AGRICOLTURA, DISPONIBILITA’ DI CIBO E ACQUA: IMPATTO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI E POLITICHE DI MITIGAZIONE di Pierluigi Adami, coordinatore scientifico Ecologisti Democratici aprile 2015 Indice 1. 2. 3. 4. Cambia il clima del pianeta, cambierà il mondo agricolo Gli effetti più rilevanti dei cambiamenti climatici in agricoltura Effetti sulla disponibilità di acqua, sulle specie acquatiche e sulla pesca Effetti sulla disponibilità di cibo e sicurezza alimentare 4.1 L’impronta idrica dei principali alimenti 5. Misure di mitigazione nel comparto agroalimentare e forestale 6. Situazione in Europa 7. Situazione in Italia 1. Cambia il clima del pianeta, cambierà il mondo agricolo I cambiamenti climatici e il riscaldamento globale sono già in atto: tra il 1951 e il 2010, la temperatura superficiale è aumentata tra +0,5°C e +1,3°C i. A seconda del livello di emissioni dei gas serra nei prossimi anni, l’aumento della temperatura entro la fine del secolo, rispetto all’era pre-industriale, potrà essere compreso tra +2°C e sino a oltre 4°C nello scenario peggiore, in assenza di misure di riduzione delle emissioni di gas. Con l’aumento del riscaldamento globale gli effetti saranno severi, pervasivi e irreversibili (IPCC); hanno già un impatto, sia pur ancora moderato, sulle produzioni agricole e ittiche. Tale impatto si accentuerà nei prossimi decenni e, in alcune zone del pianeta, potrà essere a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento di cibo e di acqua potabile. I cambiamenti climatici si caratterizzano per fenomeni come l’aumento della temperatura superficiale terrestre e degli oceani, dell’atmosfera, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari e l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi come le ondate di calore e, in alcune zone, delle piogge. Sono a rischio alcuni servizi ecosistemici fondamentali come l’assorbimento del carbonio, la resistenza del territorio alle alluvioni e al dissesto idro-geologico, nonché delle infrastrutture di trasporto e delle reti energetiche. L’aumento della temperatura oltre i +2°C, dell’umidità nell’aria e dell’evapotraspirazione dalle piante e dal suolo, avranno un impatto sempre più rilevante sulla produzione agricola mondiale, sulla sua quantità e qualità. In alcune aree, soprattutto alle basse latitudini dove è già maggiore la povertà, potrà essere ridotto o compromesso lo sviluppo di coltivazioni alimentari, con conseguenze sulla mortalità per fame e aumento di ondate migratorie i. Vi sono già impatti severi sulla qualità e disponibilità di acqua: la siccità, l’aumento di temperatura, le piogge estreme e le alluvioni comportano danni alle falde, aumento del carico inquinante, danni a impianti di depurazione, fuoriuscita di reflui non trattati, ecc. L’aumento della temperatura causa fitopatie, sviluppo di organismi nocivi, accelerazione del ciclo vegetativo con ripercussioni sulla ricchezza e la qualità dei semiii. A parziale compensazione, in alcune aree, in particolare quelle settentrionali dell’emisfero Nord, gli effetti dei cambiamenti climatici potranno provocare temporanei aumenti della produzione agricola e delle rese dei seminativi, e un aumento della gamma delle colture possibili, con estensione verso nord del limite di coltivazione di alcune specie vegetali (ad es. vigna e ulivo). Con il procedere del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacci, alcune zone ora ghiacciate potranno diventare coltivabili. L’entità di questi benefici in alcune zone del pianeta è ancora incerta e limitata nel tempo, ma tutte le previsioni sono unanimi nel ritenere che, dopo il 2050, l’effetto dei cambiamenti climatici, della riduzione della disponibilità idrica, porterà a una riduzione globale della produttività agricola i. Ciò potrà avere severe conseguenze per l’approvvigionamento di cibo e di acqua potabile in un contesto di crescita della popolazione che si prevede superi i 9 miliardi nel 2050 1. 2. Gli effetti più rilevanti dei cambiamenti climatici in agricoltura Il riscaldamento globale sta già mettendo a rischio specie vegetali, animali ed ecosistemi con basso livello di adattamento. Anche un aumento medio di 1-2°C può aggravare i rischi, che diventerebbero molto alti in termini di perdita di beni e servizi ecosistemici con un aumento di 3°C.iii I rischi per il mondo agricolo non sono diffusi omogeneamente, ma hanno un impatto più forte proprio nelle aree già più svantaggiate e meno sviluppate del pianeta. In particolare il rischio è più grave per le aziende più piccole, con minore capacità di adattamento, di informazione e previsione della variabilità climatica, bassa capacità di fronteggiare attacchi di organismi nocivi, minori competenze agronomiche, minore informatizzazione e aggiornamento tecnologico. C’è il rischio della perdita dei livelli di sussistenza nelle aree rurali meno sviluppate per la carenza di acqua potabile e per l’irrigazione, e di riduzione della produttività agricola, in particolare per i piccoli coltivatori e allevatori nelle aree semi-aride. Tutti gli aspetti della sicurezza alimentare subiranno l’effetto dei cambiamenti climatici, incluso l’accesso al cibo e la stabilità dei prezzi iii. L’anticipazione del ciclo vegetativo può essere un problema per le colture perenni (alberi da frutto, ulivo, canna da zucchero, leguminose come l’erba medica, ortaggi come i carciofi e gli asparagi ecc.), il cui calendario colturale è meno adattabile al cambiamento climatico rispetto ai seminativi; le colture perenni risentono molto anche dei fenomeni meteo estremi, che possono danneggiare impianti e produzioni per molti anni. Con l’aumentare delle temperature, per queste coltivazioni ci si aspetta un maggior fabbisogno idrico e una maggiore vulnerabilità ad attacchi di parassiti iv . Nelle zone tropicali e temperate, la produzione delle principali colture (frumento, mais, riso) potrebbe risentire in negativo con un riscaldamento superiore a 2°C. La minore disponibilità idrica e l’aumento della siccità in alcune zone potrà ridurre la produzione di colture irrigue; la produzione di ortaggi è particolarmente a rischio, visto che richiedono irrigazione e le loro rese risentono anche di piccole variazioni della temperatura. Il previsto cambiamento del regime monsonico in senso di un anticipazione temporale del fenomeno e di una sua estensione in durata e geografica, potrà modificare le produzioni agricole 1 Fonte FAO di colture come il riso; in certe zone costiere, e in particolare nelle isole, si potranno avere impatti negativi per l’aumento del livello dei mari. Le foreste e la silvicoltura risentiranno degli eventi meteorologici estremi, come le tempeste, le ondate di calore e i conseguenti incendi, e degli effetti del riscaldamento, che aumenta la diffusione di fitopatologie e parassiti. La minore disponibilità di acqua in alcune aree, incluse quelle mediterranee meridionali, potrà danneggiare lo sviluppo e la ricrescita delle foreste. Il riscaldamento globale ha un impatto anche sull’allevamento: le ondate di calore e l’aumento termico peggiorano la qualità della vita degli animali, possono modificare la loro crescita e riproduzione, le inondazioni causano danni severi alle aziende, e la maggiore aridità del clima in alcune aree può ridurre o compromettere del tutto i pascoli e la produzione di foraggio per gli animali. Secondo la Commissione UE, questi effetti saranno estremamente negativi proprio nell’area mediterranea ii (pag. 5). 3. Effetti sulla disponibilità di acqua, sulle specie acquatiche e sulla pesca Si stima che nel 2030 la domanda di acqua dolce supererà del 40% la sua disponibilità globale v. Vari usi consumano, impoveriscono e inquinano le risorse idriche, come quello agricolo, residenziale, industriale. L’urbanizzazione e l’uso energetico comportano pressioni idromorfologiche sui corsi d’acqua e danni agli ecosistemi. “Tutte le previsioni indicano un peggioramento della qualità dell’acqua potabile, anche con l’uso di trattamenti convenzionali, a seguito dell’effetto congiunto di aumento della temperatura, dei sedimenti, dei nutrienti e dei carichi inquinanti da forti piogge, nonché la distruzione dei sistemi di depurazione a seguito di alluvioni.” iii I modelli prevedono una consistente riduzione della disponibilità di risorse idriche e un aumento dei fenomeni di siccità nella maggior parte delle aree secche sub-tropicali, intensificando la competizione per l’accesso all’acqua. Al contrario si prevede un aumento della disponibilità di acqua alle alte latitudini. A livello agricolo sarà necessario usare l'acqua in modo più efficace attraverso una riduzione delle perdite, migliori pratiche di irrigazione, riciclo di acqua reflua, creazione di depositi d'acqua, miglioramento della gestione dei terreni, aumentandone le capacità di ritenzione idrica ii. Il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci stanno aumentando la temperatura e l’acidità degli oceani, alterando anche la salinità. “Dalla metà del 21° secolo in poi, si assisterà ad una ridistribuzione e a una riduzione della biodiversità delle specie marine, che in alcune regioni potrà mettere a rischio la pesca e altri servizi ecosistemici, in particolare nelle zone tropicali. Il riscaldamento delle acque causerà uno spostamento spaziale delle specie con invasioni verso le latitudini più alte ed estinzioni nelle zone tropicali.” i Nelle zone tropicali marino-costiere c’è il rischio di perdita della biodiversità che può ridurre i mezzi di sostentamento di molte comunità. Si prevede che l’aumento dell’acidità delle acque marine provocherà impatti sulla vita, comportamento, fisiologia di specie marine (come i molluschi calcificatori della barriera corallina). Le previsioni indicano che alla fine del 21° secolo si avrà una riduzione della pesca oceanica. Al progredire del riscaldamento globale, aumenterà anche il rischio di estinzione di molte specie delle acque dolci, a seguito di aumento dell’inquinamento e diffusione di specie invasive. 4. Effetti sulla disponibilità di cibo e sicurezza alimentare Le risorse naturali che possono servire per alimentare la popolazione umana non sono infinite. Soprattutto la disponibilità di terra coltivabile e di acqua potabile, già oggi carente in molte aree del pianeta, potrà diventare un fattore critico con il crescere della popolazione e il procedere del riscaldamento globale. Nel comparto agricolo, il solo allevamento e i prodotti animali assorbono il 29% del consumo totale di acqua a livello mondiale vi. La produzione di carne e prodotti animali è in aumento per la crescita della popolazione e per il mutamento delle abitudini alimentari nei paesi in via di sviluppo. Il tasso di crescita del consumo di carne è del 5-6% all’anno, quello di latte del 3,8% vii. Dal 1980 al 2004 la produzione di carne è quasi raddoppiata viii. Oggi ogni anno si consumano 2422 miliardi di metri cubi d’acqua per l’allevamento di bestiame. Di questi, l’81% è destinato alla produzione di carne, il 19% per i bovini da latte. Si prevede un ulteriore aumento nella produzione di carne del 50% nei prossimi 25 anni. Tale incremento nella produzione di prodotti di origine animale “comporterà anche un aumento di inquinanti nelle acque di superficie e di falda, a causa dell’uso di fertilizzanti nelle colture destinati all’alimentazione animale e a sistemi impropri di conservazione e di applicazione di concimi” vi. 4.1. L’impronta idrica dei principali alimenti L’impronta idrica della produzione di carne è rilevante: servono 15400 m3 di acqua per tonnellata di carne bovina prodotta (pari a 15400 litri per chilo). Altre tipologie di carne hanno un impatto inferiore: 10400 l. d’acqua per kg di carne di pecora, 6000 l/kg per il maiale, 5500 l/kg di capra, 4300 l/kg di pollo. Per produrre un litro di latte, servono circa mille litri d’acqua vi. Per confronto, il grano (italiano) ha un’impronta idrica di 786 litri d’acqua per chilo; un prodotto alimentare come la pasta ha un’impronta idrica di 1924 litri per chilo, la pizza 1216 litri per chilo ix. Gli animali allevati a pascolo libero consumano più green water (acqua piovana che si infiltra nel terreno), mentre quelli allevati industrialmente consumano più mangimi concentrati, coltivati in campi irrigui, con un più largo consumo di blue water (di superficie o sotterranea) più “pregiata”. L’allevamento a pascolo si basa principalmente su risorse locali, mentre quello industriale si basa su mangimi spesso importati da altri paesi. Negli ultimi decenni il grosso dell’incremento della produzione di prodotti animali è avvenuto in aziende industriali a produzione intensiva x. Gli animali ruminanti (bovini, pecore, capre) hanno un peggiore rapporto tra quantità di alimentazione richiesta e unità di carne prodotta rispetto ai non-ruminanti (maiali, polli), tuttavia la loro alimentazione si basa prevalentemente su foraggi o colture non destinate alla alimentazione umana; viceversa i non-ruminanti basano la loro alimentazione su mangimi concentrati da colture destinabili ad alimentazione umana (es. mais) entrando così in diretta competizione con l’uomo, e l’uso di ampi terreni agricoli irrigui per produrre mangime. L’efficienza alimentare in termini di consumo d’acqua per unità di valore nutrizionale prodotta (calorie) è svantaggiosa per la carne bovina, che ha un rapporto 20 volte peggiore rispetto alle colture alimentari agricole. Dunque, ai fini della capacità di nutrire una popolazione umana crescente, sarebbe vantaggioso un ritorno a diete più orientate ai cibi vegetali vi. Anche un recente articolo, il cui primo autore è del Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC Ispra) xi, indica la necessità di una modifica delle abitudini alimentari nella direzione di una maggiore sostenibilità. I prodotti alimentari che, secondo i dati riportati, hanno un maggiore impatto ambientale, sono il latte e i suoi derivati, seguiti dalla carne, che però ha un impatto superiore per la sua incidenza nel consumo alimentare. La produzione del grano ha un impatto soprattutto sulla green-water, mentre i prodotti come zucchero, olio e riso hanno un impatto più rilevante sulle acque superficiali e sotterranee. Anche la riduzione di zucchero, olio e latticini avrebbe dei vantaggi in termini di tutela delle risorse naturali, sia idriche sia di consumo di terra. 5. Misure di mitigazione nel comparto agroalimentare e forestale Il comparto agroalimentare e forestale non è solo impattato, è esso stesso concausa dei cambiamenti climatici: “Il settore agro-forestale è responsabile di circa il 25% del totale delle emissioni antropiche di gas serra (circa 10-12 Gton. CO2eq/anno) soprattutto dovute alla deforestazione e alle emissioni del suolo agricolo e per la gestione di nutrienti e fertilizzanti. xii” Il trend delle emissioni agroforestali è però in diminuzione, in parte per la riduzione di suolo coltivato, ma anche per la diminuzione della deforestazione e all’aumento del rimboschimento. Insieme con gli oceani, il territorio agro-forestale è un grande assorbitore di CO2. Oggi il suo bilancio è negativo (emette più di quanto assorbe) ma, con politiche adeguate, entro il 2050 le emissioni antropiche agroforestali dovrebbero ridursi della metà rispetto al 2010. Continuando questo trend, entro la fine del secolo il comparto agro-forestale può diventare non più emettitore, ma assorbitore netto di CO2, offrendo strumenti di mitigazione tra i più efficaci e convenienti. Il rimboschimento e una gestione sostenibile delle risorse forestali, la riduzione della deforestazione sono convenienti strumenti di mitigazione. In agricoltura, serve una gestione più sostenibile dei terreni e dei pascoli, riduzione dell’uso di fertilizzanti azotati, sostituzione con fertilizzanti organici e compost, interramento dei resti agricoli, ripristino dei suoli organici, divieto di bruciare le stoppie. Per gli allevamenti, controllo di qualità del foraggio e della dieta (limitare fermento e gas), copertura e compostaggio delle deiezioni animali, recupero di biogas a fini energetici. Sul fronte della domanda, si possono ottenere riduzioni delle emissioni operando sulle abitudini alimentari (cambio di dieta, limitazione del consumo di carne), riduzione delle perdite e sprechi di cibo e del consumo di acqua. Con questi interventi si potrebbero ottenere riduzioni medie di 7 Gton CO2eq./anno. L’insostenibilità dell’attuale regime alimentare mondiale, in vista dell’aumento della popolazione, richiede modifiche sugli stili di vita: “Promuovere una alimentazione a minore contenuto di carne sarà una componente inevitabile nella politica ambientale dei governi” vi 6. Situazione in Europa L’Europa non è immune dall’impatto dei cambiamenti climatici: dall’inizio del secolo ha già sperimentato forti e persistenti ondate di calore (nel 2003), la siccità (2007) e inverni troppo miti (2014). La mutazione climatica sta causando una maggiore variabilità dei prezzi dei beni alimentari in Europa rispetto ai decenni precedenti. In prospettiva ciò è destinato ad aumentare, mettendo a rischio la stabilità delle rendite per gli agricoltori europei xiii. In particolare l’Europa meridionale dovrà fare i conti con gli effetti più gravi dei cambiamenti climatici e prevedere interventi. L’Europa persegue la sua politica di riduzione delle emissioni di gas serra: l’obiettivo -20% al 2020 è stato già quasi raggiunto. Per il comparto ETS (energia, industria, cemento) si prevede il superamento dell’obiettivo 2020 del -21% rispetto al 2005 con probabile surplus di 2,5 GtCO2eq, in gran parte grazie alle ridotte emissioni nella produzione elettrica. La riduzione delle emissioni non-ETS 2(ESD, Effort Sharing Decision), per i comparti trasporto, residenziale e servizi, agricoltura, rifiuti, è stata quantificate in -10% nel 2020 rispetto al 2005 ed è previsto un surplus EU 2020 di riduzione emissioni, tra 0,7 e 1,2 GtCO2 eq. L’unico comparto ove si prevede un aumento di emissioni è nei trasporti xiv. Nel 2009 la UE ha pubblicato un Libro Bianco sul tema dell’aumento della resilienza ai cambiamenti climatici in vari settori, inclusa l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico xv; successivamente è stato pubblicato un documento di lavoro di integrazione al Libro Bianco, specificamente orientato alle “Problematiche di adattamento dell’agricoltura e delle zone rurali europee ai cambiamenti climatici” ii. Nel 2012 la Commissione ha presentato al Parlamento e al Consiglio il “Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee” v nel quale si lancia l’allarme: “lo stato ecologico e chimico delle acque dell’UE è in pericolo, diversi territori dell’UE sono a rischio di carenza idrica e gli ecosistemi idrici, dal cui apporto dipendono le nostre società, possono diventare più esposti a eventi estremi”. L’Europa punta alla nuova politica agricola europea (PAC), come strumento principale di intervento verso una produzione agricola sostenibile e a un più efficiente utilizzo dell’acqua, in un contesto climatico in evoluzione. È già in atto una riduzione dei pesticidi, delle sostanze fitosanitarie e dei nitrati nell’agricoltura europea con benefici ambientali e sulle emissioni. Già nel 1991 la Direttiva sulle acque reflue urbane e quella sui nitrati in agricoltura hanno normato in direzione della tutela delle acque. La Direttiva quadro sulle acque (WFD 2000/60/CE) introduce strumenti che tendono a migliorare la qualità delle acque, della loro quantità disponibile, il loro stato ecologico e chimico. Sono previste misure di protezione dagli effetti dei cambiamenti climatici e di miglioramento dello stoccaggio delle acque in natura, per aumentare la resilienza alla siccità. Per evitare gli sprechi, la UE indica politiche di efficienza idrica (vedi etichetta Ecolabel), di prezzo dell’acqua, di misura dei consumi, e introduce il principio del “chi inquina paga”. Nel comparto residenziale UE, la migliore efficienza idrica dei prodotti (rubinetti, docce...) fornirà riduzioni di oltre 10 Mton di consumi di acqua nel 2020, pari al 3,5% dei consumi delle famiglie v. Si nota un miglioramento della qualità delle acque in Europa, ma l’obiettivo di acque di “buona qualità” entro il 2015 sarà raggiunto solo per il 53% del totale, per cui servono ulteriori impegni. Lo scenario nel consumo agro-alimentare in Europa In Europa il comparto agroalimentare estrae il 24% della blue water superficiale o sotterranea, contro il 44% del comparto energetico, ma con più elevato impatto perché solo 1/3 di acqua viene re-immessa come risorsa disponibile. Nel citato studio del JRC europeo xi, si sottolinea anche per l’Europa la necessità di modificare i propri modelli di consumo e produzione di prodotti alimentari e di origine animale, nella direzione di una maggiore sostenibilità. Nello studio viene introdotto il concetto di “flusso idrico virtuale” che include la quantità d’acqua richiesta per varie tipologie di prodotti alimentari, e se ne calcola il relativo bilancio. In particolare, risulta che per molta produzione industriale e agricola europea, il rapporto idrico è negativo, ossia consumiamo (o importiamo nei prodotti) più acqua di quanta se ne “produce” con il ciclo naturale. Ne risulta che, “oggi la produzione agricola dell’UE28 contribuisce all’impoverimento e contaminazione delle risorse idriche continentali. L’attuale livello 2 Decisione 2009/486/EC dei consumi nell’UE28 contribuisce anche all’impoverimento e contaminazione di acque estere (a causa del consumo d’acqua nei prodotti alimentari importati, ndr)” Nella UE 28 si registra un eccesso di consumo alimentare, con conseguenze anche sulla salute, e tutto ciò coesiste in un pianeta dove sono ancora elevati i livelli della mortalità per fame e denutrizione xi. Stili di vita più sobri, consumi alimentari più oculati, utilizzo di prodotti a “chilometro zero” e di coltivazioni biologiche, possono fornire un positivo contributo sia per la lotta ai cambiamenti climatici sia per la garanzia dell’approvvigionamento di cibo. 7. Situazione in Italia L’Europa mediterranea e l’Italia in particolare subiranno maggiori impatti dai cambiamenti climatici sulla produzione agricola e sulla disponibilità idrica: l’aumento termico, le ondate di calore, l’anticipazione del clima caldo, la maggiore umidità, già comportano un aumentato fabbisogno idrico e maggiore esposizione ad attacchi di organismi nocivi (come è avvenuto per la produzione italiana dell’olio nel 2014, azzerata da un insetto parassita). Il settore agricolo italiano contribuisce per circa il 7-8% del totale emissioni, meno della media UE pari al 9,2% (fonte EEA), con trend in diminuzione da 40 (1990) a 34 (2009) MtCO 2 eq. In Italia le emissioni di gas serra nel 2013 sono state 410 MtCO2 eq con riduzione del -6,6% rispetto al 2012. Nel 2012 la sola Italia ha rappresentato il 45% del totale europeo della riduzione di emissioni di gas serra; l’Italia avrebbe già conseguito l’obiettivo del -20% delle emissioni rispetto al 2005, ma deve ancora raggiungere l’obiettivo del comparto ESD (trasporti, agricoltura, residenziale, servizi ecc.) che prevede una riduzione delle emissioni 2020 del -13% (più alta della media europea -10%). Si prevede che l’Italia, con le politiche aggiuntive (WAP) supererà del 5% il suo obiettivo ESD con un surplus di 127 MtCO2eq xiv. La diminuzione delle emissioni agricole è soprattutto dovuto alla riduzione di suolo coltivato, a minore utilizzo di fertilizzanti azotati (entrambi favoriti dalla nuova Politica Agricola Comunitaria) e la riduzione di capi di allevamento (per epidemie e ottimizzazione della produzione di carni). Secondo la Commissione UE, anche la politica delle quote latte e l’aumento di efficienza hanno contribuito: in Italia si è passati da 2,6 (1990) a 1,8 (2009) milioni di vacche da latte, ma la produttività di latte per singolo capo è aumentata da 4,2 a 6,3 Kg/giorno. Rispetto al totale delle emissioni agricole, i principali contributori sono: suoli agricoli (44,8%: 15,5 MtCO2eq per il protossido di azoto N2O), fermentazione enterica, ossia i processi digestivi degli animali (31,3%: 10,8 Mt CO2eq per il metano CH4), gestione delle deiezioni animali (19,3%: 6,6 Mt CO2eq per il CH4 e N2O), risaie (4,6%: 1,6 Mt CO2eq) e combustione delle stoppie (0,05%: 0,02 MtCO2eq) xvi. L’impatto idrico del nostro stile alimentare (pasta, pizza) pesa di più sulla Puglia e sulla Sicilia, regioni carenti d’acqua, per l’irrigazione del grano e dei pomodori, e sull’Emilia-Romagna, per la produzione di latte (mozzarella) e pomodori. L’Italia è tra i maggiori consumatori d’acqua al mondo, con un consumo procapite medio di 2330 m3/anno (contro una media globale di 1224 litri) la maggior parte del quale è nel comparto agricolo. i ii IPCC, 2013: Summary for Policymakers. Climate Change 2013: “The Physical Science Basis” Working Group I – AR5 Commissione UE Working document (2009) su “Problematiche di adattamento dell’agricoltura e delle zone rurali europee ai cambiamenti climatici” http://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52009SC0417&from=en iii IPCC 2014: Summary for Policymakers. Climate Change “Impatti socio-economici” Working Group 2 – AR5 iv Commissione UE Working doc. op. cit. (ii) Commissione UE SWG(2012) 381: “Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee” vi UNESCO – M. M. Mekonnen, A. Y. Hoeckstra “Report 48 – Green, Blue and Grey water footprint of farm animals and animal products v. 1” – Twente University Water Centre (Olanda) - dicembre 2010 vii Bruinsma, 2003, citato in vi viii FAO 2005 ix M. M. Aldaya, A. Y. Hoeclstra “The water needed to have Italians eat pasta and pizza” Twente Univ. (Olanda), 2009 x Bouwman et al., 2005, citato in vi xi D. Vanham (JRC Ispra), M.M. Mekonnen et al. 2013, “The water footprints in EU for different diets” http://waterfootprint.org/media/downloads/Vanham-et-al-2013.pdf v xii IPCC, 2014: Summary for Policymakers, In: Climate Change 2014, “Mitigation of Climate Change” Working Group 3 – AR5 xiii Commissione UE “Agriculture and Climate Change” 2013 http://ec.europa.eu/agriculture/climatechange/index_en.htm xiv Commissione UE 2014 “Trends and projections in Europe 2014” xv Commissione UE: “L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo” http://eurlex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52009DC0147&from=en xvi 2009, fonte ISPRA