relazione per ostuni - Donato Cosenza Architetto

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Quando le chiese di Taranto erano anche luoghi di sepoltura:
le chiese intra moenia
Donato Cosenza
CICOP Italia
Taranto in un’incisione del 1761
Introduzione:
Quando le chiese di Taranto erano anche luoghi di sepoltura, la città era divisa in
“pittaggi”, che potremmo tradurre con il termine moderno di quartiere o rione; la tradizione vuole
che sia stato Mons. Lelio Brancaccio (di nobile e potente famiglia napoletana, arcivescovo di
Taranto tra il 1574 ed il 1596) ad istituire i pittaggi ma, al di là dell’accezione corrente, il
monsignore ne intuì pienamente il senso. Il “pittachios”, in greco, indica un registro dei conti,
generalmente realizzato con una tavoletta di legno, stesso significato imitato dai latini
(“pittachium”) che corrisponde al volgare “pittavo” che indica il cartiglio su cui vengono iscritti i
nomi dei fedeli bisognosi di cure spirituali, in quanto infermi.
L’utilizzo, quindi, del termine pittaggio non è una semplice indicazione territoriale che
indica le aree urbane della città, ma è un vero e proprio censimento spirituale con l’indicazione dei
luoghi di culto in funzione della vita religiosa della popolazione urbana, muovendosi dall’esigenza
primaria della catalogazione precisa dei luoghi.
I pittaggi sono quattro ed ognuno ha un nome proprio: Ponte e Turripenne che si
affacciano sul Mar Piccolo; San Pietro Imperiale e Baglio, sul Mar Grande.
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Le chiese intra moenia come luoghi di sepoltura:
La tradizione delle sepolture nelle chiese tarantine intra moenia risale ai tempi del
medioevo, così come in tutto il mondo cristiano; inizialmente il cristianesimo non ammette la
sepoltura nelle chiese, poi sono proprio le chiese ad ospitare i cadaveri: nella chiesa, nel chiostro,
definito talvolta ossario, e nelle zone limitrofe consacrate. Le sepolture devono quindi avvenire ad
sanctos et apud ecclesiam (vicino ai santi e presso le chiese). Più la sepoltura è vicina alle reliquie,
più è valutata; i santi hanno le loro cappelle o vengono posti sotto gli altari e chi può
permetterselo chiede di essere sepolto nelle chiese vicino a un santo, a determinate immagini
sacre o in un punto preciso del cimitero esterno. I ricchi riescono perciò ad essere seppelliti sotto il
pavimento della chiesa, mentre i poveri giacciono in fosse comuni nel recinto esterno e attorno
alle mura. Le chiese coincidono talmente con il cimitero, che a volte si allontanano gli altari per
lasciare spazio alle tombe. Si seppellisce quindi dentro le chiese e all’esterno, nello spazio
circostante: di qui i primi termini “camposanto” per indicare i cimiteri.
Nel pittaggio Baglio, nel ‘700, si contano 14 edifici sacri tra chiese, conventi e cappelle; di
queste, oggi, rimangono solamente S. Agostino (chiesa e convento), il convento di S. Francesco
(XIV sec.) ed il convento dei Celestini (1556), la cappella del Castello (1492), Santa Maria della
Scala (già chiesa dei SS. Simone e Giuda 1181); vengono invece abbattute S. Giovanni Battista
(distrutta nel 1934), S. Angelo, S. Piero della Porta e S. Maria Livarici (tutte abbattute nel 1595 per
i lavori del canale), Santissima Trinità, demolita negli anni ‘70 per far posto al ritrovamento delle
colonne del tempio dorico di Poseidone; inoltre la chiesa di S. Maria Annunziata, di fronte al
Castello, quella di S. Biagio, presso S. Agostino, S. Teodoro, dove oggi è palazzo Peluso, la Cappella
del Governatore, S. Eustachio, dove oggi è il palazzo di città (tutte distrutte in data sconosciuta).
Gli altri pittaggi sono più poveri di edifici sacri; nel pittaggio Turripenne (o Torre Penna),
all’epoca della visita pastorale el Brancaccio si contano le seguenti chiese, nessuna delle quali è
arrivata sino ai giorni nostri: Santa Maria Ara Coeli (situata alla discesa del Vasto, abbattuta dal
fascismo nel 1934), S. Maria della pace (già tempio pagano, distrutta per i lavori di fortificazione),
San Bartolomeo (in fondo allo sdrucciolo “La Riccia”), Santa Maria della Piccola (dove oggi sorge la
chiesa di San Giuseppe ma con ingresso sulla via di Mezzo e non dalla marina come l’attuale), San
marco (documenti la datano nel XI sec., riedificata dal Brancaccio e definitivamente abbattuta nel
1938).
Il pittaggio San Pietro conta la chiesa di San Paolo, in Via Duomo, bellissima e di rito greco,
forse una delle più antiche chiese tarantine, oggi divenuta un magazzino di mobili; la chiesa ed il
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convento di S. Anna, in via di Mezzo; la chiesa di S. Martino, poi diventata una scuola; San
Gaetano, sulle rovine di un’altra chiesa, quella intitolata a San Nicola, tra via di Mezzo e via Cava,
costruita nel 1786 dall’arcivescovo Capecelatro, tutt’ora esistente; la Chiesa ed il convento di San
Domenico Maggiore, il cui ingresso principale è raggiungibile per mezzo di una bellissima scalinata
barocca, quando, come vedremo in seguito, viene creato il pendio San Domenico per collegare la
via Duomo con la parte bassa dell'isola.
Nel pittaggio Ponte insistono le chiese dedicate a S. Nicola in Civitanova, S. Nicola in Platea,
S. Antonio Abate, SS. Cosma e Damiano, Santa Maria del Porto.
Nel pittaggio Baglio, la chiesa della Trinità, fondata dalla Confraternita della Santissima
Trinità dei pellegini e convalescenti (una delle diverse confraternite religiose tarentine nata nella
seconda metà del
XV sec. col titolo di "Santa Maria dei Martiri" per opera dei Celestini),
conservava delle sepolture all’interno del convento, oggi andate perdute. La confraternita ha
l'obiettivo di fornire ospitalità di tre giorni ai pellegrini che passavano dalla città per andare a
Roma o in Terra santa e di provvedere ai loro bisogni qualora si ammalassero e se morivano in
questo periodo di ospitalità di fornire loro un degna sepoltura; a tale scopo la confraternita edifica
a fianco alla chiesetta della SS. Trinità un oratorio e un ospizio dove vengono accolti i pellegrini,
edifici entrambi demoliti nel 1927, quando, a seguito di alcuni ritrovamenti archeologici di resti
magno-greci, il regime fascista ne decreta la demolizione, costringendo la congrega a trasferirsi nei
locali della chiesetta della Trinità che verra anch'essa demolita negli anni settanta per consentire il
rinvenimento delle due grandi colonne doriche che ancora oggi si possono vedere in piazza
castello; della chiesa rimane solo un muro con l'entrata della chiesa sui cui vi è incisa la scritta
Sancta Trinitas unus Deus.
Della chiesa di Santa Maria della Scala, già dei Santi Simone e Giuda, si ha notizia dal 1595
quando Mons. Brancaccio la visita nella sua ultima visita pastorale descrivendone la sua
localizzazione: situata “iuxta domos, pomaria et strictulas vicinales ipsius Ecclesiae”, una porta
grande sulla via principale di S. Costantino e l’altra sulla stretta via detta delle foglie; la chiesa
viene visitata successivamente da Mons. Ottavio Frangipane, sin da giovane inserito nel
funzionariato di spicco dello Stato Pontificio che, nella sua relazione pastorale, la descrive
esattamente come l’aveva descritta il Brancaccio, ad eccezione del particolare della conservazione
delle reliquie (probabilmente frammenti di ossa), già custodite in un’arca di bronzo, che sono ora
raccolte in un tabernacolo dorato chiuso, a sua volta, in un armadio.
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Mons. Frangipane muore a Taranto nel 1612 e tumulato nella Cattedrale di San Cataldo;
sul suo sepolcro è scolpita l’arma dei Frangine inquartata con l’albero del mirto. La cattedrale,
situata nel pittaggio di S. Piero Imperiale, è dedicata al Santo Patrono della città; nella splendida
cripta bizantina che conserva mosaici ed affreschi del XII sec., addossato alla parete orientale è
visibile un sarcofago della fine del XIII sec., sul quale un bassorilievo raffigura un defunto probabilmente una fanciulla- in ascesa, sorretto da due angeli. Nel vano della cripta vi sono le
tombe di alcuni vescovi di Taranto, tra i quali, oltre a quella di Mons. Ottavio Frangipane, quella
venerata del Patrono San Cataldo, iralndese di nascita e divenuto vescovo della città nel VI-VII sec.
Il nucleo primordiale della chiesa risale al VII sec, sul quale viene costruita la chiesa a pianta
basilicale come la vediamo oggi e voluta dall’imperatore bizantino Niceforo II Foca nel il X sec. Ha
una navata centrale, due laterali e un transetto a una navata; nella zona antistante la facciata
romanica, corrispondente all'attuale pronao, sono accolte le tombe dei personaggi più illustri della
città. Subisce diversi rimaneggiamenti fino al 1713 quando viene aggiunta l’attuale facciata
barocca.
Sepolture nella Cripta della Cattedrale
Tuttavia la sepoltura in chiesa o nel ristretto spazio circostante entra in crisi profonda in
occasione di epidemie che rendono necessarie improvvisi e ampi spazi di sepoltura, veri pozzi in
cui ammassare i cadaveri . Ad ogni modo la chiesa come luogo preferito di sepoltura resiste per
altri secoli fino all’800 quando Il cimitero moderno deve necessariamente nascere di fronte a
problemi di igiene legati alla morte. Non va dimenticato che all’epoca le chiese sono luoghi
affollati, ospitano perfino mercati, e tutto si svolge tra ossa e seppellimenti precari. Il nuovo
cimitero ottocentesco ha la caratteristica di essere monumentale, sovrabbondante di statue, come
status symbol delle famiglie borghesi, con tombe individuali che danno origine a una diffusione del
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mestiere di chi costruisce lapidi, tombe e bare; inoltre, mentre il vecchio cimitero era all’interno
della città, il nuovo è lontano dalla città stessa, per sottrarre la morte alla vista quotidiana.
Cattedrale (XI-XVIII sec)
Cattedrale (navata centrale, XI sec)
Cattedrale (sepolcro di S. Cataldo)
La chiesa di S. Agostino, costruita sulle rovine del tempio pagano di Venere e dedicata
anticamente al patrono della città, San Cataldo, viene intitolata a S. Agostino nel 1402, quando vi
si insediano gli agostiniani. A dimostazione di quanto affermato, durante gli scavi per la
realizzazione delle fondazioni di alcune case vicine, viene ritrovata l’Ara di Venere, poi donata
dall’arcivescovo della città al Granduca di Toscana.
Sobrio esempio di facciata settecentesca, periodo alquanto fiorente per la città che si
adoprava nell’ammodernare le facciate di chiese e palazzi nobiliari, la chiesa ha un impianto a
navata unica e presenta un presbiterio rettangolare separato dalla navata da un arco trionfale; le
pareti sono scandite da paraste composite sormontate da un cornicione molto sporgente al di
sopra del quale si aprono cinque finestroni per lato; il soffitto ligneo piano è stato ricostruito dopo
i danni subiti durante la seconda guerra mondiale; una lapide all'ingresso ricorda la riapertura
della chiesa dopo molti anni di chiusura, nel 1956 ad opera del monsignor Bernardi, vescovo della
città. L'aula interna presenta tre cappelle per lato.
La chiesa ospita la sepoltura di Tommaso Niccolò d’Aquino, famoso poeta e sindaco
illuminato della città, di cui si ricorda principalmente il poema “Deliciae Tarentine”, un poemetto
in esametri latini in 4 libri, in cui tesse un elogio della città di Taranto mediante la descrizione delle
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sue bellezze naturali e delle attività dell'uomo. Durante la sua ultima visita pastorale, Mons. Lelio
Brancaccio scrive che nella chiesa era presente la cappella della famiglia dei conti Aquino, con
nove sepolture, oggi non più ritrovate.
Chiesa di Sant’Agostino (1402)
Lapide del sepolcro di T.N. D’Aquino (1721)
Chiesa di San Domenico M. (1302)
La chiesa di S. Domenico Maggiore: situata nel pittaggio di S. Pietro Imperiale, sul sito su cui
sorgeva un tempio greco di epoca arcaica, l’attuale edificio che ospita la chiesa ed il convento di
San Domenico, come testimonia un'iscrizione in latino nello stemma del portale di ingresso, viene
costruito nel 1302 e dedicato a San Domenico in Soriano da Giovanni Taurisano, giunto dalla
Provenza al seguito di carlo II D’Angiò e da questi nominato feudatario di Taurisano, in provincia di
lecce. I padri domenicani vi si insediano nei primi del 1300 ,e nel 1349 la chiesa viene consacrata a
san Domenico di Guzmàn. I resti del tempio, su cui poggiano le fondazioni della chiesa, sono visibili
attraverso dieci botole aperte nel pavimento, con scale a pioli in ferro. Non è tuttavia visibile
l'antico piano di calpestio. In scavi condotti tra il 1992 e 1993 nel chiostro dell'annesso convento
sono state viste le colonne della peristasi del tempio di epoca classica. L'iscrizione sullo stemma
del portale d'ingresso recita: "HOC OPUS FIERI FECIT NOBILIS VIR IOHANNES TAURISANENSIS SUB
ANNO DOMINI MCCCII" ("Quest'opera fece costruire il nobile Giovanni Taurisano nell'anno del
Signore 1302")
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Chiesa di Sant Domenico Maggiore: i tre altari delle confraternite (1571 - 1670)
Nel corso del XVI e del XVII sec. si costituiscono tre confraternite: la Reale arciconfraternita di
Maria Santissima del Rosario, (1571), la confraternita del santissimo Nome di Gesù (1580), più
nota come "del Santissimo Nome di Dio" e quella di san Domenico in Soriano (1670), che erigono
nella chiesa tre altari nelle cappelle della navata sinistra.
L'ingresso principale è raggiungibile per mezzo di una bellissima scalinata costruita
simmetricamente rispetto alla facciata verso la fine del XVIII sec., quando viene creato il pendio
San Domenico per collegare la via Duomo con la parte bassa dell'isola. Nella zona absidale vi è
sepolto il domenicano Tommaso II de Sarria, arcivescovo di Taranto dal 1665 al 1685. Nel 1717
viene realizzato un soffitto ligneo dipinto, che racchiude le tele del Trionfo di San Domenico , San
Vincenzo che predica e la Gloria di San Tommaso. Ma nella notte di Natale del 1964 a seguito di un
crollo , l'intera struttura crolla e non è stata più ricostruita. Il vano è attualmente coperto con delle
semplici carpiate in legno.
Il presente studio non è certamente esaustivo dell’argomento e si sofferma solamente su
alcune delle chiese tarantine che presentano al loro interno delle sepolture; si ricorda brevemente
che oltre alle sepoltura nelle chiese intra moenia citate, ci sono un gran numero di sepolture nelle
necropoli extra moenia di Taranto, dove si riscontrano due tipi differenti di tombe:
•
le "tombe a camera" e le "tombe a semicamera", adottate dalle famiglie aristocratiche,
collocate all'incrocio di due vie per essere facilmente individuabili;
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•
le "tombe a fossa", adottate dalle famiglie plebee, scavate nella roccia e chiuse da un
masso.
Le 160 sepolture sono dislocate in sette differenti siti archeologici: la necropoli di via Marche,
le tombe a camera di via Umbria, di via Sardegna e di via Pio XII, la tomba a semicamera di via Alto
Adige, l'ipogeo Genoviva di via Polibio e la "tomba degli atleti" di via Francesco Crispi.
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