La filosofia nell’Ottocento 1. La società tedesca di fine Settecento. La cultura tedesca, nel cinquantennio che va dal 1780 al 1830, è la storia della conquista di un primato culturale, concorrenziale con la diffusione della cultura francese e con la grande crescita industriale inglese. La polemica anti-illuministica del Romanticismo e la rinascita dello spirito nazionale, sono gli originali frutti di questo periodo. L’adesione tedesca all’ideologia e al razionalismo Illuministico francese rimase un fatto ristretto a piccole minoranze intellettuali (circoli elitari illuminati aperti alle idee rivoluzionarie francesi) e non mise quasi mai in questione l’ossequio alle forme statali esistenti. Questo è certamente dovuto all’influenza notevole di orientamenti, della cultura tedesca tradizionale, antitetici allo spirito dei “lumi” (= l’eredità protestante, il pietismo e l’irrazionalismo) e dal fatto che dominante, economicamente e socialmente, in Germania è ancora l’aristocrazia oscurantista e reazionaria. La Germania non conosce ancora la rivoluzione industriale inglese e nel perdurare delle sue permanenti strutture feudali e nel suo frazionamento statuale, non ha visto l’emergere di una classe intermedia borghese come protagonista del cambiamento. La Rivoluzione francese suscita, soltanto presso gli intellettuali tedeschi, grandi entusiasmi; lo abbiamo già notato a proposito di Kant e dei Romantici, come Hoelderlin o Goethe Entusiasti della medesima saranno gli idealisti, almeno agli inizi; ma, di fronte al “disordine” ed al terrore della democrazia in Francia, gli entusiasmi si placheranno e se ne concluderà che essa, come modello politico, non è proponibile e non è realizzabile fino a quando un lungo processo di educazione non avrà fatto fare un sensibile progresso alla coscienza morale degli uomini. Non dimentichiamo, inoltre, che la Germania di questo periodo è caratterizzata da una miriade di stati, ancora aderenti al Sacro Romano Impero e che con Federico Guglielmo si troverà coinvolta nel ciclone dell’invasione napoleonica. 2. Da Kant all’Idealismo. 2. 1. L’eredità kantiana. L’atmosfera culturale con cui si apre il nuovo secolo è quella del Romanticismo, alla cui creazione ha concorso in buona parte l’Idealismo tedesco. Questo approfondì alcuni temi lanciati sul tavolo del pensiero dallo stesso Kant, con la pubblicazione delle sue Critiche. Punto di partenza della filosofia ottocentesca è, dunque, ancora Kant. Adorato e contestato, studiato, criticato e difeso egli rimase un caposaldo da cui i filosofi, volenti o nolenti, non poterono prescindere, sia per quanto riguarda la speculazione pura che per quanto riguarda i suoi scritti sulla morale, sulla religione o sulla storia. Due in particolare furono i temi su cui si appuntò il dibattito filosofico tedesco a cavallo tra i due secoli XVIII e XIX, legati tra loro ed entrambi stimolati dalla speculazione kantiana. 1) La cosiddetta “questione della cosa in sé” che Kant aveva lasciato in eredità ai suoi indagatori, che si richiamava alla vecchia questione (sottolineata dall’empirismo inglese, in particolare da Berkeley) circa l’esistenza oggettiva del mondo esterno. 2) Il tema della libertà dell’uomo all’interno di una natura retta da leggi necessarie. In altre parole, come spiegare la libertà della morale umana all’interno della natura che è pura necessità meccanica da cui è preclusa la Libertà? 2. 2 . Il dibattito sulla cosa in sé. Con la pubblicazione della CRP, Kant aveva scatenato un dibattito intellettuale intorno ad una vecchia questione, già presente in Cartesio ed in Berkeley, riguardo all’esistenza oggettiva delle cose al di fuori del soggetto che le conosce. Ricordiamo che Kant aveva sostenuto che la Cosa-in-sé è in-conoscibile, ma non si era mai permesso di affermare che non esistesse, ossia che non sussistesse una realtà al-di-là dei fenomeni, per quanto inarrivabile con la ragione umana. Egli non ha mai negato l’esistenza di oggetti “nello spazio fuori di me”. Essi, secondo Kant, costituiscono l’inevitabile presupposto della mia conoscenza ma non sono oggetto della conoscenza, in quanto costituiscono la realtà noumenica. Kant aveva affermato che: La semplice coscienza - ma empiricamente determinata - della mia propria esistenza dimostra l’esistenza degli oggetti nello spazio fuori di me. Ossia, per Kant, la coscienza della mia esistenza è anche la prova che esiste un mondo di oggetti al di fuori di me (e questa è la grande differenza con Cartesio il quale parte dalla consapevolezza dal dubbio riguardo all’esistenza degli oggetti al di fuori di me per provare la mia stessa esistenza) Quindi, per Kant se esiste un fenomeno (ossia la cosa come-essa- mi- appare, la “cosa-per-me”) deve esistere qualcosa che sia la fonte del fenomeno (la “cosa in sé”). Kant aveva ammesso, in tal modo, che, oltre i limiti del sensibile, esista la realtà dei corpi, la “realtà come essa è” (= la “cosa-in sé”), la quale, incontrando la nostra sensibilità e le nostre “categorie” (= i nostri schemi mentali), determina in noi l’insorgere delle “rappresentazioni fenomeniche”. Dunque, per Kant, esiste la cosaper-me ed esiste anche la cosa-in-sé, quest’ultima completamente ignota ed inattingibile. In questo modo, involontariamente, Kant sollevava una difficoltà che non sfuggì ai suoi più immediati critici o ammiratori che suscitò una serie di polemiche accademiche. Kant avrebbe sollevato un problema, dichiarando esistente, ma al contempo inconoscibile, la cosa in sé. La questione in sostanza era questa: “Come posso affermare come certa, come presupposta, l’esistenza di un substrato oggettivo dei fenomeni (= la cosa in sé) quando poi ne riconosco l’inconoscibilità totale? Restando coerenti ai principi ed ai metodi della filosofia kantiana come posso dichiarare esistente una cosa che, però, non mi è dato conoscere? Il filosofo Heinrich Jacobi (1743-1819) rimproverò al maestro di aver utilizzato la cosa-in-sé, implicitamente, come “causa” dell’insorgere in noi dei fenomeni (cosa che aveva fatto in fondo la filosofia da Talete in poi) applicando all’ambito del noumeno (= un ambito estraneo ai fenomeni) una ca-te-go-ria (quella di “causa”) valida, a dire dello stesso Kant, solo ed esclusivamente per i fenomeni. Gottlob Ernst Shulze (1761-1833), mosse a Kant lo stesso genere di critiche, affermando che Kant sarebbe inciampato nello stesso dogmatismo che voleva combattere. Egli, infatti, esprimendo la necessità di supporre ( dunque “pensare esistente”) il noumeno, avrebbe fatto derivare l’esistenza di un oggetto dalla sua pensabilità: sarebbe incorso, in altre parole, nella stessa rete dogmatica in cui erano incappati i filosofi che intendevano far derivare l’esistenza di Dio dalla sua stessa definizione, saltando dal piano della “possibilità logica” a quello della “realtà ontologica”. Riassumendo: secondo i critici della filosofia kantiana, come può Kant sostenere, anche solo implicitamente, che la cosa-in-sé sia l’origine, la causa delle intuizioni? È evidente che ad essa, in quanto noumeno, non si può applicare la categoria di causalità, che è una delle dodici categorie trascendentali dell’intelletto. Quindi non si può affermare che la cosa in sé sia causa delle intuizioni, anzi, a volere essere più kantiani di Kant, se la cosa-in-sé è inconoscibile, per definizione, come egli stesso afferma (= fa parte del noumeno, soltanto pensabile ma non conosciuto) allora non si può neppure logicamente dire che la cosa in sé esista, perché l’esistenza è essa stessa una delle dodici categorie, quindi, come non si può applicare a Dio, la categoria di esistenza non si può applicare neppure alla Cosa-in-sé. Tali critiche, si basano in realtà su di un fraintendimento che non tiene conto della distinzione sottile, in più luoghi sottolineata da Kant, tra noumeno e cosa in sé che non sono la medesima cosa. Inoltre, lo stesso Kant, nella seconda edizione della CRP aveva bene specificato che la “cosa in sé” non costituisce una realtà cui applicare le categorie, ma è un puro concetto-limite, un semplice memento critico, un promemoria trascendentale, il quale ci ricorda costantemente che l’oggetto conoscibile ci è dato soltanto attraverso il filtro delle forme a priori (è un ens rationis non una realtà corposa). Questa specificazione è rilevata, nel 1787, da Karl Leonard Reinhold, fedele seguace della teoria kantiana e uno dei suoi primi interpreti, per il quale la cosa-in-sé non è da ritenersi qualcosa di esterno al soggetto, ma è da intendersi appartenente alla stessa sfera rappresentativa del soggetto. Nell’intento di salvaguardare il kantismo e difendere il maestro, egli propose di sanare la frattura kantiana tra fenomeno e noumeno interpretandoli non come due termini contrapposti, ma, al contrario, come elementi originati dalla stessa attività unificante del soggetto, l’Io penso. Al di là delle sottigliezze filosofiche che ci deraglierebbero verso un corso monografico su Kant, i Postkantiani, giudicando fi-lo-so-fi-ca-men-te inammissibile (= non fondato, dal punto di vista della coerenza filosofica che contraddistingue Kant) il concetto di Cosa-in-sé, essi hanno contribuito alla disgregazione stessa di questo concetto, aprendo la strada all’eliminazione del dualismo fenomeno/noumeno e alla fondazione dell’Idealismo. Il passaggio all’Idealismo è opera di un inesorabile lavoro di sostanziazione della coscienza conoscente che prende il via con Fichte. Con lo “sgretolarsi” della “cosa in sé”, si disgrega completamente anche il dualismo della conoscenza (da un lato c’è l’io e dall’altro c’è la cosa in sé; da un lato il soggetto che conosce e dall’altro l’oggetto conosciuto); se l’uno dei due poli (la cosa in sé, il mondo oggettivo) si dissolve (quale fondamento della conoscenza) , rimane, per conseguenza, soltanto l’altro (l’io, lo spirito, la coscienza, il soggetto). Dualismo Kantiano Esiste Esiste “Cosa in sé” (oggetto) “Io” (soggetto conoscente) Postkantiani ? Esiste ? Esiste “Cosa in sé” (oggetto) “Io” (soggetto conoscente) Idealismo Non Esiste Esiste “Cosa in sé” (oggetto) “Io” (soggetto conoscente) Riassumendo. 1. L’Io, in Kant, era un’entità li-mi-ta-ta, in quanto non creava la realtà, ma si limitava ad ordinarla, secondo le proprie forme a priori. Sullo sfondo dell’attività di questo io si stagliava un dato, identificabile con il concetto di cosa in sé (= quella X ignota che il filosofo della Critica aveva ammesso per spiegare la recettività dell’atto conoscitivo: se conosco qualcosa deve pur esserci qualcosa da conoscere). 2. I seguaci di Kant, abbiamo visto, avevano messo in discussione la cosa in sé, ritenendola logicamente inammissibile o, perlomeno, discutibile.. 3. Nonostante le specifiche differenze tra loro, però, gli immediati successori di Kant si muovono ancora in un orizzonte prevalentemente gnoseologico e non ancora sistematicamente incentrato su di un’alternativa al criticismo. Questa alternativa si avrà soltanto con l'Idealismo. 3. L’IdealismoTedesco. 3. 1. La Svolta. l'Idealismo sorge quando Fichte fa un “salto”: costruisce una “ nuova metafisica”. 1. Sposta il discorso dal piano gnoseologico (= della conoscenza ) a quello ontologico (= dell’essere) . 2. Abolisce lo “spettro” della “cosa in sé”, ossia, alla luce delle difficoltà generate dal kantismo, rinuncia apertamente alla nozione di “mondo esterno” ed a qualsivoglia realtà estranea all’Io, che, in tal modo, da semplice soggetto del conoscere, legislatore ed ordinatore della natura, come era stato per Kant, diventa un’ente Creatore (= fondamento di tutto ciò che esiste) ed Infinito (privo di limiti esterni, dunque totalmente libero). (un “Io Creatore”?... “Infinito”?... ma che stiamo dicendo?... … Lo vedremo per gradi. E prepariamoci psicologicamente ad una delle filosofie più ostiche ed indigeste finora incontrate). “Tutto è Spirito. Questa la tesi fondamentale dell’idealismo tedesco,.1 che è una forma di Panteismo spiritualistico, (= Dio è lo Spirito operante nel mondo, ossia l’uomo),2 per cui Con il termine Spirito [o con i suoi sinonimi “Io”, “Assoluto”, “Infinito”], gli idealisti intendono la “realtà umana”, considerata come Entità auto-cosciente razionale e pratica ( = un Soggetto conoscente e agente).3 a) In che senso lo Spirito rappresenta la fonte creatrice e infinita di tutto ciò che esiste? b) Cos’è, allora, per gli idealisti, la materia? La risposta a queste legittime domande risiede, in primo luogo, nel presupposto conoscitivo antico, abbracciato dagli idealisti, secondo il quale “ad un principio corrisponde sempre il suo opposto”. Un Soggetto senza un Oggetto, un Io senza un non-io, un’attività senza un ostacolo, sarebbero entità vuote. Di conseguenza ad uno spirito corrisponde la materia nel senso che uno spirito per essere tale “ha bisogno” di una antitesi ed essa è la natura. Ma, mentre le filosofie naturalistiche o materialistiche hanno sempre concepito la “Natura” (= la materia), come causa dello “spirito”, asserendo che l’uomo, come soggetto pensante, è un prodotto o un effetto di essa, gli idealisti, capovolgendo tale prospettiva, dichiarano che è lo Spirito ad essere causa della natura, perché quest’ultima esiste per l’Io ed è in funzione dell’Io, essendo essa semplicemente il materiale o la 1 Abbagnano-Fornero, Filosofi e Filosofie nella Storia, vol. 3. Paravia, pag. 53. Esso si distingue sia dal Panteismo Naturalistico di Spinoza (Deus sive Natura) e dal Trascendentismo ebraicocristiano (= Dio è Persona esistente al di fuori dell’Universo). 3 Lo spirito coincide con l’umanità, intesa non come razza biologica particolare ma come attività razionale e autoconsapevole la quale potrebbe anche venire da Plutone ed avere due teste. N.d.R. 2 scena della sua attività, il polo dialettico del suo essere. La natura esiste solo perché l’Io possa agire. In altri termini: Lo Spirito, l’Io, crea la realtà nel senso che l’uomo (dal momento in cui si fa auto-coscienza) rappresenta la ragione d’essere dell’universo, che in esso trova il suo scopo (in quanto l’Io è in grado di pensare la natura). La Natura esiste solamente perché esiste lo Spirito, il quale necessita di essa come suo opposto; la natura esiste non come “realtà a sé stante”, ma come momento dialettico necessario nella vita dello Spirito il quale solo esiste e “crea” la natura affinché esso possa contemplarla e la “crea” nel momento stesso in cui si rende conto di essa, poiché essa è il suo opposto. Questa posizione filosofica è bene espressa, in senso poetico, nel racconto di Novalis “I discepoli di Sais”, nel quale ad uno dei discepoli, andando alla ricerca di sé, accadde di sollevare il velo dal volto della Dea e vide se stesso. La Dea Sais sarebbe il simbolo del mistero dell’universo, quell’uno che giunge a scoprirla è il filosofo idealista, che dopo una lunga ricerca si rende conto che la chiave esplicativa di ciò che esiste (vanamente cercata fuori dell’uomo, in un Dio trascendente o nella Natura) si trova invece nell’uomo stesso, ovvero nello Spirito. Ma se l’uomo è la “ragione d’essere” (la causa) e lo scopo (il fine) dell’universo, che sono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale ha da sempre attribuito alla divinità, questo vuol dire che l’uomo coincide con la divinità stessa (e si spiega anche perché gli idealisti scrivano i termini di Assoluto, Io, Spirito sempre con la lettera maiuscola). Con l’idealismo ci troviamo per la prima volta nella storia del pensiero di fronte ad un panteismo spiritualistico (= Dio è lo Spirito che è nell’uomo e che opera nel mondo).4 Idealismo: breve Analisi del Termine A. In senso comune, è idealista colui che, in nome di ideali etici, religiosi, politici, è disposto a sacrificare per essi la propria famiglia, la propria libertà o la propria vita. B. In senso filosofico, il termine comprende quelle filosofie che, come il platonismo, che fanno dell’idea (= il pensiero o il soggetto) il principio primo da cui nasce e si deduce la realtà concreta (l’essere o l’oggetto): Distinguiamo: L’ Idealismo gnoseologico. La posizione di quelle filosofie che riducono l’oggetto della conoscenza a pura Rappresentazione dell’io (Idealismo problematico di Cartesio, con il Cogito; Idealismo dogmatico di Berkeley, con il suo esse est percipi. Anche il criticismo, per anni è stato interpretato come una forma di Idealismo trascendentale, nonostante Kant si sia sempre dichiarato anti-idealista ed abbia scritto una confutazione dell’Idealismo di Cartesio e Berkeley). L’Idealismo Assoluto. È la corrente filosofica che in questa sede abbiamo preso in esame. Intento filosofico di questa corrente è quello di eliminare il dualismo fenomeno-noumeno, che Kant ha lasciato in eredità. È questo un idealismo “Assoluto”, perché la tesi di fondo è l’affermazione che l’Io (= lo Spirito) è il principio Unico, sia del soggetto che conosce che dell’oggetto conosciuto, e che fuori da esso non c’è nulla. Questo tipo di idealismo si distingue da quello, ad esempio, di Spinoza il quale aveva sì eliminato il dualismo e ridotto la realtà ad un principio unico, la “sostanza”, ma questa sostanza era intesa in termini di oggetto (= la natura) e non di soggetto(Io). Si è parlato di Idealismo “Etico” in Fichte, “Estetico” in Shelling e “Dialettico” in Hegel. Difficoltà dell’Idealismo 4 Abbagnano-Fornero, Filosofi e Filosofie nella Storia, vol. 3. Paravia, pag. 54. L’idealismo è una filosofia indubbiamente complessa, capace di terrorizzare quanti l’affrontino in sede scolastica, in quanto asserisce, in aperto contrasto con il nostro senso comune, il principio che è la realtà spirituale a generare quella materiale, è il pensiero a produrre la materia. In effetti, secondo gli idealisti, non è la materia a precedere la dimensione dello spirituale, ma è il pensiero a dare origine agli esseri materiali. Di conseguenza, la filosofia idealistica assume un carattere fortemente “concettuale” e “astratto” che risulta, a una prima lettura, di difficile accettazione. Spesso gli studenti, cercando di comprendere fattualmente la possibilità reale di questa Produzione dallo psichico al materiale, non ci riescono e gettano la spugna, dichiarandosi ostili a questa filosofia, a Fichte ed alla sua allegra compagnia di matti. STRATEGIA DI APPROCCIO ALL’IDEALISMO Il consiglio di chi ci è passato prima è quello di non fossilizzarsi sull’interpretazione del pensiero idealista in termini di proposizione scientifica. Non cerchiamo di ridurre questo pensiero ad un’ipotesi cosmogonica. Ricordiamoci della stretta correlazione che intercorre tra filosofia e poesia nell’ambiente Romantico, di cui l’idealismo è parte integrante. L’ “idea”, di cui questa filosofia parla, rimane comunque un concetto. Un mio insegnante mi disse “inizialmente conviene accettare passivamente, come un dato di fatto, questa convinzione della priorità logica del pensiero sulla materia, una volta fatto questo, una volta capovolta la prospettiva da cui partire inizierai a comprendere ciò che prima hai accettato come dogma e tutto ti sembrerà chiaro. Non per questo dovrai condividere gli assunti del pensiero idealistico, ma ne potrai giustificare i fondamenti logicofilosofici”.