terapia dell`ipertensione arteriosa

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia
Tesina di Farmacologia
TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA
Chiar.mo Prof. PIERFRANCO SPANO
MATTIA GIANIZZA
Matr. n° 62720
Anno Accademico 2010-2011
1
Terapia dell’ipertensione arteriosa
«In verità vi dico:
ogni volta che avete fatto queste cose
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me».
Mt 25,40
2
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Indice
1) IPERTENSIONE ARTERIOSA, pag. 1
 Dimensione del problema, pag. 1
 Classificazione eziologica dell’ipertensione arteriosa,
pag. 1
a) Ipertensione essenziale, pag. 3
 Fattori ambientali, pag. 3
 Ruolo della renina, pag. 3
 Ruolo degli ioni sodio, cloro e calcio, pag. 4
 Difetto di membrana, pag. 4
 Resistenza all’insulina, pag. 4
 Genetica, pag. 4
 Fattori che modificano il decorso dell’ipertensione essenziale,
pag. 5
 Storia naturale, pag. 5
b) Ipertensione secondaria, pag. 5
 Ipertensione renale, pag. 6
 Ipertensione endocrina, pag. 6
c) Effetti dell’ipertensione, pag. 7
 Effetti sul cuore, pag. 7
 Effetti neurologici pag. 7
 Effetti renali, pag. 8
2) PRINCIPI DI TERAPIA ANTIPERTENSIVA, pag. 9
a) Trattamento non farmacologico, pag. 9
 Calo ponderale, pag. 9
 Riduzione dell’assunzione di sale, pag. 10
 Riduzione dell’assunzione di alcool, pag. 10
 Esercizio fisico, pag. 10
 Terapia di rilassamento e di biofeedback, pag. 10
 Supplementi di potassio, pag. 10
 Tabacco, caffè e altri fattori, pag. 11
b) Trattamento farmacologico, pag. 11
1. Diuretici, pag. 11
 Classificazione clinica, pag. 12
a. Diuretici a debole intensità d’azione, pag. 13
i. Inibitori dell’anidrasi carbonica, pag. 13
ii. Diuretici osmotici, pag. 15
iii. Diuretici risparmiatori di potassio, pag. 16
b. Diuretici a media intensità d’azione, pag. 19
i. Diuretici tiazidici, pag. 19
3
Terapia dell’ipertensione arteriosa
2.
3.
4.
5.
c. Diuretici a forte intensità d’azione, pag. 21
i. Diuretici dell’ansa, pag. 21
d. Riassunto clinico, pag. 23
Simpaticolitici, pag. 25
a. Farmaci simpaticolitici ad azione centrale, pag. 25
i. Agonisti selettivi dei recettori α2-adrenergici,
pag. 25
o CLONIDINA, pag. 26
o α-METILDOPA, pag. 27
ii. Agonisti dei recettori I1 per le imidazoline, pag. 29
o MOXONIDINA, pag. 29
b. Farmaci simpaticolitici ad azione periferica, pag. 29
i. α1-antagonisti, pag. 30
ii. β-bloccanti, pag. 32
Calcio-antagonisti, pag. 39
a. Omeostasi del calcio, pag. 39
b. Farmaci calcio-antagonisti, pag. 40
Inibitori del sistema renina-angiotensina, pag. 44
a. Sistema renina-angiotensina, pag. 44
i. Renina, pag. 44
ii. Recettori dell’angiotensina, pag. 47
iii. Funzioni ed effetti del sistema renina-angiotensina,
pag. 47
b. Farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina,
pag. 51
i. Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, pag. 51
ii. Antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II,
pag. 57
Vasodilatatori, pag. 59
a. IDRALAZINA, pag. 59
b. MINOXIDIL, pag. 61
c. NITROPRUSSIATO SODICO, pag. 62
d. DIAZOSSIDO, pag. 64
3) APPROCCIO CLINICO ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA DEL PAZIENTE IPERTESO, pag. 65
 Indicazioni al trattamento, pag. 65
 Approccio alla terapia farmacologica, pag. 66
Appendice
Bibliografia
4
Terapia dell’ipertensione arteriosa
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Dimensione del problema
L’ipertensione arteriosa rappresenta probabilmente il più importante problema di
sanità pubblica nei Paesi industrializzati: è frequente, non determina sintomi, è di
facile diagnosi, viene di solito controllata con semplici interventi terapeutici, ma
provoca spesso complicanze mortali se viene trascurata.
La prevalenza della malattia dipende dalla composizione razziale della popolazione
studiata e dai criteri impiegati per definirla. Nel Framingham Study, che aveva come
oggetto di studio la popolazione di una cittadina del Massachusetts di medie
proporzioni, un quinto dei soggetti presentava una pressione superiore a 160/95
mmHg, mentre quasi la metà aveva pressioni superiori a 140/90 mmHg. Nella
popolazione non bianca è stata documentata una prevalenza di ipertensione anche
maggiore.
Nelle donne la prevalenza è strettamente correlata all’età e se ne osserva un
innalzamento significativo dopo i 50 anni, attribuibile verosimilmente alle variazioni
ormonali caratteristiche della menopausa, anche se il meccanismo non è stato ancora
chiarito. Quindi il rapporto tra la frequenza dell’ipertensione nelle donne rispetto agli
uomini aumenta dallo 0,6-0,7 a 30 anni, all’1,1-1,2 a 65 anni.
La prevalenza delle varie forme di ipertensione secondaria dipende dalla natura della
popolazione oggetto di studio e dal grado di approfondimento diagnostico.
Tab. 1 Prevalenza delle varie forme di ipertensione nella popolazione generale e in
studi clinici specialistici
Diagnosi
Popolazione generale (%) Studi specialistici (%)
Ipertensione essenziale
92-94
65-85
Ipertensione renale
Parenchimale
2-3
4-5
Nefrovascolare
1-2
4-16
Ipertensione endocrina
Iperaldosteronismo
primitivo
0,3
0,5-12
Sindrome di Cushing
< 0,1
0,2
Feocromocitoma
< 0,1
0,2
Da contraccettivi orali
0,5-1
1-2
Varie
0,2
1
Classificazione eziologica dell’ipertensione arteriosa
Non esistono dati epidemiologici che definiscono la frequenza di ipertensione
secondaria, anche se nei maschi di media età è stato riportato un dato del 6%.
Nei centri specialistici dove i pazienti vengono sottoposti a indagini diagnostiche è
riportata una percentuale attorno al 35%.
I vari tipi di ipertensione arteriosa sono elencati di seguito.
5
Terapia dell’ipertensione arteriosa
1. Ipertensione sistolica con aumento della pressione differenziale
I.
Ridotta compliance aortica (arteriosclerosi)
II.
Aumento della gittata sistolica
a) Insufficienza aortica
b) Tireotossicosi
c) Sindrome del cuore ipercinetico
d) Febbre
e) Fistola arterovenosa
f) Pervietà del dotto di Botallo
2. Ipertensione sistolica e diastolica (aumento delle resistenze vascolari periferiche)
I.
Renale
a) Pielonefrite cronica
b) Glomerulonefrite acuta e cronica
c) Rene policistico
d) Stenosi nefrovascolare o infarto renale
e) Altre nefropatie (nefrosclerosi arteriolare, nefropatia diabetica)
f) Tumori renino-secernenti
II.
Endocrina
a) Contraccettivi orali
b) Iperattività della corticale del surrene
 Malattia e sindrome di Cushing
 Iperaldosteronismo primitivo
 Sindromi surrenogenitali congenite o ereditarie (deficit di
17α-idrossilasi e 11β-idrossilasi)
c) Feocromocitoma
d) Mixedema
e) Acromegalia
III.
Neurogena
a) Psicogena
b) Sindrome diencefalica
c) Polineurite (porfiria acuta, avvelenamento da piombo)
d) Aumento della pressione intracranica (acuta)
e) Sezione del midollo spinale (acuta)
IV.
Varie
a) Coartazione aortica
b) Aumento del volume intravascolare
c) Panarterite nodosa
d) Ipercalcemia
e) Farmaci (glucocorticoidi)
V.
Eziologia sconosciuta
a) Ipertensione essenziale (oltre il 90% di tutti i casi di ipertensione)
b) Tossiemia gravidica
c) Porfiria intermittente acuta
6
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Tab. 2 Classificazione della pressione arteriosa in soggetti di età superiore a 18 anni
Categoria
Pressione sistolica,
Pressione diastolica,
mmHg
mmHg
Ottimale
< 120
< 80
Normale
< 130
< 85
Normale-alta
130-139
85-89
Ipertensione
Stadio I (lieve)
140-159
90-99
Stadio II (moderata)
160-179
100-109
Stadio III (grave)
≥ 180
≥ 110
Ipertens. sistolica isolata
≥ 140
< 90
IPERTENSIONE ESSENZIALE
Nei pazienti che presentano ipertensione arteriosa di eziologia non definita si parla di
ipertensione primitiva, essenziale o idiopatica. In questi pazienti è estremamente
difficile individuare il meccanismo o i meccanismi responsabili dell’ipertensione, a
causa della complessità dei sistemi coinvolti nella sua regolazione (SNC e periferico,
reni, ormoni, apparato vascolare). Inoltre questi sistemi sono strettamente collegati
tra loro e regolati da molteplici geni.
Nei pazienti con ipertensione essenziale sono state descritte numerose anomalie che
spesso vengono indicate come responsabili della malattia. Non è ancora certo se
queste anomalie siano primitive o secondarie, né se siano espressione di un singolo
processo patologico o viceversa riflettano patologie distinte: i dati che si vanno
accumulando depongono a favore di quest’ultima ipotesi.
Fattori ambientali
Nell’eziologia dell’ipertensione arteriosa sono stati individuati alcuni fattori
ambientali come l’assunzione di sodio, l’obesità, il tipo di lavoro, le dimensioni della
famiglia e la densità di popolazione.
Il fattore ambientale più studiato è l’assunzione di sale da cucina con la dieta. Questo
fattore dimostra l’eterogeneità della popolazione degli ipertesi, perché la pressione
arteriosa si modifica in risposta alle modificazioni dietetiche di sodio soltanto nel
60% dei casi.
Ruolo della renina
La renina è un enzima secreto dalle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare del rene,
la cui funzione è correlata all’aldosterone in un ciclo di feed-back negativo. Molti
sono i fattori in grado di modificarne la secrezione, ma quello determinante è
rappresentato dalla volemia, soprattutto in relazione alle variazioni dell’assunzione di
sodio con la dieta. L’effetto finale dell’azione della renina sul suo substrato è la
produzione del peptide angiotensina II.
7
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Ruolo degli ioni sodio, cloro e calcio
Numerosi studi hanno sottolineato la potenziale correlazione tra le forme di
ipertensione essenziale sensibili al sale e al calcio. È stato ipotizzato che un
sovraccarico di sale, associato ad un’incapacità da parte del rene di eliminarlo, può
determinare un incremento secondario dei fattori natriuretici circolanti. Uno di
questi, il cosiddetto fattore natriuretico simil-digitale, inibisce la Na+/K+-ATPasi e
quindi determina un accumulo di calcio intracellulare con conseguente iperattività
della muscolatura liscia vascolare.
Difetto di membrana
Un’ulteriore ipotesi patogenetica dell’ipertensione sensibile al sale è quella di un
difetto di membrana generalizzato: questa ipotesi deriva da studi sulle emazie, nelle
quali è stata rilevata un’anomalia nel trasporto transmembrana di sodio. È stato
ipotizzato che queste anomalie riflettano un difetto della membrana cellulare e che
questo difetto interessi la maggior parte se non tutte le cellule dell’organismo, in
particolare quelle della muscolatura liscia vascolare. A causa di questo difetto si
determina un accumulo anomalo di calcio nel contesto delle cellule muscolari lisce
vascolari, con il risultato di un’aumentata risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici.
Resistenza all’insulina
La resistenza all’insulina o l’iperinsulinemia è attualmente riconosciuta come parte
della sindrome X, o sindrome metabolica, assieme all’obesità centrale, alla dislipidemia e agli elevati valori pressori.
Innanzitutto l’iperinsulinemia determina ritenzione renale di sodio e aumento
dell’attività simpatica; questi meccanismi sono in grado di causare un aumento della
pressione arteriosa.
Un altro possibile meccanismo è rappresentato dall’ipertrofia delle cellule muscolari
lisce vasali, secondaria alla stimolazione dell’attività mitogena determinata
dall’insulina.
Terzo, l’insulina può anche alterare il meccanismo di trasporto degli ioni attraverso
la membrana cellulare, condizionando un possibile aumento dei livelli plasmatici di
calcio nei tessuti vascolari renali.
Infine la resistenza all’insulina può fungere da marker per un altro processo
patologico, per esempio l’assenza di modulazione, che potrebbe rappresentare il
meccanismo principale dell’aumento della pressione arteriosa.
Genetica
L’ipertensione è una delle più comuni alterazioni genetiche complesse, con
ereditarietà genetica di circa il 30%. La maggior parte delle ricerche avalla l’ipotesi
di un’ereditarietà di tipo multifattoriale o di un’ereditarietà di un certo numero di
differenti difetti genetici, ciascuno dei quali si manifesta fenotipicamente con
l’ipertensione arteriosa.
8
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Fattori che modificano il decorso dell’ipertensione essenziale
La prognosi di questa malattia può essere modificata dall’età, dalla razza, dal sesso,
dall’assunzione di alcool, dal fumo, dalla colesterolemia, dall’intolleranza al glucosio
e dal peso.
Più giovane è il paziente al momento della diagnosi di ipertensione, maggiore è la
riduzione della sua aspettativa di vita in caso di mancato trattamento.
Negli Stati Uniti i neri presentano una prevalenza di ipertensione arteriosa doppia
rispetto ai bianchi ed una frequenza quattro volte superiore della morbilità associata
all’ipertensione.
Per ogni gruppo di età le donne presentano una prognosi migliore rispetto agli
uomini e la prevalenza di ipertensione nelle donne in premenopausa è notevolmente
inferiore rispetto agli uomini della stessa età o alle donne in postmenopausa.
L’aterosclerosi accelerata è invariabilmente associata all’ipertensione. Non sorprende
che i fattori di rischio associati in modo indipendente allo sviluppo di aterosclerosi,
come un’elevata colesterolemia, un’intolleranza al glucosio e/o il fumo di sigaretta,
aumentino in modo significativo l’effetto dell’ipertensione sulla mortalità,
indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla razza.
Non vi è alcun dubbio circa l’esistenza di una correlazione positiva tra obesità e
pressione arteriosa. Nei soggetti normotesi l’aumento di peso è associato ad
un’aumentata frequenza di ipertensione, mentre nei soggetti obesi ipertesi la perdita
di peso riduce la pressione arteriosa o rende necessario un trattamento farmacologico
meno aggressivo.
Storia naturale
L’ipertensione essenziale è una malattia eterogenea e quindi il suo decorso viene
influenzato da variabili che non sono rappresentate solo dai livelli assoluti della
pressione. La probabilità di sviluppare una patologia cardiovascolare può variare, per
ogni valore di pressione arteriosa, fino a 20 volte in funzione dell’associazione con
altri fattori di rischio.
Gli studi epidemiologici relativi a trattamenti efficaci hanno dimostrato che
l’ipertensione arteriosa non trattata comporta una riduzione dell’aspettativa di vita di
circa 10-20 anni, generalmente correlata all’accelerazione del processo aterosclerotico.
IPERTENSIONE SECONDARIA
Com’è stato precedentemente sottolineato, solo in una piccola minoranza di pazienti
ipertesi si può individuare una causa eziologica specifica. La ricerca di questi fattori
eziologici è giustificata da almeno due motivi: 1) la correzione di questi fattori può
determinare la risoluzione dell’ipertensione; 2) le forme secondarie possono aiutare a
comprendere l’eziologia dell’ipertensione essenziale.
Quasi tutte le forme secondarie sono correlate ad alterazioni della funzione renale e/o
endocrine.
9
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Ipertensione renale
L’ipertensione determinata da una nefropatia può essere il risultato di: 1) un’alterata
secrezione renale di sostanze vasoattive che provoca una modificazione del tono
arteriolare sistemico o locale; 2) una funzione renale alterata, incapace di mantenere
un equilibrio idrosalino adeguato, con conseguente espansione di volume plasmatico.
Nell’ipertensione renale sono comprese l’ipertensione nefrovascolare e l’ipertensione
renale parenchimale.
Ipertensione nefrovascolare. L’ipertensione nefrovascolare può essere semplicemente definita come quella forma di ipertensione caratterizzata dalla riduzione della
perfusione del tessuto renale dovuta alla stenosi di un’arteria renale o di uno dei suoi
rami, che attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone. L’angiotensina II
circolante determina l’aumento della pressione arteriosa attraverso un meccanismo di
vasocostrizione diretta e stimola la secrezione di aldosterone provocando la
ritenzione di sodio e/o stimolando il sistema nervoso adrenergico.
Ipertensione nefroparenchimale. Anche nelle nefropatie parenchimali croniche e
acute l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone sembra avere un
ruolo nello sviluppo dell’ipertensione arteriosa. La sola differenza tra l’ipertensione
nefrovascolare e quella parenchimale è rappresentata dal fatto che la riduzione della
perfusione del tessuto renale in quest’ultimo caso è provocata da modificazioni di
tipo flogistico e fibrotico che interessano i piccoli vasi intraparenchimali.
Ipertensione endocrina
Ipertensione surrenale. L’ipertensione è caratteristica di numerose malattie della
corticale del surrene. Nell’iperaldosteronismo primitivo si osserva una chiara
correlazione tra la ritenzione di sodio indotta dall’aldosterone e l’ipertensione.
L’aldosterone determina la ritenzione di sodio attraverso il meccanismo di scambio
sodio-potassio a livello del tubulo renale, provocando ipokaliemia. La determinazione del potassio sierico rappresenta un semplice test diagnostico. La ritenzione di
sodio e l’espansione di volume determinano la riduzione dell’attività reninica
plasmatica: la determinazione di questo parametro è fondamentale per definire la
diagnosi. L’iperaldosteronismo primitivo è dovuto ad un tumore oppure a
un’iperplasia surrenale bilaterale.
Anche l’effetto di ritenzione di sodio indotto da elevati dosaggi di glucocorticoidi
fornisce una spiegazione dell’ipertensione nei casi gravi di sindrome di Cushing.
Nel feocromocitoma un’aumentata increzione di adrenalina e di noradrenalina, da
parte di tumori più frequentemente localizzati a livello della midollare del surrene,
provoca un’iperstimolazione dei recettori adrenergici e quindi vasocostrizione
periferica e stimolazione cardiaca diretta. La diagnosi è confermata dalla
dimostrazione di un’aumentata escrezione urinaria di adrenalina e di noradrenalina o
dei loro metaboliti.
Acromegalia. In questa sindrome si osservano come complicanze frequenti
l’ipertensione, l’aterosclerosi coronarica e l’ipertrofia cardiaca.
10
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Ipercalcemia. L’ipertensione che si osserva in un terzo dei pazienti affetti da
iperparatiroidismo è in genere attribuita alla nefropatia parenchimale conseguente
alla nefrolitiasi e alla nefrocalcinosi. È da notare comunque che gli aumentati livelli
di calcio possono avere un effetto vasocostrittore diretto.
EFFETTI DELL’IPERTENSIONE
I pazienti ipertesi decedono prematuramente. La più comune causa di morte è la
cardiopatia ma sono frequenti anche l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale.
Effetti sul cuore
Il primo meccanismo di compenso del sovraccarico di pressione è rappresentato
dall’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, caratterizzata da un incremento
dello spessore delle pareti. In seguito si osserva il deterioramento della funzione
contrattile ventricolare con dilatazione della cavità e comparsa dei segni e sintomi
dell’insufficienza cardiaca. A volte compare angina pectoris provocata dall’accelerazione della progressione della coronaropatia.
L’esame obiettivo dimostra cardiomegalia con un evidente impulso ventricolare
sinistro; la componente aortica del secondo tono è accentuata e a volte si ode un
soffio da insufficienza aortica; spesso si apprezzano toni presistolici (quarto tono
atriale) e un tono protodiastolico (terzo tono ventricolare), oppure un ritmo di
galoppo. Sono comuni i segni elettrocardiografici di ipertrofia ventricolare sinistra, e
nelle fasi più avanzate di malattia si osservano segni di ischemia o di infarto. La
maggior parte delle morti causate da cardiopatia ipertensiva è dovuta a infarto
miocardico o ad insufficienza cardiaca.
Effetti neurologici
Gli effetti neurologici dell’ipertensione di lunga durata possono essere suddivisi in
effetti retinici e sul sistema nervoso centrale (SNC).
La retina è il solo tessuto in cui le arterie e le arteriole possono essere esaminate
direttamente e quindi l’esame oftalmoscopico del fundus permette di osservare la
progressione degli effetti vascolari dell’ipertensione.
Nei pazienti ipertesi si osservano frequentemente segni di alterata funzione del
sistema nervoso centrale. Il sintomo caratteristico precoce dell’ipertensione è la
cefalea occipitale, soprattutto al mattino. Si possono osservare anche stordimento,
pseudovertigini, capogiri, ronzii auricolari e offuscamento visivo o sincope, ma le
manifestazioni più gravi sono in genere quelle provocate dalle occlusioni vascolari,
dalle emorragie o dall’encefalopatia. La patogenesi dell’infarto cerebrale risiede
nell’accelerazione dell’aterosclerosi che si osserva nei pazienti, mentre l’emorragia
cerebrale è il risultato dell’associazione dell’ipertensione arteriosa con microaneurismi vascolari cerebrali (aneurismi di Charcot-Bouchard).
11
Terapia dell’ipertensione arteriosa
L’encefalopatia ipertensiva è caratterizzata dai seguenti sintomi: ipertensione grave,
disturbi della coscienza, aumento della pressione intracranica, retinopatia con edema
della papilla e convulsioni.
Effetti renali
Nell’ipertensione arteriosa le lesioni arteriosclerotiche delle arteriole afferenti ed
efferenti dei capillari glomerulari rappresentano le lesioni vascolari renali più
frequenti e provocano riduzione del filtrato glomerulare e disfunzioni tubulari. A
causa delle lesioni glomerulari compaiono proteinuria ed ematuria microscopica; il
10% circa dei decessi dovuti a ipertensione arteriosa è attribuibile all’insufficienza
renale.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa
PRINCIPI DI TERAPIA ANTIPERTENSIVA
Poiché il presupposto del trattamento dell’ipertensione è di ridurre il rischio cardiovascolare, possono essere richiesti interventi sulla dieta e farmacologici.
Il trattamento farmacologico nei pazienti con ipertensione associata ad elevate
pressioni diastoliche riduce la morbilità e la mortalità per malattie cardiovascolari.
Un’efficace terapia antipertensiva riduce marcatamente il rischio di ictus, scompenso
cardiaco e insufficienza renale da ipertensione. Tuttavia la riduzione del rischio di
infarto miocardico può essere meno rilevante.
TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO
La terapia non farmacologica dell’ipertensione arteriosa costituisce un’importante
componente del trattamento di tutti i pazienti ipertesi. In molti pazienti ipertesi in
stadio 1 la pressione arteriosa può essere adeguatamente controllata dall’associazione
di calo ponderale (nei soggetti sovrappeso), restrizione dell’introito di sodio,
incremento dell’attività fisica (specie aerobica) e da un moderato consumo di alcool.
Gli accorgimenti non farmacologici per ridurre la pressione arteriosa sono
generalmente consigliabili nel trattamento iniziale di pazienti con valori di pressione
diastolica nell’ambito di 90-95 mmHg. Tali interventi aumenteranno anche
l’efficacia della terapia farmacologica dei pazienti con ipertensione elevata.
Allo scopo di garantire una buona compliance da parte del paziente, l’intervento non
deve alterare la qualità di vita. Tutti i farmaci determinano l’insorgenza di effetti
collaterali. Se la pressione arteriosa può essere ridotta a valori soddisfacenti con
modificazioni di lieve entità della normale attività fisica o della dieta, è possibile
evitare le complicanze di una terapia farmacologica.
Calo ponderale
Obesità e ipertensione sono strettamente correlate e il grado di obesità è direttamente
proporzionale all’incidenza di ipertensione.
I soggetti obesi possono ottenere una riduzione pressoria con la perdita di peso, a
prescindere da variazioni dell’apporto di sale con l’alimentazione (Maxwell et al.,
1984).
Il meccanismo con cui l’obesità provoca ipertensione non è chiaro, ma l’aumentata
secrezione di insulina nell’obesità può determinare un potenziamento del riassorbimento tubulare di sodio e l’espansione del volume extracellulare.
L’obesità è anche associata ad un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico
che regredisce con la perdita di peso.
13
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Riduzione dell’assunzione di sale
Una riduzione drastica dell’assunzione di sale determina la riduzione della pressione
arteriosa nella maggior parte dei pazienti ipertesi. Tuttavia una drastica riduzione di
sale non è pratica dal punto di vista della compliance.
Diversi studi hanno dimostrato che la restrizione moderata dell’apporto di sale a
circa 5 g al giorno (corrispondenti a 2 g di sodio) produce in media una riduzione
della pressione sistolica di 12 mmHg e di quella diastolica di 6 mmHg.
Più la pressione iniziale è elevata, maggiore sarà la risposta.
I possibili meccanismi implicati comprendono una riduzione del volume
extracellulare, una riduzione della reattività delle cellule muscolari lisce agli stimoli
vasocostrittori e alterazioni funzionali della pompa sodio-potassio.
Riduzione dell’assunzione di alcool
Il consumo di alcool può indurre un aumento pressorio.
Un elevato consumo di alcool aumenta il rischio di accidenti cerebrovascolari, ma
non di coronaropatia (Kagan et al., 1985). Infatti è stato dimostrato che piccole
quantità di etanolo hanno un effetto protettivo contro lo sviluppo di arteropatia
coronarica.
Esercizio fisico
L’aumento di attività fisica abbassa nell’uomo la frequenza di malattie cardiovascolari (Paffenbarger et al., 1986).
La mancanza di attività fisica è associata ad un’incidenza di ipertensione maggiore
(Blair et al., 1984).
Il meccanismo con cui l’esercizio fisico riduce la pressione arteriosa non è chiaro,
ma sono state segnalate diverse alterazioni emodinamiche e umorali.
Un regolare esercizio isotonico riduce il volume ematico e innalza le concentrazioni
plasmatiche del fattore natriuretico atriale.
Terapia di rilassamento e di biofeedback
Alcuni studi hanno evidenziato effetti positivi, ma in generale la terapia di
rilassamento produce effetti contraddittori e modesti sulla pressione arteriosa (Jacob
et al., 1986).
Supplementi di potassio
Nei pazienti ipertesi si osserva una correlazione positiva tra la concentrazione di
sodio e la pressione arteriosa, e una correlazione negativa tra la concentrazione di
potassio e la pressione arteriosa (Lever et al., 1981). Un aumento dell’assunzione di
potassio può provocare una riduzione della pressione arteriosa per effetto
dell’aumento dell’escrezione di sodio, della soppressione delle secrezione di renina,
della dilatazione arteriolare e della diminuzione della capacità di risposta ai
vasocostrittori endogeni. Un regime dietetico ad alto contenuto di potassio dovrebbe
però essere sconsigliato a pazienti in terapia con ACE-inibitori.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa
Tabacco, caffè e altri fattori
Il fumo di per sé non causa ipertensione, sebbene aumenti acutamente la pressione
arteriosa per azione della nicotina. Il fumo è uno dei principali fattori di rischio di
coronaropatia. I pazienti ipertesi dovrebbero essere molto incentivati a sospendere
tale abitudine voluttuaria.
Il consumo di caffeina può innalzare la pressione arteriosa e le concentrazioni
plasmatiche di noradrenalina, ma la sua assunzione cronica determina tolleranza a
questi effetti e non risulta associata a sviluppo di ipertensione.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
La pressione arteriosa è il prodotto della gittata cardiaca e delle resistenze vascolari
periferiche.
PA = GC x RVP
I farmaci riducono i livelli pressori mediante un’azione sulle resistenze periferiche,
sulla gittata cardiaca o su entrambi.
I farmaci possono ridurre la gittata cardiaca mediante inibizione della contrattilità
miocardica o per riduzione della pressione di riempimento ventricolare. Può essere
ottenuta per azione sul tono venoso o, per effetto sui reni, sul volume ematico.
Un farmaco può ridurre le resistenze periferiche agendo sulla muscolatura liscia e
determinando il rilassamento dei vasi di resistenza o interferendo con l’attività dei
sistemi che producono contrazione dei vasi di resistenza (per esempio, sistema
nervoso simpatico).
L’impiego simultaneo di farmaci con meccanismi d’azione ed effetti emodinamici
simili produce spesso un lieve beneficio aggiuntivo. Peraltro, l’associazione di
farmaci che appartengono a classi diverse rappresenta una strategia comunemente
impiegata per ottenere un controllo efficace della pressione arteriosa riducendo al
minimo gli effetti collaterali dovuti al dosaggio.
1. Diuretici
I diuretici riducono la pressione principalmente per un depauperamento dall’organismo delle scorte di sodio e aumentando il flusso urinario.
I diuretici vengono utilizzati per ripristinare il volume e/o la composizione dei liquidi
corporei in diverse situazioni cliniche quali ipertensione, insufficienza cardiaca e
renale, sindrome nefrosica e cirrosi.
I diuretici sono farmaci che, per definizione, aumentano la velocità del flusso
urinario; tuttavia essi possono essere utili clinicamente anche per la loro capacità di
15
Terapia dell’ipertensione arteriosa
aumentare la velocità di escrezione dello ione sodio (natriuresi) e di un anione ad
esso accoppiato, generalmente il cloro.
Nell’organismo l’NaCl è il principale responsabile del volume dei liquidi
extracellulari e la maggior parte delle applicazioni cliniche dei diuretici è finalizzata
alla riduzione del volume del liquido extracellulare attraverso la riduzione del
contenuto corporeo totale di NaCl.
Un bilancio positivo di Na+ determinerebbe un accumulo di liquidi con conseguente
edema polmonare, mentre un bilancio negativo produrrebbe perdita di fluidi e collasso cardiovascolare.
Quantunque la somministrazione cronica di un diuretico provochi una notevole
carenza di Na+ corporeo, la netriuresi tende ad esaurirsi nel tempo perché i
meccanismi renali di compenso fanno in modo che l’escrezione renale di sodio sia
adeguata al suo apporto, processo definito come freno diuretico.
Questi meccanismi di compensazione comprendono:
1. Attivazione del sistema nervoso simpatico e della via metabolica renina-angiotensiona-aldosterone.
2. Diminuzione della pressione arteriosa che riduce la pressione di natriuresi.
3. Ipertrofia delle cellule epiteliali renali.
4. Aumento dell’espressione dei trasportatori nelle cellule epiteliali renali.
5. Alterazioni di ormoni natriuretici, come per esempio il peptide natriuretico atriale
(Ellison, 1999).
I diuretici non solo alterano l’escrezione di Na +, ma possono modificare anche il
comportamento di altri cationi (per es. K+, H+, Ca2+, Mg2+), di anioni (per es. Cl-,
HCO3-, H2PO4-) e dell’acido urico.
Classificazione clinica
Tab. 3 Classificazione clinica dei farmaci diuretici
Intensità d’azione
Meccanismo d’azione
Nome del farmaco
Debole
Inibitori dell’anidrasi car- ACETAZOLAMIDE
bonica
METAZOLAMIDE
Diuretici osmotici
MANNITOLO
GLICERINA
UREA
Risparmiatori di potassio SPIRONOLATTONE
TRIAMTERENE
AMILORIDE
Media
Diuretici tiazidici
IDROCLOROTIAZIDE
CLORTALIDONE
INDAPAMIDE
Forte
Diuretici dell’ansa
FUROSEMIDE
TORASEMIDE
16
Terapia dell’ipertensione arteriosa
1.1 Diuretici a debole intensità d’azione
INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA
Farmaci
ACETAZOLAMIDE
DICLORFENAMIDE
METAZOLAMIDE
Fisiologia
L’anidrasi carbonica (AC) si trova nelle
membrane luminali e basoletarali, e nel
citoplasma ed ha un ruolo chiave nel
riassorbimento di NaHCO3 e nella
secrezione di acidi.
Nel tubulo prossimale l’energia libera del
gradiente di Na+, determinato dalla pompa basolaterale del Na+, è utilizzata dal
Fig. 1
un antiporto Na+-H+ (scambiatore Na+H+ o NHE) della membrana luminale per
trasportare H+ nel lume tubulare in cambio di Na+. Nel lume l’H+ reagisce con
l’HCO3 filtrato per formare H2CO3 che, a
livello dell’orletto a spazzola, in presenza
di AC, si scinde rapidamente in CO2 e H2O. La CO2 è lipofila e diffonde rapidamente attraverso la membrana luminale all’interno della cellula dove reagisce con
l’H2O formando H2CO3, processo catalizzato dall’AC citoplasmatica.
L’azione continua dell’antiporto Na +-H+ mantiene una bassa concentrazione di
protoni all’interno della cellula in modo che l’H2CO3 si ionizzi spontaneamente
generando H+ e HCO3- e creando un gradiente elettrochimico per HCO3-, il quale
gradiente viene sfruttato dal simporto Na +-HCO3- per trasportare NaHCO3
nell’interstizio.
L’effetto complessivo consiste nel trasporto di NaHCO3 dal lume all’interstizio,
seguito dal passaggio di H2O (riassorbimento isotonico).
Meccanismo d’azione
Gli inibitori dell’AC inibiscono sia l’enzima legato alla membrana che quello citoplasmatico provocando un blocco del riassorbimento di NaHCO 3 nel tubulo
prossimale e una diminuita secrezione nel lume di H+ che quindi non viene scambiato con Na+.
Questi farmaci agiscono sul tubulo contorto prossimale, ma l’enzima è presente
anche nel dotto collettore.
17
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Effetti sull’escrezione urinaria
L’inibizione dell’anidrasi carbonica è associata ad un rapido aumento dell’escrezione
urinaria di HCO3-, pari a quasi il 35% del carico filtrato. Questo fatto fa sì che il pH
urinario si innalzi fino circa a 8 e si manifesti acidosi metabolica.
Le frazioni di escrezione di sodio e potassio possono essere pari a 5 e 70%
rispettivamente. L’aumento dell’escrezione di potassio è in parte conseguente al
maggior rilascio di sodio nella zona distale del nefrone.
Gli inibitori dell’AC aumentano l’escrezione di fosfati attraverso un meccanismo
ancora sconosciuto, ma non influenzano l’escrezione di ioni calcio e magnesio.
Altre azioni
L’AC è presente anche in tessuti extrarenali come l’occhio, la mucosa gastrica, il
pancreas, il SNC e gli eritrociti.
Nei processi ciliari dell’occhio questo enzima è responsabile della formazione di
elevate concentrazione di ione bicarbonato nell’umor acqueo. Per questa ragione
l’inibizione dell’AC riduce la velocità di formazione di umor acqueo e determina
perciò una diminuzione della pressione intraoculare (PIO).
L’acetazolamide provoca spesso parestesie e sonnolenza, suggerendo un’attività
degli inibitori dell’AC a livello del SNC. L’efficacia dell’acetazolamide nel
trattamento dell’epilessia è in parte dovuta all’instaurarsi di un’acidosi metabolica.
A causa dell’interferenza con l’AC degli eritrociti, gli inibitori dell’AC aumentano i
livelli di CO2 nei tessuti periferici e riducono la concentrazione di CO 2 nei gas
espirati.
Dosi elevate di inibitori dell’AC diminuiscono la secrezione acida gastrica, ma ciò
non ha applicazioni terapeutiche.
Usi clinici
L’indicazione principale dell’acetazolamide è il glaucoma ad angolo aperto (per
diminuire la PIO).
L’acetazolamide è anche usata contro l’epilessia e le chinetosi.
L’acetazolamide può inoltre alleviare i sintomi della malattia d’alta quota (per es.
negli alpinisti) perché il farmaco diminuisce il pH del liquor e ciò ha un effetto
benefico nel risolvere i sintomi d’alta quota.
Effetti collaterali
Con gli inibitori dell’AC si verificano raramente gravi fenomeni di tossicità; tuttavia
questi farmaci sono derivati dei sulfamidici e come tali possono causare depressione
del midollo osseo, tossicità cutanea, lesioni renali e reazioni allergiche nei pazienti
con ipersensibilità ai sulfamidici.
A dosi elevate molti pazienti manifestano sonnolenza e parestesie.
La maggior parte degli effetti indesiderati è conseguente all’alcalinizzazione
dell’urina o all’acidosi metabolica.
18
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Tra gli effetti indesiderati vi sono: 1) passaggio dell’ammoniaca di origine renale
dall’urina al circolo sistemico che può provocare encefalopatia di origine epatica
(questi farmaci sono controindicati nei pazienti con cirrosi epatica); 2) formazione di
calcoli e insorgenza di coliche uretrali dovuti alla precipitazione dei sali di fosfato di
calcio nell’urina alcalinizzata; 3) peggioramento dell’acidosi metabolica o
respiratoria (questi farmaci sono controindicati nei pazienti con BPCO); 4) riduzione
della velocità di escrezione urinaria delle basi organiche deboli.
DIURETICI OSMOTICI
Farmaci. GLICERINA, MANNITOLO (il più usato), UREA.
Meccanismo d’azione
I diuretici osmotici sono farmaci filtrati dal glomerulo che vengono scarsamente
riassorbiti lungo il tubulo renale e sono relativamente inerti dal punto di vista
farmacologico. La presenza di queste molecole nel lume tubulare determina un
aumento della pressione osmotica richiamando acqua dallo spazio interstiziale. In
seguito al maggior volume, la concentrazione di sodio diminuisce e quindi cala anche
il suo riassorbimento.
Inoltre questi farmaci causano un aumento del volume plasmatico ed un aumento del
flusso ematico renale, aumentando così il filtrato glomerulare. L’effetto diuretico si
ha lungo tutto il nefrone, e soprattutto a livello dell’ansa di Henle.
Si ha anche un aumento dell’escrezione urinaria praticamente di tutti gli ioni.
Effetti sull’escrezione urinaria
I diuretici osmotici provocano un aumento dell’escrezione urinaria di quasi tutti gli
elettroliti, tra cui sodio, potassio, calcio, magnesio, cloro, bicarbonato e fosfati.
Usi clinici
I principali utilizzi terapeutici dei diuretici osmotici sono: 1) insufficienza renale
acuta; 2) riduzione dell’edema cerebrale dopo stroke; 3) prima e dopo interventi di
neurochirurgia; 4) glaucoma (perché determinando un aumento della pressione
osmotica nel plasma, estraggono l’acqua dall’occhio e dal cervello).
Un altro impiego del mannitolo e dell’urea è nel trattamento della sindrome da
squilibrio da dialisi. Un richiamo troppo rapido di soluti dai liquidi extracellulari
dovuto a emodialisi o a dialisi peritoneale provoca una riduzione della loro
osmolarità. Di conseguenza l’acqua viene attirata dagli spazi extra- a quelli intracellulari, determinando così ipotensione e sintomi centrali (cefalea, nausea, crampi
muscolari, astenia, depressione del SNC e convulsioni). I diuretici osmotici fanno
aumentare l’osmolarità dei liquidi extracellulari e richiamano perciò l’acqua nel
compartimento extracellulare.
Glicerina viene somministrata per os, mentre mannitolo e urea per via endovenosa.
19
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Controindicazioni
I diuretici osmotici si distribuiscono nei fluidi extracellulari aumentandone
l’osmolarità e richiamando acqua dai compartimenti intracellulari, e aumentano di
conseguenza il VEC. Nei pazienti con insufficienza cardiaca o con congestione
polmonare ciò può provocare edema polmonare conclamato.
In generale i diuretici osmotici sono controindicati nei pazienti affetti da anuria
conseguente a patologia renale grave. Se si verifica fuoriuscita nei tessuti, l’urea può
provocare trombosi con dolore. Non dev’essere somministrata nemmeno a pazienti
con alterata funzionalità epatica a causa dei rischi dovuti all’aumento dell’azotemia.
DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO
1. Inibitori del canale del Na+ epiteliale renale
Farmaci
AMILORIDE, TRIAMTERENE
Meccanismo d’azione
Gli inibitori del canale del sodio
agiscono sul tubulo distale e sul dotto
collettore inibendo il canale del sodio
che si trova sulla parte luminale della
membrana. Questo canale riassorbe
sodio grazie alla creazione di un
gradiente elettrochimico ad opera di
una pompa al sodio nella parte basolaterale della cellula che porta sodio
nell’interstizio.
Fig. 2
Entrambi i farmaci di questa classe
provocano piccoli aumenti dell’escrezione di NaCl e sono usati per la loro
attività antikaliuretica per compensare
gli effetti di altri diuretici che aumentano l’escrezione di potassio.
Infatti la maggiore permeabilità al
sodio della membrana luminale provoca la depolarizzazione di questo lato, ma non di quello basolaterale, determinando
così una differenza di potenziale transepiteliale negativa che fornisce una forza
trainante per la secrezione di potassio. Gli inibitori dell’AC, i diuretici dell’ansa e i
tiazidici fanno aumentare il rilascio di sodio dell’ultima parte del tubulo distale e nel
dotto collettore, fatto questo che è spesso associato ad un incremento dell’escrezione
di H+ e K+.
20
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Effetti collaterali
L’effetto indesiderato più pericoloso degli inibitori dei canali per il sodio è
l’iperkaliemia, potenzialmente fatale. Di conseguenza, amiloride e triamterene sono
controindicati nei pazienti con iperkaliemia e in quelli a maggior rischio di svilupparla (per es. pazienti affetti da insufficienza renale trattati con altri diuretici
risparmiatori di potassio, con ACE-inibitori o che assumono supplementi di potassio). Gli stessi FANS possono far aumentare la probabilità di iperkaliemia in pazienti
trattati con inibitori dei canali per il sodio.
I pazienti cirrotici sono maggiormente a rischio di megaloblastosi a causa del deficit
di acido folico e il triamterene, debole antagonista dell’acido folico, può incrementare l’incidenza di questo effetto collaterale.
Gli effetti indesiderati più comunemente provocati dall’amiloride sono nausea,
vomito, crampi alle gambe e vertigini.
Usi terapeutici
Poiché gli inibitori dei canali per il sodio inducono solo una lieve natriuresi, essi
sono raramente utilizzati da soli nel trattamento dell’edema e dell’ipertensione. Sono
invece molto utilizzati in combinazione con altri diuretici.
Ancora più importante, la capacità degli inibitori del canale per il sodio di ridurre
l’escrezione di potassio tende a controbilanciare la perdita di questo ione con le urine
provocata dai diuretici tiazidici e dell’ansa, quindi la combinazione di un inibitore
dei canali per il sodio con uno dei precedenti farmaci tende a mantenere nella norma
i valori plasmatici di potassio (Hollenberg e Mickiewicz, 1989).
2. Antagonisti dei recettori per l’aldosterone
Farmaci
SPIRONOLATTONE, CANREONATO DI POTASSIO, CANRENONE, EPLERENONE
Meccanismo d’azione
Grazie al legame con i loro recettori specifici, i mineralcorticoidi provocano
ritenzione idrica e salina e fanno aumentare l’escrezione di potassio e idrogenioni.
Le cellule epiteliali del tubulo distale finale e del dotto collettore contengono
recettori per i mineralcorticoidi (MR, mineralcorticoid receptor) citoplastmatici con
elevata affinità per l’aldosterone. Questo recettore è un membro della superfamiglia
dei recettori per gli ormoni steroidei, gli ormoni tiroidei, la vitamina D e i retinoidi.
L’aldosterone entra nella cellula epiteliale dalla membrana basolaterale e si lega al
recettore; il complesso recettore-aldosterone si dirige verso il nucleo, dove si lega a
sequenze specifiche di DNA e regola perciò l’espressione di molti prodotti genici
chiamati proteine indotte dall’aldosterone (aldosterone-induced proteins, AIP).
L’effetto finale delle AIP è aumentare la conduttanza al sodio della membrana
luminale e l’attività della pompa per il sodio nella membrana basolaterale.
21
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Di conseguenza, il trasporto transepiteliale di NaCl aumenta e aumenta anche il
potenziale transepiteliale con negatività a livello del lume. Quest’ultimo effetto
provoca una maggiore forza di traino per la secrezione di ioni potassio e idrogeno nel
lume del tubulo.
Farmaci come spironolattone ed eplerenone inibiscono competitivamente il legame
dell’aldosterone al suo recettore. A differenza del compresso MR-aldosterone, quello
tra spironolattone e recettore non è in grado di indurre la sintesi di AIP.
Gli antagonisti MR sono gli unici diuretici che non richiedono l’ingresso nel lume
del tubulo per indurre la diuresi.
Effetti collaterali
Gli antagonisti MR, come gli altri diuretici risparmiatori di potassio, possono causare
un’iperkaliemia potenzialmente fatale. L’iperkaliemia rappresenta infatti il principale
rischio correlato all’uso degli antagonisti MR.
Questi farmaci pertanto sono controindicati in pazienti con iperkaliemia e in quelli
con un rischio aumentato di svilupparla (per es. pazienti con insufficienza renale
cronica o in terapia con ACE-inibitori).
Gli antagonisti MR possono anche causare acidosi metabolica nei pazienti cirrotici.
Inoltre, data al sua affinità per i recettori di altri steroidi, lo spironolattone può
determinare ginecomastia, impotenza, riduzione della libido, irsutismo,
abbassamento del tono di voce e irregolarità mestruali. Può anche provocare diarrea,
gastrite, emorragie gastriche e ulcere peptiche.
Gli effetti collaterali a carico del SNC comprendono sonnolenza, letargia, atassia,
confusione e cefalea.
Usi terapeutici
Analogamente ad altri diuretici risparmiatori di potassio, lo spironolattone viene
spesso somministrato contemporaneamente a diuretici tiazidici o dell’ansa nel
trattamento dell’edema e dell’ipertensione. Tali combinazioni conducono ad una
maggiore mobilizzazione di liquidi nell’edema e danno luogo a minori alterazioni
dell’omeostasi del potassio.
Lo spironolattone è particolarmente utile nel trattamento dell’iperaldosteronismo
primario (adenoma o iperplasia surrenale bilaterale) e dell’edema refrattario
associato a iperaldosteronismo secondario (insufficienza cardiaca, cirrosi epatica,
sindrome nefrosica e ascite grave).
Lo spironolattone è considerato il diuretico d’elezione nei pazienti affetti da cirrosi
epatica.
22
Terapia dell’ipertensione arteriosa
1.2 Diuretici a media intensità d’azione
DIURETICI TIAZIDICI
Farmaci
IDROCLOROTIAZIDE, CLOROTIAZIDE, CLORTALIDONE, INDAPAMIDE
Chimica
Gli inibitori del simporto Na+-Cl- sono
sulfonamidi.
Meccanismo d’azione
I diuretici tiazidici sono attivamente secreti nel lume e agiscono sul tubulo convoluto distale inibendo la pompa Na+-Cl-,
probabilmente con un meccanismo
competitivo sul sito di legame per il cloro.
Fig. 3
Come in altri segmenti del nefrone, il
trasporto è potenziato da una pompa del
sodio localizzata nella membrana basolaterale. L’energia libera del gradiente
elettrochimico per il sodio è sfruttata, a
livello della membrana luminale, da un simporto sodio-cloro che sposta il cloro
all’interno della cellula contro gradiente elettrochimico. Il cloro esce poi,
passivamente, attraverso appositi canali posti nella membrana basolaterale.
I diuretici tiazidici inibiscono il simporto Na +-Cl-.
Effetti su elettroliti ed emodinamica renale
Gli inibitori del simporto Na+-Cl- aumentano l’escrezione di Na+ e di Cl-, tuttavia essi
hanno solo un’efficacia moderata perché il 90% del carico filtrato è riassorbito prima
di raggiungere il tubulo contorto distale.
Questi farmaci aumentano anche l’escrezione di K+ e di acidi titolabili.
La somministrazione acuta di tiazidici fa aumentare l’escrezione di acido urico,
tuttavia l’escrezione di questa sostanza diminuisce nel trattamento a lungo termine.
Nella terapia cronica i diuretici tiazidici riducono l’escrezione di ioni calcio perché
l’inibizione del simporto Na+-Cl- a livello della membrana luminale determina una
riduzione del contenuto di sodio intracellulare e, di conseguenza, un aumento della
fuoriuscita di ioni calcio dalla membrana basolaterale per accelerazione dello
scambio Na+-Ca2+.
Questi farmaci possono inoltre causare una lieve forma di magnesiuria.
I tiazidici non influenzano in modo significativo il flusso ematico renale e la velocità
di filtrazione glomerulare.
23
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Usi terapeutici
I diuretici tiazidici sono utilizzati nel trattamento dell’edema associato a patologie
cardiache (insufficienza cardiaca congestizia), epatiche (cirrosi epatica) e renali
(sindrome nefrosica, insufficienza renale cronica e glomerulonefrite acuta).
Questi farmaci inoltre riducono la pressione nei pazienti ipertesi e sono infatti
ampiamente impiegati nel trattamento dell’ipertensione, sia da soli che in
combinazione con altri farmaci antipertensivi.
I tiazidici possono essere somministrati una volta al giorno, non richiedono la correzione della dose e presentano anche poche controindicazioni.
I diuretici tiazidici, che riducono l’escrezione urinaria di ioni calcio, sono talvolta
impiegati nel trattare la nefrolitiasi da calcio e possono essere utili nel trattamento
dell’osteoporosi. Sono inoltre fondamentali per il trattamento del diabete insipido
nefrogeno perché riducono il volume urinario fino al 50%.
Effetti collaterali
I diuretici tiazidici causano raramente effetti collaterali neurologici (per es. vertigini,
cefalea, parestesie, xantopsia e debolezza), gastroenterici (per es. anoressia, nausea,
vomito, dolori crampiformi, diarrea, stipsi, colecistite e pancreatite), ematologici (per
es. discrasie ematiche) e dermatologici (per es. fotosensibilità e rash cutaneo).
Tuttavia, come per i diuretici dell’ansa, gli effetti collaterali più gravi dei tiazidici
sono correlati ad anomalie del bilancio idro-salino. Queste comprendono deplezione
del volume extracellulare, ipotensione, ipokaliemia, iponatriemia, alcalosi metabolica, ipomagnasiemia, ipercalcemia e iperuricemia.
I diuretici tiazidici riducono anche la tolleranza al glucosio e un diabete mellito
latente può manifestarsi durante la terapia. Il meccanismo di tolleranza glucidica non
è chiaro ma sembra basarsi su una minore secrezione di insulina e su alterazioni del
metabolismo glucidico. L’iperglicemia può essere correlata alla deplezione di
potassio perché l’iperglicemia è ridotta se si somministra potassio con il diuretico
(Wilcox, 1999).
I diuretici tiazidici possono anche determinare un aumento dei livelli plasmatici di
colesterolo LDL, di colesterolo totale e di trigliceridi.
Questi farmaci sono controindicati nei soggetti con ipersensibilità ai sulfamidici.
Interazioni farmacologiche
I diuretici tiazidici possono ridurre gli effetti degli anticoagulanti, degli uricosurici
utilizzati nel trattamento della gotta, delle sulfaniluree e dell’insulina, mentre
possono potenziare gli effetti degli anestetici, del diazossido, dei glicosidi digitalici,
del litio, dei diuretici dell’ansa e della vitamina D.
L’efficacia dei diuretici tiazidici viene ridotta dai FANS e dagli agenti che
sequestrano gli acidi biliari.
Un’interazione farmacologica potenzialmente letale e degna di particolare attenzione
è quella tra diuretici tiazidici e chinidina. L’allungamento del QT indotto dalla
chinidina può portare allo sviluppo di una tachicardia ventricolare polimorfa
24
Terapia dell’ipertensione arteriosa
(torsione di punta) dovuta all’induzione precoce di attività elettrica dopo la
depolarizzazione.
L’ipokaliemia inoltre aumenta il rischio di torsioni di punta indotte da chinidina e i
diuretici tiazidici causano ipokaliemia.
1.3 Diuretici a forte intensità d’azione
DIURETICI DELL’ANSA
Farmaci
FUROSEMIDE, BUMETANIDE, ACIDO ETACRINICO, TORASEMIDE
Chimica
L’acido etacrinico è un derivato dell’acido fenossiacetico; la torasemide è una
sulfonilurea; furosemide e bumetanide contengono un gruppo sulfamidico.
Meccanismo d’azione
I farmaci appartenenti a questa classe
inibiscono il simporto Na+/K+/2Cl- a livello
del tratto spesso della branca ascendente
dell’ansa di Henle (macula densa) dove
avviene il riassorbimento maggiore di Na +.
Sembra che questi farmaci si leghino al
sito di legame per il cloro (Hannafin et al.,
1983).
L’efficacia degli inibitori del simporto
Na+/K+/2Cl- nel tratto principale ascendente dell’ansa di Henle è dovuta alla
combinazione di due fattori: 1) circa il
25% del carico di sodio filtrato normalmente viene riassorbito in questo segmenFig. 4
to; 2) i segmenti del nefrone del tratto
principale ascendente non possiedono la
capacità di riassorbimento necessaria a
recuperare il flusso di liquido escreto in
uscita.
Il simporto Na+/K+/2Cl- sfrutta l’energia
libera del gradiente elettrochimico di Na +, determinato dalla pompa basolaterale del
sodio, e trasporta contro gradiente K+ e Cl- all’interno della cellula.
Gli inibitori di questo simporto inibiscono anche il riassorbimento di ioni calcio e
magnesio nel tratto principale ascendente perché annullano la differenza di
potenziale transepiteliale che rappresenta la principale forza di traino per il
riassorbimento di cationi.
25
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Effetti sull’escrezione urinaria
Grazie al blocco del simporto Na+/K+/2Cl-, i diuretici dell’ansa aumentano
notevolmente l’escrezione urinaria di NaCl; inoltre l’annullamento della differenza di
potenziale transepiteliale determina anche una maggiore escrezione di calcio e
magnesio.
Tutti gli inibitori del simporto Na+/K+/2Cl- causano anche una maggiore escrezione
di potassio e acido titolabile. Ciò è in parte dovuto ad un maggior rilascio di sodio
nel tubulo distale.
In fase acuta i diuretici dell’ansa provocano un aumento dell’escrezione di acido
urico, mentre la loro somministrazione cronica determina una minore escrezione di
questa sostanza.
Effetti collaterali
Solo raramente compaiono effetti indesiderati non collegati all’attività diuretica,
mentre la maggior parte degli effetti collaterali è dovuta ad alterazioni del bilancio
idro-salino.
Un eccessivo uso di diuretici dell’ansa può provocare una grave carenza di sodio
totale nell’organismo. Questa si può manifestare con iponatriemia e/o deplezione del
volume di liquidi extracellulari associata ad ipotensione e, in pazienti affetti da
malattie epatiche, encefalopatia epatica.
Un maggior rilascio di sodio nel tubulo distale, in particolare se associato all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, provoca un aumento dell’escrezione urinaria di potassio e idrogenioni e quindi un’alcalosi ipocloremica.
Se l’apporto dietetico di potassio non è sufficiente, si può manifestare ipokaliemia e
ciò può indurre la comparsa di aritmie cardiache.
L’aumento dell’escrezione di calcio e magnesio può determinare ipomagnesiemia,
fattore di rischio per aritmie, e ipocalcemia, che può portare in rari casi a tetania.
I diuretici dell’ansa possono causare ototossicità, che si manifesta con ronzii, disturbi
dell’udito, sordità, vertigini e senso di pienezza nelle orecchie. Questi disturbi sono
spesso reversibili.
I diuretici dell’ansa possono inoltre determinare iperuricemia, che occasionalmente
può portare a gotta, iperglicemia, che raramente può innescare un diabete mellito, un
aumento dei livelli plasmatici di colesterolo LDL e trigliceridi e una diminuzione del
colesterolo HDL.
Interazioni farmacologiche
Si possono verificare interazioni farmacologiche se i diuretici dell’ansa sono
somministrati con: 1) aminoglicosidi (effetto sinergico nel determinare ototossicità);
2) anticoagulanti (aumento dell’attività anticoagulante); 3) glicosidi digitalici
(aumento delle aritmie indotte dai digitalici); 4) litio (aumento della concentrazione
plasmatico di litio); 5) propranololo (aumento della concentrazione plasmatica di
propranololo); 6) sulfoniluree (iperglicemia); 7) cisplatino (aumento del rischio di
ototossicità); 8) FANS (riduzione dell’effetto diuretico e aumento della tossicità da
26
Terapia dell’ipertensione arteriosa
salicilati); 9) probenecid (riduzione dell’effetto diuretico); 10) diuretici tiazidici
(sinergismo nell’attività diuretica di entrambi i farmaci che determina una diuresi
marcata); 11) amfotericina B (aumento del rischio di nefrotossicità e di squilibrio
elettrolitico).
Usi terapeutici
L’uso principale dei diuretici dell’ansa consiste nel trattamento dell’edema polmonare acuto. Un aumento rapido della capacitanza venosa, insieme ad una natriuresi
immediata, riduce la pressione di riempimento del ventricolo sinistro e quindi determina un rapido miglioramento dell’edema polmonare.
I diuretici dell’ansa sono ampiamente impiegati nel trattamento dello scompenso
cardiaco cronico quando si desidera ridurre il volume dei fluidi extracellulari per
rendere minima la congestione venosa e polmonare.
I diuretici dell’ansa sono spesso impiegati nel trattamento dell’ipertensione arteriosa,
tuttavia la loro breve emivita li rende meno adatti a tale scopo rispetto ai diuretici
tiazidici.
Frequentemente i diuretici dell’ansa sono impiegati nella terapia dell’edema e
dell’ascite dovuti a cirrosi epatica; è necessario tuttavia prestare attenzione a non
indurre encefalopatia o sindrome epato-renale.
Questi farmaci sono inoltre efficaci anche nei casi di edema da insufficienza renale
cronica.
1.4 Riassunto clinico
Tab. 4 Riassunto clinico dei principali farmaci diuretici
Segmento
Funzioni
Permeabilità
Trasportatori
all’H2O
principali
Diuretici con
azione
maggiore
Tubulo
Riassorbimento
Molto elevata
Na+/H+, anidra- Inibitori
contorto
del 65% di Na+, (riassorbimento si carbonica
dell’anidrasi
+
2+
2+
prossimale K , Mg e Ca ; istotonico)
carbonica
85% di bicarbonato di sodio e
100% di glucosio
e aminoacidi.
Riassorbimento
isosmotico
dell’acqua.
Tratto
Riassorbimento
Elevata
Acquaporine
Nessuno
discendente passivo di H2O.
dell’ansa di Limitata permeHenle
abilità per NaCl.
(Segue)
27
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Tab. 4 (continua) Riassunto clinico dei principali farmaci diuretici
Segmento
Funzioni
Permeabilità
Trasportatori
all’H2O
principali
Tratto
ascendente
dell’ansa di
Henle
Tubulo
contorto
distale
Tubulo
collettore
corticale
Dotto
collettore
midollare
Riassorbimento
attivo del 15-25%
di Na+, K+, Cl- e
riassorbimento
secondario di
Ca2+ e Mg2+
Riassorbimento
del 4-8% di Na+ e
Cl- e riassorbimento passivo di
Ca2+ per azione di
PTH
Riassorbimento di
Na+ (2-5%) accoppiato alla secrezione di K+ e
H+
Riassorbimento di
H2O sotto controllo dell’ormone
antidiuretico
Molto scarsa
Na+/K+/2Cl(NKCC2)
Diuretici con
azione
maggiore
Diuretici
dell’ansa
Molto scarsa
Na+/Cl- (NCC)
Tiazidici
Variabile
Canali per Na+, Diuretici
per K+, traspor- risparmiatori
tatore di H+ e di potassio
acquaporine
Variabile:
Acquaporine
senza ADH è
impermeabile;
con ADH è
elevata
Antagonisti
della
vasopressina
Fig. 5
28
Terapia dell’ipertensione arteriosa
2. Simpaticolitici
Tab. 5 Classificazione dei simpaticolitici in base al loro meccanismo d’azione
CLONIDINA
Simpaticolitici ad azione α2-agonisti
α-METILDOPA
centrale
GUANABENZ
GUANFACINA
I1-agonisti
MOXONIDINA
RILMENIDINA
PRAZOSINA
Simpaticolitici ad azione α1-antagonisti
TERAZOSINA
periferica
DOXAZOSINA
α1 e α2-antagonisti
FENOSSIBENZAMINA
FENTOLAMINA
β-antagonisti
PROPRANOLOLO
METOPROLOLO
ATENOLOLO
ESMOLOLO
PINDOLOLO
ACEBUTOLOLO
NADOLOLO
α e β-antagonisti
LABETALOLO
CARVEDILOLO
I gruppo
NICOTINA
Bloccanti gangliari
(usati soprattutto duranti II gruppo
TRIMETOFANO
gli interventi chirurgici)
ESAMETONIO
MECAMILAMINA
2.1 Farmaci simpaticolitici ad azione centrale
Classificazione
1. Agonisti selettivi dei recettori α2-adrenergici
a. CLONIDINA (mai farmaco di prima scelta)
b. α-METILDOPA
2. Agonisti dei recettori I1 per le imidazoline
a. MOXONIDINA (raramente utilizzata)
AGONISTI SELETTIVI DEI RECETTORI α2-ADRENERGICI
Gli agonisti selettivi α2-adrenergici sono utilizzati principalmente nel trattamento
dell’ipertensione arteriosa. Lo loro efficacia come antipertensivi è sorprendente
perché molti vasi sanguigni possiedono recettori α2-adrenergici postsinaptici che
29
Terapia dell’ipertensione arteriosa
mediano la vasocostrizione, infatti la clonidina fu inizialmente sviluppata come
decongestionante nasale vasocostrittore. La sua capacità di abbassare la pressione
arteriosa deriva però dall’attivazione dei recettori α2-adrenergici nei centri di
controllo cardiovascolare del SNC: l’attivazione di tali recettori sopprime gli impulsi
efferenti del sistema nervoso simpatico dal cervello.
CLONIDINA
Meccanismo d’azione
La clonidina è un α2-agonista puro: stimola i sottotipi α2A dei recettori α2-adrenergici del tronco encefalico (nel nucleo del tratto solitario), determinando una riduzione dell’efferenza simpatica dal SNC (MacMillan et al., 1996). A dosaggi più
elevati di quelli richiesti per la stimolazione dei recettori α2A-adrenergici centrali, si
può avere l’attivazione da parte di questi farmaci dei sottotipi recettoriali α2Badrenergici delle cellule muscolari lisce vasali (Link et al., 1996; MacMillan et al.,
1996). Questo effetto è responsabile della vasocostrizione iniziale osservata in
seguito all’assunzione di dosi di questi farmaci superiori alla norma, e si è ipotizzato
che ad esso sia dovuta la perdita dell’azione terapeutica che si riscontra in seguito a
somministrazione di dosi elevate di questi agenti (Frisk-Holmberg et al., 1984; FriskHolmberg e Wibell, 1986).
Inoltre la clonidina si lega anche a recettori imidazolinici che amplificano l’effetto
ipotensivante.
Effetti farmacologici
Gli agonisti α2-adrenergici provocano una riduzione della pressione arteriosa per
azione sia sulla gittata cardiaca che sulle resistenze periferiche totali.
In posizione supina, quando il tono simpatico dei vasi è basso, prevale l’effetto sulla
gittata cardiaca; in posizione eretta invece, quando aumenta il tono simpatico vasale,
prevale l’effetto sulle resistenze periferiche totali. Questa azione può determinare
ipotensione posturale.
Inoltre la riduzione del tono simpatico cardiaco determina una riduzione della
contrattilità miocardica e della frequenza cardiaca che può favorire in certi pazienti la
comparsa di scompenso cardiaco.
Effetti collaterali
La sedazione e la xerostomia (secchezza delle fauci) sono i principali effetti
collaterali. Questo tipo di risposta si verifica in circa il 50% dei pazienti, tuttavia
questi effetti possono diminuire d’intensità dopo alcune settimane di trattamento.
L’ipotensione posturale e la disfunzione erettile possono rappresentare importanti
effetti collaterali in molti pazienti.
Effetti collaterali sul SNC meno frequenti comprendono disturbi del sonno
caratterizzati da sogni vividi o incubi, irrequietezza e depressione.
30
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Gli effetti sul cuore correlati all’azione simpaticolitica di questi farmaci
comprendono bradicardia sintomatica e arresto sinusale in pazienti con disfunzione
del nodo seno-atriale, e blocco atrio-ventricolare in pazienti con malattia del nodo
atrio-ventricolare o in pazienti che assumono altri farmaci che deprimono il nodo
atrio-ventricolare.
Una brusca interruzione del trattamento con clonidina può causare una sindrome da
sospensione (effetto rebound) caratterizzata da cefalea, apprensione, tremori, dolore
addominale, sudorazione e tachicardia. Può inoltre verificarsi un innalzamento della
pressione arteriosa a valori superiori a quelli precedenti al trattamento.
In genere il 15-20% dei pazienti che utilizza la preparazione transdermica di
clonidina sviluppa dermatite da contatto.
Usi terapeutici
Il principale suo terapeutico della clonidina consiste nel trattamento dell’ipertensione
arteriosa. Tuttavia, avendo effetti indesiderati a livello del SNC, non rappresenta una
valida opzione per la monoterapia dell’ipertensione arteriosa.
La clonidina è anche utile per il trattamento e la preparazione di pazienti in cura di
disintossicazione da narcotici, alcool e tabacco.
La somministrazione acuta di clonidina è stata utilizzata nella diagnostica differenziale di pazienti con ipertensione e sospetto feocromocitoma. In pazienti con ipertensione primaria, dopo la somministrazione di una singola dose del farmaco, si
osserva una marcata riduzione della concentrazione plasmatica di noradrenalina;
questo genere di risposta non avviene invece in molti pazienti con feocromocitoma.
Somministrazione
Somministrata per via endovenosa, la clonidina determina un picco pressorio (per
effetto sui recettori α2-adrenergici postsinaptici e/o sui recettori α1-adrenergici delle
cellule muscolari lisce vasali, che determina vasocostrizione) seguito da un più
prolungato effetto ipotensivante, che non si ha con la somministrazione per os.
α-METILDOPA
Fig. 6
Meccanismo d’azione
L’α-metildopa è un antipertensivo ad
azione centrale. Si tratta di un profarmaco che esplica la sua azione
antipertensiva attraverso un metabolita
attivo. L’α-metildopa entra nella via
biosintetica delle catecolamine e viene
metabolizzata ad α-metildopamina,
mediante la decarbossilasi degli acidi
aromatici, e poi ad α-metilnoradrenalina, che ha potenza sovrapponibile alla
noradrenalina.
31
Terapia dell’ipertensione arteriosa
L’α-metilnoradrenalina viene immagazzinata nelle vescicole delle terminazioni
nervose dei neuroni periferici dove rimpiazza la noradrenalina come vasocostrittore,
così quando il neurone adrenergico libera il suo neurotrasmettitore, viene rilasciata αmetilnoradrenalina invece di noradrenalina, e non viene quindi alterata la risposta
periferica alla neurotrasmissione adrenergica, in quanto l’α-metilnoradrenalina è un
vasocostrittore di potenza analoga alla noradrenalina.
Oggi l’α-metildopa ha un impiego limitato alla sola ipertensione in gravidanza dove
ha dimostrato la sua sicurezza d’azione.
L’α-metilnoradrenalina agisce sul SNC inibendo l’efflusso di impulsi adrenergici dal
cervello. Essa probabilmente agisce come un agonista a livello dei recettori
adrenergici α2 presinaptici cerebrali riducendo il rilascio di noradrenalina e pertanto
riducendo i segnali adrenergici vasocostrittivi in uscita verso il sistema nervoso
simpatico periferico.
Effetti farmacologici
La metildopa determina quindi una riduzione delle resistenze vascolari periferiche
senza provocare notevoli variazioni della frequenza e della gittata cardiaca.
Nei pazienti anziani tuttavia si può osservare una diminuzione della gittata cardiaca
secondaria alla riduzione della frequenza cardiaca; questo effetto è conseguenza del
rilassamento venoso e della riduzione del precarico.
L’ipotensione ortostatica è presente, ma non è molto marcata perché la metildopa
non abolisce completamente la vasocostrizione mediata dai barocettori.
L’uso cronico di metildopa comporta una progressiva ritenzione di sodio e di liquidi
che tende ad attenuare l’effetto antipertensivo: si tratta del cosiddetto fenomeno di
pseudotolleranza che può essere controbilanciato dall’impiego concomitante di un
diuretico.
Effetti collaterali
L’azione sui recettori α2-adrenergici presinaptici nel tronco encefalico provoca, oltre
alla diminuzione della scarica simpatica alla periferia, anche la riduzione della
scarica simpatica sui centri coinvolti nel controllo dell’attenzione, dei riflessi, della
veglia e della vigilanza. Quindi la metildopa provoca sedazione transitoria
(reversibile nel corso del trattamento), stanchezza e mancanza di concentrazione, con
ulteriori possibili sintomi neurologici quali incubi, vertigini e depressione.
Vengono inibiti anche i centri midollari che controllano la salivazione attraverso i
recettori α2-adrenergici e la metildopa può causare quindi secchezza delle fauci
(xerostomia).
Altri effetti collaterali sul SNC comprendono riduzione della libido, sintomi
parkinsoniani, iperprolattinemia con conseguente ginecomastia e galattorrea
(probabilmente per inibizione dei meccanismi dopaminergici dell’ipotalamo).
Usi terapeutici
La metildopa è il farmaco preferito per il trattamento dell’ipertensione in gravidanza.
32
Terapia dell’ipertensione arteriosa
AGONISTI DEI RECETTORI I1 PER LE IMIDAZOLINE
MOXONIDINA
Meccanismo d’azione
La moxonidina è un agonista del recettore I1 delle imidazoline, e svolge anche una
debole azione agonista α2-adrenorecettoriale.
Imidazoline
Le imidazoline sono così chiamate perché ottenute dalla fusione della struttura della
feniletilamina dell’adrenalina con l’anello imidazolico dell’istamina.
Questi composti si legano ai recettori α2-adrenergici ma con un’affinità minore
rispetto alla clonidina.
Recettori delle imidazioline
I recettori delle imidazoline sono di tre tipi: 1) recettori I1, localizzati nel midollo
allungato e nel nucleo del tratto solitario dove inibiscono la scarica simpatica in
periferia; 2) recettori I2, ubiquitariamente distribuiti nel SNC e in periferia, sono
localizzati sugli enzimi MAO-A e MAO-B ed esercitano una modulazione allosterica
dell’enzima; 3) recettori I3, localizzati nelle cellule β del pancreas: la loro attivazione
aumenta la secrezione di insulina.
Effetti farmacologici
La moxonidina riduce la pressione arteriosa tramite la riduzione della scarica
simpatica periferica.
Inoltre si osserva riduzione delle resistenze periferiche totali e riduzione dell’ipertrofia del ventricolo sinistro.
Effetti collaterali
La moxonidina sembra avere meno effetti collaterali rispetto alla clonidina.
2.2 Farmaci simpaticolitici ad azione periferica
In questo capitolo vengono descritti i farmaci antagonisti dei recettori adrenergici,
i quali sono in grado di inibire l’interazione dell’adrenalina, della noradrenalina e
degli altri farmaci simpaticomimetici con i recettori adrenergici α e β.
Quasi tutti questi farmaci sono antagonisti competitivi; un’importante eccezione è
costituita dalla fenossibenzamina, un antagonista irreversibile che si lega in modo
covalente ai recettori α.
Esistono differenze importanti tra i diversi tipi di recettori adrenergici. Dal momento
che sono stati sviluppati composti che presentano una diversa affinità per i vari
recettori, risulta possibile interferire in modo selettivo con le risposte che derivano
dalla stimolazione del sistema nervoso simpatico.
33
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Classificazione degli antagonisti dei recettori adrenergici
1. Antagonisti dei recettori α
a. Non selettivi
i. Fenossibenzamina
ii. Fentolamina
b. α1-selettivi
i. Prazosina
ii. Terazosina
iii. Doxazosina
iv. Talmusolin
c. α2-selettivi
i. Yohimbina
2. Antagonisti dei recettori β
a. Non selettivi (prima generazione)
i. Nadololo
ii. Penbutololo
iii. Pindololo
iv. Propranololo
v. Timololo
b. β1-selettivi (seconda generazione)
i. Acebutololo
ii. Atenololo
iii. Bisoprololo
iv. Esmololo
v. Metoprololo
c. Non selettivi (terza generazione)
i. Carteololo
ii. Carvedilolo*
iii. Bucindololo
iv. Labetalolo*
d. β1-selettivi (terza generazione)
i. Betaxololo
ii. Celiprololo
iii. Nebivololo
(i farmaci contrassegnati dall’asterisco (*) bloccano anche i recettori α1)
α1-ANTAGONISTI
Il blocco dei recettori α1-adrenergici inibisce la vasocostrizione indotta dalle
catecolamine endogene; può verificarsi vasodilatazione sia nei vasi di resistenza
arteriolare che nelle vene. Il risultato è la caduta della pressione arteriosa a causa
della diminuita resistenza periferica.
34
Terapia dell’ipertensione arteriosa
L’entità di tali effetti dipende dall’attività del sistema nervoso simpatico al momento
della somministrazione dell’antagonista e quindi risulta minore nella posizione
supina rispetto a quella eretta, ed è particolarmente pronunciata in caso di ipovolemia. La caduta della pressione, nel caso di molti antagonisti dei recettori α, viene
contrastata dal riflesso barorecettoriale che provoca un aumento della gittata e della
frequenza cardiaca, come pure dalla ritenzione di fluidi.
Farmaci
PRAZOSINA, TERAZOSINA, DOXASOZINA, TALMUSOLIN, ALFUZOSINA
Meccanismo d’azione
Il prazosin, il prototipo di una famiglia di sostanze caratterizzate dal contenere un
nucleo piperazinil chinazolinico, è un potente e selettivo antagonista del recettore α1.
Prazosin ha una potenza simile sui sottotipi recettoriali α1A, α1B, α1D.
Gli α1-antagonisti sono antagonisti competitivi e reversibili dei recettori α1
adrenergici, quindi inibiscono la vasocostrizione mediata dai recettori α1 delle
arteriole e delle venule. Ciò comporta una caduta della resistenza vascolare periferica
e del ritorno venoso al cuore.
Effetti farmacologici
Inizialmente l’effetto degli α1-bloccanti consiste nel ridurre la resistenza arteriolare e
la capacitanza venosa, provocando un aumento riflesso mediato dal sistema
simpatico della frequenza cardiaca e dell’attività reninica plasmatica. Con la terapia
cronica persiste l’effetto di vasodilatazione, ma i valori di gittata cardiaca, frequenza
e attività della renina plasmatica ritornano nella norma.
A seconda del volume plasmatico, gli α1-bloccanti determinano l’insorgenza di
ipotensione ortostatica di varia entità.
Gli α1-bloccanti riducono inoltre la concentrazione plasmatica di trigliceridi,
colesterolo totale e colesterolo LDL e aumentano il colesterolo HDL.
Il prazosin, a differenza di altri farmaci vasodilatatori, mostra scarsa tendenza ad
aumentare la frequenza cardiaca.
Un aspetto interessante dell’azione della terazosina e del doxazosin nel trattamento
dei problemi delle vie urinarie inferiori nell’uomo con ipertrofia prostatica benigna è
l’induzione di apoptosi nelle cellule muscolari lisce della prostata. Questo fenomeno
può far diminuire i sintomi associati all’ipertrofia cronica.
Effetti collaterali
L’uso di doxazosin come monoterapia per l’ipertensione arteriosa aumenta il rischio
di scompenso cardiaco congestizio (ALLHAT Officers, 2002). Tuttavia questa
interpretazione del risultato dello studio ALLHAT è controversa.
Una precauzione circa l’impiego degli α1-bloccanti nell’ipertensione arteriosa
riguarda l’effetto “prima dose” per cui può verificarsi ipotensione ortostatica e
35
Terapia dell’ipertensione arteriosa
sincope entro 90 minuti dalla somministrazione della dose iniziale del farmaco o
dopo un incremento del dosaggio.
Effetti collaterali aspecifici come cefalea, vertigini, astenia, tachicardia e disfunzione
sessuale raramente limitano il trattamento con prazosin.
Usi terapeutici
Il prazosin e i suoi congeneri sono stati utilizzati con successo nel trattamento della
ipertensione arteriosa essenziale. Grande interesse è stato prestato all’uso degli
antagonisti dei recettori α1-adrenergici nel trattamento dell’ipertensione in virtù della
tendenza di questi farmaci a migliorare il profilo lipidico e il metabolismo del
glucosio e dell’insulina in pazienti con ipertensione e rischio di malattie arteriosclerotiche (Grimm, 1991).
Ulteriori impieghi degli α1-antagonisti sono quelli del trattamento dell’insufficienza
cardiaca congestizia e dei problemi delle vie urinarie inferiori secondario a ipertrofia
prostatica benigna.
Nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia questi farmaci sono utili perché
esplicano effetti a breve termine riguardanti la dilatazione sia delle arterie che delle
vene, il che provoca una riduzione del precarico e del postcarico con aumento della
gittata cardiaca e diminuzione della congestione polmonare.
L’ipertrofia prostatica benigna (benign prostatic hyperplasia, BPH) causa una
ostruzione uretrale sintomatica in una significativa percentuale di uomini anziani che
si manifesta con disuria, pollachiuria e nicturia. Questi sintomi dono dovuti alla
combinazione della pressione meccanica sull’uretra, a sua volta causata dall’aumento
della massa muscolare liscia, e dell’aumento del tono muscolare, mediato dai
recettori α1 nella muscolatura della prostata e del collo della vescica (Kyprianou,
2003). I recettori α1 nella muscolatura del trigono vescicale e dell’uretra
contribuiscono alla resistenza al deflusso dell’urina. Il prazosin riduce questa
resistenza in pazienti con ritardato svuotamento della vescica causato da ostruzione
della prostata o da danno spinale (Kirby et al., 1987; Andersson, 1988).
Anche il talmusolin è efficace nel trattamento della BPH ed ha lievi effetti sulla
pressione sanguigna (Wilde e McTavish, 1996; Beduschi et al., 1998) perché ha una
prevalente azione sui sottotipi recettoriali α1A e α1D e scarsa affinità per α1B (α1A e
α1B si trovano sui vasi, mentre α1D nel tratto urinario).
β-BLOCCANTI
I β-bloccanti hanno ricevuto un’enorme attenzione clinica grazie alla loro efficacia
nella terapia dell’ipertensione arteriosa, della cardiopatia ischemica, dell’insufficienza cardiaca congestizia e di alcune forme di aritmia.
Il propranololo è un antagonista competitivo del recettore β-adrenergico e rimane il
prototipo di questa classe di farmaci.
Gli altri β-bloccanti possono essere distinti in base alle seguenti proprietà: affinità
relativa per i recettori β1 e β2, attività simpaticomimetica intrinseca, blocco dei
36
Terapia dell’ipertensione arteriosa
recettori α, differenze di liposolubilità, capacità di indurre vasodilatazione e proprietà
farmacocinetiche.
Una potente attività simpaticomimetica intrinseca sarebbe controproducente per la
risposta attesa da un β-antagonista, tuttavia una debole attività residua può impedire,
per esempio, l’insorgenza di una profonda bradicardia o di un effetto inotropo
negativo in condizioni di riposo.
Inoltre si è scoperto che alcuni antagonisti dei recettori β-adrenergici possiedono
attività di agonisti inversi. Questi farmaci possono diminuire l’attivazione basale dei
meccanismi di trasduzione a valle dei recettori β-adrenergici spostando l’equilibrio di
attivazione spontanea del recettore verso lo stadio inattivo (Chidiac et al., 1994).
Il blocco dei recettori β-adrenergici ha un effetto limitato su un cuore normale di un
individuo a riposo, ma ha effetti profondi quando il controllo simpatico sul cuore è
dominante, come durante l’esercizio fisico o lo stress.
Meccanismo d’azione
Questi farmaci sono antagonisti dei recettori β-adrenergici. Questo antagonismo
provoca diversi effetti, tra i quali: 1) inibizione competitiva degli effetti delle catecolamine sui β-recettori miocardici; 2) ridotta risposta cardiaca a stimolazione
adrenergica (minore frequenza cardiaca e contrattilità cardiaca soprattutto durante lo
sforzo, e riduzione del consumo di miocardico di O2).
I β-bloccanti sono quindi farmaci importanti soprattutto per il trattamento delle
malattie cardiovascolari in quanto inibiscono l’interazione di adrenalina, noradrenalina e altri simpaticomimetici con i recettori β-adrenergici.
Quasi tutti sono antagonisti competitivi.
Farmaci
1. β-bloccanti non selettivi (prima generazione)
a. Nadololo
b. Penbutololo
c. Pindololo
d. Propranololo
e. Timololo
2. β-bloccanti β1-selettivi (seconda generazione)
a. Acebutololo
b. Atenololo
c. Bisoprololo
d. Esmololo
e. Metoprololo
3. β-bloccanti non selettivi con azioni aggiuntive (terza generazione)
a. Carteololo
b. Carvedilolo
c. Labetalolo
d. Bucindololo
37
Terapia dell’ipertensione arteriosa
4. β-bloccanti β1-selettivi con azioni aggiuntive (terza generazione)
a. Betaxololo
b. Celiprololo
c. Nebivololo
Proprietà farmacologiche
Apparato cardiovascolare. I principali effetti dei recettori β-adrenergici vengono
esercitati a livello del sistema cardiovascolare. È importante però distinguere questi
effetti in soggetti sani da quelli in soggetti con disfunzioni cardiovascolari, quali
l’ipertensione o l’ischemia miocardica.
Dal momento che le catecolamine possiedono attività cronotrope e inotrope positive,
gli antagonisti dei recettori β-adrenergici rallentano la frequenza cardiaca e
diminuiscono la contrattilità miocardica. Quando la stimolazione dei recettori βadrenergici è bassa questi effetti sono modesti, ma quando il sistema nervoso
simpatico è attivo, come nel caso di esercizio fisico o stress, questi farmaci
diminuiscono l’atteso innalzamento della frequenza cardiaca.
La somministrazione a breve termine di antagonisti dei recettori β-adrenergici
provoca una diminuzione della gittata cardiaca; la resistenza periferica aumenta
proporzionalmente al mantenimento della pressione arteriosa come risultato del
bilancio tra il blocco dei recettori β2-adrenergici della parete vascolare e l’azione dei
riflessi compensatori rappresentati da un aumento dell’attività del sistema nervoso
simpatico che porta all’attivazione dei recettori vascolari α.
Tuttavia con l’utilizzo prolungato di questi farmaci la resistenza periferica totale
ritorna ai valori iniziali (Mimran e Ducailar, 1988) o addirittura diminuisce in
pazienti precedentemente ipertesi (Man in’t Veld et al., 1988).
Con gli antagonisti dei recettori β-adrenergici che possiedono anche un’azione da
antagonisti sui recettori α1-adrenergici, come il labetalolo, il carvedilolo e il
bucindololo, la gittata cardiaca viene mantenuta e si assiste ad una brusca
diminuzione delle resistenze periferiche totali.
Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici hanno inoltre effetti significativi sul ritmo
e sull’automatismo cardiaci. Sebbene si pensi che questi effetti siano dovuti
esclusivamente al blocco dei recettori β1-adrenergici, probabilmente anche i recettori
β2-adrenergici regolano la frequenza cardiaca nell’uomo (Brodde e Michel, 1999;
Altschuld e Billman, 2000).
Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici riducono la frequenza cardiaca sinusale e la
frequenza spontanea di depolarizzazione dei pacemaker ectopici, rallentano la
conduzione atriale e nel nodo atrioventricolare e aumentano il periodo refrattario
funzionale del nodo atrioventricolare.
Gli effetti cardiovascolari degli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono molto
evidenti durante l’esercizio fisico. In presenza di blocco dei recettori β-adrenergici si
ha un’attenuazione dell’aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità
miocardica indotta dall’esercizio fisico.
38
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Pressione arteriosa. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici non riducono la
pressione arteriosa nei pazienti normotesi, mentre la riducono negli ipertesi.
La somministrazione prolungata di questi farmaci in pazienti ipertesi porta in ultima
analisi ad una caduta della resistenza vascolare periferica (Man in’t Veld et al.,
1988). Il meccanismo di questo effetto non è ancora completamente noto.
Alcuni antagonisti recettoriali β-adrenergici possiedono degli ulteriori effetti che
possono contribuire alla loro capacità di abbassare la pressione arteriosa. Almeno sei
diversi meccanismi possono contribuire a tale effetto: 1) la produzione di monossido
d’azoto; 2) l’attivazione dei recettori β2-adrenergici; 3) il blocco dei recettori α1adrenergici; 4) il blocco dell’ingresso di Ca2+; 5) l’apertura canali per il K+; 6) l’attività antiossidante. Sembra che questi meccanismi contribuiscano all’effetto antipertensivo aumentando l’ipotensione e il flusso ematico periferico e diminuendo il
postcarico.
Sistema respiratorio. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici non selettivi
bloccano anche i recettori β2 della muscolatura liscia bronchiale. Ciò ha in genere un
limitato effetto nei soggetti sani, mentre in quelli affetti da BPCO od asma può
portare a broncocostrizione.
Sebbene gli antagonisti dei recettori β1-selettivi o quelli con attività simpaticomimetica intrinseca abbiano una probabilità minore rispetto al propranololo di aumentare
la resistenza delle vie respiratorie in soggetti asmatici, questi farmaci dovrebbero
essere utilizzati solo con grande attenzione, o non utilizzati per nulla, in pazienti con
malattie respiratorie (Pujet et al., 1992).
Effetti metabolici. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici modificano il
metabolismo dei carboidrati e dei lipidi. Le catecolamine promuovono la glicogenolisi e mobilizzano glucosio in risposta all’ipoglicemia. I β-bloccanti non selettivi
possono ritardare il recupero dall’ipoglicemia nel diabete melliti di tipo 1 (insulinodipendente), ma raramente nel diabete mellito di tipo 2.
Questi farmaci possono interferire con gli effetti compensatori delle catecolamine
secrete durante l’ipoglicemia, attenuando così la percezione di sintomi quali tremore,
tachicardia e nervosismo. Pertanto gli antagonisti dei recettori β-adrenergici
dovrebbero essere usati con molta cautela in pazienti diabetici inclini a variazioni
ipoglicemiche. In questi casi sono preferibili gli antagonisti β1-selettivi (Dunne et al.,
2001; DiBari et al., 2003).
I recettori β-adrenergici mediano l’attivazione delle lipasi ormono-sensibili nelle
cellule adipose, portando alla liberazione di acidi grassi in circolo. Gli antagonisti dei
recettori β-adrenergici possono attenuare la liberazione di acidi grassi liberi dal
tessuto adiposo.
I farmaci non selettivi riducono in maniera consistente il colesterolo HDL e i trigliceridi. Al contrario quelli β1-selettivi (celiprololo, carteololo, nebivololo, carvedilolo)
sembrano migliorare il profilo lipidico plasmatico nei pazienti dislipidemici.
39
Terapia dell’ipertensione arteriosa
I β-agonisti diminuiscono la concentrazione plasmatica di potassio promuovendo il
recupero dello ione a livello dei muscoli scheletrici. I β-bloccanti impediscono quindi
l’influsso di potassio nei muscoli.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali più comuni dei β-bloccanti nascono come conseguenza farmacologica del blocco dei recettori β-adrenergici.
Apparato cardiovascolare. Poiché negli individui affetti da insufficienza cardiaca il
sistema nervoso simpatico fornisce un supporto critico alla prestazione cardiaca, gli
antagonisti dei recettori β-adrenergici possono indurre scompenso cardiaco congestizio in pazienti predisposti.
La bradicardia è una risposta normale al blocco dei recettori β-adrenergici; in
pazienti con una conduzione atrioventricolare parzialmente o completamente
insufficiente, i β-bloccanti possono causare bradiaritmie rischiose per la vita.
Particolare attenzione occorre prestare per quei pazienti che stanno assumendo anche
altri farmaci, quali il verapamil o agenti antiaritmici, che possono compromettere la
funzione del nodo sinusale o la conduzione atrioventricolare.
Alcuni pazienti lamentano freddo alle estremità durante l’assunzione di β-bloccanti,
oppure si può sviluppare un morbo di Raynaud. Il rischio di peggiorare una claudicatio intermittens è probabilmente molto basso con questi farmaci.
Sistema respiratorio. Il principale effetto collaterale degli antagonisti dei recettori
β-adrenergici è provocato dal blocco dei recettori β2 a livello della muscolatura liscia
bronchiale. Questi recettori sono importanti nel promuovere la broncodilatazione in
pazienti affetto da broncospasmo, e i β-bloccanti possono causare un aumento della
resistenza a livello delle vie aeree che può mettere a repentaglio la vita di alcuni
pazienti.
I farmaci selettivi per il recettore β1-adrenergico o che presentano un’attività
simpaticomimetica intrinseca sui recettori β2-adrenergici possono indurre meno
frequentemente broncospasmo, comunque la selettività per il recettore β1 è modesta,
quindi questi farmaci dovrebbero essere evitati nei pazienti affetti da asma (Gottlieb
et al., 1998).
Sistema nervoso centrale. Gli effetti indesiderati degli antagonisti dei recettori βadrenergici a livello del SNC comprendono senso di affaticamento, disturbi del
sonno (inclusi insonnia e incubi) e depressione.
Metabolismo. Come precedentemente discusso, il blocco dei recettori β-adrenergici
può provocare nei pazienti difficoltà di riconoscimento di uno stato ipoglicemico; si
può anche verificare un ritardo del recupero dall’ipoglicemia indotta dall’insulina.
Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici dovrebbero essere prescritti con molta
cautela ai pazienti diabetici che sono inclini a variazioni ipoglicemiche.
40
Terapia dell’ipertensione arteriosa
In questi casi sono preferibili i farmaci β1-selettivi (Gottlieb et al., 1998).
Effetti collaterali vari. L’incidenza di impotenza in uomini ipertesi sottoposti a
trattamento con antagonisti del recettore β-adrenergico non è stata definita in modo
chiaro.
Sebbene stiano aumentando i dati relativi alla somministrazione di β-bloccanti in
gravidanza, le informazioni riguardo la sicurezza dell’uso di questi farmaci durante
la gestazione sono limitate.
Interazioni farmacologiche
Sono state osservate numerose interazioni sia di tipo farmacodinamico che di tipo
farmacocinetico tra i composti β-bloccanti ed altri farmaci.
I sali d’alluminio, la colestiramina e il colestipolo possono ridurre l’assorbimento dei
β-bloccanti.
Farmaci come la fenitoina, la rifampicina, il fenobarbital, così come il fumo,
inducono a livello epatico gli enzimi metabolici e possono così diminuire le concentrazioni plasmatiche degli antagonisti dei recettori β-adrenergici.
I β-bloccanti possono compromettere la clearence della lidocaina.
Altre alterazioni sono di tipo farmacodinamico. Per esempio, i β-bloccanti e i
bloccanti del canale del calcio hanno effetti additivi sulla pressione arteriosa.
Usi terapeutici
Malattie cardiovascolari. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono ampiamente utilizzati nel trattamento dell’ipertensione, dell’angina, delle sindromi
coronariche acute e dell’insufficienza cardiaca congestizia. Questi farmaci sono
anche frequentemente impiegati nella terapia delle aritmie sopraventricolari e
ventricolari.
Infarto miocardico. Numerosi studi hanno mostrato che gli antagonisti dei recettori
β-adrenergici somministrati durante le fasi iniziali dell’infarto miocardico acuto e
continuati a lungo termine possono diminuire la mortalità di circa il 25% (Freemanle
et al., 1999). Il meccanismo preciso è tuttora sconosciuto ma i positivi effetti di
questi farmaci possono derivare dalla diminuzione della richiesta di ossigeno da parte
del miocardio, dalla diminuzione del flusso ematico cardiaco e dall’azione
antiaritmica.
Insufficienza cardiaca congestizia. È comunemente accettato che la somministrazione acuta di antagonisti dei recettori β-adrenergici possa peggiorare drasticamente
o addirittura far precipitare una situazione di insufficienza cardiaca congestizia in
pazienti compensati con forme multiple di malattia cardiaca, come la cardiomiopatia
ischemica o congestizia. Di conseguenza l’ipotesi che gli antagonisti dei recettori βadrenergici potessero essere efficaci nel trattamento a lungo termine dell’insufficienza cardiaca sembrò in origine contraddittoria. Comunque le risposte simpatiche
allo scompenso cardiaco possono ulteriormente sottoporre a stress il cuore scompen-
41
Terapia dell’ipertensione arteriosa
sato ed esacerbare la progressione della malattia, quindi può essere utile bloccare
questa risposta.
È stato dimostrato che questi farmaci migliorano la funzionalità miocardica, la
qualità di vita e prolungano la vita stessa. Infatti questa classe di farmaci è passata,
nel corso della storia, dall’essere completamente controindicata, al divenire il
prototipo di un moderno approccio terapeutico in molte situazioni cliniche.
Sono stati proposti diversi meccanismi che potrebbero contribuire all’azione degli
antagonisti dei recettori β-adrenergici nell’insufficienza cardiaca. Poiché un
eccessiva stimolazione catecolaminergica può essere tossica per il cuore, specialmente attraverso l’attivazione dei recettori β1-adrenergici, l’inibizione di questa via
potrebbe avere una funzione protettiva sul miocardio. Inoltre, l’antagonismo dei
recettori β-adrenergici nel cuore potrebbe attenuare il rimodellamento cardiaco,
responsabile di effetti deleteri sulla funzionalità del miocardio.
L’attivazione dei recettori β-adrenergici è in grado di promuovere la morte mediante
apoptosi delle cellule cardiache (Singh et al., 2000).
Infine anche la riduzione del postcarico che si ottiene mediante farmaci come il
carvedilolo potrebbe essere rilevante (Ma et al., 1996).
Glaucoma. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici sono molto utili nel
trattamento del glaucoma cronico ad angolo aperto. Attualmente sono disponibili sei
farmaci: carteololo, betaxololo, levobunololo, metipropranololo, timololo e levobetaxololo.
Il meccanismo d’azione di questi farmaci è rappresentato dalla diminuzione della
produzione di umor acqueo.
I farmaci vengono generalmente somministrati sotto forma di gocce oculari ed
iniziano ad agire dopo circa 30 minuti, con una durata d’azione complessiva di circa
12-24 ore.
Altri usi. Molte delle manifestazioni e dei sintomi dell’ipertiroidismo ricordano
effetti tipici di un’aumentata attività simpaticomimetica. Infatti l’eccesso di ormone
tiroideo in circolo aumenta l’espressione dei recettori β-adrenergici in alcuni tipi
cellulari. Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici controllano molti dei sintomi a
livello cardiaco indotti dall’ipertiroidismo.
Il propranololo, il timololo e il metoprololo sono efficaci nella profilassi
dell’emicrania (Tfelt-Hansen, 1986). Il meccanismo non è noto.
Il propranololo e altri β-bloccanti sono efficaci negli attacchi acuti di panico in
soggetti che devono presentarsi in pubblico o in altre situazioni che possono
scatenare uno stato d’ansia.
Il propranololo può essere utile nel trattamento del tremore essenziale.
I β-bloccanti possono essere di una certa utilità in soggetti in astinenza da alcool e
con acatisia. Il propranololo e il nadololo sono efficaci nella prevenzione primaria
del sanguinamento di varici esofagee in pazienti con ipertensione portale secondaria
a cirrosi epatica.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa
3. Calcio-antagonisti
I calcio-antagonisti sono un importante gruppo di farmaci antipertensivi.
Il verapamil, farmaco simile alla papaverina, è stato il primo calcio-antagonista
disponibile. Attualmente sono disponibili molti altri farmaci calcio-antagonisti.
Il gruppo più ampio comprende amlodipina, felodipina, isradipina, nifedipina, dette
diidropiridine.
Il diltiazem è, con il verapamil, l’altro composto non diidropiridinico disponibile.
3.1 Omeostasi del calcio
Distribuzione e funzioni dello ione calcio
Il 99,99% del calcio cellulare è segregato all’interno di organuli oppure legato a
molecole presenti nel citosol e negli organuli stessi. Infatti la concentrazione intracellulare di calcio ([Ca2+]i) è pari a 0,1 μM, mentre quella extracellulare ([Ca2+]e)
può raggiungere 1 mM, cioè circa 10000 volte superiore a quella intracellulare. In tal
modo ogni volta che la cellula lo desidera, grandi flussi di calcio possono entrare
nella cellula per esplicare le proprie funzioni. Esistono però microterritori
intracellulari in zone strategiche ove la [Ca 2+]i cresce anche a valori di 10 o 100 μM.
Tra le principali funzioni biologiche dello ione Ca2+ ricordiamo l’eccitabilità
cellulare, la contrattilità muscolare, la motilità cellulare, la secrezione di ormoni e
neurotrasmettitori, la maturazione e proliferazione cellulare, il trasporto assonale,
l’immagazzinamento della memoria, la neurotossicità e la morte neuronale.
Depositi intracellulari di calcio
I depositi intracellulari di calcio possono essere suddivisi in depositi a lenta cinetica
di scambio e depositi a rapida cinetica di scambio.
Fanno parte dei primi il reticolo endoplasmatico e sarcoplasmatico (che presentano
calciosomi con SERCA per sequestrare calcio. Qui però deve anche essere
rapidamente disponibile e ci sono infatti delle proteine che lo legano debolmente);
l’apparato di Golgi, i mitocondri (posizionati vicino al reticolo endoplasmatico in
modo che quando il calcio esce da quest’ultimo entra nei mitocondri e da qui viene
poi rilasciato lentamente), il nucleo, i granuli secretori, le vescicole sinaptiche ed
infine il citosol.
I depositi a rapida cinetica di scambio sono invece organuli costituiti da porzioni
specializzate di reticolo endoplasmatico o sarcoplasmatico con elevata [Ca2+]
luminale libero (0,1-1mM), anche chiamati calciosomi. Essi sono dotati di pompe del
calcio della famiglia SERCA che ricaptano il calcio libero nel citosol; proteine
luminali leganti il calcio a bassa affinità; canali ionici attivati dall’inositolo trifosfato;
e canali ionici sensibili alla rianodina.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa
Il calcio deve però anche velocemente uscire dalle cellule; a tale scopo sono deputate
principalmente due proteine: lo scambiatore Na+/Ca2+ 3/1 e la pompa del calcio che
consuma ATP.
Canali per il calcio
I canali del calcio voltaggio dipendenti sono etero-pentameri. Essi sono costituiti da
4 subunità (α, β, γ, δ), in cui la subunità α è formata da 4 domini transmembrana a
segmenti, dove il segmento S4 contiene aminoacidi carichi negativamente che
determinano l’apertura del canale. Oltre alla subunità principale che forma il canale
(subunità α1), i canali del calcio contengono numerose altre subunità associate: α2, β,
γ e δ (Schwartz, 1992).
I canali regolati dal voltaggio sono stati suddivisi almeno in tre sottoclassi in base
alla loro conduttanza e sensibilità al voltaggio (Schwartz, 1992; Tsien et al., 1988).
I canali meglio caratterizzati sono quelli appartenenti ai sottotipi L, N e T, ma sono
stati identificati anche i canali P/Q ed R. Tuttavia solo il sottotipo L è sensibile ai
calcio-antagonisti diidropiridinici.
I più importanti canali per il Ca2+ voltaggio dipendenti sono quelli di tipo L a livello
del sistema cardiocircolatorio attivati da alti voltaggi.
3.2 Farmaci calcio-antagonisti
Il flusso di calcio intracellulare rappresenta la via finale comune per numerose
risposte cellulari ad un’ampia varietà di stimoli.
La motivazione del loro impiego nell’ipertensione arteriosa deriva dalla conoscenza
che l’ipertensione è generalmente il risultato di un incremento delle resistenze
vascolari periferiche. Poiché la contrazione della muscolatura liscia vascolare
dipende dalla concentrazione di Ca2+ libero intracellulare, l’inibizione del movimento di ioni calcio transmembrana attraverso i canali del calcio voltaggio-sensibili può
ridurre la quantità di Ca2+ che raggiunge i siti intracellulari. L’attivazione della
chinasi della catena leggera della miosina, Ca 2+-modulina dipendente, determina la
fosforilazione delle catene leggere di miosina, causa un incremento dell’attività
dell’actina-miosina ATPasi e contrazione.
Tutti i calcio-antagonisti riducono la pressione arteriosa mediante rilasciamento della
muscolatura liscia vascolare e riducendo le resistenze vascolari periferiche (Weber,
2002). Come conseguenza della riduzione delle resistenze vascolari periferiche, i
calcio-antagonisti provocano una scarica simpatica riflessa mediata dai barocettori.
Nel caso delle diidropiridine, può verificarsi tachicardia per una stimolazione
adrenergica del nodo seno-atriale. La tachicardia è invece solitamente minima o
assente con verapamil e diltiazem per via del loro effetto cronotropo negativo diretto.
Il concomitante impiego di un β-bloccante può aumentare gli effetti cronotropi
negativi di questi farmaci e causare un arresto cardiaco in certi pazienti, e pertanto il
loro uso con verapamil e diltiazem deve avvenire sotto stretto controllo medico.
44
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Chimica
Sono state individuate 5 classi di composti: fenilalchilamine, diidropiridine, benzotiazepine, difenilpiperazine e una diarilaminopropilamina.
Attualmente verapamil (fenilalchilamina), diltiazem (benzotiazepina), nifedipina,
amlodipina, felodipina, isradipina, nicardipina, nisoldipina, nimodipina
(diidropiridine) e bepridil (una diarilaminopropilamina utilizzata solo per l’angina
refrattaria) sono approvati per l’impiego clinico negli Stati Uniti.
Meccanismo d’azione
I canali del Ca2+ voltaggio-sensibili (di tipo L o canali lenti) mediano l’ingresso di
calcio extracellulare nel muscolo liscio, nei miociti cardiaci e nelle cellule del nodo
seno-atriale e atrio-ventricolare in risposta alla depolarizzazione elettrica.
Sia nel muscolo liscio che nei miociti cardiaci il calcio funge da innesco per la
contrazione. Gli antagonisti dei canali del Ca 2+, detti anche bloccanti dell’ingresso
del Ca2+, inibiscono la funzione di tali canali.
Gli agonisti dei canali del Ca2+ producono i loro effetti mediante il legame alla subunità α1 dei canali del calcio di tipo L, e in questo modo riducono il flusso di Ca2+
attraverso il canale.
Nella muscolatura liscia vascolare ciò determina rilassamento, che è più evidente nel
distretto arterioso. Questi farmaci possono anche determinare effetti inotropi e
cronotropi negativi a livello cardiaco.
Proprietà farmacologiche
Tutti i calcio-antagonisti sono efficaci in monoterapia per il trattamento dell’ipertensione lieve/moderata; tuttavia questa classe di farmaci non viene considerata appropriata per l’impiego in monoterapia nel trattamento dell’ipertensione (Chobanian et
al., 2003).
Azione sui vasi. Sebbene le correnti di Na+ siano in qualche misura interessate, la
depolarizzazione delle cellule muscolari lisce vasali dipende principalmente
dall’ingresso di Ca2+. Possono essere almeno tre i meccanismi responsabili della
contrazione di queste cellule.
Il primo consiste nell’apertura dei canali del Ca 2+ voltaggio-sensibili in risposta alla
depolarizzazione della membrana e nell’ingresso nella cellula di Ca 2+ extracellulare
secondo gradiente elettrochimico. Dopo la chiusura di questi canali deve trascorrere
un certo intervallo di tempo prima che essi possano di nuovo aprirsi in risposta ad
uno stimolo.
In secondo luogo le contrazioni indotte da agonisti che si verificano senza
depolarizzazione della membrana dipendono dalla stimolazione della via PLC-IP3
risultante dal rilascio di Ca2+ dal compartimento extracellulare.
Il terzo meccanismo è rappresentato dai canali del Ca 2+ attivati da recettori che
permettono l’ingresso di Ca2+ extracellulare dopo il legame tra agonista e recettore.
45
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Un aumento del calcio nel citosol stimola il legame tra questo ione e la proteina
calmodulina. Il complesso Ca2+-calmodulina attiva a sua volta la chinasi della catena
leggera della miosina, con conseguente fosforilazione della catena leggera di
miosina. Tale fosforilazione promuove l’interazione tra actina e miosina e quindi la
contrazione della muscolatura. I calcio-antagonisti inibiscono i canali ionici
voltaggio dipendenti nella muscolatura liscia vasale provocando quindi un rilasciamento della muscolatura liscia arteriosa. Questi farmaci possiedono solo uno scarso
effetto sulla maggior parte dei distretti venosi e quindi non influenzano in modo
significativo il precarico cardiaco.
Attività sulle cellule cardiache. I meccanismi coinvolti nell’accoppiamento stimolocontrazione nel cuore si distinguono da quelli delle cellule muscolari lisce vasali
poiché una parte delle due correnti ioniche dirette verso l’interno è sostenuta dal
passaggio di Na+ attraverso i canali veloci, che va a sommarsi al passaggio di Ca 2+
che avviene attraverso i canali lenti.
All’interno del miocita cardiaco il Ca 2+ si lega alla troponina riducendone l’effetto
inibitorio sull’apparato contrattile e permettendo una produttiva interazione tra actina
e miosina in modo da consentire la contrazione. Per questi motivi i calcio-antagonisti
possono esercitare un effetto inotropo negativo.
Nei nodi seno-atriale e atrio-ventricolare la depolarizzazione dipende in gran parte
dal movimento di Ca2+ attraverso il canale lento. L’effetto di un calcio-antagonista
sulla conduzione atrio-ventricolare e sulla frequenza del pacemaker nel nodo del
seno dipende dal fatto che il farmaco ritardi o meno il recupero del canale lento
(Schwartz, 1992).
Inoltre il blocco dei canali determinato dal verapamil (e in misura minore dal
diltiazem) viene potenziato via via che la frequenza dello stimolo aumenta
(fenomeno definito dipendenza dalla frequenza o dipendenza dall’uso).
Il verapamil e il diltiazem riducono la frequenza del pacemaker del nodo del seno e
rallentano la conduzione atrio-ventricolare; quest’ultimo effetto rappresenta il
principio su cui si basa il loro utilizzo nel trattamento delle tachiaritmie sopraventricolari.
Il bepridil, come il verapamil, inibisce sia l’ingresso lento di Ca 2+ sia quello veloce di
Na+ e possiede un effetto inotropo negativo diretto. Le sue proprietà elettrofisiologiche portano ad una riduzione della frequenza cardiaca e ad un prolungamento del
periodo refrattario effettivo del nodo atrio-ventricolare e, aspetto molto importante,
dell’intervallo QTc. Quest’ultimo effetto può essere associato a torsioni di punta,
un’aritmia ventricolare potenzialmente fatale, in particolare in caso di ipokaliemia.
Effetti emodinamici. Tutti i calcio-antagonisti approvati in clinica riducono la resistenza dei vasi coronarici e determinano un aumento del flusso in questo distretto.
I diidropiridinici si sono dimostrati vasodilatatori più potenti rispetto al verapamil.
Gli effetti emodinamici di ciascuno di questi composti variano a seconda della via di
somministrazione e della gravità della disfunzione ventricolare sinistra.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa
Effetti collaterali
Il profilo degli effetti collaterali è differente tra i farmaci di questa classe.
Gli effetti collaterali più frequenti provocati dai calcio-antagonisti, in particolare
dalle diidropiridine, sono dovuti a eccessiva vasodilatazione. I sintomi includono
vertigini, ipotensione, cefalea, vampate di calore, disestesia delle dita e nausea.
I pazienti possono presentare anche tosse, stipsi, edema periferico, dispnea ed edema
polmonare. È possibile altresì che si verifichino crampi muscolari se viene
somministrata nimodipina alle dosi elevate che sono necessarie per ottenere un effetto nei pazienti con emorragia subaracnoidea.
Più raramente si osservano eruzioni cutanee, sonnolenza e, occasionalmente, anche
lievi alterazioni dei test di funzionalità epatica. Questi ultimi non sono comunque
dannosi e possono risolversi col tempo, oppure correggendo la dose.
L’associazione di verapamil per via sistemica e di un β-bloccante è controindicata a
causa dell’aumento del rischio di blocco atrio-ventricolare e/o di notevole calo della
funzionalità ventricolare. I pazienti con disfunzione ventricolare, disturbi della
conduzione dei nodi seno-atriale e atrio-ventricolare e valori pressori sistemici
inferiori a 90 mmHg non dovrebbero essere trattati con verapamil o diltiazem, in
particolare per via endovenosa.
Il bepridil, a causa delle sue proprietà antiaritmiche e della sua capacità di allungare
l’intervallo QT, può causare come effetto collaterale alcune aritmie gravi. In
particolare, in caso di ipokaliemia e/o bradicardia si manifesta talvolta una
tachicardia polimorfa ventricolare (torsioni di punta), che è un’aritmia potenzialmente fatale.
I pazienti che ricevono nifedipina a rilascio immediato manifestano cefalea, rossore
al viso, vertigine ed edema periferico. Di solito l’edema non costituisce una
conseguenza della ritenzione di liquidi, ma deriva piuttosto da un aumento della
pressione idrostatica alle estremità inferiori imputabile alla dilatazione precapillare e
alla costrizione postcapillare riflessa.
Molti altri effetti collaterali di questi farmaci sono dovuti alle azioni sulla
muscolatura liscia non vascolare. La contrazione dello sfintere esofageo inferiore è
inibita dai calcio-antagonisti e pertanto ciò può aggravare un reflusso gastroesofageo.
La stipsi è un effetto collaterale comune con il verapamil, ma si verifica più raramente con gli altri calcio-antagonisti.
La ritenzione urinaria rappresenta un raro effetto collaterale.
Interazioni farmacologiche
Significative interazioni farmacologiche possono essere evidenziate quando i calcioantagonisti vengono impiegati per il trattamento dell’ipertensione.
Il verapamil blocca il trasportatore della glicoproteina-P. La distribuzione renale ed
epatica della digossina avviene grazie a questo trasportatore; di conseguenza il
verapamil inibisce l’eliminazione della digossina e di altri farmaci che vengano
eliminati dall’organismo attraverso la glicoproteina-P. Si sconsiglia quindi l’uso di
verapamil nel trattamento dell’intossicazione da digitalici.
47
Terapia dell’ipertensione arteriosa
4. Inibitori del sistema renina-angiotensina
4.1 Sistema renina-angiotensina
Il sistema renina-angiotensina partecipa significativamente alla fisiopatologia
dell’ipertensione, dell’infarto miocardico e della nefropatia diabetica. Questa
constatazione ha portato ad un accurato studio di tale sistema e allo sviluppo di nuovi
approcci per inibirne l’azione.
L’angiotensina II, il peptide più attivo correlato all’angiotensina, è ottenuta
dall’angiotensinogeno attraverso due tagli proteolitici: il primo attuato dalla renina
(enzima secreto dai reni) che scinde il decapeptide angiotensina I dal segmento
amino-terminale dell’angiotensinogeno (substrato della renina); il secondo attuato
dall’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin-converting enzyme, ACE)
che ottiene l’octapeptide angiotensina II rimuovendo il dipeptide carbossi-terminale
dell’angiotensina I.
L’angiotensina II agisce poi legandosi a due recettori a sette domini transmembrana
accoppiati a proteine G, chiamati AT1 e AT2.
Renina
Il fattore principale che regola la velocità di sintesi dell’angiotensina II è la quantità
di renina rilasciata dal rene. La renina è sintetizzata, accumulata e secreta nel circolo
arterioso renale dalle cellule iuxtaglomerulari localizzate nella parete delle arteriole
afferenti al loro ingresso nel glomerulo. La renina è immagazzinata in granuli all’interno delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare ed è secreta mediante esocitosi
(Friis et al., 1999).
La renina è un’aspartilproteasi che agisce su un numero limitato di substrati. Il suo
substrato naturale principale è una α2-globulina circolante, l’angiotensinogeno, che
viene secreto dagli epatociti. La renina scinde il legame tra i residui 10 e 11
dell’estremità amino-terminale dell’angiotensinogeno dando origine all’angiotensina
I. L’emivita della renina circolante è approssimativamente pari a 15 minuti.
Controllo della secrezione di renina. La secrezione di renina dalle cellule iuxtaglomerulari è controllata da tre meccanismi principali, due dei quali agiscono localmente nel rene, mentre il terzo esplica la sua attività tramite il sistema nervoso
centrale (SNC) ed è mediato dal rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose
noradrenergiche renali.
Nel rene il primo meccanismo che regola la secrezione di renina è definito via della
macula densa. La macula densa è adiacente alle cellule iuxtaglomerulari ed è costituita da cellule epiteliali colonnari specializzate a livello della parete del segmento
corticale del glomerulo. Un’alterazione del riassorbimento di NaCl da parte della
macula densa determina la trasmissione di segnali chimici alle cellule iuxtaglomerulari vicine, in modo da modificare il rilascio di renina.
48
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Gli incrementi del flusso di NaCl attraverso la macula densa inibiscono il rilascio di
renina e, al contrario, le diminuzioni del flusso di NaCl stimolano la secrezione di
renina.
La via di segnale delle cellule della macula densa è mediata sia dall’adenosina sia
dalle prostaglandine; la prima viene rilasciata quando il trasporto di NaCl aumenta,
mentre le seconde vengono rilasciate quando il trasporto di NaCl diminuisce.
L’adenosina, interagendo con il suo recettore A1, inibisce la secrezione di renina,
mentre le prostaglandine ne stimolano la secrezione.
Il secondo meccanismo renale che controlla la secrezione di renina è definito via dei
barocettori renali. Se la pressione arteriosa aumenta o diminuisce nei vasi preglomerulari, si assiste rispettivamente ad una inibizione o ad una stimolazione del
rilascio di renina. Si ritiene che il primo stimolo per la secrezione di renina sia
rappresentato da una minore tensione della parete arteriosa dell’arteriola afferente.
L’aumento e la diminuzione della pressione di perfusione renale possono
rispettivamente inibire o stimolare il rilascio di prostaglandine renali, che possono
mediare la via di segnale del barocettore intrarenale.
A conferma di questa conclusione, l’inibizione dell’enzima ciclossigenasi inducibile
(COX-2) diminuisce la secrezione di renina e la pressione arteriosa in caso di
ipertensione nefrovascolare renina-dipendente (Wang et al., 1999).
Il terzo meccanismo, la via di segnalazione mediata dal recettore β-adrenergico, è
mediato dal rilascio della noradrenalina dalle terminazioni postgangliari del sistema
ortosimpatico; l’attivazione dei recettori β1-adrenergici delle cellule dell’apparato
iuxtaglomerulare incrementa il rilascio di renina.
Questi tre meccanismi che regolano il rilascio di renina sono collegati tra loro a
costituire un sistema fisiologico integrato. L’aumento della secrezione di renina
potenzia la formazione di angiotensina II e l’angiotensina II stimola il sottotipo 1 dei
recettori per l’angiotensina (AT1) presenti sulle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare al fine di inibire il rilascio di renina, un effetto denominato feed-back a corto
raggio. L’angiotensina II quindi incrementa la pressione arteriosa attraverso la stimolazione dei recettori AT1, e l’aumento della pressione arteriosa inibisce il rilascio di
renina perché (1) attiva i barocettori sensibili alla pressione elevata riducendo perciò
il tono simpatico renale; (2) determina un aumento della pressione nei vasi preglomerulari; (3) riduce il riassorbimento di NaCl nel tubulo prossimale determinando un
aumento del carico salino in arrivo alla macula densa. L’inibizione del rilascio di
renina dovuto agli aumenti di pressione provocati dall’angiotensina II è stato definito
feed-back a lungo raggio.
49
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Fig. 7
50
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Recettori dell’angiotensina
Gli effetti delle angiotensine sono esercitati attraverso specifiche proteine G con
struttura a eptaelica accoppiate ai recettori (de Gasparo et al., 2000). I due sottotipi
dei recettori per le angiotensine (Whitebread et al., 1989; Chu et al., 1989) sono
attualmente definiti AT1 e AT2 (Bumpus et al., 1991).
La maggior parte degli effetti biologici conosciuti dell’angiotensina II è mediata dal
recettore AT1. I ruoli funzionali dei recettori AT2 sono ancora poco conosciuti, ma
potrebbero consistere in effetti antiproliferativi, proapoptosici, vasodilatatori e antipertensivi (Inagami et al., 1999; Ardaillou, 1999; Horiuchi et al., 1999; Siragy et al.,
2000; Moore et al., 2001; Carey et al., 2001).
I recettori AT1 si trovano accoppiati a numerose proteine G eterodimeriche, tra cui
Gq, G12/13 e Gi. Nella maggior parte dei tipi cellulari i recettori AT1 legano
proteine Gi al fine di attivare la via di segnalazione PLCβ-IP3-Ca2+. Come conseguenza dell’attivazione della proteina Gi possono aver luogo l’attivazione della PKC,
della PLA2 e della PLD e la produzione di eicosanoidi, così come l’attivazione delle
proteine Ca2+-dipendenti e delle MAP-chinasi e l’attivazione della NOS Ca2+calmodulina-dipendente. Vi può essere attivazione della proteina Gi con riduzione
dell’attività dell’adenilato ciclasi e abbassamento del contenuto intracellulare di
AMP ciclico; tuttavia vi è anche evidenza di un “cross-talk” Gq → Gs in modo che
l’attivazione della via di segnalazione AT1-Gq-PLC determini un aumento della
produzione di AMP ciclico (Meszaros et al., 2000; Epperson et al., 2004).
Attraverso questi ed altri meccanismi l’angiotensina influenza altresì l’espressione di
molti prodotti genici che regolano la crescita cellulare e la produzione di componenti
della matrice extracellulare.
Funzioni ed effetti del sistema renina-angiotensina
Il sistema renina-angiotensina svolge un ruolo importante nella regolazione della
pressione arteriosa sia a breve sia a lungo termine. Un modesto incremento della
concentrazione plasmatica di angiotensina II determina un rialzo acuto della
pressione arteriosa. Questa risposta pressoria rapida all’angiotensina II è dovuta al
rapido incremento delle resistenze vascolari periferiche (risposta che aiuta a mantenere stabile la pressione arteriosa in seguito ad una situazione di ipotensione acuta,
come per esempio nel caso di sanguinamenti o vasodilatazione).
Sebbene l’angiotensina II aumenti direttamente la contrattilità cardiaca (attraverso
l’apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti a livello dei miociti cardiaci) e
aumenti direttamente la frequenza cardiaca (attraverso la stimolazione del tono
simpatico, l’aumento della neurotrasmissione adrenergica e il rilascio della catecolamine surrenali che), il rapido incremento della pressione arteriosa attiva un riflesso
barocettivo che diminuisce il tono simpatico e aumenta quello vagale.
L’angiotensina II è anche in grado di provocare una risposta pressoria lenta che
stabilizza a lungo termine la pressione arteriosa. L’infusione continua di dosi di
angiotensina II inizialmente subliminali determina un graduale aumento della
pressione, raggiungendo l’effetto massimale dopo alcuni giorni.
51
Terapia dell’ipertensione arteriosa
La risposta pressoria lenta all’angiotensina II è mediata molto probabilmente da
un’escrezione renale ridotta che fa spostare verso destra la curva pressione renalenatriuresi. Inoltre l’angiotensina II stimola la produzione di endotelina-1 e dell’anione superossido (Laursen et al., 1997; Rajagopalan et al., 1997; Ortiz et al., 2001), il
che può contribuire alla lenta risposta pressoria.
In aggiunta al suo effetto sulla pressione arteriosa, l’angiotensina II altera
significativamente la morfologia del sistema cardiovascolare, determinando
ipertrofia delle cellule cardiache e vascolari e incrementando la sintesi e la deposizione di collagene da parte dei fibroblasti cardiaci.
Meccanismi di aumento delle resistenze periferiche totali da parte dell’angiotensina II. L’angiotensina II determina un aumento delle resistenze periferiche totali
(total peripheral resistance, TPR) con effetti diretti ed indiretti sui vasi.
Vasocostrizione diretta. L’angiotensina II provoca costrizione delle arteriole precapillari e, in misura minore, delle venule postcapillari attivando i recettori AT1
localizzati sulle cellule muscolari lisce vasali e stimolando la via Gq-PLC-IP3-Ca2+.
L’angiotensina II esercita effetti diversi sui letti vascolari. La vasocostrizione diretta
è più marcata a livello renale e leggermente inferiore nel letto vascolare plasmatico.
Stimolazione della trasmissione noradrenergica periferica. L’angiotensina II facilita la trasmissione noradrenergica periferica stimolando il rilascio di noradrenalina
dalle terminazioni nervose simpatiche, inibendone la ricaptazione e promuovendo la
risposta vasale a questo neurotrasmettitore.
Effetti sul sistema nervoso centrale. L’infusione di piccole quantità di angiotensina
II nelle arterie vertebrali determina un aumento della pressione arteriosa. Questa
risposta, mediata dall’aumento del tono simpatico, riflette gli effetti dell’ormone sui
nuclei circumventricolari non protetti dalla barriera ematoencefalica.
L’angiotensina II circolante può inoltre ridurre l’attività simpatica mediata dai barocettori, determinando un aumento della pressione arteriosa. Il SNC è influenzato sia
dall’angiotensina II di origine plasmatica sia da quella formatasi nel cervello
(Saavedra, 1992; Bunnemann et al., 1993). Oltre ad indurre un aumento del tono
simpatico, l’angiotensina II provoca la sensazione della sete a livello centrale e
stimola il rilascio di vasopressina (ormone antidiuretico) dalla neuroipofisi.
Rilascio di catecolamine dalla midollare del surrene. L’angiotensina II stimola il
rilascio di catecolamine dalla midollare del surrene mediante depolarizzazione delle
cellule cromaffini.
Meccanismi mediante i quali l’angiotensina II altera la funzionalità renale.
L’angiotensina II esercita notevoli effetti sulla funzionalità renale perché riduce
l’escrezione urinaria di Na+ e acqua, mentre provoca un aumento dell’escrezione di
K+. Il risultato complessivo è quello di spostare verso destra la relazione tra
pressione renale e natriuresi.
52
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Effetti diretti dell’angiotensina II sul riassorbimento di sodio nel tubulo prossimale. L’angiotensina II, a concentrazioni molto basse, stimola lo scambio Na +/H+
nel tubulo prossimale determinando un maggiore riassorbimento di Na +, Cl- e
bicarbonato. L’angiotensina II aumenta inoltre l’espressione del simporto Na +-glucosio nel tubulo prossimale (Bautista et al., 2004). L’angiotensina II stimola anche
direttamente il simporto Na+-K+-2Cl- nel tratto spesso della ascendente dell’ansa di
Henle (Kovàcs et al., 2002).
Rilascio di aldosterone dalla corticale surrenale. L’angiotensina II stimola la
sintesi e la secrezione di aldosterone nella zona glomerulare della corticale del
surrene ed esercita azioni trofiche e stimolatorie tali da potenziare altri fattori, come
per esempio ACTH (ormone adrenocorticotropo) e K+. L’aldosterone agisce sui
tubuli distali e collettori determinando ritenzione di Na + ed escrezione di K+ ed H+.
Alterazioni dell’emodinamica renale. Riduzioni del flusso ematico renale attenuano in modo marcato l’attività escretoria del rene; l’angiotensina II riduce il flusso
renale provocando vasocostrizione diretta della muscolatura liscia vasale, aumentando il tono simpatico renale (attraverso il SNC) e facilitando la trasmissione
adrenergica a livello renale (effetto intrarenale).
L’angiotensina II determina variazioni del tasso (velocità) di filtrazione glomerulare
(glomerular filtration rate, GFR) attraverso diversi meccanismi: 1) costrizione delle
arteriole afferenti, evento che riduce la pressione intraglomerulare e tende a far diminuire il GFR; 2) costrizione delle cellule mesangiali che riduce, all’interno del glomerulo, l’area di superficie dei capillari disponibile per la filtrazione e tende
anch’essa a far diminuire il GFR; 3) costrizione delle arteriole efferenti che induce
un aumento della pressione intraglomerulare e del GFR.
L’effetto complessivo di queste azioni opposte sul GFR dipende dallo stato
fisiologico. Normalmente il GFR è leggermente ridotto dall’angiotensina II, tuttavia
nel caso di ipotensione dell’arteria renale risultano predominanti gli effetti sull’arteriola efferente e quindi, in questa situazione, l’angiotensina II fa aumentare il GFR.
Pertanto il blocco del sistema renina-angiotensina può provocare insufficienza renale
acuta in pazienti con stenosi bilaterale dell’arteria renale o in caso di stenosi unilaterale in presenza di un unico rene.
Meccanismi mediante i quali l’angiotensina II altera le strutture cardiovascolari. Molte malattie cardiovascolari sono associate a modificazioni della morfologia
cardiaca e/o vasale e ciò determina un rischio maggiore di morbilità e mortalità.
Alterazioni patologiche delle strutture cardiovascolari possono comprendere
ipertrofia e/o rimodellamento.
Queste modifiche sono dovute sia ad una maggiore migrazione, proliferazione e
ipertrofia cellulare, sia ad un aumento della quantità di matrice extracellulare.
Le popolazioni cellulari coinvolte sono le cellule muscolari lisce vasali, i miociti
cardiaci e i fibroblasti. È stato dimostrato che l’angiotensina II: 1) stimola la
migrazione (Bell e Madri, 1990; Dubey et al., 1995), la prolifereazione (Daemen et
al., 1991) e l’ipertrofia delle cellule muscolari lisce (Itoh et al., 1993); 2) induce un
53
Terapia dell’ipertensione arteriosa
aumento della sintesi di matrice extracellulare da parte delle cellule muscolari lisce
vasali (Scott-Burden et al., 1990); 3) provoca ipertrofia dei miociti cardiaci (Baker et
al., 1992); 4) determina una maggiore produzione di matrice extracellulare da parte
dei fibroblasti cardiaci (Villarreal et al., 1993; Crawford et al., 1994; Ostrom et al.,
2003).
Fig. 8
Ruolo del sistema renina-angiotensina nel mantenimento della pressione arteriosa a lungo termine nonostante variazioni notevoli dell’apporto di Na +. La
pressione arteriosa è il parametro che influenza maggiormente l’escrezione di Na +.
Ciò può essere illustrato in un grafico considerando l’escrezione urinaria di Na+
rispetto alla pressione arteriosa media. Questo grafico è conosciuto come curva
pressione renale-natriuresi (Fig. 9).
A lungo termine, l’escrezione di sodio deve essere controbilanciata dall’assunzione
dello ione; il set point relativo a valori pressori a lungo termine, quindi, può essere
ottenuto dall’intersezione della retta orizzontale che rappresenta l’assunzione di Na +
con la curva pressione renale-natriuresi (Guyton, 1991).
54
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Se questa curva fosse fissa, la pressione arteriosa nel tempo sarebbe
ampiamente influenzata dall’assunzione di sodio.
Invece il sistema renina-angiotensina
riveste un ruolo importante nel mantenere un set point costante relativo ai
valori di pressione a lungo termine
nonostante si verifichino ampie variazioni dell’assunzione di Na+.
Se la quantità di Na+ introdotta con la
dieta è bassa, viene stimolato il rilascio di renina e l’antiotensina II agisce
Fig. 9
sul rene determinando uno spostamenInterazioni tra assunzione di sale, meccanismo
to verso destra della curva pressione
pressione renale-natriuresi e sistema reninarenale-natriuresi. Al contrario, quando
angiotensina mirate a stabilizzare la pressione arteriol’apporto di Na+ con la dieta è elevato,
sa a lungo termine nonostante ampie variazioni
dell’apporto dietetico di sale.
il rilascio di renina viene inibito e la
caduta dell’angiotensina II determina
uno spostamento a sinistra della curva. Di conseguenza, nonostante grandi variazioni
dell’apporto di Na+ con la dieta, il punto di intersezione dell’assunzione di sale con la
curva pressione renale-natriuresi rimane pressoché costante.
4.2 Farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina
INIBITORI DELL’ENZIMA DI CONVERSIONE DELL’ANGIOTENSINA
L’effetto fondamentale dei farmaci inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) è l’inibizione della conversione dell’angiotensina I, relativamente inattiva, in angiotensina II, forma attiva. Quindi gli ACE-inibitori attenuano o
aboliscono le risposte all’angiotensina I, ma non all’angiotensina II.
Poiché gli ACE-inibitori inducono un aumento dei livelli di bradichinina e
quest’ultima stimola la biosintesi di prostaglandine, la bradichinina e/o le prostaglandine possono contribuire agli effetti farmacologici degli ACE-inibitori.
Inoltre gli ACE-inibitori interferiscono nei cicli di feed-back negativi, sia a breve che
a lungo raggio, del rilascio di renina; di conseguenza questi farmaci provocano un
maggior rilascio di renina e un aumento della velocità di formazione di angiotensina
I. Considerando che la trasformazione metabolica dell’angiotensina I in angiotensina
II è bloccata da questi farmaci, l’angiotensina I ha un destino metabolico alternativo
che consiste in una maggiore produzione di peptidi quali l’angiotensina(1-7). Non è
noto se i peptidi biologicamente attivi, tra cui l’angiotensina(1-7), contribuiscano o
meno alla risposta farmacologica degli ACE-inibitori.
55
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Chimica
In base alla loro struttura chimica gli ACE-inibitori possono essere classificati in tre
ampi gruppi: 1) ACE-inibitori contenenti un gruppo sulfidrilico correlati
strutturalmente al captopril (per es. fentiapril, pivalopril, zofenopril, alacepril); 2)
ACE-inibitori contenenti due funzioni carbossiliche correlati strutturalmente
all’enalapril (per es. lisinopril, benazepril, quinapril, moexipril, ramipril, trandolapril,
spirapril, perindopril, pentopril, cilazapril); 3) ACE-inibitori contenenti un atomo di
fosforo correlati strutturalmente al fosinopril.
Molti ACE-inibitori sono profarmaci con una funzione estere ed una potenza da 100
a 1000 volte inferiore rispetto ai loro metaboliti attivi, ma presentano una biodisponibilità orale notevolmente migliore rispetto a questi ultimi.
Farmacocinetica
Ad eccezione di fosinopril e spirapril, che sono eliminati in egual misura per via
epatica e renale, gli ACE-inibitori hanno una clearence prevalentemente renale. Per
questo motivo, in caso di nefropatia si riduce in modo significativo l’eliminazione
dal plasma della maggior parte di questi farmaci e si rende necessaria la diminuzione
del dosaggio. L’aumento dell’attività plasmatica della renina (plasma renin activity,
PRA) induce nei pazienti una risposta ipotensiva maggiore dopo somministrazione di
ACE-inibitori; le dosi iniziali di questi farmaci dovrebbero quindi essere ridotte nei
soggetti con livelli elevati di renina, per esempio nel caso di scompenso cardiaco o di
carenza di sodio.
Usi terapeutici
I farmaci che interferiscono con il sistema renina-angiotensina svolgono un ruolo di
spicco nel trattamento delle malattie cardiovascolari, che rappresentano la principale
causa di morte nella società moderna.
Ipertensione arteriosa. L’inibizione dell’ACE riduce le resistenze vasali sistemiche
e la pressione arteriosa media, diastolica e sistolica in varie condizioni di ipertensione. L’iniziale modificazione pressoria tende ad avere una correlazione positiva con
l’attività reninica plasmatica (PRA) e con i livelli di angiotensina II precedenti al
trattamento.
Il calo a lungo termine della pressione arteriosa sistemica riscontrato nei soggetti
ipertesi trattati con ACE-inibitori è accompagnato da uno spostamento verso sinistra
della curva pressione renale-natriuresi e da una riduzione delle resistenze periferiche
totali. L’aumento del flusso ematico renale (FER) è un reperto pressoché costante.
Ciò non è inaspettato, poiché il circolo renale è particolarmente sensibile alla vasocostrizione indotta dall’angiotensina II. L’aumento del FER si verifica senza che vi
sia una maggiore filtrazione glomerulare; in realtà la filtrazione è ridotta e vi è dilatazione sia dell’arteriola afferente che di quella efferente.
In generale il flusso ematico cerebrale e coronarico sono mantenuti costanti perché in
questi distretti esistono meccanismi di autoregolazione molto efficienti.
56
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Oltre a provocare dilatazione arteriolare sistemica, gli ACE-inibitori aumentano la
capacitanza delle arterie di grosso calibro, contribuendo così alla riduzione della
pressione sistolica. Non risultano compromessi né l’attività dei barocettori né i
riflessi cardiovascolari, mentre sono moderatamente alterate le risposte ai cambi
posturali ed allo sforzo.
In generale, negli individui ipertesi la secrezione di aldosterone è ridotta, ma non
marcatamente alterata, dagli ACE-inibitori. Essa è mantenuta a livelli adeguati da
altri stimoli steroidogenici, tra cui l’ormone adrenocorticotropo e il K +. La ritenzione eccessiva di potassio si verifica solo nei pazienti che assumono un supplemento di
questo ione, con alterazioni renali o in terapia con altri farmaci che riducono l’escrezione di potassio.
Gli ACE-inibitori in monoterapia sono in grado di normalizzare la pressione arteriosa
in circa il 50% dei pazienti con ipertensione lieve/moderata. Il 90% dei pazienti con
ipertensione lieve/moderata può ottenere un buon controllo della pressione con
l’associazione di un ACE-inibitore e un calcio-antagonista, un β-bloccante o un
diuretico (Zusman, 1993).
Disfunzione sistolica del ventricolo sinistro. È oggi chiaro che, in assenza di controindicazioni, gli ACE-inibitori dovrebbero essere somministrati a tutti i pazienti
che presentano una funzionalità sistolica ridotta del ventricolo sinistro, indipendentemente dalla manifestazione di sintomi di scompenso cardiaco conclamato.
Diversi studi hanno dimostrato che l’inibizione dell’ACE nei pazienti con
disfunzione sistolica previene o ritarda la progressione dello scompenso cardiaco,
riduce l’incidenza di morte improvvisa e di infarto miocardico, diminuisce la
necessità di ricovero ospedaliero e migliora la qualità di vita. Più è grave il grado di
disfunzione ventricolare, maggiore è il beneficio che si ottiene nell’inibizione
dell’ACE. Sebbene i meccanismi con cui gli ACE-inibitori portano ad un miglioramento dei pazienti con disfunzione sistolica non siano ancora del tutto chiari,
l’induzione di condizioni emodinamiche più favorevoli svolge un ruolo
probabilmente molto importante. L’inibizione dell’enzima in genere riduce il postcarico e lo stress sistolico della parete; si verifica un aumento sia della gittata sia
dell’indice cardiaco, così come degli indici di lavoro e di volume sistolico.
Di norma la frequenza cardiaca diminuisce. La pressione arteriosa sistemica cala, ma
tende poi a tornare ai livelli di partenza.
Le resistenze nefrovascolari si riducono drasticamente ed il flusso ematico renale
aumenta. La natriuresi dipende dal miglioramento dell’emodinamica renale, dal
ridotto stimolo alla secrezione di aldosterone da parte dell’angiotensina II e dal diminuito effetto dell’angiotensina II sul rene. L’eccesso di volume di liquidi corporei
diminuisce e questo determina una riduzione del ritorno venoso alle sezioni destre
del cuore. Un’ulteriore riduzione deriva dalla dilatazione venosa e dall’aumentata
capacitanza del letto venoso.
La risposta agli ACE-inibitori comprende anche una riduzione della pressione arteriosa polmonare, della pressione di incuneamento capillare polmonare, dei volumi di
57
Terapia dell’ipertensione arteriosa
riempimento e delle pressioni dell’atrio e del ventricolo di sinistra. Di conseguenza si
ha una riduzione del precarico e della pressione tangenziale esercitata sulle pareti
cardiache durante la diastole.
Il miglioramento della prestazione emodinamica si traduce in una migliore tolleranza
all’esercizio fisico e nella soppressione dell’ipertono simpatico (Grassi et al., 1997).
I flussi ematici cerebrale e coronarico sono solitamente mantenuti nella norma anche
quando la pressione sistolica si riduce.
Gli effetti benefici degli ACE-inibitori sull’alterata funzione sistolica comprendono
anche il miglioramento della geometria ventricolare. Nello scompenso cardiaco gli
ACE-inibitori riducono la dilatazione ventricolare e tendono a ristabilire il normale
profilo ellittico del cuore. Possono anche contrastare il rimodellamento ventricolare
grazie a modificazioni del pre- e del postcarico, prevenendo gli effetti proliferativi
dell’angiotensina II sui miociti e riducono la fibrosi cardiaca indotta dall’angiotensina II e dall’aldosterone. I livelli di aldosterone sono infatti elevati nello
scompenso cardiaco e l’aldosterone determina un aumento marcato dell’espressione
dell’ACE in miociti cardiaci di ratto neonato posti in coltura (Harada et al., 2001).
Infarto miocardico acuto. Numerosi studi hanno fornito prove convincenti della
capacità degli ACE-inibitori di ridurre la mortalità totale se il trattamento viene
iniziato durante il periodo perinfartuale. Gli effetti benefici degli ACE-inibitori
nell’infarto miocardico sono particolarmente evidenti nei pazienti ipertesi (Borghi et
al., 1999) e diabetici (Zuanetti et al., 1997; Gustafsson et al., 1999).
A meno che non sussistano controindicazioni (per es. shock cardiogeno o ipotensione
grave), gli ACE-inibitori devono essere somministrati immediatamente nella fase
acuta dell’infarto miocardico e poi possono essere somministrati in associazione con
trombolitici, aspirina e antagonisti dei recettori β-adrenergici (ACE Inibitor
Myocardial Infarction Collaborative Group, 1998).
Pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari. Gli ACE-inibitori spostano
l’equilibrio fibrinolitico verso uno stato profibrinolitico riducendo i livelli plasmatici
dell’inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno (Vaughan et al., 1997; Brown et al.,
1999) e correggono la disfunzione vasomotoria endoteliale nei pazienti affetti da
malattia coronarica (Mancini et al., 1996).
Insufficienza renale cronica. Il diabete mellito è la prima causa di insufficienza
renale cronica (IRC). Nei pazienti con diabete mellito di tipo 1 e nefropatia diabetica
il captopril previene o ritarda la progressione della malattia renale (Lewis et al.,
1993). Oltre a limitare la nefropatia diabetica, gli ACE-inibitori possono anche ridurre la progressione della retinopatia nei diabetici di tipo 1 (Chaturvedi et al., 1998).
Questi farmaci possono attenuare la progressione dell’insufficienza renale nei pazienti con diversi tipi di nefropatia non correlati al diabete (Maschio et al., 1996;
GISEN Group, 1997; Ruggenenti et al., 1998, 1999b; Kshirsagar et al., 2000; Praga
58
Terapia dell’ipertensione arteriosa
et al., 2003) e possono arrestare la riduzione del GFR persino in pazienti con grave
insufficienza renale (Ruggenenti et al., 1999a).
Numerosi meccanismi partecipano alla protezione renale esercitata dagli ACEinibitori. L’aumento della pressione nei capillari glomerulari provoca un danno a
livello del glomerulo e questi farmaci riducono tale aumento sia diminuendo la pressione arteriosa sia dilatando le arteriole renali afferenti.
Gli ACE-inibitori determinano una maggiore selettività nella permeabilità della
membrana filtrante, riducendo perciò il contatto del mesangio con fattori proteici in
grado di stimolare la proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice, entrambi processi questi che contribuiscono all’espansione del mesangio nella
nefropatia diabetica.
Poiché inoltre l’angiotensina II è un fattore di crescita, la riduzione dei suoi livelli
all’interno del rene può attenuare ulteriormente la proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice.
Effetti collaterali
Le reazioni avverse agli ACE-inibitori sono rare e in genere essi sono ben tollerati.
Non si riscontrano effetti collaterali metabolici nella terapia a lungo termine con
questi farmaci. Non vi sono alterazioni dell’uricemia o della calcemia e, di fatto, si
può verificare un miglioramento della sensibilità all’insulina in pazienti che
presentano resistenza all’ormone o livelli ridotti di colesterolo e di lipoproteina(a) a
causa di malattie renali caratterizzate da proteinuria.
Ipotensione. In pazienti con PRA elevata dopo la prima dose di un ACE-inibitore si
può riscontrare un calo drastico della pressione arteriosa. A questo proposito si deve
prestare attenzione ai pazienti con carenze saline, a quelli trattati con associazioni di
farmaci antipertensivi e a coloro che manifestano scompenso cardiaco congestizio. In
tali situazioni la terapia iniziale dovrebbe prevedere dosi molto basse di ACEinibitore.
Tosse. Il 5-20% dei pazienti in terapia con ACE-inibitori presenta una tosse secca e
fastidiosa; di norma non vi è una relazione con la dose assunta. La tosse insorge più
frequentemente nelle donne che negli uomini, si instaura generalmente nell’arco di
una settimana, sei mesi dopo l’inizio della terapia e talvolta impone l’interruzione del
trattamento. Questo effetto indesiderato può essere mediato dall’accumulo nei
polmoni di bradichinina, di sostanza P e/o di prostaglandine. Gli antagonisti del
trombossano (Malini et al., 1997), l’aspirina (Tenenbaum et al., 2000) e l’integrazione di ferro (Lee et al., 2001) riducono l’insorgenza di tosse indotta dagli ACEinibitori. Una volta sospesa la terapia, la tosse in genere scompare entro quattro
giorni (Israili e Hall, 1992).
Iperkaliemia. Nonostante la riduzione delle concentrazioni di aldosterone, si
riscontra raramente una ritenzione significativa di potassio nei pazienti con normale
59
Terapia dell’ipertensione arteriosa
funzionalità renale non in terapia con altri farmaci che provocano ritenzione di tale
ione. Tuttavia gli ACE-inibitori possono causare iperkaliemia nei pazienti con
insufficienza renale oppure in coloro che assumono diuretici risparmiatori di
potassio, supplementi di potassio, β-bloccanti o FANS.
Insufficienza renale acuta. L’angiotensina II, inducendo una vasocostrizione della
arteriola efferente, contribuisce a mantenere una filtrazione glomerulare adeguata in
caso di bassa pressione di perfusione renale. Di conseguenza, l’inibizione dell’ACE
può provocare insufficienza renale acuta nei pazienti con stenosi bilaterale delle arterie renali, stenosi dell’arteria dell’unico rene presente, insufficienza cardiaca o
deplezione di volume dovuta a diarrea o diuretici.
Potenziale tossicità fetale. Sebbene gli ACE-inibitori non siano teratogeni nel
periodo iniziale dell’organogenesi, cioè nel primo trimestre, il protrarsi della
somministrazione di questi farmaci nel secondo e nel terzo trimestre può determinare
deficienza di liquido amniotico, ipoplasia della volta cranica e dei polmoni, ritardo di
accrescimento e morte del feto, anuria e decesso neonatale. Questi effetti possono
essere in parte dovuti all’ipotensione fetale. Mentre gli ACE-inibitori non sono controindicati nelle donne in età fertile, una volta diagnosticata la gravidanza è imperativo interrompere la terapia con questi farmaci il più presto possibile.
Eruzioni cutanee. Gli ACE-inibitori provocano occasionalmente un’eruzione maculo-papulare che può causare o meno prurito. L’eritema può risolversi spontaneamente
o rispondere alla riduzione del dosaggio o ad un breve trattamento con antistaminici.
Proteinuria. Gli ACE-inibitori sono stati associati a proteinuria superiore a 1g/die.
In genere comunque la proteinuria non rappresenta una controindicazione per questi
farmaci, poiché essi esercitano una protezione sul rene in alcune nefropatie associate
a proteinuria, per esempio nella nefropatia diabetica.
Angioedema. Nello 0,1-0,5% dei pazienti gli ACE-inibitori provocano un
rigonfiamento di naso, gola, bocca, glottide, laringe, labbra e/o lingua. Questo effetto
nocivo si presenta solitamente entro la prima settimana di trattamento, normalmente
entro le ore che seguono l’assunzione della dose iniziale. L’occlusione delle vie aeree
e la difficoltà respiratoria possono portare alla morte. Sebbene il meccanismo
dell’angioedema sia poco conosciuto, esso può coinvolgere l’accumulo di bradichinina, l’induzione di autoanticorpi specifici per un tessuto, oppure l’inibizione
dell’inattivatore della 1-esterasi del complemento. Quando gli ACE-inibitori vengono sospesi l’angioedema scompare nell’arco di alcune ore.
Disgeusia. In alcuni pazienti in terapia con ACE-inibitori si può manifestare un’alterazione oppure la perdita del gusto. Questo effetto collaterale, che ricorre più frequentemente con il captopril, è reversibile.
60
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Neutropenia. La neutropenia è un effetto collaterale raro ma grave, riscontrato
durante l’uso di ACE-inibitori. La neutropenia si riscontra principalmente nei pazienti ipertesi con malattie vasali riguardanti il collagene oppure alterazioni del
parenchima renale.
Glicosuria. Un effetto collaterale molto raro e reversibile riscontrato con l’uso degli
ACE-inibitori è rappresentato da tracce di glucosio nelle urine in assenza di iperglicemia (Cressman et al., 1982). Il meccanismo è sconosciuto.
Epatotossicità. Un altro effetto indesiderato altrettanto raro e reversibile è l’epatotossicità, generalmente di tipo colestatico (Hagley et al., 1993). Il meccanismo è
sconosciuto.
Interazioni farmacologiche
Gli antiacidi possono ridurre la biodisponibilità degli ACE-inibitori.
I FANS, inclusa l’aspirina (Guazzi et al., 1998), possono ridurre la risposta antipertensiva agli ACE-inibitori.
I diuretici risparmiatori di potassio e i supplementi di potassio possono aggravare
l’iperkaliemia indotta dagli ACE-inibitori.
Gli ACE-inibitori possono far aumentare i livelli plasmatici di digossina e del litio.
ANTAGONISTI DEL RECETTORE AT1 DELL’ANGIOTENSINA II
Farmaci
CANDESARTAN, EPROSARTAN, IRBESARTAN, LOSARTAN, OLMESARTAN, TELMISARTAN, VALSARTAN.
Meccanismo d’azione
Gli inibitori del recettore (o bloccanti recettoriali) dell’angiotensina II (angiotensin II
receptor blockers, ARB) disponibili per l’uso clinico legano il recettore AT1 con
grande affinità e, in genere, hanno un’affinità 10000 volte maggiore per il recettore
AT1 rispetto al recettore AT2. Sebbene il legame degli ARB al recettore AT1 sia
competitivo, l’inibizione della risposta biologica all’angiotensina II da parte degli
ARB è spesso insormontabile; in altre parole, in presenza di un ARB non può essere
ripristinata la massima risposta all’angiotensina II indipendentemente dalla concentrazione di angiotensina II aggiunta alla preparazione sperimentale.
Il meccanismo dell’antagonismo insormontabile svolto dagli ARB può dipendere
dalla lenta cinetica di dissociazione dei composti dal recettore AT1; tuttavia possono
contribuirvi altri fattori, come l’internalizzazione del recettore indotta dagli ARB e la
presenza di siti di legame alternativi per gli ARB sul recettore AT1 (McConnaughey
et al., 1999). Indipendentemente dal meccanismo, l’antagonismo insormontabile ha il
vantaggio teorico di mantenere occupato il recettore persino se i livelli del ligando
endogeno aumentano e con dosi incomplete di farmaco.
61
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Gli ARB inibiscono in modo potente e selettivo la maggior parte degli effetti
biologici dell’angiotensina II, tra cui: 1) la contrazione della muscolatura liscia
vascolare; 2) la risposte pressorie rapide; 3) le risposte pressorie lente; 4) la sete; 5) il
rilascio di vasopressina; 6) la secrezione di aldosterone; 7) il rilascio di catecolamine
dal surrene; 8) l’aumento della neurotrasmissione noradrenergica; 9) l’aumento del
tono simpatico; 10) i cambiamenti della funzione renale; 11) l’ipertrofia e l’iperplasia
cellulare.
Sebbene sia gli ARB che gli ACE-inibitori blocchino il sistema renina-angiotensina,
gli ARB differiscono dagli ACE-inibitori per diversi aspetti importanti: 1) gli ARB
riducono l’attivazione dei recettori AT1 in modo più efficace rispetto agli ACEinibitori. Gli ACE-inibitori riducono la biosintesi di angiotensina II provocata
dall’azione dell’ACE sull’angiotensina I ma non inibiscono la via alternativa di
formazione dell’angiotensina II non ACE-dipendente. Dal momento che gli ARB
bloccano i recettori AT1, gli effetti dell’angiotensina II mediati da questi recettori
vengono inibiti indipendentemente dalla via biologica che porta alla formazione di
angiotensina II; 2) al contrario degli ACE-inibitori, gli ARB consentono l’attivazione
dei recettori AT2. Gli ACE-inibitori aumentano il rilascio di renina, tuttavia, poiché
questi farmaci bloccano la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II,
l’inibizione dell’ACE non è associata all’aumento dei livelli di angiotensina II.
Anche gli ARB stimolano il rilascio di renina, ma ciò si traduce in un aumento
significativo dei livelli di angiotensina II circolante. Poiché i recettori AT2 non sono
bloccati dagli ARB disponibili per uso clinico, questa maggiore quantità di
angiotensina II è in grado di attivare i recettori AT2; 3) gli ACE-inibitori possono
aumentare le concentrazioni di angiotensina(1-7) in misura maggiore rispetto agli
ARB. L’ACE è coinvolto nell’eliminazione dell’angiotensina(1-7), così che
l’inibizione dell’ACE può determinare un aumento delle concentrazioni di angiotensina(1-7) maggiore rispetto agli ARB; 4) gli ACE-inibitori aumentano i livelli di
alcuni substrati dell’ACE, inclusi bradichinina e Ac-SDKP. L’ACE è un enzima non
selettivo che processa un ampio numero di substrati, quindi l’inibizione dell’ACE
aumenta i livelli dei suoi substrati e riduce i livelli dei prodotti corrispondenti.
Usi terapeutici
Tutti gli ARB sono stati approvati per il trattamento dell’ipertensione arteriosa.
L’irbesartan ed il losartan sono inoltre stati approvati per il trattamento della
nefropatia diabetica; il losartan per la profilassi dell’ictus; il valsartan per il trattamento dello scompenso cardiaco nei pazienti intolleranti agli ACE-inibitori.
Gli ARB hanno anche un ruolo nella protezione della funzione renale nei pazienti
con diabete di tipo 2, in parte mediante meccanismi pressione-indipendenti (Brenner
et al., 2001; Lewis et al., 2001; Parving et al., 2001; Viberti et al., 2002). Sulla base
di questi risultati, la maggior parte degli esperti li considera attualmente i farmaci di
scelta per la protezione della funzione renale nei pazienti diabetici.
62
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Il losartan è inoltre un farmaco molto sicuro ed efficace nel trattamento dell’ipertensione portale in pazienti affetti da cirrosi epatica ed ipertensione portale (Schneider et
al., 1999), oltre ad avere il vantaggio di non compromettere la funzione renale.
Effetti collaterali
L’incidenza dell’interruzione del trattamento con gli ARB, dovuta a reazioni
indesiderate, è paragonabile a quella del placebo.
A differenza degli ACE-inibitori, gli ARB non provocano tosse e l’incidenza di
angioedema associato all’uso di questi farmaci è molto più bassa rispetto a quella
correlata all’uso degli ACE-inibitori.
Gli ARB presentano una potenziale tossicità fetale e dovrebbero quindi essere
sospesi prima del secondo trimestre di gravidanza.
Gli ARB dovrebbero essere usati con cautela nei pazienti la cui pressione arteriosa o
funzione renale dipende strettamente dal sistema renina-angiotensina, come per
esempio i pazienti con stenosi dell’arteria renale. In questi pazienti infatti gli ARB
possono provocare ipotensione, oliguria, iperazotemia progressiva o insufficienza
renale acuta.
Gli ARB possono provocare iperkaliemia nei pazienti con nefropatia o che assumono
un supplemento di potassio o diuretici risparmiatori di potassio.
5. Vasodilatatori
IDRALAZINA
L’idralazina è stato uno dei primi antipertensivi somministrabili per via orale
immesso sul mercato negli Stati Uniti.
Il suo ruolo nel trattamento dell’ipertensione oggi è ridotto a seguito dell’introduzione di nuove classi di farmaci antipertensivi.
Meccanismo d’azione
L’idralazina determina, per azione diretta, un rilassamento della muscolatura liscia
arteriolare. I meccanismi molecolari che mediano questa azione non sono chiari ma
possono coinvolgere una caduta nelle concentrazioni intracellulari di calcio.
Il farmaco non dilata le coronarie epicardiche né rilassa la muscolatura liscia venosa.
L’idralazina induce una vasodilatazione associata ad una potente stimolazione del
sistema nervoso simpatico che sembra essere dovuta a riflessi mediati dai barocettori,
con conseguente incremento della frequenza cardiaca e della contrattilità, aumento
dell’attività reninica plasmatica e ritenzione di liquidi.
Effetti farmacologici
La maggior parte degli effetti dell’idralazina è diretta al sistema cardiovascolare.
63
Terapia dell’ipertensione arteriosa
La riduzione della pressione arteriosa ottenuta con la somministrazione di idralazina
è associata ad un calo selettivo delle resistenze vascolari nel circolo coronarico,
cerebrale e renale, con un effetto minore nei distretti della cute e del muscolo.
Grazie inoltre alla dilatazione preferenziale delle arteriole rispetto alle vene,
l’ipotensione posturale non si manifesta di frequente.
Effetti collaterali
Con l’impiego di idralazina compaiono due tipi di effetti collaterali. Il primo, che
rappresenta un’estensione degli effetti farmacologici del farmaco, comprende mal di
testa, nausea, vampate, ipotensione, palpitazioni, tachicardia, vertigini e angina
pectoris. Può insorgere ischemia miocardica per effetto dell’aumentata richiesta di
ossigeno imposta dalla stimolazione indotta dai barocettori del sistema nervoso
simpatico e anche perché l’idralazina non dilata le arterie coronariche epicardiche. In
tal modo la dilatazione arteriolare che viene prodotta può determinare un “furto”
ematico dalla zona ischemica.
Per questo motivo la somministrazione parenterale di idralazina è controindicata in
pazienti ipertesi con coronaropatia, nei pazienti ipertesi con fattori di rischio cardiovascolare o nei pazienti anziani.
Inoltre, se il farmaco viene utilizzato in monoterapia si può verificare ritenzione idrosalina con sviluppo di scompenso cardiaco congestizio. Si ottiene un miglioramento
della tolleranza all’idralazina se la si somministra con un β-bloccante e un diuretico.
Il secondo tipo di effetti collaterali deriva da reazioni immunitarie, tra le quali la più
comune è il lupus iatrogeno, o sindrome lupoide. I sintomi sono quelli di altre
sindromi lupoidi farmaco-indotte, cioè artralgia, artrite, febbre. Si possono inoltre
presentare pleurite e pericardite e talvolta il versamento pericardico può provocare un
tamponamento cardiaco.
La somministrazione di idralazina può determinare anche una sindrome che
assomiglia alla malattia da siero, anemia emolitica, vasculite e glomerulonefrite a
progressione rapida.
Usi terapeutici
L’idralazina non è più da tempo un farmaco di prima scelta per il trattamento della
ipertensione arteriosa a causa del suo profilo di effetti collaterali relativamente
sfavorevole. Può tuttavia essere utile nel trattamento in alcuni pazienti con ipertensione severa e può essere parte di una terapia basata sull’evidenza in pazienti
scompensati e nel trattamento delle emergenze ipertensive delle donne in gravidanza.
Il farmaco dovrebbe essere usato con estrema attenzione nei pazienti anziani e in
quelli ipertesi affetti da coronaropatia per la possibilità che induca un’ischemia
miocardica dovuta a tachicardia riflessa.
64
Terapia dell’ipertensione arteriosa
MINOXIDIL
Meccanismo d’azione
Il minoxidil non è attivo in vitro in quanto deve essere trasformato in metabolita
attivo, il minoxidil N-O solfato, ad opera della sulfotrasferasi epatica. Il minoxidil
solfato determina il rilassamento della muscolatura liscia vasale.
Il minoxidil solfato attiva i canali del potassio modulati dall’ATP: consentendo
l’apertura di questi canali nelle cellule muscolari lisce il minoxidil favorisce
l’efflusso di potassio con conseguente iperpolarizzazione e rilasciamento della
muscolatura liscia (Leblanc et al., 1989).
Effetti farmacologici
Il minoxidil determina vasodilatazione arteriolare senza influenzare i vasi di capacitanza (come idralazina e diazossido).
Il minoxidil aumenta il flusso ematico di cute, muscolo scheletrico, tratto gastrointestinale e cuore più di quello del SNC.
La causa determinante dell’innalzamento della gittata cardiaca è l’azione del
minoxidil sulle resistenze vascolari periferiche che produce un aumento del ritorno
venoso al cuore. L’aumento della contrattilità miocardica mediata dal sistema
simpatico contribuisce all’aumento della gittata cardiaca, ma non rappresenta la
causa principale.
Gli effetti del minoxidil sul rene sono complessi. Il farmaco determina vasodilatazione nel rene, ma l’ipotensione sistemica prodotta dal farmaco può, a volte,
diminuire il FER. Tuttavia, nella maggior parte dei pazienti che assumono minoxidil
per il trattamento dell’ipertensione, la funzionalità renale migliora, soprattutto se la
disfunzione renale è secondaria all’ipertensione (Mitchell et al., 1980).
Il minoxidil è uno stimolante molto potente della secrezione di renina; questo effetto
è mediato da una combinazione di stimolazione simpatica renale e attivazione dei
meccanismi renali intrinseci che regolano il rilascio di renina.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali del minoxidil sono prevedibili e possono essere suddivisi in tre
categorie principali: ritenzione idrica e salina, effetti cardiovascolari e ipertricosi.
La ritenzione idro-salina deriva da un aumento del riassorbimento del tubulo renale
prossimale, che dipende a sua volta dalla riduzione della pressione di perfusione
renale e dalla stimolazione riflessa dei recettori α-adrenergici presenti nel tubulo
renale. La ritenzione di liquidi può essere di solito controllata dalla somministrazione
di un diuretico. La ritenzione di sale e liquidi in pazienti che assumono minoxidil può
essere importante e richiedere ampie dosi di diuretici dell’ansa al fine di prevenire la
formazione di edema.
Gli effetti della terapia con minoxidil sul cuore sono simili a quelli indotti dall’idralazina e dipendono dall’attivazione del sistema nervoso simpatico mediata dai
barocettori; si osserva aumento della frequenza cardiaca, della contrattilità
65
Terapia dell’ipertensione arteriosa
miocardica e del consumo di ossigeno da parte del miocardio. In pazienti affetti da
coronaropatia può essere così indotta ischemia miocardica. Mediante la
contemporanea somministrazione di un β-bloccante è possibile attenuare questi
effetti.
L’ipertricosi è un effetto comune a tutti i pazienti che assumono minoxidil per un
periodo prolungato e si tratta probabilmente di una conseguenza dell’attivazione dei
canali del potassio. La crescita di peli si verifica su viso, schiena, braccia e gambe ed
è particolarmente fastidiosa nelle donne. Il problema viene trattato con frequenti
rasature o mediante l’impiego di agenti depilatori. È stato immesso sul mercato un
prodotto topico a base di minoxidil per il trattamento della calvizie maschile.
Altri effetti collaterali del farmaco sono rari e comprendono eruzioni cutanee,
sindrome di Stevens-Johnson, intolleranza glucidica, bolle siero-ematiche,
formazioni di anticorpi antinucleo e trombocitopenia.
Usi terapeutici
È consigliabile limitare l’uso del minoxidil a forme gravi di ipertensione che
rispondono scarsamente ad altre terapie antipertensive, specie nei maschi con insufficienza renale (Campese, 1981).
Il minoxidil è stato usato con successo nella terapia dell’ipertensione in adulti e
bambini. Il farmaco tuttavia non deve essere usato in monoterapia, ma in associazione con un diuretico, al fine di evitare la ritenzione idrica, e con un agente simpaticolitico (solitamente un β-bloccante) per controllare gli effetti cardiovascolari
riflessi.
NITROPRUSSIATO SODICO
Meccanismo d’azione
Il nitroprussiato sodico è un nitrato vasodilatatore che agisce rilasciando monossido
d’azoto (NO). L’NO attiva la via guanilato ciclasi-GMP ciclico-PKG che determina
vasodilatazione (Murad, 1986; Linder et al., 2005) imitando la produzione di NO da
parte delle cellule endoteliali vascolari, che sono alterate in molti pazienti ipertesi
(Ramchandra et al., 2005). Il meccanismo di rilascio dell’NO non è chiaro e sembra
coinvolgere sia vie enzimatiche che non enzimatiche (Feelisch, 1998).
La tolleranza si sviluppa con la nitroglicerina, ma non con il nitroprussiato (Fung,
2004).
Effetti farmacologici
Il nitroprussiato determina dilatazione di arteriole e venule e la risposta emodinamica
alla sua somministrazione risulta dalla combinazione del pooling venoso e dalla
ridotta impedenza arteriosa. A causa del suo effetto sulle venule, l’ipotensione
determinata dal nitroprussiato sodico è superiore quando il paziente si trova in
posizione eretta. In soggetti con funzionalità cardiaca sinistra nella norma, il pooling
venoso influisce maggiormente sulla gittata cardiaca della riduzione del postcarico,
66
Terapia dell’ipertensione arteriosa
pertanto la gittata cardiaca tende a diminuire. Viceversa, nei pazienti in cui la
funzionalità ventricolare sinistra risulta gravemente compromessa, l’impedenza
arteriosa costituisce l’effetto predominante e comporta un innalzamento della gittata
cardiaca.
Il nitroprussiato sodico è un vasodilatatore non selettivo e la distribuzione regionale
del flusso ematico ne risulta scarsamente influenzata. In generale, il FER e la
filtrazione glomerulare rimangono inalterati, mentre l’attività della renina plasmatica
aumenta.
A differenza dei due farmaci descritti in precedenza, il nitroprussiato determina solo
un modesto aumento della frequenza cardiaca e una riduzione generale della richiesta
di ossigeno da parte del miocardio.
Per essere efficace il farmaco dev’essere somministrato in infusione endovenosa
continua. La sua azione si instaura nell’arco di 30 minuti e, dopo l’interruzione
dell’infusione venosa del farmaco, l’effetto scompare nel giro di 3 minuti.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali a breve termine del nitroprussiato sono attribuibili all’eccessiva
vasodilatazione, con ipotensione e relative conseguenze. Nella maggior parte dei
casi, con un monitoraggio accurato della pressione arteriosa e l’impiego di una
pompa per infusione continua a velocità variabile si riesce a prevenire un’eccessiva
risposta emodinamica al farmaco.
Più raramente può derivare tossicità dalla conversione di nitroprussiato a cianuro e
tiocianato. L’accumulazione tossica di cianuro, che porta a grave acidosi lattica, può
verificarsi in caso di infusione di nitroprussiato sodico ad una velocità superiore a 5
μg/kg al minuto, ma in alcuni pazienti tale tossicità può verificarsi a velocità
inferiori. Sembra che il fattore limitante del metabolismo del cianuro sia la
disponibilità nell’organismo di substrati contenenti solfuro (soprattutto tiosolfato). Si
può prevenire l’accumulo di cianuro in pazienti che assumono dosi di nitroprussiato
sodico superiori alla norma con la somministrazione concomitante di tiosolfato di
sodio, senza produrre variazioni nell’efficacia del farmaco (Schulz, 1984).
I segni e i sintomi da tiocianato sono anoressia, nausea, affaticabilità, disorientamento e psicosi tossica. In rari casi la concentrazione eccessiva di tiocianato può
provocare ipotiroidismo a causa dell’inibizione della captazione di iodio da parte
della tiroide.
Usi terapeutici
Il nitroprussiato sodico viene usato soprattutto nel trattamento delle emergenze ipertensive, ma si può utilizzare anche in molte situazioni in cui è richiesta una riduzione
a breve termine del precarico e/o del postcarico cardiaco. Il nitroprussiato è stato
impiegato per abbassare la pressione arteriosa durante la dissecazione aortica acuta,
per aumentare la gittata cardiaca nello scompenso cardiaco, soprattutto nei pazienti
ipertesi con edema polmonare acuto che non rispondono ad altri trattamenti, e per
ridurre la richiesta miocardica di ossigeno dopo infarto miocardico acuto.
67
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Inoltre rappresenta il farmaco utilizzato più spesso nell’induzione di ipotensione
controllata in anestesia per ridurre il sanguinamento durante un intervento chirurgico.
DIAZOSSIDO
Usi terapeutici
Il diazossido viene utilizzato nelle emergenze ipertensive. Il nitroprussiato sodico è il
farmaco d’elezione in queste situazioni ma il diazossido è utilizzato raramente
quando non sia disponibile una pompa per infusione precisa e/o nel caso in cui non
sia possibile effettuare uno stretto monitoraggio della pressione.
Esso viene anche utilizzato per os per trattare i pazienti con varie forme di
ipoglicemia.
Meccanismo d’azione
Il diazossido inibisce la contrazione della muscolatura liscia vascolare mediante
l’apertura dei canali del potassio iperpolarizzando così la cellula e stabilizzando il
potenziale di membrana a livello di riposo.
68
Terapia dell’ipertensione arteriosa
APPROCCIO CLINICO ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA
DEL PAZIENTE IPERTESO
Poiché non vi è una netta linea di demarcazione tra pressione arteriosa normale ed
elevata, sono stati stabiliti dei livelli arbitrari per definire i soggetti che presentano un
rischio aumentato di sviluppare una malattia cardiovascolare e/o possono beneficiare
della terapia medica. Tali parametri dovrebbero essere basati non solo sui livelli di
pressione diastolica, ma anche sulla pressione sistolica, l’età, il sesso, la razza e le
malattie concomitanti.
Il livello di pressione sistolica è molto importante nella determinazione dell’influenza della pressione arteriosa sulla morbilità cardiovascolare. Numerose evidenze
suggeriscono che tale parametro possa essere più importante della pressione diastolica, specialmente nei soggetti di età superiore ai 50 anni.
Indicazioni al trattamento
Tutti i pazienti che presentano una pressione arteriosa diastolica ripetutamente superiore ai 90 mmHg e una sistolica superiore a 140 mmHg devono essere trattati a
meno che esistano controindicazioni specifiche.
I pazienti di età superiore a 65 anni con ipertensione sistolica isolata (superiore a 160
mmHg) e pressione diastolica inferiore a 89 mmHg dovrebbero essere sottoposti a
terapia.
Infine, in presenza di malattia aterosclerotica o diabete mellito, anche i pazienti con
pressione arteriosa diastolica compresa tra 85 e 90 mmHg devono essere sottoposti a
terapia antipertensiva.
Quale dovrebbe essere l’obiettivo di valori pressori da raggiungere?
In passato erano considerati livelli desiderati valori pari a 140/90 mmHg.
Questi valori sono ancora ritenuti ragionevoli per i soggetti non diabetici dal
momento che lo studio HOT (Hypertension Optimal Treatment) non ha evidenziato
differenze significative nel rischio cardiovascolare tra pazienti non diabetici con
obiettivo terapeutico di valori di pressione diastolica tra 90 e 80 mmHg.
Non è il caso tuttavia dei pazienti affetti da diabete mellito. È ragionevole ipotizzare
il raggiungimento di valori all’interno del range di normalità per i pazienti diabetici,
che potrebbe essere di 130/85 mmHg. Studi recenti hanno però evidenziato la necessità di raggiungere valori pressori inferiori.
Negli Stati Uniti probabilmente meno di un terzo dei pazienti affetti da ipertensione è
trattato efficacemente. Solo una piccola parte di questi insuccessi è dovuta
all’inefficienza dei farmaci. Nella maggior parte dei casi le cause sono: 1) mancata
diagnosi di ipertensione; 2) mancato trattamento di soggetti ipertesi asintomatici; 3)
mancata assunzione della terapia da parte dei soggetti asintomatici.
69
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Approccio alla terapia farmacologica
La terapia farmacologica mira alla normalizzazione della pressione arteriosa
attraverso l’impiego degli agenti farmacologici descritti nei capitoli precedenti, da
soli o in associazione, riducendo al minimo gli effetti collaterali.
In teoria si dovrebbe scegliere l’approccio terapeutico specificatamente indicato per
eliminare la malattia responsabile dell’incremento pressorio. In assenza di questo
tipo di informazioni si ricorre ad un approccio empirico che tiene in considerazione
l’efficacia, la sicurezza, l’effetto sulla qualità di vita, la compliance, la semplicità di
somministrazione ed i costi. L’uso di più farmaci in associazione dipende dalla
diversa sede d’azione.
La scelta per l’inizio del trattamento farmacologico antipertensivo deve essere basata
su due criteri: il livello di pressione arteriosa sistolica e diastolica, ed il grado
complessivo di rischio cardiovascolare.
Sono due i principali comitati che hanno redatto nel 2003 delle linee guida per il
trattamento dell’ipertensione: il US Joint National Committee (JNC) e l’European
Society of Hypertension (ESH)/European Society of Cardiology (ESC).
Il JNC7 consiglia di iniziare con i diuretici in quanto studi sulla mortalità hanno
dimostrato un effetto positivo dell’impiego di tali farmaci. Le linee guida ESH/ESC
raccomandano invece di iniziare con una qualsiasi tra queste cinque classi: diuretici,
β-bloccanti, ACE-inibitori, calcio-antagonisti, antagonisti dell’angiotensina II; o con
una terapia di combinazione. I risultati dello studio ALLHAT hanno indotto a
cancellare gli α-bloccanti da questa lista.
È divenuto tuttavia meno importante il farmaco da utilizzare come terapia iniziale
perché la maggior parte dei pazienti ipertesi necessita di più di un composto per
ottenere una riduzione pressoria ottimale.
Entrambi gli approcci hanno in comune alcune importanti raccomandazioni:
1. Iniziare con un farmaco che possa anche trattare e/o non aggravare una
concomitante malattia.
2. Iniziare con il farmaco più probabilmente tollerabile per il paziente: la
compiance a lungo termine è correlata alla tollerabilità e all’efficacia del
primo farmaco utilizzato.
3. Nei pazienti a rischio medio-basso, iniziare con basse dosi di un farmaco e, se
non si ottiene il controllo pressorio, aumentarle moderatamente.
4. Se non si ottiene il controllo pressorio con una dose moderata del primo
farmaco, aggiungere un secondo agente di una classe differente, complementare.
5. In quasi tutti i casi, quando si usano due farmaci, inserire un diuretico.
6. Utilizzare un diuretico tiazidico solo a basso dosaggio, per esempio fino ad
un massimo di 25 mg/die di idroclorotiazide o equivalenti, a meno che non
esistano particolari ragioni.
7. Considerare con attenzione una terapia di associazione a basso dosaggio nei
pazienti a rischio medio-basso:
70
Terapia dell’ipertensione arteriosa
a. Un diuretico con un β-bloccante, un ACE-inibitore o un antagonista
dell’angiotensiona II;
b. Un calcio-antagonista con un ACE-inibitore o un β-bloccante.
Se associando due farmaci a basso dosaggio non si ottengono i risultati voluti è
necessario aumentare il dosaggio del farmaco iniziale portandolo ai livelli massimi.
Se l’ipertensione persiste è necessario ricercare fattori eziologici secondari, che
tuttavia raramente incidono nei pazienti diabetici o anziani; se anche tale ricerca
risulta infruttuosa, molto spesso esiste un apporto eccessivo di sodio con la dieta, che
occorre correggere in modo da non superare i 5 g/die.
Qualora non si ottengano risultati di rilievo, è necessario aggiungere un terzo
farmaco. Occorre particolare cautela nel far ricorso ad un ACE-inibitore in un paziente già in terapia con diuretici, per il rischio di indurre un grave stato ipotensivo.
Tab. 6 Fattori responsabili della mancata risposta alla terapia antipertensiva
Ridotta compliance da parte del paziente
Ipervolemia
- Apporto eccessivo di sodio
- Secondaria a farmaci antipertensivi non diuretici
- Secondaria a compromissione renale
Aumento ponderale eccessivo
Dosaggio inadeguato
Antagonismi farmacologici
- Farmaci utilizzati per la terapia del raffreddore
- Farmaci simpaticomimetici
- Contraccettivi orali (estrogeni)
- Farmaci steroidei
Ipertensione di natura secondaria
Una volta garantito il controllo dei valori pressori, il dosaggio dei farmaci utilizzati
va ridotto progressivamente ed è possibile eliminarne alcuni, al fine di stabilire il
regime terapeutico minimo in grado di mantenere la pressione arteriosa a livelli pari
o inferiore a 140/90 mmHg. A questo punto, meno del 5% di tutti i pazienti
presenterà ancora ipertensione arteriosa. In questi casi si dovranno ricercare le
possibili ragioni dell’inefficacia della terapia (Tab. 6); quando non si identifica
alcuna causa evidente, si può impiegare uno degli altri agenti elencati nella tabella 7.
Se la pressione arteriosa rimane ancora elevata, bisogna considerare una classe
alternativa di farmaci (Tab. 8 – Appendice).
Se l’ipertensione risulta sotto controllo è necessario eliminare in maniera sequenziale
i farmaci precedentemente somministrati allo scopo di individuare i farmaci ed i
dosaggi minimi sufficienti a mantenere i valori pressori nell’ambito dei limiti di
norma.
71
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Tab. 7 Linee guida per la scelta terapeutica nel trattamento dell’ipertensione
Classe di
Indicazioni
Indicazioni Controindica- Controindicafarmaci
possibili
zioni
zioni possibili
Diuretici
Insufficienza Diabete
Gotta
Dislipidemia.
cardiaca.
Attività
Età avanzata.
sessuale
Ipertensione
maschile.
sistolica
β-Bloccanti
Angina.
Insufficienza Asma e BPCO. Dislipidemia.
Dopo infarto cardiaca.
Blocco atrio- Atleti e pazienti
miocardico.
Gravidanza. ventricolare di che effettuano
Tachiaritmie. Diabete.
II o III grado.
attività fisica.
Vasculopatia
periferica.
ACE-inibitori
Insufficienza
Gravidanza.
cardiaca.
Iperkaliemia.
Insufficienza
Stenosi
ventricolare
bilaterale delle
sinistra.
arterie renali.
Dopo infarto
miocardico.
Nefropatia
diabetica.
CalcioAngina.
Vascolopatia Blocco atrio- Insufficienza
antagonisti
Età avanzata. periferica
ventricolare con cardiaca
Ipertensione
verapamil
o congestizia
sistolica.
diltiazem
(verapamil
o
diltiazem)
Antagonisti
Tosse
da Insufficienza Gravidanza.
dell’angiotensina ACE-inibito- cardiaca
Stenosi
II
ri
bilaterale delle
arterie renali.
Iperkaliemia.
Queste raccomandazioni sono valide per la maggior parte dei pazienti, ma è necessario un approccio flessibile in quanto singoli pazienti possono rispondere in modo
differente ai vari farmaci ed alle loro associazioni. Nei pazienti che richiedono
l’associazione di molti farmaci, una volta individuata la combinazione più efficace è
necessario ricercare associazioni farmacologiche che possano semplificare il regime
terapeutico e quindi migliorare la compliance del paziente. Deve essere compiuto
ogni sforzo per ridurre al minimo il numero di somministrazioni quotidiane. È bene
ricordare che il trattamento dell’ipertensione arteriosa dura tutta la vita; dal momento
che la maggior parte dei pazienti è asintomatica, la compliance, soprattutto nel caso
72
Terapia dell’ipertensione arteriosa
di associazioni terapeutiche complesse può divenire un problema molto grave, in
particolare se il regime terapeutico ha un impatto negativo sulla qualità di vita del
paziente. Infine resta da accertare quale sia il livello di pressione arteriosa che
dovrebbe essere accettato come adeguato. È dimostrato che una riduzione della
pressione diastolica al di sotto di 90 mmHg determina una diminuzione della
morbilità e/o della mortalità.
73
Terapia dell’ipertensione arteriosa
Letture consigliate
1. Harrison T. R., Braunwald E., Naomi D. L. Fisher, Gordon H. Williams et al.
Harrison Principi di Medicina Interna. Malattia vascolare ipertensiva. Mc Graw
Hill 16° edizione, 2005;230:1651-1670
2. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Thomas C. Westfall, David
P. Westfall et al. Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia.
Agonisti e antagonisti adrenergici. Mc Graw Hill 11° edizione, 2006;10:254-290
3. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Edwin K. Jackson et al.
Goodman & Gilman Le Basi Farmacologiche della Terapia. Diuretici. Mc Graw
Hill 11° edizione, 2006;28:742-763
4. Laurence L. Brunton, John S. Lazo, Keith L. Parker, Edwin K. Jackson et al.
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Terapia dell’ipertensione arteriosa