Capitolo 2. Teoria e storia delle equazioni di primo grado.

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Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
Capitolo 2. Teoria e storia delle equazioni di primo grado.
2.1 Metodi di risoluzione.
Si tratta del più semplice esempio di equazione, quando si considerino le equazioni in un’incognita.
Talvolta si parla di equazioni lineari come sinonimo di equazioni di primo grado.
Tali equazioni si possono scrivere nella forma
ax + b = 0
ove a e b sono elementi di un anello o di un campo. A seconda del tipo di struttura da cui sono tratti
i coefficienti dell’equazione può avvenire che l’equazione abbia o non abbia soluzione, oppure che
abbia una o più soluzioni distinte. Facciamo alcuni esempi.
Considerato l’anello
(o più esplicitamente l’anello
,+, ,-,0,1 ), l’equazione ha soluzione in esso
se e solo se a divide b. In tale caso detto c = qu(b,a), cioè il numero intero tale che ac = b, si ha
x = -c,
dato che a(-c) + b = - (ac) + b = -b + b = 0.
In
6
la moltiplicazione è data dalla seguente
tavola di Cayley. Si constata immediatamente
che la moltiplicazione è commutativa.
Se
Arthur Cayley
(1821-1895)
si
considera
l’equazione
5x
=
2,
dall’ispezione della tavola si vede che la
soluzione è data da x = 4. Si ha dunque
un’unica soluzione. Se si considera 3x = 4, dall’ispezione della
0
1
2
3
4
5
0
1
2
3
4
5
0
0
0
0
0
0
0
1
2
3
4
5
0
2
4
0
2
4
0
3
0
3
0
3
0
4
2
0
4
2
0
5
4
3
2
1
tavola si vede che l’equazione non ha soluzione. Invece l’equazione 2x = 4 ha due soluzioni
distinte, 2 e 5, pur essendo di primo grado.
In un campo in cui ogni elemento diverso da 0 ha un (unico) inverso, l’equazione di primo grado ha
sempre soluzione data da
x = -( a-1b).
Infatti a(-a-1b) + b = -(a(a-1b)) + b = -((aa-1)b) + b = -(1b) + b = -b + b = 0. Si osservi che la
“formula risolutiva” utilizzata è applicabile ai corpi (o campi non commutativi), ad esempio ai
quaternioni di Hamilton, basta porre attenzione al fatto che si
moltiplichi a destra o a sinistra.
Vi sono strutture più deboli in cui risolvere l’equazione data, ad
esempio in
, su cui si possono definire le operazioni di addizione e
William Rowan Hamilton
(1805-1865)
- 18 -
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moltiplicazione, ma non
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è un anello. In tale tipo di struttura l’equazione ax + b = 0 è risolubile
solo se b = 0. E’ però possibile risolvere l’equazione ax = b, che dal punto di vista della struttura di
anello è equivalente, ma non lo è per i numeri naturali in quanto in
opposto è 0. Si ha quindi che in
l’unico elemento dotato di
l’equazione ax = b è risolubile se e solo se b = 0, caso in cui x =
0, oppure b ≠ 0 e a divide b ed in tal caso detto c il quoziente di b rispetto ad a, x = c è la soluzione.
Un altro tipo di struttura in cui è importante risolvere queste equazioni è lo spazio vettoriale su un
campo K. E’ da questo contesto che deriva la dizione equazione lineare, che è usata come sinonimo
di equazione di primo grado. Stavolta il ruolo dei coefficienti dell’equazione è dissimmetrico: x e b
sono vettori, e per mettere in evidenza ciò si scrivono in grassetto corsivo, a uno scalare, vale a dire
un elemento di K. L’equazione diviene ax + b = 0. Si noti che anche 0 è un vettore. La soluzione è
ancora x = -a-1b, in quanto a appartiene ad un campo, quindi ammette inverso. Si ha la stessa
formula di prima, ma i significati dei simboli sono diversi.
La stessa formula si estende poi al caso in cui x e b siano vettori e a una matrice quadrata
invertibile, in tal caso si parla di sistema lineare. Ci sono casi più generali di sistemi lineari, in cui
la matrice non è quadrata, ma comunque con varie tecniche ci si riduce al caso della matrice
quadrata.
Tutti questi metodi sono legati alla possibilità di eseguire una divisione. Di qui si può concludere
che la comparsa in una civiltà dei numeri razionali, è una garanzia che in quella civiltà si sono posti
problemi risolubili con equazioni di primo grado e di essi si è trovato un metodo risolutivo.
2.2 Alcuni esempi tratti dai documenti.
E’ quindi molto difficile poter dire chi per primo ha posto un problema risolubile con un’equazione
di primo grado e chi per primo l’ha risolta. Sicuramente nell’antichità non si usavano le scritture
simboliche ed anche i metodi di soluzione usati dagli antichi possono apparire “strani”. Ma questo,
ancora una volta, fa pensare a quanto sia difficile calarsi nella realtà di un popolo antico senza la
sovrastruttura della conoscenza odierna.
2.2.1 Il problema 24 del Papiro Rhind. In questo problema si chiede
Qual è il valore del mucchio se il mucchio e un settimo del mucchio sono eguali a 19.
Il problema è espresso a parole e il testo usa un metodo, largamente caduto in disuso sui testi
scolastici, ma che si può trovare ancora oggi applicato da molti, giovani e non per risolvere
problemi pratici. Di fatto qui siamo in quell’ambito che può considerarsi pre-algebra. Se ad
esempio devo risolvere il problema indicato potrei pensare che se invece di aggiungere 1/7 del
mucchio aggiungessi 1/10 del mucchio (un po’ meno), potrei ottenere un poco meno, diciamo ad
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esempio 15. Se con queste scelte ottengo una soluzione, bene, altrimenti posso considerare una
soluzione numerica (approssimata). Da considerazioni analoghe nasce il metodo di falsa posizione,
utilizzato da Ahmes.
In termini moderni il problema di Ahmes può essere tradotto dall’equazione x +
soluzione, sempre in termini moderni, si ottiene da
1
x = 19 . La
7
8
19 133
x = 19, da cui x = 7 ⋅ =
.
7
8
8
La soluzione di Ahmes, sfruttando appunto il metodo di falsa posizione, è basata sulla
proporzionalità: se x = 7, allora x +
1
133
x = 8 , per cui 7 : x = 8 : 19, da cui 8x = 7 19, da cui x =
.
7
8
Si tratta della soluzione in quanto 7 ⋅
19 19
19
+ = 8 ⋅ = 19 .
8 8
8
Lo stesso risultato si può trovare se invece di porre x = 7, si considera una qualunque altra
posizione. Ad esempio se x = 10, si avrebbe x +
x=
1
80
80
x=
: 19 , da cui
, quindi 10 : x =
7
7
7
7
133
⋅190 =
. In quei tipi di ragionamenti usati oggi nella pratica, forse visto che se x = 7 si
80
8
ottiene 8, si sarebbe provato con 14 e con 21, trovando rispettivamente 16 e 24. La somma di questi
due numeri fa 40 e 19 è abbastanza vicino alla metà di 40, per cui il valore approssimato sarebbe
stato la media di 14 e 21, 17,5 ed essendo 19 una metà scarsa di 40, forse il bottegaio avrebbe detto
17. Assunto questo numero come soluzione (numerica), si sarebbe commesso un errore assoluto
(per eccesso) dato da 17 −
133 136 − 133 3
133
= ed anche 17 −
= 17 − 16,625 = 0,375 . L’errore
=
8
8
8
8
relativo è dato da 0,375 : 16,625 =
3 133
3
:
=
≅ 0,023 . Come si vede il procedimento numerico,
8 8
133
dettato dal buon senso, non fornisce un numero molto discosto dalla soluzione analitica e con un
errore relativo abbastanza piccolo, dell’ordine dei centesimi. Per dire: se il mucchio costasse 10
euro al kg, la differenza tra prezzo da pagare 166,25 e quello stimato 170 euro sarebbe
“aggiustabile” con il cosiddetto sconto del caffè.
E’ molto interessante che il soggetto del testo sia il mucchio, una sorta di grandezza, qui usata come
quantità, imprecisa, attributo che può applicarsi ad una quantità incognita.
Per determinare la soluzione analitica si è fatto uso della proporzionalità (diretta),
con la quale si rimane in ambito aritmetico; è uno strumento che doveva essere
noto fin dall’antichità. A riprova di questa affermazione l’aneddoto di Talete che
Talete di Mileto
(624-547. a.C.)
- 20 -
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dovendo trovare l’altezza della Piramide la determina misurando l’ombra dell’edificio e quella di un
bastone di lunghezza nota.
C’è poi un problema di calcolo delle quantità frazionarie. Gli Egizi avevano messo a punto un
insieme finito di unità frazionarie: l’occhio di Horus, dal nome di una loro divinità. Le frazioni che
si possono riottenere con questi strumenti non sono tutte. Quindi gli autori di problemi cercano di
ridurre a casi “semplici” i problemi con opportune scelte dei dati.
Tratto da Erman Di Rienzo: Le frazioni egiziane,
http://www.matematicamente.it/storia/frazioni_egiziane_appendici.doc
«Il mito dell’occhio di Horus: secondo un’antica leggenda Horus, figlio di Iside
e di Osiride, volle vendicare la morte del padre, ucciso dal fratello Seth. Nella
lotta Horus perse un occhio le cui parti vennero ritrovate e ricomposte dal dio
Toth a meno di una piccola parte.
L’occhio di Horus fu considerato un potente amuleto; al simbolo vennero
attribuiti poteri magici con significati diversi nei vari campi del sapere.
In matematica il simbolo fu scomposto in sei parti e ad esse si fecero corrispondere le sei frazioni unitarie più
frequenti, quelle corrispondenti agli inversi delle prime sei potenze di 2:
1/2 (l’olfatto)
1/16 (l’udito)
1/4 (la vista)
1/8 (il pensiero)
1/32 (il gusto)
1/64 (il tatto)
La somma delle parti differisce dall’unità di 1/64.
Ad ogni parte dell’occhio si fece corrispondere un senso; nell’ordine: il tatto (1/64), il gusto (1/32), l’udito
(1/16), il pensiero (1/8), la vista (1/4) e l’olfatto (1/2). La costruzione del simbolo segue una precisa regola. I
sensi erano ordinati quindi secondo l’importanza loro attribuita, a seconda cioè dell’energia “utilizzata” per
ricevere una particolare sensazione. Tutti i dati ricevuti erano l’alimento della conoscenza.»
2.2.2. Il problema 30 del Papiro Rhind. Tale problema, a parole, chiede di risolvere un’equazione di
primo grado che può essere espressa in termini odierni come
x+
2
1
1
x + x + x = 37
3
2
7
La soluzione dell’equazione (oggi) si ottiene raccogliendo a fattor comune x e poi effettuando i
calcoli ed infine dividendo 37 per il coefficiente di x:
- 21 -
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x 1+
2 1 1
+ +
=37;
3 2 7
soluzione
=
in
x
42 + 28 + 21 + 6
= 37;
42
quanto
x
97
= 37;
42
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x = 42 ⋅
37 1554
=
. Si tratta della
97
97
1554 2 1554 1 1554 1 1554 1554 2 ⋅ 518 777 222
+ ⋅
+ ⋅
+ ⋅
=
+
+
+
=
97
3 97
2 97
7 97
97
97
97
97
2 ⋅ 3 ⋅ 7 ⋅ 37 + 4 ⋅ 7 ⋅ 37 + 3 ⋅ 7 ⋅ 37 + 2 ⋅ 3 ⋅ 37 42 + 28 + 21 + 6
97
=
⋅ 37 =
⋅ 37 = 37 .
97
97
97
La parte intera di
2
1554
è 16, essendo 16 97 = 1552. Restano
. Spesso nel Papiro Rhind un tale
97
97
numero razionale si scrive come somma di unità frazionarie, vale a dire come somma di frazioni
aventi per denominatore 1, e con denominatori tra loro diversi. La scelta dei denominatori inoltre
non può essere casuale.
Se si volesse provare con due soli numeri si avrebbe
secondo grado
1 1 2
+ =
, da cui il sistema simmetrico di
a b 97
a+b = 2
. Questo sistema non può essere risolto nei numeri naturali in quanto a e b
a ⋅ b = 97
devono essere non nulli, in quanto denominatori e non maggiori di 2, le uniche soluzioni sono
quindi a = 1 e b = 1, ma questa non va bene dato che si vogliono denominatori distinti ed inoltre 97
è primo quindi non si possono trovare due divisori propri di 97. Se cerchiamo di risolvere il sistema
a+b = 2
nei numeri reali, si osserva che queste sono le formule di Viète, quindi si devono cercare
a ⋅ b = 97
le soluzioni dell’equazione di secondo grado y2 – 2y + 97 = 0. Tale equazione ha discriminante
negativo, quindi non ottengo valori accettabili nel contesto del problema.
Però potrebbe esistere un numero naturale positivo h tale che
diventerebbe
1 1 2h
+ =
, per cui il sistema
a b 97 h
a + b = 2h
. Come si vede le cose non sono migliorate, tuttavia possiamo tentare di
a ⋅ b = 97 h
risolvere nei numeri reali il sistema e poi eventualmente scegliere h in modo da avere valori reali.
Procedendo come prima si deve risolvere l’equazione di secondo grado y2 -2hy + 97h = 0, il cui
discriminante è dato da h2 -97h. Perché l’equazione abbia radici reali bisogna che h2 -97h ≥ 0, da
cui (h ≤ 0 ∧ h ≤ 97) ∨ (h ≥ 0∧ h ≥ 97). Per le proprietà dell’ordine su
e ricordando che h è un
numero naturale non nullo, l’unica accettabile è h ≥ 97. Le soluzioni dell’equazione sono date da
y = h − h 2 − 97 h ∨ y = h + h 2 − 97 h , ed esse forniscono i valori di a e b. Bisogna ora cercare un
valore di h numero naturale tale che la radice sia ancora un numero naturale. Sicuramente h = 97
soddisfa la richiesta, ma questo comporterebbe che a = b = 97, cosa che si è esclusa dall’inizio. I
- 22 -
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numeri della forma che sono quadrati perfetti sono abbastanza rari, nel senso che tra 98 e 50098 se
ne trova solo uno, 2401, come si può vedere con un foglio elettronico, quindi il più piccolo (che è il
quadrato di 49!). Si ha quindi 2.4012 - 97 2.401 = 5.764.801 - 232.897 = 5.531.904 = 2.3522 e così
trovare le soluzioni a = 2.401-2.352 = 49
e b = 2.401+2.352 = 4.753: si ha pertanto
1
1
1
1
97 + 1
98
2
+
=
+
=
=
=
. Ahmes avrebbe potuto scrivere quindi la
49 4753 49 49 ⋅ 97 49 ⋅ 97 49 ⋅ 97 97
soluzione del suo problema come x = 16 +
1
1
+
.
49 4753
La soluzione offerta dal testo antico è x = 16 +
1
1
1
+
+
. Come si vede ben diversa da quella
56 679 776
ottenuta mediante il calcolo algebrico precedente, almeno come forma. Si osserva però che 56 =
7 8, 679 = 7 97 e 776 = 8 97. Si ha quindi 16 +
=
1
1
1
16 ⋅ 56 ⋅ 97 + 97 + 8 + 7
+
+
=
=
56 679 776
56 ⋅ 97
16 ⋅ 56 ⋅ 97 + 112 16 ⋅ 56 ⋅ 97 + 2 ⋅ 56 16 ⋅ 97 + 2 1554
. Si ha quindi lo stesso valore, ma con
=
=
=
56 ⋅ 97
56 ⋅ 97
97
97
un’espressione decisamente diversa.
Ahmes risolve il problema nel problema trovando tre numeri naturali a, b e c tali che
1 1 1 2
+ + =
, quindi risolvendo, mediante le tecniche allora disponibili, un’equazione ben più
a b c 97
complessa di quella di partenza, ma aveva a disposizione tavole che gli permettevano di dare
velocemente risposta al problema in questa forma.
Da Di Rienzo (loc.cit.): «Nel testo [Papiro Rhind] sono trattati 87 problemi sulle quattro operazioni, sulle aree, sui
volumi, ed altro, ma sopra tutti è trattato il problema delle parti decimali, le cosiddette frazioni egiziane, per la cui
soluzione è riportata una tabella che fornisce per ogni intero dispari n compreso tra 3 e 101 la scomposizione in frazioni
unitarie della frazione 2/n.
Tavola di 2/n del Papiro Rhind:
3
5
7
9
11
13
15
17
19
21
23
25
27
29
31
33
2+6
3 + 15
4 + 28
6 + 18
6 + 66
8 + 52 + 104
10 + 30
12 + 51 + 68
12 + 76 + 114
14 + 42
12 + 276
15 + 75
18 + 54
24 + 58 + 174 + 232
20 + 124 + 155
22 + 66
35
37
39
41
43
45
47
49
51
53
55
57
59
61
63
65
67
30 + 42
24 + 111 + 296
26 + 78
24 + 246 + 328
42 + 86 + 129 + 301
30 + 90
30 + 141 + 470
28 + 196
34 + 102
30 + 318 + 795
30 + 330
38 + 114
36 + 236 + 531
40 + 244 + 610
42 + 126
39 + 195
40 + 335 + 536
- 23 -
69
71
73
75
77
79
81
83
85
87
89
91
93
95
97
99
101
46 + 138
40 + 568 + 710
60 + 219 + 292 + 365
50 + 150
44 + 308
60 + 237 + 316 + 790
54 + 162
60 + 332 + 415 + 498
51 + 255
58 + 174
60 + 356 + 534 + 890
70 + 130
62 + 186
60 + 380 + 570
56 + 679 + 776
66 + 198
101 + 202 + 303 + 606
»
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
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Le scritture vanno interpretate: non è che, ad esempio 33 = 22+66, ma
2
1
1
=
+ .
33 22 66
Evidentemente manca nella tavola 97 scritto, coi simboli della tavola, con due numeri, 97 =
49+4.753.
Se si volesse, oggi, scomporre il numero
2
come somma di tre unità frazionarie, ritrovando così il
97
risultato di Ahmes, ci si trova dinnanzi un problema assai delicato. Infatti come prima si
giungerebbe a scrivere
di sesto grado
2 1 1 1 bc + ac + ab
= + + =
. Di qui si può impostare un sistema algebrico
97 a b c
abc
bc + ac + ab = 2
, sistema che è impossibile risolvere in quanto chiederebbe
abc = 97
l’esistenza di tre numeri non nulli distinti i cui prodotti devono essere minori di 2 e che 97 si possa
scrivere come il prodotto di tre numeri naturali, essendo primo. Nel sistema compaiono due delle tre
formule di Viète per l’equazione algebrica di terzo grado.
Come prima si può lavorare su un parametro aggiuntivo h tale che
bc + ac + ab = 2h
.
abc = 97 h
I metodi algebrici consueti possono essere di poco aiuto in quanto si avrebbe un sistema
parametrico di 2 equazioni in tre incognite. Visto che si cercano numeri naturali forse vale la pena
di utilizzare considerazioni aritmetiche che pur essendo più semplici possono risultare più difficili
da applicare in quanto non ottenibili come casi particolari di una procedura generale.
Questo esempio, pur votato ad un parziale insuccesso mostra però bene la differenza tra metodo
aritmetico e metodo algebrico.
Dalla prima equazione del sistema
bc + ac + ab = 2h
si ha che il numero bc + ac + ab deve essere
abc = 97 h
pari. Questo non si ottiene se i tre numeri incogniti sono dispari perché il prodotto di due numeri
dispari è dispari e la somma di tre numeri dispari è dispari. Se uno solo dei tre numeri fosse pari,
ancora la somma di due numeri pari e di uno dispari sarebbe dispari, quindi si possono almeno due
numeri pari. Si può supporre, senza perdita di generalità, che a e c siano pari, a = 2a’, c = 2c’ e
trattare questo caso.
Dovendo effettuare poi il calcolo della somma delle tre frazioni unitarie, si può considerare il fattore
2 presente una sola volta nella espressione del minimo comune denominatore per cui
2
2h
1 1 1
bc'
+2a '
c'
+a'
b
=
=
+ +
=
, modificando di conseguenza il sistema come segue:
97 97h 2a ' b 2c'
2a '
bc'
bc'
+2 a '
c'
+a'
b = 2h
. Non si procede oltre, è complicato dal dover tenere conto di vari casi
2a '
b'
c'= 97 h
- 24 -
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2.2.3 Algebra geometrica in Grecia. Tra i testi greci che
ci sono pervenuti, quello che ha la maggiore estensione
(e completezza) è gli Elementi di Euclide, che raccoglie
ed ordina i risultati di 300 anni di studi di altri
matematici. Esso dà un buon resoconto dello stato della
cultura del suo tempo, delle correnti epistemologiche e
Zenone di Elea
(490-425 a.C.)
Euclide di Alessandria
(III sec. a.C.)
filosofiche attive e più ampiamente accettate (Platone e Aristotele). In tale opera
traspare tutta la problematica sollevata dalla scoperta della incommensurabilità e
dai paradossi di Zenone.
Nella Scienza greca c’è una continua paura dell’infinito e questa si trasforma in un abbandono della
categoria della quantità a favore della categoria della qualità. Punto fondamentale di questo
atteggiamento è la scelta di sviluppare la Geometria a scapito dell’Aritmetica. D’altronde, con la
notazione usata per denotare i numeri era ben difficile procedere e sviluppare una teoria algebrica.
Questi aspetti verranno ripresi e approfonditi solo tra III e IV sec. d.C. da Diofanto.
Secondo Paul Tannery quella che si sviluppò nella Grecia classica può essere
definita con il nome di Algebra geometrica, vale a dire di metodi geometrici
utilizzabili in piena generalità per risolvere problemi algebrici. A differenza da
quanto mostrate nei casi precedenti, ciascuna problema, risolubile con equazioni
Paul Tannery
(1843-1904)
porta con sé il metodo per la sua soluzione. Nell’esempio ricavato dalla tavoletta
mesopotamica, se invece di 870 il termine noto fosse 871, il procedimento non
funzionerebbe. Invece i procedimenti di Algebra geometrica sono indipendenti dai valori numerici
specifici.
Le tracce di questa Algebra geometrica sono sparse in varie proposizioni del testo di Euclide. Ci
sono infatti risultati che vengono dimostrati e che non sembrano avere relazione con altri risultati
precedenti e successivi. Secondo i commentatori moderni si tratta di proposizioni che presentano
procedimenti per permettere la soluzione di equazioni algebriche, una volta tradotte in termini
geometrici.
2.2.4. La Proposizione 43 del Libro I. La Proposizione 43 del Libro I afferma:
«In ogni parallelogramma i complementi dei parallelogrammi (posti) intorno alla diagonale sono eguali tra
loro».
- 25 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
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Già questo testo, che pure per secoli è
F
stato
E
L
a
C
B
x
H
l’esempio
della
letteratura
scientifico, ha bisogno di essere
“tradotto”. Nel testo sono presenti
disegni che aiutano a spiegare il testo.
b
Di fatti il termine “complemento” non
D
A
G
è definito, ma la presentazione iconica
permette
di
comprendere.
La
dimostrazione è semplice. Il testo di Euclide dice:
«Sia DGLF un parallelogramma, FG una sua diagonale ed CE e AH siano parallelogrammi posti intorno a FG,
mentre siano BL e BD i cosiddetti complementi; dico che il complemento BL è uguale al complemento BD.
Infatti poiché DGLF è un parallelogramma e FG la sua diagonale, il triangolo FDG è eguale al triangolo FLG
(Prop. I, 34). Di nuovo CBEF è un parallelogramma e FB è una sua diagonale, il triangolo BFC è uguale al
triangolo BEF (id.) E per la stessa ragione, pure il triangolo BAG è eguale al triangolo BGH (id.). Poiché dunque
il triangolo CBF è uguale al triangolo BEF ed il triangolo BGH al triangolo BAG, il triangolo BFC insieme col
triangolo BAG è eguale al triangolo BEF (noz. com. II); ma anche tutto quanto il triangolo GFD è eguale a tutto
il triangolo GLF: il complemento BD che (così) rimane è quindi uguale al rimanente complemento BL (noz. com.
III)»
Il testo accompagnato dal disegno chiarisce perfettamente cosa si vuole provare. Si noti che alcuni
parallelogrammi vengono indicati da Euclide mediante le lettere che nominano i quattro vertici, altri
nominando solo due vertici opposti.
2.2.5 Applicazione della Proposizione I. 43 ad un problema di primo grado ‘quadrato’.
Vediamo ora come è possibile applicare questa proposizione per risolvere l’equazione
ax = b2.
In essa coefficienti ed incognita indicano lunghezze. L’equazione è quindi omogenea. Non come
F
quella della tavoletta mesopotamica in cui si sottrae un lato ad
r
un’area.
Si considera un segmento a di estremi A e B e lo si prolunga di un
b
B
s
A
E
D
a
segmento b, dalla parte di B. ottenendo il segmento BC. Si costruisce
C
b
la retta per B perpendicolare ad AC e su di essa si individua un punto
D tale che i segmenti BD e BC siano congruenti. Per C si manda la
H
retta p parallela a BD. Per D si manda la retta r parallela a AC e per A
t
x
G
K
u
la retta s parallela a BD. Le due rette p e r essendo parallele alle rette
AC e BD, incidenti, sono incidenti in un punto E; le rette r e s
- 26 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
essendo parallele alle rette AC e BD, incidenti, sono incidenti in F. Si congiungano i punti F e B con
la retta t ( che quindi interseca la retta AC in B). Le rette t e p, essendo parallele a due rette che si
intersecano, si intersecano in un punto G. Sia ora u la retta per G parallela a AC. Essa interseca la
retta s, in quanto u e s sono rispettivamente parallele alle rette AC e BD che si intersecano. Sia H il
punto di intersezione di u e s e sia K il punto di intersezione tra u e la retta BD. Il segmento che ha
per estremi BK è la soluzione dell’equazione, in quanto i parallelogrammi (sono rettangoli per
costruzione!) BE e BH (con le notazioni di Euclide) sono i complementi posti attorno alla diagonale
del parallelogramma EFHG. L’area di questi due parallelogrammi è data rispettivamente da ax e da
b2, quindi ax = b2.
2.2.6 Risoluzione dello stesso problema mediante il primo teorema di Euclide. Come è ben noto sia
il primo che il secondo Teorema di Euclide … non si trovano sugli Elementi. Forse per un pudore
dell’autore o forse perché l’autore non se ne è reso conto. Nella Proposizione I.47, più nota col
nome di Teorema di Pitagora (diretto) che afferma
«Nei triangoli rettangoli il quadrato del lato opposto all’angolo retto è eguale alla somma dei quadrati dei lati
che comprendono l’angolo retto»
Nella dimostrazione Euclide afferma, facendo riferimento alla figura (qui riportata dal testo con
l’aggiunta
del
punto
M
non
presente
H
nell’originale):
«[…] il triangolo ABD è eguale al triangolo FBC (I.4).
Ma il parallelogramma BL è il doppio del triangolo
ABD […] , mentre il quadrato GB è il doppio del
triangolo FBC […] Ma i doppi di cose uguali sono
uguali tra loro (noz. Com. V); è quindi uguale anche il
K
G
A
F
B
M
C
D
L
E
parallelogramma BL al quadrato GB»
In altre parole, il quadrato del cateto AB è
equivalente al rettangolo che ha per lati
l’ipotenusa BC e la proiezione BM del cateto AB
sull’ipotenusa. Questo appunto è noto col nome di
primo teorema di Euclide.
D
C
b
A
x E M
La soluzione dell’equazione si ottiene ora mediante
a
B
una semplice costruzione geometrica:
Si considera un segmento a di estremi AB. Si
determina il punto medio M di AB e si costruisce la
semicirconferenza di diametro AB. Si prolunga AB
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Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
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dalla parte di A con un segmento b ottenendo il segmento di estremi AC. Si considera la
circonferenza di centro A passante per C e la si interseca con la semicirconferenza precedente
ottenendo il punto D. Da D si manda la perpendicolare a AB che interseca tale segmento in E. Il
segmento AE è la soluzione della equazione data.
Questo metodo richiede che esista l’intersezione tra la circonferenza e la semicirconferenza, cosa
che avviene se il segmento b è suvvalente al segmento a. La Proposizione I.43 non ha questa
limitazione, essendo possibile la costruzione richiesta in ogni caso, come appunto mostra la figura
costruita come applicazione di tale proposizione.
2.2.7 La risoluzione di un problema di primo grado ‘rettangolare’. Ben diversa è la situazione
posta dall’equazione
ax = bc
Stavolta non compare un quadrato a secondo membro, per questo motivo possiamo distinguerlo dal
problema posto in 2.2.5 con l’appellativo ‘rettangolare’.
E’ ovvio che questo è un caso più generale di quello quadrato, in quanto è possibile scegliere b e c
eguali e quindi tornare al caso quadrato.
Siano dunque a,b,c e x segmenti, a,b e c noti, x da trovare.
Vi sono diverse strade. La prima è applicare la Proposizione I.43 modificando la costruzione vista
- 28 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
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in 2.2.5, semplicemente considerando sulla retta per B perpendicolare a AC un punto D tale che il
segmento BD sia c. Il resto della costruzione rimane inalterato, mediante la costruzione di rette
parallele.
Euclide usa un’altra strada, introducendo la Proposizione I.44:
«Applicare ad una retta data, in un dato angolo rettilineo, un parallelogramma uguale ad un triangolo dato.»
Seguiamo la dimostrazione di Euclide, anche per chiarire certi aspetti non consueti nella
presentazione della Geometria dei testi odierni:
«Siano AB la retta data, C il triangolo dato e D l’angolo rettilineo dato: si deve dunque applicare alla retta data
AB in un angolo uguale all’angolo D, un parallelogramma uguale ad un triangolo dato C.
Si costruisca nell’angolo EBG che sia eguale all’angolo D, il parallelogramma BEFG uguale al triangolo C (I.42)
e lo si ponga in modo da essere BE in linea retta con AB, si prolunghi FG oltre G sino ad H, per A si conduca AH
parallela all’una o all’altra indifferentemente delle rette BC, EF (I.31 e I.30), e si tracci la congiungente HB. Ora
poiché la retta HF cade sulle parallele AH, EF, la somma degli angoli AHF, HFE è eguale a due retti (I.29). la
somma degli angoli BHG, GFE è perciò minore di due retti; ma rette che vengano prolungate illimitatamente, a
partire da angoli minori di due retti si incontrano (post. V), per cui HB, FE, se prolungate, si incontreranno. Si
prolunghino esse e si incontrino in K, per il punto K si conduca KL parallela all’una o all’altra indifferentemente
delle rette EA, FH (I.31 e I.30), e si prolunghino HA, GB oltre A, B rispettivamente sino ai punti L, M. Quindi
HLKF è un parallelogramma, HK è una sua diagonale, ed AG, ME sono parallelogrammi posti attorno a HK,
mentre LB, BF sono i cosiddetti complementi; LB è perciò uguale a BF (I.43). Ma BF è uguale al triangolo C;
quindi anche LB è uguale a C (noz.com. I).
Dunque, è stato applicato alla retta data AB nell’angolo ABM, che è uguale all’angolo D (noz.com. I), il
parallelogramma LB uguale al triangolo dato C. »
Questo proposizione, insieme alla I. 42 che afferma
«Costruire in un dato angolo rettilineo un parallelogramma uguale ad un triangolo dato»,
ci insegna a costruire parallelogrammi di data estensione e di angoli e lati assegnati.
Non deve confondere la storia del triangolo che compare nell’enunciato. Esso serve per individuare
due segmenti, la metà di un lato del triangolo e l’altezza relativa a tale lato. C’è bisogno di questa
flessibilità perché l’estensione di un parallelogramma non è individuata dalla lunghezza dei suoi
lati, ma entrano anche gli angoli formati dalle coppie di lati adiacenti.
Di fatto nelle applicazioni che ci interessano dal punto di vista algebrico, la costruzione che si fa,
generalizza quella della Proposizione I.43. La generalità offerta dalla scelta dell’angolo però non
interessa.
L’importanza di questa Proposizione è che essa introduce la nozione di applicazione delle aree.
Anzi come vedremo in altro contesto il termine παραβολ significa appunto applicazione e quella
introdotta dalla Proposizione I.44 sarà detta applicazione parabolica, in un certo senso
l’applicazione per antonomasia.
- 29 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
Il confronto con il testo originale euclideo (in traduzione italiana) ci permette di apprezzare la
stretta vicinanza coi metodi dimostrativi di oggi, che di fatto salvo poche eccezioni, derivano in
pieno da quelli di Euclide. Il suo testo è organizzato come una catena crescente di conoscenza che
parte dall’evidenza degli assiomi (le cosiddette nozioni comuni, di contenuto ‘logico’) e dei
postulati (con contenuto geometrico) nonché dalla lampante chiarezza esperienziale dei termini
primitivi, per scoprire in base al ragionamento ‘verità’ riposte e meno immediate. C’è infatti il
richiamo a proposizioni provate precedentemente e ad assiomi o postulati.
Nell’opera composta di tredici Libri ( e che presenta comprende 465 Proposizioni, indicate con tale
nome nel testo latino), il primo getta le basi per l’intera opera presentando termini primitivi
fondamentali e le nozioni comuni. Sono presenti anche i postulati (5), ma nel prosieguo dell’opera
si aggiungeranno in vari capitoli altri postulati ancora, per cui fissare in 5 il numero dei postulati
sembra riduttivo. L’analisi critica condotta dal 300 a.C. al 1899 (e forse oltre) mostra che Euclide fa
uso di altri postulati che non ha esplicitato e spesso le definizioni introdotte (in tutta l’opera 130
esplicitate) richiedono una parte di postulazione che non è esplicita.
Per completezza di informazione, anche se questi argomenti potrebbero essere oggetto di altri corsi
universitari, si indicano qui, ricopiati dalla traduzione italiana, nozioni comuni e postulati, elementi
costitutivi del primo Libro.
«Nozione comune 1. Cose che sono uguali ad una terza sono uguali anche tra loro.
Nozione comune 2. E se le cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali.
Nozione comune 3. E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali.
Nozione comune 7. E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali.
Nozione comune 8. Ed il tutto è maggiore della parte.»
A queste vengono aggiunte altre quattro, quelle ritenute o spurie o superflue:
«4. E se cose uguali sono addizionate a cose disuguali le totalità sono disuguali.
5. E doppi di una stessa cosa sono uguali fra loro.
6. E metà di una stessa cosa sono uguali tra loro.
9. E se cose eguali sono sottratte da cose disuguali, i resti sono disuguali.»
La numerazione delle nozioni comuni è diversa nella traduzione italiana e nel testo critico in greco.
«Postulato 1. Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto.
Postulato 2. E che una retta terminata (= finita) si possa prolungare continuamente in linea retta.
Postulato 3. E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza (= raggio).
Postulato 4. E che tutti gli angoli retti siano uguali tra loro.
Postulato 5. E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma angoli interni e dalla stessa parte minori di
due retti (= tali che la loro somma sia minore di due retti), le due rette prolungate illimitatamente verranno
ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti ( = la cui somma è minore di due
retti).»
Il primo libro presenta 23 definizioni. Qui se ne offre un piccolo ‘saggio’ per cogliere la differenza
- 30 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
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concettuale tra vari tipi di definizioni: l’oggetto in sé, l’oggetto in relazione ad altri oggetti, la
costruzione che serve ad assegnare un nome ‘tecnico’.
Definizione I.1 «Punto è ciò che non ha parti»
Definizione I.3 «Estremi di una linea sono punti»
Definizione I.10 «Quando una retta innalzata su una [altra] retta forma gli angoli adiacenti uguali fra loro,
ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a quella su cui è innalzata»
2.2.8. La risoluzione di un problema di primo grado ‘rettangolare’ col Teorema di Talete. Si tratta
di un teorema che prende il nome da Talete per l’assonanza con la storia narrata nell’aneddoto
ricordato prima della misura dell’altezza della Piramide.
Come detto in precedenza, data la generalità maggiore dei problemi di primo grado rettangolari,
mediante la tecnica che ora si mostra si possono risolvere anche i problemi di primo grado quadrati.
La soluzione si basa sul fatto che l’eguaglianza
ax = bc
si può leggere come una proprietà della proporzione a : b = c : x. Per realizzare geometricamente
tale proporzione basta considerare due semirette distinte r e s uscenti da un punto O, sulla semiretta
individuare due punti A e C in modo che il segmento di estremi O e A sia a, che il segmento di
estremi A e C sia c. A questo punto sulla semiretta s basta scegliere un punto B in modo che il
segmento di estremi O e B sia b. Si congiungono i punti A e B con una retta e da C si manda la retta
t parallela ad AB. L’intersezione di s con t è il punto X tale che il segmento di estremi B e X è la
soluzione del problema posto.
La scelta dei punti sulle semirette può essere fatta anche diversamente, ad esempio interpretando la
proporzione a : c = b : x.
2.2.9 La ‘Regula infusa’. L’anno 1000 è noto per essere risultato una sorta di svolta nella storia,
come la data che segna il passaggio da un medioevo cupo ad uno più aperto alla novità
dell’umanesimo nascente. Come tutte le categorie temporali
andrebbero mitigate certe affermazioni, dato che sono state fatte
dopo, con un’ottica che risentiva delle influenze culturali del
tempo in cui è stata fatta.
Per la Matematica era un’epoca di rinascita in quanto
Muhamed ibn Musa al-Khowarizmi
(780-850)
prendevano piede in tutto il Mediterraneo le novità introdotte
dagli arabi. In particolare si diffondeva, assieme alle armate
arabe, il trattato Al-jabr we’l mukabala, scritto da Mohamed ibn Musa al Khowarizmi, nel IX
- 31 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
secolo. Ma era un’innovazione di lenta penetrazione. In realtà nella città di Bagdad, era fiorente una
cultura protetta dal califfato, in particolare da al-Mamun, califfo dell’epoca che aveva fondato una
Casa del Sapere, che aveva chiesto all’Imperatore di Costantinopoli i testi dei filosofi greci e che
favoriva lo scambio di merci e cultura tra il Mediterraneo e l’India.
Le armate arabe, sotto il comando del califfo, erano penetrate nel Mediterraneo impadronendosi
dell’Africa del Nord, della Sicilia e poi della Spagna.
Gli Ebrei contribuirono alla diffusione della cultura scientifica araba, anzi attorno all’anno 1000 si
può dire che in Spagna i più importanti matematici erano Ebrei.
Tra questi Abraham ben Ezra (1092-1167) autore di un testo sull’Aritmetica in cui esprime un
metodo per la risoluzione delle equazioni di primo grado che egli attribuisce a Job ben Solomon.
Tale metodo, nella traduzione latina del testo di ben Ezra, prende il nome di Regula infusa.
Un problema che si trova nel trattato citato può essere tradotto in formule, con simboli moderni
come l’equazione
m(ax+b) + c = 0.
Con una sostituzione si pone ax + b = y e l’equazione da risolvere diviene my + c = 0. Questa
equazione risolta dà y = −
c
1 c
e tornando all’equazione di partenza, x = −
+b .
m
a m
In questo modo si ottiene effettivamente la soluzione, dato che m −
=m −
a c
+b +b +c =
a m
c
− b + b + c = −c + c = 0 .
m
La regola può sembrare banale e anche più complessa di quanto non serva, ma l’algebra del tempo
era retorica e le trasformazioni algebriche che possono sembrare evidenti oggi, grazie all’abitudine
al simbolismo, non erano patrimonio comune. Non è da sottovalutare inoltre la più o meno facile
memorizzabilità di un procedimento se espresso, anche in termini sovrabbondanti, mediante frasi
rimate o con altri trucchi retorici.
L’esempio esplicito proposto da ben Ezra può convincere.
Sia data l’equazione
1
1
1
x − x − 4 − x − x − 4 = 20
3
4
3
Questa rientra nel tipo di equazioni proposte perché m = 1 −
1 3
1 2
= ; a = 1 − = ; b = -4 e c = -20.
4 4
3 3
1
1
Ponendo il termine entro parentesi uguale a y, vale a dire y = x − x − 4 , si ha y − y = 20 , da cui,
3
4
- 32 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
calcolata la differenza, y =
AA. 2008-2009
80
2
80
e ripristinando il termine originario,
x − 4 = , vale a dire
3
3
3
2
92
x=
, da cui x = 46.
3
3
1
1
1
Verifichiamo che tale valore è soluzione dell’equazione: 46 − 46 − 4 − 46 − 46 − 4 =
3
4
3
= 42 −
46 23 23
242 − 92 − 69 + 23 + 6 120
− + +1 =
=
= 20 .
3
2
6
6
6
Dal calcolo algebrico odierno si ricaverebbe
3 2
1
1
x − 4 = 20, da cui x − 3 = 20, quindi x = 23 ,
4 3
2
2
vale a dire x = 46.
Il confronto con il metodo odierno è ingeneroso con la proposta della Regula infusa. In essa è assai
interessante l’utilizzo di una (semplice) sostituzione che cambia l’indeterminata e che sicuramente
ha preceduto altre più complesse trasformazioni di questo tipo.
2.2.10 La regola di falsa posizione nella matematica araba del Medioevo. Si è vista la regola di
falsa posizione nel Papiro di Ahmes. Sul testo Talchîs databile attorno al 1300, il matematico
marocchino Ibn al-Banna, noto anche come al-Marrâkuschî (1256 – 1321), propone una variante
della regola di falsa posizione.
Data l’equazione
ax + b = 0
si attribuisce un arbitrario valore h ad x ottenendo un corrispondente valore k: ah + b = k (a questo
punto noi scriveremmo b = k – ah, con la disinvoltura che ci proviene da qualche secolo di Algebra,
ma si osservi che la scrittura precedente offre l’algoritmo per calcolare k a partire da h, la nostra
scrittura quello per calcolare b, che è assegnato a partire da h e k). Se k = 0, è trovata la soluzione: x
= h, altrimenti sottraendo le due equazioni si ottiene a(h - x) = k, da cui a =
nell’equazione di partenza si ha
dapprima
x=
kx
+
b(h
–
k
. Sostituendo
h−x
kx
+ b = 0 . Risolvendo l’equazione rispetto a x si ottiene
h− x
x)
=
0,
poi
(k
-
b)x
=
-
bh,
da
cui
bh
h(ah − k ) h(k − b) − hk
hk
=
=
= h−
.
b−k
k −b
k −b
k −b
La formula fornisce la soluzione. Infatti si ha
- 33 -
a h−
hk
ah(k − b) − ahk + b(k − b)
+b =
=
k −b
k −b
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
=
AA. 2008-2009
ahk − abh − ahk + bk − b 2 − abh + b(ah + b) − b 2
0
=
=
= 0.
k −b
ah + b − b
ah
Questo metodo risulta utile sia in algebra retorica che in algebra sincopata, un terzo tipo di
notazione algebrica, proposto da Diofanto, in cui si schematizzano potenze, operazioni e relazioni
con scritture stenografiche.
Diofanto scrisse un testo Aritmetica, di cui abbiamo 6 libri degli originali 13, probabilmente
un’opera di compilazione di quanto era noto fino ai suoi giorni. Essa presenta 130 problemi, di cui
dà le soluzioni numeriche di quelle con soluzione unica, ed inoltre presenta alcune equazioni
indeterminate che oggi sono dette equazioni diofantee.
E’ interessante osservare che il testo affronta vari quesiti che richiedono equazioni di secondo
grado, ma nel caso siano risolubili, Diofanto presenta solo le eventuali soluzioni positive. Sfrutta
inoltre alcuni sistemi simmetrici di secondo grado.
Il merito maggiore di questo testo è di presentare una sorta di notazione per la matematica vicina a
quella simbolica, che dagli studiosi viene vista come una proposta originale di Diofanto.
Nella sua opera Diofanto scrive, con una certa regolarità, in maniera stenografica
-
per unità,
-
(la ‘sigma’ finale minuscola) per indicare l’incognita del problema,
per indicare il quadrato dell’incognita (il simbolo all’esponente nei manoscritti è diverso e
-
qui lo si scrive con gli strumenti disponibili),
-
per indicare il cubo dell’incognita,
-
per indicare la quarta potenza dell’incognita.
-
per la quinta potenza dell’incognita,
-
per la sesta potenza dell’incognita.
Nella scrittura dei polinomi o più generalmente delle espressioni algebriche, Diofanto scrive i
coefficienti dei monomi dopo la ‘parte letterale’, usa la giustapposizione come addizione, un segno
simile a un simbolo di appartenenza ruotato in senso orario di un angolo retto per indicare il segno
di sottrazione (che qui si realizza con un
Così quello che oggi scriveremmo come
Κ Τ β∆Τ γ
ςα
) e il termine greco
2 x3 + 3x 2 − x
x4 + 2x +1
per indicare la frazione.
si scriverebbe coi simboli di Diofanto come
∆Τ ∆αςβυα .
Ritorniamo ora al metodo di falsa posizione. Esso è utile soprattutto se si tratta di risolvere le
- 34 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
equazioni non in forma normale e senza ridurle alla forma normale. Ad esempio sia data
l’equazione
1
1
x + x = 21
3
4
L’equazione si può scrivere
1
1
x + x − 21 = 0 . Ponendo x = 24 si ha 8 + 6 – 21 = -7. Quindi
3
4
applicando la formula risolutiva, avendosi h = 24; k = -7 e b = -21, si ha
x = 24 −
− 7 ⋅ 24
168
= 24 +
= 24 + 12 = 36 e si verifica immediatamente che 36 è soluzione
− 7 + 21
14
dell’equazione data.
2.2.11. La regola di doppia falsa posizione. Questa regola si trova, tra l’altro, nel Liber Abaci
(1202) di Fibonacci, nella Summa
(1494) di Pacioli, nel Generale
Trattato
(1560)
di
Tartaglia.
Recorde in Ground of Arts (1542)
Niccolò Fontana detto Tartaglia
(1500-1557)
Luca Pacioli
(1445-1517)
Robert Recorde
(1510-1558)
ne dà una esposizione in versi.
La regola ha avuto un lungo
periodo di applicazione anche dopo l’introduzione e la diffusione del calcolo simbolico, tanto è vero
che veniva raccomandata nel 1884 nei programmi dei licei austriaci.
Sia data l’equazione (in termini moderni)
ax + b = 0.
Si considerano ora due valori di x, h’ e h”, da cui, per sostituzione, si ottiene
(*)
ah’+b = k’
(**)
ah” + b = k”.
Si può ipotizzare, senza perdita di generalità, che h’ e h” non siano soluzioni dell’equazione.
Sottraendo tra loro le due relazioni (*) e (**) si ottiene
(§)
a(h’-h”) = k’ – k”.
Moltiplicando la (*) per h” e la (**) per h’ si ha
ah’h”+bh”= h”k’
ah’h”+bh’ = h’k”
Sottraendo membro a membro si ha b(h”-h’) = h”k’-h’k”. Dividendo quest’ultima per la (§) si
ricava −
b h" k '
−h'k "
=
= x.
a
k'
−k "
Queste trasformazioni algebriche, come prima, possono essere utili per fare sparire eventuali
denominatori inopportuni presenti in un’equazione non ridotta in forma normale.
- 35 -
Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
2.3. Equazioni di primo grado a più incognite.
La storia della Matematica presenta altri tipi di equazioni di primo grado legate a problemi rivelatisi
interessanti e importanti per la ricerca teorica e per le applicazioni pratiche. Si tratta delle equazioni
di primo grado con più incognite. Ad esempio:
a1x1 + a2x2 +…+ anxn = b.
Scritture di questo tipo sono frequenti nell’ambito degli spazi vettoriali in cui con ai si indicano
scalari e con xi si indicano i vettori (in tale caso si usa il grassetto o la freccia di soprassegno). La
scrittura a primo membro prende il nome di combinazione lineare dei vettori.
La situazione può essere più complessa in quanto invece di una sola equazione ve ne possono essere
più di una a costituire un sistema.
In questo ambito è noto un risultato che identifica quando il sistema sia compatibile e come
individuare la soluzione. Si tratta del
Teorema di Eugène Rouché (1832-1910) e Alfredo Capelli (1855-1910). Dato un sistema lineare
esso è risolubile se e solo se il rango della matrice del sistema (matrice incompleta) è eguale al
rango della matrice completa formata aggiungendo la colonna dei termini noti. In tale caso
individuato nella matrice incompleta un minore di ordine massimo non nullo, si considera il
sistema ausiliario formato solo dalle equazioni i cui coefficienti compaiono come righe in tale
minore e portando a secondo membro tutti i termini in cui compaiono incognite i
cui coefficienti non sono presenti nelle colonne di tale minore. La soluzione del
nuovo sistema lineare trovata mediante il Teorema di Cramer dipende dalle
incognite che vengono poste a secondo membro con il ruolo di parametri.
Gabriel Cramer
(1704-1752)
In
applichiamo tale risultato all’equazione
ax + by + cz = d.
Si tratta di un ‘sistema’ molto particolare. La matrice incompleta è data da (a b c); la matrice
completa è data da (a b c d). Si tratta di due matrici che possono entrambe avere come rango
massimo 1. La matrice incompleta ha rango 1 se e solo se almeno uno dei coefficienti
dell’equazione è diverso da 0, vale a dire se e solo se esiste l’equazione. Infatti il rango sarebbe 0 se
e solo se la scrittura precedente fosse 0 = d.
Si ha quindi che nel caso di un’equazione effettiva, la matrice incompleta ha rango 1 e quindi anche
la matrice completa ha rango 1. Sia ad esempio b ≠ 0. Allora dal Teorema di Rouché e Capelli si
ricava il nuovo ‘sistema’
by = d - ax - cz
che risolto fornisce
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Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
y=
AA. 2008-2009
1
(d − ax − cz ).
b
In questa espressione, il ruolo di x e z è quello di parametro. In tal modo si ottengono infinite
soluzioni
1
. Infatti scelti arbitrariamente x’ e z’, si ha
y '=
1
(d − ax'
−cz '
) . Sostituendo
b
1
nell’equazione di partenza si ha ax'
+by '
+ cz'= ax'
+b ⋅ (d − ax'
−cz '
) + cz '= ax'
+ d − ax'
−cz '
+cz '= d .
b
L’esempio considerato ha una importante interpretazione geometrica: l’equazione di partenza con
tre incognite si può interpretare come l’equazione cartesiana di un piano nello spazio geometrico
3
. Con questa interpretazione è ovvio che pur essendo un’equazione di primo grado non ci si può
aspettare di avere un’unica soluzione. Inoltre il ruolo di
in queste considerazioni può essere
svolto da un qualsiasi campo, anzi ponendo attenzione all’ordine delle operazioni, ad un qualunque
corpo.
Più interessante è individuare le condizioni di risolubilità di questo tipo di equazioni in un anello.
Conduciamo l’indagine in , tenendo conto che in altre strutture le cose si complicano.
L’equazione
ax + by + cz = d
da risolvere in
può pensarsi come la formalizzazione del quesito di determinare i punti di
coordinata intera che appartengono al piano che ha appunto la data equazione.
Ora può accadere che il piano non abbia punti di questo tipo, oppure ne abbia in un numero finito
oppure ne abbia infiniti.
Vediamo una condizione per la risolubilità: detto m = MCD(a,b,c) e, dato che m divide sia a, sia b,
quanto c, esistono a’, b’ e c’ tali che a = ma’, b = mb’, c = mc’, si avrebbe, qualunque siano x,y e z
in Z, , ax + by + cz = m(a’x + b’y + c’z) = d. Si ha quindi che m deve dividere d. Se ciò non accade,
l’equazione non è risolubile in .
Per metterci quindi in condizioni di risolvere l’equazione, si suppone senza perdita di generalità che
MCD(a,b,c) = 1.
Il procedimento di soluzione prevede di individuare i coefficienti minori in valore assoluto.
Supponiamo sia esso c, allora si può porre cz = d – ax – by. Dividendo per c e considerando le parti
intere dei quozienti si ha posto d’ = qu(d,c); a’ = qu(a,c); b’ = qu(b,c) e d” = re(d,c); a” = re(a,c);
1
Quando si deve usare l’aggettivo infinito, c’è sempre da porre attenzione, perché è diverso dire che ci sono infinite
soluzioni o ci sono soluzioni infinite. Anche la dizione ‘un numero infinito di’ lascia molto perplessi, perché sembra
accettare l’esistenza, per contrapposizione, di numeri finiti ed infiniti. Il modo migliore di esprimere è quello di
utilizzare infinito come aggettivo di insieme, nella dizione ‘un insieme infinito di’, dato che il concetto di insieme
infinito è chiaramente definito. Questo è uno dei motivi per cui sarebbe bene parlare di insieme di soluzioni e non di
soluzioni. Così nel caso di un’equazione algebrica di secondo grado (o di grado superiore), in generale non ha senso
dire che la soluzione è unica, ma ha senso dire che l’insieme delle soluzioni è unico.
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Matematiche complementari I – Capitolo 2 Teoria e storia delle equazioni di primo grado
AA. 2008-2009
b” = re(b,c),
z = d'
−a 'x − b'y +
Se ora si pone z1 =
d " a"
b"
− x− y
c c
c
d " a"
b"
− x − y , da cui cz1 + a”x + b”y = d”, ma d”, a”, b” < c. Inoltre
c c
c
MCD(a”,b”,c) = 1, in quanto se fosse MCD(a”,b”,c) = s, allora a = ca’+a” e b = cb’+b” sarebbero
divisibili per s, poiché lo sarebbero c e a”; c e b”, quindi non sarebbe MCD(a,b,c) = 1.
Questo primo passo può essere ripetuto perché sono verificate le condizioni iniziali. Per il principio
della discesa finita, si giunge a resto 0, da cui risalendo si trova una variabile in funzione delle altre
due e assegnando valori interi alle variabili si giunge ad individuare tutte le possibili soluzioni
intere.
Per esemplificare si consideri l’equazione 10x + 9y + 6z = 5. Procedendo come detto prima,
z = −x − y +
5 4
3
5 4
3
− x − y . Posto z1 =
− x − y , si ha 4x + 3y + 6z1 = 5. Si ripete il
6 6
6
6 6
6
procedimento e si ha y = 1 − x − 2 z1 +
2 1
2 1
− x , quindi y1 = − x , da cui 3y1 + x = 2. Di qui x = 2
3 3
3 3
– 3y1; y = 1 – (2-3y1) – 2z1 + y1 = -1 + 4y1 – 2z1; z = -(2-3y1) - (-1+4y1-2z1) + z1=-2 + 3y1 + 1 -4y1 +
2z1 + z1 = -1 - y1 + 3z1. Si ha quindi
x = 2 − 3 y1
y = −1 + 4 y1 − 2 z1 . Per qualunque coppia ordinata di interi
z = −1 − y1 + 3z1
relativi y1,z1 si ottiene una terna ordinata di numeri interi relativi x,y,z che è soluzione
dell’equazione proposta. Infatti 10(2-3y1) + 9(-1+4y1-2z1) +6(-1-y1+3z1) = 20 – 30y1 – 9 + 36y1 –
18z1 – 6 – 6y1 + 18z1 = 5.
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