Storia contemporanea Seminario Professoressa A n n a C i t a r e l l a Dall’Imperialismo ai totalitarismi europei La Grande Guerra Per quattro anni e 3 mesi dall’estate del 1914 all’autunno del 1918 i paesi europei. Gli Stati Uniti e il Giappone si fecero la guerra più devastante che l’umanità avesse conosciuto fino ad allora. Vi si lanciarono con scarsa consapevolezza del prezzo che sarebbe stato pagato in vite umane, in distruzioni, in mancato sviluppo. (P. Viola, Storia moderna e contemporanea, vol. IV, pag. 3). La Grande guerra Scoppiata nel luglio 1814 a seguito dell’attentato a Sarajevo a Francesco Ferdinando II d’Asburgo erede la trono dell’impero austro-ungarico in realtà fu l’esito drammatico di un lungo e tormentato processo che covava da anni nello scacchiere europeo. 23 luglio Vienna invia un ultimatum alla Serbia. E’ la guerra! Escalation del conflitto. 28 luglio: l’Austria dichiara guerra alla Serbia. La Russia dichiara la mobilitazione generale. La Grande guerra 1 agosto 1914: La Germania dichiara guerra alla Russia. 3 agosto 1914: la Germania dichiara guerra alla Francia. 4 agosto 1914: la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania. Cause della guerra Tra Francia e Germania esisteva un’ostilità mai del tutto superata a causa della questione dell’Alsazia e della Lorena, ereditata dalla guerra FrancoPrussiana del 1870-71. I Balcani erano diventati, con il disgregarsi dell’impero ottomano, una terra di frontiera, contesa tra Russia e Austria. Sul piano economico tra Ottocento e Novecento, la lotta per la supremazia nel capitalismo europeo era ridotta a due colossi industriali: Gran Bretagna e Germania Tutte le potenze europee, sulla spinta dell’industralizzazione, furono portate al riarmo. Cause della guerra Le conquiste coloniali tra metà Ottocento e il primo Novecento avevano creato nelle economie capitalistiche una fonte di consenso interno e di crescita economica garantendo uno sbocco estero di merci e di persone. Il progressivo ridursi della possibilità di espansione coloniale, determinata dalla spartizione dell’Africa creò nuove tensioni tra le potenze europee. Sul piano sociale e culturale il nazionalismo e l’imperialismo erano divenuti vere e proprie ideologie di massa: la guerra diventava uno “sbocco naturale” La guerra aerea Durante la Grande Guerra il mezzo aereo fu impiegato per la prima volta in modo massiccio a scopi militari. A poco più di un decennio dal primo volo dei fratelli Wright e dopo le prime prove in Libia durante la guerra italo-turca del 1911-12 e nei Balcani, l'aeronautica iniziò ad essere valutata per le sue potenzialità militari, tendenzialmente autonome da quelle delle truppe di terra. La guerra chimica L'industria chimica aveva conosciuto fra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento notevoli progressi, in Germania ormai non meno che in Inghilterra e in Francia. Per quanto tutti gli eserciti vi si stessero preparando, fu quello tedesco ad usare nel 1916 per la prima volta i gas asfissianti (sul fronte occidentale a Ypres, nel Belgio, come su quello orientale). Sebbene i risultati militari si rivelassero importanti sul piano tattico ma non decisivi su quello strategico, l'effetto psicologico e politico fu enorme. Le donne in fabbrica Mobilitate negli eserciti le classi giovani e requisita anche militarmente la restante forza lavoro maschile negli stabilimenti industriali, le necessità produttive dello sforzo bellico rimanevano ancora insoddisfatte. Fu così che ampie fasce di manodopera femminile furono utilizzate nelle fabbriche, negli uffici, nell'assistenza. A guerra finita però non sempre seguì l'integrazione e la promozione fatte balenare dalla propaganda fatta per la mobilitazione e il consenso alla guerra. Una guerra “Nuova” Gli imperi centrali puntavano su una guerra breve per la loro posizione geografica che avrebbe loro impedito di procurarsi rifornimenti all’estero una volta esaurite le risorse interne. La rapidità delle operazioni sarebbe stata essenziale per Berlino e Vienna. Ma la guerra breve, ipotizzata nel piano Schlieffen, fallì. Si passò, quindi, alla guerra di posizione, caratterizzata dalla sostanziale immobilità degli eserciti contrapposti. Le trincee divennero protagoniste della guerra e l’esperienza della morte e del dolore avrebbe tragicamente pesato sul clima culturale e politico dei decenni a venire. Nuove alleanze dopo la Marna Con la vittoria anglo-francese sul fiume Marna, 11 novembre 1914, scattarono nuove alleanze: L’impero Ottomano e la Bulgaria si schierarono con gli imperi centrali. La Romania, il Portogallo e la Grecia con i paesi dell’intesa. L’economia di guerra La guerra causò la conversione industriale. I bisogni degli eserciti avevano la priorità su tutto: armi, abbigliamento militare, carri, alimenti per il fronte sostituirono la produzione di beni di consumo di pace. Aumento dei ritmi del lavoro. Innovazioni tecnologiche. Aumento della produzione. Difficoltà nel rifornire i soldati in trincea. Penuria di generi alimentari soprattutto negli imperi centrali, a causa del blocco commerciale. Indebitamento e dvalutazione delle monete dei paesi belligeranti. L’Italia entra in guerra Il 3 agosto 1814 l’Italia, rinnegando l’alleanza con l’Austria, dichiarò la propria neutralità. Neutrali erano Giolitti e i liberali, ma anche i socialisti e i cattolici si opposero all’ingresso in guerra. Gli imprenditori inizialmente neutralisti per motivi economici, successivamente si dichiarano interventisti. Dopo 10 mesi di neutralità,, spinta dagli interventisti Salvemini, Bissolati, che vedevano nella guerra un’opportunità per completare il riscatto delle nazionalità oppresse, e dai socialisti dissidenti, Corridoni e Mussolini, e da esponenti di sisnistra, Battisti e Slataper, l’Italia entra in guerra. L’Italia entra in guerra Le posizioni interventiste influenzarono ampi settori della società italiana. Significative furono le “radiose giornate di maggio” animate da Gabriele D’Annunzio. Il 26 aprile 1815 il governo Salandra-Sonnino sottoscrive con la Francia, la Gran Bretagna e la Russia il patto di Londra. L’Italia sarebbe entrata in guerra entro un mese in cambio del Trentino, della Venezia Giulia, della Dalmazia settentrionale e delle sue isole. Giolitti, i deputati cattolici e i socialisti erano contrari al fronte interventista. Il Manifesto del Futurismo A spingere le coscienze verso la guerra furono anche le ideologie nazionaliste, la mobilitazione della cultura e certe "provocatorie" esaltazioni artistiche dell'arditismo, della guerra e persino della morte: “Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità [...]. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro [...]. Noi vogliamo glorificare la guerra sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore, e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria [...]”. F.T. Marinetti, Manifesto del futurismo, 1914 La guerra italiana L’intervento in guerra dell’Italia non contribuì ad abbreviare il conflitto. La guerra fu estremamente difficile e sanguinosa: L’esercito italiano guidato da Cadorna fu fermato cul Carso dalle forze austriache. Un enorme numero di vite fu sacrificato per la conquista di Gorizia, che avvenne dopo ben sei battaglie dell’Isonzo. L’azione bellica austriaca era affievolita dal doppio impegno sia sul fronte occidentale, sia su quello russo. La battaglia di Verdun fu una delle più lunghe e sanguinose della grande guerra. In 11 mesi morirono, rimasero feriti o vennero catturati 540.000 francesi e 430.000 tedeschi. La guerra sottomarina Fu intrapresa dal Reich per rompere l’isolamento commerciale in cui era stato costretto e per spezzare la rete dei rifornimenti a favore dell’intesa. Il primato tecnologico indiscusso della Germania nella produzione di sommergibili (U-Boot) fece sì che i sottomarini tedeschi bloccassero i rifornimenti e le comunicazioni dei nemici. L’intervento degli Stati Uniti L’affondamento del transatlantico statunitense Lusitania in cui morirono oiltre 1.000 civili e più di 100 cittadini statunitensi portò gli Stati Uniti fuori dall’isolazionismo. Il 6b aprile 1817 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. I principali gruppi imprenditoriali statunitensi spinsero verso la guerra per stimolare la domanda interna di prodotti bellici e per difendere i propri interessi nelle economie dei paesi dell’intesa. L’intervento militare degli Stati Uniti Nell'aprile del 1917 il Congresso USA approvò la politica del presidente Wilson e accettò l'intervento in guerra. Fu un evento decisivo nel quadro della Grande Guerra: con l'intervento degli USA il conflitto si fece ancora più "mondiale". Soprattutto esso fece pendere in maniera definitiva la bilancia a favore delle forze dell'Intesa anglofranco-russo-italiana: a livello economico e militare con l'apporto di armi, prodotti alimentari e generi di consumo e il sostegno finanziario della potenza americana, a livello morale (per il tono nuovo che l’opinione pubblica americana e personalmente il suo presidente Wilson riuscirono a dare alla propaganda ed agli scopi della guerra), e anche a livello militare (in termini di energie fresche per le forze di terra e di maggior efficacia per il blocco navale). pero britannico (900.000) o anche italiane (650.000). L’intervento militare degl Stati Uniti L'apporto esclusivamente militare, comunque, può essere considerato decisivo: anche se le forze armate USA affermarono di aver mobilitato più di 4,5 milioni di uomini - e non tutti in Europa - e solo una parte di questi fu impegnata in combattimenti, come dimostrano anche le relativamente lievi cifre delle perdite (50.000 morti e 200.000 feriti), non paragonabili ad esempio a quelle francesi (1.400.000 morti), dell'impero britannico (900.000) o anche italiane (650.000). La Russia esce dal conflitto Dopo l’ascesa dei bolscevichi (24-25 ottobre 1917) la Russia intavolò trattative con gli imperi centrali per uscire dal conflitto. Nel marzo 1918 fu firmato la pace di Brest-Litovsk. Il prezzo pagato fu altissimo: Perdita della Polonia: Cessione della Livonia, Lituania e Lestonia. Autonomia alal Finlandia e all’Ucraina. 1917: le masse contro la guerra Fu un anno di svolta per gli scioperi e le proteste contro la guerra che si susseguirono in Germania, Francia e Italia. Benedetto XV definì la guerra “un’inutile strage”, ma i governi rifiutarono ogni ipotesi di pace. Negli eserciti si diffondeva lo sconforto, la disperazione, diserzioni, fughe, simulazione di malattie mentali, episodi di autolesionismo, caratterizzarono gli eserciti belligeranti nei ranghi più bassi. Nella battaglia di Passchendaele circa 40.000 uomini si ammutinarono avviando una rivolta pacifista. La coscrizione coloniale Centinaia di migliaia di "sudditi coloniali" furono chiamati dall'Asia e dall'Africa a combattere per il proprio dominatore coloniale sui fronti della guerra europea. Forte fu il contributo in vite umane e non meno incisivo dovette essere il trauma da spostamento. Se nell'immediato il tributo fu importante dal punto di vista militare per le potenze coloniali, l'esperienza contribuì però direttamente ed indirettamente (presso i vari movimenti autoctoni nazionalisti) a rafforzare le spinte all'indipendenza coloniale. Ma dovranno trascorrere molti decenni prime che questa indipendenza si realizzi. L’Europa verso la fine del conflitto Caporetto L’insoddisfazione e l’estranietà delle truppe alla guerra caratterizzarono anche l’esercito italiano che a Caporetto fu messo in fuga dagli austriaci soprattutto con l’uso di gas contenenti fosfogene. Tuttavia la disfatta creò una volontà di reazione. Cadorna fu sostituito da Diaz che riuscì a risollevare gli uomini con la promessa di una futura vita migliore determinata da vantaggi economici. Le truppe italiane resistettero lungo la linea del Piave. 1818 ultima offensiva tedesca Ad Amiens le truppe occidentali misero in fuga i tedeschi. Lo stesso accadeva sul fronte orientale e su mediorientale. L’Italia intanto a Vittorio Veneto sconfiggeva in via definitiva le armate austro-ungheresi. Il 4 novembre 1918 la prima guerra mondiale terminò sul fronte italiano L’11 novembre cessarono anche sul fronte occidentale. La Germania Il 9 novembre l’imperatore Guglielmo II fu costretto a rifugiarsi in Olanda. Il socialdemocratico Scheideman proclamò la nascita della repubblica tedesca, la repubblica di Weimar guidata da un governo di coalizione con presenze minoritarie di liberali e cattolici conservatori. Il mondo dopo la guerra I giovani furono la componente sociale più colpita: la Germania fu il paese che riportò maggiori perdite. Fu modificata la struttura demografica europea con un incremento del peso percentuale delle donne in tutti i paesi. Si accrebbe anche il numero dei divorzi. Si aggiunse la Spagnola (forse una forte influenza) che contribuì a mietere vittime e a ulteriormente modificare il già compromesso equilibrio demografico. I trattati di pace Il 19 gennaio 1919 a Versailles fu convocata una conferenza di pace, che avrebbe dovuto rimettere ordine nell’assetto internazionale dopo la guerra. Le nazioni vincitrici europee, Francia, Gran Bretagna e Italia, mirarono più alla sicurezza nazionale e al proprio sviluppo che non a ristabilire la pace mondiale. La conferenza di pace fu caratterizzata dall’intransigenza dei vincitori nell’esigere l’umiliazione politica e economica della Germania. I trattati di pace Gli Stati Uniti si rifiutarono di ratificare il trattato di Versailles e tennero un atteggiamento ambiguo durante le trattative. La Germania fu costretta a cedere alla Francia l’Alsazia e la Lorena e per 15 anni il bacino carbonifero della Saar. La Renania doveva essere smilitarizzata. La Polonia avrebbe acquisito l’alta Slesia e il corridoio di Danzica, città governata da un commissario nominato dalla Società delle Nazioni. Nasceva così la città libera di Danzica, porto strategico della Polonia I trattati di pace L’esercito tedesco fu ridotto a sole 100.000 unità. La Germania fu ritenuta l’unica responsabile del conflitto mondiale e fu costretta a pagare ai vincitori le “RIPARAZIONI DI GUERRA”. Il popolo tedesco avrebbe dovuto lavorare gratis per oltre trenta anni per ottemperare alle riparazioni imposte. La Francia e il Belgio nel gennaio 1923 prevedendo “l’insolvenza” della Germania occuparono la Ruhr. Gli operai tedeschi reagirono con una resistenza passiva. La Repubblica di Weimar incitò allo sciopero assicurando lo stipendio agli operai, stampando carta moneta, che in breve si svalutò. Il Marco tedesco non valeva quasi più nulla e fu sostituito dal Rentenmark garantito dal valore dei beni demaniali. L’Italia: la vittoria mutilata A Versailles le nazioni che avevano vinto la guerra con l’Italia si rifiutarono di rispettare il trattato di Londra. Fiume e la Dalmazia non furono cedute all’Italia. Si parlò, quindi, di vittoria mutilata. Le popolazioni di Fiume e di Zara e di altre località dalmate erano prevalentemente italiane. La partecipazione emotiva e propagandistica della stampa nazionalista portò sempre più alla ribalta la figura dell’ex dirigente socialista Benito Mussolini. L’Italia: la vittoria mutilata Il tutto si inseriva in una situazione economica e sociale caratterizzata dall’esplosione del debito pubblico e dalla forte svalutazione della lira. Dal 1914 al 1919 il costo della vita triplicò. La disoccupazione dilagò e le industrie trovarono difficoltà nella riconversione per la produzione civile. In questo contesto, sull’esempio della Russia, ci fu un’avanzata del socialismo, del cosidetto mito bolscevico che scatenò il terrore delle potenze occidentali e in Italia si manifestò con il cosiddetto “Biennio rosso”. La repubblica di Weimar Dopo la sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale e il crollo della monarchia, nella città di Weimar si riunì il 6 febbraio 1919 l'Assemblea costituente. Fu proclamata la repubblica e il 31 luglio fu promulgata una Costituzione democratica che ancora oggi è un modello di riferimento politico di alto valore storico. L'assemblea costituente si trasferì il 30 settembre a Berlino.Con Repubblica di Weimar si definisce l'esperienza di una democrazia che, per quindici anni (dal 1919 al 1933), ha rappresentato le speranze e le contraddizioni dell'Europa tra le due guerre mondiali. La Repubblica di Weimar dovette affrontare problemi gravissimi. Anzitutto la grande inflazione che dal 1922 al 1924 mise in ginocchio la Germania provocando disoccupazione, fame e un clima di grave instabilità politica e sociale. Ci furono mesi durante i quali occorrevano miliardi di marchi anche per comprare il pane. Questo alimentò i movimenti più eversivi della destra (a cominciare dal partito nazional-socialista) che vedevano nei trattati di pace di Versailles e nello La repubblica di Weimar strangolamento della Germania voluto dalla Francia e dall'Inghilterra (che chiedevano il pagamento dei danni di guerra) una delle prime cause del collasso del paese. Tra il 1925 e il 1930 la Germania riuscì a risollevarsi grazie agli aiuti finanziari americani e a una rigorosa politica economica. Fu un periodo di grande libertà politica, di vivacità cultu-rale e artistica (nel cinema, nella musica, nel teatro), di molte attività sociali (dallo sport alla diffusione delle comunicazioni di massa). Rimaneva però il peso del pagamento dei danni di guerra aggravato dall'occupazione francese del bacino carbonifero della Ruhr. Le prime ondate della crisi economica americana del '29 raggiungendo anche la Germania trovarono il terreno favorevole per gli avversari della democrazia tedesca. I dirigenti della Repubblica furono considerati imbelli e incapaci di reagire alle pretese dei paesi vincitori. Questa critica accrebbe il revanscismo tedesco e fece conquistare popolarità e larghi consensi elettorali al partito nazional-socialista che giunse quindi al potere grazie a questi consensi. La rivoluzione a Pietroburgo La guerra mondiale aveva messo in ginocchio la Russia. Milioni di morti, la fame e il freddo avevano portato ondate di scioperi nelle città. L’opinione pubblica perdeva sempre di più fiducia nel governo e soprattutto nello Zar. La rivoluzione scoppiò a Pietroburgo alla fine di febbraio 1917. Scioperi e manifestazioni contro la guerra si susseguirono e paralizzarono la città. Il soviet rinasceva spontaneamente: il governo zarista incapace di riformarsi e condurre la guerra crollò senza opporre resistenza. La rivoluzione a Pietroburgo Si formò un governo provvisorio tra i costituzionali democratici e altri partiti borghese con a capo il principe L’vov sostenuto dalla Duma. Cominciò unj periodo caratterizzato da un “dualismo di poteri”: la Duma e il Soviet. Entrambi si sforzarono di continuare la guerra e di guidare il Paese. Kerenskij fungeva da tramite tra la Duma e il Soviet. I Soviet si moltiplicarono in tutto il Paese formando una rete politica e amministrativa parallela a quella ufficiale. La Rivoluzione a Pietroburgo Il regime zarista abbattuto da una sollevazione popolare non fu sostituito da un governo che rappresentava gli interessi dei lavoratori e dei militari, ma da un nuovo governo che rispecchiava le istanze della borghesia. Lenin e le tesi di aprile In dieci punti Lenin tracciava il programma della rivoluzione futura, disorientando i suoi stessi seguaci. Infatti, contrariamente alla teoria marxista che prevedeva l’abbattimento dello stato borghese prima della rivoluzione, Lenin auspicava per la Russia una rivoluzione socialista immediata. Nell’aprile 1917 si consumò una prima crisi di governo sulle questioni belliche: il Soviet di Pietroburgo era favorevole alla pace, mentre il ministro degli esteri Miljnkov era per la guerra ad oltranza. Trockij auspicava una rivoluzione permanente attivata dall’insurrezione congiunta di operai e contadini. (Rivoluzione in tutti i paesi). Lenin e le tesi di aprile Stalin: rivoluzione in un solo paese. Lenin e Trockij decisero che era giunto il momento per i bolscevichi ormai maggioritari nei due Soviet di Mosca e di Pietroburgo di prendere il potere con un’insurrezione. L’Impero dello Zar nel 1914 L’assalto al palazzo d’inverno 24 ottobre 1917 La presa della sede degli Zar (anche se lo Zar era ormai caduto) fu il momento simbolico culminante, e al tempo stesso l'azione decisiva, per la rottura dello stato di cose esistenti in Russia alla fine del 1917 e per l'instaurazione del potere bolscevico. Se è evidente che quest'azione ebbe caratteri militari, non è possibile ridurre tutta la complessa rivoluzione russa a quest'evento, né d'altro canto vedere la vittoria di Lenin come risultante del solo "colpo di mano" dell'ottobre (novembre, secondo il calendario occidentale). Si perderebbe così di vista il movimento di organizzazione dei soldati, dei contadini e dei lavoratori dell'immenso impero e la complessa dialettica dei partiti e delle correnti rivoluzionarie. La Rivoluzione Russa del 1917-1922 Il nuovo assetto di governo Fu formato un nuovo governo presieduto da Lenin. Trockij era agli esteri, Stalin era responsabile delle “nazionalità”. Un governo illegale, quello dei Soviet, aveva soppiantato un governo, la Duma, ancora molto fragile. Il mondo intero guardava con ostilità e timore a ciò che stava accadendo in Russia. Due erano gli obiettivi del governo: 1) Avviare le trattative di pace; 2) Nazionalizzare senza indennizzo le grandi proprietà terriere. Il nuovo assetto territoriale 1922 Il nuovo assetto di governo Fu affermata la supremazia dei Soviet con una svolta autoritaria che prevedeva una nuova polizia politica, la Ceka, mirante ad assicurare la repressione dei nemici del nuovo stato e la dittatura del proletariato. La capitale fu spostata da Pietrogrado a Mosca. L’esercito epurato e riarmato divenne l’Armata Rossa. Le risorse del paese furono tutte nazionalizzate. Fu approvata una costituzione in cui il voto degli operai valeva il doppio di quello dei contadini e in cui borghesi, proprietari e clero erano esclusi dall’elettorato. Il Congresso del Partito Bolscevico, convocato nella primavera del 1918 assunse il nome di “comunista”. La controrivoluzione Nel giugno 1918 si costituì a Samara un governo antibolscevico provvisorio. In novembre una spedizione delle potenze alleate in funzione antirivoluzionaria sbarcò a Novorossijsk. L’ammiraglio Kolcok si impadronì del governo della Siberia instaurando una dittatura militare mirante ad abbattere il governo rivoluzionario, appoggiato dai paesi dell’Intesa. La guerra civile In questo contesto la guerra civile fu inevitabile. Le forze in campo si proponevano di dare alla Russia un nuovo assetto dopo la fine dell’impero zarista. I rossi comunisti e rivoluzionari con a capo i bolscevichi e i bianchi, monarchici, reazionari e conservatori auspicavano un ritorno della Duma. Il comunismo di guerra Durante la guerra civile si asistette ad una riorganizzazione del sistema economico, finalizzata alle esigenze dell’esercito sovietico. Razionamento alimentare Sistema centralizzato di distribuzione delle materie prime Coscrizione obbligatoria al lavoro Requisizione del grano Spartizione egualitaria delle terre dei contadini più agiati Abolizione della moneta L’armata rossa Dopo due anni di combattimenti i Bolscevichi piegarono le forze bianche e gli autonomisti degli stati territoriali. I bolscevichi in questo modo riuscirono a presentarsi come l’unica forza in grado di mantenere unito lo Stato, concedendo autonomie e mantenendo le conquiste contadine La nascita dell’URSS Il 30 dicembre 1922 fu proclamata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). La costituzione, varata nel 1818, fu riformata nel 1924. Assegnava un potere assoluto ai Soviet degli operai, contadini e soldati. Dal comunismo di guerra alla NEP Lenin per risollevare l’economia avviò la NEP (Nuova Politica Economica) che reintroduceva alcuni elementi di libertà economica con l’obiettivo di rianimare l’economia con l’introduzione della tassa in natura, pagata la quale, i contadini potevano disporre dei raccolti. Reintroduzione del denaro e delle banche e quindi dei prezzi di mercato. Nuova fase della NEP: Maggio 1922 la Gosbank ottiene il diritto di emettere una nuova banconota il rublo Cervonec, il cui valore era regolato dallo stato russo. Lo stato aveva il monopolio del commercio estero destinato a perdurare fino alla fine del sistema sovietico (1989) Stalin Dopo la morte di Lenin nel gennaio 1924 gli successe non senza difficoltà Stalin, dopo aspri contrasti con Trockij, che fu successivamente eliminato in Messico, dove si era rifugiato. Stalin si impegnò innanzitutto nella lotta contro i contadini ricchi (Kulakij), accusati di occultare riserve alimentari. In realtà “l’avidità” dei contadini fu utilizzata da Stalin per mascherare i problemi finanziari dello stato, determinati dal finanziamento all’industria pesante con i fondi ricavati dall’esportazione di grano all’estero. Collettivizzazione e eliminazione dei Kulaki Dal gennaio 1928 Stalin porterà avanti la prima vera guerra al mondo contadino. Quanto freddamente Stalin pensasse all'eliminazione dei kulaki (contadini ricchi) per far avanzare la collettivizzazione delle terre sovietiche risulta evidente dalle sue stesse parole. “Non è possibile eliminare la classe dei kulaki, come classe, con le misure fiscali e con le limitazioni di qualsiasi altro genere, lasciando nelle mani di questa classe gli strumenti di produzione col diritto di libero godimento della terra [...]. Per eliminare i kulak come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulak. Per eliminare i kulak come classe, è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo (libera utilizzazione della terra, mezzi di produzione, affitto, diritto di ingaggiare mano d'opera salariata, ecc.). In questo appunto consiste la svolta verso la politica di liquidazione dei kulak come classe [...]”. Il piano quinquennale Stalin era convinto che l'Unione Sovietica avrebbe potuto superare le proprie difficoltà solo lanciando un massiccio piano di industrializzazione pesante. Il primo piano quinquennale fu varato nel 1929. “Non possiamo più cavarcela con la sola industria leggera, colle sole attività di bilancio, coi soli redditi dell'agricoltura [...]. E allora, che cosa resta? Resta l'industria pesante. Bisogna dunque far in modo che l'industria pesante, - e innanzi tutto la parte di essa che si occupa delle costruzioni meccaniche, contribuisca anch'essa all'accumulazione. Rafforzando e sviluppando le vecchie fonti di accumulazione, bisogna dunque far in modo che l'industria pesante, - e innanzi tutto l'industria delle costruzioni meccaniche, - contribuisca essa pure all'accumulazione. Questa è la via d'uscita.” Il mito dell’URSS e la crisi del 1929 Nella seconda metà degli anni ‘20 il regime sovietico seguì una politica isolazionista. Lo scoppio della crisi economica mondiale del 1929 sembrò confermare al gruppo dirigente sovietico la bontà delle scelte politiche e economiche compiute fin allora. Il terrore staliniano L’Unione Sovietica stava imboccando una strada mostruosa che prevedeva l’eliminazione fisica di milioni di uomini e la distruzione dei diritti umani e civili: una strada diversa ma parallela a quella del regime nazista. Hitler si avviava per motivi razziali all’industria della morte mentre Stalin decideva l’eliminazione di intere classi sociali soltanto per salvaguardare il comunismo. L’URSS aveva ereditato dalla Russia zarista la reclusione nei campi di concentramento in Siberia. Già del 1918 vi furono campi di rieducazione. Il terrore staliniano Nel 1923 nelle isole Salovki, nell’artico, fu creato il primo campo per prigionieri politici: ufficiali dell’esercito bianco, intellettuali, anticomunisti. In breve volgere di tempo i lager si moltiplicarono tanto che nacque “l’amministrazione generale dei lager” (GULAG). Si trattava di un’enorme sistema concentrazionario costituito da prigioni di transito, carceri, campi di lavoro forzato, il tutto assolutamente segreto. Nel perioro staliniano in circa 200 campi furono internati dai 10 ai 20 milioni di persone. Il 1937 e il 1938 furono gli anni più cupi del terrore staliniano, scatenato dall’assassinio di Kirov dirigente del partito. Bucharin e la vecchia guardia del partito furono eliminati. I campi di rieducazione: i Gulag Le grandi purghe dello stalinismo L'opinione pubblica internazionale fu scossa, fra il 1934 ed il 1938, dal clamore di grandi processi aperti nell'Unione Sovietica di Stalin contro importanti personalità del partito e dello stato: Bucharin, Zinov'ev, Kamenev ecc.). Si trattava in realtà del mezzo definitivo scelto da Stalin per risolvere la lotta politica in seno al gruppo dirigente. Questi processi, e le purghe che ne conseguirono, rappresentarono però solo la punta di un iceberg sommerso, che gettò nei meccanismi perversi del sospetto, della delazione e del terrore l'intera popolazione sovietica. È difficile, anche oggi, fare calcoli precisi, ma furono milioni i perseguitati e gli inviati nei gulag e milioni le vittime, mentre la società sovietica viveva la grande trasformazione dettata dalla collettivizzazione dell'agricoltura e dall'industrializzazione a tappe forzate. I fascismi In Italia, dove nella rivoluzione mancata del 1919-20 le spinte nazionaliste non avevano potuto trovare nessun punto di contatto con quelle democratiche e socialiste, fu sperimentato uno sbocco autoritario che prese il nome di “fascismo”. Dall’Italia questo modello dilagò, negli anni ‘30, in tutta Europa tanto da diveire il principale antagonista della democrazia e del socialismo. I fascismi Sempre in Italia fu coniato il nuovo termine “totalitarismo” con il quale si indicava la subordinazione violenta e autoritaria dell’individuo a una finalità comunitaria incarnata dallo stato. Il fascismo si estese alla Germania dove assunse un volto ancora più violento. Trionfò in molti paesi europei e in Giappone. Nascita del fascismo Nell’autunno del 1921 Mussolini fonda il partito nazinale fascista. Lo squadrismo rivoluzionario nazionalista costituiva la prima anima del fascismo. Il nuovo partito disprezzava tutta la politica. Gli squadristi fascisti usavano la violenza come unica arma per imporsi sul movimento operaio e su quanti dissentissero dalle idee fasciste. Nel 1922 la vilenza fascista era ormai divenuta intollerabile tanto che tutte le forze politiche , eccetto i comunisti, si augurarono che Mussolini e il suo partito fossero coinvolti nel governo. La marcia su Roma Mussolini rifiutò di entrare in posizione subordinata in un governo di coalizione. Si giunse dunque il 27 e il 28 ottobre 1922 alla marcia su Roma, a seguito della quale il re chiamò mussolini a formare un nuovo governo. Inizialmente il governo non era diverso da quelli che lo avevano preceduto. Comprendeva infatti ministri popolari e liberali e non sembrava che Mussolini volesse infrangere le regole del costituzionalismo e i borghesi e i liberali furono soddisfatti. La marcia su Roma Mussolini però con il famoso discorso del 16 novembre 1922 dell’ ”aula sorda e grigia” offende il Parlamento considerato inutile. Mantenne le squadre fasciste con il nome di milizia fascista. Fu istituito il gran consiglio del fascismo che aveva il compito di vigilare e di epurare la pubblica amministrazione. Malgrado ciò la forma liberale dello stato fu mantenuta ancora per qualche tempo. Marce e minacce Dopo la "marcia su Roma" e l'incarico di formare il governo, Mussolini intimò nel suo primo discorso alla Camera dei deputati di non intralciarlo minacciandone lo scioglimento. “Ora è accaduto per la seconda volta, nel breve volgere di un decennio, che il popolo italiano - nella sua parte migliore - ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento [...]. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto [...]. Marce e minacce Non bisogna dimenticare che al di fuori delle minoranze che fanno della politica militante ci sono 40.000.000 di ottimi Italiani i quali lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono ed hanno il diritto di non essere gettati nel disordine cronico, preludio sicuro della generale rovina [...]. Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera: ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni”. Benito Mussolini, Discorso alla Camera, 16 novembre, 1922 La violenza fascista Per infrangere le riserve degli ambienti democratici e spezzare la resistenza del movimento operaio, tutti i movimenti fascisti - a partire da quello italiano - esibirono come proprio tratto costituente lo spiegamento di una violenza indiscriminata, una sorta di "militarizzazione della politica" che tendeva a delegittimare gli stati liberali esistenti, distruggere le roccaforti e colpire individualmente gli elementi antifascisti. L’omicidio di Matteotti Giacomo Matteotti, colpevole di aver denunciato in Parlamento i brogli elettorali tali da invalidare il voto popolare, il 10 giugno 1923 fu sequestrato da agenti del Ministro dell’Interno De Bono, che lo uccisero. Il delitto segnò la svolta di governo: i deputati delle opposizioni lasciarono la camera e dichiararono di non partecipare ai lavori della Camera. La loro assenza fu chiamata l’Aventino. L’omicidio di Matteotti La loro assenza doveva servire al re per ripristinare la legalità e costringere Mussolini alle dimissioni. Ciò non accadde. Mussolini nel discorso del 3 gennaio 1925 si assunse la responsabilità politica del delitto e diede l’avvio allo “Stato totalitario”. Lo Stato totalitario Negli anni successivi fu costruito il regime totalitario contrapposto alla democrazia e al socialismo. Si trattava di concepire istituzioni politiche autoritarie capaci di coinvolgere le masse, di controllare le coscienze. Le leggi cosidette fascistissime del 1925-1926 cancellarono l’idea di stato liberale. Mussolini, il duce, capo del governo, sceglieva e destituiva a suo piacimento i ministri pur mantenendo la monarchia. Lo Stato totalitario Fu soppressa la libertà di associazione. Le elezioni amministrative furono abolite. I sindaci furono sostituiti dai podestà. Fu istituito un tribunale speciale per la difesa dello Stato formato da ufficiali della milizia volontaria. La fascistizzazione dello stato e della società ebbe avvio con la fascistizzazione dei funzionari pubblici. I prefetti assunsero un ruolo fondamentale. Dovevano sciogliere le associazioni, gli enti, gli organismi sgraditi al governo nonché presiedere le commissioni preposte al confino, al quale erano inviati nemici politici, omosessuali e dissidenti in genere. Lo Stato totalitario I sindacati furono sostituiti dalle corporazioni che erano l’insieme degli imprenditori e degli operai di un medesimo settore economico e che avrebbero dovuto tutelare gli interessi ritenuti comuni. In effetti il potere degli imprenditori schiaccio le giuste rivendicazioni degli operai. Lo Stato totalitario doveva coinvolgere anche le menti e la vita quotidiana delle masse. Lo Stato totalitario A questo proposito fu cerato il Ministero della Cultura popolare. Allo stesso modo la radio, il cinema, l’architettura, le mostre, le feste dovevano contribuire ad alimentare l’idea di grandezza imperiale, di unità, di forza e di virilità della nazione. I giovani erano abbligati ad indossare uniformi e a partecipare ad organizzazioni paramilitari. La coreografia del fascismo L'esperienza della militarizzazione di massa della Grande Guerra, la tradizione delle celebrazioni patriottiche dell'anteguerra, una rifunzionalizzazione dell'esperienza del movimento operaio e le novità in termini di organizzazione di massa dei movimenti fascisti produssero presto un rituale della politica, una coreografia della mobilitazione di massa che colpì profondamente l'immaginario sociale del tempo e coniugò anche visivamente mobilitazione e consenso popolare. Il regime e la chiesa cattolica Uno dei successi di Mussolini e una delle garanzie per il suo regime fu la stipula, con il Papato, di un Concordato che poneva fine all'estraneità e alle frizioni intercorse sino allora fra Chiesa e stato liberale. Il regime e la chiesa cattolica “L'Italia, ai sensi dell'art. I del Trattato, assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione, in materia ecclesiastica in conformità alle norme del presente Concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero spirituale la difesa da parte delle sue autorità. In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere [...]. Lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto cattolico, gli effetti civili [...]. Il regime e la chiesa cattolica Uno dei successi di Mussolini e una delle garanzie per il suo regime fu la stipula, con il Papato, di un Concordato che poneva fine all'estraneità e alle frizioni intercorse sino allora fra Chiesa e stato liberale. La politica di potenza Mussolini dopo i patti lateranensi del 1929 avviò la sua politica di potenza. Il 3 ottobre 1935 Mussolini si lanciò nell’impresa coloniale con il duplice obiettivo di aumentare il prestigio internazionale dell’Italia e di trovare uno sbocco alla produzione industriale e alla sovrapopolazione agricola. Dopo una guerra dai costi elevatissimi sia di uomini sia di mezzi il 6 maggio 1936 Mussolini conquistò Addis Abeba. Nasceva così l’impero dell’Africa orientale italiana. Le conseguenze dell’imperialismo La guerra in Italia portò una terribile conseguenza morale. Il diffondersi di una cultura razzista convinta della superiorità dei bianchi. Nel settembre 1938 con le leggi razziali l’Italia avrebbe seguito la Germania in una delle più spaventose avventure della storia: la persecuzione degli ebrei. Aspetti dell’economia fascista 1) L’IRI. La crisi del 1929 negli Stati Uniti ebbe riflessi sull’economia di tutti i paesi. In Italia causò il fallimento di molte imprese, ma anche di istituti finanziari, le banche, che erano fortemente compromesse con lo sviluppo delle imprese. Per questo motivo Beneduce, Ministro delle Finanze del governo Mussolini, creò nel 1933 l’IRI che avrebbe dovuto temporaneamente “curare” le aziende “malate” per poi reintrodurle nel sistema produttivo. Di fatto esse entrarono nella proprietà dello stato che alla fine della guerra possedeva i tre quarti del sistema produttivo industriale del paese. Aspetti dell’economia fascista A seguito della guerra d’Etiopia e dell’appoggio a Franco nella guerra civile spagnola, l’Italia fu sanzionata dalla società delle nazioni e fu oggetto di blocco commerciale. A seguito del blocco ci fu un ulteriore avvicinamento alla Germania e la scelta autarchica. L’ascesa di Hitler Negli stessi anni in cui gli Stati Uniti si confermavano la nazione leader del mondo democratico, la Germania, reagendo alla crisi economica, diveniva il modello più rappresentativo della via d’uscita criminale e razzista dal disastro socio-economico del mercato capitalista mondiale (la crisi del 1929). Nel 1929 morì Gustav Stresemann, l’uomo di governo che nella fragile repubblica di Weimar era riuscito a conservare l’alleanza tra centristi e social-democratici. L’ascesa al potere di Hitler I nazisti erano ancora un gruppo esiguo e un piccolo partito, ma già si rivelavano come la vera novità nel panorama politico della destra. Si dimostrarono, infatti, capaci di mettere d’accordo esercito, agrari, grande industria sedotti dal razzismo e dalla xenofobia. Disponevano di una fortissima organizzazione paramilitare (le S.A.) e di un capo Adolf Hitler, che aveva straordinarie dsoti oratorie e un’assoluta determinazione nel portare avanti le sue idee propagandate nel Mein Kampf. L’ascesa al potere di Hitler Il culmine del successo della NSDAP fu raggiunto con il rinnovo del Reichstag del 31 luglio 1932 tenutosi in un clima di disordini e scontri. Hitler ottenne il 37,4% dei suffragi e la NSDAP divenne il primo partito tedesco. Il 30 gennaio 1933 Hindenburg affidò ad Hitler l’incarico di formare il nuovo governo Il 5 marzo 1933 si votò per la terza volta in appena 8 mesi in un clima di violenza: i nazisti inaugurarono una vera e propria campagna terroristica che culminò con l’incendio del Reichstag. I comunisti furono ritenuti responsabili e Hindenburg emanò il primo decreto dei pieni poteri a Hitler, che limitava i diritti civili e politici e ripristinava la pena di morte. L’ascesa al potere di Hitler Ormai poco restava della Repubblica di Weimar. Il 21 marzo 1933 Hitler ottenne pieni poteri. La costruzione dello stato totalitario A partire dal 1933 tutti i partiti furono sciolti, i sindacati divennero strumenti di controllo dei lavoratori da parte del governo. Le chiese sia quella protestante sia quella cattolica furono costrette ad appoggiare il regime. Lo Stato fu epurato da tutti gli elementi sgraditi, Ebrei, omosessuali e stranieri in genere. Il 30 giugno 1934 lo stato maggiore hitleriano organizzò un agguato chiamato “notte dei lunghi coltelli” in cui le SA furono eliminate fisicamente e sostituite dalle SS. La costruzione dello stato totalitario A partire dal 1934 il nazismo disponeva di poteri illimitati contro i suoi nemici per esercitare il controllo e la censura sulla cultura e sulla collettività. L’obiettivo era ridurre le masse alla passività e all’obbedienza. Oltre all’esercito e alle SS Hitler disponeva per mettere in atto le sue mire, di una fedelissima polizia segreta, la Gestapo. Tutti coloro che non aderivano al mito hitleriano erano condannati all’espatrio. Thomas Man, Bertoldt Brecht, Albert Einstein. Si trattò di un esodo che privò la Germania delle sue menti migliori e che testimoniò la volontà del regime di asservire l’intera società ad esso. La costruzione dello stato totalitario La società fu radicalmente militarizzata. Prima del servizio militare obbligatorio i giovani erano sottoposti al lavoro manuale. Il lavoro stesso era al servizio della disciplina militare e gli operai erano ingranaggi di una macchina finalizzata alla produzione disciplinata dallo Stato. Questo modello di irregimentazione delle masse e di propaganda ricalcava ciò che accadeva in Italia e anche in URSS. L’economia fu pianificata. Il primo piano quadriennale aveva come scopo risollevare le masse rurali. Il secondo eliminare la disoccupazione che fu assorbita dall’industria bellica. Le leggi razziali Fin dal 1933 agli ebrei furono preclusi gli impieghi statali. Nel 1935 furono emanate le prime leggi antisemite a Norimberga: gli ebrei erano privati della cittadinanza politica. Furono vietati i matrimoni misti nonché i rapporti sessuali tra tedeschi e ebrei. Ma la vera svolta si ebbe nel novembre 1938 quando l’assassinio di un diplomatico tedesco da parte di un ebreo diede ai nazisti l’occasione di scatenare una vera guerra contro gli ebrei, che iniziò con la notte dei cristalli in cui venenro spaccate le vetrine dei negozi gestiti dagli ebrei. Le leggi razziali Si cominciò ad accarezzare l’idea dell’ eliminazione definitiva della comunità ebraica oltrechè dalla Germania anche dall’intera Europa e dovevano essere gli stessi ebrei a finanziarla. La comunità ebraica fu costretta a pagare una multa di 4 milioni di marchi. Si cominciò a pensare alla deportazione in campi di concentramento. Alcuni, Dachau, Buchenwald, già esistevano per i condannati politici. Molti altri furono costruiti per l’eliminazione fisica degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali. Il mondo imboccava così la strada moralmente più catastrofica che avesse mai sperimentato.