l`ultimo nastro di krapp

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Prosa
2012/2013
l’ultimo nastro di krapp
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2013
A cura dell’Area comunicazione ed editoria
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti
di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Mercoledì 27, giovedì 28 febbraio 2013 ore 20,30
Teatro Ariosto
Robert Wilson in
L’ultimo nastro di Krapp
di Samuel Beckett
Regia, scena e ideazione luci Robert Wilson
Costumi e collaborazione alla scenografia Yashi Tabassomi
Disegno luci A. J. Weissbard
Suono Peter Cerone e Jesse Ash
Collaborazione alla regia Sue Jane Stoker
Aiuto regia Charles Chemin
Direttore tecnico Reinhard Bichsel
Supervisione luci Aliberto Sagretti
Ingegnere del suono Jesse Ash
Direttore di scena Thaiz Bozano
Capo macchinista Violaine Crespin
Make up Claudia Bastia
Direttore di produzione Laura Artoni
Un progetto di
Change Performing Arts
commissionato da Spoleto52 Festival dei 2 Mondi e Grand Théâtre de
Luxembourg
prodotto da CRT Artificio, Milano
foto ©Lucie Jansch
Spettacolo in inglese con sottotitoli in italiano
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L’ultimo nastro di Krapp
Quando Beckett ascoltò per la prima volta la voce dell’attore irlandese Pat Magee, nel dicembre del 1957, la trovò incredibilmente
uguale alla voce che aveva immaginato avessero i suoi personaggi.
La coincidenza fu ancora più sorprendente perché Beckett ascoltò Magee alla radio mentre declamava alcuni passi tratti proprio
da suoi testi (in particolare Molloy e Da un’opera abbandonata).
Non è un caso, dunque, che nello stesso periodo le carte di Beckett
accolgano un nuovo lavoro teatrale dal titolo provvisorio di Magee
Monologue in cui il protagonista ascolta la sua stessa voce provenire da un registratore.
Ma L’ultimo nastro di Krapp (questo il titolo definitivo della pièce)
andrà ben oltre questa circostanza personale e si affermerà nel tempo come uno dei capolavori del teatro beckettiano. In questo atto
unico Beckett riesce a condensare, in una dimensione tragicomica e
con una stupefacente economia di parole e di gesti, il senso stesso del
rapporto tra l’Uomo e il Tempo e tra l’Artista e il fallimento dell’Arte.
Beckett immagina che Krapp, da giovane, abbia registrato un diario
sulle bobine di un magnetofono (un apparecchio che oggi è un pezzo da museo ma che all’epoca in cui fu scritto il testo era il massimo
della tecnologia). L’azione scenica ci mostra Krapp, ormai vecchio,
che in occasione del suo compleanno – come fa ormai da tempo
– ha l’abitudine di riascoltare le bobine registrate in gioventù e di
registrarne a sua volta una nuova. Il titolo dell’opera dichiara esplicitamente la dimensione definitiva dell’azione cui stiamo assistendo: quella che si compie alla fine della messinscena è la registrazione dell’ultimo nastro di Krapp, appunto. Krapp è ormai giunto alla
conclusione della sua vita. Non avrà più occasione di registrare un
nuovo nastro. La morte (o meglio, la fine, per usare un concetto più
strettamente beckettiano) è ciò che lo attende ormai.
Krapp è un artista. Beckett ce lo comunica a modo suo: conciandolo
come un clown (sebbene tutti i riferimenti nel copione che dovrebbero mostrarlo come un pagliaccio – naso rosso, scarpe lunghissime, ecc. – siano stati poi sempre attenuati nelle messe in scena,
a cominciare dalle produzioni dirette dallo stesso Beckett). Ma è
un tipo particolare di clown, un clown scrittore che – come capiamo ascoltando insieme al Krapp vecchio il nastro registrato più di
trent’anni prima – era convinto di trovarsi all’alba di una carriera
folgorante, di aver ormai ricevuto l’illuminazione che lo avrebbe
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consegnato alla gloria e ad una vita di altissima levatura spirituale. E perché questo si adempisse sceglieva di rinunciare alla vita
vera, all’amore, alle passioni quotidiane. (Per inciso: la notte di cui
parla la voce del giovane Krapp si ricollega chiaramente alla mitica notte che Beckett ha realmente vissuto nell’estate del 1945).
Si definisce qui il divario tra luce e ombra, tra corpo e spirito che
è una delle chiavi di lettura dell’opera, una chiave importante perché suggerita dallo stesso Beckett con una nota in calce al primo
copione in cui l’autore indicava l’elemento manicheista come una
“matrice culturale” dell’opera.
Il Krapp vecchio invece, quello che noi vediamo in scena, non è
altro che un fallito (Krapp si legge come il termine inglese crap,
cioè “merda”). L’illuminazione, la gloria, la vita d’artista non
hanno prodotto nessun effetto. L’unica opera scritta non ha venduto che una manciata di copie. In compenso tutto ciò cui aveva
rinunciato è andato perduto davvero. Krapp non sopporta più il
se stesso da giovane, lo deride, lo insulta. Se potesse si mostrerebbe a lui, vecchio e sfatto come è ora, afflitto da problemi di
stitichezza e di alcolismo, per fare vedere a quel “povero cretino” come si è ridotto. L’opera si conclude in modo estremamente desolato, con Krapp che guarda fisso il vuoto davanti a sé mentre nel registratore gira silenziosamente il nastro ormai finito.
Il personaggio di Krapp, nella storia della letteratura, si pone agli
antipodi rispetto al narratore della Recherche.
Nota Cascetta, riferendosi al Krapp di Beckett: “Il punto di arrivo dell’esistenza dello scrittore, come di ogni altra esistenza, è
l’esperienza della failure. Siamo lontani dall’approdo di Proust,
dall’orgogliosa affermazione di una paga felicità dello spirito che,
ricostruendo il passato, tocca l’eternità”. Qui, dunque, ricordare
non significa elevarsi bensì prendere atto del proprio fallimento.
Sul fronte della costruzione del testo, Beckett raggiunge in Krapp
uno dei vertici insuperabili nella fusione dei registri. Il rigore ieratico dell’idea scenica (un uomo che ascolta la sua voce) si fonde con le
gag da basso cabaret (Krapp che scivola sulla buccia di banana), il
sottotesto filosofico che guida l’azione si intreccia con la volgarità di
molte battute, humour e lirismo si accompagnano per tutta l’opera.
Il personaggio che ascolta la sua stessa voce è una delle icone beckettiane per eccellenza (lo ha evidenziato magistralmente Katharine Worth nel suo saggio Il rituale dell’ascolto) e sarà una delle cifre
dell’ultimo Beckett sia nel teatro (Quella volta, Dondoli, Passi) sia
nella narrativa (Compagnia) sia nelle produzioni televisive (… Nuvole…). Anche l’uso della voce registrata diventerà sempre più pre6
ponderante nel teatro beckettiano. In Krapp, per la prima e ultima
volta, Beckett decide di mettere in scena il mezzo che riproduce la
voce. La voce fuori scena non è ancora un elemento straniante (un
effetto speciale si potrebbe dire) ma un oggetto di scena pienamente
giustificato dal contesto. Bisogna considerare, come già detto, che
all’epoca il registratore era un apparecchio appena arrivato sul mercato e sicuramente non di uso comune. Beckett dimostrò una notevole lungimiranza nel travasare il gesto della scrittura in un medium
tecnologico (perché Krapp in fondo è uno scrittore che però affida il
suo diario non alla carta ma a bobine magnetiche). Così come sorprende l’efficacia con cui l’autore ha saputo descrivere la vecchiaia
di un artista fallito se si considera che quando scrisse L’ultimo nastro di Krapp Beckett era un giovane artista nel pieno del successo.
La prima assoluta del Krapp si tenne a Londra, al Royal Court Theatre, il 28 ottobre 1958 e il protagonista fu impersonato da Pat Magee, l’attore per il quale Beckett aveva concepito il testo. In Italia
uno dei maggiori interpreti di Krapp è senza dubbio Glauco Mauri
(in una messinscena del 1991 ebbe la geniale idea di usare i nastri
di una sua vecchia messinscena del 1961 dialogando così di fatto
con il se stesso di trent’anni prima). Da ricordare anche il lavoro di
Antonio Borriello che al Krapp ha consacrato una buona parte della
sua carriera di attore, realizzando anche un saggio critico (Edizioni
Scientifiche Italiane, 1992) e diversi studi.
Federico Platania
(da www.samuelbeckett.it)
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Squarciato da tuoni terrificanti tessuti di abbaglianti saette, alternate
a penombre inquietanti, Krapp è da solo davanti al suo magnetofono. Come per ogni suo compleanno, non sa rinunciare all’abitudine
di riascoltare le vecchie bobine registrate da giovane e inciderne una
nuova: un singolare diario dettato a se stesso con cui dialogare e confrontarsi costantemente. Questa però è un’occasione speciale. Krapp,
consapevole della fine, sa che è il suo ultimo nastro. Vaga senza meta
tra i luoghi della memoria. A tratti qualcosa lo inquieta, fa fatica a riconoscersi e, ossessivamente, schiaccia il tasto per tornare indietro
e riascoltare sempre lo stesso passaggio: uno scontro tra l’entusiasmo disincantato di trent’anni prima e l’amaro disincanto di oggi.
Nella spettrale e geometrica stanza-archivio disegnata da Wilson, la voce
di Krapp, con il viso ricoperto di biacca e un paio di calze rosse, si sgela e
diventa silenzio. Il Krapp di Wilson, attore e regista calamitante, con gesti concentrati e dilatati nel tempo, trascende il singolo personaggio, mascherandosi da metafora di un destino che pare attendere ciascuno di noi.
Luci rigorose e rumori amplificati danno corpo alle macerazioni emotive
taciute. È tardi per guardare indietro; non rimane che naufragare nell’impossibilità di essere felici.
Cosimo Manicone, Sipario
Intanto c’è l’incontro epocale tra Wilson e Beckett. «Dopo quasi 40 anni di
lavoro, ho accettato di confrontarmi con lui, con l’umore sottilee leggero di
Beckett, coi suoi punti di silenzio, col suo modo di sentire lo spazio» ha detto Wilson. E ha strutturato il luogo di Krapp come una rigida stanza-archivio, e ha impersonato Krapp come un androide col viso colmo di biacca alla
maniera dei prototipi classici del teatro Nô, per il fascino percepito sempre
nella lezione dei maestri orientali. Dopo l’ultima volta in cui il regista bionico e architettonico s’è spinto sulla ribalta, dopo l’Hamlet: A Monologue
del 1995, adesso così spiega la sua prestazione: «Recito per me. Solo questo
permette al pubblico di venire verso di me. Ed è importante che io abbia coscienza di ciò che è dietro di me. E i miei gesti devono essere lenti e stilizzati». Krapp/Wilson parrà un robot d’antica tradizione, riproporrà le posture
dei signori giapponesi del teatro, e metterà a segno sentimenti rallentati nel
maneggiare le bobine con i consuntivi degli anni trascorsi, fino al proverbiale nastro 3 bobina 5 con quella storia che finisce, che è esistenza remota.
E noi spettatori ci troveremo davanti a un genio della ridefinizione delle linee, delle parole rettilinee, delle musiche seriali e dei cromatismi lineari di
una delle più avanzate scienze della spettacolarità dell’ultimo mezzo secolo,
sotto forma, lui, di effigie ieratica, nipponica, espressionista e mutante, con
un Dna beckettiano, con un sapere di decenni che interrogano altri decenni. Com’è il bello della vita.
Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica
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Robert Wilson
ll New York Times ha definito Robert Wilson “una pietra miliare
del teatro sperimentale mondiale”. Il suo lavoro si serve di diverse
tecniche artistiche integrando magistralmente movimento, danza,
pittura, luce, design, scultura, musica e drammaturgia. I suoi spettacoli sono di un’altissima intensità estetica e di grande potenza
emotiva e gli hanno procurato il consenso generale del pubblico e
della critica in tutto il mondo. Ha ricevuto numerosi premi e onorificenze, tra cui due premi Guggenheim Fellowship (1971, 1980),
il premio Rockefeller Foundation Fellowship (1975), la nomination
per il Premio Pulitzer per la drammaturgia (1986), il Leone d’Oro
per la scultura alla Biennale di Venezia (1993), il premio Dorothy
and Lillian Gish alla carriera (1996), il Premio Europa di Taormina
Arte (1997) e il premio del National Design alla carriera (2001). È
stato nominato Commandeur des arts et des lettres (2002) e ha
ricevuto dalla città di Amburgo la Medaglia per le Arti e le Scienze
(2009) e il premio Hein Heckroth per la scenografia (2009).
Nato a Waco in Texas, ha studiato all’Università del Texas e nel
1963 arriva a New York per frequentare il Pratt Institute a Brooklyn. Comincia successivamente con la sua Byrd Hoffman School of
Byrds a sviluppare spettacoli di straordinario successo come King
of Spain (1969) Deafman Glance (1970) e The Life and Times of Joseph Stalin (1973) e A Letter for Queen Victoria (1974). Si è già rivelato una delle personalità più interessanti del teatro d’avanguardia newyorkese, quando la sua opera, Einstein on the Beach (1976),
scritta con Philip Glass, diviene un successo planetario, cambiando
la concezione convenzionale dell’opera come forma artistica.
Dopo Einstein, Wilson lavora con sempre maggiore frequenza in
Europa. In collaborazione con autori e interpreti di fama internazionale, Wilson crea spettacoli memorabili che vengono presentati
al Festival d’Automne a Parigi, alla Schaubühne di Berlino, al Thalia
Theater di Amburgo e al Festival di Salisburgo. Alla Schaubühne
mette in scena Death Destruction & Detroit (1979) and Death Destruction & Detroit II (1987); mentre al Thalia presenta il musical
rivoluzionario The Black Rider (1991) e Alice (1992). Ha inoltre applicato il suo sensazionale linguaggio teatrale alla creazione di produzioni liriche quali Parsifal ad Amburgo (1991) e Houston (1992),
Il flauto magico (1991), Madama Butterfly (1993) e Lohengrin
(1998) al Metropolitan di New York. Ha inoltre firmato I La Galigo
basato sull’omonimo testo epico indonesiano, presentato in teatri
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e festival di tutto il mondo a partire dal Lincoln Center Festival di
New York nel 2005.
Wilson continua inoltre a proporre in tutto il mondo le sue produzioni più acclamate, che includono The Black Rider (Londra, San
Francisco e Sidney); The Temptation of Saint Anthony (New York
e Barcellona); Erwartung (Berlino); Madama Butterfly (Bolshoi
di Mosca, Opera di Los Angeles e Muziektheater di Amsterdam);
l’Anello (Chatelet di Parigi). Per il Berliner Ensemble ha realizzato recentemente spettacoli di grande successo: l’Opera da Tre Soldi di Brecht/Weill e Shakespeares Sonette con musiche di Rufus
Wainwright. Entrambi presentati al Festival dei Due Mondi di Spoleto e in tour mondiali. Ha inoltre diretto l’intero corpus delle opere
di Monteverdi per il Teatro alla Scala di Milano e l’Opéra Garnier
di Parigi.
Il suo lavoro inoltre continua a essere legato al mondo dell’arte contemporanea. I suoi disegni, i progetti di oggetti di arredo e le installazioni sono stati esposti in musei e gallerie d’arte di tutto il mondo.
Il Centro Pompidou di Parigi e il Museum of Fine Arts di Boston gli
hanno dedicato una retrospettiva. Ha disegnato installazioni per lo
Stedelijk Museum di Amsterdam, il museo Boymans van Beuningen di Rotterdam, per Clink Street Vaults di Londra, per il MASS
MoCA e il Guggenheim di New York e Bilbao. Il suo straordinario
tributo al lavoro di Isamu Noguchi è stato recentemente presentato al Seattle Art Museum e la retrospettiva su Giorgio Armani dal
Guggenheim è stata poi presentata a Londra, Roma e Tokyo. Nel
2007 la Galleria Paula Cooper e Phillips de Pury & Co a New York
ha presentato la sua ultima avventura artistica, Video Portraits, ritratti che includono personggi come Gao Xingjian, Winona Ryder,
Mikhail Baryshnikov e Brad Pitt. La mostra è stata poi presentata
al Tribeca Film Festival (2006), al Montreal Film Festival (2008) e
in gallerie e musei a Los Angeles, Napoli, Mosca, Singapore, Graz,
Milano, Amburgo e sarà ospitata nei prossimi anni in altre sedi
espositive. I suoi disegni, i suoi video e le sue sculture fanno parte
di collezioni private e di musei in tutto il mondo. È rappresentato
dalla Galleria Paula Cooper di New York.
Ogni estate Wilson accoglie studenti e professionisti provenienti da
tutto il mondo per il programma estivo internazionale al Watermill
Center di Long Island – un laboratorio interdisciplinare dedicato
alle arti e scienze umane. Dal 2006 con l’inaugurazione di un nuovo
edificio che comprende sale prove, dormitori e residenze, ha dato
vita a un programma annuale di attività (www.watermillcenter.
org).
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GRUPPO BPER
Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono
realizzate con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori
Benemeriti dei Teatri
Vanna Belfiore, Deanna Ferretti Veroni, Corrado Spaggiari, Vando Veroni
Annalisa Pellini
Luigi Bartoli, Paola Benedetti Spaggiari, Bluezone Piscine, Franco Boni, Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri,
Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Insieme per il Teatro, Paola Scaltriti, Gigliola Zecchi Balsamo
Davide Addona, Giorgio Allari, Carlo Artioli, Maurizio Bonnici, Gianni Borghi, BST Studio Commercialisti Associati,
Andrea Capelli, Umberto Cicero, Francesca Codeluppi, Giuseppe Cupello, Emilia Giulia Di Fava, Ennio Ferrarini,
Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Alice Gherpelli, Marica Gherpelli, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Luigi Lanzi,
Paolo Lusenti, Franca Manenti Valli, Silvana Manfredini, Graziano Mazza, Clizia Meglioli, Ramona Perrone,
Francesca Procaccia, Teresa Salvino, Viviana Sassi, Fulvio Staccia, Alberto Vaccari
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