STORIA ROMANA – A 2016-2017 Introduzione alla storia di Roma (13) Mario e l’arruolamento dei capite censi CIL, XI 1831 = Inscr. It., 83 (Arretium); cfr. CIL, VI 1315 (Roma, foro di Augusto) C. Marius C.f. / co(n)s(ul) VII pr(aetor) tr(ibunus) pl(ebis) q(uaestor) aug(ur) tr(ibunus) militum / extra sortem bellum cum Iugurt(h)a / rege Numidiae co(n)s(ul) gessit eum cepit / et triumphans in secundo consulatu / ante currum suum duci iussit / tertium co(n)s(ul) absens creatus est / IIII co(n)s(ul) Teutonorum exercitum / delevit V co(n)s(ul) Cimbros fudit ex / iis et Teutonis iterum triumph[avit] / rem pub(licam) turbatam seditionibus tr(ibuni) pl(ebis) / et praetor(is) qui armati Capitolium / occupaverunt VI co(n)s(ul) vindicavit / post LXX annum patria per arma / civilia expulsus armis restitutus / VII co(n)s(ul) factus est de manubiis / Cimbric(is) et Teuton(icis) aedem Honori / et Virtuti victor fecit veste / triumphali calceis patricidi / [primus in senatum venit ---] Sall. Bellum Iugurthinum, 86 – 87, 1-3 [86] Huiusce modi oratione habita Marius, postquam plebis animos arrectos videt, propere commeatu, stipendio, armis aliisque utilibus nauis onerat, cum his A. Manlium legatum proficisci iubet. Ipse interea milites scribere, non more maiorum neque ex classibus, sed uti libido cuiusque erat, capite censos plerosque. Id factum alii inopia bonorum, alii per ambitionem consulis memorabant, quod ab eo genere celebratus auctusque erat et homini potentiam quaerenti egentissimus quisque opportunissimus, cui neque sua cara, quippe quae nulla sunt, et omnia cum pretio honesta videntur. Igitur Marius cum aliquanto maiore numero, quam decretum erat, in Africam profectus paucis diebus Vticam aduehitur. Exercitus ei traditur a P. Rutilio legato; nam Metellus conspectum Mari fugerat, ne videret ea, quae audita animus tolerare nequiuerat. [87] Sed consul expletis legionibus cohortibusque auxiliariis in agrum fertilem et praeda onustum proficiscitur, omnia ibi capta militibus donat; dein castella et oppida natura et viris parum munita aggreditur, proelia multa, ceterum leuia, alia aliis locis facere. Interim novi milites sine metu pugnae adesse, videre fugientis capi aut occidi, fortissimum quemque tutissimum, armis libertatem patriam parentisque et alia omnia tegi, gloriam atque divitias quaeri. Sic brevi spatio novi ueteresque coaluere, et virtus omnium aequalis facta. (86) Pronunciato un discorso di questo tenore, Mario, vedendo l'animo della plebe infervorato, si affretta a caricare sulle navi vettovaglie, denaro per le paghe, armi e altro materiale utile; con esse fa partire il suo luogotenente Aulo Manlio. Egli frattanto arruola soldati non secondo l'uso degli antenati e in base alle classi, ma accogliendo tutti i volontari, per la massima parte proletari. Alcuni affermavano che ciò era stato fatto per scarsità di cittadini abbienti, altri per il desiderio di popolarità del console, perché era stata proprio quella gente a dargli onore e prestigio. Del resto, per un uomo che aspira al potere i migliori sostenitori sono i più bisognosi, perché non hanno beni di cui preoccuparsi e ritengono onesto tutto ciò che dà guadagno. Mario, dunque, partito per l'Africa con un contingente considerevolmente superiore a quello prescritto, approda, entro pochi giorni, a Utica. Le consegne vengono fatte dal luogotenente Publio Rutilio: Metello, infatti, aveva evitato la presenza di Mario per non vedere con i suoi occhi ciò che non aveva sopportato neppure di ascoltare. (87) Il console, completati i ruoli effettivi delle legioni e delle coorti ausiliarie, si inoltra in un territorio fertile e ricco di bottino. Lascia ai soldati tutta la preda; attacca poi fortezze e città scarsamente difese dalla natura e dagli uomini; sostiene molti scontri qua e là, ma di scarso rilievo. Intanto le reclute si abituano a partecipare alla battaglia senza paura, vedono che chi fugge? catturato e ucciso, mentre i più valorosi hanno meno da temere; si rendono conto che con le armi non solo si proteggono libertà, patria, famiglia, tutto insomma, ma si conquistano anche gloria e ricchezza. Così in breve tempo reclute e veterani si amalgamarono e tutti si equivalsero per valore. Val. Max., Facta et dicta memorabilia, V, 2, 8 Nam C. quidem Marii non solum praecipuus, sed etiam praepotens gratae mentis fuit impetus: duas enim Camertium cohortes mira uirtute uim Cimbrorum sustinentis in ipsa acie aduersus condicionem foederis ciuitate donauit. quod quidem factum et uere et egregie excusauit dicendo, inter armorum strepitum uerba se iuris ciuilis exaudire non potuisse. et sane id tempus tunc erat, quo magis defendere quam audire leges oportebat. Il sentimento della riconoscenza in Gaio Mario fu non solo notevole, ma anche dettato da un impulso irresistibile. A due coorti di abitanti di Camerino, che avevano sostenuto con ammirevole valore l’urto dei Cimbri, egli concesse sul campo stesso, contrariamente alle regole del trattato, il diritto di cittadinanza. Dell’aver fatto ciò egli si scusò, con sincerità e in modo assai brillante, dicendo che in mezzo ai fragori della battaglia egli non aveva potuto percepire le parole del diritto civile. E davvero quelle erano circostanze in cui bisognava più difendere che dare retta alle leggi. La guerra sociale Vell. Pat., 2, 15-16 La morte di Druso provocò lo scoppio della guerra italica che già da tempo covava. Centoventi anni fa, quando erano consoli Lucio Cesare e Publio Rutilio (90 a.C.) tutta l’Italia prese le armi contro Roma. La rivolta fu cagionata dagli Ascolani che avevano ucciso il pretore Servilio e il suo luogotenente Fonteio e successivamente fu proseguita dai Marsi e si estese a tutte le regioni. Come fu atroce il destino di quelle popolazioni, così certamente erano giustissime le loro ragioni. Chiedevano infatti di essere cittadini di quella città della quale difendevano con le armi il dominio: “Si sobbarcavano ogni anno, per ogni guerra, un duplice contributo di fanti e cavalieri, senza venire ammessi a godere del diritto di quella città che, grazie a loro, era giunta proprio all’apice di una potenza che le permetteva di disprezzare come nemici e come stranieri uomini della sua stessa razza e del suo stesso sangue”. Questa guerra costò la vita a più di 300.000 giovani Italici. I più famosi comandanti militari furono Gneo Pompeo [Strabone], padre di Gneo Pompeo Magno, Gaio Mario, di cui ho già parlato, Lucio Silla, che nell’anno precedente aveva ricoperto la carica di pretore, Quinto Metello, figlio del Numidico, che aveva meritato il soprannome di Pio. […] Da parte degli Italici i condottieri più illustri furono Silone Poppedio, Erio Asinio, Insteio Catone, Caio Pontidio, Telesino Ponzio, Mario Egnazio, Papio Mutilo. Né io per modestia, mentre riporto la verità, toglierò alcunché alla gloria della mia famiglia. Molto onore in realtà si deve rendere alla memoria di Minato Magio, da Aeclanum, mio trisavolo; costui, nipote di Decio Magio, principe dei Campani ben noto per la sua lealtà, nel corso di questa guerra dette prova di così grande fedeltà a Roma che con la legione che egli stesso aveva arruolato in Irpinia conquistò, insieme a Tito Didio, Ercolano e assediò, insieme a Lucio Silla, Pompei e occupò Conza [in Irpinia] […] Alla sua ben nota dedizione il popolo romano rese pienamente onore donandogli a titolo personale la cittadinanza romana e creando pretori i suoi due figli, mentre ancora a quel tempo se ne creavano ogni anno sei. [Antologia delle fonti, V.4,T71] Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XXXVII, 11 Ὄμνυμι τὸν Δία τὸν Καπετώλιον καὶ τὴν Ἑστίαν τῆς Ῥώμης καὶ τὸν πατρῷον αὐτῆς Ἄρην καὶ τὸν γενάρχην Ἥλιον καὶ τὴν εὐεργέτιν ζῴων τε καὶ φυτῶν Γῆν, ἔτι δὲ τοὺς κτίστας γεγενημένους τῆς Ῥώμης ἡμιθέους καὶ τοὺς συναυξήσαντας τὴν ἡγεμονίαν αὐτῆς ἥρωας, τὸν αὐτὸν φίλον καὶ πολέμιον ἡγήσεσθαι Δρούσῳ, καὶ μήτε βίου μήτε τέκνων καὶ γονέων μηδεμιᾶς φείσεσθαι ψυχῆς, ἐὰν μὴ συμφέρῃ Δρούσῳ τε καὶ τοῖς τὸν αὐτὸν ὅρκον ὀμόσασιν. ἐὰν δὲ γένωμαι πολίτης τῷ Δρούσου νόμῳ, πατρίδα ἡγήσομαι τὴν Ῥώμην καὶ μέγιστον εὐεργέτην Δροῦσον. καὶ τὸν ὅρκον τόνδε παραδώσω ὡς ἂν μάλιστα πλείστοις δύνωμαι τῶν πολιτῶν. καὶ εὐορκοῦντι μέν μοι ἐπίκτησις εἴη τῶν ἀγαθῶν, ἐπιορκοῦντι δὲ τἀναντία. Giuro su Giove Capitolino, su Vesta di Roma, su Marte patrono della città, sul Sole generatore degli uomini, sulla Terra benefattrice di animali e piante, sui semidei fondatori di Roma, sugli eroi che insieme l’hanno resa grande e potente, giuro che l’amico o il nemico di Druso sarà anche il mio, giuro che non risparmierò né la mia vita, né i miei figli né i miei genitori, se lo richiederanno Druso e coloro che sono vincolati da questo stesso giuramento. Se diverrò cittadino grazie alla legge di Druso, considererò Roma la mia patria e Druso il mio più grande benefattore. Diffonderò questo giuramento presso il più alto numero di miei concittadini. Se manterrò il giuramento, mi possa arrivare ogni bene, se invece lo violerò, avvenga l’opposto! CIL, VI 3632 = 32991 = I2 708 cfr. p. 936 = ILS 29 = ILLRP 969 (Roma, via Laurentina): [C. S]ergius M.f. / Vel(ina) Mena, / [- S]ergius C(.f. Vel(ina) / quom Q(uinto) Caepione / proelio est occisus ( 90 a.C.), / C. Sergius [---] / C. Sergius [---] AE 2008, 473 (ager Reatinus – Falacrinae) [Quom insolens iniusteis] aarmeis Italia / [indeixit urbi bella impi]a et scelerata / [violato iure sancto div]om atque dearum / [---] Romaani / [--- magna quo]m virtute / [Italicos vicerunt u]nicae pat[riae] / [civitate donatos simul] contu[lere] // omnes fusseis fug[ateis hostibus laetantur] / liberatast Italia [a pereicleis magnis] / auctast praeda [facta rerum pecorumque] / maxsuma quom [copia auri argentique] / hisc(e) rebus bene ac[tis in proelis multis] / [ex v]oto tuo tibi s[ignum merito decretum] / [magistr]i ipsi iub[ent in hoc loco poni] App., Bell. Civ., I, 49 (212-214) Il senato allora, timoroso che la guerra, circondando i Romani da ogni parte, fosse incontrollabile, […] decretò che divenissero cittadini, cosa che sopra ogni altra praticamente tutti desideravano gli alleati italici rimasti ancora fedeli [90 a.C.]. Divulgato questo provvedimento fra gli Etruschi, costoro accolsero la cittadinanza con gioia. Con tale concessione il senato rese gi alleati già ben disposti ancora più favorevoli, rafforzò gli esitanti, attenuò l’ostilità di quelli che erano in armi, per la speranza di provvedimenti consimili. Tuttavia i Romani non iscrissero questi nuovi cittadini nelle trentacinque tribù allora esistenti nel loro ordinamento statale, affinché, superiori come erano per numero rispetto ai vecchi cittadini […] CIL, IX 6086, I = I2 848 = ILLRP 1089 (ghianda missile, da Corropoli [TE]) Itali // T. Laf(renius) pr(aetor). CIL, IX 6086 = I2 859 = ILLRP 1092 (ghianda missile, da Ascoli) Feri // Pomp(eium). CIL, I2709 = VI 37045 = ILLRP 515 (Roma, 89 a.C.) [C]n. Pompeius Sex. [f. imperator] virtutis caussa / equites Hispanos ceives [Romanos fecit in castr]eis apud Asculum a.d. XIV k(alendas) Dec(embres) / ex lege Iulia. In consilio fuerunt (seguono nomi di cittadini romani) // Turma Salluitana: Sanibelser Adingibas f., / Ilurtibas Bilustibas f., / Estopedes Ordennas f., / T[o]rsinno Austinco f. // Bagarensis: (seguono nomi) // Cn. Pompeius Sex.f. imperator / virtutis caussa turmam / Salluitanam donavit in / castris apud Asculum / cornuculo et patella, torque, / armilla, palereis et frumen[t]um / duplex. Cic., Pro Archia, 7 Data est civitas Silvani lege et Carbonis: "Si qui foederatis civitatibus ascripti fuissent; si tum, cum lex ferebatur, in Italia domicilium habuissent; et si sexaginta diebus apud praetorem essent professi." Cum hic domicilium Romae multos iam annos haberet, professus est apud praetorem Q. Metellum familiarissimum suum. Secondo la legge di (Marco Plauzio) Silvano e di (Gaio Papirio) Carbone la cittadinanza venne concessa: “a quelli che fossero iscritti nei registri anagrafici di una città federata, che avessero avuto domicilio in Italia all'atto della presentazione della legge e che si fossero fatti registrare dal pretore entro sessanta giorni”. Archia, che risiedeva a Roma ormai da molti anni, si recò dal pretore Quinto Metello, suo caro amico, perché lo registrasse. Ascon., 3 ed. Clark (In sentu contra L. Pisonem) Cn. Pompeius Strabo, pater Cn. Pompei Magni, Transpadanas colonias deduxerit. Pompeius enim non novis colonis eas constituit sed veteribus incolis manentibus ius dedit Latii, ut possent habere ius quod ceterae Latinae coloniae, id est ut petendo magistratus civitatem Romanam adipiscerentur. Cneo Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno fondò colonie al di là del Po. Lo fece non inviando nuovi coloni, ma conferendo la cittadinanza lartina (ius Latii) a coloro che già le popolavano, che rimasero dove già che essi stavano; ciò affinché essi potessero ottenere gli stessi diritti delle altre colonie latine, cioè che i loro cittadini potevano raggiungere la cittadinanza romana ricoprendo una magistratura nella propria città. CIL, I2 1722 = ILLRP 523 (Aeclanum [Mirabella Eclano]) C. Quinctius C.f. Valg(us), patron(us) munic(ipi), / M. Magi(us) Min(ati) f. Surus, A. Patlacius Q.f., / IIII vir(i) d(e) s(enatus) s(ententia) portas, turreis, moiros / turreisque aequas qum moiro / faciundum coiraverunt. [Appendice delle fonti, IV.5, T68] La dittatura di Silla App. Bell. Civ., I, 59, 266-267 (88 a.C.) Proposero che nessuna misura fosse più sottoposta ai comizi se prima non fosse stata esaminata dal senato, secondo un’antica norma da tempo disattesa. Proposero inoltre che le votazioni non avvenissero più per tribù, ma per centurie, come aveva stabilito re Servio Tullio. I due consoli (Silla e Q. Pompeo Rufo) ritenevano che grazie a questi due provvedimenti non ci sarebbe stata più possibilità di rivoluzioni, una volta che nessuna legge fosse sottoposta ai comizi prima che al senato, e le votazioni fossero controllate dai cittadini ricchi e benpensanti, piuttosto che da quelli poveri e facinorosi. Quindi sottrassero molte attribuzioni al tribunato della plebe, carica divenuta estremamente tirannica, e reclutarono trecento nuovi membri, scelti tra i migliori cittadini, nel senato, i cui ranghi si erano allora estremamente ridotti e che per questo aveva perso prestigio. [Appendice delle fonti, II.19, T87] App., Bell. Civ., I, 95-96 Egli [Silla] proscrisse subito in complesso 40 senatori e circa 1600 cavalieri. Sembra che sia stato il primo a compilare liste di coloro che voleva punire con la morte e a stabilire premi per gli uccisori, ricompense per i delatori e pene per coloro che nascondevano i ricercati. Dopo non molto aggiunse altri nomi di senatori a quelli già nelle liste. Di costoro alcuni, colti alla sprovvista, vennero uccisi là dove erano stati sorpresi, in casa, per via, nei templi; altri vennero portati di peso di fronte a Silla e gettati ai suoi piedi; altri furono trascinati e calpestati, mentre nessuno di quelli che vedevano osava pronunciare una parola per la paura, di fronte a questi orrori. Per altri vi fu l’esilio, per altri la confisca de beni. […] Vi furono molte uccisioni, bandi e confische anche tra gli Italici […] App., Bell. Civ., I, 98-100 (82 a.C.) … Silla scrisse a Flacco (interrex) di comunicare al popolo la sua opinione che in quel frangente riteneva utile per lo stato il ricorso alla dittatura, come non si faceva ormai da quattrocento anni. Consigliava poi che, una volta scelto un dittatore, il suo potere non avesse una durata stabilita, ma durasse per tutto il tempo necessario a ridare stabilità a Roma, all’Italia e a tutto l’impero, sconvolto da rivoluzioni e guerre. D’altronde lui stesso, senza frenarsi, aveva dichiarato questo alla fine della lettera, che gli sembrava di essere proprio lui la persona più utile alla città in quel frangente. Così scrisse Silla. I Romani […] elessero Silla tiranno con poteri assoluti, per quanto tempo volesse. Infatti il potere dei dittatori era una tirannide già in antico, ma con limiti di tempo stabiliti; ora invece per la prima volta poteva prolungarsi all’infinito, si era integralmente trasformata in tirannide. Aggiunsero per abbellire il titolo, che lo facevano dittatore perché proponesse le leggi da lui stesso ritenute utili e riorganizzasse la costituzione […] [Antologia delle fonti, II.19, T88] CIL, I2 724 = ILLRP 355 (Alba Fucens) L. Cornelio L.f. Sul[lae] / Felic[ei] dictato[ri] / publice statuta (scil. statua). App., Bell. Civ., I, 100, 466-468 (Silla) abrogò alcune leggi, altre ne propose. Vietò che si rivestisse la pretura prima della questura, e il consolato prima della pretura; e vietò che si rivestisse la stessa magistratura prima di un intervallo di 10 anni. Allo stesso modo ridusse il potere dei tribuni della plebe, privandolo di efficacia e vietando per legge che i tribuni potessero poi rivestire altre cariche […] Reclutò circa trecento dei migliori cavalieri in senato, decimato da rivoluzioni e guerre. [Antologia delle fonti, II.19, T90] Vell. Pat., II, 32, 3 (70 a.C.) In quello stesso anno (L. Aurelio) Cotta assegnò a senatori e cavalieri in parti uguali le corti giudicanti, che Gaio Gracco aveva tolto al senato per darle ai cavalieri, e Silla aveva trasferito da questi ultimi al senato. [Antologia delle fonti, II.19, T93] CIL, I2 1632 = ILLRP 645 (Pompeii, anfiteatro) C. Quintius C.f. Valgus, / M. Porcius M.f. duovir(i) / quinq(uennales) coloniai honoris caussa spectacula de sua / peq(unia) fac(iunda) coer(averunt) et colonis / locum in perpetuom deder(unt). [Appendice delle fonti, IV.5, T67] La rivolta di Spartaco App., Bell. Civ., I, 116 Fra i gladiatori che venivano alleati a Capua per gli spettacoli Spartaco, un trace che aveva combattuto in precedenza contro i Romani, passato dalla prigionia e dalla vendita tra i gladiatori, convinse circa 70 dei suoi compagni a lottare per la propria libertà piuttosto che per un pubblico spettacolo e, sopraffatte insieme a loro le guardie, si diede alla fuga, Armatisi con randelli e spade sottratti ai viandanti, si rifugiarono sul Vesuvio. Dopo aver accolto qui molti schiavi fuggitivi e anche dei liberi che venivano dai campi, iniziò a compiere scorrerie nelle zone vicine, scelti come suoi vice comandanti due gladiatori, Enomao e Crisso. Poiché egli divideva sempre la preda in parti uguali, in breve tempo raccolse un gran numero di seguaci.