aderenza alla terapia

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AUTO AIUTO - 02/2012
ADERENZA
ALLA TERAPIA
Luigi Basso
M
olte malattie ad andamento
cronico o ricorrente richiedono
terapie che si protraggono a lungo nel
tempo, talvolta per tutta la vita. L’efficacia di tali terapie viene variamente
compromessa nel caso in cui i pazienti non aderiscano (in modo parziale
o totale) sia alle prescrizioni terapeutiche che ai consigli e alle indicazioni
relative allo stile di vita ed alla salute
in generale da parte del medico. Si
parla in questi casi di scarsa o assente
“compliance”.
“COMPLIANCE”
La “compliance” viene definita come
la misura in cui il comportamento del
paziente, in termini di assunzione di
farmaci, mantenimento di una dieta
o di altre variazioni dello stile di vita,
coincide con le prescrizioni del medico. Dato che tale concetto finisce
per mettere in risalto solo il ruolo e
l’autorità del medico, considerato
quasi esclusivamente in termini di
prescrittore di farmaci, si preferisce
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oggi parlare di “aderenza” (adherence
in inglese).
“ADERENZA”
Questo termine implica il consenso
informato, un maggiore coinvolgimento del paziente nei confronti
delle indicazioni del medico e una dimensione di interazione e responsabilità reciproca, condivisa sia dal medico che dal paziente. Tali aspetti non
sono purtroppo garantiti in partenza,
ma dovrebbero costituire le basi della
costruzione della cosiddetta “alleanza
terapeutica”.
Come già accennato, il problema della scarsa aderenza alla terapia è comune a tutto l’ambito medico e non
solo alla psichiatria. Considerando,
ad esempio, l’aterosclerosi, principale
causa di mortalità nei paesi industrializzati, emerge chiaramente che quasi
tutti i fattori di rischio (esclusi ovviamente il sesso e l’ereditarietà) sono
modificabili con una terapia medica
e/o con un cambiamento nello stile
di vita. Nonostante sia risaputo e ampiamente divulgato che abitudini alimentari malsane, fumo, scarsa attività
fisica, ecc. incidano pesantemente
sulle aspettative di vita, non si è ancora riusciti a far retrocedere l’aterosclerosi e le patologie che ne derivano dal
suo primato di milioni di decessi ogni
anno.
Altro esempio: il problema della
scarsa aderenza al trattamento dell’ipertensione arteriosa è uno dei più
studiati. Si tratta infatti di un modello
ideale che riguarda una malattia che
nella maggior parte dei casi è asintomatica, ma comporta col tempo gravi complicanze e necessità pertanto
sia di variazioni dello stile di vita che
di una terapia farmacologica. Paradossalmente tale terapia, a causa dei
possibili effetti collaterali dei farmaci,
può provocare talvolta, nella percezione del paziente, fastidi maggiori
della situazione patologica non trattata. Ne consegue che, come emerge
Per gentile concessione dell’Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici, Bolzano. L’articolo „Aderenza alla terapia“ del
dott. Luigi Basso è stato pubblicato sulla rivista dell’Associazione „Selbsthilfe – Auto Aiuto“, Nr. 2/2012.
www.auto-aiuto.it
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da ricerche effettuate in vari paesi
occidentali, circa il 50 % delle persone in trattamento per ipertensione
arteriosa abbandona il trattamento
farmacologico entro un anno dall’inizio della terapia, esponendosi a gravi
rischi.
Altri esempi macroscopici di malattie
in cui si evidenziano alte percentuali (dal 30 al 50 %) di scarsa aderenza al trattamento sono le patologie
cardiovascolari, il diabete, l’obesità, la
broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’asma bronchiale e, indubbiamente, anche le patologie psichiatriche.
E’ importante quindi vedere il problema dell’aderenza alla terapia in
ambito psichiatrico in questa cornice generale, altrimenti si commette
l’ennesima operazione stigmatizzante di pensare ad un mondo di malati
“normali” che assumono correttamente le terapie prescritte e ai soliti
“pazienti psichiatrici” che invece non
ne vogliono sapere. Ci sono però delle
specificità in ambito psichiatrico, che
andremo a vedere meglio in seguito.
Parlando ancora in generale, è ampiamente dimostrato che un’adeguata
aderenza incide in modo rilevante
sulla prognosi complessiva e pertanto è necessario esaminare quali siano
i fattori di rischio più frequentemente
associati ad una scarsa aderenza alla
terapia, per riuscire il più precocemente possibile a intervenire su di
essi. I fattori che possono influenzare
l’aderenza alla terapia sono moltepli-
ci. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) descrive il comportamento di ciascun paziente come il
frutto di una combinazione di tali elementi che è possibile raggruppare in
quattro grandi categorie:
• fattori individuali (la persona);
• fattori sociali (l’ambiente di vita);
• fattori relativi al trattamento
(la terapia);
• fattori relativi alla relazione
terapeutica (il rapporto).
Li prenderemo brevemente in esame
facendo adesso particolare riferimento all’ambito psichiatrico ed in particolare ai disturbi più gravi, di tipo
psicotico.
FATTORI INDIVIDUALI
Per quanto riguarda i fattori individuali, vi sono caratteristiche non modificabili (età, sesso, gruppo etnico di
appartenenza), che non sembrano
correlate all’aderenza, anche se viene da alcune ricerche segnalata una
minore aderenza tra i pazienti molto giovani o tra quelli molto anziani.
Sono sicuramente in gioco elementi
quali le risorse della persona, il livello di istruzione, gli atteggiamenti, le
convinzioni, le aspettative, la motivazione a curarsi e la fiducia nelle proprie capacità di gestire il trattamento.
Fondamentali sono la coscienza di
malattia e la percezione dell’utilità
della terapia per alleviare i sintomi (sia
relativamente al soggettivo bisogno
di farmaci che rispetto ad una visione
più o meno negativa degli stessi). Nel
disturbo schizofrenico in particolare
si possono avere vari gradi di compromissione di questa consapevolezza
(chiamata anche “insight”), legati alla
compromissione cognitiva e alla sintomatologia allucinatoria e delirante.
FATTORI SOCIALI
Per quanto riguarda i fattori sociali,
l’aderenza è fortemente influenzata
dalle opinioni di coloro con i quali
sono in relazione i pazienti. L’atteggiamento della famiglia, dei caregiver
e dell’ambiente sociale di riferimento
ha una grande rilevanza nel favorire
l’accettazione della malattia e della
conseguente terapia farmacologica (e
non), nel momento in cui è improntato alla comprensione ed al sostegno
e non alla commiserazione o all’evitamento. E’ noto infine che lo stigma
sociale può spingere la persona a negare la malattia e ad evitare i contatti
con i servizi.
FATTORI RELATIVI
AL TRATTAMENTO
Per quanto riguarda i fattori relativi
al trattamento, molti studi hanno dimostrato che l’eccessiva complessità
del trattamento (numero e frequenza
delle somministrazioni) influenza negativamente il grado di aderenza. Per
quanto riguarda il profilo di efficacia e
la tollerabilità dei farmaci legata agli
effetti collaterali che provocano, è
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dott. Luigi Basso è stato pubblicato sulla rivista dell’Associazione „Selbsthilfe – Auto Aiuto“, Nr. 2/2012.
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sicuramente vero che in particolare la
terapia della schizofrenia ha notevolmente beneficiato dell’utilizzo nella
pratica clinica degli antipsicotici di
nuova generazione, che sembrano
essere più efficaci, rispetto ai vecchi neurolettici, sui sintomi negativi,
cognitivi e affettivi, e meglio tollerabili, mostrando soprattutto una minore
incidenza di effetti collaterali motori
“extrapiramidali” (rigidità, tremore,
discinesia tardiva), anche se nessun
farmaco può essere considerato privo
di potenziali effetti collaterali.
Anche con questi ultimi farmaci è presente infatti il rischio di aumentare di
peso, sviluppare diabete o malattie
cardiovascolari ed una serie di altri disturbi più o meno rilevanti. E’ opportuno segnalare però che le ultime revisioni sistematiche della letteratura
scientifica hanno evidenziato che gli
effetti collaterali determinati dall’uso
dei farmaci non sembrano essere il
fattore più importante nel determinare l’aderenza alla terapia e avrebbero
un impatto inferiore rispetto alla loro
efficacia.
Sembra quindi che sia più incisiva
sull’aderenza la percezione dell’azione positiva sui sintomi di quanto lo
sia quella negativa dovuta agli effetti
collaterali. A questo proposito è bene
ricordare che spesso la valutazione
clinica non è in grado di analizzare
la percezione soggettiva dell’effetto
collaterale da parte del paziente, fat-
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tore decisivo per l’orientamento verso l’aderenza al trattamento. Non è
raro, infatti, che un sintomo giudicato
clinicamente non gravissimo venga
vissuto dal paziente come fastidioso e
disagevole, più preoccupante o stressante dei sintomi stessi, con l’ovvia
conseguenza della riluttanza nell’assunzione della terapia.
Ogni effetto viene percepito in modo
diverso dal singolo individuo: per
alcuni soggetti, per esempio, potrà
essere più stressante un disordine
motorio, per altri un disturbo della
sfera sessuale, per altri un eccesso di
salivazione. Spesso, inoltre, gli effetti
collaterali all’inizio di un trattamento
precedono quelli terapeutici e quindi
risulta ancora più difficile, per un soggetto che ha scarsa consapevolezza
di malattia, accettare di assumere la
terapia.
Infine, dal momento che la maggior
parte delle ricadute si verificano dopo
una certa latenza rispetto alla sospensione della terapia, il paziente tende
a non associare i due eventi tra loro,
non attribuendo alla sospensione del
farmaco la causalità primaria della ricaduta.
FATTORI RELATIVI
ALLA RELAZIONE TERAPEUTICA
Assolutamente fondamentali sono
infine i fattori relativi alla relazione terapeutica, non solo relativi al medico,
ma a tutti gli operatori delle diverse
professionalità presenti nel servizio e
alle caratteristiche del servizio stesso
(più o meno accogliente, accessibile,
ecc.) entro cui tale rapporto si esplica. E’ importante che le persone percepiscano il medico o l’operatore di
riferimento come competenti, coinvolti, sinceramente interessati a loro
come individui. Abilità quali l’ascolto
e l’empatia, la creazione di un rapporto basato sulla fiducia, sulla comunicazione trasparente, orientato al
benessere, alla responsabilizzazione
ed all’empowerment della persona,
sono aspetti di grande importanza in
tal senso.
Se infatti la consapevolezza della
malattia viene accresciuta e sostenuta grazie a questo tipo di relazione ed
a programmi di intervento specifici,
ad esempio di tipo psicoeducativo,
può essere sviluppata la capacità della persona di riconoscere e gestire i
sintomi della malattia, così come riconoscere il ruolo positivo svolto sia
dai farmaci che dagli altri interventi
terapeutico-riabilitativi ed utilizzarli
al meglio.
Il coinvolgimento dei familiari e dei
caregiver su tutti questi aspetti è altrettanto importante, proprio per
creare quelle condizioni favorevoli di
fondo che consentano il decorso più
favorevole possibile del disturbo e
una buona qualità della vita di tutti i
soggetti coinvolti.
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