Recensione de La mente in bilico - Servizio di Hosting di Roma Tre

Massimo Marraffa
La mente in bilico. Le basi filosofiche della scienza cognitiva.
Carocci, Roma 2008, pp. 258
In questo brillante lavoro Massimo Marraffa (M.) propone, da un lato, una ricostruzione storica dei
fondamenti teorici – le “basi filosofiche” -- della scienza cognitiva e scatta, dall’altro, un’istantanea
della situazione attuale degli studi sulla mente, come è noto non semplice da inquadrare per il
moltiplicarsi di prospettive di ricerca in parte antagoniste.
Il libro è articolato in quattro capitoli. Nel primo si ricostruisce come si è arrivati alla scienza
cognitiva, individuandone le idee portanti. Il secondo capitolo contiene una descrizione puntuale
della teoria computazional-rappresentativa della mente, cioè di quella che si suole chiamare
“scienza cognitiva classica”. Il terzo è dedicato alla cruciale questione, metafisica non meno che
epistemologica, della relazione tra i livelli di spiegazione; infine, nell’ultimo capitolo, M. illustra le
basi teoriche dei programmi di ricerca che nutrono l’odierna scienza cognitiva (“postclassica”),
soffermandosi in particolare su quel rapporto polemico tra “vecchia” e “nuova” scienza cognitiva su
cui si è discusso non poco anche in Italia (si veda ad esempio il fascicolo tematico di Sistemi
intelligenti dell’agosto 2005).
Il chiarimento dell’idea stessa di scienza cognitiva è il tema del primo capitolo, che si distingue per
la ricchezza e puntualità della ricostruzione storica e l’efficacia con cui vengono individuati i nessi
tra nuclei teorici differenti. Sappiamo bene che la scienza cognitiva nasce dalla combinazione delle
profonde intuizioni di Chomsky e Turing; ma, oltre che su questo nesso riconosciuto da tempo, M.
pone un’enfasi particolare sulla questione metodologica del ruolo dell’introspezione, evidenziando
l’esistenza di una triplice relazione tra la psicologia sociale di Heider, la filosofia della mente di
Wilfrid Sellars e i risultati sperimentali degli anni Settanta di Nisbett e Wilson. Ad accomunare
questi tre filoni di ricerca è appunto la critica dell’introspezione, individuata da M. come uno dei
motivi ispiratori fondamentali della scienza cognitiva. Heider e Sellars, in modi diversi, mostrarono
che l’accesso ai nostri stati mentali (e di conseguenza l’immagine stessa che ci facciamo della
mente), lungi dall’essere diretto e privilegiato, è mediato da una teoria ingenua, quell’insieme di
concetti e regolarità che costituiscono la “psicologia del senso comune”. Nisbett e Wilson
infransero su basi sperimentali il mito dell’infallibilità dell’accesso facendo vedere che i soggetti
non ricostruiscono affatto i processi cognitivi che realmente hanno luogo nelle loro menti; essi bensì
confabulano, razionalizzano a posteriori e in modo arbitrario. Il legame con Heider e con Sellars è
evidente: la confabulazione si nutre della psicologia ingenua e dei suoi modelli convenzionali ai fini
di giustificare le proprie scelte e convinzioni.
Pertanto, in modi diversi, gli studiosi citati hanno demolito il mito dell’autorità della prima persona,
contribuendo in modo determinante a dare forma a una scienza della mente nella quale i resoconti
dei soggetti hanno un ruolo men che marginale. Possiamo allora dire che la scienza cognitiva, così
cartesiana nel riportare la mente al centro dell’indagine, è altrettanto e veementemente
anticartesiana nel negare quasi completamente fondamento all’introspezione, all’idea della
trasparenza dei nostri stati mentali a noi stessi. L’importanza di questo aspetto per la nascita e la
genesi della scienza cognitiva non può essere sottostimata.
Ho lo spazio per accennare a un solo altro tema e mi sembra importante menzionare quelle recenti
ricerche sperimentali che tentano di stabilire quali siano le intuizioni delle persone su certi concetti
del senso comune. Il tema è significativo, vista l’importanza attribuita dai filosofi della mente agli
esperimenti mentali nell’aggiudicazione dei dibattiti metafisici sulla natura della coscienza.
Nell’interpretazione di questi esperimenti è ineliminabile l’appello a una (presunta) intuizione ben
rappresentativa del senso comune. Sebbene un giudizio su questi risultati sia prematuro – servono
altre ricerche – si deve sottolineare come i dati, in particolare quelli (di nuovo) di Nisbett, mostrino
che le intuizioni variano culturalmente, una conclusione probabilmente ovvia per il lettore non
specialista ma minacciosa per i filosofi cultori degli zombie e di altri (improbabili) mondi possibili.
Per finire, un commento al titolo, la cui suggestione non ne intacca l’obiettività. Perché la mente è
in bilico e su che cosa? La mente è in bilico in quanto la scienza cognitiva propriamente detta,
quella basata sull’idea dei processi mentali come processi di elaborazione di informazioni, è
minacciata da un lato dall’eliminativismo, cioè dall’idea di dissolvere il concetto di mente del senso
comune, e dall’altro da nuove e sofisticate versioni di comportamentismo, quali sono, secondo M.,
le teorie dinamicistiche e in generale le teorie antirappresentazionalistiche. Ma, anche se non la
mette esplicitamente così, credo che M. sarebbe d’accordo nel dire che c’è un secondo senso, più
radicale, in cui la mente è in bilico: in bilico tra l’immagine manifesta che ne abbiamo e l’immagine
scientifica che va gradualmente emergendo. Si tratta di un equilibrio davvero precario perché se, da
un lato, dovremmo essere disposti a lasciar correggere le nostre traballanti intuizioni da quello che
la scienza ci insegna, dall’altro lato l’immagine che la scienza ci consegna sembra farci perdere di
vista il suo stesso oggetto di studio. La mente della scienza non sembra più nemmeno una mente. È
indubbio che questa divaricazione sia già accaduta in altri domini (paradigmaticamente, nella
fisica), e questo potrebbe indurci a ritenere che la nostra resistenza abbia qualcosa di patetico;
nondimeno, nel caso dei fenomeni mentali, l’eventuale scomparsa dell’io, della coscienza, della
libertà sembra condurre a una revisione così drammatica della rappresentazione che l’uomo ha di se
stesso da mettere in discussione i fondamenti stessi della vita pubblica. Ma, forse, questa non è che
un’illusione prospettica che il tempo correggerà.
Alfredo Paternoster
Università di Sassari