1 Giunzioni Cellulari Il glicocalice è dotato di una carica netta negativa e quindi ci si aspetta che le cellule non possano attaccarsi l’una all’altra a causa della reciproca repulsione elettrostatica dei glicocalici. Ciò ovviamente non avviene grazie alle cosi dette giungioni cellulari ossia a delle specializzazioni di membrana che rende possibile e controlla i processi di adesione tra due cellule. non organizzate (glicocalice) Ca+2 indipendenti proteine CAM Ca+2 dipendenti occludenti giunzione cellulare strette o tight junction o zonulae occludentes facce aderenti o zonulae adhaerentes organizzate ancoranti desmosomi o maculae adhaerentes placche di adesione o contatti focali Specializzazioni membrana comunicanti superficie basale ancoranti giunzioni serrate o gap junction o nexus o maculae comunicatives emidesmosoma microvilli (cuticole, orletto striato o a spazzola in M.O.) superficie libera ciglia stereociglia Figura 1.1: Classificazione delle specializzazioni di membrana La specializzazione di membrana la ritroveremo anche sulla superfice libera luminare come microvilli, ciglia, stereociglia, etc. Qui ci occuperemo ora delle specializzazioni che 1.1. CLASSIFICAZIONE DELLE CLASSI DI ADESIONE 2 rendono possibile l’adesione cellulare e quelle che legano la cellula alla membrana basale e alla matrice extracellulare. La figura 1.1 riassume le classificazioni delle varie specializzazioni di membrana. 1.1 Classificazione delle classi di adesione Esistono due classi di contatti adesivi tra le cellule. Quelle non organizzate e quelle organizzate 1.1.1 Adesione tramite strutture non organizzate o non giunzionale Una prima classe composta da strutture non organizzate distribuite sulla superficie cellulare e sul glicocalice. Si suppone che l’adesione cellulare non giunzionale sia un prerequisito per la formazione dei sistemi giunzionali classici. Fanno parte dei sistemi di adesione non giunzionale quelli calcio dipendenti e calcio indipendenti. Adesione calcio indipendente Le molecole di adesione calcio-indipendenti sono chiamate proteine CAM (cell adhesion molecoles) e sono formate da proteine transmembrana che esterne ad essa o addirittura estrinseche, ne esistono di tipi diversi in tessuti diversi e inoltre possono essere in grado di legare anche le integrine. Esse hanno usualmente un imponente dominio extracellulare, un α–elice inclusa nella membrana e un corto o mancante dominio citoplasmatico. Rappresentano delle struttue simili alle gammaglobuline. Adesione calcio dipendente Le calcio-dipendenti, invece, fanno uso di tre tipologie di proteine: caderine, integrine, selectine. Le caderine, riscontrabili anche in giunzioni di tipo specializzato, sono una classe di proteine transmenbrana altamente glicosilate, formano legami intercellulari forti intrecciandosi con le protrusioni di caderine provenienti da altre cellule, mentre a livello della loro membrana plasmatica, dalla quale traggono origine, si ancorano al citoscheletro cellulare, in particolare a filamenti di actina e a filamenti intermedi, per mezzo di una proteina: la catenina. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.1. CLASSIFICAZIONE DELLE CLASSI DI ADESIONE 3 Le selectine sono presenti nelle cellule dotate di movimento e negli endoteli vascolari poiché esse sono in grado di creare legami in grado di scorrere l’uno rispetto all’altro, spesso sono coadiuvate dalle integrine; per esempio, i leucociti che legano per l’appunto gli endoteli vascolari. Le integrine infine mediano i legami soprattutto del tipo cellula-matrice; di quest’ultime, oltre che di calcio-dipendenti, ne esistono di magnesio-dipendenti. Una delle proteine ponte tra superficie cellulare e matrice extracellulare è la fibronectina che non appartiene al glicocalice e dalla funzione molto complessa. La fibronectina è una glicoproteina ad alto peso molecolare costituita da due catene identiche di circa 220 kD unite tra loro da ponti disolfuro. Ha una estremità che presenta un’alta affinità per le glicoproteine integrali di membrana dette anche recettori per la fibronectina mentre la restante parte della molecola, ricca di catene laterali oligosaccaridiche, ha affinità per il GAG extracellulari e per il collagene. I recettori per la fibronectina oltre a quelli per altri componenti della matrice extracellulare sono, nel complesso, indicate sotto il nome di integrine. 1.1.2 Adesione tramite strutture organizzate o giunzione classica La seconda classe, invece, è composta da complessi di adesione specializzati, in cui è possibile riconoscere strutture organizzate a livello funzionale. Nei vertebrati si distinguono in tre tipi: • Giunzioni occludenti (in latino zonulae occludentes, in inglese tight junctions) • Giunzioni comunicanti (gap junctions) • Giunzioni aderenti o di ancoraggio (zonulae adhaerentes, anchoring junctions; nel caso particolare dei desmosomi si dicono maculae adhaerentes) A seconda, invece, dell’estensione sulla membrana si distinguono tra: • A fascia o ’zonulae’: una zonula è una giunzione perimetrale che coinvolge una banda che circonda la cellula e consente l’adesione completa di tutta la superficie in cui è presente • Circoscritte o ’maculae’: le maculae sono dei dispositivi funzionali di forma rotonda o ovale che occupano una porzione circoscritta della superficie del plasmalemma. Analizzeremo ora, nel dettaglio questi tipi di giunzioni cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.2. GIUNZIONI OCCLUDENTI 4 Figura 1.2: Giunzioni cellulari principali 1.2 Giunzioni occludenti Le giunzioni occludenti (giunzioni strette o tight o zonulae occludentes) impediscono il passaggio dei fluidi tra le cellule andando a formare attorno al perimetro cellulare una cintura continua detta zonula. Sono particolarmente presenti negli epiteli di rivestimento (es.pelle) e negli epiteli intestinali per far sı̀ che non filtrino sostanze tra i vari ambienti. Nelle giunzioni occludenti gli spazi interstiziali sono annullati in corrispondenza dei punti nodali (strands); punti in cui i lembi di membrana che si affrontano sono saldamente coesi. La totalità delle membrane adiacenti è percorsa da ripetute serie di tali punti, sicché i lembi di membrana appaiono anastomizzati tra loro. Due sono le principali proteine integrali di membrana coinvolte: Claudina e Occludina, che sporgono sulla faccia esterna delle membrane e sono tra loro unite da legami non covalenti. Queste due proteine formano una cintura intorno alla cellula che nemmeno le proteine di membrana possono attraversare, dividendola quindi in due o più domini. Al microscopio elettronico quindi la zonula occludens appare come una struttura a tre binari elettrondensi: i due più esterni sono rappresentati dagli strati fosfolipidici più interni delle due cellule coinvolte nella giunzione, quello più interno è dato dalla fusione dei due strati fosfolipidici esterni delle due cellule. Di conseguenza la membrana cellulare nel suo insieme, a livello della giunzione occludente, assume un aspetto pentalaminare in quanto le tre bande elettrondense sono intercalate a bande elettron–trasparenti. A seconda del momento o del tipo di epitelio vi possono essere 1-2 punti nodali o fino a 8-10 bande. Nel primo caso la giunzione è detta leakly ed è parzialmente permeabile o lassa, nel secondo tight o chiusa. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.3. GIUNZIONI ADERENTI 5 Figura 1.3: Schema di una giunzione occludente. Le giunzioni occludenti svolgono una funzione sigillante, uniscono le due cellule adiacenti senza lasciare interstizi, in modo che le molecole idrosolubili non filtrino facilmente tra una cellula e l’altra. Sono localizzate generalmente all’apice di cellule polarizzate come quelle dell’epitelio intestinale e impediscono alle molecole presenti, ad esempio, nel lume dell’intestino di valicare la lamina cellulare; se una molecola deve passare dal lume intestinale all’interno dell’organismo o passare da cellula a cellula deve sottostare necessariamente all’azione di vaglio dei dispositivi della cellula. Tight junctions si trovano anche nell’epitelio pavimentoso non cheratinizzato dell’esofago umano. Le tight junctions appaiono evidenti, insieme alle zonulae adaerentes durante le infiammazioni come tentativo dell’epitelio di aumentare le proprie difese contro le sostanze tossiche presenti nel lume dell’organo che riveste. 1.3 Giunzioni aderenti Le giunzioni aderenti (ancoranti, di ancoraggio) interessando sia punti di ancoraggio intercellulari che tra cellula e matrice extracellulare, forniscono un supporto strutturale cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.3. GIUNZIONI ADERENTI 6 ai tessuti, come ad esempio i muscoli e le cellule dell’epidermide, andando a costituire nel tessuto un dispositivo tramite cui le forze applicate si scompongono secondo tante direttrici. In tale tipo di giunzione, le membrane non sono adese come nella occludente ma separate da uno spazio di 15 – 20 nm. Figura 1.4: Schema di una giunzione aderente. Essa sfrutta i filamenti actinici, differenziandosi in due tipi: le fasce di adesione (fascia adhaerens) e le zone di adesione (zonula adhaerens); le fasce d’adesione sono collegamenti che si stabiliscono tra una cellula e l’altra adiacente, grazie alle Caderine, proteine strutturali che sporgono nello spazio interstiziale delle cellule e si uniscono intersecandosi fra loro, mentre dal lato delle membrane cellulari sono legati ai filamenti actinici del citoscheletro tramite proteine transmembrana che fungono da ponte, quali le vincoline, le alpha-actine e le catenine (alpha, beta, gamma). Esse formano zona di adesione continua immediatamente sotto alle tight junctions. La Fascia adherens è simile alla zonula adherens ma meno estesa. Nelle giunzioni aderenti i due lembi di membrana che si affrontano corrono parallelamente tra loro e lo spazio interstiziale ha uno spessore di 15-25 nm. 1.3.1 Desmosomi Un desmosoma, o macula adhaerens è una giunzione di natura proteica tra cellule epiteliali adiacenti che salda i rispettivi citoscheletri (in particolare i filamenti intermedi) cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.3. GIUNZIONI ADERENTI 7 donando al tessuto di cui le cellule fanno parte resistenza alla trazione ed altri traumi fisici. Sono le giunzioni cellulari più conosciute perché al microscopio elettronico hanno una configurazione caratteristica ed erano già visibile in microscopia ottica, specialmente nel tratto spinoso dell’epidermide, descritti sotto il nome di noduli di Bizzozero. Essi hanno infatti un notevole spessore di 0, 1 . . . 0, 2 µm e può occupare una zona di membrana anche di 1 µm. Figura 1.5: Schema di un desmosoma. Immediatamente sotto la membrana plasmatica appare una zona marcatamente elettrondensa: essa è costituita da un addensamento di materiale proteico citoplasmatico che viene definito placca di adesione (formata dalle desmoplachine e dalle placoglobulina) cui convergono i filamenti intermedi del citoscheletro (principalmente filamenti di vimentina o cheratina negli epiteli, questi ultimi detti anche tonofilamenti), che si legano lateralmente alla placca di adesione per poi ricurvare con un andamento che può essere paragonato a quello di un arco a tutto sesto. Nello spazio interstiziale, dello spessore di 20 . . . 30 nm, compare una linea mediana elettrondensa determinata da proteine calcio-dipendenti (Caderine) quali desmocollina e desmogleina che si legano alla placca di adesione e alle loro omologhe in modo analogo rispetto a quanto descritto sopra per le giunzioni aderenti. Come le giunzioni aderenti, i desmosomi assolvono prevalentmente a funzioni meccaniche: grazie al decorso dei filamenti intermedi, le forze conseguenti a insulti meccanici vengono ben scaricate nel tessuto. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.3. GIUNZIONI ADERENTI 8 Il desmosoma si lega ai filamenti intermedi, fatti di cheratina, tramite una placca citoplasmatica composta da tre proteine chiamate desmoplachina I, II e placoglobina, che legano anche le proteine integrali di membrana desmocollina e desmogleina, alle quali spetta il compito di legarsi a proteine analoghe su di un desmosoma della cellula adiacente. Le proteine costituenti il desmosoma si possono classificare in base alla loro localizzazione. Pertanto si distingue una componente proteica citoplasmatica, una trans–membrana ed una extracellulare. I desmosomi si legano ai filamenti intermedi attraverso strutture proteiche citoplasmatiche quali: desmoplachine, proteine che si legano direttamente ai filamenti intermedi; placo globine, proteine che si legano direttamente a delle placofiline ed entrambe sono strettamente collegate alla desmoplachina. Pertanto il legame con i filamenti intermedi è mediato da queste tre proteine. Il legame extracellulare e quindi con la cellula adiacente avviene ad opera di proteine appartenenti alla famiglia delle caderine quali in particolare: desmogleina e desmocollina. Tali proteine sporgono dalla membrana plasmatica verso la matrice extracellulare entrando in mutuo contatto con le strutture omologhe adiacenti. I filamenti intermedi legati dalle desmoplachine possono variare in base al sito in cui ci si trova: nelle cellule epiteliali i microfilamenti legati alle desmoplachine sono principalmente le tono fibrille di cheratina, se ci si sposta in un cardiomiocita allora si vedrà come il filamento intermedio sia costituito da desmina, mentre nel caso del sistema linfatico sarà la vimentina il componente principale del filamento intermedio. Come per tutte le caderine, essendo queste calcio–dipendenti, esse possono essere inattivate da una drastica riduzione di calcio extracellulare. Per la loro struttura i desmosomi sono permeabili ai liquidi. Essi si trovano principalmente negli epiteli delle vie respiratorie, di quelle gastro–intestinali e di quelle uro–genitali. La loro funzione è confermata dal penfigo, una malattia cutanea caratterizzata da bolle a causa della perdita di adesione tra le cellule epiteliali dovuta alla produzione di anticorpi contro le desmogleine ed in cui, quindi, l’adesione trai cheratinociti è compromessa. 1.3.2 Emidesmosomi Gli emidesmosomi, che visti al microscopio elettronico appaiono morfologicamente simili a mezzo desmosoma, sono in realtà molecolarmente, e funzionalmente, alquanto diversi da essi. Negli emidesmosomi, come nei desmosomi, le desmoplachine si legano principalmente ai filamenti intermedi, ma le proteine di membrana coinvolte non sono caderine, bensı̀ integrine che, mediante altre molecole-adattatore, si legano con le fibre della lamina basale ancorando e incollando il tessuto epiteliale alla lamina basale. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.4. PLACCHE DI ADESIONE 9 1.4 Placche di adesione Le placche di adesione sono regioni del plasmalemma specializzate nell’adesione alla matrice extracellulare. Esse si trovano in aree membranose ristrette, da cui la denominazione alternativa di contatti focali, ove si attua la connessione tra l’actina, componente principale dei microfilamenti del citoscheletro, e la matrice extracellulare. Il collegamento è simile al caso delle giunzioni aderenti. Anche in questo caso i filamenti di actina non interagiscono direttamente con la proteina trans–membrana, una integrina, ma, raccolti in fasci dall’α-actina, interagiscono con altre proteine che ne mediano l’unione. Da studi effettuati sull’affinità tra α-actina e le altre proteine interessate sembra che essa si leghi alla tensina e all’HA1. Queste hanno poi affinità con la vincolina che sa come legare la talina che infine lega l’integrina secondo lo schema Figura 1.6: Schema interazioni tra proteine in giunzione comunicante. Infine l’integrina, proteina trans–membrana, sporgendo all’esterno, riesce a legarsi e connettersi con le proteine fibrose della matrice extracellulare quali fibronectina, laminina e collagene. Strutture simili alle placche di adesione si trovano, ad esempio, nei podosomi presenti negli osteoclasti che rappresentano le zone dove queste legano alla matrice ossea da distruggere. 1.5 Giunzioni comunicanti Le giunzioni comunicanti (o serrate o nexus o gap) possiedono canali proteici detti connessoni, che si aprono in risposta a determinati segnali chimici quali modificazioni del pH o della concentrazione degli ioni calcio, consentendo il passaggio di ioni o molecole cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 1.5. GIUNZIONI COMUNICANTI 10 di basso peso molecolare (fino a 1 kDa) tra due cellule. Quindi elevate concentrazioni di calcio o pH bassi tendono a chiudere la giunzione. Figura 1.7: Schema di una giunzione comunicante. I connessoni sono presenti su entrambe le facce delle membrane cellulari formando un’unica struttura con poro centrale; essi sono composti da un anello di sei monomeri di proteine integrali transmembrana, per faccia cellulare, dette connessine, di 7-8 nm di lunghezza, che si aprono e chiudono con un meccanismo simile a quello del diaframma di una macchina fotografica, in senso levogiro (antiorario). Le unità esagonali sporgono all’esterno della membrana cellulare che, nel caso di una gap junction, è dell’ordine di 2 . . . 4 nm. Il lume del connessone, in condizioni normali, ha un diametro di 2 nm. In esso le due porzioni del connessone aderiscono tra loro formando un canale che permette anche l’accoppiamento elettrico tra due cellule. In una giunzione comunicante il numero di connessoni varia da poche decine a qualche centinaio, con disposizione regolare. La differente struttura delle connessioni in differenti strutture cellulari, da 24 a 46 kD e il fatto che alcune cellule esprimono un’unica connessina mentre altre una miscela, rende conto che la perfetta connessione delle gap junctions può avvenire solo tra cellule accumunate da ruoli biologici sovrapponibili. Quindi, oltre alla funzione di trasporto, di uniformità di concentrazioni ioniche, trasporto del segnale, esse possono essere anche correlate al differenziamento dei tessuti. Già infatti allo stato di morula, tutte le cellule sono collegate da ga junctions. Probabilmente queste giunzioni sono anche in relazione all’accrescimento cellulare tant’è che cellule tumorali non hanno praticamente nessun gap junction con altre cellule. Questo tipo di giunzioni sono presenti nel tessuto muscolare liscio e ne tessuto cardiaco mentre sono assenti in quello scheletrico in quanto qui, il segnale nervoso, è diffuso direttamente ad ogni cellula, da singole terminazioni nervose. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2 Sintesi proteica 2.1 I ribosomi I ribosomi sono organuli citoplasmatici che, per il loro contenuto di RNA, sono responsabili della proprietà basofila del citoplasma. In microscopia ottica sono appunto visibili solo quando sono presenti in gran numero come nelle cellule nervose. La loro dimensione è infatti dell’ordine dei 15 . . . 30 nm. Essi si trovano liberi nel citoplasma o adesi al reticolo endoplasmatico conferendogli il carattere, in microscopia ottica, di rugosità. Nell’uno o nell’altro caso, quando sono attivi, si associano in gruppi detti poliribosomi o polisomi sotto forma di anelli di perle a rosetta, a spirale o a elica. Tra i ribosomi del polisoma si osserva un sottile filamento di 1 · · · 2 nm interpretato come mRNA visto che il filamento viene liso dalle ribonucleasi. I ribosomi sono formati da due unità: una subunità maggiore e una minore e il filamento di mRNA risulta incastrato tra le due subunità tantè che, utilizzando la ribonucleasi, ◦25 nucleotidi sono protetti dall’azione di questo enzima. I ribosomi legati al RER vi si uniscono tramite la subunità maggiore e la giunzione è parallela alla membrana del RER. I ribosomi sono la sede della sintesi proteica. I ribosomi liberi nel citoplasma sono la sede di produzione delle proteine strutturali ed enzimatiche destinate a rimanere nella cellula come elementi citoplasmatici mentre quelli adesi al RER sono deputati alla sintesi di proteine di secrezione, di membrana e liposomiali. Ecco perché le prime sono presenti principlamente nei linfociti, negli eritroblasti, nei reticolociti, nelle fibre muscolari mentre i secondi sono presenti principalmente nelle cellule ghiandolari a secrezione esterna, nelle plasmacellule e nelle cellule nervose. I ribosomi isolati hanno una struttura, dimensione e composizione uniforme in tutti gli elementi cellulari e sono formati da proteine e rRNA, sintetizzato nel nucleolo, con un rapporto, in peso, di 1:1 negli eucariotici e di 2:1 a favore dell’RNA nei procariotici. Nei ribosomi dei procariotici la costante di sedimentazione delle due subunità è di 50S e 30S mentre la versione attivata ha costante di sedimentazione di 70S. Negli eucariotici le costanti sono rispettivamente 60S, 40S e 80S. 2.2. TIPOLOGIE DI RNA 12 Nei 70S vi sono 3RNA, una subunità minore e due in quello maggiore mentre l’80S ha quattro rRNA, una nella subunità minore e tre in quella maggiore. L’rRNA ha un contenuto di basi G-C maggiore di basi A-U e, oltre alle quattro basi classiche, contiene anche versioni metilate oltre a una pseudouridina e metilribosio. Le proteine ribosomiali sono quasi tutte basiche. Il ribosoma 70S contiene circa 55 proteimne mentre l’80S ne contiene oltre 70. Sia le cellule eucariotiche che quelle procariotiche contengono inoltre, nel ribosoma, un piccolo RNA di 5S che si suppone abbia il compito di legare il tRNA. La modalità di interazione tra rRNA e proteine ribosomiali è poco conosciuta ma esse sono sicuramente intimamente connesse. 2.1.1 Morfologia del ribosoma Il modello di ribosoma prevede un’unità minore formata da una testa globulare unita ad un corpo da un collo stretto. Lateralmente al corpo vi è una sporgenza detta piattaforma che crea una fessura (cleft) dove, probabilmente, avviene l’interazione codone anticodone durante la sintesi proteica. Quella maggiore ha una corma di corona con tre protuberanze, una centrale voluminosa detta naso e due laterali, una più piccola e una più estesa detta stelo lunga circa 10nm e di 4 nm di diametro. Rimuovendo il substrato proteico la morfologia resta pressoché inalterata sintomo che lo scheletro del ribosoma è formato principalmente dall’rRNA. L’unione delle due subunità crea quattro zone o siti di legame, una per l’mRNA e 3 per il tRNA. La struttura del ribosom permette quindi di tenere lo stampo dell’mRNA allineato con le molecole di amminoacil–tRNA e la catena polipeptidica in corso di sintesi. Le molecole di tRNA si attaccano ai siti di legame E,P e A presenti nella subunità maggiore. Il sito P (polipetidico) è occupato da tRNA che porta l’intera catena polipeptidica coesa, il sito A (amminoacil) lega l’amminoacil–tRNA che porta l’amminoacido successiva nella catena e il sito E (exit) è il sito di uscita del tRNA che ha lasciato l’amminoacido sulla catena in sintesi. L’mRNA passa in un solco formato dall’unione delle due subunità. 2.2 Tipologie di RNA Esistono principalmente 3 tipi di RNA: mRNA, tRNA e rRNA. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.3. IL CODICE GENETICO 13 L’RNA messaggero (mRNA) è un singolo filamento praticamente non avvolto che porta l’informazione per la sintesi proteica dal nucleo dove l’ha trascritto dal DNA al ribosoma dove verrà tradotto in proteina. Gli RNA di trasferimento (tRNA), circa 45, consistono in un singolo filamento che, a causa di isolati legami idrogeno tra basi complementari, si ripiega su se stesso fino ad assumere, sul piano, una forma tipica a quadrifoglio. Ogni tRNA si lega ad un singolo e specifico amminoacido e lo trasporta al ribosoma. É la molecola che traduce il linguaggio dei codoni a tre lettere nel linguaggio degli amminoacidi. Gli RNA ribosomiali (rRNA) hanno forma globulare e rappresentano porzioni importanti della struttura dei ribosomi con funzioni catalitiche essenziali per la sintesi proteica. Esistono poi altri RNA minori tra cui gli: • scRNA (small cytoplasmic) tra cui l’scRNA 7S che assieme a 6 proteine, partecipa alla formazione dell’SRP (Signal Recognition Particel) responsabile del riconoscimento tra ribosoma e RER, • gli hnRNA (heterogeneous nuclear) precursori nucleari degli RNA citoplasmatici, • RNA primer che viene usato come primo elemento nella duplicazione del DNA per sopperire al fatto che la DNA polimerasi può aggiungere elementi solo dNTP (deossiribonucleotidi) al gruppo 3’-OH • snRNA (small nuclear) che partecipano alla maturazione degli RNA citoplasmatici come la rimozione degli introni • siRNA (small interference) che controlla l’espressione genica mediante soppressione selettiva dei geni • snoRNA (small nucleolar) che processa pre-mRNA nel nucleolo durante la produzione delle subunità ribosomiali • miRNA (micro) che inibisce la produzione degli mRNA coinvolti nella sintesi degli ormoni della crescita e dello sviluppo. 2.3 Il codice genetico Nella metà degli anni 50 divenne evidente, dimostrando che alterazioni di un sito del DNA comportava alterazioni in una determinata proteina, come il DNA rappresentava il punto di partenza per la sintesi proteica. Con la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, negli stessi anni, divenne altrsi evidente come il linguaggio della sintesi proteica fosse da ricercare nella combinazione cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.3. IL CODICE GENETICO 14 delle quattro lettere delle basi azotate che la compongono: le due purine, Adenina e Guanina, e le due pirimidiniche, Citosina e Timina. Essendo gli amminoacidi venti si suppose che ogni amminoacido fosse definito da una combinazione di tre basi, dette codone. L’evidenza sperimentale avvenne con la costruzione di mRNA con sequenze note che portarono sempre alla formazione di un dato amminoacido. Ad esempio, la sequenza 5’–UUU–3’ porta sempre alla formazione della fenilalanina. Per convenzione le sequenze sono sempre relative alla sequenza di basi sull’mRNA che è formato a partire dallo zuccero 5’ a quello in 3’. La sequenza sugli anticodoni del tRNA o sul DNA sono quindi complementari. Ad esempio 5’–AUG–3’ sul mRNA 3’–UAC–5’ sul tRNA 3’–TAC–5’ sul DNA che genera la sintesi della metionina. Essendo il numero di combinazioni di quattro lettere prese tra a tre pari a 64 ed essendo il numero di amminoacidi pari a 20 appare subito evidente come diverse sequenze di codoni codificano gli stessi amminoacidi. Usualmente si osserva che la differenza è spesso nell’ultima base del codone che quindi tende a non avere significato per la codifica dell’amminoacido e, ove per cui, mutazioni di tale elemento non compromette la corretta sintesi della proteina. Ad esempio UUU e UUC codifica sempre la fenilalanina ma occhio che invece UUA e UUG codificano invece la luicina che è poi codificata anche dall’intera famiglia CU*, quindi una regola generale non esiste anche se la tabella di codifica codone ⇔ è pressoché universale. Questa proprietà è detta degenerazione del codice genetico. Questo porto all’ipotesi del vacillamento del tRNA ossia all’idea che questa degenerazione fosse l’aspetto, lato mRNA che il 3 nucleotide dell’anticodone del tRNA, quello alla sua estremità 5’, potesse formare legami idrogeno con più di una base nella terza posizione dell’mRNA. Questo vacillamento fa si che vi siano varie forme accettabili di appaiamenti tra mRNA e tRNA durante la sintesi. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.4. I PROCESSI DELLA SINTESI PROTEICA 15 Un’altra cosa interessante che fu osservate è che tre sequenze, UAA, UAG e UGA, non codificano alcun risultato e vennero correttamente interpretate come codoni di stop o terminali della sintesi. Risultò altresı̀ che ogni sintesi proteica iniziava sempre con la sequenza AUG che corrisponde alla metionina negli eucariotici e alla formilmetionina nei procariotici anche se poi questo amminoacido, se la proteina non doveva iniziare con questo elemento, veniva rimosso dall’enzima deformilasi. 2.4 I processi della sintesi proteica La sintesi proteica è il risultato di alcuni processi chiave 1. trascrizione 2. maturazione 3. trasporto 4. attivazione degli amminoacidi 5. traduzione 6. modificazioni post–traduzionali In breve, un gene del DNA viene convertito in pre–mRNA, un tipo di hnRNA che, una volta maturato (splicing, capping e poliadenilazione) diviene mRNA attraversando la membrana nucleare e legandosi ai ribosomi. Parallelamente, nel citoplasma, gli amminoacidi si legano al tRNA che, avvicinandosi al ribosoma, si lega con una reazione codone–anticodone sull’mRNA. L’amminoacido ad esso legato si lega alla catena polipeptidica in via di formazione allungandola. Entriamo ora nel dettaglio di ogni singolo passaggio. 2.5 Trascrizione Il primo passaggio della sintesi proteica dal DNA, all’RNA fino al polipeptide è la trascrizione di una sequenza di DNA contenente un gene in una sequenza di RNA. La maggio parte degli RNA è sintetizzata grazie ad una della tre RNA–polimerasi. La RNA–polimerasi I catalizza la sintesi di quasi tutti gli rRNA; la RNA–polimerasi II catalizza la sintesi degli mRNA e la RNA—polimersi III catalizza la sintesi degli tRNA e del 5S degli rRNA. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.6. MATURAZIONE 16 La RNA–polimerasi, da uno stampo di DNA, localizza dei promotori sulle sequenze di DNA lette dal filamento 3’−→5’. Riconosciuto il corretto promotore l’RNA–polimerasi, utilizzando una RNA–elicasi, srotola il DNA ma non inizia subito la sua trascrizione. Durante la lettura, circa 25 coppie di basi a monte del codone di start della sequenza genica, si trova una sequenza costituita da circa 8 basi A-T detta TATA BOX, circondata da sequenze ricche di G-C. Una proteina del gruppo dei fattori di trascrizione (ossia a quelle proteine capaci di legarsi a brevi sequenze di DNA nelle regioni regolative dei promotori), la TFIID (fattore di trascrizione della RNA–polimerasi II), si lega alla TATA BOX e attiva la trascrizione della polimerasi. Questo rappresenta l’inizione della trascrizione dell’RNA messaggero. Come si vede, al contrario della DNA–polimerasi, l’RNA–polimerasi non richiede un primer RNA. La trascrizione avviene inserendo il primo nucleotide che mantiene tutti e 3 i gruppi fosfati sul 5’ e aggiungendo gli altri sui gruppi ossidrili in 3’ utilizzando l’energia dell’idrolisi di 2 gruppi fosfati del nucleotide che viene aggiunto. La trascrizione prosegue quindi duplicando il codone di start e proseguendo fino al codone di stop. Nei procariotici, raggiunto tale codone l’mRNA si stacca dalla RNA–polimerasi, completanto la sequenza di trascrizione. Negli eucariotici, la trascrizione prosegue oltre separandosi dalla polimerasi solo dopo circa 10 . . . 35 nucleotidi a valle di tale segnale. In definitiva il pre-mRNA cosi prodotto ha una cosi detta sequenza leader iniziale che contiene la codifica dei TATA BOX utili per l’allineamente e il legame con il ribosoma, il codone di inizio AUG, i codoni degli amminoacidi del polipeptide da sintetizzare mischiati agli introni (vedi splicing dopo), i codoni di stop UAA, UGA e/o UAG e una sequenza di trailing fino al 3’. 2.6 Maturazione Dopo la trascrizione e prima di poter abbandonare il nucleo, il pre-mRNA subisce la cosi detta maturazione che consta di queste fasi • capping • splicing • poliadenilazione cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.6. MATURAZIONE 17 2.6.1 Capping Gia durante la trascrizione, quando l’mRNA è lungo solo una trentina di nucleotidi, inizia un processo che porta l’aggiunta, all’estremità 5’, di un nucleotide insolito, la 7-metilguanosina che viene legato all’mRNA attraverso tre gruppi fosfato. Probabilmente il 5’ cap protegge l’mRNA da una precode degradazione. Nei procariotici che infatti non hanno tale processo, la vita media dell’mRNA nel citoplasma è di soli 2 minuti mentre nei mammiferi è di circa 10 ore. Inoltre i ribosomi eucariotici non si legano a mRNA senza 5’ cap. [aggiumngere immagine cercando 5’ cap structure su google images] 2.6.2 Poliadenilazione Al termine della trascrizione, nei pressi dell’estremità 3’, si viene trovare un lungo segmento di 20 . . . 250 nuclotidi adeninici. Tale coda è detta poliadenilata (poli-A). Entro un minuto dal termine della trascrizione, uno specifico segmento AAUAAA viene riconosciuto dall’enzima poliadenilato polimerasi che taglia il pre-mRNA circa 11 . . . 30 basi a valle di tale sequenza e la coda tranciata viene quindi unita alla molecola di poli-A. A tale sequenza si associano poi, ogni 10 . . . 20 basi della coda poli-A, dei monomeri di PABP (poliA–binding protein) creando cosi una catena di numerose unità proteiche il cui ruolo è ...... Sembra che la poliadenilazione abbia il compito di facilitare l’uscita dell’mRNA dal nucleo, proteggendo poi lo stesso dalla degradazione e favorendo il riconoscimento dell’mRNA da parte dei ribosomi. 2.6.3 Splicing Un gene del DNA ha sequenze di basi che non codificano amminoacidi della proteina finale. Tali regioni sono chiamate introni (sequenze interposte) al contrario dagli esoni (sequenze espresse). Il pre-mRNA rispecchia dunque tale struttura. Per diventare mRNA è necessario rimuovere le sequenze introniche e, dopo tali tagli, i pezzi di mRNA devono essere riuniti insieme. A tale processo si da il nome di splicing. Lo splicing avviene grazie ad un elemento nucleare detto spliceosoma, delle dimensioni circa di un ribosoma, formato da 5 snRNA dette U1, U2, U4, U5, U6. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.7. TRASPORTO 18 U1 ha una sequenza complementare alla sequenza lato 5’ dell’inizio di ogni introne, U2 ha la sequenza complementare per il termine dell’introne mentre U4, U5 e U6 provvedono a riunire i due pezzi divisi. Alcuni tipi di introni hanno una capacità di autosplicing senza interventi di spliceosomi o enzimi. 2.7 Trasporto In seguito alla maturazione del pre-mRNA in mRNA esso viene trasportato attraverso il poro nucleale nel citosol per incontrare il ribosoma legandosi ad almeno 20 diverse proteine e diventando cosi mRNP. Il trasporto dell’mRNP attraverso il poro nucleare avviene grazie al complesso esportatore dell’mRNA detto NXT1 che si collega alle RanGTP che, legandosi al 5’ cap, aiuta l’uscita. Esperimenti hanno effettivamente dimostrato che ad uscire dal poro è infatti prima la testa 5’ cap e poi la coda poli-A. 2.8 Attivazione degli amminoacidi Mentre l’mRNA si sta sviluppando nel nucleo, parallelamente e indipendentemente, un altro importante processo si sta realizzando nel citoplasma. Gli amminoacidi ivi presenti non hanno la più pallida idea di cosa sia un codone e quindi non avrebbero modo ne di agganciarsi ne tantomeno di farlo in maniera controllata secondo la sequenza trascritta nell’mRNA. Affinché ciò possa avvenire made natura ha dovuto dotarsi di un interfaccia tra il linguaggio degli mRNA, i codoni, e i 20 amminoacidi. Tale interfaccia è una molecola di tRNA. Il tRNA ha forma, sul piano, di un quadrifoglio con una foglia mancante nel sito dove inizia (3’) e finisce (5’) il tRNA. Il ramo 3’ sopravvanza il 5’ di 3 amminoacidi nella sequenza 3’–ACC... ed è proprio a questa estremità che si legherà un bene determinato amminoacido. proseguendo lungo la sequenza, troviamo una prima ansa (la foglia del quadrifoglio) denominata D perchè contiene un diuracile, che legherà l’enzima che coadiuverà l’associazione tRNA con l’amminoacido. L’ansa opposta a quella monca contiene l’anti–codone ossia la sequenza complementare di quella sull’mRNA di sintesi dell’amminoacido che l’ansa D ha fatto legare in 3’. Infine un’ultima ansa detta T in quanto contiene ???timina che sarà quella a legarsi al ribosoma. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 2.8. ATTIVAZIONE DEGLI AMMINOACIDI 19 Ricordiamo qui che alcuni codoni sono riconosciuti da più tRNA e che questa è alla base del vacillamento del codice genetico. Come avviene quindi l’associazione tra un dato amminoacido e un dato tRNA che contiene appunto l’anti-codone complementare al codone che sull’mRNA richiede la sintesi proprio di questo amminoacido? Tramite il processo detto di attivazione a cui partecipano il tRNA, l’amminoacido, una molecola di ATP e un enzima: l’amminoacil-RNA sintetasi. Questo enzima ha tre siti principali. Il primo sito lega l’ansa D di un tRNA, un secondo sito lega l’ATP e il terzo sito lega uno tra i 20 amminoacidi. Nel sito 2 e nel sito 3 l’enzima lega un ATP e l’amminoacido che subito si lega all’ATP, idrolizzando e liberando due gruppi fosfati (pirofosfato) e formando cosi un amminoacil– adenilato. Nel sito 1 va a posizionarsi un adeguato tRNA che trova il gruppo iniziale 3’ che inizia proprio per l’adenina. Tale adenina interferisce con l’adenina dell’AMP scacciando tale molecola e sostituendosi ad essa nel legame con l’amminoacido. A questo punto l’amminoacil-tRNA neoformata è libera di lasciare l’enzima. Affinché questo processo funzioni è quindi necessario che l’ansa D del tRNA debba essere strutturalmente correlata con l’anticodone, devono esistere differenti amminoacil-RNA sintetasi con diverse configurazioni per i siti 1 e 3 ma di modo che se in un si può associare un determinato tRNA con un anticodone per un determinato amminoacido, allora sul sito 3 deve potersi legare solo e soltanto quel particolare amminoacido. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 3 Lezione del 23.04.2012 3.1 Il rene Il rene è un organo di natura epiteliale in cui tutte le funzioni epiteliali si riassumono. Il rene infatti contiene degli epiteli di rivestimento, degli epiteli ghiandolari esocrini ed endocrini. Quindi in una struttura che è tipica che non possiamo che dargli un nome che struttura del rene. Come si organizzano? Il rene è un organo che presuppone che voi sappiate la macroscopica per capire la microscopica. Al contrario di come accade normalmente in cui si passa dal micro al macro. Ad esempio, come per il polmone, anche il rene ha una vascolarizzazione di tipo funzionale. Quindi, non solo una vascolarizzazione di tipo nutritizia. Normalmente, nella circolazione nutritizia, il sangue arterioso diventa venoso grazie agli scambi nel letto capillare. Nel rene e nel polmone invece la loro funzione è nell’organizzazione di un letto capillare non solo di tipo nutritizio ma anche funzionale ossia arriva l’arteriola, si sfiocca in tanti capillari e poi dopo torna ad essere arteriola e solo successivamente l’arteriola torna ad essere capillare e poi finalmente torna vena. Doppio letto capillare di tipo arterioso. Se ora si va a studiare la struttura del rene, con cellule cubiche di tipo mono-stratificato tubulari. La funzione di rene è una funzione di filtro e quindi la struttura tipica del rene legata alla filtrazione è il glomerulo renale. Com’è fatto. E’ tipico. E’ fatto da una capsula esterna di tipo endoteliare appiattito monostratificato di tipo pavimentoso che riveste una cavità detta capsula di Bowman e lo spazio di Bowman e poi c’è un groviglio di piccoli capillari in cui si percepiscono cellule endoteliari ma anche cellule tondeggianti, le cellule del sangue che ci passano dentro, Questo groviglio di capillari di tipo arterioso. Questa struttura si forma sfioccandosi da un’arteriola afferente e il sangue ritorna al di fuori di questo glomerulo in una arteriola efferente. Il sangue resta arterioso e quindi non è di tipo nutritizio. Come mai la natura ha scelto questa struttura per la filtrazione del sangue? Perché il sangue all’interno delle arteriole gira ad una pressione sostenuta per cui la pressione è sufficientemente alta per far si che il sangue possa filtrare tra i capillari fenestrati ossia 3.1. IL RENE 21 che hanno dei fori che lasciano uscire acqua grazie alla pressione. Tutto questo non avverrebbe se al posto delle arteriore avessimo delle venule perché la pressione venosa non sarebbe sufficiente a spremere l’acqua fuori dal capillare. Ora, le macromolecole non escono dai capillare fenestrati mentre le micromolecole possono uscire. Ad esempio, l’albumina non può uscire ed essendo la più piccola proteina nel sangue, se esce e si vede nell’esame delle urine allora è sintomo di problemi in questi fori. Quest’acqua che esce finché sulla superficie esterna delle cellule appiattite, i podociti, che presentano dei prolungamenti detti pseudopodi e che possono occludere i fori del capillare. La filtrazione è quindi, in un primo momento, controllato dai podociti. L’acqua esce e si raccoglie nello spazio di Bowman. Il filtrato glomerulare si raccoglie nello spazio di Bowman ad ogni battito cardiaco. Che fine fa questo liquido? Delle strutture successive dette tubuli (cavità e parete in struttura allungata) renali che costituisce l’intero parenchima del rene. I glomeruli sono nella corticale mentre tutti il resto del rene è fatto da una struttura tubulare che ha il compito di raccogliere questo liquido, di rielaborarlo, riassorbire l’acqua in eccesso, concentrando la soluzione, secernere attivamente sostanze che non passano nella filtrazione come l’urea e veicolano verso l’esterno, a livello dell’ilo renale, l’urina ormai formata viene condotto verso le vie urinarie. Andiamo ora a vedere le strutture tubulari del rene. Essi si classificano in tubuli prossimali e distali più una parte intermedia detta ansa di Henle. Il tubulo prossimale ha un andamento contorto perché in questo modo viene rallentato il passaggio del filtraggio glomerulare raccolto dallo spazio di Bowman permettendo il riassorbimento dell’acqua in eccesso. L’epitelio di tale struttura (dovrebbe essere cilindrico) ha microvilli e quindi orletto a spazzola in microscopia ottica. Da questo tubulo prosegue lineare e discendente e, nella parte in cui forma un’ansa, l’epitelio si assottiglia facilitando l’interazione con capillari ivi presenti. L’epitelio di questa struttura è monostratificato pavimentoso. Successivamente l’ansa ritorna su e riparte con un tubulo lineare ascendente che ha un rivestimento cubico con funzione esocrina di secrezione attiva di sostanze che ritorna ad essere contorto alla fine del percorso e diventa quindi tubulo contorto distale. Quest’ultima parte ha come funzione di gettarsi in un dotto collettore che raccoglie l’urina che raccoglie da tanti nefroni e si dirige poi, in maniera lineare verso le vie urinarie ossia i calici minori, i calici maggiori e poi la pelvi. Macroscopicamente, nella zona midollare sono apprezzabili delle strutture a punta dette piramidi. Il dotto collettore sbuca proprio all’apice della piramide, quindi ogni piramide ha tanti forellini che sono i dotti collettori. Ogni piramide è poi drenata dai calici minori che confluiscono nei calici maggiori e poi nella pelvi e quindi in continuità con l’uretea e poi nella vescica. Quindi l’unità funzionale del rene è il nefrone costituito cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 3.1. IL RENE 22 • glomerulo • tubulo condotto prossimale • ansa di Henle • tubulo condotto distale che va a drenare in un dotto collettore che attraversa la midollare ed esce all’apice delle piramidi renali ossia dotti e tubuli paralleli che vanno verso i calici. Si comincia quindi come vascolarizzazione, si prosegue come filtrazione e si conclude con la produzione dell’urina. Tutte funzioni che, come sappiamo, sono appannaggio del tessuto epiteliale nel parenchima renale. Il rene è un organo pieno con una capsula connettivale circondata da tessuto adiposo. Nelle forti anoressie tale tessuto tende a consumarsi e il rene diviene eptosico ossia tende ad appendersi. Spostandosi all’interno, corticale, troviamo una serie di glomeruli e tubuli che sono di tipo contorto prossimali o distali dato che entrambi si trovano corticalmente vicino al glomerulo renale. Spostandosi sulla midollare si percepiscono tubuli che vanno nella stessa direzione, ad andamento parallelo e, fra i tubuli lineari, troviamo i dotti collettori, che si dirigono verso gli apici delle piramidi e notiamo anche i vasi che passano tra io dotti collettori e i tubuli lineari per raccogliere il secreto dei dotti lineari. Quindi nella corticale del rene troviamo glomeruli e tubuli contorti, nella midollare troviamo tubuli paralleli circondati da vasi. Secrezione attiva a dispendio di energia quindi esocrina con produzione di energia e simil–endocrina perché vengono prodotte delle sostanze che vengono riversate sul sangue e vanno poi ad agire a distanza. La sede di produzione della renina, la sostanza tipica del rene, che agisce insieme all’insieme angiotensina e aldosterone che agisce sulla pressione arteriosa, è vicina al glomerulo detto apparato iuxtaglomerulare dove vi è, a livello del tubulo contorto distale, dove le cellule epiteliali da cubiche diventano cilindriche. In questa stessa sede vi è l’ingresso delle arteriole afferenti e l’uscita di quelle efferenti. Il glomerulo può essere descritto un po’ come l’epatocita, come una struttura che ha un polo vascolare dove entra l’arteriola afferente e esce l’efferente e un polo urinario dove si trovano i tubuli contorti. L’apparato iuxtaglomerulare si trova localizzato nel polo vascolare in quanto quelle cellule sono sollecitate da variazioni di concentrazioni ioniche e di pressione e in risposta sintetizzano la renina che si riversa nel sangue e regola, in circolo, la pressione arteriosa. Questa struttura cosi delicata è quindi regolata da questo apparato per evitare l’aumento della pressione arteriosa che porterebbe, come primo danno, alla fuoriuscita prima di cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 3.2. TESSUTO CONNETTIVO 23 proteina a causa dell’aumento della dimensione della fenestrazione capillare. Prima l’albumina,poi le altre, poi le piastrine, globuli rossi, bianchi e cosi via. Nei casi invece, ad esempio, di una infiammazione cronica, una produzione eccessiva di connettivo e quindi una chiusura dei fori che causa una riduzione della produzione di urina. I vasi rettilinei che accompagnano i tubuli renali sono detti, appunto, vasa recta. Riassumendo, il rene ha una doppia circolazione di tipo arterioso quindi i capillari diventano due volte arteriosi, una volta a formare il glomerulo e poi, la stessa struttura, viene usata come elemento nutritizio del rene. 3.2 Tessuto connettivo Cellule immerse in un’abbondante matrice extracellulare di forma differente (appiattita, tondeggiante). La matrice extracellulare è formata da una sostanza amorfa e da una componente fibrosa di tre tipi: • collagene • elastica • reticolare Ci sono le cellule proprie del connettivo, il fibroblasto, ossia quelle che lo producono. che, nei momenti di quiescienza si trasforma in fibrocita e poi ci sono cellule che usano il connettivo per il trasporto e per svolgere li le loro funzioni come i macrofagi che sono derivati dai monociti circolanti che sono la prima linea di difesa contro gli antigeni circostanti. I connettivi si dividono in • propriamente detti che hanno una funzione generica di sostegno, di nutrimento, di difesa, di riserva • specializzati con funzione di sostegno nutrimento Il connettivo si divide anche in • lasso in cui le fibre sono singole e predominano le fibre con poca sostanza amorfa e poche cellule • denso in cui le fibre sono accorpati e predominano i fasci e la sostanza amorfa e abbondanti cellule Nel connettivo denso, si divide in • fasci paralleli, per resistere a sollecitazioni in una determinata direzione (tendine) cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 3.3. SANGUE 24 • fasci intrecciati, a fasci disordinati per resistere a sollecitazioni superficiali in tutte le direzioni (derma) • fasci incrociati (cornea dell’occhio), con fibre ad angoli di 90 gradi La sostanza amorfa è la sede di scambi con il sangue quindi molta sostanza amorfa allora funzione nutritiva, molta sostanza fibrosa allora funzione di sostegno. 3.3 Sangue Cellule tondeggianti in fluido extracellulare si tratta di sangue. Una prima grossolana distinzione è tra cellule senza il nucleo ossia globuli rossi e cellule con il nucleo ossia globuli bianchi. Chiaramente le piastrine si vedono con difficoltà, che tendono ad ammassarsi, a coagulare in una parte del preparato. I globuli rossi, negli strisci possono anche trovarsi impilati. I globuli bianchi possono essere granulociti, linfociti, monociti. In particolare, i più frequenti, in uno striscio, si trovano cellule polilobate o polimorfo e sono polimorfonucleati o granulociti neutrofili. I nuclei sembrano polinucleati ma, in realtà i vari lobi sono comunque collegati l’uno all’altro. Ci sono poi cellule di dimensione leggermente più grandi dei globuli rossi e sono i linfociti, piccoli medi e grandi che hanno, come caratteristica, un filo sottile di citoplasma e tutto il resto e nucleo, tondeggiante e unico. Mentre i globuli rossi fanno la propria funzione nel sangue, i linfociti usano il circolo sanguigno per spostarsi e raggiungere la sede dove svolgeranno la loro funzione. Il tissuto linfoide primario è il midollo osseo e poi, utilizzando il circolo sanguigno, vanno a formare gli organi linfoidi, il timo, le placche del prayer, le tonsille, etc. Nel caso incontri un’antigene, esso si attiva per produrre anticorpi, diventando plasmacellula e va a inserirsi nella matrice connettivale. Ecco perché tra la popolazione di cellule del tessuto connettivale annoveriamo le plasmacellule, i linfociti T, i mastociti. Le caratteristiche dei granuli. Se il granulo assomiglia a quella del nucleo allora il granulo è acidofilo o eosinofilo mentre se il granulo ha colorazioni differente da quello del nucleo allora è basofilo. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4 Apparato riproduttivo maschile 4.1 Testicoli Il testicolo fa parte dell’apparato genitale maschile, in genere vien cosı̀ denominato negli animali cordati dove rappresenta la gonade maschile. I testicoli, o didimi, sono di forma ovale, misurano 3,5-5,5 centimetri di lunghezza, 3 centimetri circa di larghezza e 3 centimetri circa trasversalmente. Il peso dei testicoli di un adulto è di circa 30 grammi l’uno, anche se uno dei testicoli può essere un po’ più pesante e più grande dell’altro, e in genere pende un po’ più in basso. La ragione di questo fatto non è certa, ma potrebbe ragionevolmente essere quella di impedire ai testicoli di urtare l’uno contro l’altro. I testicoli hanno due funzioni: la produzione degli spermatozoi dal momento della pubertà sino alla morte, e la produzione degli ormoni sessuali maschili chiamati androgeni, tra i quali il testosterone è il più importante. La produzione degli ormoni da parte dei testicoli è evidente fin dalla nascita, ma aumenta enormemente intorno alla pubertà e si mantiene ad alto livello per tutta l’età adulta fino a manifestare una diminuzione durante gli ultimi anni di vita. La produzione degli spermatozoi non comincia fino alla pubertà, anche se segue il modello della produzione di ormoni riducendosi in età avanzata. Gli spermatozoi vengono prodotti in ogni testicolo in speciali strutture chiamate tubuli seminiferi in particolare dalle cellule del Sertoli. Questi tubicini sono al centro di ogni testicolo e sono collegati con una serie di condotti che convogliano lo sperma ad altri importanti organi e, alla fine, fuori dal pene, se ciò è richiesto. In ogni testicolo, vicino ai tubuli seminiferi, ci sono numerose cellule chiamate cellule interstiziali o cellule di Leydig. Esse sono responsabili della produzione dell’ormone sessuale maschile (testosterone) che viene secreto direttamente nei vasi sanguigni circostanti. Al momento della pubertà, la maggior parte dei cambiamenti che avvengono nel ragazzo è prodotta dalla maggior quantità di testosterone che scorre nel suo corpo. Durante l’eccitazione sessuale i testicoli aumentano di grandezza. Il sangue riempie i vasi sanguigni che si trovano in essi causando il loro ingrandimento. Dopo l’eiaculazione essi tornano alle loro normali dimensioni. Subito prima dell’eiaculazione i testicoli vengono tratti molto vicini al corpo. Dopo l’eiaculazione essi ritornano alla loro posizione usuale nello scroto. 4.1. TESTICOLI 26 Il medesimo avvicinamento dei testicoli al corpo avviene nei momenti di intensa paura, collera o quando l’uomo ha freddo. In questo modo, naturalmente, il corpo protegge questo meccanismo delicato e vulnerabile. I testicoli pendono fuori dal corpo per potere stare alla temperatura leggermente più bassa che è richiesta per la produzione dello sperma. Quando la stagione è molto calda o durante un bagno tiepido essi pendono più in basso del normale, lontano dal corpo e dal suo calore; al contrario, nella stagione fredda, essi si avvicinano al tepore del corpo per mantenere una temperatura ottimale. Se vengono tenuti alla temperatura corporea, i testicoli non sono più in grado di produrre spermatozoi e l’uomo diventa sterile. Quando i muscoli dell’uomo si tendono, per esempio quando egli si prepara a una fuga o a un’aggressione oppure subito prima dell’eiaculazione, un insieme di muscoli posto nello scroto spinge automaticamente i testicoli verso l’alto, questi sono la fascia cremasterica, la fascia spermatica interna e la fascia spermatica esterna. 4.1.1 Anatomia microscopica del testicolo Il testicolo è costituito dalla tunica albuginea e dalle sue dipendenze, da un parenchima costituito dai tubuli seminiferi, e dallo stroma che circonda i tubuli seminiferi e contenente quest’ultimo le cellule di Leydig a funzione endocrina. La tonaca albuginea è la tonaca più intima del testicolo, costituita da tessuto connettivo fibroso denso con fasci di fibre di collagene ad andamento parallelo; è resistente e inestensibile, spessa tra lo 0,5 e 1 mm, e all’esterno continua con l’epiorchio. Negli strati più superficiali troviamo fibrocellule muscolari lisce mentre negli strati più profondi troviamo fibre elastiche. Dalla faccia profonda dell’albuginea, detta tonaca vascolosa perché riccamente vascolarizzata, si dipartono dei setti convergenti verso il mediastino testicolare che si approfondano all’interno del testicolo delimitando circa 300 logge. Ciascuna loggia ha forma piramidale, con la base volta verso la superficie del testicolo e l’apice in corrispondenza del mediastino testicolare (dà passaggio alla rete testis). Il parenchima, di colorito roseo giallastro, riempe le logge, all’interno delle quali si organizza in lobuli. Ciascun lobulo contiene tubuli seminiferi contorti, le cui estremità si uniscono a formare i tubuli retti che sboccano nella rete testis, posta a livello del mediastino testicolare, una serie di tubuli riccamente anastomizzati. Dalla rete testis si dipartono circa 15-20 condottini efferenti che confluiscono a formare l’epididimo. I tubuli seminiferi contorti sono lunghi da 30 cm a 70 cm e occupano il poco spazio a loro disposizione grazie al loro andamento convoluto. La parete dei tubuli seminiferi è costituita da epitelio pluriseriato detto epitelio germinativo che poggia su una lamina propria. L’epitelio germinativo comprende accanto alle cellule germinali in diverso stato differenziativo le cellule del Sertoli, che sono cellule di sostegno. Le cellule del Sertoli sono cellule di derivazione mesodermica non spermatogeniche che oltre a sostenere e a nutrire gli spermatozoi svolgono importanti funzioni endocrine. Si estendono per tutto lo spessore dell’epitelio con la base che poggia sulla membrana basale e l’apice verso il lume; l’apice presenta delle infossature entro cui sono cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4.1. TESTICOLI 27 contenute le teste degli spermatidi in via di sviluppo. Sono riconoscibili per il nucleo triangolare con nucleolo evidente e cromatina dispersa. Le cellule del Sertoli sono unite da complessi giunzionali, tight junctions, che suddividono l’epitelio germinativo in due compartimenti conosciuti come basale e come luminale. Le cellule del Sertoli mediano quindi gli scambi metabolici tra il compartimento luminale degli spermatidi quello sistemico costituendo una barriera ematotesticolare che isola gli spermatidi dal resto dell’organismo, proteggendoli dal sistema immunitario. Il citoplasma è acidofilo, con gocciole lipidiche, scarso RER e abbondante REL. Sono talora visibili aggregati proteici noti come corpi di charcot bottcher. Troviamo anche lisosomi primari e secondari. Le cellule del Sertoli mediano la spermatogenesi e la spermiazione, riassorbono i corpi residui tramite fagocitosi. Svolgono anche funzione endocrina: producono ABP (Androgen Binding Protein), sotto lo stimolo dell’FSH ipofisario che concentra il testosterone favorendo la spermatogenesi; secernono inibina che agisce con feedback negativo a livello ipotalamo ipofisario. Le cellule germinali sono cellule in vario stadio differenziativo. Quelle in stadio precoce di sviluppo si trovano perifericamente mentre quelle negli stadi tardivi prospettano verso il lume. Il processo attraverso il quale gli elementi cellulari passano dalla periferia al lume prende il nome di spermatogenesi. Dura 74 giorni circa e comprende la spermatogoniogenesi (proliferazione per mitosi delle cellule germinali primitive, da cui originano gli spermatociti primari), la spermatocitogenesi (divisione meiotica degli spermatociti primari a formare spermatociti secondari e da questi gli spermatidi) e la spermiogenesi (differenziazione degli spermatidi in spermatozoi maturi, non si hanno fenomeni moltiplicativi). Nello stroma vi sono le cellule di Leydig che producono sotto lo stimolo dell’ormone ipofisario LH o ICSH ormoni androgeni, dei quali il testosterone rappresenta il prototipo. 4.1.2 Struttura delle vie seminali • Tubuli retti – Corti e rettilinei – Trasportano gli spermatozoi alla Rete Testis – Cellule del Sertoli all?inizio, poi epitelio cubico, con corti e tozzi microvilli • Rete Testis – Sistema di spazi labirintici – Epitelio cubico semplice, corti microvilli • Dotti efferenti – 10-20, corti tubuli che portano dalla rete testis all?epididimo cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4.2. EPIDIDIMO 28 – Zone di epitelio cubico semplice alternato a colonnare cigliato ∗ Riassorbimento secrezioni Sertoli e movimento degli spermatozoi 4.2 Epididimo L’ epididimo è una parte dell’apparato genitale maschile dell’uomo e di tutti gli altri mammiferi maschi. È un dotto di piccolo diametro, lungo 4-6 cm, e strettamente avvolto che collega i dotti efferenti dal retro di ogni testicolo al suo dotto deferente. Disposto lungo la faccia posteriore del testicolo Può essere diviso in tre regioni principali • la testa (caput). Unione di 15-20 dotti efferenti, numerosi riavvolgimenti • il corpo (corpus). Unione di 15-20 dotti efferenti, numerosi riavvolgimenti • la coda (cauda). Perde la morfologia e si continua nel dotto deferente 4.2.1 Immagazzinamento di spermatozoi Gli spermatozoi che si sono formati nei testicoli entrano nella testa dell’epididimo, avanzano verso il corpo e alla fine giungono nella regione della coda, in cui vengono immagazzinati. Gli spermatozoi che entrano nella testa dell’epididimo sono incompleti mancano della capacità di muoversi in avanti (motilità) e di fecondare un ovulo. Durante il loro transito nell’epididimo, gli spermatozoi subiscono processi di maturazione a loro indispensabili per acquisire queste funzioni. La maturazione dello spermatozoo viene completata nel tratto riproduttivo della donna (capacitazione). Durante l’eiaculazione, gli spermatozoi scorrono dalla porzione più bassa dell’epididimo (che ha la funzione di serbatoio d’immagazzinamento). Essi sono cosı̀ stipati che non gli è possibile nuotare, ma sono trasportati, grazie all’azione peristaltica di alcuni strati muscolari all’interno del dotto deferente, e si mischiano con i fluidi diluenti delle vescicole seminali e di altre ghiandole accessorie prima dell’eiaculazione (formando lo sperma). 4.2.2 Istologia E’ formato da un epitelio pseudostratificato. È una delle sole due regioni del corpo ad avere stereociglia (l’altra è l’orecchio interno). All’esterno possiede una muscolatura liscia per le contrazioni peristaltiche. Le cellule basali sono: • Forma poligonale o piramidale cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4.3. CELLULE DEL SERTOLI 29 • Nucleo tondo, abbondante eterocromatina • Citoplasma pallido, pochi granuli • Nucleo ovale, irregolare, più chiaro • RER e Golgi abbondanti • Numerose vescicole pinocitotiche • Stereociglia • Riassorbono fluido e fagocitano residui di citoplasma • Producono Glicerofosfocolina inibisce capacitazione 4.3 Cellule del Sertoli Tappezzano i tubuli seminiferi e fungono da sostegno e nutrimento per le cellule germinative. Partecipano alla regolazione della spermatogenesi. 4.3.1 Istologia • Cellule colonnari alte • Membrane laterali, numerose pieghe • Membrana apicale, numerose pieghe proiettano all?interno del lume • Nucleo ovale, chiaro, alla base della cellula, grosso nucleolo centrale • Giunzioni occludenti formano due comparti – Basale, sottile, disposto all?esterno delle giunzioni circonda l?Adluminale • Barriera emato-testicolare – Protegge gameti in via di sviluppo dal sistema immunitario 4.3.2 Funzione • Supporto nutrizionale e strutturale • Fagocitosi del citoplasma • Formazione Barriera Emato-testicolare • Sintesi e secrezione Proteina legante gli androgeni (ABP) che aumenta concentrazione di testosterone nei tubuli cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4.4. CELLULE DEL LEYDIG 30 • Sintesi e secrezione Ormone anti-mulleriano che produce differenziazione maschile • Sintesi e secrezione Inibina che inibisce rilascio di FSH dall?Ipofisi • Secrezione medium ricco di fruttosio, nutrimento e trasporto spermatozoi • Sintesi e secrezione Transferrina testicolare 4.4 Cellule del Leydig 4.4.1 Istologia • Cellule interstiziali, poligonali • Distribuite nel connettivo 4.4.2 Funzione Tipiche cellule produttrici di steroidi • Mitocondri con creste tubulari • Esteso REL e Golgi • RER e gocce lipidiche, ma non vescicole secretorie • Testosterone secreto immediatamente appena prodotto • Cristalli di Reinke a causa di proteine cristallizzate nel citoplasma 4.5 Sperma E? composto da Spermatozoi e Fluido Seminale. Il Fluido seminale comprende il 95 per cento dello sperma. Prodotto dalle ghiandole sessuali accessorie • Vescichette seminali • Prostata • Ghiandole bulbo-uretrali Ha funzione di nutrire e proteggere gli spermatozoi. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36 4.6. PERCORSO DEGLI SPERMATOZOI 31 4.6 Percorso degli spermatozoi Dal testicolo gli spermatozoi passano nell’epididimo, che è costituito da un lungo tubulo spiralizzato sopra il testicolo ed è circondato da un sottile strato circolare di fibre di tessuto muscolare liscio. Dall’epididimo passano nel vaso deferente, dove si accumulano. Il vaso deferente, che è un prolungamento dei tubuli strettamente spiralizzati dell’epididimo, va da ogni testicolo verso la cavità addominale. I vasi deferenti sono ricoperti da uno spesso rivestimento costituito da tre strati di tessuto muscolare liscio, le cui contrazioni spingono gli spermatozoi in avanti. (la vasectomia consiste nel legare le due estremità dei vasi deferenti). Nella parte posteriore della cavità addominale i vasi deferenti girano intorno alla vescica dove si uniscono ai dotti delle vescicole seminali. I vasi deferenti provenienti dal testicolo entrano nella prostata dove confluiscono nell’uretra, che si estende per tutta la lunghezza del pene. L’uretra è un condotto che viene utilizzato sia per l’escrezione dell’urina sia per la fuori uscita degli spermatozoi, o eiaculazione, processi che però non vengono mai contemporaneamente. A mano a mano che gli spermatozoi procedono lungo questo percorso, a loro vengono addizionati dei liquidi provenienti dalle vescicole seminali e dalla prostata. Le vescicole seminali secernono un liquido ricco di fruttosio che nutre gli spermatozoi; questo liquido contiene anche un’elevata concentrazione di prostaglandine che stimolano le contrazioni dell’apparato femminile le quali facilitano la risalita degli spermatozoi nell’utero. cc BY-NC-SA c 2012 Emiliano Bruni ([email protected]) Copyright Rev. 414 del 2012-05-11 03:36