UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia Tesina di Farmacologia TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA Chiar.mo Prof. PIERFRANCO SPANO MATTIA GIANIZZA Matr. n° 62720 Anno Accademico 2010-2011 1 Terapia dell’ipertensione arteriosa «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Mt 25,40 2 Terapia dell’ipertensione arteriosa Indice 1) IPERTENSIONE ARTERIOSA, pag. 1 Dimensione del problema, pag. 1 Classificazione eziologica dell’ipertensione arteriosa, pag. 1 a) Ipertensione essenziale, pag. 3 Fattori ambientali, pag. 3 Ruolo della renina, pag. 3 Ruolo degli ioni sodio, cloro e calcio, pag. 4 Difetto di membrana, pag. 4 Resistenza all’insulina, pag. 4 Genetica, pag. 4 Fattori che modificano il decorso dell’ipertensione essenziale, pag. 5 Storia naturale, pag. 5 b) Ipertensione secondaria, pag. 5 Ipertensione renale, pag. 6 Ipertensione endocrina, pag. 6 c) Effetti dell’ipertensione, pag. 7 Effetti sul cuore, pag. 7 Effetti neurologici pag. 7 Effetti renali, pag. 8 2) PRINCIPI DI TERAPIA ANTIPERTENSIVA, pag. 9 a) Trattamento non farmacologico, pag. 9 Calo ponderale, pag. 9 Riduzione dell’assunzione di sale, pag. 10 Riduzione dell’assunzione di alcool, pag. 10 Esercizio fisico, pag. 10 Terapia di rilassamento e di biofeedback, pag. 10 Supplementi di potassio, pag. 10 Tabacco, caffè e altri fattori, pag. 11 b) Trattamento farmacologico, pag. 11 1. Diuretici, pag. 11 Classificazione clinica, pag. 12 a. Diuretici a debole intensità d’azione, pag. 13 i. Inibitori dell’anidrasi carbonica, pag. 13 ii. Diuretici osmotici, pag. 15 iii. Diuretici risparmiatori di potassio, pag. 16 b. Diuretici a media intensità d’azione, pag. 19 i. Diuretici tiazidici, pag. 19 3 Terapia dell’ipertensione arteriosa 2. 3. 4. 5. c. Diuretici a forte intensità d’azione, pag. 21 i. Diuretici dell’ansa, pag. 21 d. Riassunto clinico, pag. 23 Simpaticolitici, pag. 25 a. Farmaci simpaticolitici ad azione centrale, pag. 25 i. Agonisti selettivi dei recettori α2-adrenergici, pag. 25 o CLONIDINA, pag. 26 o α-METILDOPA, pag. 27 ii. Agonisti dei recettori I1 per le imidazoline, pag. 29 o MOXONIDINA, pag. 29 b. Farmaci simpaticolitici ad azione periferica, pag. 29 i. α1-antagonisti, pag. 30 ii. β-bloccanti, pag. 32 Calcio-antagonisti, pag. 39 a. Omeostasi del calcio, pag. 39 b. Farmaci calcio-antagonisti, pag. 40 Inibitori del sistema renina-angiotensina, pag. 44 a. Sistema renina-angiotensina, pag. 44 i. Renina, pag. 44 ii. Recettori dell’angiotensina, pag. 47 iii. Funzioni ed effetti del sistema renina-angiotensina, pag. 47 b. Farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina, pag. 51 i. Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, pag. 51 ii. Antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II, pag. 57 Vasodilatatori, pag. 59 a. IDRALAZINA, pag. 59 b. MINOXIDIL, pag. 61 c. NITROPRUSSIATO SODICO, pag. 62 d. DIAZOSSIDO, pag. 64 3) APPROCCIO CLINICO ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA DEL PAZIENTE IPERTESO, pag. 65 Indicazioni al trattamento, pag. 65 Approccio alla terapia farmacologica, pag. 66 Appendice Bibliografia 4 Terapia dell’ipertensione arteriosa IPERTENSIONE ARTERIOSA Dimensione del problema L’ipertensione arteriosa rappresenta probabilmente il più importante problema di sanità pubblica nei Paesi industrializzati: è frequente, non determina sintomi, è di facile diagnosi, viene di solito controllata con semplici interventi terapeutici, ma provoca spesso complicanze mortali se viene trascurata. La prevalenza della malattia dipende dalla composizione razziale della popolazione studiata e dai criteri impiegati per definirla. Nel Framingham Study, che aveva come oggetto di studio la popolazione di una cittadina del Massachusetts di medie proporzioni, un quinto dei soggetti presentava una pressione superiore a 160/95 mmHg, mentre quasi la metà aveva pressioni superiori a 140/90 mmHg. Nella popolazione non bianca è stata documentata una prevalenza di ipertensione anche maggiore. Nelle donne la prevalenza è strettamente correlata all’età e se ne osserva un innalzamento significativo dopo i 50 anni, attribuibile verosimilmente alle variazioni ormonali caratteristiche della menopausa, anche se il meccanismo non è stato ancora chiarito. Quindi il rapporto tra la frequenza dell’ipertensione nelle donne rispetto agli uomini aumenta dallo 0,6-0,7 a 30 anni, all’1,1-1,2 a 65 anni. La prevalenza delle varie forme di ipertensione secondaria dipende dalla natura della popolazione oggetto di studio e dal grado di approfondimento diagnostico. Tab. 1 Prevalenza delle varie forme di ipertensione nella popolazione generale e in studi clinici specialistici Diagnosi Popolazione generale (%) Studi specialistici (%) Ipertensione essenziale 92-94 65-85 Ipertensione renale Parenchimale 2-3 4-5 Nefrovascolare 1-2 4-16 Ipertensione endocrina Iperaldosteronismo primitivo 0,3 0,5-12 Sindrome di Cushing < 0,1 0,2 Feocromocitoma < 0,1 0,2 Da contraccettivi orali 0,5-1 1-2 Varie 0,2 1 Classificazione eziologica dell’ipertensione arteriosa Non esistono dati epidemiologici che definiscono la frequenza di ipertensione secondaria, anche se nei maschi di media età è stato riportato un dato del 6%. Nei centri specialistici dove i pazienti vengono sottoposti a indagini diagnostiche è riportata una percentuale attorno al 35%. I vari tipi di ipertensione arteriosa sono elencati di seguito. 5 Terapia dell’ipertensione arteriosa 1. Ipertensione sistolica con aumento della pressione differenziale I. Ridotta compliance aortica (arteriosclerosi) II. Aumento della gittata sistolica a) Insufficienza aortica b) Tireotossicosi c) Sindrome del cuore ipercinetico d) Febbre e) Fistola arterovenosa f) Pervietà del dotto di Botallo 2. Ipertensione sistolica e diastolica (aumento delle resistenze vascolari periferiche) I. Renale a) Pielonefrite cronica b) Glomerulonefrite acuta e cronica c) Rene policistico d) Stenosi nefrovascolare o infarto renale e) Altre nefropatie (nefrosclerosi arteriolare, nefropatia diabetica) f) Tumori renino-secernenti II. Endocrina a) Contraccettivi orali b) Iperattività della corticale del surrene Malattia e sindrome di Cushing Iperaldosteronismo primitivo Sindromi surrenogenitali congenite o ereditarie (deficit di 17α-idrossilasi e 11β-idrossilasi) c) Feocromocitoma d) Mixedema e) Acromegalia III. Neurogena a) Psicogena b) Sindrome diencefalica c) Polineurite (porfiria acuta, avvelenamento da piombo) d) Aumento della pressione intracranica (acuta) e) Sezione del midollo spinale (acuta) IV. Varie a) Coartazione aortica b) Aumento del volume intravascolare c) Panarterite nodosa d) Ipercalcemia e) Farmaci (glucocorticoidi) V. Eziologia sconosciuta a) Ipertensione essenziale (oltre il 90% di tutti i casi di ipertensione) b) Tossiemia gravidica c) Porfiria intermittente acuta 6 Terapia dell’ipertensione arteriosa Tab. 2 Classificazione della pressione arteriosa in soggetti di età superiore a 18 anni Categoria Pressione sistolica, Pressione diastolica, mmHg mmHg Ottimale < 120 < 80 Normale < 130 < 85 Normale-alta 130-139 85-89 Ipertensione Stadio I (lieve) 140-159 90-99 Stadio II (moderata) 160-179 100-109 Stadio III (grave) ≥ 180 ≥ 110 Ipertens. sistolica isolata ≥ 140 < 90 IPERTENSIONE ESSENZIALE Nei pazienti che presentano ipertensione arteriosa di eziologia non definita si parla di ipertensione primitiva, essenziale o idiopatica. In questi pazienti è estremamente difficile individuare il meccanismo o i meccanismi responsabili dell’ipertensione, a causa della complessità dei sistemi coinvolti nella sua regolazione (SNC e periferico, reni, ormoni, apparato vascolare). Inoltre questi sistemi sono strettamente collegati tra loro e regolati da molteplici geni. Nei pazienti con ipertensione essenziale sono state descritte numerose anomalie che spesso vengono indicate come responsabili della malattia. Non è ancora certo se queste anomalie siano primitive o secondarie, né se siano espressione di un singolo processo patologico o viceversa riflettano patologie distinte: i dati che si vanno accumulando depongono a favore di quest’ultima ipotesi. Fattori ambientali Nell’eziologia dell’ipertensione arteriosa sono stati individuati alcuni fattori ambientali come l’assunzione di sodio, l’obesità, il tipo di lavoro, le dimensioni della famiglia e la densità di popolazione. Il fattore ambientale più studiato è l’assunzione di sale da cucina con la dieta. Questo fattore dimostra l’eterogeneità della popolazione degli ipertesi, perché la pressione arteriosa si modifica in risposta alle modificazioni dietetiche di sodio soltanto nel 60% dei casi. Ruolo della renina La renina è un enzima secreto dalle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare del rene, la cui funzione è correlata all’aldosterone in un ciclo di feed-back negativo. Molti sono i fattori in grado di modificarne la secrezione, ma quello determinante è rappresentato dalla volemia, soprattutto in relazione alle variazioni dell’assunzione di sodio con la dieta. L’effetto finale dell’azione della renina sul suo substrato è la produzione del peptide angiotensina II. 7 Terapia dell’ipertensione arteriosa Ruolo degli ioni sodio, cloro e calcio Numerosi studi hanno sottolineato la potenziale correlazione tra le forme di ipertensione essenziale sensibili al sale e al calcio. È stato ipotizzato che un sovraccarico di sale, associato ad un’incapacità da parte del rene di eliminarlo, può determinare un incremento secondario dei fattori natriuretici circolanti. Uno di questi, il cosiddetto fattore natriuretico simil-digitale, inibisce la Na+/K+-ATPasi e quindi determina un accumulo di calcio intracellulare con conseguente iperattività della muscolatura liscia vascolare. Difetto di membrana Un’ulteriore ipotesi patogenetica dell’ipertensione sensibile al sale è quella di un difetto di membrana generalizzato: questa ipotesi deriva da studi sulle emazie, nelle quali è stata rilevata un’anomalia nel trasporto transmembrana di sodio. È stato ipotizzato che queste anomalie riflettano un difetto della membrana cellulare e che questo difetto interessi la maggior parte se non tutte le cellule dell’organismo, in particolare quelle della muscolatura liscia vascolare. A causa di questo difetto si determina un accumulo anomalo di calcio nel contesto delle cellule muscolari lisce vascolari, con il risultato di un’aumentata risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici. Resistenza all’insulina La resistenza all’insulina o l’iperinsulinemia è attualmente riconosciuta come parte della sindrome X, o sindrome metabolica, assieme all’obesità centrale, alla dislipidemia e agli elevati valori pressori. Innanzitutto l’iperinsulinemia determina ritenzione renale di sodio e aumento dell’attività simpatica; questi meccanismi sono in grado di causare un aumento della pressione arteriosa. Un altro possibile meccanismo è rappresentato dall’ipertrofia delle cellule muscolari lisce vasali, secondaria alla stimolazione dell’attività mitogena determinata dall’insulina. Terzo, l’insulina può anche alterare il meccanismo di trasporto degli ioni attraverso la membrana cellulare, condizionando un possibile aumento dei livelli plasmatici di calcio nei tessuti vascolari renali. Infine la resistenza all’insulina può fungere da marker per un altro processo patologico, per esempio l’assenza di modulazione, che potrebbe rappresentare il meccanismo principale dell’aumento della pressione arteriosa. Genetica L’ipertensione è una delle più comuni alterazioni genetiche complesse, con ereditarietà genetica di circa il 30%. La maggior parte delle ricerche avalla l’ipotesi di un’ereditarietà di tipo multifattoriale o di un’ereditarietà di un certo numero di differenti difetti genetici, ciascuno dei quali si manifesta fenotipicamente con l’ipertensione arteriosa. 8 Terapia dell’ipertensione arteriosa Fattori che modificano il decorso dell’ipertensione essenziale La prognosi di questa malattia può essere modificata dall’età, dalla razza, dal sesso, dall’assunzione di alcool, dal fumo, dalla colesterolemia, dall’intolleranza al glucosio e dal peso. Più giovane è il paziente al momento della diagnosi di ipertensione, maggiore è la riduzione della sua aspettativa di vita in caso di mancato trattamento. Negli Stati Uniti i neri presentano una prevalenza di ipertensione arteriosa doppia rispetto ai bianchi ed una frequenza quattro volte superiore della morbilità associata all’ipertensione. Per ogni gruppo di età le donne presentano una prognosi migliore rispetto agli uomini e la prevalenza di ipertensione nelle donne in premenopausa è notevolmente inferiore rispetto agli uomini della stessa età o alle donne in postmenopausa. L’aterosclerosi accelerata è invariabilmente associata all’ipertensione. Non sorprende che i fattori di rischio associati in modo indipendente allo sviluppo di aterosclerosi, come un’elevata colesterolemia, un’intolleranza al glucosio e/o il fumo di sigaretta, aumentino in modo significativo l’effetto dell’ipertensione sulla mortalità, indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla razza. Non vi è alcun dubbio circa l’esistenza di una correlazione positiva tra obesità e pressione arteriosa. Nei soggetti normotesi l’aumento di peso è associato ad un’aumentata frequenza di ipertensione, mentre nei soggetti obesi ipertesi la perdita di peso riduce la pressione arteriosa o rende necessario un trattamento farmacologico meno aggressivo. Storia naturale L’ipertensione essenziale è una malattia eterogenea e quindi il suo decorso viene influenzato da variabili che non sono rappresentate solo dai livelli assoluti della pressione. La probabilità di sviluppare una patologia cardiovascolare può variare, per ogni valore di pressione arteriosa, fino a 20 volte in funzione dell’associazione con altri fattori di rischio. Gli studi epidemiologici relativi a trattamenti efficaci hanno dimostrato che l’ipertensione arteriosa non trattata comporta una riduzione dell’aspettativa di vita di circa 10-20 anni, generalmente correlata all’accelerazione del processo aterosclerotico. IPERTENSIONE SECONDARIA Com’è stato precedentemente sottolineato, solo in una piccola minoranza di pazienti ipertesi si può individuare una causa eziologica specifica. La ricerca di questi fattori eziologici è giustificata da almeno due motivi: 1) la correzione di questi fattori può determinare la risoluzione dell’ipertensione; 2) le forme secondarie possono aiutare a comprendere l’eziologia dell’ipertensione essenziale. Quasi tutte le forme secondarie sono correlate ad alterazioni della funzione renale e/o endocrine. 9 Terapia dell’ipertensione arteriosa Ipertensione renale L’ipertensione determinata da una nefropatia può essere il risultato di: 1) un’alterata secrezione renale di sostanze vasoattive che provoca una modificazione del tono arteriolare sistemico o locale; 2) una funzione renale alterata, incapace di mantenere un equilibrio idrosalino adeguato, con conseguente espansione di volume plasmatico. Nell’ipertensione renale sono comprese l’ipertensione nefrovascolare e l’ipertensione renale parenchimale. Ipertensione nefrovascolare. L’ipertensione nefrovascolare può essere semplicemente definita come quella forma di ipertensione caratterizzata dalla riduzione della perfusione del tessuto renale dovuta alla stenosi di un’arteria renale o di uno dei suoi rami, che attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone. L’angiotensina II circolante determina l’aumento della pressione arteriosa attraverso un meccanismo di vasocostrizione diretta e stimola la secrezione di aldosterone provocando la ritenzione di sodio e/o stimolando il sistema nervoso adrenergico. Ipertensione nefroparenchimale. Anche nelle nefropatie parenchimali croniche e acute l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone sembra avere un ruolo nello sviluppo dell’ipertensione arteriosa. La sola differenza tra l’ipertensione nefrovascolare e quella parenchimale è rappresentata dal fatto che la riduzione della perfusione del tessuto renale in quest’ultimo caso è provocata da modificazioni di tipo flogistico e fibrotico che interessano i piccoli vasi intraparenchimali. Ipertensione endocrina Ipertensione surrenale. L’ipertensione è caratteristica di numerose malattie della corticale del surrene. Nell’iperaldosteronismo primitivo si osserva una chiara correlazione tra la ritenzione di sodio indotta dall’aldosterone e l’ipertensione. L’aldosterone determina la ritenzione di sodio attraverso il meccanismo di scambio sodio-potassio a livello del tubulo renale, provocando ipokaliemia. La determinazione del potassio sierico rappresenta un semplice test diagnostico. La ritenzione di sodio e l’espansione di volume determinano la riduzione dell’attività reninica plasmatica: la determinazione di questo parametro è fondamentale per definire la diagnosi. L’iperaldosteronismo primitivo è dovuto ad un tumore oppure a un’iperplasia surrenale bilaterale. Anche l’effetto di ritenzione di sodio indotto da elevati dosaggi di glucocorticoidi fornisce una spiegazione dell’ipertensione nei casi gravi di sindrome di Cushing. Nel feocromocitoma un’aumentata increzione di adrenalina e di noradrenalina, da parte di tumori più frequentemente localizzati a livello della midollare del surrene, provoca un’iperstimolazione dei recettori adrenergici e quindi vasocostrizione periferica e stimolazione cardiaca diretta. La diagnosi è confermata dalla dimostrazione di un’aumentata escrezione urinaria di adrenalina e di noradrenalina o dei loro metaboliti. Acromegalia. In questa sindrome si osservano come complicanze frequenti l’ipertensione, l’aterosclerosi coronarica e l’ipertrofia cardiaca. 10 Terapia dell’ipertensione arteriosa Ipercalcemia. L’ipertensione che si osserva in un terzo dei pazienti affetti da iperparatiroidismo è in genere attribuita alla nefropatia parenchimale conseguente alla nefrolitiasi e alla nefrocalcinosi. È da notare comunque che gli aumentati livelli di calcio possono avere un effetto vasocostrittore diretto. EFFETTI DELL’IPERTENSIONE I pazienti ipertesi decedono prematuramente. La più comune causa di morte è la cardiopatia ma sono frequenti anche l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale. Effetti sul cuore Il primo meccanismo di compenso del sovraccarico di pressione è rappresentato dall’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, caratterizzata da un incremento dello spessore delle pareti. In seguito si osserva il deterioramento della funzione contrattile ventricolare con dilatazione della cavità e comparsa dei segni e sintomi dell’insufficienza cardiaca. A volte compare angina pectoris provocata dall’accelerazione della progressione della coronaropatia. L’esame obiettivo dimostra cardiomegalia con un evidente impulso ventricolare sinistro; la componente aortica del secondo tono è accentuata e a volte si ode un soffio da insufficienza aortica; spesso si apprezzano toni presistolici (quarto tono atriale) e un tono protodiastolico (terzo tono ventricolare), oppure un ritmo di galoppo. Sono comuni i segni elettrocardiografici di ipertrofia ventricolare sinistra, e nelle fasi più avanzate di malattia si osservano segni di ischemia o di infarto. La maggior parte delle morti causate da cardiopatia ipertensiva è dovuta a infarto miocardico o ad insufficienza cardiaca. Effetti neurologici Gli effetti neurologici dell’ipertensione di lunga durata possono essere suddivisi in effetti retinici e sul sistema nervoso centrale (SNC). La retina è il solo tessuto in cui le arterie e le arteriole possono essere esaminate direttamente e quindi l’esame oftalmoscopico del fundus permette di osservare la progressione degli effetti vascolari dell’ipertensione. Nei pazienti ipertesi si osservano frequentemente segni di alterata funzione del sistema nervoso centrale. Il sintomo caratteristico precoce dell’ipertensione è la cefalea occipitale, soprattutto al mattino. Si possono osservare anche stordimento, pseudovertigini, capogiri, ronzii auricolari e offuscamento visivo o sincope, ma le manifestazioni più gravi sono in genere quelle provocate dalle occlusioni vascolari, dalle emorragie o dall’encefalopatia. La patogenesi dell’infarto cerebrale risiede nell’accelerazione dell’aterosclerosi che si osserva nei pazienti, mentre l’emorragia cerebrale è il risultato dell’associazione dell’ipertensione arteriosa con microaneurismi vascolari cerebrali (aneurismi di Charcot-Bouchard). 11 Terapia dell’ipertensione arteriosa L’encefalopatia ipertensiva è caratterizzata dai seguenti sintomi: ipertensione grave, disturbi della coscienza, aumento della pressione intracranica, retinopatia con edema della papilla e convulsioni. Effetti renali Nell’ipertensione arteriosa le lesioni arteriosclerotiche delle arteriole afferenti ed efferenti dei capillari glomerulari rappresentano le lesioni vascolari renali più frequenti e provocano riduzione del filtrato glomerulare e disfunzioni tubulari. A causa delle lesioni glomerulari compaiono proteinuria ed ematuria microscopica; il 10% circa dei decessi dovuti a ipertensione arteriosa è attribuibile all’insufficienza renale. 12 Terapia dell’ipertensione arteriosa PRINCIPI DI TERAPIA ANTIPERTENSIVA Poiché il presupposto del trattamento dell’ipertensione è di ridurre il rischio cardiovascolare, possono essere richiesti interventi sulla dieta e farmacologici. Il trattamento farmacologico nei pazienti con ipertensione associata ad elevate pressioni diastoliche riduce la morbilità e la mortalità per malattie cardiovascolari. Un’efficace terapia antipertensiva riduce marcatamente il rischio di ictus, scompenso cardiaco e insufficienza renale da ipertensione. Tuttavia la riduzione del rischio di infarto miocardico può essere meno rilevante. TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO La terapia non farmacologica dell’ipertensione arteriosa costituisce un’importante componente del trattamento di tutti i pazienti ipertesi. In molti pazienti ipertesi in stadio 1 la pressione arteriosa può essere adeguatamente controllata dall’associazione di calo ponderale (nei soggetti sovrappeso), restrizione dell’introito di sodio, incremento dell’attività fisica (specie aerobica) e da un moderato consumo di alcool. Gli accorgimenti non farmacologici per ridurre la pressione arteriosa sono generalmente consigliabili nel trattamento iniziale di pazienti con valori di pressione diastolica nell’ambito di 90-95 mmHg. Tali interventi aumenteranno anche l’efficacia della terapia farmacologica dei pazienti con ipertensione elevata. Allo scopo di garantire una buona compliance da parte del paziente, l’intervento non deve alterare la qualità di vita. Tutti i farmaci determinano l’insorgenza di effetti collaterali. Se la pressione arteriosa può essere ridotta a valori soddisfacenti con modificazioni di lieve entità della normale attività fisica o della dieta, è possibile evitare le complicanze di una terapia farmacologica. Calo ponderale Obesità e ipertensione sono strettamente correlate e il grado di obesità è direttamente proporzionale all’incidenza di ipertensione. I soggetti obesi possono ottenere una riduzione pressoria con la perdita di peso, a prescindere da variazioni dell’apporto di sale con l’alimentazione (Maxwell et al., 1984). Il meccanismo con cui l’obesità provoca ipertensione non è chiaro, ma l’aumentata secrezione di insulina nell’obesità può determinare un potenziamento del riassorbimento tubulare di sodio e l’espansione del volume extracellulare. L’obesità è anche associata ad un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico che regredisce con la perdita di peso. 13 Terapia dell’ipertensione arteriosa Riduzione dell’assunzione di sale Una riduzione drastica dell’assunzione di sale determina la riduzione della pressione arteriosa nella maggior parte dei pazienti ipertesi. Tuttavia una drastica riduzione di sale non è pratica dal punto di vista della compliance. Diversi studi hanno dimostrato che la restrizione moderata dell’apporto di sale a circa 5 g al giorno (corrispondenti a 2 g di sodio) produce in media una riduzione della pressione sistolica di 12 mmHg e di quella diastolica di 6 mmHg. Più la pressione iniziale è elevata, maggiore sarà la risposta. I possibili meccanismi implicati comprendono una riduzione del volume extracellulare, una riduzione della reattività delle cellule muscolari lisce agli stimoli vasocostrittori e alterazioni funzionali della pompa sodio-potassio. Riduzione dell’assunzione di alcool Il consumo di alcool può indurre un aumento pressorio. Un elevato consumo di alcool aumenta il rischio di accidenti cerebrovascolari, ma non di coronaropatia (Kagan et al., 1985). Infatti è stato dimostrato che piccole quantità di etanolo hanno un effetto protettivo contro lo sviluppo di arteropatia coronarica. Esercizio fisico L’aumento di attività fisica abbassa nell’uomo la frequenza di malattie cardiovascolari (Paffenbarger et al., 1986). La mancanza di attività fisica è associata ad un’incidenza di ipertensione maggiore (Blair et al., 1984). Il meccanismo con cui l’esercizio fisico riduce la pressione arteriosa non è chiaro, ma sono state segnalate diverse alterazioni emodinamiche e umorali. Un regolare esercizio isotonico riduce il volume ematico e innalza le concentrazioni plasmatiche del fattore natriuretico atriale. Terapia di rilassamento e di biofeedback Alcuni studi hanno evidenziato effetti positivi, ma in generale la terapia di rilassamento produce effetti contraddittori e modesti sulla pressione arteriosa (Jacob et al., 1986). Supplementi di potassio Nei pazienti ipertesi si osserva una correlazione positiva tra la concentrazione di sodio e la pressione arteriosa, e una correlazione negativa tra la concentrazione di potassio e la pressione arteriosa (Lever et al., 1981). Un aumento dell’assunzione di potassio può provocare una riduzione della pressione arteriosa per effetto dell’aumento dell’escrezione di sodio, della soppressione delle secrezione di renina, della dilatazione arteriolare e della diminuzione della capacità di risposta ai vasocostrittori endogeni. Un regime dietetico ad alto contenuto di potassio dovrebbe però essere sconsigliato a pazienti in terapia con ACE-inibitori. 14 Terapia dell’ipertensione arteriosa Tabacco, caffè e altri fattori Il fumo di per sé non causa ipertensione, sebbene aumenti acutamente la pressione arteriosa per azione della nicotina. Il fumo è uno dei principali fattori di rischio di coronaropatia. I pazienti ipertesi dovrebbero essere molto incentivati a sospendere tale abitudine voluttuaria. Il consumo di caffeina può innalzare la pressione arteriosa e le concentrazioni plasmatiche di noradrenalina, ma la sua assunzione cronica determina tolleranza a questi effetti e non risulta associata a sviluppo di ipertensione. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO La pressione arteriosa è il prodotto della gittata cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche. PA = GC x RVP I farmaci riducono i livelli pressori mediante un’azione sulle resistenze periferiche, sulla gittata cardiaca o su entrambi. I farmaci possono ridurre la gittata cardiaca mediante inibizione della contrattilità miocardica o per riduzione della pressione di riempimento ventricolare. Può essere ottenuta per azione sul tono venoso o, per effetto sui reni, sul volume ematico. Un farmaco può ridurre le resistenze periferiche agendo sulla muscolatura liscia e determinando il rilassamento dei vasi di resistenza o interferendo con l’attività dei sistemi che producono contrazione dei vasi di resistenza (per esempio, sistema nervoso simpatico). L’impiego simultaneo di farmaci con meccanismi d’azione ed effetti emodinamici simili produce spesso un lieve beneficio aggiuntivo. Peraltro, l’associazione di farmaci che appartengono a classi diverse rappresenta una strategia comunemente impiegata per ottenere un controllo efficace della pressione arteriosa riducendo al minimo gli effetti collaterali dovuti al dosaggio. 1. Diuretici I diuretici riducono la pressione principalmente per un depauperamento dall’organismo delle scorte di sodio e aumentando il flusso urinario. I diuretici vengono utilizzati per ripristinare il volume e/o la composizione dei liquidi corporei in diverse situazioni cliniche quali ipertensione, insufficienza cardiaca e renale, sindrome nefrosica e cirrosi. I diuretici sono farmaci che, per definizione, aumentano la velocità del flusso urinario; tuttavia essi possono essere utili clinicamente anche per la loro capacità di 15 Terapia dell’ipertensione arteriosa aumentare la velocità di escrezione dello ione sodio (natriuresi) e di un anione ad esso accoppiato, generalmente il cloro. Nell’organismo l’NaCl è il principale responsabile del volume dei liquidi extracellulari e la maggior parte delle applicazioni cliniche dei diuretici è finalizzata alla riduzione del volume del liquido extracellulare attraverso la riduzione del contenuto corporeo totale di NaCl. Un bilancio positivo di Na+ determinerebbe un accumulo di liquidi con conseguente edema polmonare, mentre un bilancio negativo produrrebbe perdita di fluidi e collasso cardiovascolare. Quantunque la somministrazione cronica di un diuretico provochi una notevole carenza di Na+ corporeo, la netriuresi tende ad esaurirsi nel tempo perché i meccanismi renali di compenso fanno in modo che l’escrezione renale di sodio sia adeguata al suo apporto, processo definito come freno diuretico. Questi meccanismi di compensazione comprendono: 1. Attivazione del sistema nervoso simpatico e della via metabolica renina-angiotensiona-aldosterone. 2. Diminuzione della pressione arteriosa che riduce la pressione di natriuresi. 3. Ipertrofia delle cellule epiteliali renali. 4. Aumento dell’espressione dei trasportatori nelle cellule epiteliali renali. 5. Alterazioni di ormoni natriuretici, come per esempio il peptide natriuretico atriale (Ellison, 1999). I diuretici non solo alterano l’escrezione di Na +, ma possono modificare anche il comportamento di altri cationi (per es. K+, H+, Ca2+, Mg2+), di anioni (per es. Cl-, HCO3-, H2PO4-) e dell’acido urico. Classificazione clinica Tab. 3 Classificazione clinica dei farmaci diuretici Intensità d’azione Meccanismo d’azione Nome del farmaco Debole Inibitori dell’anidrasi car- ACETAZOLAMIDE bonica METAZOLAMIDE Diuretici osmotici MANNITOLO GLICERINA UREA Risparmiatori di potassio SPIRONOLATTONE TRIAMTERENE AMILORIDE Media Diuretici tiazidici IDROCLOROTIAZIDE CLORTALIDONE INDAPAMIDE Forte Diuretici dell’ansa FUROSEMIDE TORASEMIDE 16 Terapia dell’ipertensione arteriosa 1.1 Diuretici a debole intensità d’azione INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA Farmaci ACETAZOLAMIDE DICLORFENAMIDE METAZOLAMIDE Fisiologia L’anidrasi carbonica (AC) si trova nelle membrane luminali e basoletarali, e nel citoplasma ed ha un ruolo chiave nel riassorbimento di NaHCO3 e nella secrezione di acidi. Nel tubulo prossimale l’energia libera del gradiente di Na+, determinato dalla pompa basolaterale del Na+, è utilizzata dal Fig. 1 un antiporto Na+-H+ (scambiatore Na+H+ o NHE) della membrana luminale per trasportare H+ nel lume tubulare in cambio di Na+. Nel lume l’H+ reagisce con l’HCO3 filtrato per formare H2CO3 che, a livello dell’orletto a spazzola, in presenza di AC, si scinde rapidamente in CO2 e H2O. La CO2 è lipofila e diffonde rapidamente attraverso la membrana luminale all’interno della cellula dove reagisce con l’H2O formando H2CO3, processo catalizzato dall’AC citoplasmatica. L’azione continua dell’antiporto Na +-H+ mantiene una bassa concentrazione di protoni all’interno della cellula in modo che l’H2CO3 si ionizzi spontaneamente generando H+ e HCO3- e creando un gradiente elettrochimico per HCO3-, il quale gradiente viene sfruttato dal simporto Na +-HCO3- per trasportare NaHCO3 nell’interstizio. L’effetto complessivo consiste nel trasporto di NaHCO3 dal lume all’interstizio, seguito dal passaggio di H2O (riassorbimento isotonico). Meccanismo d’azione Gli inibitori dell’AC inibiscono sia l’enzima legato alla membrana che quello citoplasmatico provocando un blocco del riassorbimento di NaHCO 3 nel tubulo prossimale e una diminuita secrezione nel lume di H+ che quindi non viene scambiato con Na+. Questi farmaci agiscono sul tubulo contorto prossimale, ma l’enzima è presente anche nel dotto collettore. 17 Terapia dell’ipertensione arteriosa Effetti sull’escrezione urinaria L’inibizione dell’anidrasi carbonica è associata ad un rapido aumento dell’escrezione urinaria di HCO3-, pari a quasi il 35% del carico filtrato. Questo fatto fa sì che il pH urinario si innalzi fino circa a 8 e si manifesti acidosi metabolica. Le frazioni di escrezione di sodio e potassio possono essere pari a 5 e 70% rispettivamente. L’aumento dell’escrezione di potassio è in parte conseguente al maggior rilascio di sodio nella zona distale del nefrone. Gli inibitori dell’AC aumentano l’escrezione di fosfati attraverso un meccanismo ancora sconosciuto, ma non influenzano l’escrezione di ioni calcio e magnesio. Altre azioni L’AC è presente anche in tessuti extrarenali come l’occhio, la mucosa gastrica, il pancreas, il SNC e gli eritrociti. Nei processi ciliari dell’occhio questo enzima è responsabile della formazione di elevate concentrazione di ione bicarbonato nell’umor acqueo. Per questa ragione l’inibizione dell’AC riduce la velocità di formazione di umor acqueo e determina perciò una diminuzione della pressione intraoculare (PIO). L’acetazolamide provoca spesso parestesie e sonnolenza, suggerendo un’attività degli inibitori dell’AC a livello del SNC. L’efficacia dell’acetazolamide nel trattamento dell’epilessia è in parte dovuta all’instaurarsi di un’acidosi metabolica. A causa dell’interferenza con l’AC degli eritrociti, gli inibitori dell’AC aumentano i livelli di CO2 nei tessuti periferici e riducono la concentrazione di CO 2 nei gas espirati. Dosi elevate di inibitori dell’AC diminuiscono la secrezione acida gastrica, ma ciò non ha applicazioni terapeutiche. Usi clinici L’indicazione principale dell’acetazolamide è il glaucoma ad angolo aperto (per diminuire la PIO). L’acetazolamide è anche usata contro l’epilessia e le chinetosi. L’acetazolamide può inoltre alleviare i sintomi della malattia d’alta quota (per es. negli alpinisti) perché il farmaco diminuisce il pH del liquor e ciò ha un effetto benefico nel risolvere i sintomi d’alta quota. Effetti collaterali Con gli inibitori dell’AC si verificano raramente gravi fenomeni di tossicità; tuttavia questi farmaci sono derivati dei sulfamidici e come tali possono causare depressione del midollo osseo, tossicità cutanea, lesioni renali e reazioni allergiche nei pazienti con ipersensibilità ai sulfamidici. A dosi elevate molti pazienti manifestano sonnolenza e parestesie. La maggior parte degli effetti indesiderati è conseguente all’alcalinizzazione dell’urina o all’acidosi metabolica. 18 Terapia dell’ipertensione arteriosa Tra gli effetti indesiderati vi sono: 1) passaggio dell’ammoniaca di origine renale dall’urina al circolo sistemico che può provocare encefalopatia di origine epatica (questi farmaci sono controindicati nei pazienti con cirrosi epatica); 2) formazione di calcoli e insorgenza di coliche uretrali dovuti alla precipitazione dei sali di fosfato di calcio nell’urina alcalinizzata; 3) peggioramento dell’acidosi metabolica o respiratoria (questi farmaci sono controindicati nei pazienti con BPCO); 4) riduzione della velocità di escrezione urinaria delle basi organiche deboli. DIURETICI OSMOTICI Farmaci. GLICERINA, MANNITOLO (il più usato), UREA. Meccanismo d’azione I diuretici osmotici sono farmaci filtrati dal glomerulo che vengono scarsamente riassorbiti lungo il tubulo renale e sono relativamente inerti dal punto di vista farmacologico. La presenza di queste molecole nel lume tubulare determina un aumento della pressione osmotica richiamando acqua dallo spazio interstiziale. In seguito al maggior volume, la concentrazione di sodio diminuisce e quindi cala anche il suo riassorbimento. Inoltre questi farmaci causano un aumento del volume plasmatico ed un aumento del flusso ematico renale, aumentando così il filtrato glomerulare. L’effetto diuretico si ha lungo tutto il nefrone, e soprattutto a livello dell’ansa di Henle. Si ha anche un aumento dell’escrezione urinaria praticamente di tutti gli ioni. Effetti sull’escrezione urinaria I diuretici osmotici provocano un aumento dell’escrezione urinaria di quasi tutti gli elettroliti, tra cui sodio, potassio, calcio, magnesio, cloro, bicarbonato e fosfati. Usi clinici I principali utilizzi terapeutici dei diuretici osmotici sono: 1) insufficienza renale acuta; 2) riduzione dell’edema cerebrale dopo stroke; 3) prima e dopo interventi di neurochirurgia; 4) glaucoma (perché determinando un aumento della pressione osmotica nel plasma, estraggono l’acqua dall’occhio e dal cervello). Un altro impiego del mannitolo e dell’urea è nel trattamento della sindrome da squilibrio da dialisi. Un richiamo troppo rapido di soluti dai liquidi extracellulari dovuto a emodialisi o a dialisi peritoneale provoca una riduzione della loro osmolarità. Di conseguenza l’acqua viene attirata dagli spazi extra- a quelli intracellulari, determinando così ipotensione e sintomi centrali (cefalea, nausea, crampi muscolari, astenia, depressione del SNC e convulsioni). I diuretici osmotici fanno aumentare l’osmolarità dei liquidi extracellulari e richiamano perciò l’acqua nel compartimento extracellulare. Glicerina viene somministrata per os, mentre mannitolo e urea per via endovenosa. 19 Terapia dell’ipertensione arteriosa Controindicazioni I diuretici osmotici si distribuiscono nei fluidi extracellulari aumentandone l’osmolarità e richiamando acqua dai compartimenti intracellulari, e aumentano di conseguenza il VEC. Nei pazienti con insufficienza cardiaca o con congestione polmonare ciò può provocare edema polmonare conclamato. In generale i diuretici osmotici sono controindicati nei pazienti affetti da anuria conseguente a patologia renale grave. Se si verifica fuoriuscita nei tessuti, l’urea può provocare trombosi con dolore. Non dev’essere somministrata nemmeno a pazienti con alterata funzionalità epatica a causa dei rischi dovuti all’aumento dell’azotemia. DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO 1. Inibitori del canale del Na+ epiteliale renale Farmaci AMILORIDE, TRIAMTERENE Meccanismo d’azione Gli inibitori del canale del sodio agiscono sul tubulo distale e sul dotto collettore inibendo il canale del sodio che si trova sulla parte luminale della membrana. Questo canale riassorbe sodio grazie alla creazione di un gradiente elettrochimico ad opera di una pompa al sodio nella parte basolaterale della cellula che porta sodio nell’interstizio. Fig. 2 Entrambi i farmaci di questa classe provocano piccoli aumenti dell’escrezione di NaCl e sono usati per la loro attività antikaliuretica per compensare gli effetti di altri diuretici che aumentano l’escrezione di potassio. Infatti la maggiore permeabilità al sodio della membrana luminale provoca la depolarizzazione di questo lato, ma non di quello basolaterale, determinando così una differenza di potenziale transepiteliale negativa che fornisce una forza trainante per la secrezione di potassio. Gli inibitori dell’AC, i diuretici dell’ansa e i tiazidici fanno aumentare il rilascio di sodio dell’ultima parte del tubulo distale e nel dotto collettore, fatto questo che è spesso associato ad un incremento dell’escrezione di H+ e K+. 20 Terapia dell’ipertensione arteriosa Effetti collaterali L’effetto indesiderato più pericoloso degli inibitori dei canali per il sodio è l’iperkaliemia, potenzialmente fatale. Di conseguenza, amiloride e triamterene sono controindicati nei pazienti con iperkaliemia e in quelli a maggior rischio di svilupparla (per es. pazienti affetti da insufficienza renale trattati con altri diuretici risparmiatori di potassio, con ACE-inibitori o che assumono supplementi di potassio). Gli stessi FANS possono far aumentare la probabilità di iperkaliemia in pazienti trattati con inibitori dei canali per il sodio. I pazienti cirrotici sono maggiormente a rischio di megaloblastosi a causa del deficit di acido folico e il triamterene, debole antagonista dell’acido folico, può incrementare l’incidenza di questo effetto collaterale. Gli effetti indesiderati più comunemente provocati dall’amiloride sono nausea, vomito, crampi alle gambe e vertigini. Usi terapeutici Poiché gli inibitori dei canali per il sodio inducono solo una lieve natriuresi, essi sono raramente utilizzati da soli nel trattamento dell’edema e dell’ipertensione. Sono invece molto utilizzati in combinazione con altri diuretici. Ancora più importante, la capacità degli inibitori del canale per il sodio di ridurre l’escrezione di potassio tende a controbilanciare la perdita di questo ione con le urine provocata dai diuretici tiazidici e dell’ansa, quindi la combinazione di un inibitore dei canali per il sodio con uno dei precedenti farmaci tende a mantenere nella norma i valori plasmatici di potassio (Hollenberg e Mickiewicz, 1989). 2. Antagonisti dei recettori per l’aldosterone Farmaci SPIRONOLATTONE, CANREONATO DI POTASSIO, CANRENONE, EPLERENONE Meccanismo d’azione Grazie al legame con i loro recettori specifici, i mineralcorticoidi provocano ritenzione idrica e salina e fanno aumentare l’escrezione di potassio e idrogenioni. Le cellule epiteliali del tubulo distale finale e del dotto collettore contengono recettori per i mineralcorticoidi (MR, mineralcorticoid receptor) citoplastmatici con elevata affinità per l’aldosterone. Questo recettore è un membro della superfamiglia dei recettori per gli ormoni steroidei, gli ormoni tiroidei, la vitamina D e i retinoidi. L’aldosterone entra nella cellula epiteliale dalla membrana basolaterale e si lega al recettore; il complesso recettore-aldosterone si dirige verso il nucleo, dove si lega a sequenze specifiche di DNA e regola perciò l’espressione di molti prodotti genici chiamati proteine indotte dall’aldosterone (aldosterone-induced proteins, AIP). L’effetto finale delle AIP è aumentare la conduttanza al sodio della membrana luminale e l’attività della pompa per il sodio nella membrana basolaterale. 21 Terapia dell’ipertensione arteriosa Di conseguenza, il trasporto transepiteliale di NaCl aumenta e aumenta anche il potenziale transepiteliale con negatività a livello del lume. Quest’ultimo effetto provoca una maggiore forza di traino per la secrezione di ioni potassio e idrogeno nel lume del tubulo. Farmaci come spironolattone ed eplerenone inibiscono competitivamente il legame dell’aldosterone al suo recettore. A differenza del compresso MR-aldosterone, quello tra spironolattone e recettore non è in grado di indurre la sintesi di AIP. Gli antagonisti MR sono gli unici diuretici che non richiedono l’ingresso nel lume del tubulo per indurre la diuresi. Effetti collaterali Gli antagonisti MR, come gli altri diuretici risparmiatori di potassio, possono causare un’iperkaliemia potenzialmente fatale. L’iperkaliemia rappresenta infatti il principale rischio correlato all’uso degli antagonisti MR. Questi farmaci pertanto sono controindicati in pazienti con iperkaliemia e in quelli con un rischio aumentato di svilupparla (per es. pazienti con insufficienza renale cronica o in terapia con ACE-inibitori). Gli antagonisti MR possono anche causare acidosi metabolica nei pazienti cirrotici. Inoltre, data al sua affinità per i recettori di altri steroidi, lo spironolattone può determinare ginecomastia, impotenza, riduzione della libido, irsutismo, abbassamento del tono di voce e irregolarità mestruali. Può anche provocare diarrea, gastrite, emorragie gastriche e ulcere peptiche. Gli effetti collaterali a carico del SNC comprendono sonnolenza, letargia, atassia, confusione e cefalea. Usi terapeutici Analogamente ad altri diuretici risparmiatori di potassio, lo spironolattone viene spesso somministrato contemporaneamente a diuretici tiazidici o dell’ansa nel trattamento dell’edema e dell’ipertensione. Tali combinazioni conducono ad una maggiore mobilizzazione di liquidi nell’edema e danno luogo a minori alterazioni dell’omeostasi del potassio. Lo spironolattone è particolarmente utile nel trattamento dell’iperaldosteronismo primario (adenoma o iperplasia surrenale bilaterale) e dell’edema refrattario associato a iperaldosteronismo secondario (insufficienza cardiaca, cirrosi epatica, sindrome nefrosica e ascite grave). Lo spironolattone è considerato il diuretico d’elezione nei pazienti affetti da cirrosi epatica. 22 Terapia dell’ipertensione arteriosa 1.2 Diuretici a media intensità d’azione DIURETICI TIAZIDICI Farmaci IDROCLOROTIAZIDE, CLOROTIAZIDE, CLORTALIDONE, INDAPAMIDE Chimica Gli inibitori del simporto Na+-Cl- sono sulfonamidi. Meccanismo d’azione I diuretici tiazidici sono attivamente secreti nel lume e agiscono sul tubulo convoluto distale inibendo la pompa Na+-Cl-, probabilmente con un meccanismo competitivo sul sito di legame per il cloro. Fig. 3 Come in altri segmenti del nefrone, il trasporto è potenziato da una pompa del sodio localizzata nella membrana basolaterale. L’energia libera del gradiente elettrochimico per il sodio è sfruttata, a livello della membrana luminale, da un simporto sodio-cloro che sposta il cloro all’interno della cellula contro gradiente elettrochimico. Il cloro esce poi, passivamente, attraverso appositi canali posti nella membrana basolaterale. I diuretici tiazidici inibiscono il simporto Na +-Cl-. Effetti su elettroliti ed emodinamica renale Gli inibitori del simporto Na+-Cl- aumentano l’escrezione di Na+ e di Cl-, tuttavia essi hanno solo un’efficacia moderata perché il 90% del carico filtrato è riassorbito prima di raggiungere il tubulo contorto distale. Questi farmaci aumentano anche l’escrezione di K+ e di acidi titolabili. La somministrazione acuta di tiazidici fa aumentare l’escrezione di acido urico, tuttavia l’escrezione di questa sostanza diminuisce nel trattamento a lungo termine. Nella terapia cronica i diuretici tiazidici riducono l’escrezione di ioni calcio perché l’inibizione del simporto Na+-Cl- a livello della membrana luminale determina una riduzione del contenuto di sodio intracellulare e, di conseguenza, un aumento della fuoriuscita di ioni calcio dalla membrana basolaterale per accelerazione dello scambio Na+-Ca2+. Questi farmaci possono inoltre causare una lieve forma di magnesiuria. I tiazidici non influenzano in modo significativo il flusso ematico renale e la velocità di filtrazione glomerulare. 23 Terapia dell’ipertensione arteriosa Usi terapeutici I diuretici tiazidici sono utilizzati nel trattamento dell’edema associato a patologie cardiache (insufficienza cardiaca congestizia), epatiche (cirrosi epatica) e renali (sindrome nefrosica, insufficienza renale cronica e glomerulonefrite acuta). Questi farmaci inoltre riducono la pressione nei pazienti ipertesi e sono infatti ampiamente impiegati nel trattamento dell’ipertensione, sia da soli che in combinazione con altri farmaci antipertensivi. I tiazidici possono essere somministrati una volta al giorno, non richiedono la correzione della dose e presentano anche poche controindicazioni. I diuretici tiazidici, che riducono l’escrezione urinaria di ioni calcio, sono talvolta impiegati nel trattare la nefrolitiasi da calcio e possono essere utili nel trattamento dell’osteoporosi. Sono inoltre fondamentali per il trattamento del diabete insipido nefrogeno perché riducono il volume urinario fino al 50%. Effetti collaterali I diuretici tiazidici causano raramente effetti collaterali neurologici (per es. vertigini, cefalea, parestesie, xantopsia e debolezza), gastroenterici (per es. anoressia, nausea, vomito, dolori crampiformi, diarrea, stipsi, colecistite e pancreatite), ematologici (per es. discrasie ematiche) e dermatologici (per es. fotosensibilità e rash cutaneo). Tuttavia, come per i diuretici dell’ansa, gli effetti collaterali più gravi dei tiazidici sono correlati ad anomalie del bilancio idro-salino. Queste comprendono deplezione del volume extracellulare, ipotensione, ipokaliemia, iponatriemia, alcalosi metabolica, ipomagnasiemia, ipercalcemia e iperuricemia. I diuretici tiazidici riducono anche la tolleranza al glucosio e un diabete mellito latente può manifestarsi durante la terapia. Il meccanismo di tolleranza glucidica non è chiaro ma sembra basarsi su una minore secrezione di insulina e su alterazioni del metabolismo glucidico. L’iperglicemia può essere correlata alla deplezione di potassio perché l’iperglicemia è ridotta se si somministra potassio con il diuretico (Wilcox, 1999). I diuretici tiazidici possono anche determinare un aumento dei livelli plasmatici di colesterolo LDL, di colesterolo totale e di trigliceridi. Questi farmaci sono controindicati nei soggetti con ipersensibilità ai sulfamidici. Interazioni farmacologiche I diuretici tiazidici possono ridurre gli effetti degli anticoagulanti, degli uricosurici utilizzati nel trattamento della gotta, delle sulfaniluree e dell’insulina, mentre possono potenziare gli effetti degli anestetici, del diazossido, dei glicosidi digitalici, del litio, dei diuretici dell’ansa e della vitamina D. L’efficacia dei diuretici tiazidici viene ridotta dai FANS e dagli agenti che sequestrano gli acidi biliari. Un’interazione farmacologica potenzialmente letale e degna di particolare attenzione è quella tra diuretici tiazidici e chinidina. L’allungamento del QT indotto dalla chinidina può portare allo sviluppo di una tachicardia ventricolare polimorfa 24 Terapia dell’ipertensione arteriosa (torsione di punta) dovuta all’induzione precoce di attività elettrica dopo la depolarizzazione. L’ipokaliemia inoltre aumenta il rischio di torsioni di punta indotte da chinidina e i diuretici tiazidici causano ipokaliemia. 1.3 Diuretici a forte intensità d’azione DIURETICI DELL’ANSA Farmaci FUROSEMIDE, BUMETANIDE, ACIDO ETACRINICO, TORASEMIDE Chimica L’acido etacrinico è un derivato dell’acido fenossiacetico; la torasemide è una sulfonilurea; furosemide e bumetanide contengono un gruppo sulfamidico. Meccanismo d’azione I farmaci appartenenti a questa classe inibiscono il simporto Na+/K+/2Cl- a livello del tratto spesso della branca ascendente dell’ansa di Henle (macula densa) dove avviene il riassorbimento maggiore di Na +. Sembra che questi farmaci si leghino al sito di legame per il cloro (Hannafin et al., 1983). L’efficacia degli inibitori del simporto Na+/K+/2Cl- nel tratto principale ascendente dell’ansa di Henle è dovuta alla combinazione di due fattori: 1) circa il 25% del carico di sodio filtrato normalmente viene riassorbito in questo segmenFig. 4 to; 2) i segmenti del nefrone del tratto principale ascendente non possiedono la capacità di riassorbimento necessaria a recuperare il flusso di liquido escreto in uscita. Il simporto Na+/K+/2Cl- sfrutta l’energia libera del gradiente elettrochimico di Na +, determinato dalla pompa basolaterale del sodio, e trasporta contro gradiente K+ e Cl- all’interno della cellula. Gli inibitori di questo simporto inibiscono anche il riassorbimento di ioni calcio e magnesio nel tratto principale ascendente perché annullano la differenza di potenziale transepiteliale che rappresenta la principale forza di traino per il riassorbimento di cationi. 25 Terapia dell’ipertensione arteriosa Effetti sull’escrezione urinaria Grazie al blocco del simporto Na+/K+/2Cl-, i diuretici dell’ansa aumentano notevolmente l’escrezione urinaria di NaCl; inoltre l’annullamento della differenza di potenziale transepiteliale determina anche una maggiore escrezione di calcio e magnesio. Tutti gli inibitori del simporto Na+/K+/2Cl- causano anche una maggiore escrezione di potassio e acido titolabile. Ciò è in parte dovuto ad un maggior rilascio di sodio nel tubulo distale. In fase acuta i diuretici dell’ansa provocano un aumento dell’escrezione di acido urico, mentre la loro somministrazione cronica determina una minore escrezione di questa sostanza. Effetti collaterali Solo raramente compaiono effetti indesiderati non collegati all’attività diuretica, mentre la maggior parte degli effetti collaterali è dovuta ad alterazioni del bilancio idro-salino. Un eccessivo uso di diuretici dell’ansa può provocare una grave carenza di sodio totale nell’organismo. Questa si può manifestare con iponatriemia e/o deplezione del volume di liquidi extracellulari associata ad ipotensione e, in pazienti affetti da malattie epatiche, encefalopatia epatica. Un maggior rilascio di sodio nel tubulo distale, in particolare se associato all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, provoca un aumento dell’escrezione urinaria di potassio e idrogenioni e quindi un’alcalosi ipocloremica. Se l’apporto dietetico di potassio non è sufficiente, si può manifestare ipokaliemia e ciò può indurre la comparsa di aritmie cardiache. L’aumento dell’escrezione di calcio e magnesio può determinare ipomagnesiemia, fattore di rischio per aritmie, e ipocalcemia, che può portare in rari casi a tetania. I diuretici dell’ansa possono causare ototossicità, che si manifesta con ronzii, disturbi dell’udito, sordità, vertigini e senso di pienezza nelle orecchie. Questi disturbi sono spesso reversibili. I diuretici dell’ansa possono inoltre determinare iperuricemia, che occasionalmente può portare a gotta, iperglicemia, che raramente può innescare un diabete mellito, un aumento dei livelli plasmatici di colesterolo LDL e trigliceridi e una diminuzione del colesterolo HDL. Interazioni farmacologiche Si possono verificare interazioni farmacologiche se i diuretici dell’ansa sono somministrati con: 1) aminoglicosidi (effetto sinergico nel determinare ototossicità); 2) anticoagulanti (aumento dell’attività anticoagulante); 3) glicosidi digitalici (aumento delle aritmie indotte dai digitalici); 4) litio (aumento della concentrazione plasmatico di litio); 5) propranololo (aumento della concentrazione plasmatica di propranololo); 6) sulfoniluree (iperglicemia); 7) cisplatino (aumento del rischio di ototossicità); 8) FANS (riduzione dell’effetto diuretico e aumento della tossicità da 26 Terapia dell’ipertensione arteriosa salicilati); 9) probenecid (riduzione dell’effetto diuretico); 10) diuretici tiazidici (sinergismo nell’attività diuretica di entrambi i farmaci che determina una diuresi marcata); 11) amfotericina B (aumento del rischio di nefrotossicità e di squilibrio elettrolitico). Usi terapeutici L’uso principale dei diuretici dell’ansa consiste nel trattamento dell’edema polmonare acuto. Un aumento rapido della capacitanza venosa, insieme ad una natriuresi immediata, riduce la pressione di riempimento del ventricolo sinistro e quindi determina un rapido miglioramento dell’edema polmonare. I diuretici dell’ansa sono ampiamente impiegati nel trattamento dello scompenso cardiaco cronico quando si desidera ridurre il volume dei fluidi extracellulari per rendere minima la congestione venosa e polmonare. I diuretici dell’ansa sono spesso impiegati nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, tuttavia la loro breve emivita li rende meno adatti a tale scopo rispetto ai diuretici tiazidici. Frequentemente i diuretici dell’ansa sono impiegati nella terapia dell’edema e dell’ascite dovuti a cirrosi epatica; è necessario tuttavia prestare attenzione a non indurre encefalopatia o sindrome epato-renale. Questi farmaci sono inoltre efficaci anche nei casi di edema da insufficienza renale cronica. 1.4 Riassunto clinico Tab. 4 Riassunto clinico dei principali farmaci diuretici Segmento Funzioni Permeabilità Trasportatori all’H2O principali Diuretici con azione maggiore Tubulo Riassorbimento Molto elevata Na+/H+, anidra- Inibitori contorto del 65% di Na+, (riassorbimento si carbonica dell’anidrasi + 2+ 2+ prossimale K , Mg e Ca ; istotonico) carbonica 85% di bicarbonato di sodio e 100% di glucosio e aminoacidi. Riassorbimento isosmotico dell’acqua. Tratto Riassorbimento Elevata Acquaporine Nessuno discendente passivo di H2O. dell’ansa di Limitata permeHenle abilità per NaCl. (Segue) 27 Terapia dell’ipertensione arteriosa Tab. 4 (continua) Riassunto clinico dei principali farmaci diuretici Segmento Funzioni Permeabilità Trasportatori all’H2O principali Tratto ascendente dell’ansa di Henle Tubulo contorto distale Tubulo collettore corticale Dotto collettore midollare Riassorbimento attivo del 15-25% di Na+, K+, Cl- e riassorbimento secondario di Ca2+ e Mg2+ Riassorbimento del 4-8% di Na+ e Cl- e riassorbimento passivo di Ca2+ per azione di PTH Riassorbimento di Na+ (2-5%) accoppiato alla secrezione di K+ e H+ Riassorbimento di H2O sotto controllo dell’ormone antidiuretico Molto scarsa Na+/K+/2Cl(NKCC2) Diuretici con azione maggiore Diuretici dell’ansa Molto scarsa Na+/Cl- (NCC) Tiazidici Variabile Canali per Na+, Diuretici per K+, traspor- risparmiatori tatore di H+ e di potassio acquaporine Variabile: Acquaporine senza ADH è impermeabile; con ADH è elevata Antagonisti della vasopressina Fig. 5 28 Terapia dell’ipertensione arteriosa 2. Simpaticolitici Tab. 5 Classificazione dei simpaticolitici in base al loro meccanismo d’azione CLONIDINA Simpaticolitici ad azione α2-agonisti α-METILDOPA centrale GUANABENZ GUANFACINA I1-agonisti MOXONIDINA RILMENIDINA PRAZOSINA Simpaticolitici ad azione α1-antagonisti TERAZOSINA periferica DOXAZOSINA α1 e α2-antagonisti FENOSSIBENZAMINA FENTOLAMINA β-antagonisti PROPRANOLOLO METOPROLOLO ATENOLOLO ESMOLOLO PINDOLOLO ACEBUTOLOLO NADOLOLO α e β-antagonisti LABETALOLO CARVEDILOLO I gruppo NICOTINA Bloccanti gangliari (usati soprattutto duranti II gruppo TRIMETOFANO gli interventi chirurgici) ESAMETONIO MECAMILAMINA 2.1 Farmaci simpaticolitici ad azione centrale Classificazione 1. Agonisti selettivi dei recettori α2-adrenergici a. CLONIDINA (mai farmaco di prima scelta) b. α-METILDOPA 2. Agonisti dei recettori I1 per le imidazoline a. MOXONIDINA (raramente utilizzata) AGONISTI SELETTIVI DEI RECETTORI α2-ADRENERGICI Gli agonisti selettivi α2-adrenergici sono utilizzati principalmente nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Lo loro efficacia come antipertensivi è sorprendente perché molti vasi sanguigni possiedono recettori α2-adrenergici postsinaptici che 29 Terapia dell’ipertensione arteriosa mediano la vasocostrizione, infatti la clonidina fu inizialmente sviluppata come decongestionante nasale vasocostrittore. La sua capacità di abbassare la pressione arteriosa deriva però dall’attivazione dei recettori α2-adrenergici nei centri di controllo cardiovascolare del SNC: l’attivazione di tali recettori sopprime gli impulsi efferenti del sistema nervoso simpatico dal cervello. CLONIDINA Meccanismo d’azione La clonidina è un α2-agonista puro: stimola i sottotipi α2A dei recettori α2-adrenergici del tronco encefalico (nel nucleo del tratto solitario), determinando una riduzione dell’efferenza simpatica dal SNC (MacMillan et al., 1996). A dosaggi più elevati di quelli richiesti per la stimolazione dei recettori α2A-adrenergici centrali, si può avere l’attivazione da parte di questi farmaci dei sottotipi recettoriali α2Badrenergici delle cellule muscolari lisce vasali (Link et al., 1996; MacMillan et al., 1996). Questo effetto è responsabile della vasocostrizione iniziale osservata in seguito all’assunzione di dosi di questi farmaci superiori alla norma, e si è ipotizzato che ad esso sia dovuta la perdita dell’azione terapeutica che si riscontra in seguito a somministrazione di dosi elevate di questi agenti (Frisk-Holmberg et al., 1984; FriskHolmberg e Wibell, 1986). Inoltre la clonidina si lega anche a recettori imidazolinici che amplificano l’effetto ipotensivante. Effetti farmacologici Gli agonisti α2-adrenergici provocano una riduzione della pressione arteriosa per azione sia sulla gittata cardiaca che sulle resistenze periferiche totali. In posizione supina, quando il tono simpatico dei vasi è basso, prevale l’effetto sulla gittata cardiaca; in posizione eretta invece, quando aumenta il tono simpatico vasale, prevale l’effetto sulle resistenze periferiche totali. Questa azione può determinare ipotensione posturale. Inoltre la riduzione del tono simpatico cardiaco determina una riduzione della contrattilità miocardica e della frequenza cardiaca che può favorire in certi pazienti la comparsa di scompenso cardiaco. Effetti collaterali La sedazione e la xerostomia (secchezza delle fauci) sono i principali effetti collaterali. Questo tipo di risposta si verifica in circa il 50% dei pazienti, tuttavia questi effetti possono diminuire d’intensità dopo alcune settimane di trattamento. L’ipotensione posturale e la disfunzione erettile possono rappresentare importanti effetti collaterali in molti pazienti. Effetti collaterali sul SNC meno frequenti comprendono disturbi del sonno caratterizzati da sogni vividi o incubi, irrequietezza e depressione. 30 Terapia dell’ipertensione arteriosa Gli effetti sul cuore correlati all’azione simpaticolitica di questi farmaci comprendono bradicardia sintomatica e arresto sinusale in pazienti con disfunzione del nodo seno-atriale, e blocco atrio-ventricolare in pazienti con malattia del nodo atrio-ventricolare o in pazienti che assumono altri farmaci che deprimono il nodo atrio-ventricolare. Una brusca interruzione del trattamento con clonidina può causare una sindrome da sospensione (effetto rebound) caratterizzata da cefalea, apprensione, tremori, dolore addominale, sudorazione e tachicardia. Può inoltre verificarsi un innalzamento della pressione arteriosa a valori superiori a quelli precedenti al trattamento. In genere il 15-20% dei pazienti che utilizza la preparazione transdermica di clonidina sviluppa dermatite da contatto. Usi terapeutici Il principale suo terapeutico della clonidina consiste nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Tuttavia, avendo effetti indesiderati a livello del SNC, non rappresenta una valida opzione per la monoterapia dell’ipertensione arteriosa. La clonidina è anche utile per il trattamento e la preparazione di pazienti in cura di disintossicazione da narcotici, alcool e tabacco. La somministrazione acuta di clonidina è stata utilizzata nella diagnostica differenziale di pazienti con ipertensione e sospetto feocromocitoma. In pazienti con ipertensione primaria, dopo la somministrazione di una singola dose del farmaco, si osserva una marcata riduzione della concentrazione plasmatica di noradrenalina; questo genere di risposta non avviene invece in molti pazienti con feocromocitoma. Somministrazione Somministrata per via endovenosa, la clonidina determina un picco pressorio (per effetto sui recettori α2-adrenergici postsinaptici e/o sui recettori α1-adrenergici delle cellule muscolari lisce vasali, che determina vasocostrizione) seguito da un più prolungato effetto ipotensivante, che non si ha con la somministrazione per os. α-METILDOPA Fig. 6 Meccanismo d’azione L’α-metildopa è un antipertensivo ad azione centrale. Si tratta di un profarmaco che esplica la sua azione antipertensiva attraverso un metabolita attivo. L’α-metildopa entra nella via biosintetica delle catecolamine e viene metabolizzata ad α-metildopamina, mediante la decarbossilasi degli acidi aromatici, e poi ad α-metilnoradrenalina, che ha potenza sovrapponibile alla noradrenalina. 31 Terapia dell’ipertensione arteriosa L’α-metilnoradrenalina viene immagazzinata nelle vescicole delle terminazioni nervose dei neuroni periferici dove rimpiazza la noradrenalina come vasocostrittore, così quando il neurone adrenergico libera il suo neurotrasmettitore, viene rilasciata αmetilnoradrenalina invece di noradrenalina, e non viene quindi alterata la risposta periferica alla neurotrasmissione adrenergica, in quanto l’α-metilnoradrenalina è un vasocostrittore di potenza analoga alla noradrenalina. Oggi l’α-metildopa ha un impiego limitato alla sola ipertensione in gravidanza dove ha dimostrato la sua sicurezza d’azione. L’α-metilnoradrenalina agisce sul SNC inibendo l’efflusso di impulsi adrenergici dal cervello. Essa probabilmente agisce come un agonista a livello dei recettori adrenergici α2 presinaptici cerebrali riducendo il rilascio di noradrenalina e pertanto riducendo i segnali adrenergici vasocostrittivi in uscita verso il sistema nervoso simpatico periferico. Effetti farmacologici La metildopa determina quindi una riduzione delle resistenze vascolari periferiche senza provocare notevoli variazioni della frequenza e della gittata cardiaca. Nei pazienti anziani tuttavia si può osservare una diminuzione della gittata cardiaca secondaria alla riduzione della frequenza cardiaca; questo effetto è conseguenza del rilassamento venoso e della riduzione del precarico. L’ipotensione ortostatica è presente, ma non è molto marcata perché la metildopa non abolisce completamente la vasocostrizione mediata dai barocettori. L’uso cronico di metildopa comporta una progressiva ritenzione di sodio e di liquidi che tende ad attenuare l’effetto antipertensivo: si tratta del cosiddetto fenomeno di pseudotolleranza che può essere controbilanciato dall’impiego concomitante di un diuretico. Effetti collaterali L’azione sui recettori α2-adrenergici presinaptici nel tronco encefalico provoca, oltre alla diminuzione della scarica simpatica alla periferia, anche la riduzione della scarica simpatica sui centri coinvolti nel controllo dell’attenzione, dei riflessi, della veglia e della vigilanza. Quindi la metildopa provoca sedazione transitoria (reversibile nel corso del trattamento), stanchezza e mancanza di concentrazione, con ulteriori possibili sintomi neurologici quali incubi, vertigini e depressione. Vengono inibiti anche i centri midollari che controllano la salivazione attraverso i recettori α2-adrenergici e la metildopa può causare quindi secchezza delle fauci (xerostomia). Altri effetti collaterali sul SNC comprendono riduzione della libido, sintomi parkinsoniani, iperprolattinemia con conseguente ginecomastia e galattorrea (probabilmente per inibizione dei meccanismi dopaminergici dell’ipotalamo). Usi terapeutici La metildopa è il farmaco preferito per il trattamento dell’ipertensione in gravidanza. 32 Terapia dell’ipertensione arteriosa AGONISTI DEI RECETTORI I1 PER LE IMIDAZOLINE MOXONIDINA Meccanismo d’azione La moxonidina è un agonista del recettore I1 delle imidazoline, e svolge anche una debole azione agonista α2-adrenorecettoriale. Imidazoline Le imidazoline sono così chiamate perché ottenute dalla fusione della struttura della feniletilamina dell’adrenalina con l’anello imidazolico dell’istamina. Questi composti si legano ai recettori α2-adrenergici ma con un’affinità minore rispetto alla clonidina. Recettori delle imidazioline I recettori delle imidazoline sono di tre tipi: 1) recettori I1, localizzati nel midollo allungato e nel nucleo del tratto solitario dove inibiscono la scarica simpatica in periferia; 2) recettori I2, ubiquitariamente distribuiti nel SNC e in periferia, sono localizzati sugli enzimi MAO-A e MAO-B ed esercitano una modulazione allosterica dell’enzima; 3) recettori I3, localizzati nelle cellule β del pancreas: la loro attivazione aumenta la secrezione di insulina. Effetti farmacologici La moxonidina riduce la pressione arteriosa tramite la riduzione della scarica simpatica periferica. Inoltre si osserva riduzione delle resistenze periferiche totali e riduzione dell’ipertrofia del ventricolo sinistro. Effetti collaterali La moxonidina sembra avere meno effetti collaterali rispetto alla clonidina. 2.2 Farmaci simpaticolitici ad azione periferica In questo capitolo vengono descritti i farmaci antagonisti dei recettori adrenergici, i quali sono in grado di inibire l’interazione dell’adrenalina, della noradrenalina e degli altri farmaci simpaticomimetici con i recettori adrenergici α e β. Quasi tutti questi farmaci sono antagonisti competitivi; un’importante eccezione è costituita dalla fenossibenzamina, un antagonista irreversibile che si lega in modo covalente ai recettori α. Esistono differenze importanti tra i diversi tipi di recettori adrenergici. Dal momento che sono stati sviluppati composti che presentano una diversa affinità per i vari recettori, risulta possibile interferire in modo selettivo con le risposte che derivano dalla stimolazione del sistema nervoso simpatico. 33 Terapia dell’ipertensione arteriosa Classificazione degli antagonisti dei recettori adrenergici 1. Antagonisti dei recettori α a. Non selettivi i. Fenossibenzamina ii. Fentolamina b. α1-selettivi i. Prazosina ii. Terazosina iii. Doxazosina iv. Talmusolin c. α2-selettivi i. Yohimbina 2. Antagonisti dei recettori β a. Non selettivi (prima generazione) i. Nadololo ii. Penbutololo iii. Pindololo iv. Propranololo v. Timololo b. β1-selettivi (seconda generazione) i. Acebutololo ii. Atenololo iii. Bisoprololo iv. Esmololo v. Metoprololo c. Non selettivi (terza generazione) i. Carteololo ii. Carvedilolo* iii. Bucindololo iv. Labetalolo* d. β1-selettivi (terza generazione) i. Betaxololo ii. Celiprololo iii. Nebivololo (i farmaci contrassegnati dall’asterisco (*) bloccano anche i recettori α1) α1-ANTAGONISTI Il blocco dei recettori α1-adrenergici inibisce la vasocostrizione indotta dalle catecolamine endogene; può verificarsi vasodilatazione sia nei vasi di resistenza arteriolare che nelle vene. Il risultato è la caduta della pressione arteriosa a causa della diminuita resistenza periferica. 34 Terapia dell’ipertensione arteriosa L’entità di tali effetti dipende dall’attività del sistema nervoso simpatico al momento della somministrazione dell’antagonista e quindi risulta minore nella posizione supina rispetto a quella eretta, ed è particolarmente pronunciata in caso di ipovolemia. La caduta della pressione, nel caso di molti antagonisti dei recettori α, viene contrastata dal riflesso barorecettoriale che provoca un aumento della gittata e della frequenza cardiaca, come pure dalla ritenzione di fluidi. Farmaci PRAZOSINA, TERAZOSINA, DOXASOZINA, TALMUSOLIN, ALFUZOSINA Meccanismo d’azione Il prazosin, il prototipo di una famiglia di sostanze caratterizzate dal contenere un nucleo piperazinil chinazolinico, è un potente e selettivo antagonista del recettore α1. Prazosin ha una potenza simile sui sottotipi recettoriali α1A, α1B, α1D. Gli α1-antagonisti sono antagonisti competitivi e reversibili dei recettori α1 adrenergici, quindi inibiscono la vasocostrizione mediata dai recettori α1 delle arteriole e delle venule. Ciò comporta una caduta della resistenza vascolare periferica e del ritorno venoso al cuore. Effetti farmacologici Inizialmente l’effetto degli α1-bloccanti consiste nel ridurre la resistenza arteriolare e la capacitanza venosa, provocando un aumento riflesso mediato dal sistema simpatico della frequenza cardiaca e dell’attività reninica plasmatica. Con la terapia cronica persiste l’effetto di vasodilatazione, ma i valori di gittata cardiaca, frequenza e attività della renina plasmatica ritornano nella norma. A seconda del volume plasmatico, gli α1-bloccanti determinano l’insorgenza di ipotensione ortostatica di varia entità. Gli α1-bloccanti riducono inoltre la concentrazione plasmatica di trigliceridi, colesterolo totale e colesterolo LDL e aumentano il colesterolo HDL. Il prazosin, a differenza di altri farmaci vasodilatatori, mostra scarsa tendenza ad aumentare la frequenza cardiaca. Un aspetto interessante dell’azione della terazosina e del doxazosin nel trattamento dei problemi delle vie urinarie inferiori nell’uomo con ipertrofia prostatica benigna è l’induzione di apoptosi nelle cellule muscolari lisce della prostata. Questo fenomeno può far diminuire i sintomi associati all’ipertrofia cronica. Effetti collaterali L’uso di doxazosin come monoterapia per l’ipertensione arteriosa aumenta il rischio di scompenso cardiaco congestizio (ALLHAT Officers, 2002). Tuttavia questa interpretazione del risultato dello studio ALLHAT è controversa. Una precauzione circa l’impiego degli α1-bloccanti nell’ipertensione arteriosa riguarda l’effetto “prima dose” per cui può verificarsi ipotensione ortostatica e 35 Terapia dell’ipertensione arteriosa sincope entro 90 minuti dalla somministrazione della dose iniziale del farmaco o dopo un incremento del dosaggio. Effetti collaterali aspecifici come cefalea, vertigini, astenia, tachicardia e disfunzione sessuale raramente limitano il trattamento con prazosin. Usi terapeutici Il prazosin e i suoi congeneri sono stati utilizzati con successo nel trattamento della ipertensione arteriosa essenziale. Grande interesse è stato prestato all’uso degli antagonisti dei recettori α1-adrenergici nel trattamento dell’ipertensione in virtù della tendenza di questi farmaci a migliorare il profilo lipidico e il metabolismo del glucosio e dell’insulina in pazienti con ipertensione e rischio di malattie arteriosclerotiche (Grimm, 1991). Ulteriori impieghi degli α1-antagonisti sono quelli del trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia e dei problemi delle vie urinarie inferiori secondario a ipertrofia prostatica benigna. Nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia questi farmaci sono utili perché esplicano effetti a breve termine riguardanti la dilatazione sia delle arterie che delle vene, il che provoca una riduzione del precarico e del postcarico con aumento della gittata cardiaca e diminuzione della congestione polmonare. L’ipertrofia prostatica benigna (benign prostatic hyperplasia, BPH) causa una ostruzione uretrale sintomatica in una significativa percentuale di uomini anziani che si manifesta con disuria, pollachiuria e nicturia. Questi sintomi dono dovuti alla combinazione della pressione meccanica sull’uretra, a sua volta causata dall’aumento della massa muscolare liscia, e dell’aumento del tono muscolare, mediato dai recettori α1 nella muscolatura della prostata e del collo della vescica (Kyprianou, 2003). I recettori α1 nella muscolatura del trigono vescicale e dell’uretra contribuiscono alla resistenza al deflusso dell’urina. Il prazosin riduce questa resistenza in pazienti con ritardato svuotamento della vescica causato da ostruzione della prostata o da danno spinale (Kirby et al., 1987; Andersson, 1988). Anche il talmusolin è efficace nel trattamento della BPH ed ha lievi effetti sulla pressione sanguigna (Wilde e McTavish, 1996; Beduschi et al., 1998) perché ha una prevalente azione sui sottotipi recettoriali α1A e α1D e scarsa affinità per α1B (α1A e α1B si trovano sui vasi, mentre α1D nel tratto urinario). β-BLOCCANTI I β-bloccanti hanno ricevuto un’enorme attenzione clinica grazie alla loro efficacia nella terapia dell’ipertensione arteriosa, della cardiopatia ischemica, dell’insufficienza cardiaca congestizia e di alcune forme di aritmia. Il propranololo è un antagonista competitivo del recettore β-adrenergico e rimane il prototipo di questa classe di farmaci. Gli altri β-bloccanti possono essere distinti in base alle seguenti proprietà: affinità relativa per i recettori β1 e β2, attività simpaticomimetica intrinseca, blocco dei 36 Terapia dell’ipertensione arteriosa recettori α, differenze di liposolubilità, capacità di indurre vasodilatazione e proprietà farmacocinetiche. Una potente attività simpaticomimetica intrinseca sarebbe controproducente per la risposta attesa da un β-antagonista, tuttavia una debole attività residua può impedire, per esempio, l’insorgenza di una profonda bradicardia o di un effetto inotropo negativo in condizioni di riposo. Inoltre si è scoperto che alcuni antagonisti dei recettori β-adrenergici possiedono attività di agonisti inversi. Questi farmaci possono diminuire l’attivazione basale dei meccanismi di trasduzione a valle dei recettori β-adrenergici spostando l’equilibrio di attivazione spontanea del recettore verso lo stadio inattivo (Chidiac et al., 1994). Il blocco dei recettori β-adrenergici ha un effetto limitato su un cuore normale di un individuo a riposo, ma ha effetti profondi quando il controllo simpatico sul cuore è dominante, come durante l’esercizio fisico o lo stress. Meccanismo d’azione Questi farmaci sono antagonisti dei recettori β-adrenergici. Questo antagonismo provoca diversi effetti, tra i quali: 1) inibizione competitiva degli effetti delle catecolamine sui β-recettori miocardici; 2) ridotta risposta cardiaca a stimolazione adrenergica (minore frequenza cardiaca e contrattilità cardiaca soprattutto durante lo sforzo, e riduzione del consumo di miocardico di O2). I β-bloccanti sono quindi farmaci importanti soprattutto per il trattamento delle malattie cardiovascolari in quanto inibiscono l’interazione di adrenalina, noradrenalina e altri simpaticomimetici con i recettori β-adrenergici. Quasi tutti sono antagonisti competitivi. Farmaci 1. β-bloccanti non selettivi (prima generazione) a. Nadololo b. Penbutololo c. Pindololo d. Propranololo e. Timololo 2. β-bloccanti β1-selettivi (seconda generazione) a. Acebutololo b. Atenololo c. Bisoprololo d. Esmololo e. Metoprololo 3. β-bloccanti non selettivi con azioni aggiuntive (terza generazione) a. Carteololo b. Carvedilolo c. Labetalolo d. Bucindololo 37 Terapia dell’ipertensione arteriosa 4. β-bloccanti β1-selettivi con azioni aggiuntive (terza generazione) a. Betaxololo b. Celiprololo c. Nebivololo Proprietà farmacologiche Apparato cardiovascolare. I principali effetti dei recettori β-adrenergici vengono esercitati a livello del sistema cardiovascolare. È importante però distinguere questi effetti in soggetti sani da quelli in soggetti con disfunzioni cardiovascolari, quali l’ipertensione o l’ischemia miocardica. Dal momento che le catecolamine possiedono attività cronotrope e inotrope positive, gli antagonisti dei recettori β-adrenergici rallentano la frequenza cardiaca e diminuiscono la contrattilità miocardica. Quando la stimolazione dei recettori βadrenergici è bassa questi effetti sono modesti, ma quando il sistema nervoso simpatico è attivo, come nel caso di esercizio fisico o stress, questi farmaci diminuiscono l’atteso innalzamento della frequenza cardiaca. La somministrazione a breve termine di antagonisti dei recettori β-adrenergici provoca una diminuzione della gittata cardiaca; la resistenza periferica aumenta proporzionalmente al mantenimento della pressione arteriosa come risultato del bilancio tra il blocco dei recettori β2-adrenergici della parete vascolare e l’azione dei riflessi compensatori rappresentati da un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico che porta all’attivazione dei recettori vascolari α. Tuttavia con l’utilizzo prolungato di questi farmaci la resistenza periferica totale ritorna ai valori iniziali (Mimran e Ducailar, 1988) o addirittura diminuisce in pazienti precedentemente ipertesi (Man in’t Veld et al., 1988). Con gli antagonisti dei recettori β-adrenergici che possiedono anche un’azione da antagonisti sui recettori α1-adrenergici, come il labetalolo, il carvedilolo e il bucindololo, la gittata cardiaca viene mantenuta e si assiste ad una brusca diminuzione delle resistenze periferiche totali. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici hanno inoltre effetti significativi sul ritmo e sull’automatismo cardiaci. Sebbene si pensi che questi effetti siano dovuti esclusivamente al blocco dei recettori β1-adrenergici, probabilmente anche i recettori β2-adrenergici regolano la frequenza cardiaca nell’uomo (Brodde e Michel, 1999; Altschuld e Billman, 2000). Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici riducono la frequenza cardiaca sinusale e la frequenza spontanea di depolarizzazione dei pacemaker ectopici, rallentano la conduzione atriale e nel nodo atrioventricolare e aumentano il periodo refrattario funzionale del nodo atrioventricolare. Gli effetti cardiovascolari degli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono molto evidenti durante l’esercizio fisico. In presenza di blocco dei recettori β-adrenergici si ha un’attenuazione dell’aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica indotta dall’esercizio fisico. 38 Terapia dell’ipertensione arteriosa Pressione arteriosa. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici non riducono la pressione arteriosa nei pazienti normotesi, mentre la riducono negli ipertesi. La somministrazione prolungata di questi farmaci in pazienti ipertesi porta in ultima analisi ad una caduta della resistenza vascolare periferica (Man in’t Veld et al., 1988). Il meccanismo di questo effetto non è ancora completamente noto. Alcuni antagonisti recettoriali β-adrenergici possiedono degli ulteriori effetti che possono contribuire alla loro capacità di abbassare la pressione arteriosa. Almeno sei diversi meccanismi possono contribuire a tale effetto: 1) la produzione di monossido d’azoto; 2) l’attivazione dei recettori β2-adrenergici; 3) il blocco dei recettori α1adrenergici; 4) il blocco dell’ingresso di Ca2+; 5) l’apertura canali per il K+; 6) l’attività antiossidante. Sembra che questi meccanismi contribuiscano all’effetto antipertensivo aumentando l’ipotensione e il flusso ematico periferico e diminuendo il postcarico. Sistema respiratorio. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici non selettivi bloccano anche i recettori β2 della muscolatura liscia bronchiale. Ciò ha in genere un limitato effetto nei soggetti sani, mentre in quelli affetti da BPCO od asma può portare a broncocostrizione. Sebbene gli antagonisti dei recettori β1-selettivi o quelli con attività simpaticomimetica intrinseca abbiano una probabilità minore rispetto al propranololo di aumentare la resistenza delle vie respiratorie in soggetti asmatici, questi farmaci dovrebbero essere utilizzati solo con grande attenzione, o non utilizzati per nulla, in pazienti con malattie respiratorie (Pujet et al., 1992). Effetti metabolici. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici modificano il metabolismo dei carboidrati e dei lipidi. Le catecolamine promuovono la glicogenolisi e mobilizzano glucosio in risposta all’ipoglicemia. I β-bloccanti non selettivi possono ritardare il recupero dall’ipoglicemia nel diabete melliti di tipo 1 (insulinodipendente), ma raramente nel diabete mellito di tipo 2. Questi farmaci possono interferire con gli effetti compensatori delle catecolamine secrete durante l’ipoglicemia, attenuando così la percezione di sintomi quali tremore, tachicardia e nervosismo. Pertanto gli antagonisti dei recettori β-adrenergici dovrebbero essere usati con molta cautela in pazienti diabetici inclini a variazioni ipoglicemiche. In questi casi sono preferibili gli antagonisti β1-selettivi (Dunne et al., 2001; DiBari et al., 2003). I recettori β-adrenergici mediano l’attivazione delle lipasi ormono-sensibili nelle cellule adipose, portando alla liberazione di acidi grassi in circolo. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici possono attenuare la liberazione di acidi grassi liberi dal tessuto adiposo. I farmaci non selettivi riducono in maniera consistente il colesterolo HDL e i trigliceridi. Al contrario quelli β1-selettivi (celiprololo, carteololo, nebivololo, carvedilolo) sembrano migliorare il profilo lipidico plasmatico nei pazienti dislipidemici. 39 Terapia dell’ipertensione arteriosa I β-agonisti diminuiscono la concentrazione plasmatica di potassio promuovendo il recupero dello ione a livello dei muscoli scheletrici. I β-bloccanti impediscono quindi l’influsso di potassio nei muscoli. Effetti collaterali Gli effetti collaterali più comuni dei β-bloccanti nascono come conseguenza farmacologica del blocco dei recettori β-adrenergici. Apparato cardiovascolare. Poiché negli individui affetti da insufficienza cardiaca il sistema nervoso simpatico fornisce un supporto critico alla prestazione cardiaca, gli antagonisti dei recettori β-adrenergici possono indurre scompenso cardiaco congestizio in pazienti predisposti. La bradicardia è una risposta normale al blocco dei recettori β-adrenergici; in pazienti con una conduzione atrioventricolare parzialmente o completamente insufficiente, i β-bloccanti possono causare bradiaritmie rischiose per la vita. Particolare attenzione occorre prestare per quei pazienti che stanno assumendo anche altri farmaci, quali il verapamil o agenti antiaritmici, che possono compromettere la funzione del nodo sinusale o la conduzione atrioventricolare. Alcuni pazienti lamentano freddo alle estremità durante l’assunzione di β-bloccanti, oppure si può sviluppare un morbo di Raynaud. Il rischio di peggiorare una claudicatio intermittens è probabilmente molto basso con questi farmaci. Sistema respiratorio. Il principale effetto collaterale degli antagonisti dei recettori β-adrenergici è provocato dal blocco dei recettori β2 a livello della muscolatura liscia bronchiale. Questi recettori sono importanti nel promuovere la broncodilatazione in pazienti affetto da broncospasmo, e i β-bloccanti possono causare un aumento della resistenza a livello delle vie aeree che può mettere a repentaglio la vita di alcuni pazienti. I farmaci selettivi per il recettore β1-adrenergico o che presentano un’attività simpaticomimetica intrinseca sui recettori β2-adrenergici possono indurre meno frequentemente broncospasmo, comunque la selettività per il recettore β1 è modesta, quindi questi farmaci dovrebbero essere evitati nei pazienti affetti da asma (Gottlieb et al., 1998). Sistema nervoso centrale. Gli effetti indesiderati degli antagonisti dei recettori βadrenergici a livello del SNC comprendono senso di affaticamento, disturbi del sonno (inclusi insonnia e incubi) e depressione. Metabolismo. Come precedentemente discusso, il blocco dei recettori β-adrenergici può provocare nei pazienti difficoltà di riconoscimento di uno stato ipoglicemico; si può anche verificare un ritardo del recupero dall’ipoglicemia indotta dall’insulina. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici dovrebbero essere prescritti con molta cautela ai pazienti diabetici che sono inclini a variazioni ipoglicemiche. 40 Terapia dell’ipertensione arteriosa In questi casi sono preferibili i farmaci β1-selettivi (Gottlieb et al., 1998). Effetti collaterali vari. L’incidenza di impotenza in uomini ipertesi sottoposti a trattamento con antagonisti del recettore β-adrenergico non è stata definita in modo chiaro. Sebbene stiano aumentando i dati relativi alla somministrazione di β-bloccanti in gravidanza, le informazioni riguardo la sicurezza dell’uso di questi farmaci durante la gestazione sono limitate. Interazioni farmacologiche Sono state osservate numerose interazioni sia di tipo farmacodinamico che di tipo farmacocinetico tra i composti β-bloccanti ed altri farmaci. I sali d’alluminio, la colestiramina e il colestipolo possono ridurre l’assorbimento dei β-bloccanti. Farmaci come la fenitoina, la rifampicina, il fenobarbital, così come il fumo, inducono a livello epatico gli enzimi metabolici e possono così diminuire le concentrazioni plasmatiche degli antagonisti dei recettori β-adrenergici. I β-bloccanti possono compromettere la clearence della lidocaina. Altre alterazioni sono di tipo farmacodinamico. Per esempio, i β-bloccanti e i bloccanti del canale del calcio hanno effetti additivi sulla pressione arteriosa. Usi terapeutici Malattie cardiovascolari. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono ampiamente utilizzati nel trattamento dell’ipertensione, dell’angina, delle sindromi coronariche acute e dell’insufficienza cardiaca congestizia. Questi farmaci sono anche frequentemente impiegati nella terapia delle aritmie sopraventricolari e ventricolari. Infarto miocardico. Numerosi studi hanno mostrato che gli antagonisti dei recettori β-adrenergici somministrati durante le fasi iniziali dell’infarto miocardico acuto e continuati a lungo termine possono diminuire la mortalità di circa il 25% (Freemanle et al., 1999). Il meccanismo preciso è tuttora sconosciuto ma i positivi effetti di questi farmaci possono derivare dalla diminuzione della richiesta di ossigeno da parte del miocardio, dalla diminuzione del flusso ematico cardiaco e dall’azione antiaritmica. Insufficienza cardiaca congestizia. È comunemente accettato che la somministrazione acuta di antagonisti dei recettori β-adrenergici possa peggiorare drasticamente o addirittura far precipitare una situazione di insufficienza cardiaca congestizia in pazienti compensati con forme multiple di malattia cardiaca, come la cardiomiopatia ischemica o congestizia. Di conseguenza l’ipotesi che gli antagonisti dei recettori βadrenergici potessero essere efficaci nel trattamento a lungo termine dell’insufficienza cardiaca sembrò in origine contraddittoria. Comunque le risposte simpatiche allo scompenso cardiaco possono ulteriormente sottoporre a stress il cuore scompen- 41 Terapia dell’ipertensione arteriosa sato ed esacerbare la progressione della malattia, quindi può essere utile bloccare questa risposta. È stato dimostrato che questi farmaci migliorano la funzionalità miocardica, la qualità di vita e prolungano la vita stessa. Infatti questa classe di farmaci è passata, nel corso della storia, dall’essere completamente controindicata, al divenire il prototipo di un moderno approccio terapeutico in molte situazioni cliniche. Sono stati proposti diversi meccanismi che potrebbero contribuire all’azione degli antagonisti dei recettori β-adrenergici nell’insufficienza cardiaca. Poiché un eccessiva stimolazione catecolaminergica può essere tossica per il cuore, specialmente attraverso l’attivazione dei recettori β1-adrenergici, l’inibizione di questa via potrebbe avere una funzione protettiva sul miocardio. Inoltre, l’antagonismo dei recettori β-adrenergici nel cuore potrebbe attenuare il rimodellamento cardiaco, responsabile di effetti deleteri sulla funzionalità del miocardio. L’attivazione dei recettori β-adrenergici è in grado di promuovere la morte mediante apoptosi delle cellule cardiache (Singh et al., 2000). Infine anche la riduzione del postcarico che si ottiene mediante farmaci come il carvedilolo potrebbe essere rilevante (Ma et al., 1996). Glaucoma. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono molto utili nel trattamento del glaucoma cronico ad angolo aperto. Attualmente sono disponibili sei farmaci: carteololo, betaxololo, levobunololo, metipropranololo, timololo e levobetaxololo. Il meccanismo d’azione di questi farmaci è rappresentato dalla diminuzione della produzione di umor acqueo. I farmaci vengono generalmente somministrati sotto forma di gocce oculari ed iniziano ad agire dopo circa 30 minuti, con una durata d’azione complessiva di circa 12-24 ore. Altri usi. Molte delle manifestazioni e dei sintomi dell’ipertiroidismo ricordano effetti tipici di un’aumentata attività simpaticomimetica. Infatti l’eccesso di ormone tiroideo in circolo aumenta l’espressione dei recettori β-adrenergici in alcuni tipi cellulari. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici controllano molti dei sintomi a livello cardiaco indotti dall’ipertiroidismo. Il propranololo, il timololo e il metoprololo sono efficaci nella profilassi dell’emicrania (Tfelt-Hansen, 1986). Il meccanismo non è noto. Il propranololo e altri β-bloccanti sono efficaci negli attacchi acuti di panico in soggetti che devono presentarsi in pubblico o in altre situazioni che possono scatenare uno stato d’ansia. Il propranololo può essere utile nel trattamento del tremore essenziale. I β-bloccanti possono essere di una certa utilità in soggetti in astinenza da alcool e con acatisia. Il propranololo e il nadololo sono efficaci nella prevenzione primaria del sanguinamento di varici esofagee in pazienti con ipertensione portale secondaria a cirrosi epatica. 42 Terapia dell’ipertensione arteriosa 3. Calcio-antagonisti I calcio-antagonisti sono un importante gruppo di farmaci antipertensivi. Il verapamil, farmaco simile alla papaverina, è stato il primo calcio-antagonista disponibile. Attualmente sono disponibili molti altri farmaci calcio-antagonisti. Il gruppo più ampio comprende amlodipina, felodipina, isradipina, nifedipina, dette diidropiridine. Il diltiazem è, con il verapamil, l’altro composto non diidropiridinico disponibile. 3.1 Omeostasi del calcio Distribuzione e funzioni dello ione calcio Il 99,99% del calcio cellulare è segregato all’interno di organuli oppure legato a molecole presenti nel citosol e negli organuli stessi. Infatti la concentrazione intracellulare di calcio ([Ca2+]i) è pari a 0,1 μM, mentre quella extracellulare ([Ca2+]e) può raggiungere 1 mM, cioè circa 10000 volte superiore a quella intracellulare. In tal modo ogni volta che la cellula lo desidera, grandi flussi di calcio possono entrare nella cellula per esplicare le proprie funzioni. Esistono però microterritori intracellulari in zone strategiche ove la [Ca 2+]i cresce anche a valori di 10 o 100 μM. Tra le principali funzioni biologiche dello ione Ca2+ ricordiamo l’eccitabilità cellulare, la contrattilità muscolare, la motilità cellulare, la secrezione di ormoni e neurotrasmettitori, la maturazione e proliferazione cellulare, il trasporto assonale, l’immagazzinamento della memoria, la neurotossicità e la morte neuronale. Depositi intracellulari di calcio I depositi intracellulari di calcio possono essere suddivisi in depositi a lenta cinetica di scambio e depositi a rapida cinetica di scambio. Fanno parte dei primi il reticolo endoplasmatico e sarcoplasmatico (che presentano calciosomi con SERCA per sequestrare calcio. Qui però deve anche essere rapidamente disponibile e ci sono infatti delle proteine che lo legano debolmente); l’apparato di Golgi, i mitocondri (posizionati vicino al reticolo endoplasmatico in modo che quando il calcio esce da quest’ultimo entra nei mitocondri e da qui viene poi rilasciato lentamente), il nucleo, i granuli secretori, le vescicole sinaptiche ed infine il citosol. I depositi a rapida cinetica di scambio sono invece organuli costituiti da porzioni specializzate di reticolo endoplasmatico o sarcoplasmatico con elevata [Ca2+] luminale libero (0,1-1mM), anche chiamati calciosomi. Essi sono dotati di pompe del calcio della famiglia SERCA che ricaptano il calcio libero nel citosol; proteine luminali leganti il calcio a bassa affinità; canali ionici attivati dall’inositolo trifosfato; e canali ionici sensibili alla rianodina. 43 Terapia dell’ipertensione arteriosa Il calcio deve però anche velocemente uscire dalle cellule; a tale scopo sono deputate principalmente due proteine: lo scambiatore Na+/Ca2+ 3/1 e la pompa del calcio che consuma ATP. Canali per il calcio I canali del calcio voltaggio dipendenti sono etero-pentameri. Essi sono costituiti da 4 subunità (α, β, γ, δ), in cui la subunità α è formata da 4 domini transmembrana a segmenti, dove il segmento S4 contiene aminoacidi carichi negativamente che determinano l’apertura del canale. Oltre alla subunità principale che forma il canale (subunità α1), i canali del calcio contengono numerose altre subunità associate: α2, β, γ e δ (Schwartz, 1992). I canali regolati dal voltaggio sono stati suddivisi almeno in tre sottoclassi in base alla loro conduttanza e sensibilità al voltaggio (Schwartz, 1992; Tsien et al., 1988). I canali meglio caratterizzati sono quelli appartenenti ai sottotipi L, N e T, ma sono stati identificati anche i canali P/Q ed R. Tuttavia solo il sottotipo L è sensibile ai calcio-antagonisti diidropiridinici. I più importanti canali per il Ca2+ voltaggio dipendenti sono quelli di tipo L a livello del sistema cardiocircolatorio attivati da alti voltaggi. 3.2 Farmaci calcio-antagonisti Il flusso di calcio intracellulare rappresenta la via finale comune per numerose risposte cellulari ad un’ampia varietà di stimoli. La motivazione del loro impiego nell’ipertensione arteriosa deriva dalla conoscenza che l’ipertensione è generalmente il risultato di un incremento delle resistenze vascolari periferiche. Poiché la contrazione della muscolatura liscia vascolare dipende dalla concentrazione di Ca2+ libero intracellulare, l’inibizione del movimento di ioni calcio transmembrana attraverso i canali del calcio voltaggio-sensibili può ridurre la quantità di Ca2+ che raggiunge i siti intracellulari. L’attivazione della chinasi della catena leggera della miosina, Ca 2+-modulina dipendente, determina la fosforilazione delle catene leggere di miosina, causa un incremento dell’attività dell’actina-miosina ATPasi e contrazione. Tutti i calcio-antagonisti riducono la pressione arteriosa mediante rilasciamento della muscolatura liscia vascolare e riducendo le resistenze vascolari periferiche (Weber, 2002). Come conseguenza della riduzione delle resistenze vascolari periferiche, i calcio-antagonisti provocano una scarica simpatica riflessa mediata dai barocettori. Nel caso delle diidropiridine, può verificarsi tachicardia per una stimolazione adrenergica del nodo seno-atriale. La tachicardia è invece solitamente minima o assente con verapamil e diltiazem per via del loro effetto cronotropo negativo diretto. Il concomitante impiego di un β-bloccante può aumentare gli effetti cronotropi negativi di questi farmaci e causare un arresto cardiaco in certi pazienti, e pertanto il loro uso con verapamil e diltiazem deve avvenire sotto stretto controllo medico. 44 Terapia dell’ipertensione arteriosa Chimica Sono state individuate 5 classi di composti: fenilalchilamine, diidropiridine, benzotiazepine, difenilpiperazine e una diarilaminopropilamina. Attualmente verapamil (fenilalchilamina), diltiazem (benzotiazepina), nifedipina, amlodipina, felodipina, isradipina, nicardipina, nisoldipina, nimodipina (diidropiridine) e bepridil (una diarilaminopropilamina utilizzata solo per l’angina refrattaria) sono approvati per l’impiego clinico negli Stati Uniti. Meccanismo d’azione I canali del Ca2+ voltaggio-sensibili (di tipo L o canali lenti) mediano l’ingresso di calcio extracellulare nel muscolo liscio, nei miociti cardiaci e nelle cellule del nodo seno-atriale e atrio-ventricolare in risposta alla depolarizzazione elettrica. Sia nel muscolo liscio che nei miociti cardiaci il calcio funge da innesco per la contrazione. Gli antagonisti dei canali del Ca 2+, detti anche bloccanti dell’ingresso del Ca2+, inibiscono la funzione di tali canali. Gli agonisti dei canali del Ca2+ producono i loro effetti mediante il legame alla subunità α1 dei canali del calcio di tipo L, e in questo modo riducono il flusso di Ca2+ attraverso il canale. Nella muscolatura liscia vascolare ciò determina rilassamento, che è più evidente nel distretto arterioso. Questi farmaci possono anche determinare effetti inotropi e cronotropi negativi a livello cardiaco. Proprietà farmacologiche Tutti i calcio-antagonisti sono efficaci in monoterapia per il trattamento dell’ipertensione lieve/moderata; tuttavia questa classe di farmaci non viene considerata appropriata per l’impiego in monoterapia nel trattamento dell’ipertensione (Chobanian et al., 2003). Azione sui vasi. Sebbene le correnti di Na+ siano in qualche misura interessate, la depolarizzazione delle cellule muscolari lisce vasali dipende principalmente dall’ingresso di Ca2+. Possono essere almeno tre i meccanismi responsabili della contrazione di queste cellule. Il primo consiste nell’apertura dei canali del Ca 2+ voltaggio-sensibili in risposta alla depolarizzazione della membrana e nell’ingresso nella cellula di Ca 2+ extracellulare secondo gradiente elettrochimico. Dopo la chiusura di questi canali deve trascorrere un certo intervallo di tempo prima che essi possano di nuovo aprirsi in risposta ad uno stimolo. In secondo luogo le contrazioni indotte da agonisti che si verificano senza depolarizzazione della membrana dipendono dalla stimolazione della via PLC-IP3 risultante dal rilascio di Ca2+ dal compartimento extracellulare. Il terzo meccanismo è rappresentato dai canali del Ca 2+ attivati da recettori che permettono l’ingresso di Ca2+ extracellulare dopo il legame tra agonista e recettore. 45 Terapia dell’ipertensione arteriosa Un aumento del calcio nel citosol stimola il legame tra questo ione e la proteina calmodulina. Il complesso Ca2+-calmodulina attiva a sua volta la chinasi della catena leggera della miosina, con conseguente fosforilazione della catena leggera di miosina. Tale fosforilazione promuove l’interazione tra actina e miosina e quindi la contrazione della muscolatura. I calcio-antagonisti inibiscono i canali ionici voltaggio dipendenti nella muscolatura liscia vasale provocando quindi un rilasciamento della muscolatura liscia arteriosa. Questi farmaci possiedono solo uno scarso effetto sulla maggior parte dei distretti venosi e quindi non influenzano in modo significativo il precarico cardiaco. Attività sulle cellule cardiache. I meccanismi coinvolti nell’accoppiamento stimolocontrazione nel cuore si distinguono da quelli delle cellule muscolari lisce vasali poiché una parte delle due correnti ioniche dirette verso l’interno è sostenuta dal passaggio di Na+ attraverso i canali veloci, che va a sommarsi al passaggio di Ca 2+ che avviene attraverso i canali lenti. All’interno del miocita cardiaco il Ca 2+ si lega alla troponina riducendone l’effetto inibitorio sull’apparato contrattile e permettendo una produttiva interazione tra actina e miosina in modo da consentire la contrazione. Per questi motivi i calcio-antagonisti possono esercitare un effetto inotropo negativo. Nei nodi seno-atriale e atrio-ventricolare la depolarizzazione dipende in gran parte dal movimento di Ca2+ attraverso il canale lento. L’effetto di un calcio-antagonista sulla conduzione atrio-ventricolare e sulla frequenza del pacemaker nel nodo del seno dipende dal fatto che il farmaco ritardi o meno il recupero del canale lento (Schwartz, 1992). Inoltre il blocco dei canali determinato dal verapamil (e in misura minore dal diltiazem) viene potenziato via via che la frequenza dello stimolo aumenta (fenomeno definito dipendenza dalla frequenza o dipendenza dall’uso). Il verapamil e il diltiazem riducono la frequenza del pacemaker del nodo del seno e rallentano la conduzione atrio-ventricolare; quest’ultimo effetto rappresenta il principio su cui si basa il loro utilizzo nel trattamento delle tachiaritmie sopraventricolari. Il bepridil, come il verapamil, inibisce sia l’ingresso lento di Ca 2+ sia quello veloce di Na+ e possiede un effetto inotropo negativo diretto. Le sue proprietà elettrofisiologiche portano ad una riduzione della frequenza cardiaca e ad un prolungamento del periodo refrattario effettivo del nodo atrio-ventricolare e, aspetto molto importante, dell’intervallo QTc. Quest’ultimo effetto può essere associato a torsioni di punta, un’aritmia ventricolare potenzialmente fatale, in particolare in caso di ipokaliemia. Effetti emodinamici. Tutti i calcio-antagonisti approvati in clinica riducono la resistenza dei vasi coronarici e determinano un aumento del flusso in questo distretto. I diidropiridinici si sono dimostrati vasodilatatori più potenti rispetto al verapamil. Gli effetti emodinamici di ciascuno di questi composti variano a seconda della via di somministrazione e della gravità della disfunzione ventricolare sinistra. 46 Terapia dell’ipertensione arteriosa Effetti collaterali Il profilo degli effetti collaterali è differente tra i farmaci di questa classe. Gli effetti collaterali più frequenti provocati dai calcio-antagonisti, in particolare dalle diidropiridine, sono dovuti a eccessiva vasodilatazione. I sintomi includono vertigini, ipotensione, cefalea, vampate di calore, disestesia delle dita e nausea. I pazienti possono presentare anche tosse, stipsi, edema periferico, dispnea ed edema polmonare. È possibile altresì che si verifichino crampi muscolari se viene somministrata nimodipina alle dosi elevate che sono necessarie per ottenere un effetto nei pazienti con emorragia subaracnoidea. Più raramente si osservano eruzioni cutanee, sonnolenza e, occasionalmente, anche lievi alterazioni dei test di funzionalità epatica. Questi ultimi non sono comunque dannosi e possono risolversi col tempo, oppure correggendo la dose. L’associazione di verapamil per via sistemica e di un β-bloccante è controindicata a causa dell’aumento del rischio di blocco atrio-ventricolare e/o di notevole calo della funzionalità ventricolare. I pazienti con disfunzione ventricolare, disturbi della conduzione dei nodi seno-atriale e atrio-ventricolare e valori pressori sistemici inferiori a 90 mmHg non dovrebbero essere trattati con verapamil o diltiazem, in particolare per via endovenosa. Il bepridil, a causa delle sue proprietà antiaritmiche e della sua capacità di allungare l’intervallo QT, può causare come effetto collaterale alcune aritmie gravi. In particolare, in caso di ipokaliemia e/o bradicardia si manifesta talvolta una tachicardia polimorfa ventricolare (torsioni di punta), che è un’aritmia potenzialmente fatale. I pazienti che ricevono nifedipina a rilascio immediato manifestano cefalea, rossore al viso, vertigine ed edema periferico. Di solito l’edema non costituisce una conseguenza della ritenzione di liquidi, ma deriva piuttosto da un aumento della pressione idrostatica alle estremità inferiori imputabile alla dilatazione precapillare e alla costrizione postcapillare riflessa. Molti altri effetti collaterali di questi farmaci sono dovuti alle azioni sulla muscolatura liscia non vascolare. La contrazione dello sfintere esofageo inferiore è inibita dai calcio-antagonisti e pertanto ciò può aggravare un reflusso gastroesofageo. La stipsi è un effetto collaterale comune con il verapamil, ma si verifica più raramente con gli altri calcio-antagonisti. La ritenzione urinaria rappresenta un raro effetto collaterale. Interazioni farmacologiche Significative interazioni farmacologiche possono essere evidenziate quando i calcioantagonisti vengono impiegati per il trattamento dell’ipertensione. Il verapamil blocca il trasportatore della glicoproteina-P. La distribuzione renale ed epatica della digossina avviene grazie a questo trasportatore; di conseguenza il verapamil inibisce l’eliminazione della digossina e di altri farmaci che vengano eliminati dall’organismo attraverso la glicoproteina-P. Si sconsiglia quindi l’uso di verapamil nel trattamento dell’intossicazione da digitalici. 47 Terapia dell’ipertensione arteriosa 4. Inibitori del sistema renina-angiotensina 4.1 Sistema renina-angiotensina Il sistema renina-angiotensina partecipa significativamente alla fisiopatologia dell’ipertensione, dell’infarto miocardico e della nefropatia diabetica. Questa constatazione ha portato ad un accurato studio di tale sistema e allo sviluppo di nuovi approcci per inibirne l’azione. L’angiotensina II, il peptide più attivo correlato all’angiotensina, è ottenuta dall’angiotensinogeno attraverso due tagli proteolitici: il primo attuato dalla renina (enzima secreto dai reni) che scinde il decapeptide angiotensina I dal segmento amino-terminale dell’angiotensinogeno (substrato della renina); il secondo attuato dall’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin-converting enzyme, ACE) che ottiene l’octapeptide angiotensina II rimuovendo il dipeptide carbossi-terminale dell’angiotensina I. L’angiotensina II agisce poi legandosi a due recettori a sette domini transmembrana accoppiati a proteine G, chiamati AT1 e AT2. Renina Il fattore principale che regola la velocità di sintesi dell’angiotensina II è la quantità di renina rilasciata dal rene. La renina è sintetizzata, accumulata e secreta nel circolo arterioso renale dalle cellule iuxtaglomerulari localizzate nella parete delle arteriole afferenti al loro ingresso nel glomerulo. La renina è immagazzinata in granuli all’interno delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare ed è secreta mediante esocitosi (Friis et al., 1999). La renina è un’aspartilproteasi che agisce su un numero limitato di substrati. Il suo substrato naturale principale è una α2-globulina circolante, l’angiotensinogeno, che viene secreto dagli epatociti. La renina scinde il legame tra i residui 10 e 11 dell’estremità amino-terminale dell’angiotensinogeno dando origine all’angiotensina I. L’emivita della renina circolante è approssimativamente pari a 15 minuti. Controllo della secrezione di renina. La secrezione di renina dalle cellule iuxtaglomerulari è controllata da tre meccanismi principali, due dei quali agiscono localmente nel rene, mentre il terzo esplica la sua attività tramite il sistema nervoso centrale (SNC) ed è mediato dal rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose noradrenergiche renali. Nel rene il primo meccanismo che regola la secrezione di renina è definito via della macula densa. La macula densa è adiacente alle cellule iuxtaglomerulari ed è costituita da cellule epiteliali colonnari specializzate a livello della parete del segmento corticale del glomerulo. Un’alterazione del riassorbimento di NaCl da parte della macula densa determina la trasmissione di segnali chimici alle cellule iuxtaglomerulari vicine, in modo da modificare il rilascio di renina. 48 Terapia dell’ipertensione arteriosa Gli incrementi del flusso di NaCl attraverso la macula densa inibiscono il rilascio di renina e, al contrario, le diminuzioni del flusso di NaCl stimolano la secrezione di renina. La via di segnale delle cellule della macula densa è mediata sia dall’adenosina sia dalle prostaglandine; la prima viene rilasciata quando il trasporto di NaCl aumenta, mentre le seconde vengono rilasciate quando il trasporto di NaCl diminuisce. L’adenosina, interagendo con il suo recettore A1, inibisce la secrezione di renina, mentre le prostaglandine ne stimolano la secrezione. Il secondo meccanismo renale che controlla la secrezione di renina è definito via dei barocettori renali. Se la pressione arteriosa aumenta o diminuisce nei vasi preglomerulari, si assiste rispettivamente ad una inibizione o ad una stimolazione del rilascio di renina. Si ritiene che il primo stimolo per la secrezione di renina sia rappresentato da una minore tensione della parete arteriosa dell’arteriola afferente. L’aumento e la diminuzione della pressione di perfusione renale possono rispettivamente inibire o stimolare il rilascio di prostaglandine renali, che possono mediare la via di segnale del barocettore intrarenale. A conferma di questa conclusione, l’inibizione dell’enzima ciclossigenasi inducibile (COX-2) diminuisce la secrezione di renina e la pressione arteriosa in caso di ipertensione nefrovascolare renina-dipendente (Wang et al., 1999). Il terzo meccanismo, la via di segnalazione mediata dal recettore β-adrenergico, è mediato dal rilascio della noradrenalina dalle terminazioni postgangliari del sistema ortosimpatico; l’attivazione dei recettori β1-adrenergici delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare incrementa il rilascio di renina. Questi tre meccanismi che regolano il rilascio di renina sono collegati tra loro a costituire un sistema fisiologico integrato. L’aumento della secrezione di renina potenzia la formazione di angiotensina II e l’angiotensina II stimola il sottotipo 1 dei recettori per l’angiotensina (AT1) presenti sulle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare al fine di inibire il rilascio di renina, un effetto denominato feed-back a corto raggio. L’angiotensina II quindi incrementa la pressione arteriosa attraverso la stimolazione dei recettori AT1, e l’aumento della pressione arteriosa inibisce il rilascio di renina perché (1) attiva i barocettori sensibili alla pressione elevata riducendo perciò il tono simpatico renale; (2) determina un aumento della pressione nei vasi preglomerulari; (3) riduce il riassorbimento di NaCl nel tubulo prossimale determinando un aumento del carico salino in arrivo alla macula densa. L’inibizione del rilascio di renina dovuto agli aumenti di pressione provocati dall’angiotensina II è stato definito feed-back a lungo raggio. 49 Terapia dell’ipertensione arteriosa Fig. 7 50 Terapia dell’ipertensione arteriosa Recettori dell’angiotensina Gli effetti delle angiotensine sono esercitati attraverso specifiche proteine G con struttura a eptaelica accoppiate ai recettori (de Gasparo et al., 2000). I due sottotipi dei recettori per le angiotensine (Whitebread et al., 1989; Chu et al., 1989) sono attualmente definiti AT1 e AT2 (Bumpus et al., 1991). La maggior parte degli effetti biologici conosciuti dell’angiotensina II è mediata dal recettore AT1. I ruoli funzionali dei recettori AT2 sono ancora poco conosciuti, ma potrebbero consistere in effetti antiproliferativi, proapoptosici, vasodilatatori e antipertensivi (Inagami et al., 1999; Ardaillou, 1999; Horiuchi et al., 1999; Siragy et al., 2000; Moore et al., 2001; Carey et al., 2001). I recettori AT1 si trovano accoppiati a numerose proteine G eterodimeriche, tra cui Gq, G12/13 e Gi. Nella maggior parte dei tipi cellulari i recettori AT1 legano proteine Gi al fine di attivare la via di segnalazione PLCβ-IP3-Ca2+. Come conseguenza dell’attivazione della proteina Gi possono aver luogo l’attivazione della PKC, della PLA2 e della PLD e la produzione di eicosanoidi, così come l’attivazione delle proteine Ca2+-dipendenti e delle MAP-chinasi e l’attivazione della NOS Ca2+calmodulina-dipendente. Vi può essere attivazione della proteina Gi con riduzione dell’attività dell’adenilato ciclasi e abbassamento del contenuto intracellulare di AMP ciclico; tuttavia vi è anche evidenza di un “cross-talk” Gq → Gs in modo che l’attivazione della via di segnalazione AT1-Gq-PLC determini un aumento della produzione di AMP ciclico (Meszaros et al., 2000; Epperson et al., 2004). Attraverso questi ed altri meccanismi l’angiotensina influenza altresì l’espressione di molti prodotti genici che regolano la crescita cellulare e la produzione di componenti della matrice extracellulare. Funzioni ed effetti del sistema renina-angiotensina Il sistema renina-angiotensina svolge un ruolo importante nella regolazione della pressione arteriosa sia a breve sia a lungo termine. Un modesto incremento della concentrazione plasmatica di angiotensina II determina un rialzo acuto della pressione arteriosa. Questa risposta pressoria rapida all’angiotensina II è dovuta al rapido incremento delle resistenze vascolari periferiche (risposta che aiuta a mantenere stabile la pressione arteriosa in seguito ad una situazione di ipotensione acuta, come per esempio nel caso di sanguinamenti o vasodilatazione). Sebbene l’angiotensina II aumenti direttamente la contrattilità cardiaca (attraverso l’apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti a livello dei miociti cardiaci) e aumenti direttamente la frequenza cardiaca (attraverso la stimolazione del tono simpatico, l’aumento della neurotrasmissione adrenergica e il rilascio della catecolamine surrenali che), il rapido incremento della pressione arteriosa attiva un riflesso barocettivo che diminuisce il tono simpatico e aumenta quello vagale. L’angiotensina II è anche in grado di provocare una risposta pressoria lenta che stabilizza a lungo termine la pressione arteriosa. L’infusione continua di dosi di angiotensina II inizialmente subliminali determina un graduale aumento della pressione, raggiungendo l’effetto massimale dopo alcuni giorni. 51 Terapia dell’ipertensione arteriosa La risposta pressoria lenta all’angiotensina II è mediata molto probabilmente da un’escrezione renale ridotta che fa spostare verso destra la curva pressione renalenatriuresi. Inoltre l’angiotensina II stimola la produzione di endotelina-1 e dell’anione superossido (Laursen et al., 1997; Rajagopalan et al., 1997; Ortiz et al., 2001), il che può contribuire alla lenta risposta pressoria. In aggiunta al suo effetto sulla pressione arteriosa, l’angiotensina II altera significativamente la morfologia del sistema cardiovascolare, determinando ipertrofia delle cellule cardiache e vascolari e incrementando la sintesi e la deposizione di collagene da parte dei fibroblasti cardiaci. Meccanismi di aumento delle resistenze periferiche totali da parte dell’angiotensina II. L’angiotensina II determina un aumento delle resistenze periferiche totali (total peripheral resistance, TPR) con effetti diretti ed indiretti sui vasi. Vasocostrizione diretta. L’angiotensina II provoca costrizione delle arteriole precapillari e, in misura minore, delle venule postcapillari attivando i recettori AT1 localizzati sulle cellule muscolari lisce vasali e stimolando la via Gq-PLC-IP3-Ca2+. L’angiotensina II esercita effetti diversi sui letti vascolari. La vasocostrizione diretta è più marcata a livello renale e leggermente inferiore nel letto vascolare plasmatico. Stimolazione della trasmissione noradrenergica periferica. L’angiotensina II facilita la trasmissione noradrenergica periferica stimolando il rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche, inibendone la ricaptazione e promuovendo la risposta vasale a questo neurotrasmettitore. Effetti sul sistema nervoso centrale. L’infusione di piccole quantità di angiotensina II nelle arterie vertebrali determina un aumento della pressione arteriosa. Questa risposta, mediata dall’aumento del tono simpatico, riflette gli effetti dell’ormone sui nuclei circumventricolari non protetti dalla barriera ematoencefalica. L’angiotensina II circolante può inoltre ridurre l’attività simpatica mediata dai barocettori, determinando un aumento della pressione arteriosa. Il SNC è influenzato sia dall’angiotensina II di origine plasmatica sia da quella formatasi nel cervello (Saavedra, 1992; Bunnemann et al., 1993). Oltre ad indurre un aumento del tono simpatico, l’angiotensina II provoca la sensazione della sete a livello centrale e stimola il rilascio di vasopressina (ormone antidiuretico) dalla neuroipofisi. Rilascio di catecolamine dalla midollare del surrene. L’angiotensina II stimola il rilascio di catecolamine dalla midollare del surrene mediante depolarizzazione delle cellule cromaffini. Meccanismi mediante i quali l’angiotensina II altera la funzionalità renale. L’angiotensina II esercita notevoli effetti sulla funzionalità renale perché riduce l’escrezione urinaria di Na+ e acqua, mentre provoca un aumento dell’escrezione di K+. Il risultato complessivo è quello di spostare verso destra la relazione tra pressione renale e natriuresi. 52 Terapia dell’ipertensione arteriosa Effetti diretti dell’angiotensina II sul riassorbimento di sodio nel tubulo prossimale. L’angiotensina II, a concentrazioni molto basse, stimola lo scambio Na +/H+ nel tubulo prossimale determinando un maggiore riassorbimento di Na +, Cl- e bicarbonato. L’angiotensina II aumenta inoltre l’espressione del simporto Na +-glucosio nel tubulo prossimale (Bautista et al., 2004). L’angiotensina II stimola anche direttamente il simporto Na+-K+-2Cl- nel tratto spesso della ascendente dell’ansa di Henle (Kovàcs et al., 2002). Rilascio di aldosterone dalla corticale surrenale. L’angiotensina II stimola la sintesi e la secrezione di aldosterone nella zona glomerulare della corticale del surrene ed esercita azioni trofiche e stimolatorie tali da potenziare altri fattori, come per esempio ACTH (ormone adrenocorticotropo) e K+. L’aldosterone agisce sui tubuli distali e collettori determinando ritenzione di Na + ed escrezione di K+ ed H+. Alterazioni dell’emodinamica renale. Riduzioni del flusso ematico renale attenuano in modo marcato l’attività escretoria del rene; l’angiotensina II riduce il flusso renale provocando vasocostrizione diretta della muscolatura liscia vasale, aumentando il tono simpatico renale (attraverso il SNC) e facilitando la trasmissione adrenergica a livello renale (effetto intrarenale). L’angiotensina II determina variazioni del tasso (velocità) di filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) attraverso diversi meccanismi: 1) costrizione delle arteriole afferenti, evento che riduce la pressione intraglomerulare e tende a far diminuire il GFR; 2) costrizione delle cellule mesangiali che riduce, all’interno del glomerulo, l’area di superficie dei capillari disponibile per la filtrazione e tende anch’essa a far diminuire il GFR; 3) costrizione delle arteriole efferenti che induce un aumento della pressione intraglomerulare e del GFR. L’effetto complessivo di queste azioni opposte sul GFR dipende dallo stato fisiologico. Normalmente il GFR è leggermente ridotto dall’angiotensina II, tuttavia nel caso di ipotensione dell’arteria renale risultano predominanti gli effetti sull’arteriola efferente e quindi, in questa situazione, l’angiotensina II fa aumentare il GFR. Pertanto il blocco del sistema renina-angiotensina può provocare insufficienza renale acuta in pazienti con stenosi bilaterale dell’arteria renale o in caso di stenosi unilaterale in presenza di un unico rene. Meccanismi mediante i quali l’angiotensina II altera le strutture cardiovascolari. Molte malattie cardiovascolari sono associate a modificazioni della morfologia cardiaca e/o vasale e ciò determina un rischio maggiore di morbilità e mortalità. Alterazioni patologiche delle strutture cardiovascolari possono comprendere ipertrofia e/o rimodellamento. Queste modifiche sono dovute sia ad una maggiore migrazione, proliferazione e ipertrofia cellulare, sia ad un aumento della quantità di matrice extracellulare. Le popolazioni cellulari coinvolte sono le cellule muscolari lisce vasali, i miociti cardiaci e i fibroblasti. È stato dimostrato che l’angiotensina II: 1) stimola la migrazione (Bell e Madri, 1990; Dubey et al., 1995), la prolifereazione (Daemen et al., 1991) e l’ipertrofia delle cellule muscolari lisce (Itoh et al., 1993); 2) induce un 53 Terapia dell’ipertensione arteriosa aumento della sintesi di matrice extracellulare da parte delle cellule muscolari lisce vasali (Scott-Burden et al., 1990); 3) provoca ipertrofia dei miociti cardiaci (Baker et al., 1992); 4) determina una maggiore produzione di matrice extracellulare da parte dei fibroblasti cardiaci (Villarreal et al., 1993; Crawford et al., 1994; Ostrom et al., 2003). Fig. 8 Ruolo del sistema renina-angiotensina nel mantenimento della pressione arteriosa a lungo termine nonostante variazioni notevoli dell’apporto di Na +. La pressione arteriosa è il parametro che influenza maggiormente l’escrezione di Na +. Ciò può essere illustrato in un grafico considerando l’escrezione urinaria di Na+ rispetto alla pressione arteriosa media. Questo grafico è conosciuto come curva pressione renale-natriuresi (Fig. 9). A lungo termine, l’escrezione di sodio deve essere controbilanciata dall’assunzione dello ione; il set point relativo a valori pressori a lungo termine, quindi, può essere ottenuto dall’intersezione della retta orizzontale che rappresenta l’assunzione di Na + con la curva pressione renale-natriuresi (Guyton, 1991). 54 Terapia dell’ipertensione arteriosa Se questa curva fosse fissa, la pressione arteriosa nel tempo sarebbe ampiamente influenzata dall’assunzione di sodio. Invece il sistema renina-angiotensina riveste un ruolo importante nel mantenere un set point costante relativo ai valori di pressione a lungo termine nonostante si verifichino ampie variazioni dell’assunzione di Na+. Se la quantità di Na+ introdotta con la dieta è bassa, viene stimolato il rilascio di renina e l’antiotensina II agisce Fig. 9 sul rene determinando uno spostamenInterazioni tra assunzione di sale, meccanismo to verso destra della curva pressione pressione renale-natriuresi e sistema reninarenale-natriuresi. Al contrario, quando angiotensina mirate a stabilizzare la pressione arteriol’apporto di Na+ con la dieta è elevato, sa a lungo termine nonostante ampie variazioni dell’apporto dietetico di sale. il rilascio di renina viene inibito e la caduta dell’angiotensina II determina uno spostamento a sinistra della curva. Di conseguenza, nonostante grandi variazioni dell’apporto di Na+ con la dieta, il punto di intersezione dell’assunzione di sale con la curva pressione renale-natriuresi rimane pressoché costante. 4.2 Farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina INIBITORI DELL’ENZIMA DI CONVERSIONE DELL’ANGIOTENSINA L’effetto fondamentale dei farmaci inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) è l’inibizione della conversione dell’angiotensina I, relativamente inattiva, in angiotensina II, forma attiva. Quindi gli ACE-inibitori attenuano o aboliscono le risposte all’angiotensina I, ma non all’angiotensina II. Poiché gli ACE-inibitori inducono un aumento dei livelli di bradichinina e quest’ultima stimola la biosintesi di prostaglandine, la bradichinina e/o le prostaglandine possono contribuire agli effetti farmacologici degli ACE-inibitori. Inoltre gli ACE-inibitori interferiscono nei cicli di feed-back negativi, sia a breve che a lungo raggio, del rilascio di renina; di conseguenza questi farmaci provocano un maggior rilascio di renina e un aumento della velocità di formazione di angiotensina I. Considerando che la trasformazione metabolica dell’angiotensina I in angiotensina II è bloccata da questi farmaci, l’angiotensina I ha un destino metabolico alternativo che consiste in una maggiore produzione di peptidi quali l’angiotensina(1-7). Non è noto se i peptidi biologicamente attivi, tra cui l’angiotensina(1-7), contribuiscano o meno alla risposta farmacologica degli ACE-inibitori. 55 Terapia dell’ipertensione arteriosa Chimica In base alla loro struttura chimica gli ACE-inibitori possono essere classificati in tre ampi gruppi: 1) ACE-inibitori contenenti un gruppo sulfidrilico correlati strutturalmente al captopril (per es. fentiapril, pivalopril, zofenopril, alacepril); 2) ACE-inibitori contenenti due funzioni carbossiliche correlati strutturalmente all’enalapril (per es. lisinopril, benazepril, quinapril, moexipril, ramipril, trandolapril, spirapril, perindopril, pentopril, cilazapril); 3) ACE-inibitori contenenti un atomo di fosforo correlati strutturalmente al fosinopril. Molti ACE-inibitori sono profarmaci con una funzione estere ed una potenza da 100 a 1000 volte inferiore rispetto ai loro metaboliti attivi, ma presentano una biodisponibilità orale notevolmente migliore rispetto a questi ultimi. Farmacocinetica Ad eccezione di fosinopril e spirapril, che sono eliminati in egual misura per via epatica e renale, gli ACE-inibitori hanno una clearence prevalentemente renale. Per questo motivo, in caso di nefropatia si riduce in modo significativo l’eliminazione dal plasma della maggior parte di questi farmaci e si rende necessaria la diminuzione del dosaggio. L’aumento dell’attività plasmatica della renina (plasma renin activity, PRA) induce nei pazienti una risposta ipotensiva maggiore dopo somministrazione di ACE-inibitori; le dosi iniziali di questi farmaci dovrebbero quindi essere ridotte nei soggetti con livelli elevati di renina, per esempio nel caso di scompenso cardiaco o di carenza di sodio. Usi terapeutici I farmaci che interferiscono con il sistema renina-angiotensina svolgono un ruolo di spicco nel trattamento delle malattie cardiovascolari, che rappresentano la principale causa di morte nella società moderna. Ipertensione arteriosa. L’inibizione dell’ACE riduce le resistenze vasali sistemiche e la pressione arteriosa media, diastolica e sistolica in varie condizioni di ipertensione. L’iniziale modificazione pressoria tende ad avere una correlazione positiva con l’attività reninica plasmatica (PRA) e con i livelli di angiotensina II precedenti al trattamento. Il calo a lungo termine della pressione arteriosa sistemica riscontrato nei soggetti ipertesi trattati con ACE-inibitori è accompagnato da uno spostamento verso sinistra della curva pressione renale-natriuresi e da una riduzione delle resistenze periferiche totali. L’aumento del flusso ematico renale (FER) è un reperto pressoché costante. Ciò non è inaspettato, poiché il circolo renale è particolarmente sensibile alla vasocostrizione indotta dall’angiotensina II. L’aumento del FER si verifica senza che vi sia una maggiore filtrazione glomerulare; in realtà la filtrazione è ridotta e vi è dilatazione sia dell’arteriola afferente che di quella efferente. In generale il flusso ematico cerebrale e coronarico sono mantenuti costanti perché in questi distretti esistono meccanismi di autoregolazione molto efficienti. 56 Terapia dell’ipertensione arteriosa Oltre a provocare dilatazione arteriolare sistemica, gli ACE-inibitori aumentano la capacitanza delle arterie di grosso calibro, contribuendo così alla riduzione della pressione sistolica. Non risultano compromessi né l’attività dei barocettori né i riflessi cardiovascolari, mentre sono moderatamente alterate le risposte ai cambi posturali ed allo sforzo. In generale, negli individui ipertesi la secrezione di aldosterone è ridotta, ma non marcatamente alterata, dagli ACE-inibitori. Essa è mantenuta a livelli adeguati da altri stimoli steroidogenici, tra cui l’ormone adrenocorticotropo e il K +. La ritenzione eccessiva di potassio si verifica solo nei pazienti che assumono un supplemento di questo ione, con alterazioni renali o in terapia con altri farmaci che riducono l’escrezione di potassio. Gli ACE-inibitori in monoterapia sono in grado di normalizzare la pressione arteriosa in circa il 50% dei pazienti con ipertensione lieve/moderata. Il 90% dei pazienti con ipertensione lieve/moderata può ottenere un buon controllo della pressione con l’associazione di un ACE-inibitore e un calcio-antagonista, un β-bloccante o un diuretico (Zusman, 1993). Disfunzione sistolica del ventricolo sinistro. È oggi chiaro che, in assenza di controindicazioni, gli ACE-inibitori dovrebbero essere somministrati a tutti i pazienti che presentano una funzionalità sistolica ridotta del ventricolo sinistro, indipendentemente dalla manifestazione di sintomi di scompenso cardiaco conclamato. Diversi studi hanno dimostrato che l’inibizione dell’ACE nei pazienti con disfunzione sistolica previene o ritarda la progressione dello scompenso cardiaco, riduce l’incidenza di morte improvvisa e di infarto miocardico, diminuisce la necessità di ricovero ospedaliero e migliora la qualità di vita. Più è grave il grado di disfunzione ventricolare, maggiore è il beneficio che si ottiene nell’inibizione dell’ACE. Sebbene i meccanismi con cui gli ACE-inibitori portano ad un miglioramento dei pazienti con disfunzione sistolica non siano ancora del tutto chiari, l’induzione di condizioni emodinamiche più favorevoli svolge un ruolo probabilmente molto importante. L’inibizione dell’enzima in genere riduce il postcarico e lo stress sistolico della parete; si verifica un aumento sia della gittata sia dell’indice cardiaco, così come degli indici di lavoro e di volume sistolico. Di norma la frequenza cardiaca diminuisce. La pressione arteriosa sistemica cala, ma tende poi a tornare ai livelli di partenza. Le resistenze nefrovascolari si riducono drasticamente ed il flusso ematico renale aumenta. La natriuresi dipende dal miglioramento dell’emodinamica renale, dal ridotto stimolo alla secrezione di aldosterone da parte dell’angiotensina II e dal diminuito effetto dell’angiotensina II sul rene. L’eccesso di volume di liquidi corporei diminuisce e questo determina una riduzione del ritorno venoso alle sezioni destre del cuore. Un’ulteriore riduzione deriva dalla dilatazione venosa e dall’aumentata capacitanza del letto venoso. La risposta agli ACE-inibitori comprende anche una riduzione della pressione arteriosa polmonare, della pressione di incuneamento capillare polmonare, dei volumi di 57 Terapia dell’ipertensione arteriosa riempimento e delle pressioni dell’atrio e del ventricolo di sinistra. Di conseguenza si ha una riduzione del precarico e della pressione tangenziale esercitata sulle pareti cardiache durante la diastole. Il miglioramento della prestazione emodinamica si traduce in una migliore tolleranza all’esercizio fisico e nella soppressione dell’ipertono simpatico (Grassi et al., 1997). I flussi ematici cerebrale e coronarico sono solitamente mantenuti nella norma anche quando la pressione sistolica si riduce. Gli effetti benefici degli ACE-inibitori sull’alterata funzione sistolica comprendono anche il miglioramento della geometria ventricolare. Nello scompenso cardiaco gli ACE-inibitori riducono la dilatazione ventricolare e tendono a ristabilire il normale profilo ellittico del cuore. Possono anche contrastare il rimodellamento ventricolare grazie a modificazioni del pre- e del postcarico, prevenendo gli effetti proliferativi dell’angiotensina II sui miociti e riducono la fibrosi cardiaca indotta dall’angiotensina II e dall’aldosterone. I livelli di aldosterone sono infatti elevati nello scompenso cardiaco e l’aldosterone determina un aumento marcato dell’espressione dell’ACE in miociti cardiaci di ratto neonato posti in coltura (Harada et al., 2001). Infarto miocardico acuto. Numerosi studi hanno fornito prove convincenti della capacità degli ACE-inibitori di ridurre la mortalità totale se il trattamento viene iniziato durante il periodo perinfartuale. Gli effetti benefici degli ACE-inibitori nell’infarto miocardico sono particolarmente evidenti nei pazienti ipertesi (Borghi et al., 1999) e diabetici (Zuanetti et al., 1997; Gustafsson et al., 1999). A meno che non sussistano controindicazioni (per es. shock cardiogeno o ipotensione grave), gli ACE-inibitori devono essere somministrati immediatamente nella fase acuta dell’infarto miocardico e poi possono essere somministrati in associazione con trombolitici, aspirina e antagonisti dei recettori β-adrenergici (ACE Inibitor Myocardial Infarction Collaborative Group, 1998). Pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari. Gli ACE-inibitori spostano l’equilibrio fibrinolitico verso uno stato profibrinolitico riducendo i livelli plasmatici dell’inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno (Vaughan et al., 1997; Brown et al., 1999) e correggono la disfunzione vasomotoria endoteliale nei pazienti affetti da malattia coronarica (Mancini et al., 1996). Insufficienza renale cronica. Il diabete mellito è la prima causa di insufficienza renale cronica (IRC). Nei pazienti con diabete mellito di tipo 1 e nefropatia diabetica il captopril previene o ritarda la progressione della malattia renale (Lewis et al., 1993). Oltre a limitare la nefropatia diabetica, gli ACE-inibitori possono anche ridurre la progressione della retinopatia nei diabetici di tipo 1 (Chaturvedi et al., 1998). Questi farmaci possono attenuare la progressione dell’insufficienza renale nei pazienti con diversi tipi di nefropatia non correlati al diabete (Maschio et al., 1996; GISEN Group, 1997; Ruggenenti et al., 1998, 1999b; Kshirsagar et al., 2000; Praga 58 Terapia dell’ipertensione arteriosa et al., 2003) e possono arrestare la riduzione del GFR persino in pazienti con grave insufficienza renale (Ruggenenti et al., 1999a). Numerosi meccanismi partecipano alla protezione renale esercitata dagli ACEinibitori. L’aumento della pressione nei capillari glomerulari provoca un danno a livello del glomerulo e questi farmaci riducono tale aumento sia diminuendo la pressione arteriosa sia dilatando le arteriole renali afferenti. Gli ACE-inibitori determinano una maggiore selettività nella permeabilità della membrana filtrante, riducendo perciò il contatto del mesangio con fattori proteici in grado di stimolare la proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice, entrambi processi questi che contribuiscono all’espansione del mesangio nella nefropatia diabetica. Poiché inoltre l’angiotensina II è un fattore di crescita, la riduzione dei suoi livelli all’interno del rene può attenuare ulteriormente la proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice. Effetti collaterali Le reazioni avverse agli ACE-inibitori sono rare e in genere essi sono ben tollerati. Non si riscontrano effetti collaterali metabolici nella terapia a lungo termine con questi farmaci. Non vi sono alterazioni dell’uricemia o della calcemia e, di fatto, si può verificare un miglioramento della sensibilità all’insulina in pazienti che presentano resistenza all’ormone o livelli ridotti di colesterolo e di lipoproteina(a) a causa di malattie renali caratterizzate da proteinuria. Ipotensione. In pazienti con PRA elevata dopo la prima dose di un ACE-inibitore si può riscontrare un calo drastico della pressione arteriosa. A questo proposito si deve prestare attenzione ai pazienti con carenze saline, a quelli trattati con associazioni di farmaci antipertensivi e a coloro che manifestano scompenso cardiaco congestizio. In tali situazioni la terapia iniziale dovrebbe prevedere dosi molto basse di ACEinibitore. Tosse. Il 5-20% dei pazienti in terapia con ACE-inibitori presenta una tosse secca e fastidiosa; di norma non vi è una relazione con la dose assunta. La tosse insorge più frequentemente nelle donne che negli uomini, si instaura generalmente nell’arco di una settimana, sei mesi dopo l’inizio della terapia e talvolta impone l’interruzione del trattamento. Questo effetto indesiderato può essere mediato dall’accumulo nei polmoni di bradichinina, di sostanza P e/o di prostaglandine. Gli antagonisti del trombossano (Malini et al., 1997), l’aspirina (Tenenbaum et al., 2000) e l’integrazione di ferro (Lee et al., 2001) riducono l’insorgenza di tosse indotta dagli ACEinibitori. Una volta sospesa la terapia, la tosse in genere scompare entro quattro giorni (Israili e Hall, 1992). Iperkaliemia. Nonostante la riduzione delle concentrazioni di aldosterone, si riscontra raramente una ritenzione significativa di potassio nei pazienti con normale 59 Terapia dell’ipertensione arteriosa funzionalità renale non in terapia con altri farmaci che provocano ritenzione di tale ione. Tuttavia gli ACE-inibitori possono causare iperkaliemia nei pazienti con insufficienza renale oppure in coloro che assumono diuretici risparmiatori di potassio, supplementi di potassio, β-bloccanti o FANS. Insufficienza renale acuta. L’angiotensina II, inducendo una vasocostrizione della arteriola efferente, contribuisce a mantenere una filtrazione glomerulare adeguata in caso di bassa pressione di perfusione renale. Di conseguenza, l’inibizione dell’ACE può provocare insufficienza renale acuta nei pazienti con stenosi bilaterale delle arterie renali, stenosi dell’arteria dell’unico rene presente, insufficienza cardiaca o deplezione di volume dovuta a diarrea o diuretici. Potenziale tossicità fetale. Sebbene gli ACE-inibitori non siano teratogeni nel periodo iniziale dell’organogenesi, cioè nel primo trimestre, il protrarsi della somministrazione di questi farmaci nel secondo e nel terzo trimestre può determinare deficienza di liquido amniotico, ipoplasia della volta cranica e dei polmoni, ritardo di accrescimento e morte del feto, anuria e decesso neonatale. Questi effetti possono essere in parte dovuti all’ipotensione fetale. Mentre gli ACE-inibitori non sono controindicati nelle donne in età fertile, una volta diagnosticata la gravidanza è imperativo interrompere la terapia con questi farmaci il più presto possibile. Eruzioni cutanee. Gli ACE-inibitori provocano occasionalmente un’eruzione maculo-papulare che può causare o meno prurito. L’eritema può risolversi spontaneamente o rispondere alla riduzione del dosaggio o ad un breve trattamento con antistaminici. Proteinuria. Gli ACE-inibitori sono stati associati a proteinuria superiore a 1g/die. In genere comunque la proteinuria non rappresenta una controindicazione per questi farmaci, poiché essi esercitano una protezione sul rene in alcune nefropatie associate a proteinuria, per esempio nella nefropatia diabetica. Angioedema. Nello 0,1-0,5% dei pazienti gli ACE-inibitori provocano un rigonfiamento di naso, gola, bocca, glottide, laringe, labbra e/o lingua. Questo effetto nocivo si presenta solitamente entro la prima settimana di trattamento, normalmente entro le ore che seguono l’assunzione della dose iniziale. L’occlusione delle vie aeree e la difficoltà respiratoria possono portare alla morte. Sebbene il meccanismo dell’angioedema sia poco conosciuto, esso può coinvolgere l’accumulo di bradichinina, l’induzione di autoanticorpi specifici per un tessuto, oppure l’inibizione dell’inattivatore della 1-esterasi del complemento. Quando gli ACE-inibitori vengono sospesi l’angioedema scompare nell’arco di alcune ore. Disgeusia. In alcuni pazienti in terapia con ACE-inibitori si può manifestare un’alterazione oppure la perdita del gusto. Questo effetto collaterale, che ricorre più frequentemente con il captopril, è reversibile. 60 Terapia dell’ipertensione arteriosa Neutropenia. La neutropenia è un effetto collaterale raro ma grave, riscontrato durante l’uso di ACE-inibitori. La neutropenia si riscontra principalmente nei pazienti ipertesi con malattie vasali riguardanti il collagene oppure alterazioni del parenchima renale. Glicosuria. Un effetto collaterale molto raro e reversibile riscontrato con l’uso degli ACE-inibitori è rappresentato da tracce di glucosio nelle urine in assenza di iperglicemia (Cressman et al., 1982). Il meccanismo è sconosciuto. Epatotossicità. Un altro effetto indesiderato altrettanto raro e reversibile è l’epatotossicità, generalmente di tipo colestatico (Hagley et al., 1993). Il meccanismo è sconosciuto. Interazioni farmacologiche Gli antiacidi possono ridurre la biodisponibilità degli ACE-inibitori. I FANS, inclusa l’aspirina (Guazzi et al., 1998), possono ridurre la risposta antipertensiva agli ACE-inibitori. I diuretici risparmiatori di potassio e i supplementi di potassio possono aggravare l’iperkaliemia indotta dagli ACE-inibitori. Gli ACE-inibitori possono far aumentare i livelli plasmatici di digossina e del litio. ANTAGONISTI DEL RECETTORE AT1 DELL’ANGIOTENSINA II Farmaci CANDESARTAN, EPROSARTAN, IRBESARTAN, LOSARTAN, OLMESARTAN, TELMISARTAN, VALSARTAN. Meccanismo d’azione Gli inibitori del recettore (o bloccanti recettoriali) dell’angiotensina II (angiotensin II receptor blockers, ARB) disponibili per l’uso clinico legano il recettore AT1 con grande affinità e, in genere, hanno un’affinità 10000 volte maggiore per il recettore AT1 rispetto al recettore AT2. Sebbene il legame degli ARB al recettore AT1 sia competitivo, l’inibizione della risposta biologica all’angiotensina II da parte degli ARB è spesso insormontabile; in altre parole, in presenza di un ARB non può essere ripristinata la massima risposta all’angiotensina II indipendentemente dalla concentrazione di angiotensina II aggiunta alla preparazione sperimentale. Il meccanismo dell’antagonismo insormontabile svolto dagli ARB può dipendere dalla lenta cinetica di dissociazione dei composti dal recettore AT1; tuttavia possono contribuirvi altri fattori, come l’internalizzazione del recettore indotta dagli ARB e la presenza di siti di legame alternativi per gli ARB sul recettore AT1 (McConnaughey et al., 1999). Indipendentemente dal meccanismo, l’antagonismo insormontabile ha il vantaggio teorico di mantenere occupato il recettore persino se i livelli del ligando endogeno aumentano e con dosi incomplete di farmaco. 61 Terapia dell’ipertensione arteriosa Gli ARB inibiscono in modo potente e selettivo la maggior parte degli effetti biologici dell’angiotensina II, tra cui: 1) la contrazione della muscolatura liscia vascolare; 2) la risposte pressorie rapide; 3) le risposte pressorie lente; 4) la sete; 5) il rilascio di vasopressina; 6) la secrezione di aldosterone; 7) il rilascio di catecolamine dal surrene; 8) l’aumento della neurotrasmissione noradrenergica; 9) l’aumento del tono simpatico; 10) i cambiamenti della funzione renale; 11) l’ipertrofia e l’iperplasia cellulare. Sebbene sia gli ARB che gli ACE-inibitori blocchino il sistema renina-angiotensina, gli ARB differiscono dagli ACE-inibitori per diversi aspetti importanti: 1) gli ARB riducono l’attivazione dei recettori AT1 in modo più efficace rispetto agli ACEinibitori. Gli ACE-inibitori riducono la biosintesi di angiotensina II provocata dall’azione dell’ACE sull’angiotensina I ma non inibiscono la via alternativa di formazione dell’angiotensina II non ACE-dipendente. Dal momento che gli ARB bloccano i recettori AT1, gli effetti dell’angiotensina II mediati da questi recettori vengono inibiti indipendentemente dalla via biologica che porta alla formazione di angiotensina II; 2) al contrario degli ACE-inibitori, gli ARB consentono l’attivazione dei recettori AT2. Gli ACE-inibitori aumentano il rilascio di renina, tuttavia, poiché questi farmaci bloccano la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, l’inibizione dell’ACE non è associata all’aumento dei livelli di angiotensina II. Anche gli ARB stimolano il rilascio di renina, ma ciò si traduce in un aumento significativo dei livelli di angiotensina II circolante. Poiché i recettori AT2 non sono bloccati dagli ARB disponibili per uso clinico, questa maggiore quantità di angiotensina II è in grado di attivare i recettori AT2; 3) gli ACE-inibitori possono aumentare le concentrazioni di angiotensina(1-7) in misura maggiore rispetto agli ARB. L’ACE è coinvolto nell’eliminazione dell’angiotensina(1-7), così che l’inibizione dell’ACE può determinare un aumento delle concentrazioni di angiotensina(1-7) maggiore rispetto agli ARB; 4) gli ACE-inibitori aumentano i livelli di alcuni substrati dell’ACE, inclusi bradichinina e Ac-SDKP. L’ACE è un enzima non selettivo che processa un ampio numero di substrati, quindi l’inibizione dell’ACE aumenta i livelli dei suoi substrati e riduce i livelli dei prodotti corrispondenti. Usi terapeutici Tutti gli ARB sono stati approvati per il trattamento dell’ipertensione arteriosa. L’irbesartan ed il losartan sono inoltre stati approvati per il trattamento della nefropatia diabetica; il losartan per la profilassi dell’ictus; il valsartan per il trattamento dello scompenso cardiaco nei pazienti intolleranti agli ACE-inibitori. Gli ARB hanno anche un ruolo nella protezione della funzione renale nei pazienti con diabete di tipo 2, in parte mediante meccanismi pressione-indipendenti (Brenner et al., 2001; Lewis et al., 2001; Parving et al., 2001; Viberti et al., 2002). Sulla base di questi risultati, la maggior parte degli esperti li considera attualmente i farmaci di scelta per la protezione della funzione renale nei pazienti diabetici. 62 Terapia dell’ipertensione arteriosa Il losartan è inoltre un farmaco molto sicuro ed efficace nel trattamento dell’ipertensione portale in pazienti affetti da cirrosi epatica ed ipertensione portale (Schneider et al., 1999), oltre ad avere il vantaggio di non compromettere la funzione renale. Effetti collaterali L’incidenza dell’interruzione del trattamento con gli ARB, dovuta a reazioni indesiderate, è paragonabile a quella del placebo. A differenza degli ACE-inibitori, gli ARB non provocano tosse e l’incidenza di angioedema associato all’uso di questi farmaci è molto più bassa rispetto a quella correlata all’uso degli ACE-inibitori. Gli ARB presentano una potenziale tossicità fetale e dovrebbero quindi essere sospesi prima del secondo trimestre di gravidanza. Gli ARB dovrebbero essere usati con cautela nei pazienti la cui pressione arteriosa o funzione renale dipende strettamente dal sistema renina-angiotensina, come per esempio i pazienti con stenosi dell’arteria renale. In questi pazienti infatti gli ARB possono provocare ipotensione, oliguria, iperazotemia progressiva o insufficienza renale acuta. Gli ARB possono provocare iperkaliemia nei pazienti con nefropatia o che assumono un supplemento di potassio o diuretici risparmiatori di potassio. 5. Vasodilatatori IDRALAZINA L’idralazina è stato uno dei primi antipertensivi somministrabili per via orale immesso sul mercato negli Stati Uniti. Il suo ruolo nel trattamento dell’ipertensione oggi è ridotto a seguito dell’introduzione di nuove classi di farmaci antipertensivi. Meccanismo d’azione L’idralazina determina, per azione diretta, un rilassamento della muscolatura liscia arteriolare. I meccanismi molecolari che mediano questa azione non sono chiari ma possono coinvolgere una caduta nelle concentrazioni intracellulari di calcio. Il farmaco non dilata le coronarie epicardiche né rilassa la muscolatura liscia venosa. L’idralazina induce una vasodilatazione associata ad una potente stimolazione del sistema nervoso simpatico che sembra essere dovuta a riflessi mediati dai barocettori, con conseguente incremento della frequenza cardiaca e della contrattilità, aumento dell’attività reninica plasmatica e ritenzione di liquidi. Effetti farmacologici La maggior parte degli effetti dell’idralazina è diretta al sistema cardiovascolare. 63 Terapia dell’ipertensione arteriosa La riduzione della pressione arteriosa ottenuta con la somministrazione di idralazina è associata ad un calo selettivo delle resistenze vascolari nel circolo coronarico, cerebrale e renale, con un effetto minore nei distretti della cute e del muscolo. Grazie inoltre alla dilatazione preferenziale delle arteriole rispetto alle vene, l’ipotensione posturale non si manifesta di frequente. Effetti collaterali Con l’impiego di idralazina compaiono due tipi di effetti collaterali. Il primo, che rappresenta un’estensione degli effetti farmacologici del farmaco, comprende mal di testa, nausea, vampate, ipotensione, palpitazioni, tachicardia, vertigini e angina pectoris. Può insorgere ischemia miocardica per effetto dell’aumentata richiesta di ossigeno imposta dalla stimolazione indotta dai barocettori del sistema nervoso simpatico e anche perché l’idralazina non dilata le arterie coronariche epicardiche. In tal modo la dilatazione arteriolare che viene prodotta può determinare un “furto” ematico dalla zona ischemica. Per questo motivo la somministrazione parenterale di idralazina è controindicata in pazienti ipertesi con coronaropatia, nei pazienti ipertesi con fattori di rischio cardiovascolare o nei pazienti anziani. Inoltre, se il farmaco viene utilizzato in monoterapia si può verificare ritenzione idrosalina con sviluppo di scompenso cardiaco congestizio. Si ottiene un miglioramento della tolleranza all’idralazina se la si somministra con un β-bloccante e un diuretico. Il secondo tipo di effetti collaterali deriva da reazioni immunitarie, tra le quali la più comune è il lupus iatrogeno, o sindrome lupoide. I sintomi sono quelli di altre sindromi lupoidi farmaco-indotte, cioè artralgia, artrite, febbre. Si possono inoltre presentare pleurite e pericardite e talvolta il versamento pericardico può provocare un tamponamento cardiaco. La somministrazione di idralazina può determinare anche una sindrome che assomiglia alla malattia da siero, anemia emolitica, vasculite e glomerulonefrite a progressione rapida. Usi terapeutici L’idralazina non è più da tempo un farmaco di prima scelta per il trattamento della ipertensione arteriosa a causa del suo profilo di effetti collaterali relativamente sfavorevole. Può tuttavia essere utile nel trattamento in alcuni pazienti con ipertensione severa e può essere parte di una terapia basata sull’evidenza in pazienti scompensati e nel trattamento delle emergenze ipertensive delle donne in gravidanza. Il farmaco dovrebbe essere usato con estrema attenzione nei pazienti anziani e in quelli ipertesi affetti da coronaropatia per la possibilità che induca un’ischemia miocardica dovuta a tachicardia riflessa. 64 Terapia dell’ipertensione arteriosa MINOXIDIL Meccanismo d’azione Il minoxidil non è attivo in vitro in quanto deve essere trasformato in metabolita attivo, il minoxidil N-O solfato, ad opera della sulfotrasferasi epatica. Il minoxidil solfato determina il rilassamento della muscolatura liscia vasale. Il minoxidil solfato attiva i canali del potassio modulati dall’ATP: consentendo l’apertura di questi canali nelle cellule muscolari lisce il minoxidil favorisce l’efflusso di potassio con conseguente iperpolarizzazione e rilasciamento della muscolatura liscia (Leblanc et al., 1989). Effetti farmacologici Il minoxidil determina vasodilatazione arteriolare senza influenzare i vasi di capacitanza (come idralazina e diazossido). Il minoxidil aumenta il flusso ematico di cute, muscolo scheletrico, tratto gastrointestinale e cuore più di quello del SNC. La causa determinante dell’innalzamento della gittata cardiaca è l’azione del minoxidil sulle resistenze vascolari periferiche che produce un aumento del ritorno venoso al cuore. L’aumento della contrattilità miocardica mediata dal sistema simpatico contribuisce all’aumento della gittata cardiaca, ma non rappresenta la causa principale. Gli effetti del minoxidil sul rene sono complessi. Il farmaco determina vasodilatazione nel rene, ma l’ipotensione sistemica prodotta dal farmaco può, a volte, diminuire il FER. Tuttavia, nella maggior parte dei pazienti che assumono minoxidil per il trattamento dell’ipertensione, la funzionalità renale migliora, soprattutto se la disfunzione renale è secondaria all’ipertensione (Mitchell et al., 1980). Il minoxidil è uno stimolante molto potente della secrezione di renina; questo effetto è mediato da una combinazione di stimolazione simpatica renale e attivazione dei meccanismi renali intrinseci che regolano il rilascio di renina. Effetti collaterali Gli effetti collaterali del minoxidil sono prevedibili e possono essere suddivisi in tre categorie principali: ritenzione idrica e salina, effetti cardiovascolari e ipertricosi. La ritenzione idro-salina deriva da un aumento del riassorbimento del tubulo renale prossimale, che dipende a sua volta dalla riduzione della pressione di perfusione renale e dalla stimolazione riflessa dei recettori α-adrenergici presenti nel tubulo renale. La ritenzione di liquidi può essere di solito controllata dalla somministrazione di un diuretico. La ritenzione di sale e liquidi in pazienti che assumono minoxidil può essere importante e richiedere ampie dosi di diuretici dell’ansa al fine di prevenire la formazione di edema. Gli effetti della terapia con minoxidil sul cuore sono simili a quelli indotti dall’idralazina e dipendono dall’attivazione del sistema nervoso simpatico mediata dai barocettori; si osserva aumento della frequenza cardiaca, della contrattilità 65 Terapia dell’ipertensione arteriosa miocardica e del consumo di ossigeno da parte del miocardio. In pazienti affetti da coronaropatia può essere così indotta ischemia miocardica. Mediante la contemporanea somministrazione di un β-bloccante è possibile attenuare questi effetti. L’ipertricosi è un effetto comune a tutti i pazienti che assumono minoxidil per un periodo prolungato e si tratta probabilmente di una conseguenza dell’attivazione dei canali del potassio. La crescita di peli si verifica su viso, schiena, braccia e gambe ed è particolarmente fastidiosa nelle donne. Il problema viene trattato con frequenti rasature o mediante l’impiego di agenti depilatori. È stato immesso sul mercato un prodotto topico a base di minoxidil per il trattamento della calvizie maschile. Altri effetti collaterali del farmaco sono rari e comprendono eruzioni cutanee, sindrome di Stevens-Johnson, intolleranza glucidica, bolle siero-ematiche, formazioni di anticorpi antinucleo e trombocitopenia. Usi terapeutici È consigliabile limitare l’uso del minoxidil a forme gravi di ipertensione che rispondono scarsamente ad altre terapie antipertensive, specie nei maschi con insufficienza renale (Campese, 1981). Il minoxidil è stato usato con successo nella terapia dell’ipertensione in adulti e bambini. Il farmaco tuttavia non deve essere usato in monoterapia, ma in associazione con un diuretico, al fine di evitare la ritenzione idrica, e con un agente simpaticolitico (solitamente un β-bloccante) per controllare gli effetti cardiovascolari riflessi. NITROPRUSSIATO SODICO Meccanismo d’azione Il nitroprussiato sodico è un nitrato vasodilatatore che agisce rilasciando monossido d’azoto (NO). L’NO attiva la via guanilato ciclasi-GMP ciclico-PKG che determina vasodilatazione (Murad, 1986; Linder et al., 2005) imitando la produzione di NO da parte delle cellule endoteliali vascolari, che sono alterate in molti pazienti ipertesi (Ramchandra et al., 2005). Il meccanismo di rilascio dell’NO non è chiaro e sembra coinvolgere sia vie enzimatiche che non enzimatiche (Feelisch, 1998). La tolleranza si sviluppa con la nitroglicerina, ma non con il nitroprussiato (Fung, 2004). Effetti farmacologici Il nitroprussiato determina dilatazione di arteriole e venule e la risposta emodinamica alla sua somministrazione risulta dalla combinazione del pooling venoso e dalla ridotta impedenza arteriosa. A causa del suo effetto sulle venule, l’ipotensione determinata dal nitroprussiato sodico è superiore quando il paziente si trova in posizione eretta. In soggetti con funzionalità cardiaca sinistra nella norma, il pooling venoso influisce maggiormente sulla gittata cardiaca della riduzione del postcarico, 66 Terapia dell’ipertensione arteriosa pertanto la gittata cardiaca tende a diminuire. Viceversa, nei pazienti in cui la funzionalità ventricolare sinistra risulta gravemente compromessa, l’impedenza arteriosa costituisce l’effetto predominante e comporta un innalzamento della gittata cardiaca. Il nitroprussiato sodico è un vasodilatatore non selettivo e la distribuzione regionale del flusso ematico ne risulta scarsamente influenzata. In generale, il FER e la filtrazione glomerulare rimangono inalterati, mentre l’attività della renina plasmatica aumenta. A differenza dei due farmaci descritti in precedenza, il nitroprussiato determina solo un modesto aumento della frequenza cardiaca e una riduzione generale della richiesta di ossigeno da parte del miocardio. Per essere efficace il farmaco dev’essere somministrato in infusione endovenosa continua. La sua azione si instaura nell’arco di 30 minuti e, dopo l’interruzione dell’infusione venosa del farmaco, l’effetto scompare nel giro di 3 minuti. Effetti collaterali Gli effetti collaterali a breve termine del nitroprussiato sono attribuibili all’eccessiva vasodilatazione, con ipotensione e relative conseguenze. Nella maggior parte dei casi, con un monitoraggio accurato della pressione arteriosa e l’impiego di una pompa per infusione continua a velocità variabile si riesce a prevenire un’eccessiva risposta emodinamica al farmaco. Più raramente può derivare tossicità dalla conversione di nitroprussiato a cianuro e tiocianato. L’accumulazione tossica di cianuro, che porta a grave acidosi lattica, può verificarsi in caso di infusione di nitroprussiato sodico ad una velocità superiore a 5 μg/kg al minuto, ma in alcuni pazienti tale tossicità può verificarsi a velocità inferiori. Sembra che il fattore limitante del metabolismo del cianuro sia la disponibilità nell’organismo di substrati contenenti solfuro (soprattutto tiosolfato). Si può prevenire l’accumulo di cianuro in pazienti che assumono dosi di nitroprussiato sodico superiori alla norma con la somministrazione concomitante di tiosolfato di sodio, senza produrre variazioni nell’efficacia del farmaco (Schulz, 1984). I segni e i sintomi da tiocianato sono anoressia, nausea, affaticabilità, disorientamento e psicosi tossica. In rari casi la concentrazione eccessiva di tiocianato può provocare ipotiroidismo a causa dell’inibizione della captazione di iodio da parte della tiroide. Usi terapeutici Il nitroprussiato sodico viene usato soprattutto nel trattamento delle emergenze ipertensive, ma si può utilizzare anche in molte situazioni in cui è richiesta una riduzione a breve termine del precarico e/o del postcarico cardiaco. Il nitroprussiato è stato impiegato per abbassare la pressione arteriosa durante la dissecazione aortica acuta, per aumentare la gittata cardiaca nello scompenso cardiaco, soprattutto nei pazienti ipertesi con edema polmonare acuto che non rispondono ad altri trattamenti, e per ridurre la richiesta miocardica di ossigeno dopo infarto miocardico acuto. 67 Terapia dell’ipertensione arteriosa Inoltre rappresenta il farmaco utilizzato più spesso nell’induzione di ipotensione controllata in anestesia per ridurre il sanguinamento durante un intervento chirurgico. DIAZOSSIDO Usi terapeutici Il diazossido viene utilizzato nelle emergenze ipertensive. Il nitroprussiato sodico è il farmaco d’elezione in queste situazioni ma il diazossido è utilizzato raramente quando non sia disponibile una pompa per infusione precisa e/o nel caso in cui non sia possibile effettuare uno stretto monitoraggio della pressione. Esso viene anche utilizzato per os per trattare i pazienti con varie forme di ipoglicemia. Meccanismo d’azione Il diazossido inibisce la contrazione della muscolatura liscia vascolare mediante l’apertura dei canali del potassio iperpolarizzando così la cellula e stabilizzando il potenziale di membrana a livello di riposo. 68 Terapia dell’ipertensione arteriosa APPROCCIO CLINICO ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA DEL PAZIENTE IPERTESO Poiché non vi è una netta linea di demarcazione tra pressione arteriosa normale ed elevata, sono stati stabiliti dei livelli arbitrari per definire i soggetti che presentano un rischio aumentato di sviluppare una malattia cardiovascolare e/o possono beneficiare della terapia medica. Tali parametri dovrebbero essere basati non solo sui livelli di pressione diastolica, ma anche sulla pressione sistolica, l’età, il sesso, la razza e le malattie concomitanti. Il livello di pressione sistolica è molto importante nella determinazione dell’influenza della pressione arteriosa sulla morbilità cardiovascolare. Numerose evidenze suggeriscono che tale parametro possa essere più importante della pressione diastolica, specialmente nei soggetti di età superiore ai 50 anni. Indicazioni al trattamento Tutti i pazienti che presentano una pressione arteriosa diastolica ripetutamente superiore ai 90 mmHg e una sistolica superiore a 140 mmHg devono essere trattati a meno che esistano controindicazioni specifiche. I pazienti di età superiore a 65 anni con ipertensione sistolica isolata (superiore a 160 mmHg) e pressione diastolica inferiore a 89 mmHg dovrebbero essere sottoposti a terapia. Infine, in presenza di malattia aterosclerotica o diabete mellito, anche i pazienti con pressione arteriosa diastolica compresa tra 85 e 90 mmHg devono essere sottoposti a terapia antipertensiva. Quale dovrebbe essere l’obiettivo di valori pressori da raggiungere? In passato erano considerati livelli desiderati valori pari a 140/90 mmHg. Questi valori sono ancora ritenuti ragionevoli per i soggetti non diabetici dal momento che lo studio HOT (Hypertension Optimal Treatment) non ha evidenziato differenze significative nel rischio cardiovascolare tra pazienti non diabetici con obiettivo terapeutico di valori di pressione diastolica tra 90 e 80 mmHg. Non è il caso tuttavia dei pazienti affetti da diabete mellito. È ragionevole ipotizzare il raggiungimento di valori all’interno del range di normalità per i pazienti diabetici, che potrebbe essere di 130/85 mmHg. Studi recenti hanno però evidenziato la necessità di raggiungere valori pressori inferiori. Negli Stati Uniti probabilmente meno di un terzo dei pazienti affetti da ipertensione è trattato efficacemente. Solo una piccola parte di questi insuccessi è dovuta all’inefficienza dei farmaci. Nella maggior parte dei casi le cause sono: 1) mancata diagnosi di ipertensione; 2) mancato trattamento di soggetti ipertesi asintomatici; 3) mancata assunzione della terapia da parte dei soggetti asintomatici. 69 Terapia dell’ipertensione arteriosa Approccio alla terapia farmacologica La terapia farmacologica mira alla normalizzazione della pressione arteriosa attraverso l’impiego degli agenti farmacologici descritti nei capitoli precedenti, da soli o in associazione, riducendo al minimo gli effetti collaterali. In teoria si dovrebbe scegliere l’approccio terapeutico specificatamente indicato per eliminare la malattia responsabile dell’incremento pressorio. In assenza di questo tipo di informazioni si ricorre ad un approccio empirico che tiene in considerazione l’efficacia, la sicurezza, l’effetto sulla qualità di vita, la compliance, la semplicità di somministrazione ed i costi. L’uso di più farmaci in associazione dipende dalla diversa sede d’azione. La scelta per l’inizio del trattamento farmacologico antipertensivo deve essere basata su due criteri: il livello di pressione arteriosa sistolica e diastolica, ed il grado complessivo di rischio cardiovascolare. Sono due i principali comitati che hanno redatto nel 2003 delle linee guida per il trattamento dell’ipertensione: il US Joint National Committee (JNC) e l’European Society of Hypertension (ESH)/European Society of Cardiology (ESC). Il JNC7 consiglia di iniziare con i diuretici in quanto studi sulla mortalità hanno dimostrato un effetto positivo dell’impiego di tali farmaci. Le linee guida ESH/ESC raccomandano invece di iniziare con una qualsiasi tra queste cinque classi: diuretici, β-bloccanti, ACE-inibitori, calcio-antagonisti, antagonisti dell’angiotensina II; o con una terapia di combinazione. I risultati dello studio ALLHAT hanno indotto a cancellare gli α-bloccanti da questa lista. È divenuto tuttavia meno importante il farmaco da utilizzare come terapia iniziale perché la maggior parte dei pazienti ipertesi necessita di più di un composto per ottenere una riduzione pressoria ottimale. Entrambi gli approcci hanno in comune alcune importanti raccomandazioni: 1. Iniziare con un farmaco che possa anche trattare e/o non aggravare una concomitante malattia. 2. Iniziare con il farmaco più probabilmente tollerabile per il paziente: la compiance a lungo termine è correlata alla tollerabilità e all’efficacia del primo farmaco utilizzato. 3. Nei pazienti a rischio medio-basso, iniziare con basse dosi di un farmaco e, se non si ottiene il controllo pressorio, aumentarle moderatamente. 4. Se non si ottiene il controllo pressorio con una dose moderata del primo farmaco, aggiungere un secondo agente di una classe differente, complementare. 5. In quasi tutti i casi, quando si usano due farmaci, inserire un diuretico. 6. Utilizzare un diuretico tiazidico solo a basso dosaggio, per esempio fino ad un massimo di 25 mg/die di idroclorotiazide o equivalenti, a meno che non esistano particolari ragioni. 7. Considerare con attenzione una terapia di associazione a basso dosaggio nei pazienti a rischio medio-basso: 70 Terapia dell’ipertensione arteriosa a. Un diuretico con un β-bloccante, un ACE-inibitore o un antagonista dell’angiotensiona II; b. Un calcio-antagonista con un ACE-inibitore o un β-bloccante. Se associando due farmaci a basso dosaggio non si ottengono i risultati voluti è necessario aumentare il dosaggio del farmaco iniziale portandolo ai livelli massimi. Se l’ipertensione persiste è necessario ricercare fattori eziologici secondari, che tuttavia raramente incidono nei pazienti diabetici o anziani; se anche tale ricerca risulta infruttuosa, molto spesso esiste un apporto eccessivo di sodio con la dieta, che occorre correggere in modo da non superare i 5 g/die. Qualora non si ottengano risultati di rilievo, è necessario aggiungere un terzo farmaco. Occorre particolare cautela nel far ricorso ad un ACE-inibitore in un paziente già in terapia con diuretici, per il rischio di indurre un grave stato ipotensivo. Tab. 6 Fattori responsabili della mancata risposta alla terapia antipertensiva Ridotta compliance da parte del paziente Ipervolemia - Apporto eccessivo di sodio - Secondaria a farmaci antipertensivi non diuretici - Secondaria a compromissione renale Aumento ponderale eccessivo Dosaggio inadeguato Antagonismi farmacologici - Farmaci utilizzati per la terapia del raffreddore - Farmaci simpaticomimetici - Contraccettivi orali (estrogeni) - Farmaci steroidei Ipertensione di natura secondaria Una volta garantito il controllo dei valori pressori, il dosaggio dei farmaci utilizzati va ridotto progressivamente ed è possibile eliminarne alcuni, al fine di stabilire il regime terapeutico minimo in grado di mantenere la pressione arteriosa a livelli pari o inferiore a 140/90 mmHg. A questo punto, meno del 5% di tutti i pazienti presenterà ancora ipertensione arteriosa. In questi casi si dovranno ricercare le possibili ragioni dell’inefficacia della terapia (Tab. 6); quando non si identifica alcuna causa evidente, si può impiegare uno degli altri agenti elencati nella tabella 7. Se la pressione arteriosa rimane ancora elevata, bisogna considerare una classe alternativa di farmaci (Tab. 8 – Appendice). Se l’ipertensione risulta sotto controllo è necessario eliminare in maniera sequenziale i farmaci precedentemente somministrati allo scopo di individuare i farmaci ed i dosaggi minimi sufficienti a mantenere i valori pressori nell’ambito dei limiti di norma. 71 Terapia dell’ipertensione arteriosa Tab. 7 Linee guida per la scelta terapeutica nel trattamento dell’ipertensione Classe di Indicazioni Indicazioni Controindica- Controindicafarmaci possibili zioni zioni possibili Diuretici Insufficienza Diabete Gotta Dislipidemia. cardiaca. Attività Età avanzata. sessuale Ipertensione maschile. sistolica β-Bloccanti Angina. Insufficienza Asma e BPCO. Dislipidemia. Dopo infarto cardiaca. Blocco atrio- Atleti e pazienti miocardico. Gravidanza. ventricolare di che effettuano Tachiaritmie. Diabete. II o III grado. attività fisica. Vasculopatia periferica. ACE-inibitori Insufficienza Gravidanza. cardiaca. Iperkaliemia. Insufficienza Stenosi ventricolare bilaterale delle sinistra. arterie renali. Dopo infarto miocardico. Nefropatia diabetica. CalcioAngina. Vascolopatia Blocco atrio- Insufficienza antagonisti Età avanzata. periferica ventricolare con cardiaca Ipertensione verapamil o congestizia sistolica. diltiazem (verapamil o diltiazem) Antagonisti Tosse da Insufficienza Gravidanza. dell’angiotensina ACE-inibito- cardiaca Stenosi II ri bilaterale delle arterie renali. Iperkaliemia. Queste raccomandazioni sono valide per la maggior parte dei pazienti, ma è necessario un approccio flessibile in quanto singoli pazienti possono rispondere in modo differente ai vari farmaci ed alle loro associazioni. Nei pazienti che richiedono l’associazione di molti farmaci, una volta individuata la combinazione più efficace è necessario ricercare associazioni farmacologiche che possano semplificare il regime terapeutico e quindi migliorare la compliance del paziente. Deve essere compiuto ogni sforzo per ridurre al minimo il numero di somministrazioni quotidiane. È bene ricordare che il trattamento dell’ipertensione arteriosa dura tutta la vita; dal momento che la maggior parte dei pazienti è asintomatica, la compliance, soprattutto nel caso 72 Terapia dell’ipertensione arteriosa di associazioni terapeutiche complesse può divenire un problema molto grave, in particolare se il regime terapeutico ha un impatto negativo sulla qualità di vita del paziente. Infine resta da accertare quale sia il livello di pressione arteriosa che dovrebbe essere accettato come adeguato. È dimostrato che una riduzione della pressione diastolica al di sotto di 90 mmHg determina una diminuzione della morbilità e/o della mortalità. 73 Terapia dell’ipertensione arteriosa Letture consigliate 1. Harrison T. R., Braunwald E., Naomi D. L. Fisher, Gordon H. Williams et al. Harrison Principi di Medicina Interna. Malattia vascolare ipertensiva. Mc Graw Hill 16° edizione, 2005;230:1651-1670 2. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Thomas C. Westfall, David P. Westfall et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Agonisti e antagonisti adrenergici. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;10:254-290 3. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Edwin K. Jackson et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Diuretici. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;28:742-763 4. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Edwin K. Jackson et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Renina e angiotensina. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;30:789-814 5. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Thomas Michel et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Calcio-antagonisti. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;31:832-838 6. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Brian B. Hoffman et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Terapia dell’ipertensione. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;32:845-867 74 Terapia dell’ipertensione arteriosa