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G It Diabetol Metab 2010;30:172-183
Rassegna
Il diabete mellito non autoimmune
in età pediatrica
RIASSUNTO
Le forme più comuni di diabete non autoimmune sono: diabete
mellito di tipo 2 (DM2), maturity-onset diabetes of the young
(MODY), diabete mellito nella sindrome di Wolfram e diabete
mitocondriale. Il DM2, già presente negli USA soprattutto in
bambini e adolescenti di etnia ispano-americana, si è manifestato anche nella razza caucasica e in Europa soprattutto negli
adolescenti. Fattori di rischio per DM2 sono: ritardo di crescita
intrauterino, iperalimentazione, obesità, pubertà e ridotta attività
fisica. Il primo intervento deve essere rivolto alla modifica dello
stile di vita e dell’alimentazione; in caso di fallimento si può iniziare terapia farmacologica con metformina. Il MODY, disordine
monogenico con ereditarietà autosomica dominante ad alta
penetranza, estrema variabilità fenotipica e decorso non ingravescente, è caratterizzato da precoce insorgenza (infanzia, adolescenza, inizio età adulta), raramente da insulino-dipendenza e
spesso senza sovrappeso. Le prime mutazioni di geni MODY
sono state descritte negli anni ’90. Oggi sono note 11 forme di
MODY, caratterizzate dalla mutazione di un gene differente. La
sindrome di Wolfram è una grave malattia neurodegenerativa a
lenta progressione, a trasmissione autosomica recessiva, con
segni e sintomi riassunti dall’acronimo DIDMOAD (diabetes insipidus, diabetes mellitus, optic atrophy and deafness). I pazienti
presentano nella I decade di vita diabete mellito e atrofia ottica,
entro la II decade diabete insipido e sordità. Altri segni o sintomi
sono disfunzioni urinarie e disordini neurologici. Nel 1998 è
stato scoperto un gene nucleare responsabile, denominato
Wolframina (WFS1), mappato sul cromosoma 4p16.1. Il diabete
mitocondriale, a trasmissione materna, è associato ad altre
patologie (miopatia, sordità, sintomi neurologici). Le delezioni del
mtDNA sono associate a precoce esordio di diabete, mentre le
mutazioni del mtDNA determinano un’insorgenza più tardiva
(terza/quarta decade di vita). La terapia insulinica permette un
buon controllo metabolico, con basso fabbisogno.
SUMMARY
Non-autoimmune diabetes mellitus in paediatric age
The most common forms of non-autoimmune diabetes are: type
R. Lorini, G. d’Annunzio, N. Minuto,
C. Russo, K. Perri, A. Salina, C. Aloi
Clinica Pediatrica, Università di Genova, Centro Regionale
di Diabetologia, IRCCS G. Gaslini, Genova
Corrispondenza: prof.ssa Renata Lorini, Clinica
Pediatrica, Università di Genova, IRCCS G. Gaslini,
largo G. Gaslini 5, 16147 Genova
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2010;30:172-183
Pervenuto in Redazione il 13-04-2010
Accettato per la pubblicazione il 29-09-2010
Parole chiave: diabete di tipo 2, MODY, sindrome
di Wolfram, diabete mitocondriale, lipodistrofie
Key words: type 2 diabetes, MODY, Wolfram syndrome,
mitochondrial diabetes, lypodistrophies
Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica
2 diabetes mellitus (T2DM), maturity-onset diabetes of the
young (MODY), diabetes in Wolfram syndrome, mitochondrial
diabetes. T2DM, already common in US children and adolescents from ethnic minorities, is raising in Caucasian and
European adolescents. Risk factors for T2DM are: intra-uterine
growth retardation, overfeeding, obesity, pubertal development,
sedentary lifestyle. The first intervention includes lifestyle habits
and dietary modifications; therapy with metformine should be
used in case of failure. Maturity-onset diabetes of the young
(MODY) is diagnosed in children and adolescents with incidental hyperglycemia without pancreatic β-cell autoantibodies, and
a positive family history of diabetes mellitus. Until now 11 different type of MODY have been identified, due to different gene
mutations. Glucokinase gene (GCK) and hepatocyte nuclear
factor 1 α-gene (HNF-1α) cause two common forms of MODY.
The presence of mild persistent hyperglycemia without autoantibodies and with a positive family history for hyperglycemia
and/or diabetes should lead to genetic analysis. Wolfram syndrome is a rare, autosomal recessive neurodegenerative disorder with non-autoimmune diabetes mellitus and optic atrophy.
The syndrome is also known as DIDMOAD, the acronym for diabetes insipidus, diabetes mellitus, optic atrophy and deafness;
the gene involved, named WFS1, is located on the 4p16.1
region. Maternally-inherited diabetes mellitus, associated with
other diseases characterized by different clinical evidence (i.e.
miopathy, deafness, neurological disorders) is part of so called
“mitochondrial diabetes”. mtDNA deletions are associated with
precocious evidence of diabetes, while mtDNA mutations are
associated with adulthood onset diabetes. Low-dose insulin
therapy exerts good glycemic control.
Introduzione
Nel corso degli ultimi 15 anni è stata definita l’eterogeneità
del diabete mellito nell’infanzia e nell’adolescenza. Infatti,
non sempre il bambino e l’adolescente con sintomatologia
quale poliuria, polidipsia, calo ponderale e iperglicemia è
affetto dalla forma più comune di diabete mellito, quale il diabete mellito di tipo 1 autoimmune (DM1). Altre forme di diabete mellito possono interessare il giovane paziente. Uno
studio epidemiologico sulla frequenza del diabete non
autoimmune nei bambini, condotto in Inghilterra, ha documentato che solo lo 0,7% dei bambini con diabete mellito
presenta forme differenti dal DM1 e ha evidenziato una prevalenza di diabete mellito di tipo 2 (DM2) pari al 40%, di diabete secondario pari al 22%, di forme monogeniche pari al
10% e di diabete facente parte di altre sindromi pari al 10%1.
I rimanenti casi di diabete mellito rimangono non classificati.
Diabete mellito di tipo 2
Epidemiologia
Circa 20 anni fa il DM1 era la forma di diabete esclusiva dell’età pediatrica: solo l’1-2% dei pazienti presentava diabete
non autoimmune. Le prime diagnosi di DM2 in età pediatri-
173
ca, negli anni 70, sono state poste in adolescenti obesi di
origine indiana-americana2. Studi epidemiologici recenti negli
Stati Uniti riportano una prevalenza di DM2 diagnosticato in
epoca adolescenziale compresa fra l’8 e il 45%, a seconda
delle aree geografiche e dei gruppi etnici considerati. L’età
media alla diagnosi è 13,5 anni e la maggiore frequenza è
osservata nel sesso femminile3. Recentemente il DM2 è
comparso anche nelle popolazioni caucasiche. In Italia, uno
studio del 2003 su 710 bambini obesi aveva dimostrato che
solo lo 0,2% era affetto da DM24. I dati raccolti nel registro
nazionale della Società Italiana di Endocrinologia e
Diabetologia Pediatrica (SIEDP) riportano 120 soggetti con
diagnosi di DM2.
Fattori causali e suscettibilità genetica
Obesità e DM2 sono entità correlate. Principali fattori causali
del DM2 sono la sedentarietà e un’alimentazione incongrua
(cosiddetta westernized diet) che determinano obesità con
insulino-resistenza. La suscettibilità genetica è confermata
dalla concordanza per DM2 nei gemelli omozigoti (circa
90%) e dal rischio di DM2 tre volte più elevato nei parenti di
pazienti con DM2. Tra i geni predisponenti si ricordano il
gene calpaina 10 nella popolazione ispano-americana e, più
di recente, il gene TCF7L2, di cui sono segnalati diversi polimorfismi5. L’elevata prevalenza di DM2 in alcune famiglie ed
etnie ha sostenuto l’ipotesi del “genotipo risparmiatore”,
secondo cui alcune popolazioni sarebbero geneticamente
predisposte all’insulino-resistenza e favorite filogeneticamente per la maggiore capacità di accumulare tessuto adiposo
nei periodi di carestia; se questi soggetti passano da una vita
attiva a uno stile di vita sedentario, associato a eccessivo
introito calorico (tipico della società moderna), sono a rischio
di obesità e DM26.
Aspetti metabolici e decorso clinico
Il DM2 è una malattia a lenta evoluzione. I fattori favorenti
esercitano la loro influenza per anni prima delle manifestazioni cliniche. La sintomatologia del DM2 nell’adolescente è
spesso sfumata con modesta o assente poliuria, polidipsia,
calo ponderale, buone condizioni generali, anamnesi negativa per infezioni. Gli esami di laboratorio mostrano variabilità
della glicemia e glicosuria senza chetonuria. Sono descritti
casi, rari, con un quadro clinico grave, simile a quello del
DM1, caratterizzato da deficit insulinico, poliuria, polidipsia,
perdita di peso, chetonuria sino alla chetoacidosi, che richiede almeno inizialmente terapia insulinica, e casi assai gravi di
coma iperosmolare. È importante, per la conferma diagnostica di DM2, documentare l’assenza di autoanticorpi contro la
β-cellula pancreatica, elevati livelli di insulina e C-peptide a
digiuno e dopo stimolo, assenza degli aplotipi HLA associati a DM1. Nel DM2 in età pediatrica, come nel paziente adulto, sono riportate alterazioni del quadro lipidico quali: ipertrigliceridemia (44% dei pazienti), elevati livelli di colesterolo
totale (46% dei pazienti), bassi livelli di colesterolo HDL (15%
dei pazienti) ed elevati livelli di colesterolo LDL (34% dei
174
R. Lorini et al.
pazienti). Il DM2 si associa a segni e sintomi di insulino-resistenza quali acanthosis nigricans, sindrome dell’ovaio policistico, steatosi epatica non alcolica, ipertensione arteriosa,
dislipidemia. La steatosi epatica non alcolica, stimata tra il 10
e il 25% e caratterizzata da moderata ipertransaminasemia e
da deposito epatocellulare di lipidi, può progredire verso
infiammazione necrotica e danno fibrotico del fegato, causati dall’insulino-resistenza6. L’evoluzione del DM2 nell’adolescente è gravata dall’elevato rischio di complicanze micro- e
macroangiopatiche7. L’infiammazione svolge un ruolo importante nella patogenesi delle complicanze vascolari dell’obesità e del DM2. Sono stati segnalati aumento dello stress
ossidativo e di fattori proinfiammatori (IL-6, proteina C reattiva ultrasensibile e fibrinogeno), implicati nella formazione
della placca aterosclerotica, e una loro correlazione con gli
indici di adiposità e di insulino-resistenza. Queste anomalie
sono regredite in adolescenti obesi sottoposti a programmi
volti a modificare lo stile di vita.
Nel 2003 è stata descritta da Libman e Becker8 una nuova
forma di diabete mellito, il “diabete doppio” (DD), che vede
presenti nello stesso paziente le caratteristiche del DM1 e
del DM2, rispettivamente la coesistenza di autoanticorpi
contro la β-cellula pancreatica (marker di DM1) e di obesi-
tà con segni di insulino-resistenza (espressione di DM2) e
familiarità per DM2. I parametri clinici e biochimici diagnostici di DD sono: fenotipo clinico del DM1 (poliuria, polidipsia, calo ponderale, chetoacidosi) con storia familiare e
caratteristiche cliniche (ipertensione arteriosa, dislipidemia, elevato BMI) di DM2. I pazienti con DD presentano
maggior rischio di sviluppare complicanze, micro- e
macroangiopatiche, e richiedono stretto monitoraggio clinico e interventi educativi, finalizzati a impedire la comparsa o ridurre la progressione delle complicanze vascolari.
Screening e test diagnostici per DM2
e insulino-resistenza
Nel 2000 l’American Diabetes Association (ADA) e
l’American Academy of Pediatrics hanno proposto le indicazioni per lo screening del DM2 dall’età di 10 anni o alla comparsa della pubertà: presenza di sovrappeso più almeno due
fattori di rischio quali storia familiare di DM2, gruppo etnico a
rischio, segni di insulino-resistenza, anamnesi materna di
diabete, anche gestazionale. Lo screening si effettua con il
dosaggio della glicemia a digiuno e va ripetuto ogni 2 anni.
Tabella 1 Percentili degli indici di insulino-resistenza suddivisi in
puberale (stadio di Tanner, TS).
n
2,5°
5°
10°
25°
Maschi (n = 85)
HOMA-IR
TS 1
46
0,28
0,40
0,45
0,65
TS 2-3
27
0,29
0,62
0,68
0,90
TS 4-5
12
0,73
0,73
0,79
1,12
HOMA-β %
TS 1
46
32,8
43,3
45,1
64,6
TS 2-3
27
24,1
36,1
41,2
63,2
TS 4-5
12
51,2
51,2
57,2 111,1
QUICKI
TS 1
46
0,33
0,34
0,34
0,35
TS 2-3
27
0,32
0,32
0,33
0,34
TS 4-5
12
0,33
0,33
0,33
0,33
Femmine (n = 57)
HOMA-IR
TS 1
27
0,51
0,55
0,61
0,92
TS 2-3
18
0,37
0,37
0,38
0,61
TS 4-5
12
0,42
0,42
0,88
1,08
HOMA-β %
TS 1
27
38,1
46,6
56,5
75,2
TS 2-3
18
24,5
24,5
34,4
53,2
TS 4-5
12
32,8
32,8
55,5 132,8
QUICKI
TS 1
27
0,33
0,34
0,34
0,35
TS 2-3
18
0,30
0,30
0,31
0,35
TS 4-5
12
0,31
0,31
0,32
0,32
base a: sesso (maschi, femmine) e stadio
Mediana
75°
90°
95°
97,5°
1,19
1,13
1,68
1,64
2,13
2,41
2,11
2,76
2,47
2,20
3,08
2,72
2,44
3,61
2,72
89,6
98,4
165,0
118,7
163,7
232,2
133,3
249,1
261,5
154,7
363,4
403,4
683,9
523,4
403,4
0,37
0,38
0,35
0,41
0,39
0,38
0,44
0,41
0,40
0,45
0,42
0,40
0,49
0,48
0,40
1,36
1,38
1,91
1,71
1,82
3,50
2,12
4,02
3,64
2,20
5,39
4,36
2,89
5,39
4,36
122,1
112,8
236,7
154,8
171,1
316,3
184,7
548,8
421,8
0,36
0,36
0,35
0,39
0,42
0,38
0,42
0,46
0,39
192,1 232,5
1078,2 1078,2
487,4 487,4
0,43
0,46
0,45
0,43
0,46
0,45
Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica
Per valutare l’insulino-resistenza, primo fattore di rischio per
DM2, il clamp euglicemico-iperinsulinemico è il “gold standard”, ma il costo, la complessità e l’invasività della procedura lo rendono scarsamente accettabile anche negli adolescenti. In alternativa sono stati proposti modelli “omeostatici” della sensibilità insulinica, basati sulla determinazione di
glicemia e insulinemia a digiuno, che appaiono sufficientemente correlati con i dati ottenuti dal clamp9. Il rapporto glicemia/insulinemia a digiuno (fasting glucose insulin ratio,
FGIR) e gli indici HOMA-IR (homeostatic model assessment
of insulin resistance) e QUICKI (quantitative insulin sensitivity
check index) sono stati utilizzati in studi clinici anche in età
pediatrica. Poiché in pubertà vi è una fisiologica insulino-resistenza, a causa della secrezione di ormone della crescita e
di ormoni steroidei, è necessario considerare valori di riferimento per i suddetti indicatori di insulino-resistenza suddivisi per stadi puberali (Tab. 1)10. L’HOMA-IR, metodo che ha
incontrato il maggiore favore anche per la dimostrata correlazione con il BMI e che è considerato parametro da impiegare in studi su ampie casistiche, non consente però di valutare la secrezione insulinica. Si deve ricorrere a test da carico orale o endovenoso di glucosio. La valutazione di glicemia, insulinemia e C-peptide secondo il modello minimale in
corso di FSIVGT (frequently sampled intravenous glucose
test) fornisce indicazioni molto simili al clamp, ma richiede un
numero elevato di prelievi ematici. Di più semplice esecuzione sono WBISI (whole body insulin sensitivity index) e ISI
(insulin sensitivity index), derivati dalla determinazione di glicemia e insulinemia in corso di OGTT (Tab. 2).
Terapia del DM2 nell’adolescente
Obiettivi del trattamento nel giovane con DM2 sono: adeguato compenso metabolico (emoglobina glicata, HbA1c <
7% e normoglicemia), mantenimento di un peso corporeo
“accettabile”, riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare,
prevenzione delle complicanze micro- e macroangiopatiche,
Figura 1 Trattamento del DM2 dopo la
diagnosi (modificata
da: J Pediatr Endocrinol
Metab 2005; Arch Med
Res 2005).
175
Tabella 2 Metodi di valutazione dell’insulino-resistenza in età pediatrica
Metodo
Calcolo
1. FIGR
Insulinemia (pmol/L)/glicemia (mmol/L)
2. HOMA-IR ID (µU/ml) × GD (mmol/L)/22,5
3. QUICKI
1/(log ID µU/ml + log GD mg/dl)
4. WBISI
10.000/√ (GD mg/dl × ID µU/ml) × (GM × IM)
5. ISI
[1,9/6 × peso corporeo (kg) × GD mmol/L + 520
– 1,9/18 × peso corporeo × area glicemica (mmol/L)
sotto la curva – glucosio urinario (mmol/1,8)]/[area
insulinemica sotto la curva (pmol/ora × litro)
× peso corporeo]
miglioramento del benessere psicofisico. L’efficacia della
terapia dipende dall’esperienza e disponibilità del team
curante e soprattutto dal coinvolgimento e dalla motivazione
del nucleo familiare e del paziente. La dieta, l’esercizio fisico
e il controllo del peso costituiscono i capisaldi della cura e,
se adeguatamente attuati dalla diagnosi, possono migliorare
non solo la glicemia, ma anche altri fattori di rischio. La dieta
dell’adolescente con DM2 deve essere impostata tenendo
conto delle caratteristiche culturali ed economiche della
famiglia. Secondo le raccomandazioni dell’ADA i carboidrati
dovrebbero fornire il 55-60% dell’apporto calorico totale, le
proteine il 10-15% secondo l’età, i lipidi il 30% con meno del
10% di derivazione da grassi saturi. Non sussistono evidenze cliniche circa l’utilità di supplementazione con vitamine,
minerali o antiossidanti, né tanto meno, soprattutto nell’adolescente, sono proponibili farmaci che inducano la perdita di
peso. L’attività fisica deve essere aumentata ad almeno
30 minuti al giorno (riduzione del grasso viscerale, miglioramento dell’insulinemia e della tolleranza glicemica) e si deve
ridurre la sedentarietà. La terapia del DM2 in età adolescenziale deve essere impostata secondo un algoritmo dettato
dalla situazione clinica del paziente (Fig. 1). L’unico farmaco
176
R. Lorini et al.
approvato per l’età pediatrica dalla Food and Drug
Administration (FDA) americana e dall’European Medicine
Agency (EMEA) è la metformina (MTF), che migliora glicemia,
livelli di HbA1c, trigliceridemia, colesterolemia totale e LDL, e
non comporta ipoglicemia e aumento di peso11. Inoltre la
MTF può migliorare le anomalie mestruali in adolescenti con
PCOS. Se dopo 3-6 mesi la MTF non è efficace, si può considerare di associare un altro ipoglicemizzante orale, quali
sulfonilurea o metiglinide. Se le terapie precedenti non sono
efficaci e l’adolescente lamenta sintomatologia clinica associata a glicemia > 300 mg%, HbA1c > 7,5% si deve iniziare
terapia con insulina. Nel paziente neodiagnosticato, superato lo scompenso iniziale, all’insulina si associa la terapia con
MTF che, dopo miglioramento della glicemia, rimarrà l’unico
farmaco11.
Forme monogeniche di diabete mellito
In pazienti con diabete mellito non autoimmune devono
essere considerate altre forme di diabete mellito12.
Maturity-onset diabetes of the young (MODY)
Nel 1916 Reisman ha descritto una forma di diabete mellito
a insorgenza in età pediatrica, caratterizzata da decorso non
ingravescente. In seguito, studi familiari hanno permesso di
definire una variante di diabete, definita MODY, quale disordine monogenico, ad alta penetranza con estrema variabilità
fenotipica, caratterizzato da precoce insorgenza (infanzia,
adolescenza, inizio età adulta, < 25 anni), ereditarietà autosomica dominante, raramente insulino-dipendenza, spesso
in assenza di sovrappeso.
All’inizio degli anni ’90 sono state descritte le prime mutazioni
che hanno inquadrato il MODY come forma di diabete monogenico13. Sono attualmente definite 11 forme di MODY, ciascuna caratterizzata dalla mutazione di un gene differente:
– il gene codificante il fattore epatico nucleare 4α (hepatocyte nuclear factor 4α, HNF-4α), sul braccio lungo del
cromosoma 20 (MODY1);
– il gene codificante la glucochinasi (GCK) sul braccio
corto del cromosoma 7 (MODY2);
– il gene codificante il fattore epatico nucleare 1α (hepatocyte nuclear factor 1α, HNF-1α), sul braccio lungo del
cromosoma 12 (MODY3);
– il gene codificante l’insulin promoter factor 1 (IPF-1), sul
braccio lungo del cromosoma 13 (MODY4);
– il gene codificante il fattore epatico nucleare 1β (hepatocyte nuclear factor 1β, HNF-1β), sul braccio lungo del
cromosoma 17 (MODY5);
– il gene codificante il fattore di trascrizione NeuroD1/BETA2
(attivatore del gene dell’insulina e necessario per lo sviluppo delle isole pancreatiche) sul braccio lungo del cromosoma 2 (MODY6);
– recentemente sono state identificate altre forme caratterizzate da diabete mellito a ereditarietà autosomica dominante:
•
una associata a mutazioni del fattore di trascrizione
KLF11 che regola la trascrizione di PDX1 nella
β-cellula (MODY7) e
• una associata a disfunzione del pancreas esocrino
secondaria a mutazione del gene CEL (carboxylestere-lipase) (MODY8)14-16;
– più recentemente sono state segnalate altre 3 forme di
MODY: il MODY9, causato da mutazioni del gene
PAX417, il MODY10, causato da mutazioni del gene dell’insulina18, e il MODY11, causato da mutazioni del gene
BLK (B lymphocyte kinase)19 (Tab. 3).
Per ciascuna forma di MODY il fenotipo può cambiare da un
pedigree all’altro, in base al tipo di mutazione dello stesso
gene. Inoltre, anche all’interno di un pedigree di pazienti portatori della stessa mutazione, le manifestazioni cliniche possono
avere espressività molto variabile. È poi noto che molti pedigree, pur con fenotipo clinico MODY, non risultano portatori di
nessuna delle mutazioni note e vengono definiti MODY di origine sconosciuta (20-50% dei casi). Per lo più asintomatico, il
MODY può manifestarsi clinicamente in corso di infezioni (vero
per il MODY2, meno vero per altre forme di MODY, il cui esordio può avvenire in modo acuto al di fuori di infezioni). Pertanto,
a meno di screening familiari, o in corso di approfondimento
diagnostico per iperglicemia, la diagnosi può essere posta non
precocemente. Studi familiari hanno evidenziato che il MODY è
caratterizzato da una lenta progressione: da iperglicemia a
digiuno, modesta, ma persistente, a ridotta tolleranza al glucosio, sino al diabete clinicamente manifesto.
Il riscontro di iperglicemia occasionale in un bambino (≥ 100
mg/dl), in cui si confermi una familiarità per diabete non insulino-trattato o diabete gestazionale, con ereditarietà autosomica dominante in 2-3 generazioni, deve indurre al sospetto
di MODY. L’approfondimento diagnostico secondo le linee
guida del Gruppo di Studio di Diabetologia Pediatrica della
SIEDP permetterà di porre una diagnosi precoce di MODY,
prima della comparsa di diabete clinico (Fig. 2). In particolare si raccomanda l’esecuzione della curva da carico orale di
glucosio (OGTT), poiché il MODY2 e il MODY3 presentano
differenti risposte al test20.
Nella popolazione caucasica fino all’85% dei pazienti MODY
sono portatori della mutazione GCK (MODY2) e, con frequenza minore, della mutazione HNF-1α (MODY3).
Glucochinasi (MODY2)
La glucochinasi (GCK) fosforila il glucosio in glucosio-6fosfato nelle β-cellule pancreatiche e negli epatociti.
Un’alterata attività enzimatica della GCK mutata comporta
un glucose-sensing defect con innalzamento della soglia del
glucosio ematico per innescare l’insulino-secrezione. Una
netta diminuzione dell’accumulo del glicogeno epatico e un
aumento della neoglucogenesi dopo il pasto sono stati
osservati nei pazienti con deficit di GCK, responsabili dell’iperglicemia post-prandiale. L’iperglicemia associata al deficit
di GCK è spesso lieve e meno del 50% dei soggetti presenta diabete clinico. Molti pazienti, talora sin dalla nascita,
manifestano iperglicemia che si innalza con l’età, superando
raramente in età senile 180 mg/dl. La curva da carico orale
Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica
di glucosio (OGTT) evidenzia iperglicemia a digiuno modesta
e ridotta tolleranza dopo 120′. La maggior parte dei pazienti è identificata durante controlli occasionali, screening familiari e in caso di diabete gestazionale. I soggetti con MODY2
possono presentare un basso peso alla nascita, conseguente al deficit insulinico fetale e, in caso di omozigosi, diabete
Tabella 3 Tipi di MODY.
Gene
HNF-4α
GCK
Locus
20q
7p
genetico
Tipo
MODY1
MODY2
Frequenza
(% famiglie
< 5%
10-65%*
MODY)
Iperglicemia
Progressiva
Organi
coinvolti
Pancreas/
fegato
Età minima
alla diagnosi Prepubere
Terapia
Dieta/
insulina
Complicanze Frequenti
177
neonatale21. Il trattamento dei pazienti con MODY2 è dietetico, associato ad attività fisica. La donna con MODY2, durante la gravidanza, presenta diabete gestazionale che può
richiedere la terapia insulinica. Nei pazienti MODY2 è riportata una prevalenza inferiore delle complicanze microvascolari
rispetto ai soggetti con altri tipi di MODY.
HNF-1α
IPF1
HNF-1β
NEUROD1
KLF11
CEL
PAX4
INS
BLK
12q
13q
17q
2q
2p
2q
7q
11p15.5
8p23
MODY3
MODY4
MODY5
MODY6
MODY7
MODY8
MODY9
MODY10
MODY11
20-75%*
< 1%
5%
< 1%
Rara
Rara
Rara
Rara
Rara
Modesta/ Progressiva Modesta/ Modesta Modesta Modesta/ Modesta Modesta/ Modesta/
progressiva
progressiva
progressiva
progressiva progressiva
Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas Pancreas
fegato
rene/altro
altro
rene/altro
altro
altro
altro
altro
Neonatale
(omozigote) Giovane
Prima
Giovane
Giovane
Giovane
Giovane
Giovane
Giovane
Giovane
Prepubere
infanzia
adulta
adulta
adulta
adulta
adulta
adulta
adulta
adulta
(eterozigote)
Insulina
Enzimi
Ipog. orali/ (omozigote)
Dieta/
Dieta/
Dieta/
Dieta
Insulina
Dieta pancreatici/
Dieta
insulina
Dieta
insulina
insulina
insulina
insulina
(eterozigote)
Rare
Frequenti
Rare
Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite
Modesta
*Differente distribuzione nei vari Paesi, in base al reclutamento.
Figura 2 Iter diagnostico dell’iperglicemia occasionale.
178
R. Lorini et al.
HNF-1α (MODY3)
La mutazione dell’hepatocyte nuclear factor 1-α (HNF-1α)
MODY3 è la più frequente delle forme di MODY associate a
mutazioni dei fattori di crescita nucleari epatocitari. Nei
pazienti HNF-1α mutati è stato osservato un difetto nella
secrezione insulinica senza insulino-resistenza. Il diabete
mellito non è sempre clinicamente manifesto in età pediatrica, viene diagnosticato in adolescenza e in età adulta.
L’OGTT mostra una risposta dopo 120′ spesso già compatibile con diabete mellito20. In contrasto alla moderata iperglicemia propria del deficit di GCK, la mutazione HNF-1α
determina una forma più grave di diabete, con manifestazione clinica dopo la pubertà e spesso con sintomi osmotici,
per la bassa soglia renale presente nel MODY3 (glicosuria,
poliuria e polidipsia, anche senza grave iperglicemia).
Nell’adolescente HNF-1α mutato si può osservare chetoacidosi diabetica che richiede terapia insulinica, anche per
lungo tempo, ma in assenza di autoanticorpi contro la β-cellula, marker del diabete mellito di tipo 1 autoimmune. I
pazienti HNF-1α mutati sono trattati con ipoglicemizzanti
orali (sulfoniluree) e in taluni casi con insulina. Le complicanze microvascolari del diabete, in particolare retinopatia, sono
osservate frequentemente.
Altre forme di MODY
Esiguo è il numero dei pazienti descritto con le altre forme
conosciute di MODY.
MODY1 (HNF-4α) si caratterizza per diabete a esordio clinico fra 10-30 anni di età, con progressivo peggioramento
della tolleranza glucidica. Circa il 30% dei pazienti richiede
terapia insulinica e il rischio di complicanze è elevato. Il fenotipo clinico è simile a quello osservato nei pazienti HNF-1α
mutati, ma la soglia renale è normale.
Nei soggetti eterozigoti per IPF1 (MODY4) è presente un
incompleto sviluppo embrionale del pancreas, mentre nei
pazienti omozigoti vi è una totale aplasia con insufficienza del
pancreas endocrino (diabete neonatale) ed esocrino.
I pazienti con mutazioni del fattore di trascrizione HNF-1β
(MODY5) presentano diabete mellito associato a: malformazioni renali (soprattutto cisti) e anomalie di sviluppo nell’apparato genitale. Nella figura 3 è riportata l’ecografia renale in
un nostro paziente affetto da MODY 5.
Nei pazienti con MODY 8, affetti da diabete e disfunzioni del
pancreas esocrino, è presente atrofia pancreatica e lipomatosi22.
Frequenza del MODY
Il MODY è comunemente considerato una forma relativamente rara di diabete, ma la sua frequenza è sottostimata,
poiché l’iperglicemia può rimanere non diagnosticata fino
all’età adulta.
Molto variabile è la frequenza con cui sono state identificate
mutazioni dei geni MODY nelle casistiche europee esaminate. L’analisi di famiglie MODY registrate in Francia ha evidenziato che il 63% delle famiglie sono GCK mutate e il 21%
sono HNF-1α mutate; addizionali loci MODY sconosciuti
rappresentano il 16% delle famiglie23. In contrasto, il MODY2
rappresenta soltanto l’11% dei casi MODY nello studio condotto nel Regno Unito, mentre mutazioni HNF-1α prevalgono nettamente (65%)15. Lo studio condotto su un’ampia
casistica italiana ha documentato mutazioni di GCK nel
63,4% dei casi con diagnosi clinica di MODY, di HNF-1α nel
7% dei casi e assenza di mutazioni note nel 29,6% dei rimanenti pazienti. Questi dati epidemiologici contrastanti sono
da attribuire a un differente background genetico delle popolazioni esaminate o possono riflettere, almeno in parte, un
bias nel reclutamento delle famiglie, in rapporto anche all’età dei soggetti indagati24,25. Le altre forme di MODY sono
comunque rare nelle popolazioni europee16,26.
Sindrome di Wolfram
La sindrome di Wolfram è un disordine degenerativo a lenta
progressione, che comprende segni e sintomi riassunti dal-
Figura 3 Ecografie renali: cisti corticali in un bambino con diabete mellito da mutazione HNF-1β (MODY5).
Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica
179
Figura 4 Storia naturale della sindrome di
Wolfram (modificata da
Barrett, J Med Genet
1997;34:838).
DM: diabete mellito; AO:
atrofia ottica; DI: diabete
insipido; S: sordità; R:
anormalità di reni e vie
urinarie; A: atassia.
l’acronimo DIDMOAD (diabetes insipidus, diabetes mellitus,
optic atrophy and deafness)27. I pazienti presentano solitamente nella prima decade di vita diabete mellito, a patogenesi non autoimmune, e atrofia ottica28. La diagnosi clinica di
sindrome di Wolfram si basa infatti sul riscontro in età infantile di diabete mellito e atrofia ottica, la cui associazione presenta un valore predittivo positivo pari all’83%.
Entro la seconda decade si manifestano diabete insipido e
sordità29. Altri segni o sintomi addizionali della sindrome
sono: disfunzioni urinarie (dilatazione delle vie urinarie e atonia vescicale), disordini neurologici (atassia, insonnia, mioclonie, nistagmo orizzontale, riduzione delle risposte riflesse
periferiche, disartria, episodi di apnea centrale, perdita del
gusto e dell’olfatto)28,30 (Fig. 4). Sono inoltre riportate dismotilità gastrointestinale e disturbi psichiatrici quali depressione,
psicosi e tendenze suicidarie31,32. Di più raro riscontro sono:
cataratta, retinopatia non proliferativa, disfunzione ipofisaria
con deficit di ormone della crescita, ulcera peptica, anemia
sideroblastica e trombocitopenia. Nel 60% circa dei pazienti
la morte sopraggiunge tra la seconda e la quarta decade di
vita, ed è dovuta a insufficienza respiratoria per atrofia del
tronco encefalico o a insufficienza renale secondaria a infezioni del tratto urinario. Il decesso può avvenire anche per
disfunzione estesa del sistema nervoso centrale, scomparsa
del riflesso faringeo, frequenti episodi di aspirazione gastrica,
gravi crisi ipoglicemiche nei pazienti insulino-trattati. La mortalità per sindrome di Wolfram è ben superiore rispetto al diabete mellito di tipo 1: più della metà dei pazienti non supera
i 35 anni di vita. La prevalenza della sindrome di Wolfram è
1:770.000 casi nel Regno Unito, e quella dei portatori 1:354.
Viene trasmessa con modalità autosomica recessiva, con un
rischio di ricorrenza della malattia nel 25% dei fratelli, ed è
riportata un’alta frequenza di consanguineità nei genitori27.
Un’elevata prevalenza di diabete mellito è riportata nei
parenti di primo grado dei pazienti.
Gene WFS1
La sindrome di Wolfram era considerata una malattia
secondaria a delezioni o mutazioni del DNA mitocondriale
sino al 1998, quando è stato scoperto un gene nucleare
responsabile33. Tale gene, denominato Wolframina (WFS1),
è mappato sul cromosoma 4p16.1 ed è costituito da 8
esoni (33,4 kb del DNA genomico). Il primo esone non è
codificante, gli esoni 2-7 sono piccoli esoni codificanti e
l’esone 8, il più esteso, è lungo 2,6 kb. Il gene WFS1 trascrive un mRNA di 3,6 kb che, in base all’analisi Northern
Blot, risulta espresso nel cuore umano adulto, cervello,
placenta, polmone e pancreas. L’mRNA della wolframina
codifica un polipeptide di 890 aminoacidi, di massa molecolare 100 kd. Il gene WFS1 non è stato localizzato nei
mitocondri, ma è stato identificato in neuroni di ippocampo, amigdala, tubercolo olfattivo e allocorteccia, strutture
appartenenti o associate al sistema limbico, quindi
coinvolte nelle alterazioni psichiatriche osservate nei
pazienti.
La principale funzione della proteina WFS1, glicoproteina
localizzata prevalentemente a livello del reticolo endoplasmatico, è la regolazione del flusso ionico transmembrana e la
regolazione dell’omeostasi del calcio34. La proteina WFS1
svolge un ruolo essenziale nel regolare la sopravvivenza e il
mantenimento di alcune linee cellulari neuronali ed endocrine, fra cui le β-cellule pancreatiche, attraverso l’apoptosi
mediata dallo stress del reticolo endoteliale34,35. L’analisi del
gene WFS1 in pazienti con sindrome di Wolfram, valutati
presso l’Istituto Gaslini, ha evidenziato mutazioni distribuite
su tutto il gene, senza un’associazione fra tipo di mutazione
e presenza di segni o sintomi clinici36,37. Se la mutazione del
gene WFS1 è nota, è possibile fornire un consiglio genetico
ed effettuare diagnosi prenatale.
180
R. Lorini et al.
Aspetti clinici
Diabete mellito
È una forma di diabete mellito insulino-trattato, simile al diabete mellito di tipo 1, dal quale si differenzia per l’assenza di
antigeni HLA, osservati nel DM1, e di marker immunologici,
quali gli autoanticorpi anti-decarbossilasi dell’acido glutammico (GADA), anti-tirosinfosfatasi (IA-2A) e anti-insulina (IAA).
La determinazione del C-peptide basale e dopo stimolo con
glucagone fornisce risultati discordanti: completo deficit di
insulina in alcuni pazienti, riserve significative in altri. Studi di
immunoistochimica hanno documentato una compromissione esclusiva delle β-cellule, con normale attività delle altre
cellule delle insule e della porzione esocrina del pancreas. Le
complicanze microangiopatiche del diabete mellito, la retinopatia diabetica e la neuropatia periferica sono assenti, o a
lenta progressione, tranne in casi eccezionali.
Atrofia del nervo ottico
L’atrofia del nervo ottico nella sindrome di Wolfram può presentarsi anche prima del diabete mellito clinico. Si manifesta
con perdita o riduzione della visione dei colori e riduzione
dell’acutezza visiva, inizialmente asintomatica, che progredisce lentamente e porta alla cecità nella maggior parte dei
casi. La diagnosi di atrofia ottica si fonda su un esame oftalmologico, con la misurazione dell’acutezza visiva, e nell’esecuzione di un test per la motilità oculare e nell’esame del fundus, con particolare riguardo alla papilla. La diagnosi si avvale inoltre di indagini elettrofisiologiche (studio dei potenziali
evocati visivi e del campo visivo, che mostra scotomi centrali
e riduzione del campo visivo periferico). Atrofia dei nervi ottici è inoltre evidenziabile alla risonanza magnetica nucleare
encefalica, come riportato in un nostro paziente (Fig. 5).
L’atrofia dei nervi ottici è conseguenza della mutazione del
gene WFS1 che compromette la sopravvivenza delle cellule
gangliari della retina con atrofia anterograda degli assoni e
alterazioni dei nervi ottici.
Figura 5 Sindrome di Wolfram: atrofia nervi ottici e chiasma.
toni più alti (più di 80 decibel su 4000 Hz). La compromissione uditiva può essere conseguenza non solo di una disfunzione dei neuroni della coclea e delle fibre del nervo acustico, ma anche di compromissione neurodegenerativa del
ponte e del collicolo inferiore.
Manifestazioni del tratto urinario
Sono conseguenza di disfunzioni vescico-sfinteriche neurogene, caratteristiche di pazienti con patologie del sistema
nervoso centrale e/o periferico. La disfunzione urologica non
si presenta sempre con dilatazione e atonia vescicale; comune è il riscontro di bassa capacità e alta pressione vescicale
con presenza di dissinergia sfinterica. Le manifestazioni urologiche della sindrome rappresentano un fattore di rischio
per lo sviluppo di infezioni ricorrenti che possono portare a
insufficienza renale, una delle principali cause di morte nei
pazienti.
Diabete insipido centrale
Si manifesta in circa il 70% dei casi nella seconda decade di
vita. Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di polidipsia e di poliuria, e la diagnosi è confermata dal test di
assetamento. La natura centrale del diabete insipido è confermata dagli studi di risonanza magnetica, che mostrano
una riduzione di segnale nell’ipotalamo e nell’ipofisi posteriore (Fig. 5). Studi su reperti autoptici hanno confermato una
diffusa atrofia dei nuclei sopraottico e paraventricolare ipotalamici.
Ipoacusia-sordità centrale
Si manifesta, come il diabete insipido centrale, nella seconda decade di vita (età media 16 anni). È secondaria a danno
del nervo acustico di tipo neurodegenerativo, che interessa i
Diabete mellito e mutazioni del DNA
mitocondriale
In ampia espansione è il numero delle sindromi associate a
mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA), nelle quali il diabete mellito può essere una manifestazione clinica associata
o predominante38.
Le malattie mitocondriali costituiscono un gruppo eterogeneo
di disordini nei quali la disfunzione mitocondriale viene
sospettata e/o diagnosticata sulla base di criteri clinici, morfologici, biochimici e genetico-molecolari. Il mitocondrio,
organello situato nel citosol dove svolge un ruolo essenziale
per la produzione di energia necessaria al metabolismo cellulare, è sotto il controllo non solo del DNA nucleare, ma anche
di un proprio ed esclusivo DNA, il DNA mitocondriale
Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica
(mtDNA). Il mtDNA umano è costituto da una doppia elica circolare di 16.569 paia di basi, possiede un proprio codice
genetico che differisce dal codice universale in 4 dei 64 codoni e contiene geni codificanti per 2 RNA ribosomiali (12s e
16s), per 22 RNA di trasferimento (tRNA) e per 13 polipeptidi, tutte subunità enzimatiche dei complessi della catena
respiratoria. Mentre nei tessuti normali tutte le molecole di
mtDNA sono identiche (“omoplasmia”), se esiste una mutazione del mtDNA, questa può risultare nella coesistenza
di mtDNA normale e mtDNA mutato (“eteroplasmia”).
Solitamente le mutazioni silenti sono omoplasmiche, mentre
quelle patogene sono eteroplasmiche. Un numero critico
minimo di mtDNA mutato è richiesto per causare la disfunzione mitocondriale in un particolare organo o tessuto (e per
divenire fenotipicamente manifesto), ed è definito “effetto
soglia”: di conseguenza l’espressione clinica di una mutazione patogena del mtDNA è determinata dalla proporzione di
geni normali e mutati all’interno delle singole cellule dei diversi tessuti, con ampia variabilità di espressione clinica. Il
mtDNA possiede una genetica specifica in quanto viene trasmesso per via materna: al momento della fertilizzazione
infatti, tutti i mitocondri, e quindi tutto il DNA mitocondriale,
vengono forniti dalla cellula uovo. Le modalità di trasmissione
del mtDNA e delle malattie a esso associate differiscono da
quelle mendeliane. Una madre che porta una mutazione puntiforme la trasmetterà a tutti i figli (maschi e femmine), mentre
solo le femmine passeranno la loro mutazione alla progenie38.
Mutazioni del mtDNA causano un deficit di energia cellulare
che si esprime clinicamente in malattie interessanti la maggior parte degli organi altamente dipendenti dal metabolismo
ossidativo, prevalentemente il muscolo e il cervello (da cui il
termine encefalomiopatie mitocondriali), e in misura minore il
cuore, il fegato, il rene, gli organi ematopoietici, le ghiandole
endocrine e le isole pancreatiche di Langerhans (Tab. 4).
Numerose mutazioni puntiformi e riarrangiamenti del mtDNA
sono stati identificati in famiglie affette da diabete mellito non
autoimmune, con fenotipo clinico mitocondriale, da cui l’introduzione del termine “diabete mitocondriale”39,40. La maggior parte delle delezioni del mtDNA è associata a un precoce esordio del diabete, dai primi mesi di vita ai 5-10 anni,
mentre pazienti con mutazioni del mtDNA presentano un’insorgenza più tardiva, generalmente tra la terza e la quarta
decade di vita. In base quindi alla frequenza e alla diversità
delle malattie mitocondriali associate a diabete, è importante che il clinico sia a conoscenza di queste sindromi e del
loro modo di trasmissione. La trasmissione materna del diabete, in associazione con altre patologie i cui sintomi possono essere sfumati o relativamente aspecifici, quali miopatia,
sordità neurosensoriale, cefalee di tipo emicranico, crisi epilettiche, bassa statura, atassia, oftalmoplegia, è suggestiva
di malattia mitocondriale. La diagnosi di diabete mellito può
essere secondaria al riscontro di iperglicemia occasionale,
che lentamente evolve in ridotta tolleranza ai carboidrati e in
diabete mellito manifesto, oppure per la presenza dei sintomi associati a iperglicemia, ma senza chetoacidosi diabetica.
La terapia insulinica sostitutiva permette un buon controllo
dell’andamento glicemico, con un fabbisogno non particolarmente elevato.
181
Tabella 4 Principali organi/apparati interessati da
mutazione del DNA mitocondriale - Segni/sintomi
clinici.
Organo/Apparato
Segni/Sintomi
Sistema nervoso centrale Ritardo psicomotorio
Regressione psicomotoria
Atassia
Mioclono
Convulsioni
Emiparesi/emianopsia
Cecità corticale
Distonia
Cefalea
Sistema nervoso periferico Neuropatia periferica
Muscolo
Debolezza
Ptosi
Oftalmoplegia
Occhio
Retinopatia pigmentosa
Cataratta
Atrofia ottica
Sangue
Anemia sideroblastica
Endocrino
Diabete insipido e mellito
Bassa statura
Ipo-paratiroidismo
Cuore
Cardiomiopatia
Blocco di conduzione
Gastrointestinale
Disfunzione pancreatica esocrina
Pseudo-ostruzione intestinale
Rene
Sindrome DeToni-Fanconi
Orecchio
Sordità
Biopsia muscolare
Ragged red fibers
Lipodistrofie
Esistono forme di lipodistrofia, caratterizzate da perdita di
tessuto adiposo, associate ad alcune malattie rare. In base
alla distribuzione della lipodistrofia, si distinguono forme parziali e forme generalizzate41.
Si conoscono tre forme di lipodistrofia familiare parziale, e
una forma di lipodistrofia acquisita parziale. Le forme di lipodistrofia familiare parziale possono presentare diabete mellito di tipo 2 con insulino-resistenza; è spesso presente anche
dislipidemia. Sono a oggi note le mutazioni genetiche responsabili della lipodistrofia familiare parziale di tipo 2 (gene
della laminina A/C) e del tipo 3 (gene per il recettore gamma
attivatore della proliferazione perossisomiale). La lipodistrofia
acquisita parziale si caratterizza per l’elevata frequenza di
glomerulonefriti e altre malattie a patogenesi autoimmune,
mentre il diabete mellito con insulino-resistenza è raro. La
lipodistrofia familiare parziale si manifesta tipicamente dopo
la pubertà, è più evidente nelle donne e si associa tipicamente a insulino-resistenza e a steatosi epatica.
182
R. Lorini et al.
Le forme di lipodistrofia generalizzata possono essere congenite o acquisite. Si conoscono due forme di lipodistrofia
generalizzata congenita: il tipo 1 (Berardinelli-Seip tipo 1),
dovuta a mutazione del gene AGPAT2; e il tipo 2
(Berardinelli-Seip tipo 2) dovuta a mutazione del gene della
seipina. In entrambi i casi la lipodistrofia inizia dopo la nascita o nell’infanzia, e si caratterizza per la comparsa di diabete mellito, ipertrigliceridemia, steatosi epatica, acanthosis
nigricans. Il tipo 2 presenta un fenotipo più grave. La lipodistrofia generalizzata acquisita inizia nell’infanzia o nell’adolescenza e coesistono acanthosis nigricans e steatosi epatica.
Conclusioni
Sempre più numerose sono le forme di diabete mellito non
autoimmune presenti già nell’infanzia e nell’adolescenza.
Queste forme, seppur complessivamente meno frequenti
rispetto al diabete mellito di tipo 1 autoimmune, richiedono
innanzitutto un’attenta anamnesi personale e familiare per un
primo orientamento nella diagnosi clinica. Per il completamento dell’iter diagnostico e la definizione eziologica del diabete mellito non autoimmune è indispensabile il supporto del
laboratorio. Una corretta diagnosi permette non solo il trattamento più opportuno e la pianificazione del follow-up
del paziente, ma anche di fornire un consiglio genetico alla
famiglia.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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