La molteplicità condivisa L`empatia come cognizione sociale

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La molteplicità condivisa
L’empatia come cognizione sociale
Eugenio Capezzuto
Le forme del discorso
ISBN 978-88-6647-016-8
Diogene Edizioni
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LE FORME DEL DISCORSO
Collana di testi e studi
diretta da
Rocco Pititto
Comitato scientifico:
Louis Begioni (Université de Lille 3)
Francesco Bellino (Università di Bari “Aldo Moro”)
Michael Herslund (University of Copenhagen)
Fabrizio Lomonaco (Università di Napoli “Federico II”)
Giovanni Semeraro (Universitade Federal Fluminense)
Tutti i saggi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a blind peer review
Eugenio Capezzuto
La molteplicità condivisa
L’empatia come cognizione sociale
Diogene Edizioni
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© 2012 by Diogene Edizioni
Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione italiana Giugno 2012
ISBN 978-88-6647-016-8
Indice
Introduzione
p. 7
Capitolo I
Le basi neurologiche della cognizione sociale
p. 13
Capitolo II
L’empatia: elemento fondamentale della cognizione sociale
p. 37
Capitolo III
Le basi neurologiche dell’empatia
p. 57
Capitolo IV
Teoria della soggettività come modello del sé
p. 75
Capitolo V
La molteplicità condivisa
p. 105
Conclusione
p. 133
Bibliografia
p. 137
Introduzione
La “lettura della mente” altrui (mindreading), o comprensione della
mente altrui, è la straordinaria capacità dell’uomo di comprendere, in
prima persona, sentimenti, pensieri, emozioni altrui in modo automatico,
immediato e preriflessivo. Come ciò avvenga o come ciò si possa spiegare
è stato sempre un problema. Il cognitivismo classico e le neuroscienze
cognitive hanno tentato di spiegare la facoltà cognitiva e di capire gli stati
mentali degli altri mediante due teorie, tra loro alternative: la teoria della
Teoria, e la teoria della Simulazione.
La prima, la teoria della Teoria, elaborata dalla scienza cognitiva classica, sostiene che la capacità di pensare esplicitamente i contenuti della
mente altrui avvenga per mezzo di simboli o d’altre rappresentazioni in
formato preposizionale, mentre la seconda, la teoria della Simulazione, elaborata dalle neuroscienze cognitive, afferma, invece, che essa consista in
una simulazione automatica, del tutto inconscia, di ciò che le altre persone fanno. In altre parole comprendiamo gli stati mentali altrui facendo
letteralmente finta di “essere nei loro panni”. Una simile forma automatica e inconscia di simulazione si combina bene con i risultati della ricerca
neuroscientifica. Oggi le scoperte delle neuroscienze dimostrano come
l’intelligenza sociale della nostra specie sia in larga parte frutto di un accesso diretto al mondo dell’altro, garantito dal corpo vivo e dai meccanismi nervosi condivisi – di cui i “neuroni specchio” (mirror neurons) sono
un esempio – che ne sottendono il funzionamento. Questi particolari
neuroni hanno proprietà simulative, la cui individuazione ha costituito la
base dell’elaborazione di un’ipotesi embodied cognition (conoscenza incarnata), secondo cui l’individuo comprenderebbe il comportamento altrui
perché automaticamente esperito attraverso il corpo, piuttosto che attraverso gli algoritmi dell’ipotesi computazionale della mente. Le nuove tecnologie di neuroimaging non invasive consentono esperimenti con soggetti
umani che forniscono le prove che il nostro cervello è in grado di rispecchiare gli aspetti più profondi della mente degli altri, e, che, grazie alla
spontaneità di questa simulazione, non abbiamo bisogno di trarre infe-
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renze complesse né di elaborare complicati algoritmi.
La ricerca neuroscientifica ha così messo in crisi il modello del cognitivismo classico, un modello che ha reificato la dimensione corporea dello
psichismo e dei processi cognitivi, concentrando ogni sforzo nell’enucleazione di regole formali che strutturerebbero il funzionamento del
pensiero umano. Essa, inoltre, mettendo al centro dell’indagine empirica
il Leib (il corpo vivo dell’esperienza), ha permesso che si superasse il dualismo corpo-mente, eredità di un pensiero solipsistico che guarda alla
mente dell’uomo come un’entità molto privata, separata dal corpo. È, infatti, il corpo che ha un ruolo nella costituzione della nostra esperienza
delle cose del mondo e degli altri. Ciò ha consentito uno studio empirico
della dimensione soggettiva ed intersoggettiva realizzato su fondamenti
nuovi. Nell’ambito delle neuroscienze cognitive, infatti, si sta cominciando ad indagare i correlati neurali delle componenti incarnate dell’esperienza del mondo, lasciandosi alle spalle l’equazione Mente=Teoria, già
criticato da Husserl e Heidegger. Stiamo così assistendo allo sviluppo di
un approccio neuroscientifico che mette al centro della propria indagine il
corpo vivente e i suoi correlati neurali sensorio-motorio.
Il cognitivismo classico, arroccato sul suo concetto di cervello come
organo computazionale, aveva dimenticato il ruolo che l’intersoggetività
ha nella costituzione, sviluppo e consolidamento delle sue supposte architetture computazionali. Il cervello umano è invece un organo legato al
corpo che agisce, si muove, soffre nel suo continuo interscambio con il
mondo: è questo il dato fondamentale che ci offrono le neuroscienze.
Un altro dato importante della ricerca neuroscientifica è che noi uomini condividiamo meccanismi nervosi (e non meccanismi di deduzione
logica, come ritiene la scienza cognitiva classica), meccanismi di simulazione motoria che ci consentono di familiarizzare con il significato
d’azioni, emozioni, sensazioni esperite dai nostri simili. C’è un “senso”
condiviso, in quanto godiamo di una conoscenza intenzionale con il
mondo degli altri, che è resa possibile da meccanismi nervosi che presiedono azioni, sensazioni, emozioni. Questi meccanismi di simulazione (o
di rispecchiamento) sono presenti nel cervello umano. Essi entrano in
gioco, quando si attivano nel nostro cervello i “neuroni specchio” (mirror
neurons), ovvero cellule nervose situate in regioni del nostro sistema motorio fronto-parietale, ogni qualvolta riconosciamo e comprendiamo le
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componenti della cognizione sociale. La loro scoperta indica che l’incredibile ricchezza della nostra vita psichica, tutte le sensazioni, le emozioni,
i pensieri, le ambizioni, i sentimenti amorosi e perfino il sé privato e intimo sono solo unicamente frutto della loro attività all’interno del nostro
cervello.
Queste cellule nervose conferiscono alla nostra esperienza, fatta soprattutto d’interazioni con altre persone, un significato profondo. Sono
cellule che sembrano essere specializzate nel comprendere la nostra condizione esistenziale e il nostro essere in relazione con gli altri. Dimostrano
che non siamo strutturati come esseri soli, bensì abbiamo una base biologica, modellata attraverso l’evoluzione, che ci conduce ad una profonda
connessione reciproca con i nostri simili. I neuroni specchio sembrano
costituire l’ancoraggio (con il loro schema d’attivazione neuronale) dell’imprescindibile relazione fra il sé e l’altro, della loro interdipendenza ineludibile. Il ruolo dei neuroni specchio nell’intersoggettività può essere definito come un “consentire l’interdipendenza”. L’interdipendenza fra sé e
l’altro, che i neuroni specchio consentono, modella le interazioni sociali
tra gli individui, in cui l’incontro concreto del sé con l’altro diventa il senso esistenziale condiviso che li lega profondamente.
I neuroni specchio costituiscono un sistema d’apprendimento globale.
Sono alla base della conoscenza di noi stessi, apprendendo dagli altri, rispecchiandoci in loro, comprendiamo noi stessi. Il nostro cervello, attraverso i neuroni specchio, crea un ponte fra sé e l’altro, rendendo possibile
lo sviluppo della cultura e della società. La scoperta dei neuroni specchio
apre una prospettiva di ricerca rivoluzionaria, che rende possibile indagare
le basi neurobiologiche della cognizione sociale. Il progetto di «naturalizzazione della cognizione sociale», avviato dalle attuali neuroscienze cognitive, si propone, infatti, di chiarire la connessione tra i meccanismi di funzionamento del cervello e le nostre competenze cognitive sociali, in altre
parole di comprendere la natura dei processi neurali che regolano le relazioni interpersonali.
Un elemento fondamentale della cognizione sociale è l’empatia. Il
gruppo dei neurofisiologi di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti,
scopritori dei neuroni specchio, convinti che queste cellule nervose svolgono un ruolo anche nelle varie forme d’empatia che caratterizzano il
comportamento umano, hanno ritenuto probabile che l’empatia rispetto
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alle emozioni altrui risieda in qualche meccanismo basato sui neuroni
specchio che ha luogo nel cervello. In particolare, Vittorio Gallese, il “filosofo” del gruppo di Parma, aveva posto all’attenzione di tutti lo studio
sull’empatia, affrontato per primo all’inizio del Novecento da Theodor
Lipps, uno studio che, visto alla luce delle moderne ricerche sui neuroni
specchio, mostra l’evidenza di un loro legame con l’empatia. Prove empiriche successive, raccolte con l’impiego di diverse metodologie in uso nelle neuroscienze, hanno dimostrato l’esistenza di un forte legame tra l’empatia e i neuroni specchio.
I neuroni specchio sono diventati una specie di citazione obbligata per
ogni filosofo che si interessi d’empatia. La “riscoperta dell’empatia” oggi,
quasi parallela negli ambiti filosofico e scientifico, che ne riconferma il
ruolo centrale nell’esperienza umana, si deve all’interpretazione dei sistemi mirror come “empatia allargata”. In essi si è vista la base neurobiologica di una miriade di vissuti, dalla simpatia alla comprensione dell’altro, alla
cura, che spesso sono assimilati troppo in fretta sotto il termine d’empatia. L’evidenza neurobiologica, che metodi come l’imaging, oggi, ci permettono di avvicinare, ma non ancora di spiegare e descrivere nella sua complessità, della quale si dice che potrebbe fornire la base dell’empatia, può
essere considerata una delle componenti di una capacità di base consistente nel rispondersi dei corpi a partire da una comune appartenenza ad
un sistema di reciprocità e reversibilità tra il sé e il mondo. Anche alcuni
recenti studi sul rispecchiamento del dolore dimostrano che, anche se
consideriamo l’esperienza dolorosa come fondamentalmente soggettiva,
in realtà il nostro cervello la tratta alla stregua di un’esperienza condivisa
da altri. Si tratta di un meccanismo neurale essenziale nella costruzione di
legami sociali. Si ritiene verosimile che queste forme di risonanza con le
esperienze dolorose altrui siano, da un punto di vista dell’evoluzione e
dello sviluppo, dei meccanismi di empatia relativamente precoci.
Il dato fondamentale che la ricerca neuroscientifica ci offre è che
l’empatia, il riconoscimento e la comprensione delle azioni e della loro
intenzionalità, così come la comprensione delle sensazioni e delle emozioni, e di tutte le altre diverse declinazioni delle relazioni interpersonali
hanno dunque una loro radice neurobiologica. Ciascuna di queste componenti della cognizione sociale hanno correlati neurali. Ciò vuol dire che
esistono tanti meccanismi di simulazione per quanto sono i diversi aspetti
Eugenio Capezzuto
del nostro comportamento intelligente. Vittorio Gallese ritiene che i differenti meccanismi neuronali che sottendono le diverse componenti della
cognizione sociale debbano considerarsi come unificati, integrati, e che
questa integrazione è frutto della evoluzione della specie umana. In virtù
di tale unione ci è possibile ottimizzare il controllo delle reazioni corporee
con il mondo e, in ambito sociale, per interpretare il comportamento altrui, mediante l’utilizzazione di un canale interpersonale diretto, ovvero
senza alcuna mediazione cognitiva. Attraverso questi meccanismi di simulazione, o di rispecchiamento, l’altro è vissuto come un altro sé. Questi
diversi meccanismi di simulazione, infine, condividono – a un livello base
– un’importante caratteristica comune: la loro dipendenza dalla costituzione di uno spazio di senso interpersonale condiviso, che Vittorio Gallese ha chiamato “molteplicità condivisa”. Questa espressione caratterizza
la capacità dell’uomo di avere accesso al mondo dell’esperienza degli altri.
È una forma di empatia più larga, che tende, in questo senso, ad abbracciare i diversi aspetti di comportamento che ci permettono di comprendere gli altri, mediante la creazione di legami significativi. Questo spazio, il
“sistema della molteplicità condivisa” (shared manifold), è sostenuto da uno
specifico meccanismo funzionale: la simulazione incarnata (embodied simulation), che costituisce un ingrediente essenziale della capacità di ogni sistema cervello/corpo di modellare le proprie interazioni con il mondo.
Secondo la visione embodied, è in virtù della condivisione di uno spazio sociale comune a tutti costruito attraverso la simulazione incarnata delle emozioni e delle esperienze altrui che ne comprendiamo il comportamento
e le intenzioni che l’hanno promosso, lo imitiamo, apprezziamo e comprendiamo direttamente il significato delle sensazioni ed emozioni esperite dagli altri.
Il concetto di “molteplicità condivisa” schiude dunque la possibilità di
dare una descrizione più ampia dell’intersoggettività. Parlare di uno spazio
di senso condiviso è uno dei risultati più importanti della ricerca neuro
scientifica di oggi, perché ci fa guardare l’uomo come costitutivamente
predisposto ad entrare in relazione con i suoi simili. Il sistema specchio
sembra dunque essere alla base dei meccanismi di socializzazione. Senza
questo sistema di rispecchiamento forse, non esisterebbe società, ma solo
individui chiusi in se stessi, irascibili, violenti e in perenne conflittualità
fra loro.
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Capitolo I
Le basi neurologiche della cognizione sociale
L’interpretazione del mondo, e soprattutto delle persone che ci troviamo di fronte, è un’operazione che compiamo continuamente, e senza
pensarci. La comprensione della mente altrui ci appare normale, immediata. Per secoli i filosofi e gli scienziati si sono impegnati a spiegare questa
capacità umana di capirsi reciprocamente, senza però riuscirci. Oggi, le
scoperte delle neuroscienze dimostrano come il nostro cervello è in grado
di rispecchiare gli aspetti più profondi della mente altrui grazie a meccanismi nervosi condivisi, di cui i neuroni specchio (mirror neurons) ne sono un
esempio. Grazie all’impiego di tecniche non invasive di neuroimaging come
la tomografia ad emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica
funzionale (fMRI), l’elettroencefalografia (EEG), si è constatato che l’attività dei neuroni specchio è connessa al riconoscimento d’azioni finalizzate al raggiungimento d’oggetti, e in particolare, che durante l’esecuzione di
un’azione eseguita da un altro individuo, il sistema neurale dell’osservatore si attiva come se fosse egli stesso a compiere la medesima azione che
osserva. Di qui il nome di “neuroni specchio”, per rendere conto di questa reazione speculare del sistema nervoso. Oggi, i neuroscienziati ritengono che l’attività dei neuroni specchio sia alla base del riconoscimento
delle intenzioni e delle emozioni altrui, che essi rendano possibile l’apprendimento imitativo e la comunicazione verbale, e che un loro cattivo
funzionamento provochi un grave deficit come l’autismo.
La scoperta dei neuroni specchio ha dato impulso ad una ricerca innovativa, il cui intento è di indagare le basi neurobiologiche della cognizione sociale, ovvero di comprendere la natura dei legami tra i meccanismi di funzionamento cerebrale e le nostre competenze cognitive sociali.
In particolare, questa ricerca ha messo in risalto come le più importanti
implicazioni della scoperta dei “neuroni specchio” sono l’integrazione tra
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