Come conciliare il profitto dell`impresa con l`essere cristiano

Visita pastorale
Vicariato di Marghera – ACLI
Incontro con gli uomini e le donne che lavorano
Tema: “Lavoro, affetti e riposo”
Sabato 13 maggio ore 17.30
tenso struttura Domenica a Tempo Pieno in Piazza Mercato a Marghera
17.30 Saluti iniziali e spiegazione dell'iniziativa
17.40 Inizio spettacolo teatrale a cura del gruppo Labor, con tema il
precariato
18.10 Interventi preparati dai rappresentanti delle parrocchie e riflessioni del
Patriarca
Interventi preparati dai rappresentanti delle parrocchie
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Come conciliare il profitto dell'impresa con l'etica cristiana
Lavorare per il bene comune
Realizzazione della donna nel mondo del lavoro, sogno o realtà?
La domenica ed il giorno di festa
La fede nel lavoro difficile ma possibile
don Roberto Berton e Cristian Rosteghin
Come conciliare il profitto dell’impresa con l’essere cristiano
L’impresa agisce in un contesto economico le cui regole mal si conciliano con i valori e l’etica
cristiana. Anzi il mondo economico rifiuta per la propria attività qualsiasi regola mantenendo ben
fisso il fine di un sempre più elevato profitto.
Punto di riferimento dell’impresa è il “mercato” dove si incontrano domanda ed offerta e dove, in
termini di concorrenza, si confrontano i soggetti che offrono gli stessi beni.
Essere concorrenziali, competitivi, è divenuto un elemento di criticità che può determinare la stessa
sopravvivenza dell’azienda.
Forse, nel recente passato, le politiche sociali ed economiche degli stati europei ci avevano fatto
dimenticare gli aspetti più duri della concorrenza ma la “globalizzazione” del mercato ci ha di
nuovo fatto prendere coscienza della facilità con cui una impresa florida può improvvisamente
appassire e mandare sul lastrico i propri dipendenti. Infatti l’impresa con la sua attività offre lavoro,
crea benessere e diviene un importante fattore di stabilità anche sociale ma appena essa decade si
verificano tragiche conseguenze a livello individuale, familiare, sociale.
In tale contesto l’azienda chiede ai propri collaboratori il massimo dell’efficienza e della dedizione
per restare attiva e competitiva. La richiesta di efficienza si accompagna, a volte, ad azioni di
emarginazione o di riduzione del compenso nei confronti dei collaboratori che non sono all’altezza,
che non sono sufficientemente bravi, di tutti coloro che per i più vari motivi (malattia, maternità,
handicap fisici, carichi sociali, ecc) non reggono il passo o quantomeno non rendono al massimo.
Gli aspetti negativi della concorrenza non si soffrono solo a livello di grande impresa ma anche
nelle piccole e persino nelle imprese individuali dove il singolo pressato dalla necessità di rimanere
sul mercato aumenta il proprio ritmo di lavoro o allunga i tempi di lavoro pur di continuare a
“rimanere sul mercato”.
Come cristiani si condivide la necessità di lavorare e di lavorare bene per mantenere efficiente e
produttiva l’azienda presso cui si lavora proprio per salvaguardare tutti gli aspetti positivi che
l’impresa genera. Ma nel contempo, spesse volte, non si condividono i metodi e le pretese degli
imprenditori nei confronti dei loro collaboratori perché risultano inconciliabili con il rispetto e i
diritti della persona umana. In generale non si condivide un sistema in cui i rapporti economicisociali si trasformano in rapporti di “forza”: dei lavoratori nei confronti dell’azienda, dell’azienda
grande nei confronti della piccola, delle finanziarie nei confronti degli imprenditori, ecc.
La situazione appare anche più complessa perché non sembra esserci un metro definito per stabilire
qual è il limite di un “giusto” arricchimento dell’imprenditore che nello stesso tempo soddisfi i
dipendenti, mantenga l’azienda competitiva e socialmente utile.
La problematica sia pur sommariamente delineata presenta aspetti di tale portata che difficilmente
potremmo pensare di risolvere con iniziative personali e neppure di gruppo ristretto.
Tuttavia pensiamo si possano proporre almeno dei comportamenti che contribuiscano al
miglioramento della situazione complessiva.
In particolare a livello personale ogni cristiano, al di à del proprio impegno lavorativo può
contribuire a rendere più “umano” il luogo di lavoro: tante volte non è il salario a determinare la
soddisfazione di un lavoratore quanto la comprensione, la disponibilità, l’apprezzamento, il rispetto
che gli altri gli dimostrano.
Su un piano più generale pensiamo di sostenere come possibile e giusto il principio che anche
l’economia deve essere “governata” sia a livello locale che mondiale. La semplice convinzione che
sia giusto dare delle regole all’economia non comporterà automaticamente alcun cambiamento ma
contribuirà a creare una nuova sensibilità di fronte al problema della concorrenza esasperata e
gradualmente si potrà individuare il miglior modo per regolare un settore fondamentale dell’attività
umana.
La nostra richiesta, Eminenza, è di una considerazione su tali proposte per comprendere se esse
possono essere condivisibili.
Giorgio e Mauro
Etica del lavoro
L’esperienza quotidiana del lavoro, con il suo carico di impegno fisico e mentale e con le
responsabilità ad esso connesse, porta inevitabilmente ogni uomo a porsi delle domande sul senso
profondo che tale esperienza riveste per lui.
In prima analisi si può rilevare che il lavoro permette di soddisfare i bisogni primari: il mangiare, il
vestire, la casa, l’istruzione, per sé e per la propria famiglia.
Ma indagando più a fondo ci si accorge che il lavoro costituisce uno dei contesti, forse il contesto
principale in termini di tempo dedicato, entro il quale si sviluppa ogni aspetto della persona, intesa
nelle sue tre dimensioni di singolo individuo, di membro della società e nel suo aspetto
trascendente.
Si comprende quindi, per quanto attiene alla sfera personale dell’essere umano, che il lavoro
costituisce un importante elemento di dignità della persona e le attribuisce un ruolo particolare
nell’ambito più ampio della società.
Ma il lavoro, ogni lavoro, assume anche una dimensione pubblica nella quale chi opera prende su di
sé una precisa responsabilità nei confronti del bene comune e quindi di ogni altra persona.
Lavorare per il bene comune dovrebbe allora voler dire svolgere il proprio compito con
quell’attenzione e quella cura che si danno alle cose che si amano, anche se spesso nella società di
oggi, questa propensione viene mortificata dalla frenesia e dalla superficialità legate al pensiero
molto diffuso, secondo il quale il solo motore di tutte le attività umane è il profitto.
Il lavoratore cristiano, o meglio l’uomo di buona volontà, deve perciò confrontarsi ogni giorno in
questo contesto, spesso in un ambiente ostile che lo costringe a prevaricare il prossimo o in conflitto
con quanti esercitano la loro autorità in modo spregiudicato, anche con il rischio di essere
discriminato ed emarginato.
A fronte di tutto questo, per una riflessione su uno degli aspetti della natura del lavoro umano,
vogliamo citare un’esperienza particolare, prendendo spunto dal Codice Etico approvato
unanimemente dall’assemblea costituente di una nuova federazione sindacale del settore agroalimentare-ambientale, la quale si è interrogata sul ruolo del lavoratore nella propria azienda, alla
luce delle responsabilità sempre più forti nel campo della sicurezza alimentare.
Il Codice Etico si articola in sei punti che riguardano la responsabilità di ogni iscritto nei confronti:
 del proprio sindacato, per una partecipazione attiva e leale nell’organizzazione;
 della propria persona, per crescere umanamente e culturalmente;
 dei colleghi di lavoro, per il confronto serio e collaborativo;
 dell’azienda, per la crescita professionale;
 della società, per la promozione integrale dell’uomo;
 dell’ambiente e dei consumatori, per garantire il diritto alla sicurezza.
Si tratta in sostanza di un tentativo per orientare chi opera in questo settore a riconoscersi in un
modello di sviluppo sostenibile, in cui gli obiettivi economici vengano correlati al rispetto della
natura, dell’ambiente, dei consumatori e di ogni altro individuo. Non solo, ma impone anche ad
ognuno di sentire come propria responsabilità il lavoro altrui, impegnandosi nell’ascolto, nel
confronto, nella collaborazione e nel sostegno dei colleghi.
Questo codice non dovrebbe però essere inteso soltanto come un elenco di norme di
comportamento, quanto piuttosto l’indicazione dell’atteggiamento complessivo della persona nei
confronti delle cose che fa.
E’ importante perciò che ognuno di noi debba ricevere una “educazione”, debba cioè essere
introdotto nella specifica realtà produttiva per poter acquisire una coscienza etica del e nel lavoro.
Il sentire come propria responsabilità la qualità del bene prodotto, la salute e il benessere di quanti
usufruiscono di quel prodotto e la conservazione dell’ambiente, costituisce un valore “etico” che
oltrepassa i confini ristretti del proprio io, della propria azienda o del proprio paese e diventa un
servizio all’uomo nel senso più ampio del termine.
In ultima analisi quindi si può affermare che non si lavora solo per se stessi ma anche e soprattutto
per gli altri.
Con questi presupposti però appare arduo agire da soli e quante volte ci si sente soli di fronte alle
difficoltà che il lavoro presenta. Ci chiediamo se è sufficiente essere testimoni della nostra fede,
vivendo il lavoro e l’impegno sociale e politico con onestà e coerenza, oppure se non ci sia bisogno
di un aiuto per accompagnare e sostenere il singolo individuo nella sua esperienza personale, perché
possa vivere il lavoro con una coscienza più vigile.
“Donna e lavoro”
Lettrice a
Per ogni donna la maternità è un dono, un progetto di vita, non si cessa mai di essere madre
Lettrice b
Per le aziende maternità significa costi aziendali: sostituzione di personale,
difficoltà di reinserimento, resistenza ad assumere giovani donne
Lettrice a
Il lavoro, la famiglia, i figli, i genitori anziani richiedono grande impegno, generosità, molta
disponibilità di tempo e soprattutto il riconoscimento di un ruolo sociale che coinvolge
contemporaneamente le donne in più ambiti
Lettrice b
nonostante da più voci (società civile, chiesa, mass media) venga attribuito alla famiglia un ruolo
fondamentale nella vita di ciascuno, i ritmi del lavoro spesso impongono orari lunghi, lavoro
straordinario;
l’aspettativa per motivi familiari, o il part-time, laddove concessi, vengono a malapena tollerati,
ogni decisione che non metta al primo posto il lavoro ti rende malvista e “poco aziendalista”
Lettrice a
Capacità, talento, responsabilità, disponibilità verso gli altri, condivisione di obiettivi sono talenti
che vengono riconosciute alle donne nel mondo del lavoro e nella società
Lettrice b
A parità di lavoro un uomo fa spesso più carriera di una collega. Si parla ancora di quote rosa e i
ruoli di responsabilità non vedono grande presenza femminile, mortificandone le potenzialità,
relegandoci in ruoli secondari.
Possiamo individuare solo percorsi e fatiche personali per conciliare i valori della vita cristiana e
nel contempo esprimere le proprie capacità nel mondo del lavoro e la propria disponibilità verso gli
altri oppure possiamo ipotizzare una società più rispettosa della donna?
Domenica giorno di festa?
Per un lavoratore turnista in un impianto a ciclo continuo le domeniche di riposo sono una o due al
mese, le altre invece si cerca di santificarle in base al turno lavorativo.
Negli impianti a ciclo continuo non si chiude mai, gli operai si alternano in continuazione.
Questo comporta che un cristiano praticante abbia a disposizione solo alcune domeniche al mese da
vivere pienamente come giorno di festa.
In genere il turnista la domenica deve accontentarsi di non perdere la messa andandoci al sabato o
alla sera.
Difficilmente può condividere i momenti forti del percorso e della vita cristiana (avvento,
quaresima, …) così come i momenti forti della propria comunità parrocchiale o, forse ancora
peggio, partecipare alle tappe della vita cristiana dei propri figli!
Si trova costretto a fare i salti mortali per ottenere un cambio turno o combinare questi momenti con
il lavoro.
Non è per nulla facile combinare il lavoro con la vita cristiana.
“La fede nel lavoro”
In giovane età la fede la viviamo in ambienti privilegiati: Famiglia, Parrocchia o nel contesto
vicariale. All’interno dei quali ci si forma curando i rapporti con gli altri, con noi stessi o, con i più
piccoli verso i quali si svolge un servizio. Diventiamo cosi “Gente di Chiesa”
Non mi sarei aspettato di trovarmi a 23 anni a lavorare in una media industria di 800 persone, dove
delle mie idee e della mia fede importava poco o niente a nessuno. Forse non mi ero mai posto il
problema così a fondo.
Le aziende metalmeccaniche non sono esattamente un ambiente adatto a confrontarsi su certi
argomenti, specialmente se chi li propone è nuovo dell’ambiente, si rischia di essere messi in un
angolo, giudicati e valutati in poche battute. Ed è così che di fede non se ne parla volentieri, si
sorvola qualora venga a galla l’argomento.
Questo non preclude le nostre convinzioni o il nostro impegno sociale nei vari ambienti
(Parrocchia, Diocesi, Associazioni ). Però; il tarlo di trovare il modo giusto per “farsi riconoscere”
anche nell’ambiente di lavoro resta; ritorna ogni qual volta si parla di certi argomenti: dei preti più
che del Papa, o dell’8x1000 o altro. Sì, ma stando sempre attendi di non perdere credibilità.
Nella nostra Azienda sono due i momenti in cui la fede trova un angolino tra le tempistiche
lavorative: a Natale e a Pasqua. In occasione di queste due feste viene celebrata una Liturgia
Eucaristica; per anni è stata presieduta da un sacerdote dei cappellani del lavoro. Una messa molto
scarna, senza canti, molte volte riusciva difficile anche rispondere, perché il tuo collega vicino non
potesse recepire troppo entusiasmo e capire che “eri di Chiesa”.
All’impazienza e la voglia di migliorare questa situazione, manifestata al sacerdote dei
Cappellani del Lavoro, ci veniva risposto di restare in attesa, il Signore ha i suoi tempi e vanno colti
nel momento giusto: senza esitazione.
Dopo alcuni tempi: nuove assunzioni, esperienze comuni fatte da colleghi (pellegrinaggio a
Lourdes), nascita di un fondo di solidarietà interno, hanno portato ad un coinvolgimento più
massiccio alle due celebrazioni annuali, durante le quali c’è lo spazio per preghiere personali e per i
canti. L’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes viene pubblicizzata in tutta l’azienda con mesi
d’anticipo, sono partite altre forme di solidarietà come alcune “Adozioni a distanza”.
Da poco stiamo per sperimentare un momento mensile dopo l’orario lavorativo, dove ci si
possa confrontare con la proposta del Vangelo, sulla vita cristiana nell’ambiente del lavoro e fuori.
È ancora in via di sperimentazione ma siamo fiduciosi, con l’aiuto di Dio, di poterlo avviare in
modo continuativo.
Sono piccole cose, li consideriamo come germogli da noi seminati, ma nati sul terreno che
Dio illumina e bagna. Dobbiamo aspettare che crescano, con pazienza e con fede. Sono quelle
piccole cose che colorano anche gli ambienti di lavoro più grigi, che ti danno coraggio e ti fanno
riconoscere la presenza di Dio nel tuo collega vicino che, forse, ha bisogno proproi del tuo
entusiasmo.