17_17 29/01/15 11.31 Pagina 191 Nitrato, calcio aNtagoNista, beta-bloccaNte, ivabradiNa, raNolaziNa: come scegliere il farmaco aNtiaNgiNoso? C. Borghi, F. Del Corso dipartimento cardio-toraco-vascolare, Policlinico s. orsola-malpighi, bologna. L’angina pectoris è il principale sintomo dell’ischemia miocardica, la cui causa principale è da ricercare nelle lesioni aterotrombotiche ostruttive (restringimenti ≥50% del tronco comune della coronaria sinistra e ≥70% in uno o più delle principali arterie coronarie) che, ostacolando il flusso coronarico, impediscono un adeguato apporto di ossigeno al miocardio. In diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica, quali altre cause di angina, sono da ricordare anche le valvulopatie, la cardiomiopatia ipertrofica, l’ipertensione arteriosa non controllata, lo spasmo coronarico e la disfunzione endoteliale/microvascolare (queste ultime due situazioni sono associate ad un quadro di coronarie indenni da lesioni). L’angina pectoris stabile riconosce così la sua fisiopatologia nella discrepanza che si viene a realizzare tra l’improvviso aumento della domanda di ossigeno da parte del miocardio ed un non corrisposto adeguato aumento del flusso coronarico. Tale situazione dà luogo ad ischemia/ipossia, la cui espressione sintomatica è il tipico dolore toracico transitorio. Le situazioni che favoriscono tale squilibrio sono un aumento della frequenza cardiaca, di postcarico, di precarico e di contrattilità miocardica. Tali eventi sono prevalentemente indotti dall’esercizio, da stati emotivi o da altri stress. Le sindromi coronariche acute (angina instabile, infarto miocardico con o senza sopralivellamento del tratto ST) sono invece dovute ad una riduzione del flusso coronarico causato da rottura/erosione di una placca con trombosi ed embolizzazione. Nello specifico, le varie presentazioni cliniche della coronaropatia stabile sono associate a diversi meccanismi che principalmente comprendono: l’ostruzione dovuta alle placche presenti nelle arterie epicardiche, lo spasmo focale o diffuso delle arterie normali o malate, la disfunzione microvascolare e la disfunzione ventricolare sinistra causata dalla necrosi miocardica acuta e/o dall’ibernazione (cardiomiopatia ischemica). Questi meccanismi possono agire da soli o in combinazione 1. 191 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 192 La prevalenza dell’angina negli studi di popolazione aumenta con l’età in entrambi i sessi, dal 5-7% nelle donne di età tra 45-64 anni al 10-12% nelle donne tra i 65-84 anni e dal 4-7% negli uomini di età tra i 45-64 anni al 1214% negli uomini tra i 65-84 anni. I dati disponibili indicano un’incidenza annuale di angina pectoris non complicata dell’1% nei maschi occidentali di età compresa tra 45-65 anni, con un’incidenza un po’ più alta nelle donne di età inferiore ai 65 anni 2,3. Nella popolazione con patologia coronarica stabile, la prognosi individuale può variare notevolmente in relazione alla clinica di base, alle caratteristiche anatomiche e funzionali. Ad esempio, nel registro REACH (REduction of Atherothrombosis for Continued Health), dove sono inclusi molti pazienti ad alto rischio, ossia con arteriopatia periferica o precedente infarto e diabetici, il tasso di mortalità annua ha raggiunto il 3.8%, mentre i pazienti con placche coronariche non ostruttive hanno un tasso di mortalità annuo di appena 0.63% 4,5. In quest’ottica, lo scopo del trattamento dell’angina è di ridurre i sintomi, migliorare la qualità di vita, ridurre le complicanze cardio-vascolari (infarto miocardico, disfunzione ventricolare) e la mortalità a lungo termine. Il primo approccio terapeutico da adottare è un corretto stile di vita (es.: corretta alimentazione, regolare attività fisica), a seguire l’uso della terapia farmacologica. Questi approcci hanno lo scopo di ridurre la progressione della placca, stabilizzare le placche attraverso la riduzione dell’infiammazione e prevenire la trombosi. Tra i principali farmaci anti-ischemia sono da menzionare i beta-bloccanti, i calcio antagonisti e i nitrati. I beta-bloccanti rappresentano, assieme ai calcio antagonisti, la prima linea terapeutica nel controllo dei sintomi in pazienti con angina stabile, ed in particolare nel caso di angina pectoris da sforzo (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A, secondo le linee guida europee) 5. L’azione dei betabloccanti si svolge nella loro capacità di bloccare in maniera competitiva i recettori delle catecolamine, riducendo la frequenza cardiaca (prolungamento del tempo di diastole e di conseguenza della perfusione coronarica), la contrattilità, la conduzione atrio-ventricolare e lo stress di parete del ventricolo sinistro. Il risultato finale è la riduzione nella domanda di ossigeno del miocardio, soprattutto nelle condizioni in cui la frequenza cardiaca aumenta in rapporto all’esercizio fisico. Nello specifico, tutti i beta-bloccanti, indipendentemente dalle loro proprietà farmacologiche, sembrano essere ugualmente efficaci nel trattamento dell’angina pectoris stabile. In termini di risultati si ha un miglioramento della capacità di esercizio, una riduzione del sottolivellamento del tratto ST indotto dallo sforzo e della frequenza degli episodi anginosi. Quelli più utilizzati sono i beta-1 cardioselettivi, come il metoprololo, il bisoprololo, l’atenololo o il nebivololo. Tra i beta-bloccanti non cardioselettivi il carvedilolo è quello più usato; in questa classe di farmaci bisogna inoltre sempre tenere in considerazione gli svantaggi, legati all’azione non selettiva del farmaco, presenti nei pazienti con BPCO, asma, arteriopatia periferica. L’effetto anti-ischemico del metoprololo è stato dimostrato dallo studio IMAGE, in cui 280 pazienti con angina stabile cronica sono stati randomizzati per 6 settimane di terapia con preparazioni a lunga durata d’azione di metoprololo o nifedipina. Il metoprololo è risultato più efficace nel ridurre la frequenza di angina e nel ritardare la soglia ischemica, aumentando il tempo di esercizio medio. 192 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 193 Inoltre, l’aumento della tolleranza allo sforzo era significativamente maggiore rispetto a quello osservato con la nifedipina 6. Il carvedilolo, invece, è risultato statisticamente superiore al placebo nell’aumentare il tempo di esercizio e ritardare la comparsa di angina e della soglia ischemica durante sforzo 7. In un altro studio randomizzato, sempre il carvedilolo è apparso altrettanto efficace rispetto al verapamil nel controllo dell’angina stabile cronica 8. Infatti, nel controllo dell’angina, i beta-bloccanti ed i calcio antagonisti risultano di simile efficacia 9-12. Nel contesto della cardiopatia ischemica post-infartuale i beta-bloccanti hanno portato ad una riduzione del rischio di morte cardiovascolare ed infarto del 30% 13. Pertanto possono anche svolgere un ruolo protettivo nei pazienti con malattia coronarica stabile, anche se manca un’evidenza di supporto da parte di studi clinici controllati. Inoltre, nello scompenso cardiaco, tutti questi farmaci sono in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari 14-17. In sintesi, esiste così un’evidenza in termini di efficacia prognostica nell’utilizzare i betabloccanti nei pazienti postinfartuali o con insufficienza cardiaca. Inoltre, tali dati suggeriscono come questi farmaci possono essere considerati la prima linea terapeutica antianginosa nei pazienti con angina cronica stabile. Qualora i sintomi anginosi persistessero nonostante la terapia con i betabloccanti o in presenza di controindicazioni/effetti collaterali causati da questi, i calcio antagonisti possono essere utilizzati come terapia di combinazione o come sostituti dei beta-bloccanti. I calcio antagonisti agiscono bloccando l’afflusso di calcio attraverso i canali al calcio di tipo L (canali al calcio voltaggio dipendenti) presenti a livello dei miociti e delle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni. L’effetto finale risulta così essere la vasodilatazione e la riduzione delle resistenze periferiche vascolari, con conseguente riduzione del lavoro cardiaco. Esistono sostanzialmente due grandi classi di calcio antagonisti, quelli diidropiridinici (nifedipina, amlodipina e nicardipina) e quelli non diidropiridinici (verapamil e diltiazem). Le caratteristiche dei calcio antagonisti diidropiridinici sono: blocco dei canali del calcio dose dipendente; maggior selettività per le cellule della muscolatura liscia vascolare e per il miocardio, rendendoli più potenti dal punto di vista dell’effetto di vasodilatazione rispetto al verapamil o al diltiazem; vasodilatazione delle arterie coronarie, aumentando così il flusso ematico coronarico e favorendo lo sviluppo di circoli collaterali coronarici (anche attraverso un aumento dei livelli di ossido nitrico e bradichinina) 18. Gli effetti collaterali correlati alla vasodilatazione periferica comprendono l’edema periferico (non legato all’insufficienza cardiaca), le vampate di calore, mal di testa, vertigini. Questi sintomi sono più comuni con l’utilizzo della nifedipina a breve durata d’azione e meno comuni nel caso della nifedipina a lunga durata d’azione o delle diidropiridine di seconda generazione, quali amlodipina e nicardipina. Anche il verapamil è efficace nel trattamento dell’angina, aumentando la durata dell’esercizio e riducendo il numero di episodi anginosi. Infatti, diversamente dai diidropiridinici, diminuisce la domanda di ossigeno del miocardio, agendo come inotropo e cronotropo negativo e abbassando la pressione arteriosa sistemica. Pertanto nei pazienti con scompenso cardiaco è necessario prestare molta cautela, in quanto il verapamil può esacerbare l’insufficienza cardiaca a causa della sua attività inotropa negativa. Tale effetto è più pronunciato nei pazienti in terapia anche con un beta-bloccante, difatti la com193 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 194 binazione dei due farmaci non viene generalmente utilizzata. Un'altra azione del verapamil è il rallentamento della conduzione cardiaca, un effetto che può essere deleterio nei pazienti con sindrome del nodo del seno o blocco atrioventricolare. Infine l’effetto di vasodilatazione è molto meno potente rispetto ai diidropiridinici e di conseguenza anche gli effetti collaterali come mal di testa, vampate di calore, edema periferico e vertigini sono meno comuni. In ultimo, le caratteristiche del diltiazem sono a cavallo tra quelle dei diidropiridinici e del verapamil: potente vasodilatazione coronarica, ma in misura minore a livello del letto arterioso sistemico; l’effetto finale è il miglioramento del flusso di sangue attraverso i vasi coronarici epicardici e collaterali, che vascolarizzano il miocardio normale e quello ischemico 19. Il diltiazem svolge anche un’azione inotropa negativa e di riduzione dell’automatismo del nodo del seno e della conduzione attraverso il nodo atrio ventricolare, anche se in misura inferiore rispetto al verapamil. Numerosi studi hanno dimostrato l'efficacia dei diidropiridinici nell’angina stabile. Nel già citato studio IMAGE la nifedipina ha ridotto la frequenza di angina e aumentato il tempo di esercizio medio anche se in misura inferiore rispetto al metoprololo 6. Nel trial ACTION la nifedipina nei pazienti con angina ha dimostrato di ridurre la necessità di rivascolarizzazione coronarica mediante angioplastica e by-pass coronarico 20. Anche i calcio antagonisti diidropiridinici di seconda generazione (amlodipina e nicardipina) sono efficaci agenti antianginosi. L’amlodipina aumenta la durata dello sforzo, riduce il numero di episodi anginosi ed il consumo di nitroglicerina 21. L’utilizzo della nifedipina ed in misura minore degli altri diidropiridinici può inoltre evocare una risposta riflessa beta-adrenergica con tachicardia riflessa, limitando così l’efficacia dei calcio antagonisti. In questi casi la terapia di associazione con un beta-bloccante riduce il numero di episodi ischemici. Diversi studi hanno confrontato l’efficacia della nifedipina rispetto al verapamil ed al diltiazem nei pazienti con angina stabile. Uno studio ha evidenziato che il tempo di esercizio migliora da 5.7 minuti con placebo, a 8 minuti con nifedipina e fino a 10 minuti con verapamil 22. Inoltre, la nifedipina ed il diltiazem sembrano essere ugualmente efficaci nel migliorare il tempo di esercizio 23,24. Un ampio studio di 551 pazienti ha confrontato la terapia singola con amlodipina e quella di associazione con atenololo verso quella con verapamil. Tutte e tre le strategie hanno migliorato la capacità di esercizio. Tuttavia la terapia con verapamil e quella di combinazione (amlodipina più atenololo) erano più efficaci della sola amlodipina nel diminuire la frequenza di ischemia miocardica 25. In particolare, non ci sono studi di comparazione tra il diltiazem ed il verapamil. Per quanto riguarda invece il confronto con i beta-bloccanti, l’attività antianginosa del verapamil rispetto al metoprololo ed al propanololo è risultata simile 26,27. Rispetto all’atenonolo invece nei pazienti ipertesi con malattia coronarica, il verapamil ha dimostrato minor insorgenza di diabete e di attacchi anginosi 28. Pertanto la scelta tra le due classi di farmaci dipende largamente dal quadro clinico del paziente e dagli effetti avversi di ogni farmaco. La terapia di associazione beta-bloccanti più verapamil non è consigliata per via dell’alta incidenza di effetti avversi legati all’azione inotropa e cronotropa negativa di entrambi i farmaci. Anche il diltiazem è risultato efficace come i beta-bloccanti nel trattamento dell’angina stabile 29. Come per il verapamil l’as194 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 195 sociazione diltiazem più beta-bloccante, così come l'utilizzo nei pazienti con malattia coronarica e disfunzione ventricolare sinistra, non è consigliata. Nell’angina da sforzo, invece, è risultata più efficace l’amlodipina che l’atenololo e la loro combinazione lo è ancora di più 30. L’associazione di nifedipina più un beta-bloccante invece risulta meno efficace rispetto a quella con un altro calcio antagonista 31. In sintesi, la scelta di una particolare associazione di un beta-bloccante più un calcio antagonista dipende dall’assetto clinico del paziente, dalla tolleranza agli effetti collaterali dei farmaci e dalla gravità dell’angina. Tra i farmaci anti ischemici meritano anche un’importante menzione quelli appartenenti alla classe dei nitrati. Tali farmaci attraverso la vasodilatazione delle coronarie e del distretto venoso, riducono il precarico e quindi lo stress di parete a livello del ventricolo sinistro e la domanda di ossigeno del miocardio. Tali proprietà li rendono particolarmente efficaci in termini di controllo dei sintomi anginosi acuti da sforzo, nel qual caso la formulazione a breve durata d’azione (in particolare la formulazione sublinguale) rappresenta la prima linea terapeutica, mentre le formulazioni “long-acting” possono essere raccomandate per la profilassi degli episodi anginosi. Nei pazienti con angina stabile da sforzo, i nitrati migliorano la tolleranza allo sforzo, il tempo di insorgenza dell’angina e il sottolivellamento del tratto ST durante test da sforzo. In combinazione con beta-bloccanti o calcio antagonisti, i nitrati realizzano maggiori effetti antianginosi e anti ischemici. Tra gli effetti collaterali vanno menzionate la cefalea causata dalla dilatazione delle arterie meningee, le vampate di calore per lo più correlate alla dilatazione delle arteriole del volto e l’ipotensione. Quest’ultima si presenta maggiormente nei pazienti ipotesi/ipovolemici, dove un significativo droop pressorio può aggravare l’ischemia miocardica. Inoltre, nel caso di terapia in cronico, particolare attenzione va riservata all’instaurarsi della tolleranza da nitrati con conseguente attenuazione e talvolta abolizione degli effetti emodinamici ed antianginosi. Le formulazioni utilizzate sono diverse. La terapia di scelta degli episodi acuti è la nitroglicerina sublinguale a breve durata d’azione: inoltre tale formulazione può essere utilizzata per via profilattica nelle situazioni che possono evocare l’angina. La formulazione a lunga durata d’azione può invece essere utilizzata per prevenire gli episodi anginosi, in particolare è importante mantenere un periodo di tempo libero dall’assunzione di nitrati per evitare il fenomeno della tolleranza. Ad esempio, in uno studio in cui veniva utilizzato l’isosorbide dinitrato, la durata dell’esercizio fisico migliorava in maniera significativa per 6-8 ore dopo una singola dose orale, ma solo per 2 ore quando la stessa dose veniva data ripetutamente quattro volte al giorno, nonostante la maggior concentrazione plasmatica del farmaco 32. Un altro trial ha testato l’efficacia antianginosa dell’isosorbide dinitrato utilizzato tre volte al giorno: il farmaco veniva somministrato alle 8.00, alle 13.00 e alle 18.00. In questo studio la tolleranza allo sforzo aumentava per più di tre ore dopo la dose del mattino e del pomeriggio, ma in misura minore dopo quella serale: l’isosorbide dinitrato dato tre volte al giorno offre una protezione antianginosa per almeno 6 ore 33. Per quanto riguarda l’isosorbide mononitrato, il dosaggio e gli effetti collaterali sono simili a quelli dell’isosorbide dinitrato. Anche i cerotti transdermici di nitroglicerina non riescono a coprire le 24 ore se usati in maniera prolungata. Un’assunzione discontinuativa con intervalli di 12 ore permette un’efficacia protettiva entro pochi minuti e per almeno 3-5 ore. I pa195 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 196 zienti con angina da sforzo possono giovarsi di più dell’assunzione diurna dei nitrati, cioè durante il giorno quando il paziente è più attivo. Mentre nei pazienti con angina notturna o scompenso cardiaco, l’assunzione notturna può essere più utile per tollerare meglio l’ortopnea e la dispnea parossistica notturna. Non c’è differenza di efficacia tra l’isosorbide dinitrato e la nitroglicerina transdermica. Quindi, per quanto riguarda la strategia terapeutica per il trattamento dell’angina stabile, la scelta ottimale è costituita dalla combinazione di almeno un farmaco per alleviare il dolore più un farmaco per migliorare la prognosi. Le linee guida raccomandano che sia un beta-bloccante o un calcio antagonista più un nitrato a breve durata d'azione la prima linea di trattamento per il controllo della frequenza cardiaca e dei sintomi 5. Tra i beta-bloccanti e i calcio antagonisti la scelta potrebbe ricadere sui primi, dal momento che è stato osservato un maggior beneficio in termini di sopravvivenza con i beta-bloccanti nei pazienti con pregresso infarto miocardico o disfunzione sistolica del ventricolo sinistro. Qualora i sintomi non fossero ben controllati si consiglia di passare da un beta-bloccante al calcio antagonista oppure di combinare un beta-bloccante con un calcio antagonista diidropiridinico. L’associazione beta-bloccante più calcio antagonista non diidropiridinico non è consigliata. Al contempo, la nitroglicerina sublinguale rimane la terapia di scelta per gli episodi acuti e in via profilattica per le attività che potrebbero evocare il sintomo (ad esempio attività fisica), mentre la terapia in cronico con i nitrati andrebbe riservata come seconda linea di terapia alla luce dei problemi legati alla tolleranza che questi farmaci provocano. Laddove i sintomi persistessero, nonostante terapia medica ottimale, o subentrassero intolleranze o controindicazioni ad entrambi i beta-bloccanti e calcio antagonisti si può optare per altri farmaci anti-anginosi (seconda linea terapeutica): nitrati a lunga durata d’azione, ranolazina, ivabradina (classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza B secondo le linee guida europee) 5. La ranolazina è un inibitore selettivo della corrente tardiva d’ingresso del sodio, tale da prevenire il sovraccarico di ioni calcio a livello cellulare e il successivo aumento della tensione diastolica. Nell’ambito dell’angina stabile diversi trial hanno dimostrato l’efficacia della ranolazina. Nello studio CARISA, la ranolazina ha determinato un aumento dose-dipendente della tolleranza all’esercizio fisico e della soglia d’insorgenza di angina 34. Nel CARISA trial, in pazienti già trattati con la terapia di fondo antianginosa (calcio antagonista o atenololo), la ranolazina ha aumentato in maniera significativa la durata dell’esercizio fisico, il tempo di insorgenza dell’angina e la soglia ischemica, inoltre ha ridotto la frequenza di episodi anginosi rispetto al placebo 35. Invece, nello studio ERICA in una casistica di pazienti, che assumevano amlodipina e nitrati a lunga durata d’azione ma non beta-bloccanti, la ranolazina ha migliorato in modo significativo l’end-point primario di episodi anginosi 36. Nel recente trial TERISA è stato dimostrato che la ranolazina riduce gli episodi di angina stabile in 949 pazienti diabetici già in trattamento con uno o due farmaci antianginosi e porta ad un minor uso di nitroglicerina sublinguale 37. Inoltre, nello studio MERLIN-TIMI 36 la ranolazina ha ridotto significativamente l’end-point primario di morte cardiovascolare, infarto miocardico, dal momento che riduceva in maniera significativa l’ischemia ricorrente 38. Questi 196 17_17 29/01/15 11.31 Pagina 197 risultati confermano come la ranolazina sia efficace nel ridurre i sintomi anginosi e nel migliorare la tolleranza allo sforzo quando è usata in associazione con gli altri farmaci antianginosi. Poiché tale farmaco è in grado di allungare il tratto QT, particolare attenzione deve esser fatta nei pazienti con QT lungo o che assumono farmaci in grado di allungarlo. Da ultimo, l’ivabradina è un farmaco in grado di abbassare la frequenza cardiaca inibendo selettivamente le correnti ioniche del nodo del seno e diminuendo in tal modo la richiesta di ossigeno del miocardio senza effetto sull’inotropismo cardiaco. Il razionale per il suo utilizzo infatti risiede nel fatto che un'elevata frequenza cardiaca è associata ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti con malattia ischemica stabile. Inoltre, questo farmaco è risultato efficace nei pazienti con angina stabile al pari di atenololo o amlodipina; in particolare, aggiungendo l’ivabradina alla terapia con atenololo si aveva un migliore controllo della frequenza cardiaca e dei sintomi anginosi 39,40. Nel trial BEAUTIFUL l’ivabradina ha ridotto l’end-point primario di morte cardiovascolare, ospedalizzazione con infarto e scompenso cardiaco e l’ospedalizzazione per infarto miocardico 41. Da qui era sorta l’indicazione all’utilizzo di questo farmaco nella terapia dell’angina stabile nei pazienti intolleranti o inadeguatamente trattati con beta-bloccanti e nei quali la frequenza cardiaca fosse superiore ai 60 bpm. Tuttavia, alla luce del recente trial SIGNIFY non è più consigliabile l’utilizzo dell’ivabradina nei pazienti con angina stabile che non siano anche affetti da scompenso cardiaco 42. Infatti, i risultati preliminari di tale studio hanno mostrato un aumento lieve, ma statisticamente significativo, del rischio combinato di morte cardiovascolare e infarto miocardico non fatale con ivabradina in confronto con placebo in un gruppo di pazienti con angina sintomatica di classe CCS II o superiore senza scompenso cardiaco. I dati iniziali indicano che gli eventi cardiovascolari avversi possono essere associati per lo più alla frequenza cardiaca con target inferiore a 60 bpm. Pertanto andrà attentamente riconsiderata l’indicazione all’utilizzo di ivabradina nei pazienti con angina di classe CCS II o superiore. Fonti: www.uptodate.com BIBLIOGRAFIA 11) A. Branzi, F.M. Picchio. Cardiologia 2013 12) National Institutes of Health NH, Lung, and Blood Institute. Morbidity & Mortality: 2012 Chart Book on Cardiovascular, Lung, and Blood Diseases. Bethesda, MD: National Heart, Lung, and Blood Institute; 2012 13) Hemingway H, McCallum A, Shipley M, Manderbacka K, Martikainen P, Keskimaki I. Incidence and prognostic implications of stable angina pectoris among women and men. JAMA 2006; 295:1404-11 14) Steg PG, Bhatt DL, Wilson PW, D’Agostino R Sr., Ohman EM, Rother J, Liau CS, Hirsch AT, Mas JL, Ikeda Y, Pencina MJ, Goto S. One-year cardiovascular event rates in outpatients with atherothrombosis. 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