FEDERICA SANFELICI “L'ULTIMO NASTRO DI KRAPP” Presentazione L'ultimo nastro di Krapp è un'opera teatrale di Samuel Beckett pubblicata nel 1958. L'opera fu creata per Patrick Magee perché nel dicembre del 1957 Beckett ascoltò per la prima volta la voce di questo attore irlandese e la trovò incredibilmente uguale alla voce che lui stesso aveva immaginato per i suoi personaggi. Fatto ancor più sorprendente fu che Beckett ascoltò la voce di Magee alla radio mentre declamava alcuni dei suoi testi. Non è un caso che nello stesso periodo Beckett abbia realizzato un altro lavoro teatrale dal titolo provvisorio Magee Monologue, in cui il protagonista ascolta la sua stessa voce provenire da un registratore. Patrick Magee è stato quindi l'interprete della prima messinscena de L’ultimo nastro di Krapp avvenuta il 28 ottobre del 1958 al Royal Court Theatre di Londra1. Anche in Italia ci sono stati grandi interpreti di quest'opera, come Antonio Borriello e Glauco Mauri, che ebbe l'idea di usare, in una messinscena del 1991, i nastri di una sua vecchia messinscena del 1961, dialogando con il se stesso di trent'anni prima. L'ultimo nastro di Krapp si affermerà nel tempo come uno dei capolavori del teatro beckettiano. Sorprendente è in particolar modo la costruzione del testo costituito da un atto unico e caratterizzato da pochissime battute; nel testo le didascalie assumono una certa importanza, soprattutto perché al loro interno vengono descritti in modo assai dettagliato i gesti (gesti-simbolo) che definiscono il personaggio di Krapp. Insuperabile in Krapp è anche la fusione di registri: il testo è percorso dalla volgarità di molte battute, ma anche dallo humor e dal lirismo che si susseguono per tutta l'opera. L'ultimo nastro di Krapp è forse l'opera più toccante e personale di Beckett: sull'incapacità di amare, sulla felicità perduta e sul fallimento esistenziale. 1 L'ultimo nastro di Krapp è stato successivamente tradotto dallo stesso Beckett in francese e andò in scena, con grande successo, anche a Parigi. La trama La trama dell'opera è apparentemente molto semplice, ma è presente un sottotesto filosofico, poiché Beckett ci mostra il senso stretto del rapporto tra l'Uomo e il Tempo e tra l'Artista e il fallimento dell'Arte. Martin Esslin scrive che «le commedie di Beckett mancano di una trama più delle altre commedie appartenenti al Teatro dell'Assurdo. Anziché uno sviluppo lineare, esse riflettono l'intuizione della condizione umana da parte del loro autore attraverso un metodo essenzialmente polifonico: pongono cioè il pubblico di fronte ad una struttura coordinata di situazioni e di immagini che si compenetrano a vicenda e che devono essere apprese nella loro totalità»2. Beckett immagina che Krapp, protagonista dell'opera, da giovane abbia registrato un diario sulle bobine di un magnetofono, un vecchio registratore al quale ha affidato le sue giornate, i suoi pensieri e i suoi desideri. L'azione scenica ci mostra Krapp ormai vecchio che, nel giorno in cui compie sessantanove anni, riascolta, come d'abitudine ad ogni suo compleanno, le bobine registrate in gioventù e ne registra una nuova con le considerazioni rispetto all'anno appena trascorso. Questo è per lui un vero e proprio rituale festivo celebrato in solitudine, un modo di rapportarsi con il proprio passato e in particolare con l'atto della propria nascita3. Il titolo dell'opera, inoltre, ci dichiara esplicitamente che stiamo assistendo alla registrazione dell'ultimo nastro di Krapp. Krapp è infatti ormai giunto alla conclusione della sua vita, la morte è ciò che lo attende, non avrà più occasione di registrare un nuovo nastro. Krapp è uno scrittore e Beckett ce lo fa capire nella registrazione di trent'anni prima ascoltata dal protagonista. Da questa registrazione si comprende il suo animo di giovane: convinto di trovarsi all'alba di una carriera folgorante e di essere a pochi passi dalla gloria, rinuncia alla vita vera, all'amore e alle passioni quotidiane. Trentanove anni, oggi, sano come un pesce, a parte la mia vecchia debolezza, e intellettualmente ho adesso ogni motivo di credere sulla...(esita)... cresta dell'onda...o da quelle parti. Celebrata l'orrenda ricorrenza, come sempre in questi ultimi anni, tranquillamente alla Taverna. [...] A quell'epoca vivevo ancora, più o meno, con Bianca, in Kedar Street. Ne sono uscito, da quella storia, grazie a Dio! Non c'era niente da fare4. Ma l'illuminazione, la gloria, la vita dell'artista non hanno prodotto nessun risultato positivo e tutto ciò a cui il Krapp giovane aveva rinunciato è andato perduto per sempre. Il Krapp che vediamo in scena non è altro che un fallito, un uomo che non sopporta più il se stesso da giovane, lo deride e lo insulta. Se potesse, si mostrerebbe a lui come è adesso, cioè un uomo afflitto da problemi di stitichezza e di alcolismo5. Appena finito di sentire quel povero cretino per il quale mi prendevo trent'anni fa, difficile credere che abbia mai potuto essere tanto coglione. Grazie a Dio sono cosa finite, ormai6. Dalle parole di quest'ultima registrazione si avverte anche un senso di rimpianto nei confronti di una vita che poteva essere diversa da quella che è stata. Diciassette copie vendute, di cui undici con lo sconto speciale a biblioteche circolanti nei territori oltremare. Mi sto facendo conoscere. (Pausa). Una sterlina, sei scellini e qualche penny, otto 2 Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, Roma, Edizioni Abete, 1990, p. 41. Sorprendente l'efficacia con cui Beckett ha descritto la vecchiaia dell'artista, se si considera che quando scrisse Krapp era un giovane artista nel pieno del successo. 4 Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp in Teatro, Torino, Einaudi, 1974, pp. 206-207. 5 Il nome Krapp si pronuncia come il termine inglese crap che in italiano significa “merda”. 6 Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp, cit., p. 211. 3 probabilmente. (Pausa). Strisciato fuori un paio di volte prima che l'estate si raffreddasse. Rimasto a sedere nel parco, tremando, immerso nei sogni e con la smania di finirla presto. Non un'anima. (Pausa). Ultima fantasie. [...] Avrei potuto essere felice con lei, lassù sul Baltico, e i pini, e le dune. (Pausa). Ma è poi vero? (Pausa) E lei?7 Ma in questa sua ultima registrazione il monologo interiore di Krapp viene ad un certo punto interrotto, l'ultimo tentativo di dire qualcosa si manifesta come negazione dell'atto stesso del dire. Niente da dire, neanche una sillaba. [...] Ah, finisci la tua bottiglia e vattene a letto. Ricomincia con queste idiozie domattina. O fermati qui. (Pausa). Fermati qui8. E qui la sua registrazione si interrompe bruscamente: di colpo Krapp si china sul registratore, lo stacca, strappa via il nastro e rimette la bobina con la registrazione di trent'anni prima, la fa scorrere e resta in ascolto con gli occhi rivolti verso il pubblico. È come se a questo punto Krapp avesse scelto il passato: l'ultima sua azione infatti coincide con quella dell'ascolto, diventa semplice spettatore della sua vita. Questo atto finale coincide con il suo addio alla vita. Sentiamo infine l'ultima battuta di questa registrazione: Qui termino questo nastro. Scatola... (Pausa)...tre, bobina...(Pausa)...cinque. Forse i miei anni migliori sono finiti. Quando la felicità era forse ancora possibile. Ma non li rivorrei indietro. Non col fuoco che sento in me ora. No, non li rivorrei indietro9. L'opera si conclude in modo molto desolato, con Krapp che guarda fisso davanti a sé, mentre il registratore, con il nastro ormai terminato, continua a girare silenziosamente. La voce La particolarità di quest'opera è data dall'idea scenica cioè la voce: un uomo che ascolta la sua voce. Proprio l'uso della voce registrata diventerà sempre più preponderante nel teatro beckettiano. In Krapp, per la prima e ultima volta, Beckett decide di mettere in scena il mezzo che riproduce la voce. Bisogna inoltre considerare che all'epoca il registratore era un apparecchio appena arrivato sul mercato e sicuramente non di uso comune, ma Beckett dimostrò una notevole perspicacia nel riversare il gesto della scrittura in un medium tecnologico. Dalla voce fiduciosa e speranzosa del Krapp di trent'anni prima si avverte tutta la distanza che c'è con il Krapp del presente. È come se ascoltassimo due voci completamente estranee tra loro, due voci che corrispondono a due uomini con una condizione esistenziale e spirituale molto differenti. Sorprendente è il fatto che originariamente Beckett avesse ideato un lungo testo su tre Krapp: Krapp con la moglie, Krapp con la moglie e il figlio, Krapp da solo, e altre variazioni sempre sul tema dell'identità; progetto successivamente abbandonato10. Ma anche in quest'opera ci vengono presentati due Krapp completamente diversi l'uno dall'altro; lo stesso Krapp non si riconosce più in quella voce e ride con ironia nel risentire le sue vecchie ambizioni e i suoi sogni di gioventù. Questa voce è divenuta per lui quella di un estraneo, tanto da dover ricorrere al dizionario per capire le parole più elaborate del suo precedente e giovane se stesso (come il termine “vedovezza”)11. Martin Esslin afferma: 7 Ivi, pp. 211-212. Ivi, pp. 211-212. 9 Ivi, p. 213. 10 Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, cit., p. 75. 11 Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp, cit., p. 208. 8 Lo scorrere del tempo ci pone di fronte il problema fondamentale dell'essere: il problema della natura della propria identità che, soggetta a costanti cambiamenti, è in un flusso perenne e di conseguenza fuori della nostra comprensione. [...] Soggetti a questo scorrere del tempo che passa su di noi e ci modifica, non siamo mai, in ogni singolo momento della nostra vita, identici a noi stessi12. Le tematiche fondamentali di quest'opera sono infatti lo scorrere del tempo e l'instabilità dell'essere. Il dialogo In quest'opera il dialogo è l'elemento costitutivo della forma teatrale. Fra il “vivere” e il “raccontare” Krapp sceglie il raccontare e in questo modo rinuncia alla vita e ancor di più all'amore. Il dialogo è un semplice alternarsi tra la voce del protagonista Krapp al presente e la voce registrata del Krapp di trent'anni prima. Del dialogo però è come se rimanesse soltanto l'apparenza, dato che la forma drammatica è costituita dal monologo. Krapp dialoga con la sua interiorità e il registratore permette di materializzare sulla scena questo monologo interiore. Martin Esslin scrive appunto che il linguaggio, nelle commedie di Beckett, serve a esprimere il fallimento, la disintegrazione del linguaggio13. Il ricordo È strano come il personaggio di Krapp, scrittore dalle caratteristiche del tutto particolari, affidi le sue riflessioni e i suoi ricordi non alla pagina ma al nastro magnetico di un registratore. Paolo Bertinetti ha scritto: Questo personaggio non ha più bisogno di ricercare il tempo perduto. Tutto è stato registrato e catalogato. Il nastro che ascoltiamo è in realtà pieno di ricordi, ma sono ricordi, per così dire, a caldo non ricostruiti nella memoria14. Quindi Krapp non fa ricorso alla memoria per ricostruire gli episodi del passato, i suoi ricordi sono ormai bloccati, incisi dalla voce sul nastro. Il momento creativo del ricordare è qualcosa che appartiene al passato. Questo suo momento creativo è dato dal semplice ascoltare, è quindi un momento passivo. I ricordi però occupano non solo la memoria di Krapp, ma anche lo spazio fisico in cui vive: ogni ricordo è sotto forma di bobina, compreso il registro nel quale Krapp, nel corso degli anni, ha catalogato il contenuto di ogni bobina. Il dramma concentra la sua azione nell'ascolto di una sola bobina: la numero cinque, contenuta nella scatola tre, registrata trent'anni prima. Talvolta, però, quando il ricordo si fa triste, Krapp manda avanti il registratore con aria quasi infastidita dalle parole che vengono fuori. “L'ultimo nastro di Krapp” al Teatro Due di Parma L'ultimo nastro di Krapp in scena a Parma al Teatro Due, diretto da Massimiliano Farau, con l'interpretazione di Giancarlo Ilari. La messinscena dell'opera è molto fedele al testo beckettiano, soprattutto per quanto riguarda le didascalie. 12 Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, cit., p. 46. Ivi, p. 83. 14 Paolo Bertinetti, L'idea di teatro del secondo Novecento, in Samuel Beckett, Teatro, Torino, Einaudi, 2002, p. 17. 13 Lo spettacolo è stato allestito all'interno dello spazio minimo del Teatro Due: il piano sotterraneo del Teatro. Un ambiente piccolo, delimitato da colonne, con pareti completamente scure, un ambiente di per sé molto suggestivo e assolutamente adatto a questa messinscena. Nello spazio scenico, molto spoglio, è stato messo in risalto il continuo contrasto tra nero e bianco. Il vestito di Krapp, esattamente come viene descritto da Beckett, era bianco e nero: panciotto e pantaloni neri e camicia e scarpe bianche. Contrapposizione evidente anche per la scenografia: pavimento, pareti, scrivania e sedia neri, in forte contrasto con la luce bianca che proveniva dalla porta sul fondo. Un'altra luce bianca, posizionata sopra la testa di Krapp, illuminava le pagine bianche del registro che a loro volta illuminavano il viso dell’attore, creando un particolare effetto. Era come se queste pagine, piene di ricordi, volessero in qualche modo catapultare il protagonista nel suo passato, illuminandolo con i suoi ricordi. Tuttavia ne L’ulitmo nastro di Krapp questo contrasto tra bianco e nero corrisponde alla frattura dell'essere tra Luce e Ombra, ma è anche rappresentativo della Vita e della Morte. Nel personaggio di Krapp è infatti evidente questa contrapposizione tra Bene e Male, e ciò lo deduciamo anche dai brani del testo dove si parla delle donne con le quali il protagonista ha avuto a che fare nella sua vita. Queste donne sono sempre ritratte attraverso immagini di Luce e Ombra: Bianca, chiara di nome ma residente in Kedar Street (Kedar, in ebraico, significa nero) o la balia che Krapp ammirava da lontano ed è bruna, ma indossa una divisa bianca e spinge una carrozzella nera. Massimiliano Farau ha osservato: Fra le poche cose che Beckett, famoso per la sua reticenza sulla propria opera, ha detto a proposito dell'Ultimo nastro di Krapp è che ci sono tre temi che si intrecciano: il rapporto col femminile, la solitudine e l'opposizione fra luce e oscurità. Il ricorrere ossessivo dell'opposizione fra luce buio, fra bianco e nero, ha valenza simbolica di opposizione tra lo spirito e la materia, confronto strettamente rapportato con il femminile. In tutto il testo l'opposizione bianco/nero è fortissima, richiesta precisamente nelle didascalie e continuamente evocata. Da qui la decisione di fare uno spettacolo in bianco e nero. Forse questi elementi non verranno colti ad un livello conscio del pubblico, ma subliminalmente costringeranno lo spettatore a focalizzare l'attenzione anche su altre contrapposizioni molto forti che Beckett cercava: rumore e silenzio, staticità e movimento. Credo quindi che lo spazio, in cui si è svolta l'azione scenica, abbia perfettamente rispecchiato quello che è vero il significato dell'opera: in Krapp è come se il tempo e lo spazio si fossero fermati, ormai non si va più avanti, è giunta la fine. Ed è proprio da questo spazio chiuso e claustrofobico che lo spettatore, provando lui stesso un senso di oppressione, è consapevole che da lì Krapp non uscirà più. Naturalmente, parlando di questo spettacolo, non ci si può non soffermare sulla straordinaria interpretazione del grande Giancarlo Ilari che è riuscito a portare sulla scena una straordinaria carica di umanità personale, di malinconia e di emotività. La vecchiaia ha dei confini e quando capisci che sei arrivato alla sua fine, sai che sei vicino alla morte. Una bestia che a questa età ti sta sempre alle calcagna. Il gioco dell'interpretazione, l'entrare in un'altra realtà, in un altro cuore, in un'altra mente, in questo spettacolo non mi ha creato problemi particolari o difficoltà nel capire cosa frulla nella mente di quel Krapp... forse perché mi sento di dire che Krapp sono un po' io...