FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Triennale in Matematica Teoremi di Brouwer e Schauder e applicazioni Relatore: Dott. Adriano PISANTE Candidata: Silvia GHINASSI Matricola 1270394 Sessione Estiva Anno Accademico 2010-2011 Dipartimento di Matematica ‘Guido Castelnuovo’ A Giulia “ Quapropter bono christiano, sive mathematici, sive quilibet impie divinantium, maxime dicentes vera, cavendi sunt, ne consortio daemoniorum animam deceptam, pacto quodam societatis irretiant. ” Augustinus Hipponensis, De Genesi ad Litteram Introduzione “ The faculty of re-solution is possibly much invigorated by mathematical study, and especially by that highest branch of it which, unjustly, and merely on account of its retrograde operations, has been called, as if par excellence, analysis. ” Edgar Allan Poe, The Murders of rue Morgue In Matematica, molti problemi dell’analisi funzionale, come i problemi di esistenza per equazioni differenziali, possono essere ridotti alla ricerca di punti fissi per opportune trasformazioni. In uno spazio metrico completo il Teorema delle contrazioni di Banach-Caccioppoli garantisce esistenza e unicità di un punto fisso per applicazioni con costante di Lipschitz minore di uno. In questo lavoro esporremo alcuni risultati di esistenza di punti fissi, ma non di unicità, sotto ipotesi di carattere topologico per la funzione e lo spazio su cui è definita. Ci occuperemo in particolare dei Teoremi di Brouwer e Schauder, tra i più noti in materia. Il primo Capitolo tratta del Teorema di Brouwer (1912), del quale presentiamo due diverse dimostrazioni. La prima fa uso del Principio del Retratto Negativo, la seconda di metodi simpliciali come il Lemma di Sperner. Per la prima, partiamo dal Teorema della Divergenza, grazie al quale dimostriamo il Principio del Retratto Negativo e quindi, dopo alcune osservazioni sulle proprietà topologiche del punto fisso, arriviamo a dimostrare il Teorema di Brouwer. In realtà, il Teorema di Brouwer e il Principio del retratto negativo sono equivalenti. Per la seconda dimostrazione, partendo dal Lemma di Sperner dimostriamo il Lemma di Knaster-KuratowskiMazurkiewicz (KKM), grazie al quale, passando per il caso simpliciale, dimostriamo i nuovamente il Teorema di Brouwer. Anche qui, osserviamo che l’ultimo risultato utilizzato è effettivamente equivalente al Teorema di Brouwer. Concludiamo il Capitolo con una prima elementare applicazione del Teorema di Brouwer, il Teorema di Perron-Frobenius. Figura 1: Schema riassuntivo dei risultati presentati Nel secondo Capitolo passiamo allo studio di punti fissi in spazi di dimensione infinita, grazie al Teorema di Schauder (1930). Iniziamo mostrando, grazie ad un facile controesempio, che il Teorema di Brouwer non vale in dimensione infinita. Successivamente enunciamo e dimostriamo un classico risultato sull’approssimazione di operatori compatti tramite operatori di rango finito, che ci permetterà di dimostrare il Teorema di Schauder a partire dal Teorema di Brouwer. Anche in questo caso, consideriamo un secondo approccio al teorema, generalizzando il Lemma KKM al Lemma di Fan, per poi dimostare il Teorema di Tychonov che vale per spazi vettoriali topologici localmente convessi. Come corollario di questo teorema, negli spazi di Banach otteniamo nuovamente il Teorema di Schauder. ii Il terzo Capitolo riguarda alcune applicazioni dei due risultati oggetto dei precedenti capitoli. Iniziamo con il noto ed intuitivo Teorema della curva di Jordan, del quale il Teorema di Brouwer consente di dare una dimostrazione tra le più semplici conosciute. Passiamo quindi allo studio di punti fissi per multifunzioni (nel caso finito dimensionale), grazie ad una generalizzazione del Teorema di Brouwer, cioè il Teorema di Kakutani. Come applicazioni del Teorema di Schauder, presentiamo il Teorema di Peano e il Teorema di Lomonosov. Il primo è un risultato di esistenza, ma non di unicità, per il problema di Cauchy per equazioni differenziali ordinarie con secondo membro compatto. Il Teorema di Picard-Lindelöf, che garantisce l’unicità, richiede un secondo membro lipschitziano, utilizzando il Teorema di Banach-Caccioppoli. Il secondo risultato invece riguarda l’esistenza di sottospazi invarianti per operatori su spazi di Banach, questione alla quale fu data da Lomonosov una risposta affermativa (1973) nel caso di operatori che commutano con un operatore compatto. Aggiungiamo, per chiarezza, un semplice diagramma (vedi Fig. 1) che riassume i risultati qui presentati, mettendo in evidenza le implicazioni che sussistono tra di essi. iii Indice Introduzione i 1 Il Teorema di Brouwer 1 1.1 Estensione di applicazioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Retrazione su sottospazi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 1.3 Una prima dimostrazione del Teorema di Brouwer . . . . . . . . . . . 7 1.4 Intersezione di insiemi convessi 8 1.5 Simplessi m-dimensionali e Lemma di Sperner . . . . . . . . . . . . . 10 1.6 Il Lemma KKM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.7 Una seconda dimostrazione del Teorema di Brouwer . . . . . . . . . . 13 1.8 Il Teorema di Perron-Frobenius . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Il Teorema di Schauder 17 2.1 Approssimazione di operatori compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2.2 Il Teorema di Schauder . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.3 Il Lemma di Fan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2.4 Spazi Vettoriali Topologici Localmente Convessi . . . . . . . . . . . . 24 2.5 I Teoremi di Tychonov e di Schauder . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 3 Applicazioni 31 3.1 Il Teorema della Curva di Jordan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 3.2 Punti fissi per multifunzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3.2.1 Preliminari sulle multifunzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 v 3.2.2 3.3 3.4 Il Teorema di Kakutani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Equazioni differenziali ordinarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.3.1 Il Teorema di Ascoli-Arzelà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.3.2 Il Teorema di esistenza di Peano . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Sottospazi invarianti e Teorema di Lomonosov . . . . . . . . . . . . . 43 Bibliografia 48 vi Capitolo 1 Il Teorema di Brouwer Il Teorema di Brouwer è indubbiamente uno dei teoremi di punto fisso più famosi in matematica. Di esso esistono numerose dimostrazioni basate su tecniche diverse, tanto analitiche quanto topologiche o combinatoriche. Vedremo in seguito due diversi approcci al Teorema di Brouwer: uno topologico basato sul Principio del retratto negativo e uno combinatorio, basato sul Lemma di Sperner e sul Lemma KKM. 1.1 Estensione di applicazioni continue Definizioni 1.1.1. Sia X spazio metrico, M, N ⊆ X, M, N 6= ∅. Definiamo: • d(N, M ) := inf{d(x, y) | x ∈ N, y ∈ M } (distanza tra sottoinsiemi) • d(x, M ) := inf{d(x, y) | y ∈ M } (distanza di un punto da un sottoinsieme) • diam(M ) := sup{d(x, y) | x, y ∈ M } (diametro di un sottoinsieme) Definizione 1.1.2. Un raffinamento V = {Vβ } di un ricoprimento U = {Uα } è un ricoprimento tale che per ogni insieme del raffinamento esista un insieme del primo ricoprimento che lo contiene, i.e. per ogni Vβ ∈ V esiste Uα ∈ U tale che Vβ ⊆ Uα . 1 2 1. Il Teorema di Brouwer Definizione 1.1.3. Un raffinamento V = {Vβ } si dice localmente finito se ogni x ∈ X ha un intorno con intersezione non vuota con al più un numero finito di insiemi Vβ del raffinamento. Definizione 1.1.4. Uno spazio topologico X si dice paracompatto se ogni ricoprimento aperto U di X ha un raffinamento localmente finito. Esempio 1.1.5. Spazi metrici e spazi compatti sono paracompatti (vedi [Bou74]). Definizione 1.1.6. Sia f : M ⊆ X → R. Il supporto di f , supp(f ), è la chiusura dell’insieme {x ∈ M | f (x) 6= 0}. Proposizione 1.1.1 (Partizioni dell’unità). Sia X uno spazio paracompatto. Sia {Uα } un ricoprimento aperto di X. Allora esiste una partizione dell’unità {fα } subordinata a {Uα }. Più precisamente c’è un sistema di funzioni continue a valori reali {fα } tale che: (i) 0 ≤ fα (x) ≤ 1, per ogni x ∈ X e per ogni α. (ii) P α fα (x) = 1, per ogni x ∈ X. ◦ (iii) Il ricoprimento {supp(fα )} è localmente finito, i.e. per ogni x ∈ X esiste un intorno U (x) tale che al più un numero finito di fα non è identicamente nullo in U (x). ◦ (iv) Il ricoprimento {supp(fα )} di X è un raffinamento di {Uα }, i.e. per ogni α ◦ esiste β tale che supp(fα )⊆ Uβ . Se ne esiste solo un numero finito U1 , . . . , Un , ◦ allora f1 , . . . , fn possono essere scelte in modo tale che supp(fi )⊆ Ui , i = 1, . . . , n. Per la dimostrazione di questo classico risultato di topologia generale, rimandiamo in particolare a [Bou74]. Proposizione 1.1.2 (Tietze, 1915 - Dungundji, 1951). Sia (X, d) uno spazio metrico, M ⊆ X sottoinsieme chiuso non vuoto e Y spazio normato. Allora T : M → Y applicazione continua ha un’estensione continua Te : X → conv T (M ) . 1.1 Estensione di applicazioni continue Dimostrazione. 3 (I) Per ogni ξ ∈ X \ M sia Uξ una palla aperta contenente ξ con diam(Uξ ) < d(Uξ , M ). Questo ci dà un ricoprimento {Uξ } di X \ M . Per P questo ricoprimento esiste una partizione dell’unità, fi (x), con i∈J fi (x) = 1, per ogni x ∈ X \ M , dove le fi : X \ M → [0, 1] sono continue e nulle al di fuori di Uξ(i) , per un opportuno ξ(i) ; inoltre ogni x ∈ X \ M ha un intorno V (x) tale che al più un numero finito di fi non è identicamente nullo in V (x). Per ogni ξ ∈ X \ M scegliamo mξ ∈ M tale che d(mξ , Uξ ) < 2 d(M, Uξ ) e definiamo T (x) se x ∈ M , Te(x) = P f (x)T (m ) se x ∈ X \ M . i∈J (II) Essendo le fi tali che i ξ(i) e(x) ∈ conv T (M ) . Te è banalmente f (x) = 1, T i i∈J P continua su M o e su X\M perché il raffinamento è localmente finito: dobbiamo dunque verificare che lo è anche su ∂M . Prendiamo x0 ∈ ∂M ; allora Te(x0 ) = T (x0 ). Se x ∈ X \ M e fi (x) 6= 0, allora per costruzione delle fi , abbiamo x ∈ Uξ dove poniamo ξ = ξ(i) . Applicando la disuguaglianza triangolare, d(mξ , x) ≤ d(mξ , Uxi ) + diam(Uξ ) ≤ 3 d(M, Uξ ) ≤ 3 d(x, x0 ) e quindi d(mξ , x0 ) ≤ d(mξ , x) + d(x, x0 ) ≤ 4 d(x, x0 ). Essendo 0 ≤ fi (x) ≤ 1 e fi (x) = 0 per d(mξ(i) , x0 ) > 4 d(x, x0 ), abbiamo per ogni x ∈ X \ M X e fi (x) T (mξ(i) ) − T (x0 ) ≤ sup A(x), T (x) − Te(x0 ) = i∈J dove A(x) = n o T (mξ(i) ) − T (x0 ) i ∈ J, d(mξ(i) , x0 ) ≤ 4 d(x0 , x) . L’insieme A(x) è limitato, o meglio finito, infatti per ogni x fissato, essendo il raffinamento localmente finito, al più un numero finito delle fi non si annullano su di esso. (III) Verifichiamo dunque la continuità di Te: sia {xn } ⊆ X \ M per ogni n e xn → x0 ; la continuità di T in x0 implica che sup A(xn ) → 0 per n → ∞. Allora Te(xn ) → Te(x0 ). Se invece {xn } ∈ M per ogni n e xn → x0 , allora T (xn ) = Te(xn ), quindi Te(xn ) → Te(x0 ). Allora Te è continuo in x0 ∈ ∂M . 4 1. Il Teorema di Brouwer 1.2 Retrazione su sottospazi Definizione 1.2.1. Sia X uno spazio topologico, M ⊆ X e r : X → M un’applicazione continua. r si dice una retrazione di X su M se e solo se r(x) = x, ∀x ∈ M . In questo caso M si dice un retratto di X. Lemma 1.2.1. La proprietà di punto fisso è preservata dalle retrazioni, i.e. se ogni e è un retratto di K, allora ogni funzione continua f : K → K ha un punto fisso e K e →K e ha un punto fisso. funzione continua φ : K e una retrazione e consideriamo l’applicazione i ◦ φ ◦ Dimostrazione. Sia r : K → K r : K → K che (per ipotesi) ha un punto fisso: chiamiamolo x̄. Abbiamo quindi che x̄ = i ◦ φ ◦ r(x̄), ed essendo i l’inclusione di insiemi e r|Ke l’identità, possiamo dire e e φ(x̄) = x̄. che x̄ ∈ K Lemma 1.2.2. Ogni sottoinsieme chiuso e convesso M di uno spazio normato X è un retratto di X. Dimostrazione. Usando il Teorema di estensione, estendiamo l’applicazione identità, I : M → M a r : X → conv(M ). Essendo M convesso, conv(M ) = M . Questi risultati saranno usati per dimostrare il Teorema di Brouwer per una palla, per poi passare al caso di un insieme convesso compatto generico. In realtà, il risultato principale che useremo è il seguente Teorema 1.2.3 (Principio del retratto negativo). Il bordo ∂B(x0 , R) della palla chiusa N-dimensionale B(x0 , R), R > 0, N ≥ 1 non è un retratto di B(x0 , R). Al fine di dimostrare il Principio del retratto negativo presentiamo alcuni risultati preliminari. Lemma 1.2.4. Se esiste una retrazione continua di B N = B(0, 1) su S N −1 = ∂B N , allora ne esiste una di classe C ∞ . Dimostrazione. Sia r : B N → S N −1 una retrazione continua, e definiamo r(x) se x ∈ B N , r̃(x) = x se x ∈ / BN . 1.2 Retrazione su sottospazi 5 (I) Sia r̃ε = r̃ ∗ ρε , la convoluzione di r̃ con il mollificatore ρε . Ovviamente r̃ε (x) ∈ C ∞ (RN ; RN ). Inoltre, se ρε è radiale, r̃ε (x) = x se |x| > 1 + ε. Infatti, la j-esima componente di r̃ε (x), quando x non appartiene all’ε-intorno R R della palla, è r̃ε (x) j = yj ρε (x − y) dy = (yj − xj ) + xj ρε (x − y) dy = R R (yj − xj )ρε (x − y) dy + xj ρε (x − y) dy; il secondo addendo è uguale a xj , per definizione di ρε , mentre il primo è nullo. Infatti, se poniamo z = y − x e denotiamo con z̄ il vettore di RN −1 dato dal vettore z privato della jR esima componente zj , abbiamo, per il Teorema di Fubini, RN zj ρε (z) dz = R R z ρ (z̄, z ) dz dz̄ = 0, perché l’integrando è dispari in zj . j ε j j N −1 R R (II) Definiamo quindi r̂ε = 1 r̃ 1+ε ε (1 + ε)x da B N a RN . Per quanto detto sopra e per continuità di r̃ε , r̂ε |S N −1 = Id. (III) Poichè r̃ è continua,r̃ε ⇒ r̃ uniformemente sui compatti quando ε → 0, quindi anche r̂ε ⇒ r̃ uniformente sui compatti quando ε → 0. Osserviamo che r̃ non assume valori dentro B N , perché in B N r̃(x) ≡ r(x) ∈ S N −1 e quindi |r̂ε (x)| → 1 uniformemente se ε → 0. Definiamo infine r̄ε (x) = r̂ε (x)/|r̂ε (x)|; le funzioni r̄ε sono retrazioni di B N su S N −1 di classe C ∞ che, se ε → 0, convergono uniformemente sui compatti a r(x). Ricordiamo ora un classico teorema di calcolo differenziale, del quale omettiamo la dimostrazione. Teorema 1.2.5 (Divergenza). Sia Ω un aperto non vuoto connesso e limitato di RN , con frontiera di classe C 1 e f : Ω → RN un’applicazione di classe C 1 in Ω. Allora, se ~n denota la normale esterna a ∂Ω e dσ la misura di superficie su ∂Ω, Z Z div f dx = f · ~n dσ(y). Ω ∂Ω Siamo ora in grado di dimostrare il Teorema 1.2.3. Dimostrazione Teorema 1.2.3. Per assurdo, supponiamo che ∂B N sia un retratto di B N . Sia r : B B → S N −1 una retrazione di classe C ∞ , che esiste per il 6 1. Il Teorema di Brouwer Lemma 1.2.4. Sia Vr (x) = Vr1 (x), . . . , VrN (x) un campo vettoriale definito da c c ∂ ∂ Vrj (x) = det( ∂x∂ 1 r, . . . , ∂x r, . . . , ∂x∂N r), dove con ∂x indichiamo l’omissione della j j derivata parziale rispetto alla variabile xj nella j-esima colonna. (I) Mostriamo che div Vr (x) = N det Dr(x) , dove con Dr(x) indichiamo la c ∂ ∂2 ∂ matrice jacobiana di r. Sia Vri,j = det ∂x∂ 1 r, . . . , ∂x r, . . . , r, . . . , r , ∂xi ∂xj ∂xN j ∂2 r ∂xj ∂xi dove r è il j-esimo vettore colonna e div Vr (x) = N X ∂/∂xj Vrj (x) l’i-esimo. Abbiamo quindi N X X = N det Dr(x) + Vri,j (x) j=1 j=1 i6=j e l’ultima sommatoria è identicamente nulla, perché, per ogni i, j abbiamo Vri,j = −Vrj,i . (II) Osserviamo ora che, essendo |r(x)| ≡ 1, abbiamo det Dr(x) ≡ 0; infatti, Dr(x) manda uno spazio N -dimensionale in un sottospazio di dimensione N − 1. (III) Poiché r(x) = x, se |x| = 1, abbiamo Vrj (x) = det c ∂ ∂ x, . . . , ∂x∂N x x, . . . , ∂x ∂x1 j N = xj e quindi Vr (x) = x, cioè il campo vettoriale identità su ∂B . (IV) Grazie ai precedenti punti e al Teorema della Divergenza, otteniamo Z 0= N det Dr(x) dx = Z Z Vr (x) · ~n dσ(x) = S N −1 BN Z = S N −1 x · x dσ(x) = S N −1 1 dσ(x) = S N −1 6= 0, il che è assurdo; quindi non può esistere una retrazione liscia di B N in S N −1 e di conseguenza non esiste una retrazione continua. 1.3 Una prima dimostrazione del Teorema di Brouwer 1.3 7 Una prima dimostrazione del Teorema di Brouwer Teorema 1.3.1 (Brouwer, 1912). Sia M ⊆ RN sottoinsieme non vuoto, convesso, chiuso e limitato, f : M → M continua. Allora f ha un punto fisso. Dimostrazione. (I) Supponiamo M = B, palla chiusa di raggio R > 0. Supponiamo che f non abbia punti fissi, cioè f (x) 6= x, per ogni x ∈ B. Allora possiamo costruire una retrazione della palla sulla sua frontiera nel modo seguente: per ogni x tracciamo il segmento che passa per x da f (x), e definiamo r(x) la sua intersezione con ∂B. Se x ∈ ∂B allora r(x) = x, cioè r : B → ∂B è una retrazione di B su ∂B. Inoltre è immediato verificare che tale applicazione è continua. Ciò contraddice il Principio del retratto negativo. (II) Per un M più generico, scegliamo una palla chiusa B che lo contiene. Allora per il Lemma 1.2.2 esiste una retrazione r : B → M . Per il Lemma 1.2.1 la proprietà di punto fisso vale per ogni retratto di B, e quindi f : M → M ha un punto fisso. Osservazione 1.3.1. È importante menzionare che il Teorema di Brouwer è equivalente al fatto che S N −1 non è una retrazione di B N = {x ∈ RN | kxk ≤ 1}. Infatti, supponiamo che S N −1 sia una retrazione del palla; dal Teorema di Brouwer, e dall’invarianza della proprietà di punto fisso per retrazione, seguirebbe che ogni applicazione continua da ∂B N in se stesso ammetterebbe un punto fisso. Questo è però falso, poiché l’applicazione x 7→ −x che è continua da S N −1 a S N −1 non ha punti fissi. Se una qualsiasi delle ipotesi del teorema viene rimossa, questo cessa di essere valido (che non significa, ovviamente, che sono necessarie); vediamolo con alcuni controesempi. • Se K non è convesso: possiamo scegliere e.g. K = {x ∈ R2 | f = rotazione 6= Id, allora non esistono punti fissi. 1 2 ≤ |x| ≤ 1} e 8 1. Il Teorema di Brouwer • Se K non è compatto: possiamo scegliere e.g. K = R e f (x) = x + 1 (K non limitato) oppure K = (−1, 1) e f (x) = 12 (x + 1) (K non è chiuso). In entrambi i casi tali funzioni non hanno punto fisso. • Se f non è continua: possiamo scegliere e.g. K = [−1, 1] e f (x) = x 2 se x 6= 0 e f (0) = 1. Allora f è priva di punti fissi. Presentiamo infine un semplice risultato, la cui importanza risiede nel fatto che dà una condizione sufficiente per l’esistenza di un punto fisso senza richiedere la convessità. Lemma 1.3.2. La proprietà di punto fisso è invariante rispetto agli omeomorfismi, e è omemorfo a K, i.e. se ogni funzione continua f : K → K ha un punto fisso, e K e →K e ha un punto fisso. allora ogni funzione continua φ : K e un omeomorfismo e consideriamo l’applicazione Dimostrazione. Sia h : K → K h−1 ◦ φ ◦ h : K → K che per ipotesi ha un punto fisso: sia x̄ questo punto. Allora x̄ = h−1 ◦ φ ◦ h(x̄) e quindi h(x̄) = φ ◦ h(x̄), cioè h(x̄) è un punto fisso di φ. 1.4 Intersezione di insiemi convessi Presentiamo ora alcuni semplici risultati sull’intersezione di insieme convessi, che ci saranno utili in seguito. Definizione 1.4.1. Una famiglia A di sottoinsiemi non vuoti di un insieme X ha la proprietà dell’intersezione finita se ogni sottofamiglia finita non vuota di A ha un’intersezione non vuota. Teorema 1.4.1. Sia X una spazio topologico compatto e F una famiglia di sottoinsiemi chiusi di X. Se F ha la proprietà dell’intersezione finita, allora T F ∈F F 6= ∅. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo T F ∈F F = ∅. Allora S F ∈F F c = X. Essendo F chiuso, F c è aperto per ogni F ∈ F. Allora {F c }F ∈F è un ricoprimento 1.4 Intersezione di insiemi convessi 9 S aperto di X; essendo X compatto esiste un sottoricoprimento finito, X = ni=1 Fi , T con Fi ∈ F. Passando nuovamente al complementare, otteniamo ni=1 Fi = ∅, che contraddice l’ipotesi che F abbia la proprietà dell’intersezione finita. Osservazione 1.4.2. Il viceversa è anch’esso vero, quindi gli spazi topologici compatti possono essere caratterizzati come quelli in cui ogni famiglia di insiemi chiusi con la proprietà dell’intersezione finita ha un’intersezione non vuota. Infatti, T sia F una famiglia di chiusi tali che F ∈F F = ∅ implica che esiste n tale che Tn S c F = ∅. Passando al complementare otteniamo che i i=1 F ∈F F = X implica che Sn esiste n tale che X = i=1 Fic , con Fi ∈ F, cioè un sottoricoprimento finito di un ricoprimento aperto. Per l’arbitrarietà di F, X è compatto. Teorema 1.4.2 (Helly). Siano Ki , i = 1, . . . , n con n ≥ N +1, n insiemi convessi in T RN . Se ogni (N +1)−pla di questi ha un’intersezione non vuota, allora ni=1 Ki 6= ∅. Dimostrazione. (Radon). Procediamo per induzione su n. Per n = N + 1 il teorema è banalmente vero; supponiamo sia vero per n − 1 ≥ N + 1 e dimostriamolo per T n. Per ipotesi induttiva, esistono n punti x1 , . . . , xn tali che xi ∈ nj=1,j6=i Kj per i = 1, . . . , n. Allora (P n i=1 Pn i=1 λi xi = 0 λi = 0 sono N + 1 equazioni lineari in n > N + 1 incognite λ1 , . . . , λn . Allora esiste una soluzione non banale e senza perdita di generalità possiamo supporre λ1 ≥ 0, . . . λr ≥ P P 0 e λr+1 ≤ 0, . . . , λn ≤ 0, con r ∈ {1, . . . , n}. Allora ri=1 λi = − ni=r+1 λi > 0 e il punto y definito da appartiene a Tn j=r+1 Pr λ i xi y = Pi=1 r i=1 λi Kj perché ogni xi con i = 1, . . . , r appartiene a ogni Kj con j = r + 1, . . . , n, che sono convessi. Ma per quanto detto prima è vero anche Pn (−λi xi ) y = Pi=r+1 n i=r+1 (−λi ) T T e quindi y ∈ rj=1 Kj . Allora y ∈ nj=1 Kj 6= ∅. 10 1. Il Teorema di Brouwer Teorema 1.4.3. Sia K una famiglia arbitraria di insiemi convessi e compatti in RN . Se ogni sottofamiglia di (N + 1) elementi ha un’intersezione non vuota, allora T K∈K K 6= ∅. Dimostrazione. Sia K ∈ K. F = {K ∩ K Consideriamo la famiglia di sottoinsiemi di K, | K ∈ K}. Dall’ipotesi e dal Teorema 1.4.2, F ha la proprietà dell’intersezione finita. Quindi, per il Teorema 1.4.1 F ha intersezione non vuota. T T Ma K∈F K coincide con K∈K K, che perciò è non vuoto. 1.5 Simplessi m-dimensionali e Lemma di Sperner In RN , m + 1 punti x0 , . . . , xm , con m ≤ N , sono detti essere affinemente indipendenti se gli m punti x1 − x0 , . . . , xm − x0 sono linearmente indipendenti (m > 0; il singoletto {x0 } è definito affinemente indipendente). Se x0 , . . . , xm sono m + 1 punti affinemente indipendenti di RN (0 ≤ m ≤ N ) l’insieme S = simp{x0 , . . . , xm } di tutte le combinazioni convesse dei punti xi è detto m-simplesso o simplesso di dimensione m. I punti xi sono detti vertici del simplesso e gli insiemi simp{xi0 , . . . , xik } con 0 ≤ k ≤ m ≤ N sono detti facce del simplesso (o meglio facce di dimensione k del simplesso, i vertici sono anche detti facce di dimensione 0). Se x ∈ S possiamo univocamente determinare m + 1 numeri reali λ0 , . . . , λm tali che P Pm λi ≥ 0 per ogni i, m i=0 λi = 1 e x = i=0 λi xi : questi numeri sono detti coordinate baricentriche di x. Il simplesso standard in RN è l’inviluppo convesso della base canonica {e1 , . . . , eN } e del vettore nullo, i.e. E = simp{0, . . . , eN }. In questo caso, se x = (x1 , . . . , xN ) ∈ E, le xi e 0 sono le sue coordinate baricentriche. Ogni msimplesso di RN è l’immagine di E tramite un’applicazione lineare. Sia S un m-simplesso in RN . Una famiglia finita Σ di simplessi contenuti in S è detta essere una suddivisione in simplessi di S se le seguenti condizioni sono soddisfatte: (i ) S è l’unione degli m-simplessi in Σ; (ii ) l’intersezione di due simplessi in Σ è una faccia comune ai due simplessi; 1.6 Il Lemma KKM 11 (iii ) le facce dei simplessi di Σ sono dei simplessi di Σ. Le facce di dimensione 0, che sono ovviamente i vertici dei simplessi di Σ, sono dette nodi della suddivisione in simplessi. Il massimo valore del diametro dei simplessi di dimensione m di Σ -nell’usuale metrica di RN - è detto diametro della suddivisione. Dato ε > 0 qualsiasi è facile vedere che esiste una suddivisione in simplessi del simplesso standard E tale che diam(Σ) < ε. Facendo poi l’immagine tramite un’applicazione lineare della suddivisione, otteniamo che questo è vero per ogni simplesso S. Sia S un m-simplesso di RN , Σ una sua suddivisione in simplessi e sia N l’insieme dei nodi di Σ. La suddivisione Σ è detta etichettata se esiste un’applicazione ` : N → {0, . . . , m}, detta l’etichettatura di Σ, che associa a ogni z ∈ N un numero `(z) ∈ {0, . . . , m}, detto l’etichetta di z, in modo tale che se z è in una faccia di S allora l’etichetta di z appartiene all’insieme di indici dei vertici della faccia, i.e. z ∈ simp{xi0 , . . . , xik } ⇒ `(z) ∈ {io , . . . , ik }; (1.1) in particolare, `({xj }) = j. Se T = simp{z0 , . . . , zj }, j ≥ 1 appartiene a Σ per qualche {z0 , . . . , zj } ⊆ N , diciamo che l’insieme di numeri (non ordinato) `(T ) = {`(z0 ), . . . , `(zj )} è l’etichetta di T . Lemma 1.5.1 (Sperner). Dato un qualsiasi m-simplesso S = simp{x0 , . . . , xm } in RN con m ≤ N , una qualsiasi suddivisione in simplessi Σ di S ed una qualsiasi etichettatura ` di Σ, allora il numero degli m-simplessi in Σ con etichetta {0, . . . , m} è dispari. Non dimostriamo questo risultato, per una sua dimostrazione rimandiamo a [Hua]. 1.6 Il Lemma KKM In questa sezione presentiamo il Lemma di Knaster-Kuratowski-Mazurkievicz, al quale ci riferiamo, per brevità, come al Lemma KKM. 12 1. Il Teorema di Brouwer Lemma 1.6.1 (KKM). Sia S = simp{x0 , . . . , xm } un m-simplesso di RN e siano Fi , i = 0, . . . , m, m + 1 sottoinsiemi chiusi di RN tali che ogni faccia di S è coperta dai chiusi corrispondenti, cioè (i) per ogni insieme di indici I ⊆ {0, . . . , m}, simp{xi }i∈I ⊆ Allora, Tm i=0 S i∈I Fi . Fi 6= ∅, cioè tutti i chiusi hanno un punto in comune. Dimostrazione. Come sappiamo, per ogni k ≥ 1 esiste una suddivisione in simplessi Σk di S tale che diam(Σk ) ≤ 1/k. Con l’aiuto del Lemma di Sperner vogliamo dimostrare che per ogni k esiste un m-simplesso di Σk che ha un vertice in ogni Fi : il teorema segue passando al limite su k. In dettaglio abbiamo quanto segue. (I) Etichettiamo Σk in modo tale che un certo nodo v appartenga a Fek (v) , dove ek è l’etichettatura di Σk . Per fare questo, sia v (k) un nodo di Σk e S 0 = simp{xi0 , . . . , xis } una faccia di S con la minima dimensione s che S contiene v (k) . Da (i) segue che S 0 ⊆ sj=0 Fij , e quindi che v (k) ∈ Fij per qualche ij : chiamiamolo i¯j . Ponendo ek (v (k) ) = i¯j otteniamo un’etichettatura per Σk con le condizioni richieste. (II) Dal Lemma di Sperner sappiamo che esiste in Σk un m-simplesso Tk = (k) (k) simp{v0 , . . . , vm } con etichetta {0, . . . , m}. Possiamo assumere, a meno di (k) (k) riordinarli, che ek (vi ) = i e quindi che vi ∈ Fi . (III) Facciamo tendere dunque k all’infinito: essendo S un insieme compatto, (k) dalla successione vi di punti di Fi possiamo estrarre una sottosuccessione convergente a v̄i ∈ Fi (Fi è chiuso). Inoltre se k → +∞ diam(Σk ) → 0 e quindi T (k) i vertici vi convergono tutti ad un unico punto v = v¯0 = · · · = v¯m ∈ m i=0 Fi ; T T di più {v} = k Tk perché diam k Tk ≤ limk→∞ diam(Tk ) = 0, e quindi non può contenere più di un punto. 1.7 Una seconda dimostrazione del Teorema di Brouwer 1.7 Una seconda dimostrazione del Teorema di Brouwer Vediamo ora una seconda dimostrazione del Teorema di Brouwer che utilizza il Lemma di Knaster-Kuratowski-Mazurkievicz. Il metodo qui seguito sembra essere più veloce, sebbene meno profondo del precedente. D’altra parte, l’approccio simpliciale al teorema ci consentirà, come vedremo in seguito, generalizzazioni più ampie del Teorema di Brouwer. Lemma 1.7.1. Sia S un N-simplesso di RN . Se K ⊆ S è un insieme convesso e chiuso, allora K è un retratto di S. Dimostrazione. È sufficiente considerare r : S → K definita, per ogni x ∈ S, da r(x) = PK (x), dove PK è la proiezione di x su K (PK è ben definita e continua perché K è convesso e chiuso). Lemma 1.7.2 (Teorema di Brouwer per i simplessi). Sia S = simp{x0 , . . . , xN } un N-simplesso di RN . Se f : S → S è continua allora ha almeno un punto fisso. Dimostrazione. Questo lemma storicamente precede il Teorema di Brouwer, ed è dovuto a Bohl. L’idea principale della dimostrazione è molto semplice: scopriamo che f ha almeno un punto fisso osservando come f ‘muove’ i punti di S. (I) Per fare questo rappresentiamo i punti di S in termini delle loro coordinate P baricentriche. Se x ∈ S allora possiamo scriverlo come x = N i=0 λi xi , con PN λi ≥ 0 e i=0 λi = 1. I λi = λi (x), come può essere facilmente dimostrato sono funzioni continue della x. (II) Poniamo ora Fi = {x ∈ S | λi (f (x)) ≤ λi (x)}, i = 0, . . . , m e mostriamo che TN i=0 Fi 6= ∅, da cui si può facilmente vedere che esiste un punto x̄ ∈ S le cui coordinate baricentriche non sono cambiate da f , e che è quindi fissato. (II-A) Infatti, se x̄ ∈ TN i=0 Fi , allora λi (f (x)) ≤ λi (x) per i = 0, . . . , N 13 14 1. Il Teorema di Brouwer ed essendo N X λi (f (x)) = i=0 N X λi (x) = 1, i=0 abbiamo λi (f (x)) = λi (x), per ogni i, cioè x = f (x), perché i due punti hanno stesse coordinate baricentriche. TN (II-B) Per vedere che 6= ∅ usiamo il Lemma KKM. Si vede i=0 Fi immediatamente che gli Fi sono chiusi, perché le λi e la f sono S funzioni continue; per vedere che simp{xi }i∈I ⊆ i∈I Fi , comunque preso I ⊆ {0, . . . , m}, dobbiamo solo ricordare che se y ∈ simp{xi }i∈I P S allora i∈I λi (y) = 1, e se, per assurdo, avessimo y ∈ / i∈I Fi , allora λi (f (y)) > λi (y) per ogni i ∈ I e quindi 1≥ X i∈I λi (f (y)) > X λi (y) = 1, i∈I il che è impossibile. Grazie a questi due lemmi, siamo quindi in grado di dare un’altra dimostrazione del Teorema di Brouwer. Teorema 1.7.3 (Brouwer). Sia M un insieme chiuso, limitato, convesso e non vuoto di RN . Se f : M → M è una funzione continua, allora f ha almeno un punto fisso. Dimostrazione. Essendo M limitato è contenuto in un qualche N-simplesso S. Essendo chiuso e convesso è un retratto di S, grazie al Lemma 1.7.1 e dunque, per il Lemma 1.2.1, vale la proprietà di punto fisso. Abbiamo dunque dimostrato il Teorema di Brouwer. Osservazione 1.7.1. È importante menzionare che in realtà il Lemma KKM è equivalente al Teorema di Brouwer, risultato osservato già dagli stessi Knaster, Kuratowski e Mazurkiewicz. Per la dimostrazione, rimandiamo a [KKM29]. 1.8 Il Teorema di Perron-Frobenius 1.8 15 Il Teorema di Perron-Frobenius Vediamo ora una semplice e diretta applicazione del Teorema di Brouwer all’algebra lineare, il Teorema di Perron-Frobenius. Esso ci assicura che, data una matrice a entrate non negative, questa abbia almeno un autovalore non negativo con relativo autovettore a componenti non negative. Teorema 1.8.1 (Perron-Frobenius). Sia A ∈ MN ×N (R), A = (aij )i,j=1,...,N con aij ≥ 0 per i, j = 1, . . . N . Allora esistono λ ≥ 0, x̄ ∈ RN \ {0} con x̄i ≥ 0 per ogni i, tali che Ax̄ = λx̄. Dimostrazione. Siano x = (x1 , . . . , xN ), Ax = ((Ax)1 , . . . , (Ax)N ). Sia K il PN compatto convesso definito da K = {x ∈ RN | xi ≥ 0 i=1 xi = 1} e sia f : K → R PN definita da f (x) = i=1 (Ax)i . Ovviamente f è continua e f (x) ≥ 0 per ogni x ∈ K. Essendo K compatto, f ammette minimo x su K. Nel caso che f (x) = 0 il teorema è vero con λ = 0 e x̄ = x. Supponiamo allora f (x) > 0 e definiamo T : K → K, ! (Ax)i . T (x) = PN j=1 (Ax)j i=1,...,N L’operatore T è continuo da K compatto e convesso in sé, allora per il Teorema di Brouwer esiste un punto fisso, cioè esiste x̄ ∈ K tale che T (x̄) = x̄. P λ= N j=1 (Ax̄)j > 0. Allora T (x̄) = cioè Ax̄ = λx̄. (Ax̄)i λ = x̄, i=1,...,N Sia 16 1. Il Teorema di Brouwer Capitolo 2 Il Teorema di Schauder Nel precedente capitolo ci siamo occupati dell’esistenza di punti fissi in RN . Vogliamo ora passare a spazi infinito dimensionali, generalizzando il Teorema di Brouwer. Storicamente il Teorema di Schauder nasce, come vedremo nel capitolo successivo, per dimostrare teoremi di esistenza di soluzioni di equazioni differenziali ordinarie, sotto ipotesi più deboli della lipschitzianità, e per ottenere risultati analoghi per equazioni a derivate parziali. 2.1 Approssimazione di operatori compatti L’obiettivo è quello di generalizzare il Teorema di Brouwer a spazi di Banach infinito dimensionali tramite un processo di approssimazione di operatori compatti tramite operatori di rango finito, al fine di ottenere il Teorema di Schauder. Per spazi infinito dimensionali, come vedremo in seguito abbiamo bisogno dell’ipotesi supplementare di compattezza del dominio dell’operatore (o equivalentemente della compattezza dell’operatore stesso). L’esempio seguente, dovuto a Kakutani, mostra infatti che il Teorema di Brouwer non vale su spazi di Banach di dimensione infinita. p Esempio 2.1.1. In `2 (N) consideriamo l’operatore T (x) = ( 1 − kxk2 , x1 , x2 , . . . ) P∞ 2 definito per kxk ≤ 1, dove x = (x1 , x2 , . . . ) e kxk2 = i=1 |xi | . L’operatore p p T è continuo, infatti kT (x) − T (y)k2 = | 1 − kxk2 − 1 − kyk2 |2 + kx − yk2 ≤ 17 18 2. Il Teorema di Schauder |kxk2 −kyk2 |+kx−yk2 ≤ (kxk+kyk)kx−yk+kx−yk2 ≤ 2kx−yk+kx−yk2 . Inoltre T manda la palla unitaria chiusa nel suo bordo in quanto kT (x)k2 = 1−kxk2 +kxk2 = 1. Vediamo che però T non ha punti fissi, infatti se fosse T (x) = x, dovremmo necessariamente avere kxk = 1 per quanto appena detto, e inoltre dovrebbe essere (0, x1 , x2 , . . . ) = (x1 , x2 , . . . ), cioè xi = 0 per ogni i. Ma in tal caso sarebbe kxk = 0 6= 1. Definizione 2.1.2. M sottoinsieme di uno spazio di Banach si dice relativamente compatto se M è compatto. Definizione 2.1.3. X, Y spazi di Banach, T : D(T ) ⊆ X → Y operatore. T si dice compatto se: • T è continuo, • T manda insiemi limitati in insiemi relativamente compatti. Osservazione 2.1.4. Se T è un operatore lineare, la seconda condizione implica la prima. In spazi di Banach finito dimensionali, operatori continui e operatori compatti sono la stessa cosa se il dominio D(T ) è chiuso. Infatti, se M è limitato, allora M ⊆ D(T ) è compatto, essendo dim(X) < ∞. Allora f M è compatto, e quindi f (M ) ⊆ f M è relativamente compatto. Esempio 2.1.5. Tipici esempı̂ di operatori compatti su spazi di Banach di dimensione infinita sono operatori integrali con integrandi sufficientemente regolari: b Z T [x](t) = K (t, s, x(s)) ds (Operatori integrali di tipo Fredholm) a Z S[x](t) = t K (t, s, x(s)) ds (Operatori integrali di tipo Volterra) a con K : [a, b] × [a, b] × [−R, R] → K continua, −∞ < a < b < +∞ e 0 < R < ∞, K = R, C, M = {x ∈ C o ([a, b]; K) | kxk ≤ R}, kxk = maxa≤s≤b |x(s)|. Sotto queste ipotesi T ed S (come operatori da M a C o ([a, b]; K) ) sono compatti. 2.1 Approssimazione di operatori compatti 19 Definizione 2.1.6. Siano (X, d) uno spazio metrico, A ⊆ X ed ε > 0. Un insieme finito {x1 , ..., xn } di punti di X è detto una ε-rete finita per A se, per ogni x ∈ A, esiste k = 1, ..., n tale che d(x, xk ) < ε. Osservazione 2.1.7. Una caratterizzazione che ci sarà spesso utile degli insiemi relativamente compatti in spazi metrici completi è tramite le ε-reti: M è relativamente compatto se e solo se per ogni ε > 0 esiste una ε-rete finita per M. Teorema 2.1.1 (Teorema di approssimazione per operatori compatti). X, Y spazi di Banach, M ⊆ X limitato. Sia T : M → Y un operatore dato. Allora T è compatto se e solo se valgono le seguenti condizioni: (i) per ogni n ∈ N esiste Pn : M → Y operatore compatto tale che supx∈M kT (x) − Pn (x)k ≤ 1/n (ii) dim (span Pn (M )) < ∞ Dimostrazione. (I) Sia T compatto. Allora T (M ) è relativamente compatto, quindi per ogni n esiste yi ∈ T (M ), i = 1, . . . , N tali che min kT (x) − yi k < 1/n ∀x ∈ M i cioè una 1/n-rete finita. Definiamo l’operatore di Schauder, PN ai (x)yi Pn (x) = Pi=1 N i=1 ai (x) con ai (x) = max{1/n − kT (x) − yi k, 0}. L’operatore Pn soddisfa tutte le proprietà richieste, infatti le ai sono continue e non si annullano contemporaneamente per ogni x ∈ M , dunque Pn è ben definito e continuo; inoltre P N a (x)(y − T (x) PN a (x)1/n 1 i i i=1 i kPn (x) − T (x)k = i=1PN = . ≤ P N n i=1 ai (x) i=1 ai (x) La limitatezza di T (M ) implica la limitatezza di Pn (M ); inoltre l’insieme Pn (M ) giace in uno spazio finito dimensionale (generato da y1 , . . . , yN ) e quindi Pn (M ) è relativamente compatto, cioè Pn è compatto. 20 2. Il Teorema di Schauder (II) Viceversa, supponiamo che per ogni n ∈ N esiste Pn : M → Y compatto tale che supx∈M kT (x) − Pn (x)k ≤ 1/n e dim (span (Pn (M ))) < ∞. Essendo T il limite uniforme di operatori continui è anch’esso continuo, infatti, dato x ∈ M , abbiamo kT (x) − T (y)k = kT (x) − Pn (x) + Pn (x) − Pn (y) + Pn (y) − T (y)k ≤ ≤ kT (x) − Pn (x)k + kPn (x) − Pn (y)k + kPn (y) − T (y)k ≤ ≤ 1/n + kPn (x) − Pn (y)k + 1/n < ε + 2/n per n sufficientemente grande e kx − yk < δε (x) visto che Pn è continuo in x. Quindi T è continuo in x e per l’arbitrarietà di x ∈ M è continuo su M . Inoltre essendo Pn (M ) relativamente compatto ha una 1/n-rete finita, quindi kT (x) − yi k ≤ kPn (x) − T (x)k + kPn (x) − yi k ≤ 1/n + 1/n = 2/n cioè T (M ) ha una 2/n-rete finita, quindi è relativamente compatto poiché n è arbitrario; dunque T è compatto. 2.2 Il Teorema di Schauder Esistono differenti versioni del Teorema di Schauder, sia come dirette generalizzazioni del Teorema di Brouwer (come il secondo enunciato che presenteremo), sia in una forma più utile per le applicazioni (è il caso del primo enunciato), come vedremo nel capitolo successivo. Teorema 2.2.1 (Schauder, 1930). Sia X uno spazio di Banach, M ⊆ X chiuso, limitato e convesso. Sia T : M → M un operatore compatto. Allora T ha un punto fisso. Dimostrazione. Poiché ogni spazio di Banach complesso può essere visto come un Banach reale, di seguito supporremo che X è uno spazio di Banach reale. Scegliamo 2.2 Il Teorema di Schauder 21 yi e Pn come nel teorema di approssimazione. Sia Mn = conv{yi , . . . , yN }. La convessità di M implica Mn ⊆ conv (T (M )) ⊆ M , e quindi Pn : Mn → Mn è continuo. Inoltre Mn è compatto e convesso, e Mn ⊆ RN (identifichiamo span{y1 , . . . , yN } con RN ). Allora per il Teorema di Brouwer esiste un punto fisso xn = Pn (xn ), con xn ∈ Mn ⊆ M . Poiché T è compatto, {T (xn )} ammette un’estratta convergente, T (xnk ) → y ∈ M . Abbiamo ky − xnk k = ky − Pnk (xnk )k ≤ ky − T (xnk )k + kT (xnk ) − Pnk (xnk )k. Entrambi i membri a destra convergono a 0 quando k → ∞. Quindi xnk → y e per continuità y = limk→∞ T (xnk ) = T (limk→∞ xnk ) = T (y), cioè y è un punto fisso. Corollario 2.2.2 (Versione alternativa del Teorema di Schauder). Sia X uno spazio di Banach, K ⊆ X compatto e convesso. Sia T : K → K un operatore continuo. Allora T ha un punto fisso. Dimostrazione. Poiché in uno spazio di Hausdorff un sottoinsieme chiuso di un compatto è compatto, T : K → K è un operatore compatto, quindi vale il Teorema di Schauder e T ha un punto fisso. Richiamiamo ora un classico risultato dell’analisi funzionale, che ci servirà per dimostrare l’equivalenza tra i due enunciati precedenti. Lemma 2.2.3 (Teorema di Mazur). Sia X uno spazio di Banach, K ⊆ X sottoinsieme compatto. Allora conv(K) è compatto. Dimostrazione. È sufficiente mostrare che conv(K) è relativamente compatto. Sia S ε > 0 e scegliamo x1 , . . . , xn in K tali che K ⊆ nj=1 B(xj , ε/3). Sia C = conv{x1 , . . . , xn }. È facile vedere che C è compatto, infatti è l’immagine continua del S simplesso standard. Quindi esistono y1 , . . . , ym ∈ C tali che C ⊆ m i=1 B(yi , ε/3). Dimostriamo quindi che {yi } è una ε-rete per conv(K). Se w ∈ conv(K), allora P esiste z ∈ conv(K) tale che kw − zk < ε/3. Di conseguenza z = lp=1 αp kp , dove 22 2. Il Teorema di Schauder kp ∈ K, αp ≥ 0 e Pl p=1 αp = 1. Per ogni kp , esiste xj(p) tale che kkp − xj(p) k < ε/3. Dunque, l l l X X X αp xj(p) = αp (kp − xj(p) ) ≤ αp kkp − xj(p) k < ε/3 z − p=1 Ma p=1 p=1 P l α x ∈ C e quindi esiste y tale che α x − y i i < ε/3. Dalla p=1 p j(p) p=1 p j(p) Pl disuguaglianza triangolare, se w ∈ conv(K), allora l l X X kw − yi k ≤ kw − zk + z − αp xj(p) + αp xj(p) − yi < ε p=1 cioè conv(K) ⊆ Sm i=1 p=1 B(yi , ε) e quindi conv(K) è relativamente compatto perché ε > 0 è arbitrario. Osservazione 2.2.1. I due enunciati del Teorema di Schauder sono equivalenti. Che l’enunciato 2.2.1 implichi l’enunciato 2.2.2, come abbiamo visto è banale. Per il viceversa sfruttiamo il Teorema di Mazur. Sia K = conv (T (M )). K ⊆ M , K è convesso e, per il Teorema di Mazur, compatto. Inoltre T (K) ⊆ T (M ) ⊆ K, quindi per il corollario precedente, la restrizione T : K → K ha un punto fisso. Questo punto fisso è automaticamente un punto fisso per T : M → M . 2.3 Il Lemma di Fan Nel capitolo precedente abbiamo visto una dimostrazione del Teorema di Brouwer che utilizza metodi della combinatoria. Per generalizzare il Teorema di Brouwer seguendo lo stesso approccio abbiamo bisogno di un risultato che estenda opportunamente il Lemma KKM. Iniziamo con una definizione. Definizione 2.3.1. Uno spazio vettoriale topologico X è uno spazio vettoriale su K (K = C o K = R nel seguito) con una topologia tale che rispetto ad essa (i) l’applicazione di X × X → X definita da (x, y) 7→ x + y è continua; (ii) l’applicazione di K × X → X definita da (α, x) 7→ αx è continua. 2.3 Il Lemma di Fan 23 Esempı̂ 2.3.2. RN è uno spazio vettoriale topologico su R; tutti gli spazi normati (e quindi spazi di Banach e spazi di Hilbert), con la topologia indotta dalla norma, sono spazi vettoriali topologici. Lemma 2.3.1 (Fan). Sia X uno spazio vettoriale topologico di Hausdorff, Y un sottoinsieme non vuoto di X e F : Y → {M ⊆ X | M 6= ∅, M è chiuso} tale che: (j) conv{x1 , . . . , xN } ⊆ SN i=1 F (xi ) per ogni {x1 , . . . , xN } ⊆ Y , (jj) esiste x̄ ∈ Y t.c. F (x̄) è compatto. Allora T x∈Y F (x) 6= ∅. Osservazione 2.3.3. Notiamo che il Lemma KKM è un caso particolare del Lemma di Fan, dove X = RN , Y = {x0 , . . . , xN } e F è l’applicazione che manda xi in Fi (in questo caso la condizione (jj) non è necessaria, poiché lavoriamo solo su S = conv Y ). Notiamo inoltre che la condizione (j) implica che, per ogni x ∈ Y , x ∈ F (x), e che S Y ⊆ x∈Y F (x) (la condizione (i) del lemma KKM ci dice in modo analogo che S xi ∈ Fi e che S ⊆ N i=0 Fi ). Dimostrazione. L’idea di base della dimostrazione è di usare (jj) per avere a che fare con un insieme compatto, poi, usando il Teorema 1.4.1, ridursi al caso finito su cui applicare il Lemma KKM. (I) Da (jj) e dal Teorema 1.4.1 ciò che rimane da dimostrare è che, per ogni {x1 , . . . , xN } ⊆ Y , abbiamo N \ (F (x̄) ∩ F (xi )) = F (x̄) ∩ i=1 N \ ! F (xi ) 6= ∅. (2.1) i=1 (II) In generale gli xi non sono affinemente indipendenti, quindi non possiamo applicare direttamente il Lemma KKM ma dobbiamo giungervi indirettamente. Poniamo x̄ = x0 e consideriamo da un lato l’insieme conv{x0 , . . . , xN } e dall’altro l’N-simplesso T = simp{e0 , e1 . . . , eN } dove e0 24 2. Il Teorema di Schauder è l’origine e {e1 . . . , eN } la base canonica di RN . Consideriamo l’applicazione φ : T → conv{x0 , . . . , xN } ⊆ X definita da ! N N X X φ αi ei = αi xi , αi ≥ 0, i=0 i=0 N X αi = 1. i=0 La φ è continua ma in generale non è iniettiva, essendo gli xi non necessariamente affinemente indipendenti, quindi la dimensione dell’insieme convesso conv{x0 , . . . , xN } può essere minore di N . Poniamo Gi = φ−1 (F (xi )) T e mostriamo che N i=0 Gi 6= ∅. La relazione (2.1) seguirà da questo T poiché N per i = 0, . . . , N abbiamo φ(Gi ) = φ(φ−1 (F (xi ))) ⊆ F (xi ) e φ G ⊆ i i=0 TN TN i=0 φ(Gi ) ⊆ i=0 F (xi ). (III) Per vedere che TN i=0 Gi 6= ∅ dobbiamo solo verificare che i Gi soddisfino le ipotesi del Lemma KKM. Chiaramente i {Gi } sono chiusi, perché sono le controimmagini degli insiemi chiusi F (xi ) tramite la funzione continua S φ. Inoltre, se I ⊆ {0, . . . , N } allora simp{ei }i∈I ⊆ i∈I Gi ; infatti, se P P z = i∈I λi ei ∈ simp{ei }i∈I , i∈I λi = 1, è un punto qualsiasi in simp{ei }i∈I , allora ! z ∈ φ−1 (φ(z)) = φ−1 X λ i xi i∈I e da (j) segue che ! φ−1 X λ i xi ! ⊆ φ−1 i∈I 2.4 Spazi Vettoriali [ F (xi ) i∈I = [ φ−1 (F (xi )) = i∈I Topologici [ Gi . i∈I Localmente Convessi Definizione 2.4.1. Una seminorma p su uno spazio vettoriale reale (risp. complesso) X è una funzione da X in R tale che: 2.4 Spazi Vettoriali Topologici Localmente Convessi (i) p(x) ≥ 0, ∀x ∈ X, (ii) p(λx) = |λ|p(x), ∀x ∈ X e ∀λ ∈ R (risp. C), (iii) p(x + y) ≤ p(x) + p(y), ∀x, y ∈ X. Definizioni 2.4.2. Sia X uno spazio vettoriale topologico. • M ⊆ X si dice convesso se per ogni x, y ∈ M , t ∈ [0, 1] risulta tx+(1−t)y ∈ M ; • M ⊆ X si dice equilibrato se per ogni x ∈ M , |λ| ≤ 1 risulta λx ∈ M ; • M ⊆ X si dice assolutamente convesso se è convesso ed equilibrato. Definizione 2.4.3. Uno spazio vettoriale topologico localmente convesso è uno spazio vettoriale topologico che ha una base {Uj } di intorni dello zero fatta di insiemi assolutamente convessi. Esempı̂ 2.4.4. Sono spazi vettoriali topologici localmente convessi gli spazi di Banach sia dotati della topologia indotta dalla norma, sia dotati della topologia debole, gli spazi di Banach duali con la topologia *debole e la classe di Schwartz S(R) = {f ∈ C ∞ (R) | sup(|x|2 + 1)β/2 f (α) (x) < ∞ ∀ α, β ≥ 0}, x con famiglia di seminorme data da pα,β (f ) = supx (|x|2 + 1)β/2 f (α) (x). Osservazione 2.4.5. Uno spazio vettoriale topologico è uno spazio vettoriale localmente convesso se e solo se la sua topologia è definita da una famiglia di seminorme {pj }j∈I (cioè la sua topologia è la meno fine che rende le seminorme continue). Infatti, se ha una base di intorni assolutamente convessi, allora la famiglia di seminorme {pj } è data dal funzionale di Minkowski di Uj , cioè pj (x) := inf{λ > 0 | x ∈ λUj }. Viceversa, se X è uno spazio vettoriale topologico localmente convesso con famiglia di seminorme {pj }, allora per un qualsiasi indice j e r ∈ R, gli insiemi {x ∈ X | pj (x) < r}, cioè i sottolivelli delle seminorme, formano un sistema di intorni di zero 25 26 2. Il Teorema di Schauder di insiemi assolutamente convessi. La topologia definita su uno spazio vettoriale topologico localmente convesso è di T Hausdorff se vale i∈I {x | pi (x) = 0} = {0}. 2.5 I Teoremi di Tychonov e di Schauder Presentiamo ora il Teorema di Tychonov. Tale risultato è valido in spazi vettoriali topologici localmente convessi ed estende ulteriormente il Teorema di Brouwer rispetto al Teorema di Schauder. Iniziamo con un risultato preliminare. Lemma 2.5.1. Sia X uno spazio vettoriale topologico di Hausdorff, sia K un insieme compatto e convesso in X e sia A ⊆ K × K tale che: (i) A è chiuso; (ii) per ogni x ∈ K (x, x) ∈ A, i.e. la diagonale ∆ ⊆ A; (iii) per ogni y ∈ K l’insieme {x ∈ K | (x, y) ∈ / A} è convesso oppure vuoto. Allora, esiste y0 ∈ K tale che K × {y0 } ⊂ A. Dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che la condizione (iii) ci dice che l’intersezione di K × K \ A con i segmenti orizzontali è convessa, oppure essi sono contenuti in A. Il risultato stesso ci dice che almeno uno di questi segmenti è contenuto in A. (I) Poniamo, per x ∈ K, F (x) = {y | (x, y) ∈ A}. L’insieme F (x) è l’intersezione del segmento verticale passante per x con A. Se dimostriamo T T che x∈K F (x) 6= ∅ abbiamo terminato, infatti y0 ∈ x∈K F (x) soddisfa la tesi, poiché se (x, y0 ) ∈ A per ogni x ∈ K allora K × {y0 } ⊂ A. (II) Per dimostrare che T x∈K F (x) 6= ∅ usiamo il Lemma 2.3.1, verificando che le ipotesi del lemma siano soddisfatte. Da (ii) sappiamo che F (x) è non vuoto. Inoltre F (x) è compatto; infatti F (x) = A∩({x}×K) dove A è compatto (è un 2.5 I Teoremi di Tychonov e di Schauder sottoinsieme chiuso di un insieme compatto, K ×K, in uno spazio di Hausdorff, X × X) e {x} è chiuso (X è T2 e dunque anche T1). Mostriamo ora che per S ogni {x1 , . . . , xm } ⊂ K risulta conv{x1 . . . xm } ⊂ m i=1 F (xi ). Per assurdo, supponiamo che esistano {x1 , . . . , xm } ⊂ K tali che esista x̄ ∈ conv{x1 . . . xm } S ma x̄ ∈ / m / F (xi ) per x = 1, . . . , m e quindi, per la i=1 F (xi ). Allora x̄ ∈ condizione (iii) sappiamo che gli (xi , x̄) sono in un insieme convesso. Questo insieme convesso contiene anche (x̄, x̄) (poiché x̄ ∈ conv{x1 . . . xm }). Allora il punto (x̄, x̄) non appartiene ad A, e questo contraddice (ii). Siamo ora in grado di enunciare e dimostrare il Teorema di Tychonov. Teorema 2.5.2 (Tychonov). Sia X uno spazio vettoriale topologico reale localmente convesso di Hausdorff, e sia K un insieme non vuoto compatto e convesso in X. Se f : K → K è una funzione continua, allora f ha almeno un punto fisso. Dimostrazione. (I) Sia {pλ }λ∈Λ una famiglia di seminorme continue che definisce la topologia localmente convessa di X, e poniamo per λ ∈ Λ, Eλ = {y ∈ K | pλ (y − f (y)) = 0}. T (II) Per dimostrare il teorema basta mostrare che λ∈Λ Eλ 6= ∅. Infatti, se T ȳ ∈ λ∈Λ Eλ allora per ogni λ ∈ Λ pλ (ȳ − f (ȳ)) = 0 e quindi ȳ − f (ȳ) = 0 perché lo spazio è di Hausdorff, cioè ȳ è un punto fisso di f . (III) Dalla continuità delle seminorme pλ segue che gli Eλ sono sottoinsiemi chiusi di T un insieme compatto K, e quindi per dimostrare che λ∈Λ Eλ 6= ∅ dobbiamo solamente dimostrare che {Eλ }λ∈Λ ha la proprietà dell’intersezione finita. T Siano dunque {λ1 , . . . , λn } ⊂ Λ e mostriamo che ni=1 Eλi 6= ∅, cioè che Tn 6 ∅, o in altre parole che i=1 {y ∈ K | pλi (y − f (y)) = 0} = {y ∈ K | n X i=1 pλi (y − f (y)) = 0} = 6 ∅. 27 28 2. Il Teorema di Schauder (IV) Poniamo A = {(x, y) ∈ K × K | Pn i=1 pλi (x − f (y)) ≥ Pn i=1 pλi (y − f (y))} e mostriamo che A soddisfa le ipotesi del Lemma 2.5.1. Fatto ciò abbiamo concluso, dato che per il Lemma 2.5.1 esiste y0 tale che per ogni x ∈ K, P P (x, y0 ) ∈ A i.e. ni=1 pλi (x − f (y0 )) ≥ ni=1 pλi (y0 − f (y0 )), per ogni x in K e dunque, ponendo x = f (y0 ), si ha 0= n X pλi (f (y0 ) − f (y0 )) ≥ i=1 e quindi y0 ∈ Tn i=1 n X pλi (y0 − f (y0 )) ≥ 0 i=1 Eλi . (V) È ovvio che (x, x) ∈ A e che, dalla continuità di f e delle pλ , A è chiuso in K × K: abbiamo provato che (i) e (ii) sono dunque soddisfatte. Per vedere (iii), fissiamo y ∈ K e mostriamo che l’insieme {x ∈ K | (x, y) ∈ / A} = Pn Pn {x ∈ K | i=1 pλi (x − f (y)) < i=1 pλi (y − f (y))} è convesso oppure vuoto. Supponiamo allora che contenga almeno due punti, cioè n X pλi (xk − f (y)) < n X pλi (y − f (y)) i=1 i=1 con k = 1, 2, x1 6= x2 e proviamo che n X pλi (ϑx1 + (1 − ϑ)x2 − f (y)) < i=1 n X pλi (y − f (y)) i=1 per ogni ϑ ∈ [0, 1]. Questo segue immediatamente dalle disuguaglianze: n X pλi (ϑx1 +(1−ϑ)x2 −f (y)) = i=1 n X pλi (ϑx1 +(1−ϑ)x2 −ϑf (y)−(1−ϑ)f (y)) ≤ i=1 ≤ n X ϑpλi (x1 − f (y)) + i=1 < n X i=1 n X (1 − ϑ)pλi (x2 − f (y)) < i=1 n n X X ϑpλi (y − f (y)) + (1 − ϑ)pλi (y − f (y)) = pλi (y − f (y)). i=1 i=1 2.5 I Teoremi di Tychonov e di Schauder Quando X è uno spazio di Banach il Teorema di Tychonov si riduce al Corollario 2.2.2. In base all’Osservazione 2.2.1, otteniamo dunque Corollario 2.5.3 (Schauder). Sia X uno spazio di Banach, M ⊆ X chiuso, limitato e convesso. Sia T : M → M un operatore compatto. Allora T ha un punto fisso. 29 30 2. Il Teorema di Schauder Capitolo 3 Applicazioni 3.1 Il Teorema della Curva di Jordan Definizione 3.1.1. L’immagine omemorfa di un intervallo chiuso [a, b] in RN è detto un arco e l’immagine omemorfa di una circonferenza è detta una curva di Jordan. Un classico teorema di topologia è il Teorema della curva di Jordan; nonostante la semplicità del risultato, dimostrato rigorosamente per la prima volta nel 1905 da Veblen, tutte le sue dimostrazioni, seppur elementari sono molto lunghe e articolate. La dimostrazione qui data riprende quella data da Moise (trasparente e intuitiva nonostante la lunghezza) eliminandone le parti più laboriose grazie al Teorema di Brouwer. Teorema 3.1.1 (Teorema della curva di Jordan). Il complementare in R2 di una curva di Jordan J ha due componenti connesse, una limitata e una illimitata, ognuna delle quali ha J come frontiera. Osservazione 3.1.2. Iniziamo con due semplici osservazioni: 1. R2 \ J ha esattamente una componente illimitata. 2. Ogni componente di R2 \ J è connessa per archi e aperta. La (1) segue dalla limitatezza di J, la (2) dalla locale connessione per archi degli aperti di R2 e dal fatto che J ⊆ R2 è un sottoinsieme chiuso. 31 32 3. Applicazioni Lemma 3.1.2. Se R2 \ J è sconnesso, allora ogni sua componente connessa ha J come frontiera. Dimostrazione. (I) Per ipotesi R2 \ J ha almeno due componenti connesse. Sia U una componente qualsiasi. Poiché ogni altra componente W è disgiunta da U e aperta, W non contiene nessun punto di U e quindi nessun punto di ∂U = U ∩ U c . Allora ∂U ⊆ J perché W è arbitraria. (II) Supponiamo ∂U 6= J. Allora esiste una arco A ⊂ J tale che ∂U ⊆ A. Vogliamo vedere che questa ipotesi porta ad una contraddizione. Per ipotesi e dall’Osservazione 3.1.2, R2 \ J ha almeno una componente limitata. Sia p un punto in questa componente. Se U stesso è limitato prendiamo p ∈ U . Sia D un disco chiuso di raggio σ > 0 sufficientemente grande, centrato in p, da contenere J al suo interno. Allora ∂D è contenuto nella componente illimitata di R2 \ J, perché ∂U ⊆ J ⊆ D. Poiché l’arco A è omeomorfo all’intervallo [0, 1], l’identità su A ha un’estensione continua r : D → A per il Teorema 1.1.2. Definiamo q : D → D \ {p} nel modo seguente: se U è limitato, r(z) se z ∈ U , q(z) = z se z ∈ U c . se invece U è illimitato, q(z) = z se x ∈ U , r(z) se x ∈ U c . Essendo ∂U ⊆ A, l’intersezione dei due chiusi U e U c sta in A, sul quale r è l’identità. Allora q è ben definita e continua. Notiamo che q(z) = z se z ∈ ∂D. z−p Sia s : D \ {p} → ∂D la proiezione naturale z 7→ p + σ |z−p| e t : ∂D → ∂D la mappa antipodale. Allora t ◦ s ◦ q : D → ∂D ⊆ D è continua e non ha punti fissi (perché su ∂D è la mappa antipodale). Questo contraddice il Teorema di Brouwer. 3.1 Il Teorema della Curva di Jordan 33 Osservazione 3.1.3. Osserviamo che questa dimostrazione contiene implicitamente il fatto che nessun arco separa R2 , lemma spesso usato per dimostrare il Teorema della curva di Jordan. Definizione 3.1.4. Dati a, b, c, d ∈ R, con a < b, c < d, sia R(a, b; c, d) = {(x, y) ∈ R2 | a ≤ x ≤ b, c ≤ y ≤ d}, cioè è il rettangolo [a, b] × [c, d]. Lemma 3.1.3. Siano α(t) = (x(t), y(t)) e β(t) = (u(t), v(t)) con t ∈ [−1, 1] cammini continui in R(a, b; c, d) che soddisfano x(−1) = a, x(1) = b, v(−1) = c, v(1) = d. Allora i due cammini si incontrano, i.e. α(s) = β(t) per qualche s, t ∈ [−1, 1]. Dimostrazione. Supponiamo α(s) 6= β(t) per ogni s, t ∈ [−1, 1]. Sia N (s, t) = max{|x(s) − u(t)|, |y(s) − v(t)|}. Allora N (s, t) 6= 0 per ogni s, t. Definiamo un’applicazione continua F : R(−1, 1; −1, 1) → R(−1, 1; −1, 1), u(t) − x(s) y(s) − v(t) F (s, t) = , . N (s, t) N (s, t) L’immagine di F è contenuta nel bordo del rettangolo grazie alla definizione di N . Vogliamo vedere che F non ha punti fissi, per ottenere una contraddizione al Teorema di Brouwer. Supponiamo F (s0 , t0 ) = (s0 , t0 ). Per quanto appena detto o |s0 | = 1 o |t0 | = 1. Supponiamo s0 = −1. Per ipotesi la prima coordinata di F (−1, t0 ) è non negativa, cioè u(t0 )−a N (−1,t0 ) ≥ 0 e quindi è diversa da s0 . Procedendo analogamente negli altri tre casi, si vede che F non ha punti fissi, il che contraddice il Teorema di Brouwer. Dimostrazione del Teorema 3.1.1. Grazie al Lemma 3.1.2 è sufficiente dimostrare che R2 \ J ha un’unica componente connessa limitata. (I) Vogliamo scegliere un certo punto z0 ∈ R2 \ J. Poiché J è compatto, esistono a, b ∈ J tale che la distanza ka − bk è massima. Assumiamo a = (−1, 0) e b = (1, 0) a meno di rotazione, traslazione o dilatazione. Allora il rettangolo R(−1, 1; −2, 2) contiene J e il suo bordo Γ interseca J esattamente nei due 34 3. Applicazioni punti a e b. Sia n il punto medio del segmento orizzontale superiore di R(−1, 1; −2, 2) e s quello del segmento orizzontale inferiore, i.e. n = (0, 2) e s = (0, −2). Il segmento ns interseca J per il Lemma 3.1.3. Sia l il punto con ordinata massima in ns ∩ J. I punti a e b dividono J in due archi, denotiamo con con Jn quello che contiente l, con Js l’altro. Sia m il punto con ordinata minima in Jn ∩ ns (magari m = l). Allora il segmento ms interseca Js , c + ms, dove lm c è il sottoarco di Jn con estremi l altrimenti il cammino nl + lm e m, non incontrerebbe Js , contraddicendo il Lemma 3.1.3. Siano p e q i punti con ordinata massima e minima, rispettivamente, in Js ∩ ms. Infine, sia z0 il punto medio del segmento mp. n l Jn m a z b 0 p w Js q s (II) Vogliamo ora dimostrare che la componente U che contiene z0 è limitata. Supponiamo allora che U sia illimitata e vogliamo arrivare ad una contraddizione. Poiché U è connessa per archi esiste un cammino α in U 3.2 Punti fissi per multifunzioni da z0 a un punto esterno a R(−1, 1; −2, 2). Sia w il primo punto in cui α interseca Γ (bordo di R(−1, 1; −2, 2)); ovviamente w 6= a e w 6= b. Chiamiamo αw la parte di α che va da z0 a w. Se w è nella metà inferiore di Γ, possiamo trovare un cammino w cs in Γ da w a s che non contiene né a né b. Consideriamo c + mz0 + αw + w ora il cammino nl + lm cs. Questo cammino non interseca Js , contraddicendo il Lemma 3.1.3. Analogamente, se w è nella metà superiore di Γ, il cammino sz0 + αw + wn, c dove wn c è il cammino più corto in Γ da w a n, non interseca Jn . La contraddizione mostra che U è una componente limitata. (III) Vogliamo infine dimostrare che non esistono altre componenti limitate di R2 \ J. Supponiamo che ne esista un’altra, W 6= U . Chiaramente W ⊆ c + mp + pq R(−1, 1; −2, 2). Denotiamo con β il cammino nl + lm b + qs, dove pq b è il sottoarco di Js da p a q. Come si può facilmente verificare, β non contiene punti di W . Poiché a e b non appartengono a β, esistono due loro intorni, Va e Vb rispettivamente, tali che nessuno dei due contiene punti di β. Dal Lemma 3.1.2, a e b sono nella chiusura di W , e quindi esistono a1 ∈ W ∩ Va e b1 ∈ W ∩ Vb . Dato che W è connesso, sia ad 1 b1 un cammino da a1 a b1 in W . Allora il cammino aa1 + ad 1 b1 + b1 b non interseca β. Questo contraddice il Lemma 3.1.3 e conclude la dimostrazione. 3.2 Punti fissi per multifunzioni 3.2.1 Preliminari sulle multifunzioni Introduciamo innanzitutto alcune notazioni. Notazioni 3.2.1. Se X e Y sono spazi vettoriali topologici non vuoti, poniamo: 2Y• = {M ∈ P(Y ) | M 6= ∅}, 2Yc = {M ∈ P(Y ) | M è chiuso}, 35 36 3. Applicazioni 2Yk = {M ∈ P(Y ) | M è convesso}, 2Y•c = 2Y• ∩ 2Yc , 2Y•k = 2Y• ∩ 2Yk , 2Y•ck = 2Y•c ∩ 2Y•k . Se f : X → 2Y• è un’applicazione, definiamo GXY (f ) = {(x, y) ∈ X × Y | y ∈ f (x)} il grafico di f . dati È ora necessario dotare questi spazi di una topologia, cosa che ci permetterà di parlare, in qualche senso che chiariremo a breve, di continuità. Definizione 3.2.2. Sia Y uno spazio topologico. La topologia di 2Y• , generata dalla famiglia O + di insiemi del tipo U + = {T ∈ 2Y• | T ⊂ U } = 2U• , dove U è un aperto di Y , è detta la topologia superiore semifinita di Vietoris ed è denotata da V + . Definizione 3.2.3. Siano X, Y spazi topologici e sia f : X → 2Y• . L’applicazione f è detta essere semicontinua superiormente se è continua nella senso della topologia V +. Definizione 3.2.4. Siano X, Y due spazi topologici e f : X → 2Y• . L’applicazione f è detta essere chiusa se GXY (f ) è chiuso in X × Y . Enunciamo ora alcuni risultati che ci saranno utili per provare il Teorema di Kakutani. Lemma 3.2.1. Siano X e Y due spazi topologici compatti di Hausdorff e f : X → 2Y•c . Allora f è semicontinua superiormente se e solo se f è chiusa. Per una dimostrazione di questo risultato rimandiamo a [BC84]. Lemma 3.2.2. Siano X, Y spazi topologici, f : X → 2Y• . Se f è chiusa, allora xn → x0 , yn → y0 e per ognin yn ∈ f (xn ) implica y0 ∈ f (x0 ). Dimostrazione. Per ipotesi (xn , yn ) ∈ GXY (f ) per ogni n, ed esdatisendo il grafico chiuso contiene il limite (x0 , y0 ), ossia y0 ∈ f (x0 ). 3.2 Punti fissi per multifunzioni 3.2.2 Il Teorema di Kakutani Una conseguenza del Teorema di Brouwer è il Teorema di Kakutani che che ne rappresenta la naturale estensione al contesto delle multifunzioni. Analogamente alla dimostrazione del Teorema di Brouwer, premettiamo due lemmi grazie ai quali saremo in grado di dimostrare il teorema. Definizione 3.2.5. Sia Y insieme non vuoto, f : Y → 2Y• una multifunzione. Un punto y ∈ Y è un punto fisso per f se y ∈ f (y). Lemma 3.2.3. Sui compatti la proprietà di punto fisso nel caso di multifunzioni e compatti in Y spazio vettoriale è conservata dalle retrazioni. Dati cioè K e K topologico, se ogni multifunzione semicontinua superiormente f : K → 2K •ck ha un e è una retrazione di K, allora ogni multifunzione semicontinua punto fisso e K e → 2Ke ha un punto fisso. superiormente φ : K •ck e retrazione e φ : K e → 2Ke resta ben definita la Dimostrazione. Data r : K → K •ck multifunzione f = i ◦ φ ◦ r : K → 2K •ck , che è banalmente semicontinua superiormente e quindi, per ipotesi, ha un punto fisso x̄ ∈ K. Poiché i è l’inclusione di insiemi, e e che x̄ ∈ (φ ◦ r)(x̄). Siccome x̄ ∈ K e si ha possiamo dire che x̄ è un punto di K r(x̄) = x̄, e dunque x̄ ∈ φ(x̄). Lemma 3.2.4 (Teorema di Kakutani per i simplessi). Sia simp{x0 , . . . , xN } un Nsimplesso di RN . Se f : S → 2S•ck è semicontinua superiormente, allora ha un punto fisso. Dimostrazione. Similmente alla dimostrazione del Lemma KKM, useremo il fatto che per ogni l ≥ 1 esiste una suddivisione di S in simplessi Σl tale che diam(Σl ) ≤ 1/l. (I) Supponiamo di avere una successione di tali suddivisioni in simplessi di S e definiamo, per ogni l ≥ 1, un’applicazione f (l) : S → S costruita in modo che per ogni vertice v (l) di Σl il punto f (l) (v (l) ) sia appartenente a f (v (l) ), e facciamo successivamente un’estensione lineare in ogni simplesso di Σl . Le f (l) cosı̀ definite sono continue, e dunque, per il Teorema di Brouwer, segue che per ogni l ≥ 1 esiste x̄(l) ∈ S tale che f (l) (x̄(l) ) = x̄(l) . 37 38 3. Applicazioni (II) Siccome Σl è una suddivisione di S possiamo supporre che x̄(l) (l) (l) simp{vj0 , . . . , vjN } x̄ ∈ e che (l) = N X (l) (l) αji vji , con (l) αji ≥0e i=0 N X (l) αji = 1; i=0 Dalla linearità di f in ogni simplesso Σl segue che (l) (l) f (x̄ ) = N X (l) (l) αji f (l) (vji ). i=0 Eventualmente passando a sottosuccessioni (che denoteremo allo stesso modo), possiamo assumere che lim l→∞ (l) vji = vi lim x̄ (l) l→∞ = x̄ lim l→∞ (l) αji = αi αi ≥ 0 e N X αi = 1. i=0 Inoltre, liml→∞ diam(Σl ) = 0 e quindi abbiamo vi = x̄, per i = 0, . . . , m e (l) (l) quindi liml→∞ vji = x̄. Siccome a meno di estratte esistono liml→∞ f (l) (vji ) = ti , abbiamo anche x̄ = lim x̄(l) = lim f (l) (x̄(l) ) = lim l→∞ l→∞ l→∞ N X i=0 (l) (l) αji f (l) (vji ) = N X αi ti . i=0 (II) Dobbiamo mostrare che x̄ è un punto fisso di f , mostrando che tji ∈ f (x̄) e usando il fatto che f (x̄) è convesso. Dalla definizione di f (l) abbiamo che per (l) (l) costruzione vji , f (l) (vji ) ∈ GSS (f ). Poiché f è semicontinua superiormente, grazie ai Lemmi 3.2.1 e 3.2.2, abbiamo (x̄, ti ) ∈ GSS (f ) e quindi x̄ ∈ f (x̄) perché f (x̄) è convesso. Teorema 3.2.5 (Kakutani). Sia K un insieme convesso compatto e non vuoto di RN . Se f : K → 2K •ck è una multifunzione semicontinua superiormente, allora f ha un punto fisso, i.e. esiste x̄ ∈ K tale che x̄ ∈ f (x̄). 3.3 Equazioni differenziali ordinarie Dimostrazione. Essendo K compatto in RN , è limitato, ed è dunque contenuto in un qualche N-simplesso S. Dal Lemma 3.2.4 sappiamo che S ha la proprietà di punto fisso per multifunzioni f : S → 2S•ck semicontinue superiormente. Essendo K compatto e convesso è un retratto di S grazie al Lemma 1.7.1, e dunque per il Lemma 3.2.3 anche su K vale la proprietà di punto fisso. 3.3 Equazioni differenziali ordinarie Presentiamo innanzitutto un risultato preliminare, il Teorema di Ascoli-Arzelà, che ci servirà per dimostrare la compattezza di un operatore integrale su spazi di funzioni continue. 3.3.1 Il Teorema di Ascoli-Arzelà Definizione 3.3.1. Sia X uno spazio metrico, Y uno spazio di Banach. H ⊆ C (X, Y ) si dice (uniformemente) equicontinuo se per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che per ogni f ∈ H, d(x, y) < δ implica kf (x) − f (y)k < ε. Teorema 3.3.1 (Ascoli-Arzelà). Sia X spazio metrico compatto, Y uno spazio di Banach e C (X, Y ) = {f : X → Y | f continua } lo spazio di Banach con kf k = supx∈X kf (x)k. Un sottoinsieme H ⊆ C (X, Y ) è relativamente compatto se e solo se: (i) H è equicontinuo, (ii) ∀ x ∈ X, H(x) = {f (x) | f ∈ H} è relativamente compatto in Y (i.e. H è puntualmente relativamente compatto). Dimostrazione. (I) Dimostriamo che se H ⊆ C (X, Y ) è relativamente compatto, allora valgono (i ) e (ii ). La (ii ) segue dal fatto che ϕx : C (X, Y ) → Y , definita da ϕx (f ) = f (x), è continua per ogni x ∈ X. Infatti, poiché l’immagine di insiemi (relativamente) compatti tramite funzioni continue è (relativamente) compatta, ϕx (H) = H(x) è relativamente compatto. Per vedere (i) sia ε > 0. 39 40 3. Applicazioni Poiché H è compatto, esiste una ε/3-rete finita B(fi , ε/3) per H. Essendo le fi uniformemente continue (continue su un compatto), per ogni i esiste δi tale che kfi (x) − fi (y)k < ε/3 se d(x, y) < δi . Sia δ = mini δi . Allora se f ∈ H e d(x, y) < δ, si ha, scelto i tale che f ∈ B(fi , ε/3), kf (x) − f (y)k ≤ kf (x) − fi (x)k + kfi (x) − fi (y)k + kfi (y) − f (y)k < ε/3 + ε/3 + ε/3 = ε, e dunque vale (i ). (II) Viceversa, dimostriamo ora che (i ) e (ii ) implicano che H sia relativamente compatto in C (X, Y ). Per dimostrare che H è compatto è sufficiente dimostrare che ogni successione in H ammette una sottosuccessione convergente in C (X, Y ). (II-A) Sia {fn } una successione in H. Per ogni ε > 0, esiste una sottosuccessione (ε) (ε) (ε) {fn } tale che kfn − fm k < ε se n, m ≥ 1. Infatti, fissato ε > 0, dall’equicontinuità segue che per ogni x ∈ X esiste Ux intorno aperto di x tale che kfn (u) − fn (v)k < ε/3 per u, v ∈ Ux . La compattezza di X implica l’esistenza di un numero finito di punti x1 , . . . , xk tali che X = Ux1 ∪ · · · ∪ Uxk , Poiché ogni H(xi ) è relativamente compatto in Y , esiste una sottosuccessione {fnk }, data in modo tale che {fnk (xi )} converge per ogni i; tale sottosuccessione si costruisce prendendo una sottosuccessione convergente in x1 , di questa una sottosuccessione convergente in x2 e cosı̀ via, in un numero finito di passi. Dalla convergenza di {fnk } sugli xi segue l’esistenza di Kε tale che kfnk0 (xi )−fnk00 (xi )k < ε/3 se k 0 , k 00 ≥ Kε . Siano ora u ∈ X e iu ∈ {1, . . . , k} tale che u ∈ Uxiu . Per ogni k 0 , k 00 ≥ Kε si ha kfnk0 (u) − fnk00 (u)k ≤ kfnk0 (u) − fnk0 (xiu )k + kfnk0 (xiu ) − fnk00 (xiu )k + kfnk00 (xiu ) − fnk00 (u)k < ε/3 + ε/3 + ε/3 = ε. L’affermazione dunque è (ε) vera prendendo {fn } uguale a {fnk }k≥Kε . (II-B) Consideriamo ora una qualsiasi successione {fn } in H e costruiamo una sua sottosuccessione convergente in C (X, Y ). Applichiamo quanto appena dimostrato a {fn } con ε = 1. Otteniamo una sottosuccessione (1) (1) (1) {fn } tale che kfn − fm k < 1. Scegliamo ora ε = 1/2, ottendendo (1) (1/2) da {fn } una sottosuccessione {fn (1/2) } tale che kfn (1/2) − fm k < 1/2 3.3 Equazioni differenziali ordinarie 41 e procediamo successivamente per ogni ε = 1/k. Definiamo quindi una (1/k) sottosuccessione {f˜k } di {fn }, ponendo f˜k = fk , k ≥ 1. È evidente che {f˜k } è una sottosuccessione di {fn } e che kf˜k0 − f˜k00 k < 1/k, se k 0 ≥ k e k 00 ≥ k. Allora {f˜k } è di Cauchy e dunque, essendo C (X, Y ) uno spazio di Banach, è una sottosuccessione convergente. 3.3.2 Il Teorema di esistenza di Peano Consideriamo il problema di Cauchy ( x0 (t) = f (t, x(t)) (3.1) x(t0 ) = y0 per x : [t0 − c, t0 + c] → Y , dove Y è uno spazio di Banach e y0 ∈ Y . Supponiamo che f sia compatta, invece dell’ipotesi di lipschitzianità del classico Teorema di esistenza e unicità di Picard-Lindelöf. Osservazione 3.3.2. Per (3.1) non c’è in generale unicità, ad esempio se Y = R il problema ( p x0 (t) = 2 |x(t)| x(0) = 0 ammette infinite soluzioni. Infatti xa (t) = 0 se t ≤ a (t − a)2 se t ≥ a è soluzione per ogni a ≥ 0. Nell’ipotesi di sola continuità è valido un risultato di esistenza, dovuto a Peano, almeno nel caso che Y abbia dimensione finita. Ne presentiamo una versione generalizzata a spazi di dimensione infinita. Teorema 3.3.2 (Peano). Siano t0 ∈ R, y0 ∈ Y punti assegnati e Qab = {(t, y) ∈ R × Y | |t − t0 | ≤ a, ky − y0 k ≤ b} con 0 < a, b < ∞ numeri fissati. Supponiamo 42 3. Applicazioni f : Qab → Y compatta e limitata, kf (t, y)k ≤ K, ∀(t, y) ∈ Qab , K > 0. Sia c = min{a, b/K}. Allora il problema di Cauchy in (3.1) ha almeno una soluzione in C 1 ([t0 − c, t0 + c]; Y ). (I) Sia X = C([t0 − c, t0 + c]; Y ) spazio di Banach con norma Dimostrazione. kxkX = maxt∈[t0 −c,t0 +c] kx(t)k, e M = {x ∈ X | kx − y0 kX ≤ b}. Come per il Teorema di Picard-Lindelöf, consideriamo l’equivalente equazione integrale di Volterra Z t f (s, x(s)) ds x(t) = y0 + t0 Sia z(t) la funzione definita dal secondo membro dell’equazione e poniamo T (x) = z. Allora il Problema 3.1 può essere riscritto come un problema di punto fisso, x = T (x), con x ∈ M ⊆ X. Poiché kx − y0 kX ≤ b, abbiamo kz − y0 kX ≤ cK ≤ b e quindi T (M ) ⊆ M e kz(t1 ) − z(t2 )k ≤ K|t1 − t2 |, per ogni t1 , t2 ∈ [t0 − c, t0 + c], cioè z è (uniformemente) continua e T (M ) è un insieme equicontinuo in X. Se poniamo N (t) = y0 + (t − t0 )conv{f (s, x(s)) | s ∈ [t0 − c, t0 + c]}, allora z(t) ∈ N (t), perché l’integrale è il limite delle somme di Riemann. (II) L’insieme T (M ) è relativamente compatto in X. Abbiamo visto che le funzioni z ∈ T (M ) sono (uniformemente) equicontinue e che per ogni t ∈ [t0 − c, t0 + c] appartengono a N (t), che per il Teorema di Mazur e l’ipotesi su f , è compatto. Allora, per il Teorema di Ascoli-Arzelà T (M ) è relativamente compatto. (III) L’operatore T è continuo su M . Infatti, sia xn → x in X. Per la definzione di T , abbiamo kT (xn ) − T (x)kX ≤ c sup kf (s, xn (s)) − f (s, x(s))k → 0, se n → ∞. s∈[t0 −c,t0 +c] Infatti, se cosı̀ non fosse, esisterebbe un ε0 > 0 e, a meno di estratte, una successione {sn } in [t0 − c, t0 + c] tale che kf (sn , xn (sn )) − f (sn , x(sn ))k ≥ ε0 . 3.4 Sottospazi invarianti e Teorema di Lomonosov 43 Inoltre esiste una sottosuccessione, che denotiamo ancora con {sn }, e un s0 tale che sn → s0 se n → ∞, e kxn (sn ) − x(s0 )k ≤ kxn (sn ) − x(sn )k + kx(sn ) − x(s0 )k → 0, se n → ∞. Ma {xn } è uniformente convergente, x è continua e f è continua e quindi sia f (sn , x(sn )) sia f (sn , xn (sn )) convergono a f (s0 , x(s0 )), che contraddice l’ipotesi fatta. (IV) Allora, per il Teorema di Schauder, T ha un punto fisso su M che è quindi una soluzione continua dell’equazione integrale, e dunque una soluzione C 1 del Problema 3.1 nell’intervallo [t0 − c, t0 + c]. 3.4 Sottospazi invarianti e Teorema di Lomonosov Un’altra importante applicazione del Teorema di Schauder è l’esistenza di sottospazi invarianti per certi operatori continui su spazi di Banach. Iniziamo con qualche definizione. Definizione 3.4.1. X spazio di Banach complesso, T ∈ L (X). Un sottospazio invariante per T è un sottospazio vettoriale chiuso M di X tale che T x ∈ M ogni volta che x ∈ M . M è non banale se M 6= ∅, X. Denotiamo con Lat T la collezione di tutti i sottospazi invarianti per T , i.e. Lat T = {M ⊆ X | T (M ) ⊆ M }. Se T A ⊆ L (X), Lat A = {Lat T | T ∈ A} = {M ⊆ X | T (M ) ⊆ M ∀T ∈ A}. Proposizione 3.4.1. (a) Se M1 , M2 ∈ Lat T , allora M1 ∨ M2 = span(M1 ∪ M2 ) = span(M1 ) ⊕ span(M2 ) e M1 ∧ M2 = M1 ∩ M2 ∈ Lat T . W S L (b) Se {Mi | i ∈ I} ⊆ Lat T , allora {Mi } = span( i∈I Mi ) = i Mi e V T {Mi } = i∈I Mi appartengono a Lat T . Viene naturale chiedersi quali ipotesi vadano fatte su un dato operatore affinché esistano sottospazi invarianti non banali. Read, nel 1984 mostrò l’esistenza di uno 44 3. Applicazioni spazio di Banach e di un operatore su questo spazio privo di sottospazi invarianti non banali. Prima di lui, Enflo ottenne lo stesso risultato. In seguito Beauzamy (1985) e Read (1986) raffinarono questi risultati, non rispondendo comunque alla domanda. Quali spazi di Banach hanno la proprietà che esiste un operatore continuo privo di sottospazi invarianti non banali? Se X è riflessivo, è vero che Lat T è non banale per ogni T ∈ L (X)? La domanda rimane aperta anche se si considerano spazi di Hilbert. In ogni caso per alcune classi di operatori è possibile dare una risposta; mostrando ad esempio che ogni operatore compatto ha sottospazi invarianti non banali. Esempı̂ 3.4.2. 1) Se X è uno spazio di Banach complesso finito dimensionale e T ∈ L (X), allora Lat T è non banale. Infatti sia X = Cd e sia T una matrice. Allora p(z) = det(T − zI) è un polinomio di grado d. Sia α una radice di p; allora det(T − αI) = 0 e quindi (T − αI) non è invertibile. Allora N = ker(T − αI) 6= {0}. Sia M ⊆ N , M 6= {0}. Se x ∈ M , allora T x = αx ∈ M , e quindi M ∈ Lat T . 2) Se T = 01 −1 su R2 , allora Lat T è banale. Infatti, se cosı̀ non fosse esisterebbe 0 uno spazio uno dimensionale M in Lat T . Sia M = {αe | α ∈ R}. Poiché M ∈ Lat T , T e = λe per qualche λ ∈ R. Abbiamo T 2 e = T (T e)) = λT e = λ2 e. Ma T 2 = −I, quindi −e = λ2 e, cioè λ2 = −1, il che è impossibile se λ è reale. 3) Se S : `p → `p è definito da S(α1 , α2 , . . . ) = (0, α1 , α2 , . . . ) e Mn = {x ∈ `p | xk = 0 1 ≤ k ≤ n}, allora Mn ∈ Lat S. Il risultato che segue è dovuto a Lomonosov (1973). Quando apparve provocò grande entusiasmo, sia per la forza delle sue conclusioni, sia per la semplicità della sua dimostrazione, che usa il Teorema di punto fisso di Schauder. Definizione 3.4.3. Se T ∈ L (X), allora un sottospazio iperinvariante per T è un sottospazio M ⊆ X tale che A(M ) ⊆ M per ogni operatore A nel commutante di T , (T )0 , i.e. A(M ) ⊆ M per ogni A ∈ L (X) tale che AT = T A. Osservazione 3.4.4. Ovviamente T ∈ (T )0 , per ogni T ∈ L (X). Dunque ogni sottospazio iperinvariante per T è anche un sottospazio invariante per T . 3.4 Sottospazi invarianti e Teorema di Lomonosov Teorema 3.4.2 (Lomonosov). Sia X uno spazio di Banach su C, sia T ∈ L (X), T 6= λI e tale che T K = KT per qualche operatore compatto non nullo K. Allora T ha un sottospazio iperinvariante non banale. Premettiamo il seguente risultato. Lemma 3.4.3 (Lomonosov). Sia A una sottoalgebra di L (X) tale che I ∈ A e Lat A = {∅, X}. Sia K : X → X un operatore compatto non banale. Allora esiste A ∈ A tale che ker(AK − I) 6= {0}. Dimostrazione. Possiamo assumere che kKk = 1, infatti essendo A una sottoalgebra, nel caso che sia kKk = 6 1, l’operatore cercato sarà definito da e = kKk−1 A. A (I) Fissiamo x0 ∈ X tale che kKx0 k > 1 e poniamo S = {x ∈ X | kx − x0 k ≤ 1}. Possiamo facilmente verificare che 0 ∈ / S e che 0 ∈ / K(S), infatti se 0 ∈ S avremmo kx0 k ≤ 1, il che è assurdo poiché kKk = 1 e kKx0 k > 1; inoltre, abbiamo kKxk = kK(x − x0 ) + Kx0 k ≥ kKx0 k − kK(x − x0 )k ≥ kKx0 k − kKkkx − x0 k ≥ kKx0 k − 1 > 0, per ogni x ∈ S e quindi 0 ∈ / K(S). (II) Se x ∈ X e x 6= 0, {T x | T ∈ A} è un sottospazio invariante per A (perché A è un’algebra) che contiene un vettore nonnullo x (perché I ∈ A). Allora, per ipotesi, {T x | T ∈ A} = X. Dal fatto che 0 ∈ / K(S) sappiamo che che per ogni y ∈ K(S) esiste T ∈ A tale che kT y − x0 k < 1. Equivalentemente, K(S) ⊆ [ {y | kT y − x0 k < 1}. T ∈A Ma K(S) è compatto, quindi esistono T1 , . . . , Tn ∈ A tali che K(S) ⊆ n [ {y | kTi y − x0 k < 1}. i=1 (III) Per y ∈ K(S) e i = 1, . . . , n, sia ai (y) = max{0, 1 − kTj y − x0 k}. Per quanto P detto ni=1 ai (y) > 0 per ogni y ∈ K(S). Siano bi : K(S) → R e ψ : S → X 45 46 3. Applicazioni definite da: ai (y) , bi (y) = Pn j=1 aj (y) ψ(x) = n X bi (Kx)Tj Kx. i=1 Si può facilmente vedere che ai : K(S) → [0, 1] è una funzione continua, e che dunque lo sono anche bi e ψ. (IV) Se x ∈ S, allora Kx ∈ K(S); se bi (Kx) > 0, allora ai (Kx) > 0 e quindi kTj Kx − x0 k < 1, cioè Tj Kx ∈ S ogni volta che bi (Kx) > 0. Poiché S è P convesso e ni=1 bi (x) = 1 per ogni x ∈ S, risulta ψ(S) ⊆ S. S (V) Notiamo che, essendo Tj K compatto, per ogni j, ni=1 Ti K(S) ha chiusura S compatta. Dal Teorema di Mazur (2.2.3) conv( ni=1 Ti K(S)) è compatto. Ma questo insieme compatto contiene ψ(S) e quindi ψ(S) è compatto, cioè ψ è compatta. Dal Teorema di punto fisso di Schauder, esiste x1 ∈ S tale Pn che ψ(x1 ) = x1 . Sia βi = bi (Kx1 ) e A = i=1 βi Ti . Allora A ∈ A e AKx1 = ψ(x1 ) = x1 . Poiché x1 ∈ S, x1 6= 0 e quindi ker(AK − I) 6= {0}. Dimostrazione Teorema 3.4.2. Sia A = (T )0 , in modo tale che A ⊆ L (X) sia un’algebra con unità. Vogliamo mostrare che Lat A = 6 {∅, X}. (I) Se cosı̀ non fosse, il Lemma di Lomonosov implicherebbe l’esistenza di un operatore A ∈ A tale che N = ker(AK − I) 6= {0}. Ma N ∈ Lat(AK) perché AK|N è l’operatore identità e AKN = N . Poiché AK è compatto su X, AK|N = IN è compatto su N e dunque, dal Lemma di Riesz, segue che dim N < ∞. Poiché AK ∈ A = (T )0 , per ogni x ∈ N si ha AK(T x) = T (AKx) = T x e quindi T N ⊆ N . Ma dim N < ∞, quindi T |N deve avere un autovalore λ; allora M = ker(T − λI) 6= {0}, e non essendo T un multiplo dell’identità M 6= X. (II) È facile verificare che M è iperinvariante per T , infatti Am = λ−1 Aλm = λ−1 AT m = λ−1 T Am cioè T (Am) = λ(Am), per ogni m ∈ M e per ogni 3.4 Sottospazi invarianti e Teorema di Lomonosov A ∈ (T )0 . Quindi Am ∈ M per ogni m ∈ M , cioè A(M ) ⊆ M per ogni A ∈ (T )0 . Come semplice conseguenza del Teorema di Lomonosov si ottiene Corollario 3.4.4 (Aronszajn - Smith, 1954). Se K è un operatore compatto su uno spazio di Banach su C, allora Lat K è non banale. Dimostrazione. Se K = 0 o K = λI ogni sottospazio di X è invariante per K. Altrimenti scegliamo T = K in modo che T K = KT e la tesi segue dal Teorema 3.4.2 e dall’Osservazione 3.4.4. 47 48 Bibliografia [BC84] Claudio Baiocchi and Antonio Capelo. Variational and quasivariational inequalities: applications to free boundary problems. Wiley, Chichester, 1984. [Bou74] Nicolas Bourbaki. Topologie générale. Chapitres 5 à 10. Hermann, Paris, 1974. [Bre83] Haı̈m Brezis. Analyse fonctionnelle : thèorie et application. 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Springer, Berlin, 1970. [Zei86] Eberhard Zeidler. Nonlinear functional analysis and its applications, Vol. 1: Fixed-point theorems. Springer, New York, 1986. 50 Ringraziamenti Vorrei ringraziare Paola, Ermanno ed Alessio (o, più in generale, la mia famiglia), ché vivere con me è davvero difficile; Giovanni, perché non avrei mai potuto sperare di trovare un compagno di studi cosı̀ perfetto; Vito, Mauro, Ivan, Stefano per tutte le volte che hanno ascoltato, e spesso risolto, i miei dubbi; Valerio, senza il quale probabilmente non avrei mai varcato la soglia di questo Dipartimento; Adriano Pisante, non so come esprimere la stima che ho di lui e la gratitudine che provo; Marco Isopi, perché “ben poco” è molto di più di quanto mi aspetti dagli esseri umani; il Castelnuovo, perché qui mi sento a casa; Enrico, Chiara (e chissà quanti altri), sono loro che mi hanno permesso di non perdere il senno in questi tre anni; Giulio e Valentina, gli unici che mi sono rimasti amici nonostante mi sia iscritta a Matematica. 51