesù
Michele Card. Giordano
Arcivescovo Metropolita
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