Kierkegaard Pensiero astratto ed esistenza (dalle «Briciole di filosofia», e dalla «Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia») Briciole di filosofia e Postilla non scientifica (in realtà un volume di notevoli dimensioni) sono espressioni evidentemente ironico-polemiche nei confronti di Hegel, del suo sistema scientifico, della sua pretesa di comprendere mediante la ragione la totalità del reale. Nel gioco degli pseudonimi kierkegaardiani, l'autore di entrambe le opere è Johannes Climacus, il cui nome ripete quello del monaco bizantino Giovanni Climaco (579-649 ca), il quale aveva scritto un testo ascetico, la Scala del paradiso, da cui fu ricavato il suo secondo nome (in greco climax significa scala). Climacus non è cristiano, ma aspira all'ascesa (evocata appunto dal suo nome). Di qui il suo interrogarsi sul problema della verità e del cristianesimo, sul rapporto tra la ragione e l'assoluto. Nella produzione di Johannes Climacus, Kierkegaard ha indicato il "punto di svolta" della sua attività di scrittore, un tramite nel passaggio dalla riflessione sugli stadi della vita alla meditazione esclusiva sulla fede condotta nelle ultime opere. Lasciare il sistema, la speculazione, per diventare cristiano: è questo il passaggio che Kierkegaard intende compiere con la Postilla, non a caso definita conclusiva, per dedicarsi poi alla scrittura religiosa. Il problema che qui si pone è come colpire a morte il "sistema", lottando contro l'immanentismo e le forme della speculazione hegeliana, per recuperare la vita e indicare al singolo come appropriarsi della verità che salva, ovvero della verità religiosa. L'autore imputa alla filosofia moderna, culminante nella filosofia di Hegel, di avere volatilizzato l'esistenza nell'essenza, il singolo nell'universale, l'aut-aut, la scelta, nella mediazione, il contenuto vivo del cristianesimo nel concetto. Hegel infatti accoglie il cristianesimo e ne esalta il contenuto di verità, ma lo accoglie per superarlo nella purezza del concetto speculativo. Nel recupero del senso autentico della fede, un altro obiettivo polemico di Kierkegaard è quello che egli indica come la cristianità stabilita, la Chiesa ufficiale nella sua realtà storica, la quale ha via via accentuato l'elemento oggettivo ester no della fede a svantaggio di quello soggettivo interiore e ha elevato se stessa, come società dei credenti, a unica garanzia di salvezza, mettendo in secondo piano lo sforzo del singolo, la sua adesione al modello di Cristo (tema ripreso nelle ultime opere). Dalle Briciole e dalla Postilla - le opere in cui Kierkegaard elabora proprie specifiche categorie filosofiche - sono tratti i seguenti brani da cui emergono alcuni temi tipici della riflessione kierkegaardiana: il paradosso come segno di un modo di pensare alternativo a quello filosofico tradizionale, l'impossibilità di dimostrare con gli strumenti della ragione l'esistenza di Dio in quanto totalmente altro dal mondo, l'irriducibilità dell'esistenza alla dimensione dei concetti logici astratti. La dimostrazione dell'esistenza di Dio Se Dio non esiste, allora è certamente impossibile dimostrarne l'esistenza; ma se esiste, è una vera scemenza volerlo dimostrare; poiché precisamente nel momento in cui incomincio la dimostrazione, io l'ho già presupposto non come una cosa dubbia - ciò che non potrebbe di certo essere un presupposto - ma come cosa già pacifica, perché altrimenti non avrei incominciato a dimostrarlo, perché si comprende facilmente che tutto ciò sarebbe impossibile se Dio non esistesse 1 . Se, invece, con l'espressione "dimostrare l'esistenza di Dio", s'intende dimostrare che l'Ignoto ch'esiste è Dio, allora io mi esprimo in un modo poco felice, perché a questo modo io non provo un bel nulla, e tanto meno l'esistenza, ma sviluppo una determinazione concettuale. In generale, voler dimostrare che qualcosa esiste è un affare difficile 2 : e quel ch'è ancor peggio, per i coraggiosi che osano farlo, la difficoltà è tale che non devono aspettarsi notorietà alcuna coloro che vi si impegnano. L'intero procedimento della dimostrazione si cambia sempre in qualcosa di altro, diventa uno sviluppo ulteriore di ciò che io concludo dall'aver assunto che la cosa in questione già esiste. Così io concludo sempre non all'esistenza, ma dall'esistenza di ciò che mi muove o nel mondo dei fatti sensibili o in quello del pensiero. A questo modo io non dimostro ch'esiste una pietra, ma che un qualcosa ch'esiste è una pietra; il tribunale non dimostra affatto ch'esistono criminali, ma che l'accusato - che certamente esiste - è un criminale. 1 Kierkegaard vuole mostrare che il discorso su Dio esce dal terreno consueto dell'indagine filosofica, per cui non ha senso porre la questione dell'esistenza di Dio: se Dio non esiste, è impossibile dimostrarne l'esistenza; se Dio esiste, è sciocco volerne dimostrare l'esistenza, perché se ce ne occupiamo significa che per noi esiste (non ci si occupa di ciò che non esiste). In altre parole, i metodi della razionalità sono inadeguati ad affrontare il problema di Dio, che può essere correttamente posto solo dal punto di vista della fede. 2 Essendo l'esistenza esterna all'essenza, che è l'oggetto proprio del pensiero, in generale voler dimostrare razionalmente che qualcosa esiste non ha senso; ogni ragionamento su questi temi non arriva mai a porre l'esistenza di qualcosa, ma solo può muovere dall'esistenza di qualcosa. 1 Sia che si chiami l'esistenza un accessorium, oppure il prius eterno, non si può mai dimostrare. [...] Il pensiero astratto non coglie l'esistenza Nel linguaggio dell'astrazione non viene in fondo mai fuori ciò che costituisce l'esistenza e la difficoltà dell'esistenza, tanto meno se ne spiega la difficoltà 3 . Proprio perché il pensiero astratto è sub specie aeterni, esso prescinde dal concreto, dal temporale, dal mondo dell'esistenza, dal disagio dell'esistente di essere composto di tempo e di eternità nella situazione dell'esistenza. Se ora si vuol ammettere che il pensiero astratto costituisce il vertice supremo, ne segue che la scienza e i pensatori fieramente abbandonano l'esistenza e lasciano gli altri uomini a crogiolarsi col peggio. Sì, segue insieme qualche altra cosa per lo stesso pensatore astratto: cioè che questi, essendo pure lui un esistente, dev'essersi in qualche modo distratto. Porre in astratto il problema della realtà (se pure è esatto porre in astratto il problema, giacché mi sembra che il particolare e il casuale siano qualcosa che appartiene al reale e siano opposti all'astrazione) e rispondere astrattamente a questo problema, è molto meno difficile del chiedersi e rispondere cosa significa che una certa determinata cosa è una realtà. Infatti il pensiero astratto prescinde da questa cosa determinata, ma la difficoltà consiste precisamente nel comporre, nell'atto del pensare, questa cosa determinata con l'idealità del pensiero. Di una simile contraddizione l'astrazione non si preoccupa, anzi l'astrazione l'impedisce 4 . L'equivoco dell'astrazione si mostra precisamente in tutte le questioni che riguardano l'esistenza, dove l'astrazione scansa le difficoltà trascurandole, per poi vantarsi di spiegare tutto. Essa spiega l'immortalità in generale ed ecco, la cosa va a gonfie vele, in quanto l'immortalità diventa identica con l'eternità, con quell'eternità ch'è essenzialmente il medio del pensiero. Ma se un singolo esistente sia immortale, ch'è ciò in cui precisamente risiede la difficoltà, di questo l'astrazione non si preoccupa. Essa è disinteressata, ma la difficoltà dell'esistenza è l'interesse dell'esistente, e l'esistente è infinitamente interessato all'esistere. Perciò il pensiero astratto mi aiuta ad ottenere la mia immortalità coll'ammazzarmi come singolo individuo esistente, come il medico di Holberg con la sua medicina uccide il paziente - ma anche scaccia la febbre! Quando perciò si considera un pensatore astratto che non vuole diventare chiaro a se stesso e confessare in quale rapporto sta il suo pensiero astratto al fatto ch'egli è un esistente, allora egli fa - anche se è cosi distinto - un'impressione comica, perché egli è sul punto di cessare di essere uomo. Mentre un uomo reale, composto d'infinito e di finito, ha precisamente la sua realtà nel mantenere questa sintesi, infinitamente interessato all'esistere, un simile pensatore astratto ha una natura doppia: da una parte, una natura fantastica che vive nell'essere puro dell'astrazione, e dall'altra una grama figura di professore che quell'essere astratto butta in un canto come in un canto si mette il bastone. [...] Hegel ha cancellato l'aut-aut Com'è noto, la filosofia hegeliana ha tolto il principio di contraddizione 5 e più d'una volta Hegel stesso ha citato al suo severo tribunale quei pensatori che rimanevano nella sfera dell'intelletto e della riflessione e che di conseguenza affermavano che c'è un aut-aut. Da allora è diventato un gioco molto apprezzato che appena qualcuno fa allusione a un aut-aut, ecco arrivare trotterellando a cavallo un hegeliano, [...] che ottiene la vittoria e se ne ritorna di corsa a casa. Anche da noi gli hegeliani hanno fatto parecchie spedizioni, specialmente contro il vescovo Mynster, per riportare la brillante vittoria della speculazione, e Mynster più di una volta è stato considerato come un punto di vista superato: anche se, per essere un punto di vista superato, egli sta benissimo, e c’è piuttosto da temere che l'enorme sforzo che la vittoria è costata abbia spremuto troppo le forze dei signori vincitori invitti 6 . Eppure sembra che alla base di questa battaglia e di questa vittoria ci sia un equivoco. Hegel ha perfettamente e assolutamente ragione: dal punto di vista dell'eternità, sub specie aeterni, nel linguaggio dell'astrazione, nel puro pensiero e nel puro essere, non c'è alcun aut-aut 7 .Come diavolo 3 Kierkegaard denuncia qui la scorciatoia della filosofia speculativa, che, puntando gli occhi sull'essenza, sulle categorie logiche del pensiero, svicola oltre il problema più difficile, quello dell'esistenza. Muovendosi sul piano delle entità immutabili ed eterne (sub specie aeterni) quali sono le essenze, il pensiero astratto si esime dall'arduo compito di spiegare le concrete condizioni dell'esistente, teso tra la propria finitezza temporale e l'aspirazione all'infinito, all'eternità. 4 Occupandosi dell'universale come il "luogo" in cui si dispiega la razionalità (in termini hegeliani: risolvendo il finito nell'infinito), il pensiero astratto si esime dal compito più difficile: spiegare il finito nella sua particolarità. E’ chiaro che Kierkegaard usa qui il termine "astratto" in un significato antitetico a quello hegeliano. 5 La filosofia hegeliana, individuando nella contraddizione la molla del divenire sia a livello logico che reale, nega il principio di non contraddizione come esclusione dell'identità degli opposti. 6 Kierkegaard fa riferimento alle controversie correnti tra gli hegeliani danesi e il vescovo Mynster, a sua volta avversato da Kierkegaard in quanto rappresentante della cristianità ufficiale, qui richiamato come difensore del principio di non contraddizione. 7 Dal punto di vista della dialettica hegeliana, che si muove, secondo Kierkegaard, sul piano della pura astrazione, non c'è aut-aut, cioè opposizione irriducibile, ma solo mediazione degli opposti, supe-rati-conservati nell'unità della sintesi; perciò 2 potrebbe esserci, se per l'appunto l'astrazione rimuove la contraddizione? Hegel e gli hegeliani dovrebbero piuttosto prendersi l'incomodo di spiegare cosa significa questa commedia, d'introdurre nella logica la contraddizione, il movimento, il passaggio, ecc. . I difensori dell’ aut-aut hanno torto quando invadono il campo del pensiero puro e vogliono difendere in esso la propria causa. Come il gigante Anteo, con cui lottò Ercole, perdeva tutta la sua forza appena veniva sollevato da terra, così l’ aut-aut della contraddizione si trova eo ipso eliminato appena è elevato al di sopra dell'esistenza e portato nell'eternità dell'astrazione. D'altra parte Hegel ha anche completamente torto quando, dimenticando l'astrazione, la pianta in asso e si precipita nell'esistenza per eliminarvi di prepotenza il doppio aut 8 . Infatti è impossibile far questo nell'esistenza, perché allora io sopprimo nello stesso tempo l'esistenza. Quando elimino (astraggo) l'esistenza, non c'è più nessun aut-aut; quando lo elimino dall'esistenza, elimino anche l'esistenza, e ciò significa che non è ch'io lo elimini dall'esistenza. Promemoria per il filosofo Se è inesatto dire che c'è qualcosa di vero in teologia che non lo è in filosofia, è invece del tutto esatto dire che c'è qualcosa di vero per un esistente che non lo è nell'astrazione, e parimenti ch'è eticamente vero che l'essere puro è una fantasticheria e ch'è proibito ad un esistente voler dimenticare ch'egli è esistente. Quando perciò si ha da fare con un hegeliano bisogna usare molta cautela, e soprattutto occorre assicurarsi con chi si ha l'onore di parlare: se egli sia un uomo, un uomo esistente; se egli si trovi sub specie aeterni anche quando dorme, mangia, si soffia il naso e fa tutto quel che fa ogni mortale. Kierkegaard IL PARADOSSO E LO SCANDALO DELLA FEDE (da “Scuola di Cristianesimo”) La fede è paradosso e scandalo. Lo scandalo deriva dall'unione in Gesù, di Dio e di un uomo particolare, limitato, che accetta la misera vita degli uomini e la morte. Per questo, la storia di Gesù è irragionevole, incomprensibile, e non può entrare a far parte di un sistema filosofico o d i una dottrina. Sia i libri di metafisica che danno un posto a Gesù nelle loro pagine, sia le dottrine religiose che parlano della vita di Gesù come se si trattasse di una normale vicenda della storia snaturano la fede e allontanano gli uomini dalla verità, che non è dimostrabile, ma va creduta in quanto incredibile. Al pari del concetto di «fede» anche quello di «scandalo» è una categoria specificamente cristiana che si riferisce alla fede. [...] Lo scandalo si riferisce essenzialmente all'unione di Dio e dell'uomo, o all'Uomo-Dio. La speculazione ha naturalmente creduto di poter «concepire» l'Uomo-Dio, e, s'intende, perché la speculazione lo spoglia delle determinazioni di temporalità, di contemporaneità, di realtà. Insomma, e non si esagera a dire che ciò significa semplicemente abbandonarsi a delle buffonate e farsi beffe della gente, è triste e terribile vedere che questo atteggiamento ha ricevuto gli onori di una profonda teoria. No, l'Uomo-Dio è legato anche alla situazione, quella situazione in cui l'individuo al tuo fianco è l'Uomo-Dio. Questi non è l'unità di Dio e dell'uomo, una simile terminologia è una profonda illusione ottica. L'Uomo-Dio è l'unità di Dio e di un individuo particolare. Che il genere umano sia o debba essere imparentato con Dio, è paganesimo antico; ma che un uomo particolare sia Dio, è cristianesimo, e quell'uomo particolare è l'Uomo-Dio. Né in cielo, né in terra, né all'inferno, né nei traviamenti del pensiero più fantastico si incontra la possibilità di un'associazione così folle per la nostra ragione. Lo si riconosce quando si è nella situazione di contemporaneo, e non c'è possibilità di rapporto con l'Uomo-Dio senza mettersi prima in questa situazione [...]. L'Uomo-Dio è il paradosso assoluto, perciò è assolutamente certo che la ragione finirà per inciamparvi. [...] La contraddizione in cui risiede la possibilità dello scandalo consiste nell'essere un uomo particolare di umile condizione per poi agire come se fosse Dio. [...] La possibilità dello scandalo è inevitabile; tu devi passarvi; puoi salvarti da esso in una sola maniera: crederlo. dal punto di vista dell'astratto Hegel ha ragione. Tuttavia Hegel non spiega come nell'ambito del pensiero astratto - cioè del pensiero che, elevandosi al di sopra dell'esistenza concreta, si pone come il "luogo" dell'essenza eterna e immutabile sia possibile introdurre il movimento e la contraddizione. 8 Illegittimamente Hegel trasporta sul piano dell'esistenza concreta le regole che valgono nel mondo dell'astrazione, eliminando l'aut-aut che appartiene all'esperienza della vita. 3