TESTO ESSENZA ED ESISTENZA 2 4 6 8 10 12 14 16 18 I TESTI Kierkegaard è considerato il più grande prosatore danese dell’Ottocento; la sua produzione è imponente: l’edizione definitiva delle sue opere in lingua originale comprende 15 volumi di saggi e 22 volumi di appunti lasciati inediti e in gran parte confluiti, nella traduzione di Cornelio Fabro, nei 12 volumi che costituiscono il Diario, uno strumento fondamentale per comprendere il pensiero e le opere del filosofo. Proprio dal Diario è tratto il brano seguente, che ci introduce al tema del rapporto tra essenza ed esistenza, in riferimento polemico con il pensiero hegeliano. Ciò che confonde tutta la dottrina sulla “essenza” nella logica, è il non badare che si opera sempre con il “concetto” di esistenza. Ma il concetto di esistenza è un’idealità, e la difficoltà sta appunto nel vedere se l’esistenza si risolva in concetti. Se fosse così, allora Spinoza potrebbe aver ragione nel suo: «essentia involvit existentiam» [l’essenza implica l’esistenza], cioè il concetto di esistenza, vale a dire l’esistenza ideale. Ma d’altra parte anche Kant ha ragione quando afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce nessuna nuova determinazione di contenuto. Kant, è chiaro, pensa onestamente all’esistenza come non coincidente con il concetto, cioè pensa ad un’esistenza empirica. Soprattutto nell’ambito dell’ideale vale il principio che l’essenza è l’esistenza – se è permesso di usare qui il concetto di esistenza. La tesi leibniziana – se Dio è possibile, è necessario – è giustissima. Ad un concetto non si aggiunge nulla in più, sia ch’esso abbia o non abbia l’esistenza: nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben l’esistenza, cioè esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma l’esistenza corrisponde alla realtà singolare, al singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo, l’esistenza (essere – o non essere) è qualcosa di molto decisivo; un uomo singolo non ha certo un’esistenza concettuale. Il modo col quale la filosofia moderna parla dell’esistenza, mostra ch’essa non crede all’immortalità personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo l’eternità dei “concetti”. (Søren Aabye Kierkegaard, Diario, a cura di C. Fabro, Morcelliana, Brescia 1962, vol. 1, pp. 1008-1009) Analisi del testo 1-8 Nel secondo libro della Scienza della logica di Hegel l’essenza viene definita come «il movimento infinito dell’essere, l’unità assoluta dell’essere in sé e dell’essere per sé» (Laterza, Roma-Bari 1978, vol. 2, pp. 2-3). Nel suo movimento l’essenza si pone, secondo Hegel, in queste determinazioni: «1. come essenza semplice, che è in sé, nelle determinazioni sue dentro di sé; 2. come essenza che esce fuori nell’esserci, ossia secondo la sua esistenza e il suo apparire; 3. come essenza, che è uno stesso col suo apparire, ossia come realtà» (Scienza della logica, cit., vol. 2, p. 5). Venendo poi a parlare dell’esistenza, sempre nel secondo libro della Scienza della logica, Hegel scrive che non bisogna intendere l’esistenza come un predicato o una determinazione dell’essenza, ma come «la sua © Pearson Italia S.p.A. Filosofia, Paravia assoluta estrinsecazione»; quindi «l’essenza è l’esistenza; essa non è diversa dalla sua esistenza» (Scienza della logica, cit., vol. 2, p. 132). Tutto questo avviene per Hegel all’interno della logica, all’interno del pensiero, quindi nell’ambito dell’ideale, dove vale il principio secondo cui l’essenza è l’esistenza (r. 8). In altre parole, con Hegel abbiamo sempre a che fare, come scrive Kierkegaard, con il “concetto” di esistenza (r. 2), e non con l’esistenza concreta, ovvero del singolo. Tutta questa problematica si comprende meglio rapportandola alla vera questione che le sta dietro, a cui Kierkegaard fa continui riferimenti nel testo che stiamo analizzando, e che è la cosiddetta “prova ontologica” dell’esistenza di Dio, secondo la quale, come è noto, > 1 © Pearson Italia S.p.A. Filosofia, Paravia mento spinoziano, sia perché, dal suo punto di vista, è una tautologia, sia perché Spinoza non distingue tra “essere ideale” ed “essere di fatto”, cioè tra l’essere come esiste nel pensiero e l’essere come esiste nella realtà. Kant ha ragione quando nella Critica della ragion pura afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce alcuna nuova determinazione di contenuto (rr. 5-6): egli infatti rifiuta di intendere l’esistenza come un predicato, cioè come qualcosa che aggiunge nuove proprietà a un soggetto. Tra un oggetto pensato e un oggetto reale la differenza non sta nelle proprietà dei due oggetti, che sono le stesse, ma nel modo di essere di tali oggetti. Kant fa l’esempio dei 100 talleri: tra 100 talleri pensati e 100 talleri reali non ci sono differenze di proprietà; la differenza va cercata nel loro modo d’essere: nel primo caso l’esistenza è soltanto possibile; nel secondo caso invece l’esistenza è reale, testimoniata dai sensi. 8-12 Nell’ambito ideale, nell’ambito del concetto, vale il principio per cui l’essenza è l’esistenza (r. 8). In questo ambito la tesi di Leibniz «se Dio è possibile, è necessario» è giustissima: il perfetto, cioè Dio, deve necessariamente esistere; in lui non c’è alcun limite, e poiché nulla può impedire la possibilità di ciò che non ha alcun limite, Dio esiste necessariamente, anzi è il solo essere necessario che esista, in quanto in lui essenza ed esistenza coincidono. Ma per Kierkegaard si tratta sempre di un’«esistenza ideale» (r. 12), non di un’esistenza reale. 13-18 Queste righe esprimono l’avversione di Kierkegaard per ogni tipo di idealismo e di razionalismo astratto e la sua preferenza per il realismo di origine aristotelica (r. 13). In Aristotele, infatti, l’esistenza non coincideva con il suo concetto (r. 14), ma corrispondeva alla realtà singolare, al singolo. Per Aristotele l’esistenza è sempre individualità concreta; un uomo singolo non ha certo un’esistenza concettuale (rr. 15-16). Con l’idea di singolo entriamo in una delle parti più originali del pensiero di Kierkegaard. Il singolo è l’individuo, è la persona fuori dalla massa, è l’individuo davanti a Dio, il quale viene in contatto con l’umanità soltanto attraverso il Singolo, cioè Gesù Cristo. Il motivo per il quale Kierkegaard insiste sul singolo è che solo attraverso questa categoria si realizza l’esistenza, cioè la libertà. L’errore di Hegel è stato quello di aver considerato il genere superiore al singolo e di aver ridotto l’uomo a un genere animale (Diario, cit., vol. 2, p. 33); è stato l’errore di aver intrappolato l’esistenza nel concetto, nella logica, nella quale, al contrario, non c’è libertà, perché essa è il mondo dei rapporti necessari. I TESTI essendo l’esistenza una perfezione rispetto al non-essere, l’essere perfettissimo (ens perfectissimum) non può mancare dell’esistenza (pena il non essere perfetto) e quindi deve necessariamente esistere. Questa prova, risalente ad Anselmo d’Aosta, è sostenuta da Cartesio, da Spinoza e da Leibniz, ma viene criticata da Kant (rr. 5-6). Contro Kant è difesa da Hegel, il quale appunto riduce l’esistenza al concetto di esistenza (r. 2). Contro Hegel si rivolgono a loro volta le critiche di Schelling, di Feuerbach e dello stesso Kierkegaard, concordi nel sostenere che non è possibile dedurre l’esistenza dal pensiero. Per questo Kierkegaard scrive che il concetto di esistenza in Hegel è «un’idealità» (r. 2). Il problema, tuttavia, sta nel vedere se l’esistenza si possa ridurre a concetti (r. 3). Hegel, secondo Kierkegaard, ha scambiato il pensiero con la realtà, pretendendo che l’identità di pensiero e di essere valesse non solo per l’essere ideale e astratto, ma anche per l’essere reale e concreto; questo è per Kierkegaard il grave errore di Hegel. Il pensiero speculativo hegeliano, infatti, è del tutto diverso dal pensiero comune, ovvero dal pensiero come viene comunemente inteso, cioè come atto di un soggetto pensante che produce pensieri, o concetti, distinti da sé in quanto pensante. Il pensiero speculativo invece si fa realtà: è la scoperta che il pensiero fa «di se stesso come di un principio vivente e animato, di una forza dinamica e creatrice» che avvolge tutto (A. Klein, Antirazionalismo di Kierkegaard, Mursia, Milano 1979, p. 48). In questo modo il concetto riconosce di essere l’origine non solo di ogni pensiero, ma anche di tutto il reale. È questa la tipica posizione hegeliana che Kierkegaard chiama «chimera d’astrazione» e che rifiuta in blocco. In un passo del Diario leggiamo: «questa sciagurata filosofia moderna ha fatto entrare la “realtà” nella logica; e poi, per distrazione, si dimentica che la “realtà” nella logica non è che “realtà pensata”, cioè possibilità» (Diario, cit., vol. 2, p. 39). Se l’esistenza si risolvesse in concetti, se fosse un’idealità, allora anche Spinoza avrebbe ragione con il suo famoso motto “l’essenza implica l’esistenza” (essentia involvit existentiam, r. 4). In Briciole di filosofia, in una nota, Kierkegaard stesso spiega in modo più dettagliato questa affermazione dell’Etica di Spinoza. Questi vuole dedurre l’essere a partire dal pensiero e nei Principia philosophiae Cartesianae, l’opera a cui si rifà Kierkegaard nella nota, scrive che più una cosa è perfetta, più ha essere; ora, poiché l’essenza di Dio è perfetta, Dio ha l’essere massimo, il quale include anche l’esistenza, perché l’esistenza è essere. Kierkegaard critica questo argo- 2