Husserl e la fenomenologia 1. Le radici storico-filosofiche della
fenomenologia e la riflessione critica sulla scienza
Un punto di svolta
Come ricorda uno dei più grandi fenomenologi
contemporanei, il filosofo francese Paul Ricoeur,
Edmund Husserl non rappresenta tutta la
fenomenologia, ma ne è il punto di svolta
essenziale nel ‘900. La fenomenologia che
potremmo chiamare pre-husserliana ha un passato
che si inserisce nella storia della filosofia occidentale,
basti pensare al significato che prima Leibniz e poi
Kant danno al termine ‘fenomeno’ (utilizzando il
termine tedesco Erscheinung che rinvia a una
presenza reale e non Schein che rimanda alla mera
apparenza). Già il grande Hegel, poco meno di un
secolo prima delle iniziali intuizioni husserliane,
aveva compreso la fenomenologia come una
grande descrizione della varietà dell’esperienza
umana intesa in senso storico, etico, religioso,
politico, psicologico, estetico e anche quotidiano. Ma
di Hegel, che forse non amava molto pur attirandosi
come vedremo l'accusa di idealismo, Husserl rifiuta
il lato sistematico e soprattutto che la varietà dei
fenomeni: percettivi, storici, psicologici, logici, etici,
mondani
ecc.
possa
essere
recuperata
sinteticamente in un sapere assoluto.
È per questo che egli non scrive una Fenomenologia dello Spirito, perché ogni
descrizione dei fenomeni rimanda a precondizioni e genera riflessi
inesauribili, percepibili nella loro “semplicità”, se non sempre e solo come
adombramenti. Ogni tentativo di descrizione ‘essenzialista’ di qualcosa rimanda
insieme – ancora citando una celebre dialettica polare di Ricoeur – a una duplice
apertura: archeologica e teleologica. In tale orizzonte insieme archeologico
(precondizioni) e teleologico (sviluppi) si muovono quelle che Husserl ha definito
notoriamente le cose stesse. Sono appunto i fenomeni in quanto cose stesse
l’oggetto di interesse della fenomenologia husserliana.
Gli autori di riferimento: Cartesio, Hume, Kant
Sono tre gli autori che più di tutti il filosofo tedesco individua come precursori, e
questi
sono
in
ordine
storico
Cartesio,
Hume
e
Kant.
Husserl prende da Kant la grande lezione metodologica ossia l'idea che in fondo la
filosofia si presenti fondamentalmente come una teoria del conoscere. La concezione
della soggettività come forma pura prima dell’esperienza e, infine, il concetto di
trascendentale come condizione della possibilità di ogni conoscenza. In una
parola Husserl coglie e fa suo a pieno il senso stesso della rivoluzione
gnoseologica kantiana e, cioè, il passaggio dalla domanda apparentemente
radicale: “che cosa è il mondo?”, alla domanda autenticamente radicale: “come mi è
dato
il
mondo?”.
Nello stesso tempo, la fenomenologia husserliana coglie e si appropria delle
profondità dello spirito di Hume, per il suo gusto del dubbio, dell'originario, del
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realmente presente. E certo fa propria anche la grande lezione humeana sulla critica
del linguaggio metafisico fino all'esercizio decostruttivo, diremmo oggi, dei simboli,
dei
significati,
dei
valori,
delle
cose.
Tuttavia, il pensiero al quale più di ogni altro Husserl si rifà è certamente quello
cartesiano, tanto da definire la fenomenologia un “neo cartesianesimo”. Husserl,
però, va oltre Cartesio e il contenuto più originale delle sue inesauribili Meditazioni
metafisiche: il Cogito non è solo la prima indubitabile verità da cui tutte le altre si
svilupperebbero in un concatenamento logico; il Cogito per Husserl diviene l’unico
campo possibile di ogni verità fenomenologica, al cui interno tutte le pretese di
senso sono confrontate e intrinsecamente collegate alla presenza mobile che
costituisce il fenomeno del mondo.
Navigare a vela e a remi
In tale prosecuzione del trascendentale kantiano, dell'originario humeano e del Cogito
cartesiano, la fenomenologia si presenta più come uno sviluppo e un
approfondimento, certo con molti sentieri originali, della tradizione filosofica della
modernità che come un brusco cambiamento di direzione. Per abusare della
celeberrima immagine platonica della navigazione, potremmo dire che dopo una prima
a vela e una seconda a remi, Husserl ne introduce una terza: a vela e a remi insieme.
Bisogna ricordare un'ultima cosa a questo proposito: la fenomenologia non è né un
sistema filosofico né una dottrina in senso stretto, ma un vastissimo programma,
un compito infinito, un nuovo modo di fare filosofia, del quale Husserl ha portato
a termine, e con non pochi ripensamenti, soltanto una piccola parte: si potrebbe dire
che la fenomenologia è la somma delle sue variazioni descrittive e delle
interpretazioni su queste ultime che generano continue correzioni di metodo.
Husserl stesso espresse benissimo l'essenza della fenomenologia come pratica
filosofica con il celebre motto immer wieder (sempre di nuovo) che porta all'altra
famosa considerazione del filosofo come un eterno principiante.
La “comunione con il mondo”
La fenomenologia inizialmente può apparire, e in un certo senso è, lo studio delle
essenze: l'essenza della percezione, l'essenza del tempo o quella delle cose, ma in
realtà diventa sempre di più un atteggiamento filosofico che ricolloca le
essenze all’interno dell’esistenza. Essa parte da un soggetto trascendentale ma
nello stesso tempo pensa che il mondo sia sempre “già là” prima di ogni
riflessione, cerca di ritrovare un contatto originariamente ingenuo con il mondo ma,
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nello stesso tempo, vuole fondare lo statuto di tale contatto (la “comunione con il
mondo” è la bellissima immagine di Merleau-Ponty). Ciò che la scienza dimentica
secondo Husserl è proprio il fatto che il mondo viene prima di ogni analisi. L'errore
della scienza è che l’analisi scientifica rimuove se stessa una volta che si è
realizzata, ignora se stessa come evento di quel mondo che cerca di spiegare. La
fenomenologia non può essere una scienza del mondo per il semplice fatto che il
mondo non è un oggetto di cui noi possediamo le leggi costitutive.
Ritornare alle cose
Per l’atteggiamento autenticamente fenomenologico non si tratta di spiegare
o di analizzare il mondo, bensì di descriverlo. Ritornare alle cose stesse significa
quindi ritornare al mondo anteriore alla conoscenza, al vissuto originario del
mondo nei confronti del quale ogni determinazione scientifica risulta astratta e di
secondo grado, come la geografia nei confronti di un paesaggio in cui originariamente,
prima di ogni scienza del mondo, abbiamo imparato cos'è una foresta, una montagna
o un fiume.
Nel 1911, era uscito il manifesto programmatico della fenomenologia La filosofia
come scienza rigorosa, in cui Husserl torna insistentemente sul carattere di
scientificità che deve contraddistinguere ogni autentica filosofia. Questa
scientificità della filosofia non ha nulla a che fare con il “fanatismo scientifico che nel
nostro tempo è fin troppo diffuso e che svaluta come ‘non scientifico’ tutto ciò che non
può essere dimostrato secondo le scienze esatte”. Per Husserl saper calcolare, saper
misurare il mondo non significa comprenderlo. Per quanti “fatti empirici” le scienze
esatte e particolari riescano a spiegare, esse non ci diranno nulla degli “enigmi del
mondo e della vita”, di “quella realtà della vita che ha un significato per noi, e nella
quale noi stessi dobbiamo averne uno”. Alla filosofia come scienza si oppongono
per Husserl le singole Weltanschauungen (visioni del mondo) filosofiche che
dipendono dalla comunità culturale e dal tempo in cui sorgono, e che si sono
susseguite nel corso della storia. Per il fondatore della fenomenologia, la moderna
filosofia della Weltanschauung non solo non mira al superamento dello scientismo, ma
vede nelle scienze particolari il suo stesso fondamento. Con ciò egli non intende
rigettare l’intera storia della filosofia, ma ci invita a guardare direttamente la
realtà in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo.
La storia della filosofia: il rischio di occultare la realtà
Sembra quasi che Husserl, nello stesso senso nel quale in seguito proporrà la messa
tra parentesi del mondo, voglia invitarci qui alla messa tra parentesi di ciò che i
vari filosofi ci hanno consegnato, poiché fare autentica scienza filosofica –
sovratemporale, eterna – significa riguadagnare il cominciamento radicale dei “veri
principi, delle prime origini”, significa “radicale assenza-di-pregiudizi”. Mettere tra
parentesi, sospendere, non vuol dire però annullare, abolire, ma semmai
neutralizzare. Quello che Husserl vuole neutralizzare delle Weltanschauungen
filosofiche è il rischio che esse occultino la realtà, che si presentino, per così
dire, “al posto delle cose”, con il rischio che le profondità del pensiero divengano delle
oscurità. Egli quindi non si vuole liberare della storia della filosofia come se fosse una
filastrocca di opinioni, per usare una famosa espressione hegeliana, anzi è pienamente
convinto della sua imprescindibilità, che non deve però farci dimenticare la sua
altrettanto imprescindibile parzialità. “Certo ci è necessaria pure la storia, non però
a guida dello storico per smarrirci nei nessi di sviluppo in cui sono sorte le grandi
filosofie, ma per farci ispirare dalle filosofie stesse e dal loro proprio contenuto
spirituale. E di fatto da queste filosofie del passato, se penetriamo con lo sguardo
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entro di esse, e sappiamo immedesimarci nello spirito delle loro parole e teorie,
proviene a noi come una vitalità filosofica, ricca e potenziata per i suoi motivi vitali.
Ma non diventiamo filosofi attraverso le filosofie. […] L’impulso alla ricerca non deve
provenire dalle filosofie ma dalle ‘cose’ e dai problemi”.
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