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Titolo rubrica: Parliamone...
La Cina è un fenomeno economico
che nasconde molte contraddizioni
Sappiamo tutti come la Cina abbia fatto ormai storia anche dal punto di vista economico.
Non ha infatti precedenti il fatto che un Paese così popolato (1,3 miliardi di abitanti) faccia
registrare una crescita così alta (8-9%) per un lungo periodo (25 anni). Un fenomeno
dell’economia che però nasconde delle difficoltà collaterali talmente reali, talmente
profonde da metterne in discussione la continuità positiva nel futuro. E, attenzione, questa
non è un’analisi che arriva dall’Occidente, bensì dall’autorevole China Academy of Social
Sciences, la quale in una recente pubblicazione ha segnalato alcuni campanelli d’allarme
capaci di configurare un futuro meno roseo per la Cina. Vediamoli.
In primo luogo la crescita industriale e l’allargamento delle aree urbane hanno sottratto
terra coltivabile a 40 milioni di contadini. In poche parole, sempre più cinesi emigrano
verso i grandi centri urbani, decretando una mutazione radicale del panorama economico
e sociale. Si è così delineata una situazione che vede la formazione di megalopoli di
difficile gestione.
Poi c’è un dato sconcertante: più di 400 milioni di cinesi sono usciti dallo stato di estrema
povertà (meno di un dollaro al giorno) e oggi frigorifero, bicicletta e telefono sono beni di
consumo normale di centinaia di milioni di persone. Ciononostante, la Cina resta un
Paese povero, dove metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Il
reddito medio è di 1.000 dollari l’anno. Tutto questo avviene nel Paese che ha fatto
registrare una crescita senza paragoni dell’economia.
La povertà fa scattare le disuguaglianze sociali. Tra popolazione rurale e urbana, tra
regioni costiere ed interne, tra occupati e disoccupati. Così il malcontento sociale si
manifesta sempre più frequentemente e alcune zone rurali oggi come oggi sono delle vere
e proprie polveriere pronte ad esplodere.
Secondo il rapporto della China Academy, sarebbero 24 milioni le persone nelle aree
urbane in cerca di occupazione e solo nove milioni i nuovi posti creati. Cioè la crescita
economica non riesce ad assorbire le nuove leve che si presentano sul mercato del
lavoro. Questa “valanga umana” non controllata costituisce un potenziale pericolo sociale.
Paradossalmente, inoltre, la crescente massa di laureati non trova lavoro in Cina. I dottori
in cerca di occupazione sarebbero addirittura 740 mila.
Infine, l’economia cinese richiede tre volte l’energia (soprattutto carbone) impiegata in
Europa. Tutto ciò aggrava l’inquinamento, tanto che 700 mila ettari di foreste vanno
perduti ogni anno. Secondo stime della Banca mondiale, una crescita più ecologicamente
equilibrata costerebbe alla Cina dall’8 al 12% del suo Pil, mettendola seriamente in
difficoltà.
In sostanza, il rapporto sottolinea la crescente insoddisfazione delle fasce sociali più
basse e i conseguenti pericoli di instabilità. Aumentano degrado e disuguaglianze.
Insomma, non è tutto oro ciò che luccica...
Enrico Leporati
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