I cambiamenti climatici e la conferenza di Parigi

I cambiamenti climatici e la Conferenza di Parigi
Stefano Caserini, Politecnico di Milano, D.I.C.A. Sez. Ambientale
La comunità scientifica ritiene inequivocabile l’attuale surriscaldamento globale del pianeta e considera
elevata la probabilità che nei prossimi decenni il pianeta dovrà fronteggiare cambiamenti climatici,
originati dalle attività umane, molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che abitano il pianeta.
La realtà del riscaldamento globale è ormai evidente e si vanno via via affievolendo le voci che in passato
hanno negato un fondamento alle preoccupazioni per i pericoli dei cambiamenti climatici. Maggiori
margini di incertezza rimangono sull’entità del riscaldamento atteso per il futuro, sulla sua distribuzione
spaziale e sui conseguenti impatti a scala locale: incertezza inevitabile per valutazioni di tale complessità
e riguardanti il futuro. Il Quinto Rapporto di Valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC), che ha sintetizzato il risultato di centinaia di simulazioni modellistiche sulle proiezioni
delle temperature nei prossimi secoli realizzate da numerosi gruppi di ricerca in tutto il mondo, ha chiarito
la grande portata dei cambiamenti climatici possibili per il futuro: negli scenari senza consistenti riduzioni
delle emissioni, già a fine secolo l’aumento delle temperature medie globali rispetto al periodo
preindustriale raggiunge i 3 - 4°C, proseguendo ulteriormente nei secoli successivi (Figura 1). Si tratta di
variazioni che non hanno paragoni con le variazioni di temperature avvenute non solo in tutto l’Olocene,
ma anche con quanto conosciuto nella sua storia dall’Homo Sapiens.
Va ricordato che questi aumenti sono relativi alle temperature medie globali, media dell’aumento delle
superfici terrestri e marine; su aree più limitate, o in singole stagioni, gli aumenti possono essere maggiori
o minori, perché il riscaldamento non sarà uniforme. Non è quindi possibile una proiezione precisa di
quale sarà l’aumento di temperatura sul breve periodo e in zone limitate (es. l’Italia o la Pianura Padana),
perché la variabilità del clima ha una grande influenza. È però probabile che il riscaldamento futuro sarà,
come per quello passato, maggiore sulle terre emerse rispetto agli oceani, ai poli, e nelle regioni aride. Ad
esempio, l’Italia si è già riscaldata di 1,8°C rispetto al periodo pre-industriale, circa il doppio della media
globale.
Figura 1: Proiezione dell’aumento delle temperature globali (rispetto alla media 1986-2005) dei modelli
CMIP5, in uno scenario con elevate riduzioni delle emissioni (RCP2.6), in due scenari con riduzioni
intermedie (RCP4.6 e 6.0.) e in uno scenario senza riduzioni (Fonte: IPCC 2013).
Va ricordato che negli ultimi decenni i cambiamenti climatici hanno già causato impatti sui sistemi
naturali e umani in tutti i continenti continueranno a causarne in futuro. La sintesi disponibile nel Quinto
Rapporto IPCC ha fornito un quadro di possibili impatti futuri per le attività umane e gli ecosistemi, per
le risorse idriche e l’agricoltura, che sono intrinsecamente sensibili ai cambiamenti del clima.
Anche se molti effetti sono difficili da distinguere a causa della naturale variabilità e capacità di
adattamento dei sistemi stessi, nonché per la presenza di fattori non climatici, le conseguenze del
riscaldamento globale sono distribuite in varie regioni del mondo, e non saranno distribuite
uniformemente. Non è solo una questione geografica: i paesi più ricchi saranno più in grado di godere dei
benefici e meno vulnerabili ai danni, perché meno densamente popolati e con più risorse per prevenirli e
per adattarsi. Viceversa, i paesi più poveri saranno più colpiti, perché affidando più direttamente la loro
sussistenza alle produzioni agricole saranno più esposti e sensibili alle variazioni delle temperature e dei
cicli idrologici.
Ad esempio di impatti locali, i principali impatti già osservati sulle risorse idriche in Lombardia, come
descritti nella Strategia Regionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici della Lombardia, sono:
 alterazione delle caratteristiche fisico-chimiche e biologiche delle acque superficiali e sotterranee, con
conseguenze negative sulla qualità delle risorse idriche disponibili e sullo stato ecologico dei corpi
idrici, in alcuni casi già compromesso
 alterazione del ciclo idrologico, e in particolare del ciclo stagionale dei fiumi e laghi, incrementandosi
i periodi di magra durante la stagione estiva e i periodi di piena durante i mesi invernali
 riduzione della disponibilità di risorse idriche utili (superficiali e sotterranee) e dell’umidità del suolo,
per incremento della variabilità climatica e per una maggiore frequenza e intensità di eventi climatici
estremi quali eventi siccitosi.
Nello stesso documento si prevede per il futuro che il cambiamento climatico ridurrà sostanzialmente
l’offerta di risorse idriche utili in alcuni periodi dell’anno, in concomitanza con la maggiore domanda
stagionale di risorse idriche per diversi usi quali irrigazione, industria, uso energetico, uso civile e
turistico; la riduzione dell’offerta idrica creerà i presupposti per una maggiore frequenza di situazioni di
deficit nel bilancio fra domanda e offerta della disponibilità idrica utile (specialmente durante la stagione
estiva). Tali situazioni potrebbero creare ulteriori conflitti tra i settori fruitori della risorsa e competenti
nella gestione della stessa, nonché ingenti costi economici associati, come già successo nelle crisi idriche
del 2003, 2007 e 2012.
Per limitare il riscaldamento globale, nei prossimi decenni sarà quindi necessario cambiare l’attuale
sistema energetico e costruirne uno che sappia far fronte alla richiesta crescente di energia senza usare
combustibili fossili e scaricare nell’atmosfera CO2 o altri gas climalteranti. I lunghi tempi di permanenza
della CO2 nell’atmosfera fanno sì che decine di generazioni future risentiranno di quanto sarà fatto, o non
sarà fatto, nei prossimi decenni per ridurre le emissioni dei gas climalteranti.
Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 a Parigi si svolgerà la XXI sessione della Conferenza delle Parti
della Convenzione sul clima. Ci sono molte ragioni per ritenere che sarà un altro momento importante del
negoziato sul clima. A poche settimane da questo appuntamento, si è ormai delineata la forma dell’intesa
a cui dovrebbero giungere tutti i Paesi firmatari della Convenzione sul clima, che consisterà in due
documenti. Il primo è l’accordo vero e proprio, relativo al periodo dal 2020 al 2030, che definirà gli
impegni sulla mitigazione, l’adattamento e il supporto finanziario. Il secondo sarà un documento separato
dal testo dell’accordo vero e proprio, contenente i numeri degli impegni volontari di riduzione; sarà
probabilmente una deliberazione della COP21, per permettere di aggiornare (e rinforzare) periodicamente
gli impegni, nel quadro di quanto previsto dall’accordo generale.
Il testo in discussione all’inizio dalla COP 21 contiene ancora nodi da sciogliere, decisioni alternative che
possono indebolire o rafforzare l’efficacia dell’accordo. Saranno i quindici giorni nella capitale francese a
dire se si riuscirà a trovare un consenso su molto aspetti negoziali che possono rendere più o meno
vincolante l’impegno alla riduzione delle emissioni, al supporto finanziario per lo sviluppo delle energie
pulite e delle politiche di adattamento nel sud del mondo.
La strada da percorrere per arrivare a ridurre le emissioni globali è ancora molto lunga e accidentata, ma
alcuni passi in avanti sono chiari. I numeri in gioco dicono che, a differenza del “primo passo” del
Protocollo di Kyoto, l’Accordo di Parigi sarà un segnale per gli investitori del settore dell’energia, sulla
direzione che prenderà il sistema energetico mondiale. Anche se sono impegni volontari, potrebbero
rinforzare i timori che gli investimenti nelle energie fossili rischiano di diventare a breve degli “stranded
assets”, dei capitali non remunerativi, perché non sarà permesso continuare a usare l’atmosfera come
discarica di CO2, perché le energie rinnovabili e una tassazione del carbonio li metteranno fuori mercato.
Nel documento con cui ha dichiarato le azioni che intende mettere in campo per ridurre le proprie
emissioni, la Cina ha riportato il famoso proverbio cinese “A one-thousand-mile journey starts from the
first step” (un viaggio lungo mille miglia inizia con un primo passo). Ed è su questa prospettiva che si
basa l’aspettativa che il probabile accordo di Parigi non sarà la fine del negoziato sul clima, ma un vero
inizio.