Manifestazioni e Cerimonie
A margine delle celebrazioni
L’Italia e la Prima Guerra Mondiale
Paolo Pagnottella - Presidente Nazionale ANMI
È
iniziato l’anno centenario dell’ingresso
dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale
(24 maggio 1915) e tale anniversario sarà
oggetto di manifestazioni e celebrazioni che rivisiteranno quel lontano evento sotto tutti i profili.
Infatti, disponendo ormai di tutti gli archivi documentali, testimonianze e resoconti, possiamo affrontare la verità storica e inquadrare gli avvenimenti nella giusta dimensione. Quarta guerra
d’indipendenza con voltafaccia iniziale, oppure
inutile strage, oppure “finis Europae”: tutto ciò e
tutto correlato. L’inizio, però, dobbiamo andare a
cercarlo altrove, come quasi sempre quando si
parla di avvenimenti politico-militari. Sono ormai
note in tutte le sfaccettature le vicende che videro il nostro cinico e mercanteggiante comportamento con entrambi gli schieramenti che si
battevano fin dal 1914: l’Italia tentava di ottenere il maggior vantaggio dall’uno o dall’altro (eventuale) alleato, giocando su due tavoli,
nel massimo segreto, il suo intervento. Con un piccolo, come al solito, insignificante particolare quando si tratta di parola data: eravamo legati al patto di alleanza con Austria e Germania, peraltro rinnovato da poco, dal 12 dicembre 1912. La triplice Alleanza – così si
chiamava –firmata nel lontano 1882, all’articolo IX, sanciva che Germania ed Italia si impegnavano a mantenere lo ”statu quo” nel Nord
Africa ma se l’Italia avesse ritenuto impossibile mantenere tale status, allora la Germania avrebbe sostenuto l’alleata in qualunque
azione, compresa l’occupazione di territori. Era una formidabile garanzia di spalle coperte nel caso che... ed il caso venne di lì a poco.
L’apertura del canale di Suez aveva ridato centralità e strategica
importanza, quanto ai vitali traffici commerciali marittimi, al Mar
Mediterraneo, ruolo sottrattogli dalle grandi scoperte geografiche
(America, Australia ecc.) e dalle rotte oceaniche. Tornava dunque
in gioco la posizione geografica e la politica dell’Italia così come
quella dei territori del Nord Africa, sponda dirimpettaia da cui tali
rotte si potevano controllare e condizionare. Come al solito, la Gran
Bretagna si era mossa per tempo ed aveva posto sotto tutela l’Egitto (lo occuperà nel 1882), seguita a ruota della Francia che, assestandoci il famoso “schiaffo di Tunisi” nel 1881, in barba al trattato
italo–tunisino del 1868, aveva provveduto ad occupare la strategica
Tunisia (l’Algeria era già stata definitivamente conquistata nel 1871).
Rimaneva la sponda libica, sotto l’impero ottomano. Così, profittando della debolezza militare, strategica (lontananza soprattutto) e
politica della Sublime Porta, Giolitti decise per lo sbarco in Tripolitania (3 ottobre 1911, sbarco dei marinai dell’Ammiraglio Cagni a Tripoli), seguito dall’occupazione della Cirenaica (territori che, nel
1929, con l’aggiunta del Fezzan, diverranno ufficialmente la Libia).
Nel dicembre 1912 il trattato della Triplice sancì che lo status da difendere, cui si faceva riferimento nella precedente stesura, prevedeva la sovranità italiana su detti territori. I nostri appetiti coloniali
erano, al momento, così soddisfatti, assecondati dal peso politico
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Marinai d’Italia Gennaio/Febbraio 2015
austro-tedesco che favoriva in tal modo l’alleato italiano per inserirsi nel “Grande gioco” nordafricano, incuneandosi cioè fra Francia e Gran
Bretagna e spezzandone il “monopolio” costiero mediterraneo. A Losanna (18 ottobre 1912) fu
firmata la pace fra Italia ed impero ottomano,
che lasciò nelle nostre mani anche le isole del
Dodecaneso e Rodi (quando poi la guerra
esploderà, nessuna gratitudine fu riservata ai
due partner che avevano appoggiato e reso
possibile la nostra conquista coloniale poiché… passammo nel campo dell’Intesa). Una
simile occasione fu però colta anche da altri. Infatti, nei Balcani, gli stati che avevano nei secoli visto proprie terre occupate dai turchi, compresero che quell’impero era davvero, come si
disse all’epoca, il “grande malato” e, superando ataviche diffidenze e rivalità, si unirono nella “Lega Balcanica”:
Grecia, Montenegro, Bulgaria e Serbia, poi seguiti anche dalla Romania, partirono all’attacco e, dopo due guerre (dette appunto balcaniche), determinarono il regresso ottomano fino agli attuali confini europei. Si creò così lo stato albanese (anche se, curiosamente, si faticò a trovarvi un Re), si espansero Montenegro, Grecia, Romania e Bulgaria, si determinò addirittura una Serbia con un territorio raddoppiato. Proprio quella Serbia, alleata storica della Russia, che non aveva mai nascosto le sue mire non solo locali sul territorio della cosiddetta Grande Serbia, ma su tutta quell’area, al
momento sotto corona austro-ungarica, che nel 1929 sarebbe divenuta poi la Jugoslavia. Poteva l’Austria tollerare alle sue frontiere meridionali la nascita di tale potenziale nemica, per giunta alleata della sua nemica Russia? Saranno le pallottole di Gavrilo Princip
a Sarajevo, il 28 giugno 1914, con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie, la duchessa Sofia, a fornire il casus belli tanto ricercato. La grande guerra ebbe inizio e determinerà, alla sua fine, la vera rivoluzione nell’assetto geografico e politico, non solo europeo: sorgerà la nuova Turchia laica di Kemal
Ataturk, spariranno gli Imperi centrali, irromperanno sulla scena
mondiale gli Stati Uniti, la Russia bolscevica inizierà la sua ascesa,
i nazionalismi saranno la base delle nuove divisioni, si scateneranno gli appetiti per le fonti petrolifere, il Grande Gioco (che dura
tutt’oggi). In questo quadro, dunque, non sembri improprio affermare che l’innesco, la vera scintilla (come l’hanno giustamente
chiamata gli storici Cardini e Valzania in un loro recente volume)
della deflagrazione europea (poi divenuta addirittura mondiale) sia
dovuta all’avventura italiana nel “bel suol d’amore”, quella quarta
sponda che sembrava impresa marginale. Era inevitabile la Grande Guerra? Tutte le guerre sono evitabili o inevitabili, si tratta di stabilire se sia componibile la lotta per l’egemonia tra le grandi potenze. Non lo è stata nel passato, dalla guerra di Troia ai nostri giorni.
È l’incognita che pesa sul futuro.
nnn