L'Idealismo - tratti generali L'Idealismo costituisce una delle più radicali rivoluzioni nella storia della filosofia: con esso si perviene al definitivo superamento dell'ottica realistica, cioè di quella posizione filosofica (peraltro condivisa dal senso comune) per cui il contenuto della coscienza sarebbe la rappresentazione di una realtà esterna, “in sé”. Secondo quest'ultimo punto di vista, l'apparire, il fenomeno, si attua in una dimensione finita, limitata cioè da una realtà-altra, che è poi intesa proprio come la Realtà in senso forte. L'Idealismo sviluppa invece la tesi di una coincidenza fra realtà ultima e apparire (= coscienza), rilevando il carattere dogmatico e contraddittorio del concetto di “cosa in sé” formulato, ad es., dalla filosofia kantiana1 , e propone quindi di usare il termine “Idea” per indicare non più la rappresentazione soggettiva (v. Cartesio), ma la diretta presenza dell'Essere (v. la valenza di tale termine in Platone). Il pensiero stesso, dunque, non è più inteso come atto individuale (tale è la concezione di Cartesio o, successivamente, di Marx, Kierkegaard...) bensì come manifestazione di un Principio Assoluto, del quale i singoli individui pensanti sono momenti, aspetti parziali (cfr. Spinoza).2 La Ragione (Vernunft), organo dell'infinito, recupera così la preminenza sull'Intelletto (Verstand), conoscenza finita, dall'idealismo intesa come astrazione: questo anche se per Fichte, il primo grande pensatore idealista, il pensiero (= l'Io) è ancora un principio finito, che ha soltanto la missione di farsi Infinito, assoluto. L'Io Puro di Fichte, infatti, non ha altra realtà che il suo agire e cioè il suo continuo determinarsi come io empirico, o meglio come totalità degli io empirici : questo agire non ha mai fine (almeno sul piano teoretico), il che equivale a dire che, su tale piano, l'Io non realizza mai la propria essenza infinita. Fichte: Wissenschaftslehre I) Posizione del Fondamento: principio d'Identità: A = A Questa posizione vale indipendentemente da considerazioni esistenziali, ossia dalla posizione effettiva di A, che essa deve presupporre. Si tratta quindi di una verità formale (= astratta, che deve fondarsi in altro). Ma il Principio d'Identità è poi, a sua volta, indubitabilmente posto, e tale posizione avviene all'interno di un atto di pensiero (che è dunque l'effettiva posizione originaria). Tale atto è non è altro che la presenza assoluta dell'Io, che, prima di tutto, pone se stesso e la propria identità a sé: Io = Io. Quest'ultima è, appunto, l'identità nella sua concretezza, il fondamento di ogni identità logica ed astratta del tipo “A = A”. 1 Tale concetto resta autocontraddittorio anche se assunto nella sua valenza di “limite” e di “problema”, giacché il semplice esser pensata fa della “cosa in sé” un contenuto soggettivo; e poiché “noumeno” significa appunto “il pensato”, “il pensabile” in questo stesso termine si manifesta l'assoluta intrascendibilità del pensiero. 2 Peraltro in Spinoza il pensiero non è che uno tra gli infiniti attributi della Sostanza Divina, così che non c'è una priorità di questo sulla materia. L'Io è cioè quell'ente immediatamente presente in cui essenza ed esistenza coincidono (cfr. Cartesio). Il Fondamento di ogni sapere non va dunque visto come verità “oggettiva”, indipendente dal pensiero, ma come attività, autoriflessione dinamica. In questo senso Fichte afferma che “l'atto precede l'essere”. II) Ora, nel momento in cui l'Io si pone come identico a sé, esso si oppone, anche, a qualcosa che è diverso da sé: A non è non-A, o in concreto: l'Io non è non-Io. Proprio per il suo essere attività, dinamismo, l'Io non si configura come qualcosa di assolutamente compiuto, ma rimanda sempre ad un Altro-da-sé: al non-Io, appunto. Il non-Io di cui parla Fichte può essere riportato in qualche modo alla kantiana cosa in sé: ma qui non si tratta, come in Kant, di stabilire un limite fisso, insuperabile, per l'Io, bensì della constatazione che l'Io stesso, pur potendo superare (come vedremo) ogni limite dato, pur recuperando nella sua coscienza ogni “oggettività” che possa incontrare, non perviene mai a coincidere con il Tutto. In quanto attività, l'Io ha sempre qualcosa fuori di sé, è finito. III) Nel momento in cui l'Io diviene cosciente del suo opposto (e questa coscienza si attua essenzialmente proprio nello sviluppo filosofico della Dottrina della Scienza), quest'ultimo risulta perciò stesso posto all'interno dell'Io: la contrapposizione “Io/non-Io” da assoluta diviene relativa, perché ora “Io” e “non-Io” sono posti come momenti interni, “divisibili”3 dell'Io. Questo relativizzarsi dell'opposizione è la stessa soppressione della cosa in sé come assoluta alterità rispetto al pensiero, e tuttavia si tratta di un processo mai compiuto, nel cui sviluppo essa riemerge di continuo. E' proprio nel corso di tale processo che viene determinata la struttura del mondo empirico: la realtà delle entità determinate che sono i singoli individui pensanti e delle loro condizioni materiali, ossia la totalità dei modi in cui gli io-empirici si rapportano tra di loro ed agli oggetti dell'esperienza: *) Più ancora di quanto accadeva in Kant si può quindi dire che l'Io fichtiano produce il mondo; tuttavia tale attività produttiva richiede necessariamente il continuo ripresentarsi di un altro polo che funzioni da elemento dinamico: di un non-Io, appunto, ancora inteso come opposizione assoluta. E' d'altra parte nel corso di questa attività produttiva che si delinea il compito essenziale dell'Io, che consiste proprio nel recuperare ogni oggettività al suo interno, allo scopo di cogliere la molteplicità del mondo come unità incondizionata, frutto della propria libera produzione: di tale unità assoluta il primo principio (cfr. punto I) è dunque solo una posizione provvisoria. Per sottrarsi alla contraddizione l'Io deve cogliere non solo le strutture formali del mondo (le Categorie - cfr. Kant), ma la totalità dei suoi contenuti, come frutto della propria Immaginazione Produttiva inconscia (o “pre-conscia”): l'Io di Fichte non appare infatti come una realtà ipostatica (che cioè preceda il costituirsi della realtà), ma coincide con la stessa coscienza che contiene ogni “realtà” di cui è possibile parlare (coscienza da non confondere, naturalmente, con l'io individuale, che di essa è soltanto un momento). 3 “Divisibile”, qui, significa che l'Io inteso come contenuto della coscienza, (e non come la sua stessa apertura massimale) è solo un aspetto parziale dell'Io puro: tale contenuto ammette al di fuori di sé altre forme di soggettività, insieme ad oggetti, pure limitati, del mondo materiale (che costituiscono il modo in cui il non-Io si fa, a sua volta, contenuto dell'Io puro). 2 Questa coscienza pone il mondo come prodotto da sé stessa, proprio nel momento e nella misura in cui lo conosce: la “deduzione delle categorie” e in generale la “deduzione” di ogni contenuto empirico, è la stessa scoperta, da parte dell'Io, di una sua “precedente” attività inconscia; ma la realtà concreta di tale attività consiste proprio nel suo esser posta nel pensiero in atto; l'Immaginazione Produttiva assume realtà proprio nell'autocoscienza dell'Io, che è poi, in concreto, lo stesso sapere filosofico4 . *) Tuttavia, se in Schelling e Hegel la Natura apparirà come prodotta a tutti gli effetti dall'attività assoluta dello Spirito, l'“Immaginazione produttiva” di cui parla Fichte esprime piuttosto l'esigenza di riportare tutto all'interno del principio attivo (= Io), da cui il carattere esigenziale, etico (cfr. più avanti) dell'idealismo fichtiano. L'Io aspira dunque a porsi come creatore assoluto del reale, ma non lo è ancora, nella misura in cui si riscopre di continuo determinato, nel suo movimento, dal non-Io: quest'ultimo è dunque una specie di “ombra” che accompagna costantemente l'Io nel suo sforzo (Streben) di farsi infinito. L'Io - scrive Fichte - è infinito, ma solo per il suo sforzo... e ancora: ... Se l'Io fosse più che sforzantesi non porrebbe sé stesso, e perciò sarebbe Nulla ... Senza un motore esterno l'Io non avrebbe mai agito, cioè non sarebbe mai esistito. In altri termini: l'Essenza dell'Io è l'infinito, l'Assoluto cui nulla si oppone come “Altro”, ma tale essenza non è ancora una realtà compiuta, bensì il limite ideale di un processo senza fine. L'Io può superare questa contraddizione originaria, cioè può realizzare in qualche modo la propria Essenza, solo attraverso una decisione etica: assumendo cioè come dovere assoluto (= legge eterna) il toglimento della contraddizione. Se sul piano teoretico l'Io si riscopre di continuo determinato dal non-Io (il cui recupero è un semplice fatto, seguito dal fatto opposto del ripresentarsi del non-Io), sul piano pratico esso può recuperare e dominare una volta per tutte ogni Altro-da-sé che gli si possa riproporre: può farlo inserendolo appunto nel proprio progetto come qualcosa che l'Io stesso ha voluto (come ostacolo) per affermare (superandolo) la propria assoluta libertà. In tal modo l'Io non soltanto recupera di fatto il nonIo, ma stabilisce la ragione, il significato dell'esistenza di quest'ultimo, apre la prospettiva del suo definitivo toglimento. Senza tale atteggiamento pratico - sostiene Fichte - si potrebbe cadere nel dogmatismo, nel realismo (attribuendo all'Oggetto una priorità sul Soggetto): la superiorità dell'idealismo sul dogmatismo è pertanto essenzialmente pratica, è cioè di natura etica (con riproposizione del primato della Ragion Pratica di cui parlava Kant). 4 Si tenga presente come anche per Kant la deduzione delle categorie non sia altro che il chiarirsi del soggetto cosciente a sé stesso: l'Io-penso di Kant non solo produce le strutture del mondo fenomenico, ma anche sa di produrle: solo così la conoscenza acquista valore assoluto, valore di “epistéme” e non è più, dunque, una semplice interpretazione del mondo. La filosofia va quindi configurando, attraverso il pensiero di Kant e di Fichte un nuovo ruolo del soggetto conoscente, irriducibile ai parametri cartesiani, anche se ad essi strettamente legato ed in essi anticipato. 3 Diversamente da quanto accadeva per Kant, però, in Fichte sfera teoretica e sfera pratica non sono solo subordinate (la prima alla seconda), ma anche direttamente collegate (la seconda costituendo la soluzione del problema che è posto ma non risolto nella prima): l'Infinito, l'Assoluto torna ad essere un contenuto legittimo della conoscenza filosofica. *) Dall'impostazione etica del pensiero di Fichte, scaturisce poi l'esigenza che la libertà dei singoli soggetti umani (gli io empirici) non sia in conflitto con quella degli altri: su ciò si fonda il Diritto. Lo Stato deve, non solo tutelare la libertà individuale e garantire la proprietà (come sostiene il pensiero liberale), ma anche promuovere l'uguaglianza sociale, organizzare collettivamente il lavoro, controllare totalmente il commercio con l'esterno (Stato Commerciale Chiuso). Così la realtà collettiva tende ad esser posta al di sopra di quella individuale (in antitesi alle tesi del liberalismo, che pure si vanno diffondendo in questo periodo nell'Europa occidentale): si ripropone quindi una visione della dimensione politica come irrinunciabile alla realizzazione dell'uomo, fondamento della concreta realtà dell'individuo, come già aveva sostenuto Aristotele, e come sosterrà in modo ancor più deciso Hegel. Soprattutto su queste basi Fichte sviluppa poi il concetto, spiccatamente romantico, di “nazionalità”, concependo la futura unificazione della Germania come missione del popolo tedesco, tappa fondamentale verso l'unità definitiva di tutti gli uomini. *) Il carattere finito dell'Io di Fichte, riconduce l'ultima fase della sua filosofia in un'ottica religiosa (e per certi aspetti anche neo-platonica), dove Dio (= l'Assoluto) sta per sempre al di là dell'Io, come realtà trascendente: in quanto sapere, l'Io si rapporta all'essere (che non è mai dato se non come contenuto della coscienza), ma non all'Assoluto, che resta al di là di ogni oggettivazione possibile, non dissimilmente dal noumeno kantiano. L'Io illumina sé stesso (cfr. Kant) ma non può mai illuminare la dimensione che sta oltre la propria attività ed i contenuti da questa prodotti: si ripropone quindi un limite fisso, del tutto insuperabile, per la sfera soggettiva. Così l'idealismo fichtiano ritorna sui suoi passi: proprio perché l'Io non è posto originariamente come Assoluto, la sua finitezza appare destinata a non essere mai eliminata: perché ciò possa avvenire, osserverà Schelling, si deve porre fin dall'inizio l'identità fra soggetto ed essere, occorre cioè sopprimere originariamente e completamente la cosa in sé, il “non-Io”. Ma, in questo modo, la realtà assoluta non apparirà più neanche come soggettiva (essendo “soggettivo” ciò che, ponendosi, si contrappone anche ad un oggetto-altro), e infatti Schelling parlerà semplicemente di “Assoluto”, dove però questo termine non va più inteso in senso realistico, come un “in-sé” estraneo al soggetto cosciente: si perviene insomma all'identificazione completa di Pensiero ed Essere, ad una filosofia che è in qualche modo la sintesi dell'Idealismo [fichtiano] e del Realismo. 4