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anta Sede |
CINA
Attendendo
una risposta
I
I rapporti con Pechino
a l l ’e s a m e d e l c a r d . F i l o n i ,
prefetto di «Propaganda fide»
La «situazione permane grave. Alcuni vescovi e sacerdoti sono segregati o privati della propria libertà (…). Il controllo
sulle persone e sulle istituzioni si è acuito» (sulla situazione nei campus universitari, cf. qui a p. 163): è questo il giudizio che il prefetto della Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli, card.
Fernando Filoni, esprime sulla rivista
Tripod – 32(2012) 167 –, espressione del
Holy Spirit Study Center di Hong Kong.
«I tentativi di dialogo intercorsi fra Roma
e Pechino» a cinque anni dalla Lettera ai
cattolici cinesi di Benedetto XVI hanno
conosciuto almeno «tre recenti pietre
d’inciampo». Si tratta dell’VIII Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici del 2010 (cf. Regno-att. 22,2010,737);
del controllo sulle nomine dei vescovi da
parte del governo, che ha «portato alla
scelta di candidati spesso discutibili»; e
infine di «consacrazioni episcopali, sia legittime sia illegittime» alle quali sono intervenuti «vescovi illegittimi». Di fronte a tutto questo, la Lettera, proprio per
il suo carattere «prevalentemente religioso», rimane «un punto di partenza per
il dialogo» che mette «in evidenza la passione del papa per la verità, la giustizia
politica e l’amore per il popolo» cinese.
Ma ancora «attende una risposta».
Stampa (5.2.2013) da sito web www.hsstudyc.org.hk.
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l 2007 rappresenta un anno chiave per la Santa
Sede nei confronti della Cina: dieci anni prima
Hong Kong era ritornata sotto la sovranità di Pechino e trent’anni in antecedenza (1977), Deng
Xiaoping aveva aperto la Cina. Per alcuni anni
(1992-2001) io ero vissuto a Hong Kong occupandomi
della vita della Chiesa di quel paese che usciva da lunghe e drammatiche persecuzioni. Per motivi di ufficio,
alcune volte mi ero recato a Pechino, riportando favorevoli impressioni circa lo sviluppo economico della nazione.
Anche per il futuro della Chiesa si nutrivano speranze: la sua storia di sofferenza e di fedeltà, con i suoi
confessori e martiri, emanava un fascino straordinario.
Sembrava che non potesse soffrire più di quanto avesse
già sofferto specialmente durante la Rivoluzione culturale (1966-1976). Tuttavia i problemi sia interni alla
Chiesa, sia nelle relazioni con lo stato erano enormi.
Anche tra Cina e Santa Sede c’erano grandi difficoltà:
storiche, culturali, politiche, di reciproca comprensione
e di valutazione delle questioni.
Giovanni Paolo II era morto nel 2005 con il desiderio di visitare la Cina e lasciando una ricca eredità
d’amore appassionato per la Chiesa in Cina, d’attenzione paterna per chi si era allontanato dalla piena
comunione con il successore di Pietro, di vivo apprezzamento e di sentimenti di amicizia verso il popolo
cinese. Io ne fui diretto testimone in non poche occasioni.
Nel 2007 Benedetto XVI, esaminando a fondo lo
status quo, ritenne che i tempi per le relazioni tra Cina
e Santa Sede fossero obiettivamente non vicini, perciò
bisognava lavorare per spianare la strada. Primo compito sarebbe stato quello di manifestare pubblicamente
qual era l’atteggiamento della Santa Sede nei confronti
della complessa situazione della Chiesa in Cina, poi
quale doveva essere l’atteggiamento che si auspicava internamente alla Chiesa cinese e nelle relazioni con lo
stato, e infine quale atteggiamento la Santa Sede nutriva
nei confronti dello stato cinese.
In questo contesto nacque e fu preparata la Lettera ai
vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli
laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese, pubblicata il 27 maggio 2007 (EV 24/888ss).
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No all’infiltrazione religiosa nelle università
D
atato 15 maggio 2011 ma messo in rete qualche tempo dopo,
è stato tradotto dal cinese all’inglese dall’associazione China
Aid con sede negli Stati Uniti, il Documento n. 18 dell’Ufficio generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese che
offre «suggerimenti per riuscire a contrastare l’uso della religione
da parte di stranieri allo scopo d’infiltrarsi negli istituti d’educazione superiore e a fermare le azioni d’evangelizzazione nei campus universitari».
Il testo parte dalla costatazione che «con il rapido sviluppo
economico e sociale e la robusta crescita della complessiva forza
nazionale della Cina, i paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti non
hanno smesso d’accrescere le proprie azioni in vista del contenimento della Cina. Forze straniere ostili hanno posto sempre più
enfasi nell’uso della religione per infiltrarsi in Cina e portare a termine il disegno politico d’occidentalizzazione e divisione della
Cina. Le forze straniere guardano agli istituti di formazione superiore come a obiettivi centrali per infiltrarsi tramite la religione,
segnatamente il cristianesimo. Sotto l’apparenza della donazione
di fondi per l’educazione, degli scambi accademici, dello studio e
dell’insegnamento in Cina, di attività extracurricolari, di formazione, d’aiuto agli studenti ecc. esse “smerciano” i propri valori e
le proprie idee politici, costringendo gli studenti a diventare dei
seguaci della religione.
La loro azione d’infiltrazione è crescente, i loro metodi sono
diversi e l’intensità è in aumento. Al momento le azioni d’evangelizzazione nei campus avvengono saltuariamente; alcuni studenti
hanno le idee confuse, altri si lasciano affascinare e prendono
parte a queste attività di evangelizzazione e altri ancora – una
netta minoranza – partecipa ad attività religiose estremiste.
Tuttavia il danno reale e gli effetti di lungo termine di questi fenomeni non devono essere sottovalutati e misure decise devono
essere assunte per rispondere attivamente ed efficacemente».
Secondo il documento ciò che interessa a queste forze straniere «non è tanto allargare il proprio influsso religioso quanto
portarci via i nostri giovani, il nostro futuro». Pertanto occorre resistere a questa azione non solo per «realizzare le linee guida del
Partito in ambito educativo» o il grande piano centenario per crescere costruttori qualificati del socialismo con caratteristiche cinesi» ma soprattutto «per il futuro del paese e il futuro del
popolo».
La Santa Sede e la complessa
situazione della Chiesa in Cina
Dopo anni di studio la Santa Sede aveva la chiara
percezione che la Chiesa in Cina nel suo insieme non
era mai stata scismatica. Quando ero a Hong Kong
usavo un’analogia per descrivere quanto fosse accaduto.
Fin dal suo inizio storico l’evangelizzazione in Cina era
avvenuta in fedeltà al Vangelo. Cristo ne era l’unica sorgente e la Chiesa che ne era nata, scorreva come un
fiume d’acqua limpida, pur tra corsi e ricorsi per le accidentalità del terreno, cioè della storia.
Uno dei principi di riferimento è quello della «separazione tra
educazione e religione», così come previsto dalla Costituzione cinese. Per questo «nessuno può usare la religione per realizzare attività che interferiscono con il sistema educativo statale. Nessuna
organizzazione e nessun individuo può realizzare attività religiose
nelle scuole».
Secondo i dirigenti del Partito comunista cinese, le vie maestre da seguire sono due. Da un lato quello di una meticolosa osservanza delle «istruzioni per le classi», via maestra per «educare e
guidare gli studenti». Esse comprendono: «il rafforzamento dell’insegnamento nel materialismo dialettico e nel materialismo storico all’interno dei corsi sulle teorie ideologiche e politiche»;
l’insegnamento «sulle origini e le modificazioni della religione, sulle
politiche del Partito e sulle linee guida sulla religione nonché sulle
norme principali delle leggi e dei regolamenti statali»; l’insegnamento dell’«ateismo marxista»; il rafforzamento della propaganda
e dell’educazione in svariate modalità.
Dall’altro occorre che nei campus vi siano attività per i giovani
che si presentino «sane, progressiste e ricche» e che insistano
sull’«accrescimento della cultura e sullo spirito scientifico», rafforzando «l’educazione politico-ideologica basata su Internet, creando sinergie tra l’educazione e la guida online e offline». Ai giovani occorre offrire un’«educazione alla salute mentale» ma anche
«consulenza psicologica» e rafforzare «la qualità della salute mentale degli studenti secondo modalità pratiche. «L’educazione e la
guida devono essere attentamente progettate e meticolosamente
organizzate in modo da convincere le persone attraverso la ragione
e muoverle attraverso il sentimento».
Ciò potrà essere facilitato da «colloqui a tu per tu con gli studenti», rispondendo «alle domande difficili, dissipando i dubbi,
guidando le loro emozioni», tenendo sempre assieme le «soluzioni
in risposta a problemi ideologici con quelle a problemi di tipo pratico».
Naturalmente a monte occorrerà «gestire con meticolosità
l’entrata delle organizzazioni e del personale religioso in Cina»,
prendendo informazioni in precedenza e controllando i confini
per evitare «risolutamente che entrino in Cina stranieri che usino
la religione per mettere in pericolo la sicurezza pubblica e dello
stato».
M.E. G.
Un terremoto politico a cominciare dal 1950 ne
sconvolse la vita. Per questo, una parte delle acque cominciò a fluire sotto terra, e un’altra parte continuò a
scorrere in superficie. Avvenne quindi che una parte
della Chiesa non accettasse i compromessi e il controllo
politico, un’altra li accettò per calcolo esistenziale. Ci si
domandava: sarebbero mai quelle acque tornate insieme, liberamente e apertamente? Certo nel Cuore di
Cristo, mare infinito di misericordia, là ci sarebbe stata
una comune conclusione. Ma nel corso della storia sarebbe stato possibile che la Chiesa in Cina apparisse di
nuovo visibilmente unita?
Lo scopo della Lettera di papa Benedetto XVI, come
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si dice già nel paragrafo n. 2, è quello d’offrire orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all’opera d’evangelizzazione in Cina. Non ha, dunque, un primario
scopo politico. Secondo il papa, infatti, la Chiesa in Cina
avrebbe dovuto ritrovare in sé la volontà e le energie per
procedere verso la riconciliazione. Bisognava, dunque,
eliminare pregiudizi e interferenze, divisioni e connivenze, odio e ambiguità. Per questo era necessario avviare un processo di verità, di fiducia, di purificazione e
di perdono.
I soggetti interessati erano: la cosiddetta Chiesa
«clandestina», ossia non-ufficialmente riconosciuta dalle autorità civili e la cosiddetta Chiesa «patriottica»,
ossia ufficialmente riconosciuta dalle autorità civili. Ma
c’erano anche la Sede apostolica e le autorità governative di Pechino.
Questi soggetti, difatti, interagivano creando una
molteplicità di relazioni aperte e nascoste, prudenti e
imprudenti, violente e caute.
Pertanto, la riconciliazione sarebbe mai stata possibile senza, al tempo stesso, un dialogo anche tra Santa
Sede e Pechino?
II dialogo tra le due correnti
A una prima analisi bisogna riconoscere che quanto
auspicato nella Lettera del papa ha conosciuto difficoltà.
Ciò fu causato dalle pressioni esterne sulla Chiesa stessa,
ma anche dalle incomprensioni tra le due «correnti».
Decenni di separazione hanno scavato solchi ed elevato
muri, cosicché le profonde ferite interne alla Chiesa
sono ancora presenti.
Si sa, però, che il dialogo ha come presupposto la
ricerca della verità e come fine il perdono e la riconciliazione. Se il papa scrive che la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso
una permanente conflittualità, ciò va preso in considerazione dalle due «correnti» della Chiesa in Cina.
Pertanto il punto di stallo può essere superato per ambedue le «correnti» nella fedeltà e nell’obbedienza al
successore di Pietro, principio e fondamento «perpetuo
e visibile» della fede e della comunione (cf. CONCILIO
ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen gentium,
n. 18; EV 1/329).
Il dialogo tra Santa Sede e autorità cinesi
La Lettera di Benedetto XVI alla Chiesa in Cina si
apre con la dichiarazione, pubblica e chiara, che la
Santa Sede è disponibile «a un dialogo rispettoso e costruttivo» con le autorità di Pechino, sottolineando che
la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto (n. 4; EV
24/895). Questa aperta manifestazione di buona volontà e di disponibilità, non è mai venuta meno. Certo
il procedere della Sede apostolica e di un paese grande
e in evoluzione come la Cina può essere diverso, ma ci
si domanda: si deve attendere all’infinito?
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Da parte sua, a quali condizioni la Santa Sede accede al dialogo (non solo con la Cina, ma con tutti i
paesi del mondo)? Supposti alcuni aspetti preliminari
quali la fiducia reciproca, la pari dignità, la volontà
chiara di accedere e di proseguire anche nelle difficoltà,
la Santa Sede pone i propri parametri di riferimento
nelle caratteristiche volute per la Chiesa dal suo fondatore: l’unità, compresa quella dei vescovi tra loro e con
il papa; la santità, comprese la dignità e l’idoneità dei
suoi pastori; la cattolicità, ossia l’universalità; la totalità
e l’integrità della fede; e l’apostolicità, in relazione alla
sua origine e struttura.
La Santa Sede è pure consapevole che tali caratteristiche vengono incarnate e vissute nel contesto concreto
d’ogni popolo, trasformando intimamente gli autentici
valori culturali mediante la loro integrazione nel cristianesimo. Perciò la Chiesa in Cina, così come negli
altri paesi, avrà espressioni particolari, che permettono
ai suoi fedeli di essere e di sentirsi pienamente cattolici
e pienamente cinesi.
È con riferimento a tali caratteristiche che si sono
manifestati gli alti e bassi in questi cinque anni dalla
pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici
cinesi. Per brevità, potrei individuare tre recenti pietre
d’inciampo sorte nel cammino tra Santa Sede e autorità cinesi:
1. L’VIII Assemblea nazionale dei rappresentanti
cattolici, organizzata dalle autorità di Pechino nel 2010,
ha acuito il controllo dello stato sulla Chiesa e in particolare la politica delle tre autonomie. In seguito c’è
stato un accanimento verso il clero cosiddetto «clandestino» perché aderisse all’Associazione patriottica,
un’istituzione preposta al controllo della Chiesa in Cina
al fine di renderla indipendente dalla cattolicità e dal
papa. In pari tempo, la medesima Associazione ha accresciuto il proprio controllo anche sulla comunità cosiddetta «ufficiale», cioè sui propri vescovi, clero, luoghi di culto, finanze, seminari (ad esempio un ufficiale
governativo era stato nominato vicerettore del Seminario maggiore di Shijiazhuang, inducendo i seminaristi allo sciopero di protesta).
2. Il controllo rigoroso sulle nomine dei vescovi ha
portato alla scelta di candidati spesso discutibili, quando
non moralmente e pastoralmente inaccettabili, sebbene
graditi alle autorità politiche; nomine poi edulcorate con
l’elezione che spesso i partecipanti, con lettere e in altre
forme, si sono affrettati a contestare per serie ragioni.
3. Le consacrazioni episcopali, sia legittime sia illegittime, sono state forzate attraverso l’intromissione nei
riti di vescovi illegittimi, creando drammatiche crisi di
coscienza, sia nei vescovi consacrati, sia nei vescovi consacranti.
Forse, alcune reazioni della Santa Sede non sono
state ben recepite, poiché non si è capito, o non si è tenuto presente, che esse erano dettate dalla preoccupazione di rimanere fedeli a determinati valori, che
appartengono alla dottrina e alla tradizione della Chiesa
e, quindi, ne garantiscono l’identità stessa. Invece, alla
radice di tutti questi interventi c’è sempre stato un sincero e profondo rispetto per i cattolici cinesi.
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La Chiesa cinese e lo stato
Nel contesto della missione che ha ricevuto da Cristo, la Chiesa in Cina rivendica la libertà di compiere la
propria missione, senza interferenze civili e nel rispetto
sia delle leggi dello stato, sia dei principi di verità, di giustizia e di collaborazione. Una volta un vecchio sacerdote cinese mi diceva: «A noi cattolici in Cina è concessa
solo la libertà dell’uccellino in gabbia!». La Chiesa in
Cina, in verità, non chiede privilegi, né intende mettersi
al posto dello stato, come pure non intende identificarsi
in nessun modo con la comunità politica, essendo esse,
Chiesa e comunità politica, reciprocamente autonome;
volentieri, invece, la Chiesa offre il proprio contributo
per il bene comune.
In concreto, la situazione permane grave. Alcuni vescovi e sacerdoti sono segregati o privati della propria libertà, come recentemente è avvenuto nel caso del vescovo
Ma Daqin di Shanghai per avere dichiarato la propria
volontà di dedicarsi al ministero pastorale a tempo pieno, deponendo incarichi che, fra l’altro, non sono neanche
di competenza di un pastore. Il controllo sulle persone
e sulle istituzioni si è acuito e si ricorre sempre più facilmente a sessioni d’indottrinamento e a pressioni.
In mancanza di libertà religiosa o in presenza di forti
limiti, non tocca a tutta la Chiesa difendere i legittimi
diritti dei fedeli cinesi e primariamente alla Santa Sede
di dare voce a chi non ne ha?
A cinque anni dal documento pontificio
è possibile ancora nutrire speranze?
I tentativi di dialogo, intercorsi fra Roma e Pechino,
hanno mostrato grossi limiti. Un dialogo sincero e rispettoso, aperto e leale, come si è augurato il papa nella
Lettera, è auspicabile e richiede contatti diretti e stabili
fra le due parti. I risultati che si erano auspicati in oltre
vent’anni di contatti, di fatto sono mancati, mentre non
sono mancate notizie incomplete o errate, incomprensioni, accuse e irrigidimenti.
Ci si domanda: non è forse arrivato il tempo di pensare a un nuovo modo di dialogare, anche più aperto e
a un livello più equivalente, dove non sia più possibile
che interessi particolari minino le volontà, la fiducia e
la stima reciproca? La Santa Sede ha un dialogo aperto
e franco con molti paesi. Ad esempio, Santa Sede e Vietnam hanno trovato un modus operandi et progrediendi.
Anche Pechino e Taipei hanno commissioni stabili ad
altissimo livello per trattare questioni di reciproco interesse. Non è possibile sperare in un adeguato e sincero
dialogo con la Cina?
La Cina è un grande paese e i cinesi sono ovunque.
Da quando nel 1978 essa ha cominciato ad aprirsi alla
realtà mondiale, quanti sacerdoti, chierici, religiosi, religiose e laici si sono formati nei seminari e negli istituti
cattolici di tutto il mondo! Forse sono stati mai sollecitati
a rinunciare alla loro identità nazionale? Forse sono stati
mai forzati a seguire una fede contro coscienza? Se i mi-
granti cinesi chiedono il battesimo (e non sono pochi),
non godono degli stessi diritti degli altri battezzati? E in
un mondo che si apre e si interconnette sempre più, si
può pensare ad un isolamento dei cattolici cinesi solo
perché vivono nel loro paese?
Quante volte ho parlato con amici cinesi, che mi dicono della loro fierezza d’appartenere al proprio paese,
ma che si sentono umiliati in quanto cattolici a casa propria, mentre sono assai stimati e apprezzati altrove! Possono le autorità cinesi essere insensibili al grido di tanti
propri concittadini? Anche segnali che in questi cinque
anni hanno generato positive attese, si sono affievoliti;
penso, ad esempio, al maestoso concerto offerto al papa
dall’Orchestra filarmonica cinese e dal Coro dell’Opera
di Shanghai (2008), iniziativa che, a ogni modo, rimane
storica e del tutto positiva.
Una migliore comprensione
della Let tera ai cat tolici cinesi
La Lettera del papa al clero e ai fedeli cinesi resta valida. Gli avvenimenti di questi cinque anni nella Chiesa
in Cina ne hanno ribadito il valore, l’opportunità e l’attualità. Dopo incertezze, dubbi, paure e restrizioni che ne
hanno rallentato la conoscenza e la comprensione, ora si
apre un tempo in cui il documento pontificio può essere
meglio compreso, può rappresentare un punto di partenza
per il dialogo nella Chiesa in Cina e può stimolare quello
tra Santa Sede e governo di Pechino. Il papa Benedetto
XVI attende che si realizzi presto l’augurio del suo venerato predecessore, Giovanni Paolo II, il quale già un decennio fa aveva dichiarato: «Non è un mistero per nessuno
che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e
– credo – a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le autorità della Repubblica popolare cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del
popolo cinese e per la pace nel mondo» (Lettera n. 4; EV
24/895). Dunque, un dialogo che manifesti il dovuto apprezzamento per i cattolici cinesi, figli fedeli del loro popolo, e produca frutti d’armonia e di pace, che vanno al
di là del bene della Santa Sede e della Cina. La Lettera,
comunque, rimane un documento prevalentemente a carattere religioso e serve a spianare la via alla riconciliazione nella verità e senza ambiguità nella Chiesa in Cina.
Il documento pontificio, dunque, mi pare ancora un
ammirevole punto di riferimento che mette bene in evidenza la passione del papa per la verità, la giustizia politica e l’amore per il suo popolo. Ma è anche un testo in
cui si coniugano la dottrina cattolica, la visione politica
e il bene comune.
Esso attende una risposta.
22 ottobre 2012.
FERNANDO card. FILONI,
prefetto della Congregazione
per l’evangelizzazione
dei popoli
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