ISSN 2038-2839
Editor in chief
Giorgio Lambertenghi Deliliers
Anno 7
Numero 3
2010
Seminari
di Ematologia
Oncologica
NEL PROSSIMO NUMERO
LINFOMI AGGRESSIVI
Meccanismi patogenetici •
LNH a grandi cellule •
LNH mantellare •
LNH linfoblastico •
LNH T periferici •
Leucemia
linfatica cronica
EDIZIONI
INTERNAZIONALI srl
Edizioni Medico Scientifiche - Pavia
Leucemia
linfatica cronica
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
5
Vol. 7 - n. 3 - 2010
Editor in Chief
Giorgio Lambertenghi Deliliers
ANTONIO CUNEO, GIAN MATTEO RIGOLIN,
SARA MARTINELLI, LUCA FORMIGARO,
GIANLUIGI CASTOLDI
Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Editorial Board
Sergio Amadori
Università degli Studi Tor Vergata, Roma
Fattori prognostici
21
Mario Boccadoro
Università degli Studi, Torino
Alberto Bosi
ACHILLE AMBROSETTI, ILARIA NICHELE,
GIOVANNI PIZZOLO
Università degli Studi, Firenze
Federico Caligaris Cappio
Università Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano
Antonio Cuneo
Università degli Studi, Ferrara
Linfocitosi B monoclonale
39
Marco Gobbi
Università degli Studi, Genova
Mario Petrini
Università degli Studi, Pisa
LYDIA SCARFÒ, PAOLO GHIA
Giovanni Pizzolo
Università degli Studi, Verona
Giorgina Specchia
Università degli Studi, Bari
Sindrome di Richter
59
Registrazione Trib. di Milano n. 532
del 6 settembre 2007
MARCO FANGAZIO, DAVIDE ROSSI,
GIANLUCA GAIDANO
Terapie innovative
ROBIN FOÀ, ILARIA DEL GIUDICE,
FRANCESCA R. MAURO
Direttore Responsabile
Paolo E. Zoncada
73
Edizioni Internazionali srl
Divisione EDIMES
Edizioni Medico-Scientifiche - Pavia
Via Riviera, 39 - 27100 Pavia
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Seminari
2
Periodicità
Quadrimestrale
Scopi
Seminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiornamento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione di
rendere più facilmente e rapidamente disponibili informazioni su
argomenti pertinenti l’ematologia oncologica.
Lo scopo della rivista è quello di assistere il lettore fornendogli in maniera esaustiva:
a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in forma
chiara, aggiornata e concisa;
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interessi culturali degli specialisti interessati;
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Titolo
Conciso, ma informativo ed esauriente.
Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senza
abbreviazioni.
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1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.
Introduzione
Concisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chiara ed esaustiva lo scopo dell’articolo.
Parole chiave
Si richiedono 3/5 parole.
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e comunque in numero non superiore a 100÷120.
di Ematologia
Oncologica
Periodico di aggiornamento
sulla clinica e terapia
delle emopatie neoplastiche
Bibliografia
Per lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultare
il sito “International Committee of Medical Journal Editors Uniform
Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:
Sample References”.
Es. 1 - Articolo standard
1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:
284-7.
Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)
1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, Marion
DW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.
Es. 3 - Letter
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes
[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.
Es. 4 - Capitoli di libri
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:
MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.
Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes
in bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.
2002; 19: (Suppl. 1): S178.
Ringraziamenti
Riguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,
meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizzazione dell’articolo.
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3
Editoriale
GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERS
Fondazione IRCCS Ca’ Granda,
Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Seminari di Ematologia Oncologica dedica
questo ultimo numero dell’annata 2010 alla leucemia linfatica cronica, ritenuta la neoplasia emopoietica più comunemente osservata nel mondo
occidentale, con un’incidenza che tende ad
incrementarsi per l’aumento dell’aspettativa
mediana di vita della popolazione. Le conoscenze patogenetiche moderne hanno modificato il
concetto di disordine indolente da accumulo dei
piccoli linfociti, e riconosciuto nella storia naturale della malattia la cosiddetta linfocitosi B
monoclonale, condizione preleucemica o in alternativa espressione di una stimolazione cronica
oligoclonale legata all’invecchiamento. La leucemia linfatica cronica viene oggi ritenuta una
malattia dinamica, legata ad una complessa serie
di eventi che si esprimono con modificazioni del
profilo antigenico, citogenetico e molecolare,
facilmente identificabili con le tecnologie in uso
nei laboratori ematologici.
Questa variabilità biologica si correla al decorso
eterogeneo tipico della malattia, con pazienti che
non richiedono per decenni alcun trattamento,
mentre altri hanno una breve spettanza di vita. Da
qui l’esigenza di formulare alla diagnosi una previsione sul futuro, basandosi sul rilievo di marcatori biologici, alcuni dei quali sono già entrati nell’uso clinico comune, mentre altri più numerosi
aspettano conferme da studi in corso. La conoscenza di questi predittori è oggi un utile complemento alla tradizionale stadiazione clinicoematologica che rimane ancora fondamentale, al
fine di riconoscere precocemente i pazienti che
sono a rischio di rapida progressione o di trasformazione in sindrome di Richter. I recenti progressi nella comprensione dei meccanismi che governano la storia naturale della leucemia linfatica
cronica si sono tradotti nello sviluppo di nuovi
agenti biologici, di più potenti anticorpi monoclonali e di strategie immunoterapiche o vaccinali.
Gli studi in corso dovranno valutarne il profilo tossicologico e il reale potenziale curativo su una
malattia, come la leucemia linfatica cronica, non
eradicabile con la terapia convenzionale e frequentemente caratterizzata dall’insorgenza di una
condizione di refrattarietà.
5
Eziopatogenesi,
diagnosi e clinica
ANTONIO CUNEO, GIAN MATTEO RIGOLIN, SARA MARTINELLI,
LUCA FORMIGARO, GIANLUIGI CASTOLDI
Antonio Cuneo
Sezione di Ematologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate,
Università degli Studi di Ferrara
n INTRODUZIONE
La leucemia linfatica cronica (LLC) è un disordine linfoproliferativo cronico che coinvolge i linfociti B CD5-positivi e che rientra tra le neoplasie
a cellule B-mature della classificazione WHO (1).
È più frequente nei maschi che nelle femmine (1,52,0/1), ed ha un’incidenza nei paesi occidentali,
riferita a 100.000 abitanti, compresa tra 2-6
casi/anno, mentre è rara in Giappone e nei paesi orientali, ove l’incidenza è <1 caso/100.000 abitanti (2) (Figura 1a).
L’età media alla diagnosi è attorno ai 70 anni, e
l’incidenza aumenta da 1 caso/anno/100.000 abitanti nella fascia 40-50 anni a 20 casi nella fascia
70-80 anni. Oltre il 40% delle LLC è diagnosticata ad un’età >75 anni, mentre meno del 10% è
diagnosticata prima dei 50 anni (3) (Figura 1b).
n EZIOLOGIA
L’eziologia della LLC non è nota. Non può essere escluso un ruolo per le radiazioni ionizzanti (4),
Parole chiave: leucemia linfatica cronica, patogenesi,
lesioni citogenetico-molecolari, diagnosi, evoluzione
Indirizzo per la corrispondenza
Prof. Antonio Cuneo
Istituto di Ematologia
Azienda Ospedale, Università S. Anna
C.so GIovecca, 203 - 44121 Ferrara
E-mail: [email protected]
anche se lo studio della popolazione sopravvissuta all’incidente nucleare di Chernobyl ha
mostrato un aumento di incidenza di molte forme di leucemia, ma non di LLC (5). Alcune attività agricole, con particolare riguardo all’impiego
di pesticidi, si possono associare ad un aumento dei casi (6).
Vi è evidenza di una possibile associazione con
i fattori genetici. La LLC ha un’incidenza bassa
nelle popolazioni orientali rispetto agli occidentali e i gruppi etnici che migrano in altri paesi mantengono l’incidenza di questa malattia al livello di
quella del paese di provenienza.
Nei parenti di primo grado di soggetti affetti da
LLC il rischio di sviluppo della malattia o di altre
sindromi linfoproliferative (linfoma di Hodgkin e
non-Hodgkin) è superiore rispetto a quello della
popolazione generale di pari età e sesso (7, 8) e
si possono rinvenire espansioni di piccoli cloni
B linfocitari con il fenotipo classico della LLC e
negatività per CD38, con una frequenza francamente maggiore rispetto alla popolazione generale (9).
In un’analisi di 24 famiglie con più di due membri affetti si è potuto documentare, accanto alle
classiche anomalie citogenetiche, una elevata
frequenza di delezioni o guadagno di materiale
genetico a livello delle bande Xp11.1-p21,
Xq21-qter, 2p12-14 e 4q11-21 (10). È possibile
che, diversamente dal cancro mammario, ove un
gene (BRCA1) ha un importantissimo effetto, il
substrato genetico della LLC consista nell’intervento di più geni con basso potenziale predisponente (11).
Seminari di Ematologia Oncologica
a) incidenza nei diversi paesi
Uomini
Donne
Tasso di incidenza per 100.000
6
5
4
3
2
1
Au
str
ali
a
IrlaUSA
nd
Sv Ital a
iz ia
Ca zera
n
Fr ada
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sta asi
Gi R le
ap ic
po a
ne
Ec Cin
ua a
do
r
0
b) incidenza per età
35
31
Tasso di incidenza per 100.000
30
25,6
25
21,9
20
18,4
14,3
15
9
10
6,3
3,7
5
0
0
0
0
0
0
0,7
0 0,3
1,8
0
04
510 9
15 14
20 19
-2
25 4
-2
30 9
35 34
-3
40 9
-4
45 4
50 49
55 54
-5
60 9
65 64
-6
70 9
75 74
-7
80 9
-8
4
85
+
6
Classi di età (anni)
FIGURA 1 - Incidenza della LLC. (a) Tassi standardizzati per età.
(b) Tassi età-specifici (2, 3).
n PATOGENESI
La patogenesi della LLC riconosce numerosi
momenti (Tabella 1), incentrati sulle particolarità
della cellula d’origine, sulle sue interazioni con ipotetici antigeni e con il microambiente e sullo sviluppo di una vasta gamma di lesioni genetiche.
Cellule d’origine
Si ritiene che la LLC derivi dalla trasformazione di
un linfocito B, esprimente l’antigene CD5, corrispondente alla popolazione B-1, presente nella
cavità peritoneale del topo, che mostra la capacità di produrre anticorpi naturali, mediante una reazione T-indipendente (12). L’analogo umano di questa sottopopolazione non è stato identificato con
certezza. È stata proposta l’origine da un linfocito
B CD5+ della zona mantellare (13), o da un linfocito della zona marginale che esprime il CD5, normalmente assente in questa sede, in seguito allo
stato di attivazione del linfocito leucemico. I linfociti della LLC esprimono un BCR che presenta analogie strutturali con gli anticorpi che reagiscono contro autoantigeni ed antigeni polisaccaridici batterici, al pari dei linfociti della zona marginale (14).
In una parte dei casi (50-80% nelle varie casistiche) la cellula d’origine presenta >2% di mutazioni somatiche nella sequenza del gene codificante per la porzione variabile delle catene
pesanti delle Ig (IGHV), un processo che fisiologicamente avviene all’interno del centro germinativo, grazie all’intervento di enzimi quali l’activation-induced cytidine deaminase (AID), in risposta ad antigeni T-dipendenti. La restante parte delle LLC presenta una configurazione germline della porzione variabile del gene Ig (i.e. <2% di mutazioni). I linfociti delle LLC “mutate” e “non-mutate” hanno molte somiglianze:
a) presentano un profilo globale di espressione genica vicino a quello di una cellula Bmemoria;
b) esprimono un profilo immunofenotipico
CD23+; CD25+; CD27+, tipico dei linfociti attivati che hanno incontrato l’antigene, con bassa espressione di molecole normalmente
down-regolate in seguito ad attivazione cellulare (CD22; CD79b; IgD).
In alcuni casi le LLC non-mutate presentano un
pattern di espressione degli antigeni CD69 e
CD71 coerente con una vicinanza temporale allo
stimolo antigenico induttivo più marcata rispetto alle LLC “mutate” (15). Si può pertanto ritenere che il linfocito da cui origina la LLC sia una
cellula B-memoria che:
1) ha incontrato l’antigene in una reazione Tdipendente all’interno del centro germinativo
nel caso delle LLC “mutate”;
2) è stata stimolata al di fuori del centro germinativo da uno stimolo incapace di attivare il
processo di ipermutazione somatica del gene
Ig (autoantigene, antigene polisaccaridici o
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
Aspetti patogenetici
Cellula d’origine
• Linfocito B di probabile origine dalla zona marginale
che esprime il CD5 come marker di attivazione cellulare
Caratteristiche della cellula d’origine
• Ha incontrato l’antigene in una reazione T-dipendente all’interno del centro germinativo (LLC con IGHV
“mutate”) o al di fuori del centro germinativo (LLC con
IGHV “non mutate”)
Stimolazione antigenica
• Autoantigeni (ad es. catena pesante della miosina
non-muscolare, fattore reumatoide, DNA, cardiolipina, antigeni espressi sulle cellule apoptotiche)
• Antigeni polisaccaridici
• Attivazione del BCR signaling (LLC “non mutate”)
• Stato di anergia a seguito della cronica stimolazione
antigenica (LLC “mutate”)
Divisione cellulare
• Ripetuti cicli di replicazione
• Accorciamento dei telomeri (> nelle LLC “non mutate”) e conseguente instabilità genetica
• 0,1-1% di rinnovo del clone cellulare ogni giorno, più
spiccato nella frazione CD38+
Lesioni genetiche e citogenetiche
• Delezione miR-15 e miR-16
• Delezione DLEU2
• Delezione DLEU7
• 17p-/TP53 mutato, 11q-/ATM, 14q32/IGH, +12, 6q-,
13qTABELLA 1 - Momenti patogenetici nella LLC.
superantigene) nelle forme “non-mutate”.
Ruolo della stimolazione antigenica
È noto che il clone trasformato nella LLC presenta un utilizzo preferenziale di alcune famiglie V, D
e J (ad esempio VH1-69; VH4-34), che non riflette la frequenza di questi riarrangiamenti nella
popolazione B-linfocitaria CD5 normale. Poiché
queste sequenze, assemblate durante la maturazione B-linfocitaria intramidollare, formano la
porzione variabile del gene Ig espressa in superficie come B-cell receptor (BCR), si può dedurre
che alcuni antigeni sono in grado di ingaggiare i
cloni esprimenti questi BCR favorendone l’espansione e la successiva trasformazione.
Questo concetto è stato rafforzato dalla dimo-
strazione di BCR stereotipati, che presentano una
strettissima analogia della porzione del BCR che
lega l’antigene nota come complementarity
determining region (CDR) (16-18). La probabilità che due linfociti B normali possano avere un
BCR stereotipato è dell’ordine di 10-9-10-12,
mentre è stato osservato che fino al 25 % dei
casi di LLC può mostrare questo fenomeno (19).
Tra gli antigeni in grado di ingaggiare il BCR nella LLC si annoverano gli elementi polisaccaridici batterici, il fattore reumatoide, il DNA, la cardiolipina, antigeni espressi sulle cellule apoptotiche (16). Si è così affermato in questi ultimi anni
il concetto di una relazione patogenetica tra stimolazione antigenica, spesso sostenuta da
autoantigeni, e LLC (17). In effetti è stata fornita
una recente elegante dimostrazione di come una
proteina, nota come catena pesante della miosina non-muscolare (non muscle myosin heavy
chain), avente un ruolo nel movimento cellulare,
possa essere esposta sulla superficie delle cellule apoptotiche e di come la maggior parte della LLC non-mutate possa riconoscere tramite i
suoi anticorpi questo antigene (20). Esiste inoltre dimostrazione che il linfocito della LLC può
mantenere la capacità di rispondere all’antigene:
a) andando incontro in vivo a switch di classe Ig
(21);
b) sviluppando nuove mutazioni del gene IGHV
(22);
c) esprimendo l’enzima AID (23), importante nel
processo di ipermutazione somatica;
d) modificando il profilo di espressione genica e
attivando il ciclo cellulare (24).
È interessante notare che queste caratteristiche
sono più spiccate nei casi di LLC “non-mutate”
CD38+ e ZAP-70+, rispetto alle altre LLC (25, 26).
In effetti, nelle LLC “non-mutate”, il BCR-signaling è attivo, mentre nelle forme “mutate” è inattivo in seguito ad uno stato di anergia funzionale legato ad una protratta stimolazione antigenica, con conseguente desensibilizzazione del
BCR stesso (27). Questa condizione di anergia si
associa ad uno specifico profilo di espressione
di geni coinvolti nel signaling BCR-mediato (28).
Turn-over cellulare
Contrariamente a quanto ritenuto nel recente passato, la LLC non può essere oggi considerata una
7
8
Seminari di Ematologia Oncologica
patologia da accumulo di linfociti che non vanno
incontro ad apoptosi. I linfociti patologici mantengono la sensibilità ad alcuni stimoli pro-apoptotici mediati da Fas e dal legame di anticorpi anti
IgM che ingaggiano il BCR (29, 30) e proliferano
in vivo ad un ritmo pari allo 0,1-1% dell’intero clone ogni giorno (31). Il ritmo di divisione cellulare
e di rinnovo è più elevato nella frazione cellulare
CD38+ (32).
Interazioni con il microambiente
Nel linfonodo esiste un comparto di accumulo
costituito da piccoli linfociti ed un comparto, quello dei centri di proliferazione, ricco in paraimmunoblasti e prolinfociti, ove le cellule mostrano i
caratteri dell’attivazione e vanno incontro a divisione cellulare. Queste strutture istologiche, che
conferiscono un quadro pseudofollicolare al linfonodo della LLC, si rinvengono anche nei tessuti
infiammati dei soggetti affetti da patologia autoimmune (33) e richiamano il concetto del ruolo della stimolazione da parte di autoantigeni nella genesi della LLC. Nei centri di proliferazione i prolinfociti e i paraimmunoblasti sono a stretto contatto
con linfociti CD4 e cellule follicolari dendritiche.
Nel comparto di accumulo i piccoli linfociti interagiscono con le cellule stromali, in un contesto
di interazioni cellula-cellula che ne favoriscono la
sopravvivenza. In effetti, la stimolazione da parte del CD40 ha un ruolo nel mantenimento in vita
del clone B-linfocitario, al pari dell’ interazione con
i linfociti CD4, in grado di determinare la produzione di citochine anti-apoptotiche (IL4, IFN) (34).
Nella distribuzione e sopravvivenza delle cellule
patologiche (27) giocano un ruolo importante:
a) alcune chemochine e loro recettori, espressi
dal linfocito leucemico (CXCR3 e CXCR5);
b) cellule del sangue periferico in grado di differenziarsi in cellule nutrici (nurselike), che favoriscono la sopravvivenza e la migrazione del
linfocito all’interno degli spazi midollari attraverso lo stromal-derived growth factor (35);
c) le cellule dendritiche, attraverso il CD44 e grazie all’induzione dell’espressione di una proteina BCL2 correlata (Mcl-1) (36).
L’angiogenesi può giocare un ruolo nelle fasi di
accelerazione della malattia o nei sottogruppi più
aggressivi, ove si riscontrano livelli sierici più elevati di VEGF (37, 38).
Lesioni citogenetico-molecolari
- Geni micro Rna e TCL1
Nella LLC non è ad oggi nota la lesione genetica primaria in grado di innescare il processo di
trasformazione, ma sono disponibili numerose
informazioni su una serie di lesioni che governano il processo di trasformazione (Figura 2).
Sono stati localizzati due geni codificanti per
microRNA (i.e miR-15 e miR-16) nella regione
13q14, deleta in un 40-50% delle LLC (39).
Questi geni mostrano ridotta espressione in
seguito a delezione (39) e, in queste condizioni, può risultare alterata l’espressione di geni che
controllano la progressione del ciclo cellulare nei
linfociti B (40). In effetti, la delezione di miR-15
e miR-16 nel topo determina l’insorgenza di
un’espansione clonale di linfociti B che presenta le caratteristiche biologiche della LLC. La proliferazione linfoide è più marcata e aggressiva se
la delezione coinvolge, oltre ai suddetti geni a
micro Rna, il gene DLEU2 che mappa nella stessa regione (40).
La concomitante delezione di DLEU7, posizionato all’interno della regione di minima delezione,
può contribuire alla patogenesi per la perdita/riduzione della sua fisiologica funzione di inibizione
di NF-kB (41).
Nella LLC, inoltre, vi è una consistente overespressione del gene TCL1 che mappa a livello della
banda 14q32.1, determinato da un meccanismo
di demetilazione del promotore (42) e/o da due
geni a micro-Rna, miR-29 and miR-181 (43). Esiste
la documentazione che il topo transgenico per un
costrutto che contiene l’enhancer del gene Ig ed
il gene TCL1 sviluppa un’espansione clonale BCD5+, che con il passare del tempo assume le
caratteristiche della LLC (44). Analogamente, il
topo transgenico che iperesprime miR-29 nei linfociti B, può sviluppare la LLC (45).
- Telomeri
I telomeri sono costituiti da sequenze ripetute di
DNA che conferiscono stabilità alla struttura dei
cromosomi. Con l’invecchiamento della cellula
ed in seguito ai cicli replicativi a cui questa va
incontro si assiste ad un accorciamento dei telomeri, che viene normalmente limitato dall’attività delle telomerasi.
Nella LLC i telomeri dei linfociti patologici sono
più corti rispetto ai linfociti B normali di sogget-
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
Stimolazione antigenica
di linfociti B
CD5+ con particolari BCR
Autoanti
geni
Ripetute divisioni
cellulari
Accorciamento
dei telomeri
Delezione DLEU7/DLEU2
Delezione miR-15a/16-1
¯ inibizione NF-kB
- ciclo cellulare
- fosforilazione di Rb
¯ miR-29 and miR-181
Instabilità genetica
- TCL1 expression
13q-; +12, 6q-, 14q32, 11q-, 17pTraslocazioni cromosomiche
FIGURA 2 - Momenti patogenetici e lesioni citogenetico-molecolari nella LLC.
ti di pari età e sesso. Inoltre l’accorciamento dei
telomeri è più spiccato nelle LLC “non-mutate”,
nelle quali si rinviene anche una maggiore attività telomerasica (46, 47), e si associa ad una
prognosi sfavorevole e ad un’aumentata probabilità di sviluppare la sindrome di Richter (48).
Queste osservazioni indicano come la storia
replicativa delle LLC sia differente a seconda dello stato mutazionale dei geni Ig e come nei casi
più aggressivi vi sia stato uno stimolo proliferativo nelle fasi di emergenza del clone neoplasti-
13q- isolata
+ 12
11q17pIGHV “non mutato”
co in grado di indurre numerosi cicli di attivazione e replicazione con accorciamento, disfunzione e fusione dei telomeri e conseguente insorgenza di esteso danno del genoma (49).
- Profilo citogenetico-molecolare
L’introduzione della FISH ha permesso l’individuazione di aberrazioni cromosomiche in circa l’80%
dei casi e ogni paziente viene oggi incluso in uno
specifico gruppo in base a una classificazione
citogenetica gerarchica che attribuisce importanza decrescente alle seguenti lesioni: 17p- >11q>+12 >13q-. I risultanti gruppi citogenetici hanno una frequenza diversa a seconda dello stadio
di malattia, come riportato in Tabella 2.
Recentemente, l’introduzione di una stimolazione
efficace delle mitosi mediante oligonucleotidi e IL2
ha mostrato che approssimativamente il 30% delle LLC senza difetti cromosomici mediante analisi FISH in interfase può presentare una lesione cromosomica nel cariotipo. Inoltre, è stato dimostrato con questa tecnica che cariotipi complessi potevano essere documentati in una significativa frazione dei casi in associazione con fattori prognostici e quadro clinico sfavorevole (50). Un quadro
riassuntivo del significato delle principali lesioni
citogenetiche è presentato in Tabella 3.
Nuove sottili aberrazioni sono state identificate
mediante sensibilissime tecniche di scansione dell’intero genoma, grazie alla quale sono state documentate lesioni genetiche in virtualmente tutti i casi
di LLC (51).
13qLa delezione 13q14 è la più frequente anomalia
citogenetica nella LLC e si presenta in più del
50% dei casi. Questa delezione è stata descrit-
Non indicazioni
al trattamento
Indicazioni
al trattamento
Resistenti
48
12
7
3
34
36
14
21
5
64
22
12
25
31
78
(*) Dati pubblicati da Zenz et al., Best Practice Clin Haematol 2007, aggiornati da S. Stilgenbauer, comunicazione personale (ASH meeting, S. Francisco, 2008).
TABELLA 2 - Frequenza (% di casi) di aberrazioni cromosomiche alla FISH e stato mutazionale IGHV in >4000 casi di LLC arruolati
nei protocolli del GCLLSG (*).
9
10
Seminari di Ematologia Oncologica
Anomalie
Gene coinvolto
Citomorfologia
17p-
TP53
CLL/PL
11q-
ATM
CLL tipica
CD38+++/Sviluppo di adenopatie marcate.
ZAP-70++/-Prognosi sfavorevole, migliorata con
Ig non mutati +++/- l’introduzione della terapia con fludarabina,
ciclofosfamide e rituximab.
+12
12q13-15
CLL atipica
CD38++/Prognosi intermedia (sopravvivenza mediana
ZAP-70+++/-10-15 anni).
Ig non mutati ++/--
6q-
6q21
CLL atipica
CD38+++/-Elevata conta di globuli bianchi.
ZAP70++/-Prognosi intermedia (sopravvivenza mediana
Ig non mutati ++/-- 10-15 anni).
IgH + partners vari
CLL tipica
CD38++/--Prognosi intermedia, richiede un trattamento
ZAP70++/--precoce.
Ig non mutati ++/---
miR-15a
miR-16
DLEU2
CLL tipica
CD38- ZAP-70+/--- Prognosi buona se presente come anomalia
Ig non mutati +/--- isolata (sopravvivenza mediana >15 anni).
sconosciuto
NA
14q32
13q-
Traslocazioni
e cariotipo
complesso
Immunofenotipo/
Stato dei geni Ig
Caratteristiche cliniche e biologiche
CD38+++/Prognosi severa, in particolare negli stadi
ZAP-70+++/intermedio-avanzati e se associata a IGHV non
Ig non mutati +++/- mutato (sopravvivenza mediana <5 anni).
Resistente agli analoghi delle purine.
Risposte alla chemioimmunoterapia di breve
durata.
Responsiva ad alemtuzumab.
CD38+++/Prognosi sfavorevole.
Ig non mutati +++/-
+++/-: 60-80% positivo; ++/-- 30-59% positivo; +/--- <30% positivo. NA: non applicabile.
TABELLA 3 - Significato clinicobiologico dei difetti cromosomici ricorrenti nella LLC.
ta come eterozigote in approssimativamente il 7580% dei casi e omozigote nel restante 20-25%.
I pazienti con delezione omozigote del cromosoma 13q14 presentano una maggiore cinetica
di crescita linfocitaria rispetto ai pazienti con delezioni eterozigoti.
Studi molecolari hanno dimostrato che la regione comunemente deleta comprende 790 kb fra i
marcatori D13S1150 e D13S25, tuttavia nessun
gene in questa regione, incluso il succitato LEU2,
mostra mutazioni inattivanti nel restante allele.
Nel 2002 Calin et al. (39) hanno identificato una
piccola regione deleta di 29 kb su 13q14, fra gli
esoni 2 e 5 del gene LEU2, contenente due geni
codificanti per micro-RNA, miR-15A e miR-161, l’espressione dei quali è significativamente
deregolata in una frazione di LLC. La delezione
di questi geni per miRNA è stata recentemente
confermata da altri ricercatori che hanno utilizzato CGH array ad alta risoluzione in 58 casi di
LLC 21 (51).
+12
La trisomia del cromosoma 12 è la più frequente acquisizione di materiale cromosomico nella
LLC, ove è rinvenuta in un 15% circa dei pazienti. Sono stati riportati alcuni casi di LLC con trisomia parziale del cromosoma 12 con segmento duplicato compreso tra le bande cromosomiche 12q13 e 12q21.2. Questo dato suggerisce
che questa regione potrebbe contenere geni
importanti nella patogenesi della LLC ed è inte-
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
ressante notare che il gene CLLU1, upregolato
nella LLC con decorso clinico aggressivo, è localizzato sulla banda 12q22 (52). Il gene MDM2, che
mappa in 12q14.3-q15 potrebbe essere upregolato nelle LLC con trisomia 12. MDM2 è un gene
il cui prodotto è un importante regolatore del gene
oncosoppressore TP53 e la sua overespressione comporta una inattivazione funzionale del prodotto di TP53.
11qQuesta anomalia può essere individuata nel 725% dei casi a seconda dello stadio della malattia (Tabella 1). Il segmento comunemente deleto
include il gene dell’atassia teleangectasia (ATM)
che è coinvolto nel processo di trasduzione del
segnale attivato in risposta a rotture del DNA. Il
rimanente allele ATM è mutato in circa il 30% delle LLC con 11q- e i pazienti con difetti omozigoti di ATM presentano una malattia più aggressiva rispetto ai pazienti con solo 11q- (53).
L’instabilità genetica si associa alla delezione 11q,
come dimostrato dallo sviluppo di alterazioni cromosomiche aggiuntive mediante analisi del cariotipo (54).
I pazienti con 11q- mostrano in genere una
malattia contrassegnata da adenopatie estese
e un intervallo libero da trattamento e una
sopravvivenza più brevi rispetto ad altre LLC (55).
In diversi trials clinici la presenza di 11q- si associava a percentuali di risposta completa più bassa e a una breve sopravvivenza libera da progressione (56-58). Tuttavia, l’aggiunta di rituximab alla tradizionale chemioterapia con fludarabina e ciclofosfamide nei pazienti giovani ha
migliorato la percentuale di risposta completa e
la sopravvivenza libera da progressione (59, 60)
e vi è evidenza non ancora consolidata che il trapianto di midollo osseo allogenico con condizionamento a ridotta intensità potrebbe superare
l’impatto prognostico sfavorevole dell’11q- (61).
17p-/mutazioni di TP53
L’anomalia 17p- è frequentemente accompagnata da aberrazioni cromosomiche aggiuntive e
cariotipo complesso e si associa, virtualmente in
tutti i casi, a perdita di un allele dell’oncosoppressore TP53. In più del 70% delle LLC con delezione 17p, è presente mutazione del rimanente
allele TP53 e mutazioni inattivanti del gene TP53,
rilevabili mediante metodiche molecolari, sono
presenti in un 2-5% di pazienti che non mostrano delezione 17p- e si associano, analogamente alla delezione, a prognosi severa (62). È stata documentata l’espansione del clone 17p-deleto o TP53-mutato in seguito alla chemioterapia
(62). È stato sviluppato un semplice test citofluorimetrico per indagare disfunzioni del pathway di
p53 (64).
Il decorso clinico nei pazienti con 17p-/TP53
mutato è sfavorevole (5, 63), soprattutto nei
pazienti che presentano stadio intermedio-avanzato e stato IGHV “non mutato” (65) in quanto le
percentuali di risposta alla chemioimmunoterapia,
la sopravvivenza libera da progressione e la
sopravvivenza di questi pazienti sono inferiori
rispetto alle altre classi citogenetiche.
L’anticorpo monoclonale alemtuzumab può superare la farmacoresistenza in una parte significativa dei casi ed il trapianto allogenico non mieloablativo può avere un ruolo in questa forma di
LLC (66).
Altri difetti cromosomici
La delezione 6q- si presenta con un’incidenza del
3-7% e si associa a un numero più elevato di globuli bianchi all’esordio, morfologia atipica, CD38+,
geni IGHV non mutati nel 60% dei casi, più breve intervallo libero da trattamento e ridotta
sopravvivenza rispetto alle LLC con aberrazioni
citogenetiche favorevoli (13q-, normale) (67). La
porzione deleta si trova attorno alla regione 6q21
ed è interessante il fatto che la perdita allelica in
6q sia stata individuata mediante tipizzazione allelica ad alta risoluzione in più del 15% dei casi (68).
Traslocazioni del cromosoma 14q32 che coinvolgono il gene IGH si presentano con un’incidenza del 4-9%. Partner cromosomici ricorrenti includono 18q21/BCL2 e 19q13/BCL3;
altri partners identificati occasionalmente sono
2p12/BCL11A, 2p13, 4p16, 4p31, 5q31, 6p21/
CCND3, 7q21/CDK6, 8q11, 9q34 e 17p11. La
classica t(11;14)(q13;q32), indistinguibile dalla traslocazione associata al linfoma mantellare, è stata documentata nella LLC da diversi gruppi.
Questi casi rappresentano una forma atipica di
LLC, che condivide alcune caratteristiche con il
11
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linfoma mantellare leucemizzato (69). La t(14;19)
è associata ad una forma aggressiva di LLC atipica; è spesso associata ad anomalie cromosomiche aggiuntive, specialmente trisomia 12 e con
IGHV non mutati. I casi con t(14;19) e cariotipo
complesso includente anomalie quali 7q- e/o 6q-,
17p, riarrangiamenti di 1q, frequentemente possono rappresentare casi di linfomi non Hodgkin
leucemizzati (70). È stata fornita evidenza che il
decorso clinico della LLC con traslocazioni
14q32 potrebbe essere peggiore rispetto alla
LLC con cariotipo favorevole (71, 72).
Evoluzione clonale
Una frazione di LLC acquisisce anomalie cromosomiche durante la storia naturale della malattia.
In uno studio prospettico (73), 11 pazienti su 64
(17%) seguiti per una mediana di 42 mesi hanno
mostrato evoluzione clonale con una del(17)(p13)
in 4 casi, del(6)(q21) in 3 casi, del(11)(q23) in 2 casi,
+(8)(q24) in 1 caso ed evoluzione da 13q- eterozigote a omozigote in tre casi. La comparsa tar-
FIGURA 3
diva di 11q- nella LLC è stata associata con l’evoluzione della malattia (74).
n DIAGNOSI
La LLC viene oggi diagnosticata nella maggior
parte dei casi in occasione di esami del sangue
routinari che dimostrano la presenza di >5 x 109
linfociti nel sangue periferico. Una minoranza dei
casi mostra già alla diagnosi un quadro clinico
conclamato con adenopatie e/o splenomegalia,
Infezioni acute
Infezioni croniche
Pertosse
Mononucleosi
Epatite
Citomegalovirus
Toxoplasmosi
Tubercolosi
Brucellosi
Sifilide
Rickettsia
TABELLA 4 - Condizioni associate a linfocitosi reattiva.
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
Morfologia
Immunofenotipo
FISH & Altri aspetti†
Piccoli linfociti con <10% linfociti di grandi
dimensioni o prolinfociti.
Piccoli linfociti con una quota di grandi
linfociti e prolinfociti fino al 55%.
*CD5+, CD19+,
CD23+, CD22+debole,
CD79b+debole;
sIg+debole, FMC7-.
Del(17p13.1), del(11q22.3), trisomia 12q13;
del(6q21), traslocazioni 14q32/IgH,
del(13q14) o cariotipo normale.
Piccoli linfociti.
Come per CLL.
Linfocitosi assoluta B-clonale <5X109/L
Cariotipo normale, 13q-, +12, raramente 11qor 17p-. Infiltrazione linfocitaria midollare
<30%, obiettività clinica nei limiti di norma.
MCL
Cellule linfoidi di medie dimensioni con nucleo
leucemizzato irregolare, tipicamente non monomorfe.
CD5+, CD20+intenso,
sIg+intenso, CD23-, ciclina D1+.
t(11;14)(q13;q32).
B-PLL
Prolinfociti >55%: cellule di medie dimensioni
con nucleo regolare, cromatina condensata,
un nucleolo centrale prominente.
CD5+/-, FMC7+, sIg+intenso.
Talora t(11;14)(q13;q32), del(17p13.1)
Importante linfocitosi periferica.
Decorso aggressivo.
HCL
Cellule di medie dimensioni con nucleo ovale
eccentrico, cromatina piuttosto lassa e
citoplasma con fini proiezioni uniformemente
distribuite. Citochimica: TRAP+.
CD5-, CD11c+intenso,
CD25+, CD103+,
HML-1+,B-ly7+.
Annessina V+ (biopsia ossea).
Non anomalie citogenetiche costanti.
Conta leucocitaria periferica in genere
ridotta con monocitopenia assoluta.
HCL-V
Caratteristiche ibride tra B-PLL
e HCL classica: cellule analoghe
alle cellule capellute tipiche ma con
nucleoli prominenti e TRAP-.
Come nella HCL eccetto
per CD25-.
Non anomalie citogenetiche costanti.
Linfocitosi periferica; le cellule linfocitarie
hanno proiezioni citoplasmatiche; può mancare
la monocitopenia.
SLVL
Piccoli linfociti con nucleo regolare,
cromatina condensata e corte proiezioni
citoplasmatiche a disposizione polare.
CD5-/+, CD11c+ (50% dei casi),
CD25+ (25% dei casi);
i casi CD25+ sono in genere
negativi per CD11c/103.
del (7q), + 3q, t(1q), 6q-, +12,
t(8q), 14q32 translocations,
17p- mediante FISH.
Frequente la splenomegalia.
FL
Piccoli linfociti con scarso citoplasma,
leucemizzato cromatina condensata e nucleo clivato
(centrociti). Possono essere presenti
anche cellule di grandi dimensioni
con 1-3 nucleoli (centroblasti).
CD5-, CD10+, CD20+.
t(14;18)(q32;q21).
Il midollo osseo mostra infiltrati linfoidi
paratrabecolari.
T-PLL
Identica a B-PLL nel 75% dei casi;
nel 25% i prolinfociti T hanno scarso
citoplasma, nucleo irregolare e nucleoli
indistinti (variante a piccole cellule).
Frequenti le protrusioni citoplasmatiche
(blebs).
Nella maggior parte dei casi CD3+,
CD7+, CD4+, CD8-;
in un terzo dei casi CD4+ e CD8+;
raramente CD4- e CD8+.
Inv(14)(q11;q32), t(14;14)(q11;q32)
Più frequenti rispetto a B-PLL
le linfoadenomegalie e le
localizzazioni cutanee.
Espansione
LGL
Cellule di medie dimensioni con
citoplasma abbondante contenente
granuli azzurrofili.
T-LGL (85%): CD3+, CD4-, CD8+,
CD16+, CD56-, CD57+,
TCRalfa-beta+.
NK-LGL (15%): CD3-, CD4-, CD8+,
CD16+, CD56+, CD57-.
Non anomalie citogenetiche
costanti.
Forme tendenzialmente indolenti.
Citopenie.
CD5-, CD19+, sIg policlonali.
Isocromosoma 3q, frequente nelle
donne, fumatrici e di età media.
Patologia
CLL
Tipica
Atipica
MBL
CLL-like
Linfocitosi
Linfociti spesso binucleati, con
B-policlonale citoplasma relativamente abbondante.
persistente
*Assegnando 1 punto ciascuno a CD5+, CD23+, CD22 o CD79b debole+, sIg debole +, l’85-90% delle CLL presenta uno score di 4 o 5, il 10-15% presenta score 3, <1% delle CLL ha score <3.
†
Nessuna anomalia citogenetica è diagnostica per CLL, tuttavia la presenza della traslocazione t(11;14) o l’espressione della ciclina D1 sono in genere diagnostici per MCL. Abbreviazioni: CLL, leucemia
linfatica cronica; MBL, monoclonal B-cell lymphocytosis; MCL, linfoma a cellule mantellari; FL, linfoma follicolare; HCL, hairy cell leukemia; HCL-V, hairy cell leukemia, forma variante; PLL, leucemia prolinfocitica; sIg, espressione delle immunoglobuline di superficie; SLVL, linfoma splenico con linfociti villosi; LL, grandi linfociti; PL, prolinfociti.
TABELLA 5 - Caratteristiche di laboratorio distintive dei disordini linfoproliferativi cronici.
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Test diagnostici
Test per stabilire la diagnosi
Emocromo
• > 5X109/L linfociti B circolanti
Conta differenziale al microscopio ottico
• Prevalenza di piccoli linfociti; linfociti clivati, grandi linfociti e/o prolinfociti <55%
• Ombre di Gumprecht
Immunofenotipo dei linfociti
Espansione clonale di elementi CD5+, CD19+, CD23+
con restrizione per le catene leggere delle Ig (score
immunofenotipico ≥3)
Valutazione alla diagnosi e/o prima del trattamento
Anamnesi ed esame obiettivo, performance status
Conta completa e differenziale delle cellule ematiche
Aspirato midollare e biopsia
• nel caso l’obiettivo della terapia sia la remissione completa
• per la diagnosi differenziale di eventuali citopenie
Esami di laboratorio sierici, inclusa LDH e b2-microglobulina, immunoglobuline sieriche, test diretto antiglobuline
Radiografia del torace ed ecografia dell’addome
Indagine FISH/molecolare
• da effettuarsi qualora sia importante ottenere informazioni prognostiche
• ricerca di 17p-/mutazioni TP53; 11q-, traslocazioni
14q32/IgH, trisomia 12, del(6q), del(13q), cariotipo da
linfociti del sangue periferico
• 17p- merita approccio terapeutico diverso, che può
includere, in casi selezionati, il trapianto allogenico di
midollo, possibilmente nell’ambito di un trial clinico
Stato mutazionale IGHV e CD38
• utile perché fornisce informazione prognostica
• ZAP-70 non ancora standardizzato
TABELLA 6 - Valutazione diagnostica nella LLC.
segni di insufficienza midollare secondaria a diffusione della malattia, sintomi sistemici e, raramente, localizzazioni extranodali. Dopo aver
escluso la presenza di infezioni in grado di determinare linfocitosi reattiva (Tabella 4), si procede
con gli esami di laboratorio necessari per la diagnostica differenziale dei disordini linfoproliferativi cronici (Tabella 5), o con la rara linfocitosi B
persistente policlonale (75) condizione più frequente nelle giovani donne fumatrici che presenta tendenza alla distribuzione familiare.
Fondamentali sono l’analisi morfologica dello stri-
scio di sangue periferico che mostra piccoli linfociti a cromatina addensata (Figura 3) e le ombre
di Gumprecht, che rappresentano linfociti rotti
durante la preparazione dello striscio a causa di
una loro intrinseca fragilità determinata dalla riduzione della proteina del citoscheletro vimentina
(76).
L’analisi immunofenotipica consente di porre una
diagnosi di certezza in presenza di una espansione di elementi CD19+, CD5+, CD23+, con
CD22 e/o CD79b debolmente positivo e debole espressione delle immunoglobuline di superficie (sIg) associata a restrizione delle catene leggere (rapporto K/l >3 o <3) e negatività per
FMC7. È utile l’applicazione dello score immunofenotipico che, attribuendo 1 punto a CD5+,
CD23+, CD22/CD79b+ debole, sIg+ debole e
FMC7-, identifica in presenza di uno score ≥3
oltre il 95% dei casi (77, 78), permettendone la
distinzione rispetto alle altre sindromi linfoproliferative (Tabella 5).
La diagnostica viene completata con le indagini
indicate in Tabella 6, necessarie per una corretta stadiazione e per una corretta programmazione della terapia.
n CLINICA
Manifestazioni principali
Circa il 70% dei pazienti viene diagnosticato in
seguito ad esami ematici routinari che dimostrano linfocitosi asintomatica, con obiettività negativa o con adenopatie diffuse a poche sedi (79).
Può essere presente già alla diagnosi ipogammaglobulinemia.
Negli stadi intermedi compaiono, nelle principali sedi superficiali, adenopatie non dolenti, di consistenza parenchimatosa, non dura, associate o
meno a splenomegalia.
Gli stadi avanzati contemplano, per definizione,
la presenza di anemia e/o piastrinopenia secondarie a infiltrazione midollare. Le stadiazioni di Rai
e di Binet (80, 81) sono riassunte in Tabella 7, ove
è anche riportata la sopravvivenza media nei diversi stadi di malattia. È importante escludere la natura autoimmune dell’anemia e della piastrinopenia
prima di assegnare un paziente allo stadio III-IV
di Rai o C di Binet (82) in quanto è noto che la
Eziopatogenesi, diagnosi e clinica
Gruppo
di rischio
Caratteristiche
Sopravvivenza mediana
nel Rai report originale
(n = 125)
Sopravvivenza mediana
in accordo con lo stadio
Rai al Mayo Clinic CLL
Database* (n = 2397)
Basso
0 Rai
A Binet
Solo linfocitosi
<3 LN aree coinvolte, non citopenia
150 mesi
130 mesi
Intermedio
I Rai
B Binet
II Rai
B Binet
+ Linfadenopatia
≥3 LN aree coinvolte, non citopenia
+ Organomegalia
≥3 LN aree coinvolte, non citopenia
101
106
Alto
III
IV Rai
C Binet
+ Anemia**
+ trombocitopenia**
Anemia e/o trombocitopenia
19
19
58
69
*Tutti i pazienti con LLC sono stati visti al Mayo Clinic Division of Hematology dal 1995 (Shanafelt T, ASH educational book, 2009). **Hb <11 g/dL a causa
dell’infiltrazione midollare, conta piastrinica <100 x 109/L a causa dell’infiltrazione midollare.
TABELLA 7 - Classificazione di Rai e Binet.
prognosi degli stadi avanzati è migliore se la citopenia è di origine autoimmune piuttosto che da
infiltrazione midollare (83).
Le moderne terapie citostatiche e di supporto, unitamente al miglioramento delle condizioni generali di salute della popolazione adulta, hanno determinato un significativo allungamento dell’aspettativa di vita negli stadi avanzati rispetto ai dati
storici (84-86).
I sintomi, quando presenti, possono essere riferiti alla presenza di adenopatie massive o di imponente epatosplenomegalia e alla presenza di insufficienza midollare con segni legati all’anemia o alla
piastrinopenia. Può manifestarsi astenia non
associata ad anemia significativa. Sintomi sistemici, quali febbre >38°C senza cause apparenti,
dimagramento >10% di peso corporeo, sudorazione profusa, prurito, dolori muscolari sono presenti alla diagnosi in una minoranza dei casi, mentre possono comparire più frequentemente nelle
fasi avanzate di malattia e/o di resistenza al trattamento. La malattia può esordire con complicanze infettive, espressione di deficit del sistema
immunitario legato alla malattia ed alle terapie.
L’anemia emolitica autoimmune può comparire in
qualunque fase della malattia; in generale la disregolazione del sistema immunitario, incentrata sui
meccanismi presentati in Tabella 8, può manifestarsi con le patologie a genesi autoimmune elencate in Tabella 9 (87).
Primari
• Difetti delle cellule B
- Ipogammaglobulinemia
- Scarsa risposta alla vaccinazione
• Difetti delle cellule T
- Quantitativi:
• Aumento di numero
- Qualitativi
• Diminuito rapporto CD4/8
• Polarizzazione Th 2
• Anomala risposta CD30
• Difetto acquisito reversibile del CD40L
• Anomalie nell’espressione genica (citoscheletro, granuli)
• Cellule NK
- Mancanza di granuli
- Ridotta attività di killing
• Neutrofili
- Ridotta funzione fagocitica e battericida
- Migrazione e chemiotassi anomale
• Monociti/macrofagi
Ridotta citotossicità
• Complemento
- Riduzione dei livelli e difetto di attivazione e legame
Secondari
• Insufficienza midollare a causa della malattia avanzata
• Tossicità della terapia
TABELLA 8 - Difetti immunitari nella LLC.
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Ematologiche
• Anemia emolitica
• Coombs positiva
• Trombocitopenia immune
• Aplasia pura della serie rossa
• Neutropenia autoimmune
Non ematologiche
• Angioedema
• Pemfigoide bolloso/pemfigo paraneoplastico
• Sindrome di Churg-Strauss
• Tiroidite autoimmune
• Sindrome nefrosica (glomerulonefrite)
• Polineuropatia
• Sindrome di Sjögren
• Lupus eritematoso sistemico
• Sindrome di Raynaud
• Artrite reumatoide
• Colite ulcerosa
• Vasculiti
TABELLA 9 - Complicanze autoimmuni nella LLC.
Quadro evolutivo
- Infezioni. I pazienti sono soggetti ad infezioni
recidivanti negli stadi avanzati anche in relazione a moderni trattamenti che includono analoghi delle purine ed anticorpi monoclonali. I quadri più frequenti sono sostenuti da Streptococcus
pneumoniae, Staphylococcus ed Haemophilus
influenzae. L’Herpes zoster è frequente e, con l’introduzione di nuovi trattamenti, sono da tenere in
considerarazione le infezioni opportunistiche da
Legionella pneumoniae, Pneumocystis jirovecii,
Listeria monocytogenes.
La polmonite da Citomegalovirus è un problema
emergente, al pari delle infezioni fungine da
Candida e Aspergillo (88).
- Seconde neoplasie. L’incidenza di seconde
neoplasie nella LLC è pari a 1.2-2.2 volte rispetto
all’incidenza attesa in una popolazione di pari età
(89, 90) e le forme più frequenti sono
rappresentate da tumori cutanei, della prostata,
della mammella, dei melanomi, del sistema
gastrointestinale e del polmone.
I principali fattori di rischio sono rappresentati
dall’età avanzata, dal sesso maschile e da livelli
elevati di LDH, beta2-microglobulina e creatinina,
mentre non sembra giocare un ruolo il tipo di terapia
eseguita (90). L’utilizzo diffuso degli analoghi delle
purine non si è associato ad un incremento
significativo del rischio di seconde neoplasie
rispetto a quanto atteso sulla base dei dati storici
disponibili (91). Il rischio di sviluppare mielodisplasia
o leucemia acuta mieloide secondaria è basso, ma
può aumentare nei casi trattati con alchilanti e con
analoghi della purine (92).
- Trasformazione istologica. La sindrome di
Richter, definita dalla comparsa di un linfoma
aggressivo, con le caratteristiche del linfoma
diffuso a grandi cellule associato a sintomi
sistemici, versamenti nelle sierose e cachessia, si
può verificare nel 5-10% dei casi (93).
La trasformazione in leucemia a prolinfociti può
essere osservata in una minoranza dei casi.
n CONCLUSIONE
Rispetto alla visione storica che definiva questa
malattia come disordine indolente da accumulo
di piccoli linfociti, le conoscenze patogenetiche
hanno consentito di riconoscere nella LLC una
malattia dinamica (14), che trae la sua origine da
una ricca serie di eventi biologici e genetici primari e secondari (94). L’interazione con gli antigeni, lo stato di attivazione cellulare che ne segue
e le complesse interazioni con il microambiente
plasmano una malattia dal decorso eterogeneo,
talora preceduta da una condizione predisponente, la linfocitosi B-monoclonale recentemente definita nei suoi contorni nosografici (95). Grazie ai
progressi nella comprensione dei meccanismi che
governano la sua storia naturale, l’approccio
moderno alla gestione del paziente si avvale di
una caratterizzazione clinica che prevede lo studio di una serie di marcatori prognostici, molto utili per l’adeguata programmazione di terapie
sempre più efficaci.
n BIBLIOGRAFIA
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21
Fattori prognostici
ACHILLE AMBROSETTI, ILARIA NICHELE, GIOVANNI PIZZOLO
Divisione e Cattedra di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona
Achille Ambrosetti
n INTRODUZIONE
La leucemia linfatica cronica (LLC) è in generale considerata una malattia indolente: in effetti alla
diagnosi si giunge spesso casualmente e in
assenza di sintomi, alcuni pazienti rimangono
asintomatici per anni e spesso non richiedono a
lungo alcun trattamento. In realtà il decorso della LLC è estremamente variabile: talora il suo
andamento appare non evolutivo, con sopravvivenze fino a oltre 20 anni, in altri casi è francamente aggressivo, con spettanza media di vita
inferiore ai 3 anni (1).
Da ciò è derivata l’esigenza di formulare alla diagnosi una previsione sul futuro decorso della
malattia e di stabilire la strategia terapeutica più
adatta al singolo paziente. Tale esigenza si è particolarmente rafforzata negli ultimi tempi con lo sviluppo di numerose nuove e più efficaci armi terapeutiche. Una precisa e individualizzata formulazione prognostica risulta paricolarmente importante negli stadi iniziali della malattia, che attualmente rappresentano la grande maggioranza dei
casi di LLC alla diagnosi e per i quali in base alle
linee guida tutt’ora accettate (peraltro basate su
Parole chiave: leucemia linfatica cronica, prognosi,
citogenetica, biologia molecolare
Indirizzo per la corrispondenza
Prof. Achille Ambrosetti
Divisione di Ematologia
Policlinico G.B. Rossi
P.le L.A. Scuro, 10 - 37134 Verona
E-mail: [email protected]
studi condotti con farmaci alchilanti) non vi è indicazione al trattamento immediato. Negli ultimi anni
i sostanziali progressi ottenuti nella conoscenza
dei meccanismi biologici della LLC hanno portato all’individuazione di numerosi nuovi marcatori prognostici, alcuni dei quali si sono diffusamente affermati nella pratica clinica ad affiancare ed
integrare i parametri tradizionali.
n INDICI PROGNOSTICI TRADIZIONALI
(CLINICO-EMATOLOGICI)
Stadiazione
I primi indici prognostici applicati su vasta scala
nella LLC derivano dagli schemi di stadiazione
proposti oltre 30 anni fa che consentivano di suddividere i pazienti in categorie a diversa prognosi sulla base di semplici elementi clinico-ematologici, è cioè l’obiettività e l’esame emocromocitometrico. Tali schemi valutano sostanzialmente
la massa tumorale (linfoadenomegalia ed organomegalia) e la presenza di insufficienza midollare
responsabile di citopenia (anemia e piastrinopenia) come conseguenza dell’infiltrazione leucemica midollare.
Il primo sistema di stadiazione ampiamente accettato, proposto da Rai nel 1975 (2), comprende 5
stadi, correlati con una diversa sopravvivenza
(Tabella 1), e fu modificato successivamente in tre
gruppi a basso (0), intermedio (I e II) ed alto (III e
IV) rischio. Nel 1981 Binet (3) propose un altro sistema stadiativo che valorizza l’importanza ai fini prognostici della massa tumorale, intesa come possibile interessamento di 5 diverse aree linfoidi: cervicale, ascellare, inguinale, milza e fegato. Sulla
22
Seminari di Ematologia Oncologica
Stadio
Rischio
Descrizione
Sopravvivenza
mediana (m)
0
Basso
Solo linfocitosi (periferica e midollare)
>150
I
II
Intermedio
Linfocitosi + adenomegalie
Linfocitosi + splenomegalia e/o epatomegalia
101
71
III
IV
Alto
Linfocitosi + anemia (Hb <11 gr/dl)
Linfocitosi + piastrinopenia (<100.000/mmc)
19
19
TABELLA 1 - Stadiazione della LLC secondo Rai (2).
Stadio
Descrizione
Sopravvivenza mediana
(mesi)
A
Interessamento di meno di tre aree linfoidi*, assenza di anemia e piastrinopenia
(Hb >10 gr/dl, PLTS ≥100.000/mmc)
B
Interessamento di 3 o più aree linfoidi, assenza di anemia e piastrinopenia
84
C
Anemia e/o piastrinopenia (Hb<10gr/dl, PLTS<100.000/mmc) indipendentemente
dal numero di aree linfoidi coinvolte
24
>120
*Sono considerate 5 diverse aree linfoidi: a) cervicale; b) ascellare; c) inguinale (in tutti i casi l’interessamento può essere mono- o bilaterale); d) milza; e) fegato.
TABELLA 2 - Stadiazione della LLC secondo Binet (3).
base del numero di aree coinvolte e della presenza o meno di anemia o piastrinopenia vengono
distinti 3 gruppi prognostici (A, B e C) (Tabella 2).
È da precisare che la valutazione della massa
tumorale è fondata in entrambi gli schemi sul semplice esame obiettivo e non tiene conto dei dati
sull’impegno linfonodale profondo ed epatosplenico ottenibili oggi mediante le tecniche di imaging di uso routinario nella pratica clinica.
Sebbene la TAC possa evidenziare linfoadenomegalia profonda o splenomegalia non obbiettivabile in circa ¼ dei pazienti in stadio 0 di Rai e sebbene una TAC positiva possa correlare con un
maggior rischio di progressione (4), il suo ruolo
nella stadiazione della LLC non è ancora accertato (5).
Per quanto attiene la presenza di anemia e piastrinopenia andrebbero distinte le forme iporigenerative conseguenti ad insufficienza midollare da
ampia infiltrazione linfoide dalle forme da consumo su base autoimmune, anch’esse peraltro ad
impatto prognostico negativo (6-8).
Sebbene tuttora validi e ampiamente utilizzati
entrambi i sistemi non risultano tuttavia adeguati per una valutazione completa della dinamica del-
la malattia e, soprattutto, non consentono alla presentazione di prevedere il futuro decorso dei singoli pazienti nell’ambito dei diversi stadi e, in particolare, negli stadi iniziali (Rai 0 e Binet A) che
costituiscono attualmente circa i 2/3 dei pazienti alla diagnosi mentre rappresentavano il 37% nella casistica di Rai.
Altri fattori prognostici tradizionali
Accanto allo stadio clinico sono stati proposti nel
passato altri fattori prognostici di tipo clinico e
laboratoristico, alcuni dei quali con valore indipendente dallo stadio, che correlano con una ridotta sopravvivenza e una più rapida progressione.
Questi includono: sesso, età, conta linfocitaria, tipo
di infiltrazione midollare, citomorfologia, tempo di
raddoppiamento linfocitario (9-11) (Tabella 3).
La conta linfocitaria è un parametro correlato sia
con la sopravvivenza che con il tempo alla progressione. Sono stati proposti vari cut-off (30.00040.000/mmc) (12).
Tuttavia, di maggiore e sicuramente rilevante
impatto prognostico è il tempo di raddoppiamento linfocitario (TRL), cioè il tempo necessario affinchè il numero di linfociti circolanti raddoppi. Un
Fattori prognostici
Fattori tradizionali
Caratteristiche sfavorevoli
- sesso/età
- tempo di raddoppiamento della conta
linfocitaria
- tipo di infiltrazione midollare
- percentuale cellule morfologicamente atipiche
(cellule prolinfocitoidi)
- conta linfocitaria
- maschile/>60 a.
- <12 mesi
- diffusa
- 5-55%
- >30-40x109/L
TABELLA 3 - Fattori prognostici di tipo clinico/laboratoristico classici nei pazienti affetti da LLC.
Variabili
Punti
0
1
2
3
_
N
<50
1-2 x N
50-65
>2 x N
>65
-
<20
masch.
20-50
femm.
>50
-
-
0-II
≤2
III-IV
3
-
-
Età (anni)
b2-Microglobulina sierica
Conta linfociti, (x109/L)
Sesso
Stadio di Rai
N° sedi linfonodali
TABELLA 4 - LLC - Indice prognostico secondo Wierda (12 modificato).
TRL <12 mesi è già considerato un indice di rapida cinetica associato a progressione della malattia (13, 14) con impatto prognostico negativo.
La modalità di infiltrazione midollare di tipo diffuso valutata sulla biopsia ossea correla con una
prognosi più sfavorevole, perchè indicativa di una
malattia avanzata e in progressione, mentre, un
infiltrato di tipo nodulare o interstiziale è associato alle fasi iniziali della malattia (15). Il tipo di infiltrazione midollare, molto valorizzato in passato,
non appare oggi costituire un fattore prognostico significativo e indipendente dai nuovi marcatori biologici.
Recentemente è stato proposto dal gruppo del
MD Anderson Cancer Center un indice prognostico, validato su un numero elevato di pazienti
(oltre 1.600) e basato su 5 fattori predittivi tradizionali (età, stadio secondo Rai, sesso, conta linfocitaria, numero di regioni linfonodali coinvolte)
e sui livelli di b2-microglobulina sierica (12). Tale
indice prognostico è di semplice applicazione e
non richiede indagini particolari a parte la misurazione della b2-microglobulina serica, peraltro
entrata nella pratica routinaria (Tabella 4). Esso
consente una buona stratificazione prognostica,
superiore a quanto ottenibile con la stadiazione
tradizionale, suddividendo i pazienti in tre fasce
di rischio: basso (da 0 a 3 punti), intermedio (da
4 a 7 punti), elevato (≥8 punti) (Tabella 5, Figura
1). Da rilevare peraltro che la maggioranza dei
pazienti ricade nel rischio intermedio.
n MARCATORI SIERICI
Si tratta di molecole solubili, tra cui enzimi, antigeni di membrana, citochine e loro recettori, misurabili nel siero dei pazienti con LLC, che sono risultate correlare con la massa e la cinetica della
malattia e quindi possedere valore prognostico.
Tra esse le più esplorate e considerate più significative sono la timidina chinasi (TK), il CD23 solubile (sCD23) e la b2-Microglobulina (b2-M).
- Timidina-chinasi (TK). È un enzima cellulare coinvolto in una via di salvataggio della sintesi del DNA.
Le cellule contengono almeno due isoforme che
differiscono per proprietà biochimiche e distribuzione cellulare. La forma citosolica, TK1, si trova
23
24
Seminari di Ematologia Oncologica
Rischio
Punteggio Sopravvivenza Sopravvivenza
a 5 a.
a 10 a.
Basso
1-3
Intermedio 4-7
Alto
≥8
97%
80%
55%
80%
52%
26%
TABELLA 5 - LLC - Sopravvivenza in base allo score di Wierda
(12, modificato).
nelle fasi G1 e S del ciclo cellulare, ma è assente
nelle cellule quiescenti; è responsabile del 95% dell’attività sierica della timidin-chinasi (s-TK) riscontrata ed è probabilmente dipendente dal numero
di cellule neoplastiche in attiva replicazione. s-TK
correla pertanto con la massa tumorale e con l’attività proliferativa delle cellule leucemiche (16-18).
Nella LLC i livelli di TK correlano non solo con lo
stadio clinico, ma anche con altri marcatori prognostici (stato mutazionale, citogenetica, ZAP-70,
CD38) (17, 19-21). Recenti studi mostrano che
valori di TK elevati identificano un sottogruppo di
pazienti in stadio precoce (Binet A) ad alto rischio
di rapida progressione (19, 20) e si associano a
ridotta sopravvivenza e aumentato rischio di evoluzione in sindrome di Richter (20).
- sCD23 (CD23 solubile). L’antigene CD23 (recettore a bassa affinità per le IgE) è una glicoprotei-
na di membrana, caratteristicamente espressa
dalle cellule di LLC, che viene clivata in frammenti solubili (sCD23) di varie dimensioni, che esplicano numerose e diverse attività biologiche la
maggior parte delle quali indipendenti dalle IgE
(22). I livelli sierici di sCD23 correlano con lo stadio clinico, con l’attività della malattia e con la
massa tumorale (23). Valori elevati sono inoltre
associati ad un pattern di infiltrazione diffusa del
midollo osseo alla biopsia osteomidollare, a un
tempo di raddoppiamento linfocitario ridotto e a
elevati livelli sierici di timidin-chinasi (24). In particolare, nei pazienti in stadio A di Binet, il sCD23
appare utile per definire una popolazione ad alto
rischio di progressione, che potrebbe beneficiare di un approccio terapeutico precoce e aggressivo (25). Inoltre, un tempo di raddoppiamento dei
livelli di sCD23 inferiore all’anno appare predittivo di più rapida progressione e ridotta sopravvivenza anche tra i pazienti con restanti indici prognostici favorevoli (26).
- b2-Microglobulina (b2-M). È una proteina extracellulare espressa da tutte le cellule nucleate ed
è associata alla catena a del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I (MHC I). Viene
liberata nel siero dalle cellule di LLC sia spontaneamente che in seguito a stimoli (27, 28). I livelli sierici di b2-M sono risultati correlati allo stadio,
FIGURA 1 - LLC: curve di sopravvivenza in base allo score di Wierda (12,
modificato).
Fattori prognostici
al tempo alla progressione e alla sopravvivenza
in numerosi studi retrospettivi (28-30) La b2-M è
stata inoltre utilizzata da Wierda tra i parametri che
compongono il sistema prognostico da lui proposto (12) (v. sopra). Dal momento che i livelli sierici di b2-M sono influenzati dalla funzionalità renale, è stato recentemente proposto un sistema di
correzione dei valori in base alla filtrazione glomerulare (GFR). I valori di b2-M aggiustati in base
alla GFR sono risultati indipendenti da ZAP-70
come fattore predittivo di progressione (31).
- Interleuchine (IL-6, IL-8, IL-10, TNFalfa) e loro
recettori solubili (sIL-6R, sTNFRs). Le interleuchine IL-6, IL-8 e IL-10 sono state studiate da sole
o in combinazione nella LLC (32-34). Livelli ematici elevati sono risultati correlare con stadio avanzato, valori di LDH e b2-M aumentati e decorso
sfavorevole; non è chiaro tuttavia se esse possiedano un significato prognostico indipendente.
Anche i livelli plasmatici di TNFalfa sono risultati
aumentati nella LLC, in associazione con fattori
prognostici clinici e biologici sfavorevoli e con
impatto prognostico indipendente sulla sopravvivenza (35).
- CD20 e CD52 circolanti. Valori aumentati di
entrambi questi antigeni in circolo sono risultati
associati a caratteristiche sfavorevoli della LLC tra
cui stadio avanzato, b2-M aumentata e ridotta
sopravvivenza. Per entrambe le molecole solubili,
bersagli di immunoterapia con anticorpi monoclonali di largo impiego, è stata confermata la possibilità che possano interferire con il legame alle cellule leucemiche rispettivamente di rituximab e alemtuzumab, con conseguenti possibili ripercussioni
sull’efficacia terapeutica e tossicità (36, 37).
- CD27 e CD44 solubili. I livelli ematici di ambedue queste molecole correlano con caratteristiche di LLC avanzata ed aggressiva. Per il sCD44
si è inoltre evidenziato un significato prognostico indipendente (38, 39).
Numerose altre molecole solubili sono state studiate quali possibili marcatori prognostici nella LLC,
tra cui: sCD25, sCD8, sICAM-1, sVCAM-1,
Trombopoietina (TPO), syndecam-1, Matrix metalloproteinasi 9 (MMP-9) (40) (vedi anche oltre: marcatori di angiogenesi e del microambiente). Anche
i livelli sierici di LDH (lattato-deidrogenasi) sono
utilizzati come marcatore prognostico. La LDH,
considerata indice di turnover cellulare, è comu-
Molecola
TK (timidina-chinasi)
sCD23
b2-Microglobulina
sCD44
sCD20
sCD52
sTNF/TNFR
LDH
Correlazione
con attività
di malattia
e prognosi
Valore
prognostico
indipendente
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
±
±
TABELLA 6 - Principali marcatori solubili nella LLC, correlazione
con l’attività di malattia e significato prognostico
sinteticamente riportati in base ai dati delle letteratura.
nemente impiegata nella pratica clinica quale indice di massa tumorale e di cinetica proliferativa in
numerose neoplasie ematologiche e non. È raramente elevato nella LLC e il suo innalzamento può
far sospettare l’evoluzione in sindrome di Richter.
Livelli aumentati di LDH sono comunque correlati con ridotta sopravvivenza e con altri marcatori prognostici sfavorevoli come citogenetica,
CD38, ZAP-70 (41-43).
n MARCATORI BIOLOGICI
Nel corso dell’ultima decade, in particolare a
seguito della scoperta del valore prognostico dello stato mutazionale dei geni IGHV e di alcune
alterazioni citogenetiche evidenziate dalla FISH
nelle cellule di LLC, si è assistito ad un notevole
sviluppo nella ricerca di nuovi marcatori prognostici di tipo biologico della LLC, in coincidenza con
i rapidi progressi nella conoscenza dei meccanismi patogenetici della malattia.
Il numero di marcatori biologici cui è stato via via
attribuito un significato prognostico nella LLC è
decisamente ridondante rispetto a quello ben più
limitato attualmente utilizzato, comprendente
talune alterazioni citogenetiche (studiate mediante FISH), lo stato mutazionale dei geni IGHV,
l’espressione di ZAP-70 e CD38.
Da sottolineare tuttavia come questi moderni fattori prognostici non siano predittivi per la sopravvivenza nelle classi di età più avanzate (44).
25
26
Seminari di Ematologia Oncologica
Citogenetica
Anomalie citogenetiche possono essere evidenziare in circa l’80% dei casi di LLC. La FISH (fluorescence in situ hybridization) rappresenta la tecnica di riferimento (41, 45) ma anche le tecniche
cariotipiche tradizionali con bandeggio conservano il loro ruolo (46). Le principali aberrazioni correlano con aspetti clinici e/o costituiscono importanti fattori prognostici. Da sottolineare il fatto che
il quadro citogenetico nella LLC non è stabile,
potendo evolvere nel decorso della malattia, con
possibile acquisizione di nuove anomalie in circa ¼ dei casi (47).
- La delezione 13q14 rappresenta la più frequente anomalia strutturale, rilevabile in oltre la metà
dei casi di LLC in stadio iniziale e può essere associata ad altre anomalie. Se isolata, è correlata con
un decorso favorevole. Nella delezione del 13q
sono coinvolti due geni microRNA (mir-15a e mir16-1) la cui attività è inversamente correlata con
l’espressione del bcl-2, proteina ad azione antiapoptotica; la perdita (o la mutazione) di tali
microRNA comporterebbe pertanto un’aumentata sopravvivenza del clone leucemico (48, 49).
- La delezione di 11q22-q23 è presente in circa
il 10% di casi in stadio iniziale e nel 20-25% dei
casi in fase avanzata di malattia. Si associa a stadio avanzato, grandi masse linfonodali e andamento aggressivo (50). È associata ad instabilità
genetica e circa 1/3 dei pazienti con tale anomalia presenta alterazioni cromosomiche aggiuntive
nel corso della malattia (51). Vari studi clinici hanno dimostrato minore risposta al trattamento e
accorciata sopravvivenza libera da progressione
nei pazienti con 11q- (52-54). Tale significato prognostico sfavorevole appare peraltro almeno in
parte superato dall’aggiunta del rituximab alla chemioterapia (55).
- La trisomia del Cr 12 è riscontrabile nel 10-20%
dei casi e la sua incidenza non aumenta con la progressione della malattia. Se non accompagnata da
altre anomalie citogenetiche sfavorevoli (11q-, 17
p-) non pare influenzare negativamente la sopravvivenza. I pazienti con trisomia 12 vengono considerati a prognosi intermedia (41, 56).
- La delezione del Cr17 coinvolge quasi costantemente la regione 17p13 in cui è localizzato il
gene oncosoppressore TP53. Ecco perché nella
maggior parte dei casi (oltre il 70%) a tale delezione si associa una mutazione inattivante di TP53
sull’altro allele. La delezione di 17p si riscontra nel
3-5% dei pazienti con LLC alla diagnosi o non
ancora trattati. La sua frequenza aumenta notevolmente con il progredire della malattia fino al
30% circa nei casi refrattari in quanto cloni leucemici con 17p- possono essere selezionati dal
trattamento, in particolare se basato su alchilanti ed analoghi purinici (57). I casi di LLC con 17p-
Anomalia cromosomica
Frequenza
Gene coinvolto
Prognosi
Caratteristiche
cliniche
Delezione 13q14
≥50%
miR15a,
miR16-1?
Buona (se isolata)
Indolente
Trisomia 12
15%
Sconosciuto
Intermedia
Responsiva
ad analoghi purinici
Delezione 11q22-23
15% (25% in paz.
refrattari)
ATM
Sfavorevole
Adenopatia
massiva
Decorso aggressivo
Morfologia atipica
Delezione 17p13/
Mutazione p53
5-10% (fino a 30%
in fase avanzata
per selezione
clonale)
P53 (spesso
associata a
mutazione p53
nell’altro allele)
Molto sfavorevole
Resistente a terapia
con alchilanti e
analoghi purinici
Delezione 6q21
3-7%
sconosciuto
Sfavorevole
Linfocitosi elevata,
morfologia atipica
TABELLA 7 - Caratteristiche delle principali anomalie citogenetiche nella LLC.
Fattori prognostici
sono scarsamente responsivi o refrattari ai trattamenti e hanno sopravvivenza ridotta (attorno ai
2 anni dal momento in cui si rende necessario un
trattamento). Migliori risultati, ancorchè ancora
insoddisfacenti, si possono ottenere con antiCD52, alte dosi di metilprednisolone, lenalidomide, flavopiridolo e trapianto allogenico di cellule
staminali (58). Tuttavia nell’ambito dei casi con
17p- il decorso può essere eterogeneo ed essere influenzato anche dallo stadio clinico e dallo
stato mutazionale (59)
Mutazioni di TP53, rilevabili con tecniche molecolari, sono peraltro riscontrabili anche in pazienti che non presentano delezione 17p (circa il 5%
dei pazienti non trattati). I casi con mutazione di
TP53 presentano caratteristiche cliniche aggressive analoghe a quelle dei casi con delezione 17p
associata a mutazione di TP53 dell’allele (60). Ne
deriva l’opportunità di testare per la delezione 17p
e mutazione TP53 i pazienti da trattare (61).
- La delezione 6q si riscontra nel 3-7% delle LLC.
È associata a conta linfocitaria elevata, morfologia atipica, positività del CD38, IGVH non mutati e decorso aggressivo (62)
- Traslocazioni che coinvolgono il cromosoma
14q32 (gene IGH) insieme con diversi altri partners
cromosomici interessano complessivamente il 49% dei casi di LLC. Sono ancora limitati i dati circa il significato prognostico di tali anomalie (63).
Stato mutazionale IGHV
In circa la metà dei casi di LLC l’analisi dello stato mutazionale dei geni delle regioni variabili delle catene pesanti delle immunoglobuline (IGHV)
evidenzia la presenza di ipermutazioni somatiche,
mentre i restanti casi risultano non mutati (64-66).
I casi non mutati presentano decorso più aggressivo, sopravvivenza inferiore e maggior frequenza di anomalie citogenetiche sfavorevoli e di altri
fattori prognostici negativi (41). Tale diversità di
aspetti biologici e clinici ha fatto ipotizzare che le
due categorie di LLC (mutate e non-mutate) rappresentassero in realtà malattie diverse (67), tuttavia studi dell’espressione genica hanno dimostrato in entrambe un profilo sostanzialmente unico e caratteristico della malattia, fatta eccezione
per un certo numero di geni tra cui quello della
zeta associated protein 70 (ZAP-70) (68) (v. oltre).
Lo stato mutazionale è risultato indipendente dai
fattori prognostici tradizionali, e in particolare dallo stadio (69), e predittivo del tempo alla progressione e della sopravvivenza anche nei pazienti in
stadio iniziale.
La definizione dello stato mutato o non mutato
richiede tecniche di analisi complesse e costose ed è basata su un valore soglia, per lo più definito come il 98% di omologia rispetto al gene
della linea germinale. Tale valore soglia è risultato all’analisi statistica la discriminante migliore in grado di distinguere due gruppi di LLC con
decorso assai differente (70). Nei casi con livelli di omologia ai limiti si consiglia la valutazione
complessiva dei vari marcatori prognostici. Una
prognosi sfavorevole analoga a quella dei casi
non mutati è stata riscontrata anche nei casi di
LLC mutati ma esprimenti il gene VH3-21 (71).
Lo stato mutazionale viene attualmente considerato il marcatore prognostico di riferimento per
la LLC.
Marcatori “surrogati”
dello stato mutazionale
La distinzione di due forme di LLC in base allo
stato mutazionale ne ha sottolineato l’importanza come parametro prognostico. Tuttavia la
complessità dell’analisi, i costi e la disponibiltà non
generalizzata dei laboratori per la sua corretta
determinazione ne hanno finora limitato la diffusione e hanno stimolato la ricerca di altri marcatori biologici di più semplice impiego da usare
come surrogati dello stato mutazionale. Tra di essi
i più noti e impiegati sono lo studio dell’espressione di CD38 e/o ZAP-70 da parte delle cellule
della LLC.
CD38
È una glicoproteina trans-membrana multifunzionale che agisce sia come ecto-enzima sia come
recettore. L’attività enzimatica è esplicitata dal
dominio extra-cellulare, che possiede attività di
adenilato ciclasi (72).
Come recettore, mediante il legame a CD31
espresso dalle cellule stromali, determina un’iperespressione di CD100, una semaforina coinvolta nella proliferazione cellulare, per cui induce la
proliferazione e aumenta la sopravvivenza delle
cellule leucemiche (73). Il CD38 è stato il primo
marcatore dimostratosi strettamente correlato con
27
28
Seminari di Ematologia Oncologica
lo stato mutazionale, tanto da essere stato proposto come suo surrogato (66). La presenza di
più del 30% di linfociti B esprimenti CD38 è stata considerata indicativa di un genotipo non mutato, e viceversa una positività <30% per il CD38
di un genotipo mutato, con una concordanza inizialmente riscontrata di oltre il 90%, ma rivelatasi in realtà inferiore negli studi successivi (70, 74).
I soggetti con più del 30% di linfociti B esprimenti CD38 mostrano una sopravvivenza inferiore e
una scarsa risposta ai trattamenti. Peraltro è da
sottolineare che la soglia di rappresentatività del
CD38 non è accettata in modo univoco e alcuni
autori indicano come valore limite il 20% o addirittura il 7% dei linfociti B (42, 75). D’altra parte,
sembra che la presenza di una popolazione leucemica CD38 positiva, ancorché di piccola entità, ma identificabile con certezza, possa determinare in modo significativo la prognosi della
malattia (76). In realtà è stato dimostrato che la
concordanza tra l’espressione di CD38 e lo stato mutazionale è solo parziale (variabile tra il 56
e il 75%) (40) e questi due parametri biologici risultano essere fattori prognostici indipendenti (77).
Il CD38 rimane comunque un indiscusso fattore
prognostico nella LLC e numerosi lavori dimostrano la sua correlazione con un decorso clinico più
aggressivo, scarsa risposta alla terapia e breve
sopravvivenza globale e l’associazione con altri
marcatori prognostici sfavorevoli (42, 77). Un limite di questo marcatore è che la sua espressione
può variare nel corso della malattia; non raramente (fino ad ¼ circa dei casi) infatti è possibile che
aumenti in seguito a progressione di malattia o
terapia (77). Questa variabilità ne limita il valore
predittivo.
Attualmente il CD38 più che un surrogato dello
stato mutazionale viene generalmente considerato un importante marcatore prognostico complementare.
Marcatore
CD38
ZAP-70
ZAP-70 (zeta-associated protein 70)
Questo importante marcatore prognostico è stato individuato confrontando il profilo genico dei
casi di LLC mutati e non: tra i geni diversamente espressi nei due gruppi (peraltro con profilo
generale comune e caratteristico) si distingueva
in particolare ZAP-70 (68, 78) che codifica per una
zeta-associated protein di 70 kDa. Si tratta di una
tirosin-chinasi associata al recettore CD3 dei linfociti T, coinvolta nella trasduzione del segnale proveniente dal TcR (T-cell receptor) quando lega l’antigene. Normalmente è espressa dai linfociti T e
NK, ma anche in alcune sottopopolazioni B (79)
ed in varie neoplasie linfoidi B (80). La maggior
parte dei linfociti B non possiede questa molecola, ma utilizza un’altra tirosin-chinasi associata, SyK, per la trasduzione del segnale dal complesso BcR (B-cell receptor). Non è nota la ragione per la quale i linfociti di una parte dei casi di
LLC esprimono ZAP-70, ma è possibile che tale
molecola funga da trasduttore del segnale in linfociti B deficitari di SyK (81) e contribuisca a
potenziare il segnale dovuto alle IgM di membrana (82) determinando un vantaggio nella risposta
migratoria e nella sopravvivenza e contribuendo
probabilmente al comportamento clinico aggressivo (78, 83).
L’espressione di ZAP-70 può essere valutata con
vari metodi, come Western blotting, PCR quantitativa, immunoistochimica, tuttavia la tecnica più
largamente diffusa nella pratica clinica è senz’altro la citometria a flusso su sangue periferico (84).
Quest’ultima risulta la tecnica più utilizzata nella
routine, grazie alla sua praticità e velocità, ed è
la tecnica impiegata nella maggior parte dei numerosi studi che hanno dimostrato l’importanza dell’espressione di ZAP-70 come marcatore prognostico nei pazienti con LLC (85-88). La soglia di
positività è stata fissata al 20% dei lifociti B. Una
valida alternativa alla citofluorimetria è rappresen-
Tecnica
Soglia
Concordanza
con IGHV
Valore
prognostico
Citofluorimetria
30% (20%, 7%)
56-75%
Indipendente
Citofluorimetria
immunoistochimica
20%
+
70-93%
Indipendente
TABELLA 8 - LLC: principali marcatori surrogati dello stato mutazionale IGHV.
Fattori prognostici
FIGURA 2 - LLC - valutazione dell’espressione di ZAP-70 mediante citofluorimetria su sangue periferico: a) caso ZAP-70 negativo (1% di cellule B CD19+/ZAP-70+); b) caso ZAP-70 positivo
(86% di cellule B CD19+/ZAP-70+). I linfociti T presenti risultano CD19-/ZAP-70+.
tata dall’analisi immunoistochimica su biopsia
osteo-midollare i cui risultati si sono rivelati altrettanto affidabili (90, 91).
La validità di ZAP-70 come fattore prognostico è
stata dimostrata da numerosi studi clinici, che
hanno messo in evidenza come l’espressione di
questa proteina correli con un andamento clinico più aggressivo, sopravvivenza più breve e
necessità di trattamento precoce (86-88).
Inizialmente proposto come surrogato dello stato mutazionale IgHV per la sua notevole diversità di espressione nei casi non mutati rispetto ai
mutati, ZAP-70 si è rivelato un marcatore prognostico indipendente e fortemente predittivo in termini sia di tempo alla progressione che di
sopravvivenza totale anche nei pazienti in stadio
iniziale (89). In realtà la concordanza tra espressione di ZAP-70 e stato mutazionale non è completa, o quasi, come inizialmente segnalato; infatti i casi discordanti variano tra il 7 e il 30% a
seconda delle casistiche e soprattutto delle
metodiche impiegate (40).
Alcuni dei casi ZAP-70 positivi ma IGHV mutati
sono risultati esprimere il gene VH3-21 e viceversa in alcuni casi non mutati ma ZAP-70 negativi
sono state rilevate anomalie citogenetiche sfavorevoli (11q- o 17p-) (92).
I casi discordanti presentano comunque in genere prognosi intermedia (87).
Un limite all’affidabilità di ZAP-70 è rappresenta-
FIGURA 3 - LLC - valutazione dell’espressione di ZAP-70 mediante immunoistochimica su biopsia osteomidollare: nel riquadro a
sinistra area midollare estesamente infiltrata da cellule leucemiche ZAP-70+, a destra risultano positivi solo sparsi linfociti T (Gentile
concessione di Marco Chilosi).
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Seminari di Ematologia Oncologica
to dalle problematiche inerenti alla standardizzazione delle metodiche citofluorimetriche, non
ancora del tutto risolte e riguardanti in particolare la scelta del campione e dell’anticorpo e le tecniche di fissazione e permeabilizzazione. Quanto
alla stabilità dell’espressione di questo marcatore nel corso della malattia, a fronte di alcune
segnalazioni di variazione del dato citofluorimetrico (43), esso viene generalmente ritenuto
sostanzialmente costante dalla maggioranza dei
clinici. Data l’arbitrarietà della soglia, per la maggior parte degli studi fissata al 20% dei linfociti
B neoplastici, i casi che presentassero valori vicini alla soglia dovrebbero essere attentamente
valutati nel contesto di altri fattori. L’espressione
di ZAP-70 è di fatto attualmente considerata,
accanto alla citogenetica (FISH) e allo stato mutazionale, uno dei marcatori prognostici più rilevanti per la LLC.
Nello studio condotto su oltre 1.000 pazienti dal
Consorzio Internazionale per la LLC (86) volto a
confrontare l’impatto sfavorevole dell’espressione di ZAP-70 sul decorso della LLC emerge che
tale fattore non viene influenzato dallo stato mutazionale IGHV, mentre tra i casi ZAP-70 negativi
quelli con IGHV non mutati hanno prognosi peggiore (tempo al trattamento inferiore). Questo studio se da un lato rafforza il valore prognostico di
ZAP-70 (non più semplice surrogato), dall’altro evidenzia come l’impiego combinato di più marca-
tori possa migliorare le capacità prognostiche dei
singoli casi.
Tuttavia, un altro studio (92) ha identificato lo stato mutazionale IGHV, l’uso di V3-21 e le anomalie genomiche sfavorevoli, ma non l’espressione
di ZAP-70 come fattori prognostici indipendenti,
peraltro evidenziando come quest’ultime fossero
frequenti nei casi discordanti ZAP-70 negativi.
Analogamente, valutando la combinazione di
FISH, stato mutazionale IGHV ed espressione di
CD38 in pazienti in stadio iniziale si è rilevato che
la presenza di delezione 17p configura un rischio
elevato indipendentemente dallo stato mutazionale, mentre la delezione 11q comporta una prognosi intermedia, analoga a quella dei casi IGHV
non mutati (93) (Figura 4). L’impiego combinato
dei principali marcatori può verosimilmente contribuire a migliorare le capacità predittive nei singoli pazienti (43, 87, 88).
Altri marcatori biologici
- Lipoprotein-lipasi (LPL). Tra i geni la cui espressione ha dimostrato una forte correlazione con lo
stato mutazionale (68). LPL è un enzima legato
ai glicosaminoglicani che compongono l’endotelio, particolarmente abbondante nel muscolo, nel
tessuto adiposo e nei macrofagi e gioca un ruolo centrale nel metabolismo e trasporto dei lipidi
(94). L’espressione del mRNA della LPL è risultata aumentata nei casi di LLC con IGVH non
FIGURA 4 - LLC: sopravvivenza in base
a stato mutazionale IGHV e citogenetica sfavorevole (92, modificata).
Fattori prognostici
mutati e si è evidenziato il suo ruolo come fattore prognostico indipendente (94, 95). Si è riscontrato che l’espressione di LPL è selettiva nei linfociti leucemici (94) e che i livelli di espressione
sono strettamente correlati allo stato mutazionale, con una concordanza variabile tra il 76 e il 90%
(40). Da sottolineare che gli elevati livelli di LPL
sono associati ad un decorso clinico più aggressivo, con un breve intervallo libero da trattamento e ridotta sopravvivenza globale (96).
- ADAM29 (a disintegrin and metalloproteinase
29). Il gene codifica per una proteina coinvolta
nelle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice,
appartenente alla famiglia delle disintegrine e
metalloproteinasi trans-membrana. Studi di profilo genico hanno evidenziato che i casi di LLC
con IGVH mutati esprimono livelli più elevati di
questo gene (94). È possibile pertanto che l’associazione di LPL e di ADAM29 possa aumentarne la specificità come fattori prognostici.
Questo marcatore è stato valutato in associazione a LPL: un rapporto aumentato (>1) tra
espressione (mRNA) di LPL e ADAM29 è risultato infatti marcatore prognostico indipendente
per sopravvivenza libera da eventi (94).
- AID (Activation-induced cytidine Deaminase). È
un enzima essenziale per il processo di ipermutazione somatica delle immunoglobuline. Livelli
aumentati di mRNA di AID sono stati riscontrati
nelle CLL ad alto rischio (non mutate) e nei casi
positivi per AID si è osservata una maggior frequenza di anomalie citogenetiche sfavorevoli, LDH
aumentato e positività di CD38 (97, 98).
- CLLU1. Si tratta di un gene (CLL upregulated
gene 1), individuato da un gruppo danese (99) e
situato sul cromosoma 12q22 (ma non coinvolto nella delezione 12), la cui elevata espressione
è risultata caratteristica dei casi di LLC a prognosi sfavorevole. L’aumentata espressione di CLLU1
è correlata ad altri marcatori quali stato mutazionale, ZAP-70, CD38 e predittiva di tempo al trattamento e di sopravvivenza globale inferiori
(100). Un aumento dell’espressione del mRNA di
CLLU1 è risultato fattore prognostico indipendente, ma solo in pazienti di età <70 anni. I dati al
riguardo sono tuttavia contrastanti (101).
- CD49d. Il CD49d/integrina alfa 4 è una molecola di adesione per la matrice extracellulare la
cui aumentata espressione sulla superficie delle
Marcatore
Tecnica
Valore
prognostico
indipendente
LPL: lipoprotein-lipasi/
/ADAM29
PCR
+
AID: Activation-Induced
cytidine Deaminase
PCR
±
PCR, FISH
±
citofluorimetria
+
PCR, FISH
±
CLLU1: CLL
Upregulated Gene 1
CD49d/ integrina
alfa 4
Lunghezza telomeri/
telomerasi
TABELLA 9 - LLC: marcatori prognostici biologici aggiuntivi.
cellule di LLC è risultata associata a stadio avanzato di malattia, positività di CD38 e ZAP-70 e con
stato IGHV non mutato. Un’elevata espressione
di CD49d (superiore alla soglia del 30%) è risultata fattore prognostico indipendente sia per la
sopravvivenza che per il tempo al trattamento
(102, 103).
- Lunghezza dei telomeri ed attività della telomerasi. La lunghezza dei telomeri, costituiti da
sequenze ripetute di DNA atte a stabilizzare la
struttura dei cromosomi, è inversamente proporzionale alla storia replicativa delle cellule; d’altronde l’attività telomerasica, volta a contrastare l’accorciamento dei telomeri dovuto alle divisioni cellulari, è aumentata nelle cellule maggiormente proliferanti. Nei linfociti della LLC è stata rilevata una
correlazione inversa tra lunghezza dei telomeri ed
attività telomerasica. I casi con telomeri più corti hanno mostrato un andamento più aggressivo,
una maggiore frequenza di fattori prognostici sfavorevoli (citogenetica, ZAP-70, CD38) (104, 105)
ed un rischio più elevato di evoluzione in
Sindrome di Richter (106).
Marcatori di angiogenesi
e del microambiente
In base ai più recenti concetti sulla patogenesi della LLC l’aumentata sopravvivenza delle cellule leucemiche dipende, oltre che da difetti nei meccanismi di apoptosi, anche da fattori estrinseci che
derivano dal microambiente e che consistono sia
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Seminari di Ematologia Oncologica
in interazioni dirette cellula-cellula e cellula-matrice, sia mediate da fattori solubili (107). È noto inoltre come le cellule di LLC, attraverso la produzione di fattori proangiogenetici, possano indurre la formazione di nuovi vasi che favoriscono la
sopravvivenza e la disseminazione in circolo delle cellule stesse (108).
Alcune molecole del microambiente sono state
messe in relazione al decorso clinico della malattia e vengono oggi comprese nell’ampio panorama dei fattori di prognosi. Essi sono APRIL, e i
fattori propriamente angiogenetici: angiopoietina2 (Ang2) e VEGF.
- APRIL (A Proliferation Inducing Ligand). È un
membro della superfamiglia del TNF (Tumor
necrosis factor), sintetizzato come proteina transmembrana omotrimerica di tipo II e rilasciato in
forma biologicamente attiva nel compartimento
extracellulare prevalentemente in forma solubile.
Prodotta da cellule del microambiente ematopoietiche e non dalle cellule tumorali stesse, APRIL
si lega ai recettori BCMA (B Cell Maturation
Antigen), TACI (Transmembrane activator and calcium modulator and cyclophilin ligand interactor)
e verosimilmente anche HSPGs (heparan sulphate proteoglycans), innescando una cascata di trasduzione del segnale a valle che converge sulla
via canonica di NF-kB (109).
Nella LLC APRIL aumenta la sopravvivenza dei
linfociti maligni sia attraverso un meccanismo
paracrino essendo prodotto dalle cellule del microambiente, sia tramite un circuito autocrino.
Recentemente è stata infatti dimostrata un’aumentata espressione del trascritto di APRIL da
parte dei linfociti maligni e la presenza sulla loro
superficie dei recettori TACI e BCMA (110, 111)
Il coinvolgimento di APRIL nella patogenesi della LLC ha indotto a studiarne il ruolo prognostico. Si è evidenziato che concentrazioni sieriche
di APRIL sopra la mediana correlano con ridotta
sopravvivenza (112, 113).
- ANG-2 (Angiopoietina-2) e VEGF. ANG-2 è una
glicoproteina di 75 kDa che si lega al recettore tirosin-chinasico Tie-2 posto sulla superficie delle cellule endoteliali ed opera in concerto con VEGF nel
promuovere il rimodellamento e la formazione di
nuovi vasi.
Prodotto e immagazzinato dalle cellule endoteliali, ANG-2 è prodotto anche da cellule neopla-
stiche e compete con il ligando fisiologico di Tie2, ovvero angiopoietina-1, fattore che promuove
la maturazione e l’integrità strutturale delle cellule endoteliali in condizioni normali. ANG-2 attiva
e altera le cellule endoteliali pre-esistenti e VEGF
promuove la migrazione e la proliferazione di nuove cellule endoteliali producendo così nuovi vasi
(114). La conoscenza del ruolo angiogenetico di
ANG-2 e VEGF nelle neoplasie, deriva da studi
preliminari relativi a tumori solidi, ma è stato riportato anche recentemente che ANG-2 e VEGF vengono prodotti, soprattutto in condizioni di ipossia, anche dalle cellule di LLC dove tali fattori promuovono la formazione di nuovi vasi in modo
paracrino attraverso interazioni reciproche con le
cellule endoteliali del microambiente (115).
Diverse osservazioni suggeriscono l’ipotesi di una
correlazione nella LLC tra elevata angiogenesi e
aggressività di malattia. In particolare è stato dimostrato come la densità vascolare midollare,
aumentata nei pazienti affetti da LLC rispetto ai
controlli, sia in grado di predire il tempo libero da
progressione negli stadi inziali di malattia (116).
Uno studio recente condotto su un’ampia casistica di pazienti, ha dimostrato come elevati livelli di ANG-2 in pazienti affetti da LLC correlino in
modo significativo con lo stadio avanzato di
malattia secondo Binet, livelli aumentati di b2microglobulina, IGVH non mutato e citogenetica
sfavorevole. Inoltre, ANG-2 rappresenta un fattore di rischio indipendente nel predire l’intervallo
di tempo al primo trattamento e la sopravvivenza globale. Nello stesso studio è stato dimostrato come anche livelli di VEGF più elevati siano correlati con un tempo al primo trattamento più breve (117). Quest’ultimo dato è in linea con studi
precedenti in cui era emerso come il livello di
VEGF fosse in grado di predire la sopravvivenza
libera da malattia in pazienti con malattia in stadio A di Binet (118).
n CONCLUSIONI
Per la maggior parte dei numerosi marcatori di tipo
biologico proposti negli ultimi anni per la LLC non
sono disponibili dati sufficienti a validarne l’impiego come fattori prognostici indipendenti. Fanno
eccezione la citogenetica, lo stato mutazionale
Fattori prognostici
IGHV e, sebbene in misura minore, ZAP-70 e
CD38, ormai entrati nell’uso clinico comune in
molti centri al fine di orientare le previsioni prognostiche dei pazienti alla diagnosi.
Il dato citogenetico può talora indirizzare la scelta terapeutica (come nel caso di delezione
17p/mutazione p53), ma ancora si discute se la
decisione di avviare un trattamento possa basarsi sul profilo prognostico e non piuttosto sui criteri clinici di malattia in progressione (45).
Ringraziamenti
I dati personali riportati nella review sono stati
prodotti nell’ambito di progetti di ricerca finanziati
da: Regione Veneto “Ricerca Sanitaria Finalizzata”;
“Fondazione G. Berlucchi per la Ricerca sul
Cancro”; AIRC - Associazione Italiana Ricerca sul
Cancro e Fondazione CARIVERONA.
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Linfocitosi B
monoclonale
LYDIA SCARFÒ1-3, PAOLO GHIA1,2,4
1
Laboratorio di Neoplasie Linfoidi B, Divisione di Oncologia Molecolare,
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano;
2
Unità Linfomi, Dipartimento di Oncologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano;
3
Ematologia, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara;
4
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
n INTRODUZIONE
Nonostante la presenza di popolazioni monoclonali di linfociti B nel sangue periferico di soggetti
adulti altrimenti sani sia un fenomeno descritto da
più di 25 anni (1), l’entità diagnostica della linfocitosi B monoclonale (MBL) è stata solo recentemente oggetto di inquadramento e definizione (2).
Con l’affinamento delle metodiche di laboratorio
ed in particolare della citofluorimetria multiparametrica, il riscontro di espansioni B cellulari, in
assenza di segni e sintomi di patologia linfoproliferativa, è divenuto relativamente frequente, creando la necessità di definire meglio la natura di
tale condizione. Bisogna infatti considerare che,
in più del 75% dei casi, la popolazione B cellulare clonale è fenotipicamente indistinguibile dalle cellule neoplastiche della leucemia linfatica cronica (LLC) (2, 3).
La LLC è la forma di leucemia più frequente negli
adulti del mondo occidentale; secondo dati
SEER aggiornati al quinquennio 2003-2007 l’inParole chiave: linfocitosi B monoclonale, leucemia linfatica cronica, invecchiamento del sistema immunitario
Indirizzo per la corrispondenza
Paolo Ghia
Laboratorio di Neoplasie Linfoidi B
Divisione di Oncologia Molecolare
Università Vita-Salute San Raffaele
c/o 4A3, Via Olgettina, 58 - 20122 Milano
E-mail: [email protected]
Paolo Ghia
cidenza, ponderata per età, di tale patologia si
aggira intorno a 4.2 per 100.000 persone per
anno, caratteristicamente più frequente negli individui di sesso maschile ed in aumento con l’avanzare dell’età. L’età media alla diagnosi è infatti pari
a 72 anni, con il 69.2% dei casi diagnosticato in
individui di età superiore a 65 anni, mentre solo
l’1.7% delle diagnosi viene effettuato in persone
di età compresa tra i 20 e i 44 anni (4).
Nel corso degli ultimi 50 anni si è assistito ad
importanti modificazioni dei criteri diagnostici della LLC e grazie al miglioramento delle metodiche di laboratorio e alla diffusione della citofluorimetria, le caratteristiche cliniche all’esordio e
l’incidenza stessa della malattia sono radicalmente cambiate (5). Negli anni ’70, infatti, la diagnosi di LLC in pazienti senza linfoadenopatie, epatosplenomegalia o citopenie, che quindi esibivano quale unica caratteristica patologica una linfocitosi a livello del sangue periferico (stadio 0
di Rai), si basava su un numero di linfociti circolanti di almeno 15.000 per μl (6); le linee guida
del National Cancer Institute (NCI), elaborate circa 20 anni dopo, abbassavano la soglia a 5.000
(7, 8). Nelle nuove linee guida dell’International
Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia
(IWCLL) pubblicate nel 2008 (9), in considerazione della vasta diffusione di metodiche di citofluorimetria in grado di distinguere le diverse sottopopolazioni linfocitarie ed allo scopo di non catalogare erroneamente come affetti da LLC i
pazienti con linfocitosi T reattiva, il parametro di
riferimento per la diagnosi di LLC è divenuto la
40
Seminari di Ematologia Oncologica
presenza, a livello del sangue periferico, di un
numero di linfociti B (CD19+) pari o superiore a
5.000 per μl. È rimasto invece inalterato negli anni
il requisito del riscontro del tipico immunofenotipo della LLC, caratterizzato dall’espressione di
marcatori B-cellulari (alcuni espressi ad intensità ridotta, quali CD20 (10) e le immunoglobuline di superficie), associati alla positività per CD23
e CD5 (quest’ultimo tipicamente espresso nei linfociti T ed in una piccola sottopopolazione dei
linfociti B normali). Grazie a questo assetto fenotipico caratteristico, la sensibilità della citofluorimetria a quattro colori permette attualmente di
rilevare una cellula LLC tra 10 000 cellule normali, rivelandosi utile anche per l’analisi della
malattia minima residua nel contesto di studi clinici controllati (11). Per questo motivo, il riscontro di espansioni B linfocitarie, anche minime, con
caratteristiche immunofenotipiche simili alla
LLC, negli individui sani è divenuto sempre più
frequente ed ha portato alla definizione dell’entità diagnostica della MBL, creata nel 2005. Con
questo termine si indica la presenza di linfociti
B monoclonali nel sangue periferico, in assenza di linfoadenopatie, organomegalia o sintomi
B, e con una concentrazione inferiore a 5.000 per
μl, il cut-off numerico al di sopra del quale, come
sopra enunciato, si deve porre diagnosi di LLC
(9). Poichè la MBL LLC-simile è fenotipicamente indistinguibile dalla LLC vera e propria, l’assegnazione all’una od all’altra categoria dipende sostanzialmente dal valore numerico dei linfociti B.
La creazione di una categoria diagnostica riservata alla MBL ha posto quindi le basi necessarie
per garantire l’uniformità e la possibilità di confronto di studi a carattere epidemiologico e biologico. La definizione e la caratterizzazione della
linfocitosi B monoclonale come entità a sé e l’analisi della relazione tra MBL e LLC sono state oggetto di intensa ricerca negli ultimi anni, che ha prodotto una notevole mole di risultati, dando spazio ad un acceso dibattito sulla natura della MBL
e sul suo potenziale rischio di evoluzione in LLC
(12). Un più preciso inquadramento biologico e
clinico della MBL riveste infatti un ruolo chiave sotto almeno tre aspetti: in primo luogo, a seguito
del diffuso miglioramento delle tecniche di rilevazione, è prevedibile che il riscontro di individui
affetti da MBL nella pratica clinica quotidiana
diventi un fenomeno progressivamente più frequente, con la gestione del quale il clinico dovrà
sempre più spesso confrontarsi. Inoltre, come illustrato in seguito, dato che una quota, seppur
minoritaria, di individui affetti da MBL progredisce a franca LLC, chiarire i fattori che determinano questa evoluzione è importante dal punto
di vista clinico per la necessità di stabilire un follow up che sia il più possibile adattato al paziente. Infine, come verificatosi in passato per altre
condizioni, una più approfondita comprensione
delle caratteristiche biologiche della potenziale
lesione pre-neoplastica può costituire un punto
di partenza privilegiato per capire la biologia della malattia.
n DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE
IMMUNOFENOTIPICHE
Come premesso, la definizione di MBL prevede
il riscontro di un’espansione B cellulare con caratteristiche immunofenotipiche peculiari e la restrizione del rapporto kappa/lambda, indice della presenza di una popolazione monoclonale (2, 13).
Anche se il sottotipo più frequente di MBL è quello fenotipicamente identico alla LLC, bisogna ricordare che esistono anche altre due sottocategorie (Tabella 1 e Figura 1).
- MBL con fenotipo di LLC atipica: positivo per
la presenza di CD5 e CD19, con variabile espressione di CD23, ma con CD20 e immunoglobuline di superficie espressi ad elevata intensità.
Poiché il linfoma mantellare, un sottotipo di linfoma non Hodgkin a decorso tendenzialmente
aggressivo, condivide le stesse caratteristiche
immunofenotipiche di questa variante, nei casi di
MBL LLC-atipica CD23 negativa è importante
ricercare, nella popolazione B-cellulare aberrante, la presenza della traslocazione (11; 14), propria del linfoma mantellare, allo scopo di evitare
il potenziale mancato riconoscimento di questa
patologia;
- MBL con fenotipo non-LLC: negativo per CD5,
ma anche per altri marcatori tipici di altre malattie linfoproliferative quali CD10 (espresso nei linfomi follicolari); presenta un immunofenotipo simile a quello dei linfomi della zona marginale.
Linfocitosi B monoclonale
CRITERI DIAGNOSTICI
1. Riscontro documentato di una popolazione B-cellulare clonale1 tramite uno o più dei seguenti parametri:
A. Restrizione delle catene leggere:
- rapporto kappa/lambda >3:1 or <0.3:1 oppure
- più del 25% dei linfociti B privi dell’espressione o con espressione a bassa intensità delle immunoglobuline di superficie
B.Riarrangiamenti IGHV monoclonali delle catene pesanti
2. Presenza di un immunofenotipo malattia-associato2
3. Valore assoluto dei linfociti B <5x109 cellule/L
4. Nessuna altra caratteristica suggestiva di disordine autoimmune o linfoproliferativo
A. Esame obiettivo nei limiti di norma (assenza di linfoadenopatie o organomegalie)
B.assenza di sintomi B (e.g. astenia, calo ponderale, sudorazioni notturne, febbricola serotina) attribuibili a linfoma non
Hodgkin (LNH)
C.Assenza di malattie autoimmuni o infettive in atto
SOTTOCLASSIFICAZIONE:
A. Fenotipo LLC-simile
- coespressione di CD5 e CD19, CD20 a bassa intensità (dim) e CD23
- restrizione della catena leggera con bassa intensità (dim) di espressione delle immunoglobuline di superficie (cloni MBL
di minima entità possono essere oligoclonali e perciò non esibire restrizione di catene leggere)
B.Fenotipo LLC atipica
- coespressione di CD5 e CD19; CD20 espresso ad alta intensità (bright); possibile negatività per CD23
- restrizione della catena leggera con intensità di espressione delle immunoglobuline di superficie da moderata a intensa
- consigliata ricerca della t(11;14) per escludere il linfoma mantellare
C.Fenotipo Non-LLC
- negatività per CD5
- espressione di CD20 normale o elevata
- restrizione della catena leggera con intensità di espressione delle immunoglobuline di superficie da moderata a intensa
1
Se possibile, determinazioni ripetute dovrebbero dimostrare la stabilità della popolazione B-cellulare monoclonale per un periodo di almeno 3 mesi.
In assenza di un immunofenotipo malattia-associato, la restrizione del rapporto kappa/lambda può derivare da un processo reattivo.
2
TABELLA 1 - Criteri diagnostici e sottoclassificazione della MBL [adattato da (13)].
FIGURA 1 - Sottoclassificazione sulla base dell’immunofenotipo della MBL (Gentile concessione di Claudia Fazi, Istituto Scientifico
San Raffaele, Milano).
41
42
Seminari di Ematologia Oncologica
n STUDI DI POPOLAZIONE E STUDI
CLINICI: QUALI DIFFERENZE?
Quando furono introdotti nel 2005, i criteri di diagnosi della MBL prevedevano la determinazione citofluorimetrica di un cluster con un numero minimo di 50 eventi costituiti da linfociti B
monoclonali, ma non specificavano un metodo
citofluorimetrico standard. La frequenza con cui
tale parametro può essere riscontrato quindi è
molto variabile e dipende da vari fattor tecnici
quali l’approccio citofluorimetrico di elezione, il
numero di eventi acquisiti e la combinazione di
anticorpi impiegata.
Un altro importante parametro da tenere in considerazione è la tipologia di individui che vengono studiati ed in particolare se tale condizione viene riscontrata in:
• studi di popolazione: comprendono studi
svolti su soggetti sani o comunque con disturbi di tipo non ematologico né neoplastico; i
partecipanti a questo tipo di studi mostrano un
esame emocromocitometrico nei limiti di norma. Una categoria particolare di studi di popolazione, intesi appunto come indagini rivolte ad
individui sani con parametri ematici non alterati, è rappresentata dalle indagini effettuate nei
membri di in famiglie con elevata incidenza di
LLC (cosiddette LLC familiari, analizzate
appunto in studi familiari);
• studi clinici: effettuati su pazienti con rilievo
di linfocitosi all’esame emocromo, che non
soddisfano i criteri diagnostici per la LLC o per
altri disordini linfoproliferativi, infettivi o autoimmuni.
Nella definizione di MBL risultano con ogni probabilità incluse, quindi, entità cliniche e biologiche differenti, seppur indistinguibili dal punto di
vista immunofenotipico, come dimostrato dall’analisi cumulativa dei dati registrati a livello mondiale (14).
Nella revisione critica dei principali studi pubblicati è perciò importante differenziare il tipo di MBL
studiato (a bassa conta vs associata a linfocitosi) ed il contesto di partenza (popolazione generale vs famiglie ad alto rischio per LLC vs ambito clinico), allo scopo di inquadrare correttamente i molteplici, e talvolta contrastanti, risultati attualmente disponibili.
Studi di popolazione
I primi studi di popolazione, intesi a determinare
l’esistenza e l’incidenza di popolazioni di linfociti B monoclonali, furono pianificati nei primi anni
’90 negli Stati Uniti, nell’ambito di studi ambientali volti a chiarire il ruolo della residenza in aree
ad elevato inquinamento come fattore predisponente per lo sviluppo di un’ampia varietà di disturbi (15, 16). Tra il 1991 ed il 1994, 1926 partecipanti, residenti in aree inquinate dal punto di vista
ambientale ed in zone più salubri di confronto,
furono sottoposti ad una serie di tests, comprendente l’analisi delle sottopopolazioni linfocitarie (linfociti B, T, NK e subsets di specifico interesse),
con metodiche di citofluorimetria a 2 colori. Il pannello immunofenotipico iniziale non prevedeva la
ricerca di popolazioni clonali tramite determinazione del rapporto kappa/lambda, ma gli individui che presentavano un incremento dei linfociti
B venivano sottoposti a test aggiuntivi per la ricerca di un eventuale popolazione clonale. Un clone B fu riscontrato in 11 soggetti, di età compresa tra 47 e 72 anni; 2 di questi vennero in seguito esclusi dall’analisi in quanto risultati affetti da
LLC. La prevalenza globale di MBL nella popolazione campione di età superiore a 45 anni si rivelò di conseguenza pari allo 0.6% (9/1499). Sei persone (delle 9 iniziali) vennero seguite nel tempo,
e in tutti fu confermata la persistenza del clone.
Nel corso degli studi successivi, furono riscontrati altri 2 casi grazie alla determinazione del rapporto kappa/lambda nello screening iniziale. Ad
un duplice follow up a distanza di 3 e 9 anni, 3
(37%) rimasero stabili, 3 (37%) risultarono deceduti per cause non correlate, ad un partecipante
con MBL fu diagnosticata una macroglobulinemia di Waldenström, stabile nel tempo, ed infine
un altro soggetto sviluppò una LLC, causa del
decesso al momento del secondo follow up
(2003). Successive analisi di screening su donatori di sangue confermarono nel complesso una
bassa frequenza della MBL (17, 18), e fu solo qualche anno più tardi, quindi, che, grazie a metodiche citofluorimetriche più avanzate, venne correttamente inquadrata la reale entità del fenomeno.
In particolare, in Inghilterra Rawstron et al. (19)
scelsero di analizzare una popolazione di individui con esame emocromocitometrico normale,
ricorsi alle cure mediche presso una struttura
Linfocitosi B monoclonale
ospedaliera per motivazioni non connesse con
potenziali patologie ematologiche e con anamnesi negativa per neoplasie. Vennero utilizzati due
pannelli citofluorimetrici a quattro colori comprendenti le combinazioni di anticorpi contro
CD20/CD79b/CD19/CD5 e κ/λ/ CD19/CD5, con
l’acquisizione di un numero più elevato di eventi totali (almeno 200.000). Furono valutati 910 campioni di sangue periferico (425 da uomini e 485
da donne, di età superiore ai 40 anni), bilanciati
in maniera da riprodurre, seppur su scala ridotta, la distribuzione per sesso ed età della popolazione britannica. In tale gruppo campione la prevalenza della MBL con caratteristiche simili alla
LLC risultò pari al 3.5%, delineandosi un netto
incremento in proporzione all’età (2.1% negli individui di età compresa tra 40 e 60 anni, a confronto con 5.0% nei soggetti di età superiore a 60 anni)
ed al sesso (con una chiara predominanza
maschile) (Figura 2). In 9/910 individui (1.0%) fu
individuata, grazie allo sbilanciamento del rapporto kappa/lambda, una popolazione monoclonale CD5-negativa. Da segnalare che il numero assoluto di linfociti B LLC-simili riscontrati risultava molto basso, con un valore assoluto mediano di 13
per μl (da un minimo di 3 ad un massimo di 1.458
per μl), ed un valore percentuale mediano, rispetto al totale dei linfociti B, dell’11% (compreso tra
3 e 95%).
Avvalendosi di un approccio citofluorimetrico analogo, Ghia et al. (20) ricercarono la presenza di
popolazioni B cellulari monoclonali in 500 individui di età superiore a 65 anni (269 donne e 211
uomini), sottoposti a prelievo ematico per esami
di routine (essenzialmente emocromo ed assetto lipidico), in assenza di linfocitosi o altre alterazioni dei parametri ematici e con anamnesi negativa per patologie oncologiche. L’età media della popolazione risultava pari a 73.7 anni (range 6598 anni) e lo studio fu effettuato in un lasso temporale di circa 20 mesi allo scopo di escludere
eventuali distorsioni stagionali, potenzialmente in
grado di inficiare i risultati dell’analisi. La frequenza cumulativa di MBL LLC-simili in questa popolazione si presentava pari a 5.5% con un valore
molto simile al 5% rilevato nello studio inglese
negli individui di età superiore a 60 anni, indicando l’universalità del fenomeno MBL, risultato indipendente da fattori geografici. Anche in questa
popolazione veniva riscontrato un chiaro incre-
80
Frequenza MBL (%)
60
Inghilterra
Italia
40
Spagna
20
0
18-40
40-49
50-59
60-69
70-79
80-89
³90
Età (anni)
FIGURA 2 - Prevalenza della MBL LLC-simile nelle diverse fasce d’età in relazione al numero di fluorescenze utilizzate e di eventi
acquisiti. Inghilterra (19, 24): 4 fluorescenze, 200.000 eventi acquisiti; Italia (21): 5 fluorescenze, 500.000 eventi acquisiti; Spagna
(23): 8 fluorescenze, 5.000.000 eventi acquisiti.
43
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Seminari di Ematologia Oncologica
mento di prevalenza con l’avanzare dell’età, particolarmente evidente negli individui di età superiore a 75 anni. In valore percentuale, il clone LLCsimile costituiva tendenzialmente una proporzione molto bassa dei linfociti B (media 1.8%, range 0.7-4%), con un valore medio di linfociti B
CD19+ pari a 165 per μl, compreso tra un minimo di 85 ed un massimo di 264 per μl.
Più recentemente Ghia et al. (21) hanno analizzato per la prima volta la prevalenza della MBL
in una popolazione di individui arruolati in un progetto non inteso a chiarire uno specifico problema di salute, ma a valutare il ruolo della componente genetica nel potenziale sviluppo di comuni malattie (ad esempio, ipertensione arteriosa,
osteoporosi, disturbi tiroidei). In tale contesto
1.725 individui di età superiore a 18 anni, residenti in una valle isolata dell’Italia del Nord, sono
stati sottoposti a caratterizzazione immunofenotipica utilizzando un pannello a cinque colori ed
acquisendo un totale di 500.000 eventi, incrementando così la sensibilità della metodica. Il numero totale di MBL rilevate corrispondeva a 128
(7.4%) e, come previsto, le MBL LLC-simili rappresentavano la maggioranza dei casi (89/128)
con una prevalenza pari al 5.2% dell’intera coorte e 6.7% tra gli individui >40 anni di età. Le MBL
LLC atipica e le MBL non-LLC risultavano
rispettivamente 19/128 e 20/128. È interessante notare che l’età media dei soggetti con MBL
era pari a 66.9 anni, che la frequenza di tale condizione si confermava più elevata negli individui
di sesso maschile e appariva aumentare in maniera significativa con l’avanzare dell’età, come
dimostrato dal fatto che, nel gruppo di partecipanti di età superiore a 90 anni, un clone MBL
Parametri
Shim Yk
et al.,2007
(16)
Rawstron AC
et al., 2002
(19)
Ghia P
et al., 2004
(20)
Età media (range)
53.0 anni
(42-70)@
1926
N.V.
2
57
(40-89)
910
200.000
4
73.7 anni
(65-98)
500
200.000
4
74.0§ anni
(62-80)
1520
200.000
4
55.2 anni
(18-102)
1725
500.000
5
62.0 anni
(40-97)
608
5.000.000
8
11/1926
(0.57%)
32/910
(3.5%)
22/442
(5.0%)
22/500
(5.5%)
22/500#
(5.5%)
78/1520
(5.1%)
78/1520
(5.1%)
89/1725
(5.2%)
69/770
(9.0%)
73/608
(12.0%)
N.V.
(>20%*)
17/20
(85.0%)
3/20
(15.0%)
IGHV3-07,
IGHV 3-23,
IGHV 4-34
36/51
(70.5%)
15/51
(29.5%)
IGHV4-59,
IGHV4-61
2/7
(28.5%)
5/7
(71.4%)
N.V.
Partecipanti
Eventi acquisiti
N° di fluorescenze
Prevalenza MBL
LLC-simile
• intera coorte
• >60 anni
Parametri biologici:
Omologia geni IGHV
• Mutati
• Non mutati
N.V.
-
3/3
(100%)
0/3
N.V.
-
Utilizzo geni IGHV
N.V.
IGHV3-21
IGHV3-74
N.V.
FISH
• Del13q
• +12
• Del11q
Del17p
N.V.
-
N.V.
-
N.V.
-
Rawstron AC
Dagklis A
et al., 2008 (27) and Fazi C
(27)
et al., 2009 (21)
15/38 (39.5%)
4/22 (18.2%)
0/21
0/10
N.V.
-
N.V. non valutabile; *calcolato sulla base dei dati in (23);§età mediana; #età >65 anni; @età mediana, 10°-90° percentile.
TABELLA 2 - Parametri clinici e biologici analizzati nei principali studi di popolazione [adattato da (26)].
Nieto WG
et al.,
2009 (23)
10/37 (27.0%)
2/37 (5.4%)
0/37
0/37
Linfocitosi B monoclonale
LLC-simile era rilevabile in circa il 45.0% dei casi
(22) (Figura 2). Le popolazioni clonali appartenenti ai sottogruppi non-LLC e LLC-atipica erano presenti in percentuale significativa anche tra gli individui più giovani e la loro frequenza risultava meno
evidentemente influenzata dall’invecchiamento.
Anche in questo contesto, tra i partecipanti con
clone MBL LLC-simile il numero di cellule B per
μl era compreso nei limiti di norma (valore medio
170, range 10-1920 per μl) e le cellule B clonali
costituivano una percentuale variabile, ma tendenzialmente bassa, dei linfociti B totali, con una
media del 6.9%; solo 13 casi infatti, mostravano una percentuale di cellule clonali superiore al
10%.
Potenziando ulteriormente la metodica citofluorimetrica utilizzata per la rilevazione, ed in particolare avvalendosi di una combinazione di otto
colori ed acquisendo fino a 5.000.000 di eventi
totali, il gruppo di Salamanca (23) ha recentemente evidenziato la presenza di un clone MBL nel
12% della popolazione totale, rappresentata da
608 individui sani, di età superiore a 40 anni, dimostrando addirittura l’esistenza di una popolazione monoclonale aberrante in circa il 75% degli
individui di età superiore a 90 anni (Figura 2). In
questo studio, in conseguenza dell’aumentata
sensibilità della tecnica utilizzata, i cloni B costituivano solamente lo 0.38% dei linfociti B totali,
variando dallo 0.14 al 4.2% (Tabella 2). La maggior parte dei casi individuati (62%), era quindi al
di sotto dei limiti di rilevazione delle metodiche
precedentemente utilizzate e, proprio a causa della minima entità delle cellule aberranti, è stato possibile confermare, con metodiche addizionali, la
clonalità delle popolazioni individuate solo in 18/73
casi, tutti con una percentuale di cellule aberranti superiore allo 0.01%.
In conclusione, gli studi di popolazione hanno
chiaramente dimostrato la natura universale della MBL, riscontrabile in molteplici condizioni geografiche e demografiche; l’utilizzo di metodiche
citofluorimetriche progressivamente più sensibili ha inoltre permesso di rilevare un’elevata prevalenza di questa condizione, strettamente dipendente dal numero di fluorescenze utilizzate e degli
eventi acquisiti. A questo proposito, tuttavia, è
interessante sottolineare che la prevalenza della
MBL non aumenta in maniera direttamente pro-
porzionale all’incremento della sensibilità nella
metodica citofluorimetrica utilizzata; infatti, nello
studio spagnolo, pur essendo la sensibilità dell’approccio immunofenotipico circa 10 volte
superiore, la frequenza della MBL è risultata solo
raddoppiata in confronto agli studi precedenti.
Questo dato sembrerebbe suggerire che, anche
disponendo in linea teorica di una metodica di
sensibilità illimitata, non sarebbe possibile individuare un clone MBL in tutti gli individui analizzati (22). È d’altra parte innegabile un netto aumento di prevalenza di tale condizione con l’invecchiamento, tanto da poter ipotizzare, in maniera del
tutto plausibile, che ogni individuo sia potenzialmente destinato a sviluppare una MBL, indipendentemente da fattori di predisposizione individuale, se dotato di un’aspettativa di vita sufficientemente lunga (22). A supporto di questa idea, grazie all’utilizzo di un modello statistico predittivo,
è stato recentemente suggerito che, processando un più elevato volume di sangue periferico alla
ricerca di cellule LLC-simili, il 100% degli individui di età superiore a 70 anni risulterebbe portatore di un popolazione B-cellulare aberrante (25).
Studi familiari
Un discorso a parte merita il rilievo della condizione di MBL nell’ambito di studi familiari. La familiarità per LLC rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio per lo sviluppo della malattia e
i familiari di primo grado dei pazienti affetti da LLC
hanno un rischio relativo di sviluppare una franca
leucemia da 2 a 7 volte più elevato rispetto alla
popolazione generale (28-31). Alcuni studi hanno
pertanto valutato la frequenza della MBL in famiglie ad alto rischio, in cui due o più membri della
stessa famiglia risultano affetti da LLC. Il numero
di casi di MBL in individui appartenenti a tali famiglie, con emocromo nei limiti è risultato pari a 8/59
(13.5%) (32) e 6/33 (18%) (33) in due studi, uno
inglese e l’altro americano rispettivamente. In particolare, il rischio complessivo di rilevare un clone LLC-simile in questi individui è 4-6 volte superiore a quello della popolazione generale e varia
in maniera significativa nelle diverse classi d’età,
con gli individui più giovani (di età compresa tra
16 e 40 anni) portatori di un rischio fino a 17 volte superiore rispetto ai coetanei non appartenenti a famiglie ad alto rischio (24, 32). Inoltre, tra i sog-
45
46
Seminari di Ematologia Oncologica
getti appartenenti a famiglie ad alto rischio per LLC,
la possibilità di sviluppare una MBL entro l’età di
90 anni risulterebbe pari al 61%, a sostegno di una
elevata prevalenza di questa condizione in tale
ambito, il cui ruolo e le cui potenzialità evolutive
restano però ancora da chiarire (34).
Studi clinici e rischio di progressione
A seguito dell’introduzione dei nuovi criteri diagnostici per la LLC, basati su un numero di linfociti B superiore a 5.000 per μl, circa il 40% dei
pazienti classificati in precedenza come LLC stadio 0 di Rai, sono improvvisamente rientrati nella categoria diagnostica della MBL (35-37).
Questo cambiamento ha sottolineato ulteriormente la difficoltà di differenziare in modo ottimale la
condizione di LLC con linfocitosi isolata (stadio
0 di Rai) dalla MBL ed un semplice valore numerico non sembra poter soddisfare questa necessità clinica, divenendo quindi oggetto di controversia nella comunità scientifica. Allo stesso tempo, l’analisi di queste coorti di MBL (definite come
MBL con linfocitosi oppure MBL cliniche) ha permesso di studiare, seppur in maniera retrospettiva, l’appropriatezza del valore soglia discriminante nella diagnosi, il rischio di progressione almeno in questa categoria clinicamente rilevabile e
l’eventuale esistenza di fattori predittivi della evoluzione leucemica.
- Valore soglia per differenziare MBL da LLC.
L’attribuzione di un’etichetta diagnostica quale
quella di leucemia (con tutto il carico psicologico per il paziente) dovrebbe ragionevolmente
basarsi non tanto sulla definizione arbitraria di
un valore, ma sul rischio concreto di morbidità
e mortalità derivanti dalla condizione in esame
e sull’eventuale necessità di trattamento. In tal
senso, i nuovi criteri diagnostici che considerano la conta linfocitaria B e non quella assoluta
come elemento discriminante, vanno nella direzione giusta di una maggior affidabilità predittiva in quanto, come dimostrato anche da recenti studi retrospettivi (36, 38), il valore dei linfociti totali, pur correlando con la sopravvivenza libera da trattamento e globale, è in realtà un fattore predittivo meno forte rispetto alla concentrazione di cellule B. Tale conclusione risulta ancora più condivisibile considerando che la conta
linfocitaria in sé e per sé non rappresenta altro
che la somma delle concentrazioni di diverse sottopopolazioni, essenzialmente rappresentate da
linfociti B, T ed NK.
Al contrario, non vi è alcun vantaggio in termini
predittivi nel valutare più precisamente la concentrazione delle cellule B clonali, e non semplicemente dei linfociti B totali (36) in quanto è stato
dimostrato, che, negli individui con MBL e linfocitosi (e quindi con una conta linfocitaria tendenzialmente >5.000 μl), la quota di cellule B policlonali rappresenta una frazione molto ridotta del
totale dei linfociti B. Pertanto il valore dei linfociti B individuato tramite valutazione citofluorimetrica dell’espressione di CD19 (marcatore caratteristico di tale popolazione) riflette in maniera
attendibile la popolazione clonale di cellule B in
questa categoria di soggetti e può essere utilizzato in maniera affidabile per monitorare il clone
B cellulare aberrante.
Vari studi retrospettivi clinici hanno confermato che
il valore di linfociti B alla presentazione costituisce un fattore predittivo indipendente dello sviluppo di una franca linfocitosi con un incremento continuo e proporzionale del rischio per ogni
aumento di 1.000 cellule B per μl (27, 36, 38-41).
Ciò nonostante, questi studi hanno acceso un
intenso dibattito sulla soglia più idonea a separare la categoria MBL dalla LLC stadio 0.
Rawstron et al. (27) hanno evidenziato che individui con un valore di linfociti B <1.900 per μl dopo
un follow up mediano di quasi 7 anni tendono a
mantenere invariata la conta linfocitaria, mentre i
soggetti con una conta linfocitaria B >4.000 per
μl mostrano, in maniera significativamente più frequente, un incremento della linfocitosi.
Analogamente, lo studio retrospettivo di Rossi et
al. (40) depone a favore del mantenimento della
soglia di 5.000 per μl. Al contrario, studi retrospettivi della Mayo Clinic (36, 38) hanno mostrato che
un valore soglia di 11.000 linfociti B per μl è in
grado di discriminare in maniera più precisa la prognosi, ed in particolare non solo di predire la
sopravvivenza libera da trattamento, ma anche
quella globale, a differenza del cut-off di 5.000 per
μl, capace solamente di predire la necessità di
terapia. L’insieme di questi dati conferma la esigenza di studi prospettici coinvolgenti un ampio
numero di partecipanti per meglio definire il limite adeguato.
Linfocitosi B monoclonale
- Rischio di progressione a LLC. Il rischio di progressione da MBL clinica a franca LLC o a linfoma a piccoli linfociti (SLL) con necessità di trattamento è stato valutato in ampie casistiche; i dati
derivanti dall’unico studio prospettico effettuato
e avvalorati da 2 dei 3 studi retrospettivi pubblicati recentemente suggeriscono un rischio di progressione compreso tra 1.1 e 2% (27, 36, 41). Tale
valore ricorda in maniera molto stretta il dato
riscontrato in studi di correlazione tra gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS) e
mieloma multiplo (42). La MBL associata a linfocitosi è infatti una condizione per molti aspetti affine alla MGUS: il rischio di progressione di
entrambe si aggira intorno all’1% per anno, la curva della sopravvivenza libera da malattia non sembra mai raggiungere una fase di plateau, indicando la necessità di un monitoraggio clinico a tempo indeterminato e la maggior parte dei decessi
negli individui con tali condizioni è imputabile a
cause non correlate.
Parametri
Coorte
cMBL
Conta linfocitaria mediana (x109/l)
Linfociti B (x109/l)
Età (anni)
Sesso (M/F)
Hb (g/l)
Piastrine (x109/l)
Omologia geni IGHV (%) [range]
Geni IGHV non mutati
Geni IGHV utilizzati
CD38≥30%
FISH
Del13q
+12
Del11q
Del17p
Linfocitosi progressiva
Progressione a LLC
Necessità di trattamento
Sopravvivenza libera da trattamento
mediana (mesi)
Follow up mediano (mesi)
Il dato pari all’1-2% l’anno come rischio di progressione in LLC con necessità di trattamento per
gli individui con MBL va confrontato con il rischio
pari al 5-7% per anno dei pazienti affetti da LLC
stadio 0 di Rai. Questa differenza, apparentemente limitata, si traduce di fatto in un rischio a 10 anni
di necessità di trattamento del 7-14% per gli individui con MBL, e di ben il 50-70% per i soggetti
con LLC Rai 0, legittimando l’attuale adozione di
un cut-off di 5.000 linfociti B per μl come soglia
per la diagnosi differenziale, anche se suscettibile di migliorie, da verificare in studi prospettici.
La questione della relazione tra MBL e LLC può
essere analizzata anche da un punto di vista opposto; in altre parole è giusto chiedersi non solo quante MBL progrediscono a LLC, ma anche quante
LLC sono precedute da MBL. La risposta a questo quesito è arrivata da uno studio di popolazione americano organizzato nell’ambito di un programma di prevenzione delle patologie neoplastiche in cui più di 150.000 individui sani stati segui-
Rawstron AC et al.,
2008 (27)
Shanafelt T et al.,
2009 (38)
Rossi D et al.,
2009 (40)
309
309
6.0 (1.1-16.8)
3.3 [0.1-4.99]
71 [39-99]
149/160
134 [62-203]
221 [67-487]
93.5 [88.2-98.9]
2/20 (10%)
VH4-34, VH3-23
VH3-07
58/174 (33.3%)
33 pz
19 (58%)
7 (21%)
2 (6%)
1 (3%)
51 (27.6%)
28 (15.1%)
13 (7.0%)
48 [13.2-121.2]
631
302
5.4 [0.3-9.6]
2.76 [0.02-4.99]
69 [34-93]
175/127
138 [127-150]
226 [184-283]
n.v.
25/109 (23%)
n.v.
60/274 (22%)
126 pz
56 (44%)
23 (18%)
2 (2%)
4 (3%)
74/210 (35.2%)
n.v.
7 (2.3%)
n.v.
277
123
5.1 [1.22-9.9]
2.8 [0.2-4.9]*
68 [59-75]*
60/63
140 [132-156]*
221 [188-261]∅
94.3 [92.0-97.0]∅
21/105 (20%)
VH4-34, VH3-23,
VH1-69, VH3-30
27/119 (22.7%)
105 pz
37 (35.2%)
19 (18.1%)
0
4 (3.8%)
34/123 (27.6%)
56/123 (45.5%)
19/123 (15.4%)
n.v.
80.4 [2.4-141.6]
18 [0-97]
42.7
*Linfociti B LLC simili; ∅25°-75° percentile
TABELLA 3 - Parametri clinici e biologici analizzati nei principali studi clinici.
47
48
Seminari di Ematologia Oncologica
ti nel tempo per valutare l’eventuale sviluppo di
neoplasie (43). Nel corso di tale studio, effettuato nel periodo tra il 1992 ed il 2001, 45 individui
hanno manifestato negli anni una LLC. L’analisi di
un loro campione di sangue prelevato al momento dell’arruolamento nello studio ha dimostrato che
44/45 pazienti mostravano la presenza di un clone B-cellulare fino a 7 anni prima della diagnosi.
È interessante sottolineare che, negli 8 casi con
geni immunoglobulinici non mutati, che di norma
depongono per un decorso clinico più aggressivo e per cui era stata messa in dubbio l’esistenza di una fase di MBL, almeno 3 mostravano la
presenza di un clone più di 3 anni prima della diagnosi di LLC, dimostrando quindi che virtualmente tutti i casi di LLC (sia i casi mutati sia quelli non
mutati) sono preceduti da una MBL.
- Fattori predittivi di progressione. Dato che l’ambito della LLC si è recentemente arricchito di una
pletora di fattori prognostici, più o meno diffusamente validati, ritenuti in grado di predire il rischio
di progressione della malattia, un passaggio logico naturale è stato quello di valutare se tali fattori (almeno quelli più consolidati) siano applicabili tout court anche alla MBL. I dati a questo proposito sono estremamente controversi, poiché
molte casistiche non permettono un’analisi multivariata dei diversi fattori, determinati solo in una
percentuale limitata di pazienti. Sebbene sia stato proposto (40) che la percentuale di omologia
dei geni IGHV, l’espressione di CD38 e CD49d,
la presenza di aberrazioni genetiche rilevabili alla
FISH possano costituire tutti fattori in grado di
segregare anche la MBL con linfocitosi in due
gruppi con decorso clinico differente, l’unico rilievo confermato in più di uno studio riguarda la correlazione tra l’espressione di CD38 ed un ridotto
intervallo di tempo prima del trattamento, confermando quindi la necessità di una più ampia mole
di dati prima di poter trarre conclusioni definitive
in tal senso (Tabella 3).
n CARATTERISTICHE BIOLOGICHE
DELLA MBL: SOMIGLIANZE
E DIFFERENZE CON LA LLC
L’origine e la natura della MBL sono tuttora oggetto di controversia. In particolare non è ancora chia-
ro se i linfociti B LLC-simili in tale condizione siano di natura neoplastica ab initio o possano essere considerati la controparte normale della LLC.
Diversi studi si sono pertanto proposti di caratterizzare la MBL dal punto di vista fenotipico,
molecolare e citogenetico, allo scopo di indagarne il potenziale legame biologico con la LLC.
- Espressione genica e molecolare. Come accennato in precedenza, in molti casi la MBL condivide lo stesso assetto fenotipico della LLC. Questa
affermazione, però, rappresenta in un certo senso un circolo vizioso poiché la stessa definizione di MBL LLC-simile si basa sull’espressione di
questi markers (44). Allo scopo di stabilire l’esistenza di un potenziale marcatore espresso in
maniera differenziale nelle due condizioni, il profilo di espressione di alcuni specifici geni (FMOD,
CKAP4, PI3Kc2b, LEF1, PFTK1, Bcl2 and GPM6a)
è stato paragonato in una serie di campioni derivati da individui con MBL o affetti da LLC e in cellule B normali. Questa analisi ha mostrato chiaramente che le cellule MBL e LLC differiscono dai
linfociti B normali e sono accomunate da uno stesso profilo, ed in particolare, dall’espressione di
LEF-1 (45). Tale gene, non rilevabile nella sottopopolazione B-cellulare CD5+, appare espresso
sia nella MBL sia nella LLC, suggerendo un ruolo potenziale nella transizione da cellule B normali a cellule B aberranti con fenotipo LLC-simile.
È stato inoltre analizzata l’espressione in citofluorimetria di numerosi marcatori cellulari addizionali rispetto a quelli utilizzati nelle procedure diagnostiche. Il gruppo di Leeds, in due studi successivi (46, 47) ha confermato una sostanziale identità del profilo di espressione molecolare tra MBL
e LLC, indistinguibili l’una dall’altra, ma ben differenziabili da altri disordini linfoproliferativi e dalle cellule B normali. È comunque interessante
notare che, come in parte atteso, una di queste
analisi (47) ha evidenziato una diversa espressione di alcune proteine responsabili del trafficking
linfoide (in particolare di CXCR5 e CCR6, e di
CD62L) tra MBL LLC-simile e le forme di LLC a
decorso clinico più aggressivo (con delezione del
17p e/o delezione dell’11q), permettendo di ipotizzare una minor predisposizione alla localizzazione nei tessuti linfoidi (con il conseguente ridotto apporto di stimoli da parte del microambiente) nei casi MBL.
Linfocitosi B monoclonale
numero limitato di antigeni in grado di stimolare
e quindi selezionare cloni LLC in pazienti diversi
(52-54). Numerosi studi hanno quindi analizzato
l’espressione delle immunoglobuline degli individui con MBL, per paragonarle a quelle della LLC,
partendo dal presupposto che la dimostrazione
di un analogo repertorio immunoglobulinico e della presenza di recettori stereotipati rappresenterebbe una forte evidenza a favore di un percorso patogenetico comune. Gli studi effettuati su
individui con MBL LLC-simile e linfocitosi, evidenziate in un contesto clinico, mostrano un repertorio immunoglobulinico analogo a quello della
LLC conclamata (27), pur con una maggior rappresentazione di casi mutati. Al contrario, i dati
nei pazienti con una quota di cellule B aberranti
molto bassa (tipicamente <10 cellule LLC-simili
per μl), quale quella che si riscontra nella popolazione generale, mostrano uno scenario differente. In particolare, negli studi di popolazione (21,
55), nei soggetti MBL si assiste ad una sottorappresentazione dei geni IGHV caratteristici della
LLC (con ridotta frequenza del gene IGHV4-34 e
assenza di IGHV1-69) e ad un più frequente rilievo del gene IGHV4-59/61, di più raro riscontro nella LLC (Figura 3). È inoltre interessante sottolineare che, nelle coorti di soggetti con MBL a bassa
conta, la presenza di recettori stereotipati è estremamente rara, e solo 2 casi di MBL che condi-
- Geni delle immunoglobuline. Nel campo della
LLC, l’analisi delle caratteristiche del B-cell
receptor (BCR), una molecola chiave per la
sopravvivenza dei linfociti B maturi, di cui le immunoglobuline costituiscono una componente essenziale, è stata foriera di conoscenze illuminanti non
solo dal punto di vista biologico ma anche sul versante clinico. Il repertorio immunoglobulinico della LLC è caratterizzato da una particolare predilezione nell’uso di alcuni geni variabili (IGHV) (in
particolare IGHV1-69, IGHV4-34, IGHV3-7,
IGHV3-23) (48). Inoltre, i casi con un’omologia di
sequenza immunoglobulinica pari o superiore al
98% rispetto alla forma germ-line (non mutati) esibiscono un decorso clinico tendenzialmente più
aggressivo, mentre i casi mutati (con un’omologia di sequenza inferiore al 98%) tendono a manifestare un andamento più indolente, con una prolungata sopravvivenza libera da progressione (49,
50). Un fenomeno particolarmente interessante e
caratteristico della LLC, è costituito dall’espressione dei cosiddetti recettori stereotipati. È stato
dimostrato (51) che oltre il 30% dei pazienti affetti da LLC, geograficamente distanti, condivide
sequenze simili o identiche a livello della cosiddetta complementarity-determining-region 3
(CDR3) che è il principale sito preposto al legame con l’antigene. Da un punto di vista biologico, tale riscontro suggerisce l’esistenza di un
25
Percentage (%)
20
CLL
MBL
15
10
5
9/
61
39
IG
H
V4
-5
4
V4
H
IG
IG
H
V4
-3
31
0
IG
H
V4
-
-3
3
H
V4
-7
IG
-7
H
V3
IG
V3
66
H
IG
V3
-
64
H
IG
53
H
IG
V3
H
IG
V3
-
49
48
V3
H
IG
30
V3
H
IG
V3
-
23
IG
H
1
IG
H
V3
-
-2
5
V3
-1
H
IG
V3
H
IG
IG
H
V1
-6
9
0
FIGURA 3 - Repertorio immunoglobulinico dei soggetti con MBL LLC-simile a bassa conta a confronto con quello dei pazienti con
LLC [modificata da (21)].
49
50
Seminari di Ematologia Oncologica
vidono una struttura del CDR3 omologa a quella descritta in pazienti affetti da LLC è riportata
in letteratura (21).
- Anomalie genetiche. Pur premettendo che la
LLC non si associa ad alcuna anomalia citogenetica specifica, l’analisi tramite ibridazione in situ
con sonde fluorescenti (FISH) permette di identificare alterazioni genetiche ricorrenti nell’80% dei
pazienti (56). Tra queste, la delezione del braccio lungo del cromosoma 13 (del13q), riconosciuta in oltre il 50% dei casi, è la più frequente, mentre, in ordine decrescente, si rilevano la delezione del braccio lungo del cromosoma 11 (del11q),
presente nel 18% dei casi e correlata ad alterazioni del gene ATM, la trisomia del cromosoma
12 (+12), nel 16%, ed infine la delezione del braccio corto del cromosoma 17 (del17p), nel 7%,
comportante la perdita di funzione del gene p53.
Il riscontro di tali alterazioni ha una documentata valenza prognostica, in quanto necessità di
trattamento, decorso clinico e sopravvivenza globale differiscono nei diversi sottogruppi, con i
pazienti con del13q che dimostrano la sopravvivenza più prolungata ed il decorso clinico più
indolente, mentre il sottogruppo con del17p risulta prognosticamente sfavorito e tende ad avere
una sopravvivenza ridotta ed una scarsa risposta ai trattamenti tradizionali (56).
Alcuni studi hanno tentato di caratterizzare il pattern di anomalie cromosomiche dei casi di MBL
LLC-simile, evidenziando forti somiglianze con le
forme di LLC a prognosi favorevole. In maniera
abbastanza univoca, infatti, sia nelle forme MBL
a bassa conta che in quelle in cui il valore assoluto delle cellule B aberranti è più elevato, l’alterazione di più frequente riscontro è rappresentata dalla delezione del cromosoma 13, in proporzione pari a circa il 39% nelle MBL con conta leucocitaria nei limiti di norma e a circa il 58%
nelle forme associate a linfocitosi (27). Le altre
anomalie genetiche, ed in particolare quelle a
significato prognostico sfavorevole come del11q
e del17p, sono di riscontro estremamente raro,
e sono state individuate soprattutto nelle forme
con linfocitosi; anche in tali circostanze, del resto,
tendono ad essere evidenziate in una quota minoritaria (< del 20%) delle cellule aberranti (57).
Infine è stato recentemente dimostrato che 10
polimorfismi di singoli nucleotidi (SNPs) valutati
nell’ambito dell’intero genoma conferiscono un
incremento del rischio di sviluppare una LLC, di
entità modesta ma ben quantificabile (58). Alcuni
di questi SNPs corrispondono a geni implicati nello sviluppo e nella funzione linfocitaria, includendo FARP2 (regolatore dell’attività di MYC), IRF4
(coinvolto nella differenziazione plasmacellulare)
e SP140 (implicato nella risposta alla stimolazione antigenica). Dato che la condizione di MBL è
stata spesso considerata un marcatore surrogato di predisposizione a sviluppare la LLC l’incidenza di questi SNPs in 419 casi di MBL (342
casi di MBL clinica e 77 MBL derivate da studi
di popolazione) è stata confrontata con quella
riscontrata in 1.753 controlli sani. Per 6 di essi è
stata evidenziata un’associazione statisticamente significativa tra genotipo e rischio di MBL (59).
Il rischio di sviluppare una MBL sembra aumentare in relazione al numero di alleli presenti per i
loci in esame e gli individui con più di 6 alleli a
rischio mostrano un probabilità 3 volte maggiore di sviluppare una MBL rispetto agli altri individui (59). È interessante sottolineare che, pur
essendo il rischio associato ad ognuna delle
varianti alleliche abbastanza basso, la frequenza di individui portatori di alleli a rischio nella
popolazione europea è piuttosto elevata, fornendo perciò un contributo significativo allo sviluppo della MBL.
- Modelli murini. Il riscontro di popolazioni B-cellulari CD5-positive clonali è una caratteristica
abbastanza comune nei topi di diversi ceppi, che
si verifica però dopo un lungo periodo di latenza, in animali anziani (di età superiore a 15 mesi)
senza dar luogo ad un vero e proprio quadro leucemico (60). Nei topi New Zealand Black (NZB)
e New Zealand White (NZW) tale fenomeno tende invece a manifestarsi più precocemente, con
lo sviluppo di espansioni linfoproliferative B-cellulari monoclonali CD5-positive a livello splenico e nel sangue periferico, che evolvono poi in
un franco disordine leucemico all’età di 9-12 mesi
(61-64). Un nuovo modello murino recentemente introdotto è invece caratterizzato dalla delezione del locus MDR (minimal deleted region),
localizzato a livello del braccio lungo del cromosoma 13, nella regione 13q14 (65), che si presenta deleto in circa il 50% dei pazienti LLC alla diagnosi e dei casi di MBL. Mentre i topi MDR-/- svi-
Linfocitosi B monoclonale
luppano un franco disordine linfoproliferativo LLCsimile in una percentuale vicina al 27%, in circa
il 5% degli animali si riscontra, un’espansione
CD5+B220low (l’equivalente murino del CD20
umano) di proporzioni limitate (pari a circa l’8%
delle cellule mononucleate a livello del sangue
periferico), strettamente analoga alla MBL documentata nell’uomo.
n MBL E IMMUNOSENESCENZA
Come evidenziato nell’uomo e corroborato dai
modelli murini, la MBL è una condizione associata all’invecchiamento, la cui frequenza aumenta
negli individui di età superiore a 60 anni. Il nostro
sistema immunitario subisce inevitabilmente una
serie di cambiamenti parafisiologici correlati
all’età (nell’insieme definiti immunosenescenza),
che condizionano alcune alterazioni della risposta immunitaria particolarmente frequenti negli
anziani, quali la maggior suscettibilità alle infezioni e la ridotta risposta alle vaccinazioni (66).
Per quanto riguarda i linfociti B (67, 68), il processo di senescenza è caratterizzato dalla restrizione del repertorio immunoglobulinico, da una ridotta incidenza di mutazioni somatiche a carico delle immunoglobuline, dall’incremento percentuale della sottopopolazione linfocitaria B1 (69, 70),
e, soprattutto, dall’aumentata incidenza di popolazioni oligo- e monoclonali, come testimoniato
dal più frequente riscontro di gammopatie monoclonali di incerto significato in individui di età superiore a 60 anni (42).
Per quanto riguarda i linfociti T, la comparsa di
espansioni oligo- e monoclonali associate ad una
restrizione del repertorio cellulare nel processo di
senescenza è stata dimostrata a carico di diverse sottopopolazioni (71). Le evidenze più stringenti riguardano il subset CD8+, ma in più del 50%
degli individui di età superiore a 65 anni è stata
evidenziata la presenza di popolazioni monoclonali anche a carico della sottopopolazione di cellule T CD4+CD8+ (cosiddette doppie positive), che
rappresenta una piccola quota dei linfociti T totali (generalmente pari al 2-3%) (72).
Tra le ipotesi più affascinanti proposte per spiegare questa tendenza all’oligo- monoclonalità che
si manifesta nel corso dell’invecchiamento, una
parte di primo piano spetta al potenziale coinvolgimento degli agenti infettivi, il cui ruolo è già stato dimostrato nelle modificazioni a carico del comparto T-cellulare. In particolare, le infezioni virali
croniche persistenti, in primis quella da CMV (73),
sono state associate alla comparsa di espansioni clonali CD8+, che alterano e riducono la varietà del repertorio immunitario, conferendo potenzialmente una maggiore suscettibilità ad altri tipi
di infezione. Pur non esistendo ad oggi studi sperimentali in grado di comprovare il potenziale nesso tra insorgenza di MBL e stimoli antigenici cronici nella popolazione generale, è stata osservata un’aumentata frequenza di MBL negli individui
con infezione da HCV (74). Tale incremento è conseguente ad un aumento di tutti e tre i sottotipi
di MBL inclusa quella LLC-simile (74). In sintesi
quindi la monoclonalità e la comparsa di espansioni B-cellulari (nello specifico LLC-simili) potrebbero non costituire di per sé un evento neoplastico, ma rappresentare un epifenomeno delle
modificazioni del sistema immunitario correlate
all’invecchiamento ed in particolare all’esposizione a stimoli antigenici cronici, sia di natura infettiva ma anche potenzialmente self.
n MONITORAGGIO CLINICO
I dati derivanti dal monitoraggio clinico della MBL
sono attualmente molto limitati a causa della sua
recente definizione. Nella pratica clinica quotidiana, nella maggior parte dei casi, il riscontro di
MBL avviene nell’ambito degli accertamenti
eseguiti a seguito del rilievo di una linfocitosi o
di un’altra anomalia dell’emocromo. Una volta
accertata la diagnosi, avendo quindi accuratamente escluso la presenza di un disordine linfoproliferativo, si ritiene auspicabile proseguire il
monitoraggio con controlli clinico-laboratoristici
a cadenza annuale (13). Poiché la condizione di
MBL è almeno 100 volte più frequente nella popolazione generale rispetto alla LLC, è infatti evidente che solo una minima percentuale di casi
è destinata a progredire verso una franca forma
leucemica. Nell’impossibilità di determinare alla
diagnosi quali individui andranno incontro a progressione, pur rassicurando la singola persona
sul rischio sostanzialmente basso di sviluppare
51
52
Seminari di Ematologia Oncologica
tua la diagnosi si trova a dover scegliere tra la definizione di linfocitosi (ICD-9 288.8) e LLC (204.1);
nel primo caso, in alcuni paesi, gli accertamenti
necessari non possono essere eseguiti a carico
del sistema sanitario nazionale, mentre nel secondo (soprattutto nei sistemi sanitari che si basano
sulla copertura assicurativa del singolo, come negli
Stati Uniti) i costi assicurativi sono aumentati e le
pratiche per ottenere un’assicurazione sulla vita
possono essere bloccate, pur non potendosi di
fatto ascrivere tale condizione all’ambito dei disordini neoplastici (26).
Un altro aspetto pratico meritevole di valutazione è rappresentato dalla potenziale indicazione ad
effettuare una valutazione di screening per la presenza di una popolazione B cellulare clonale nei
derivati ematici e negli organi destinati alla donazione. Un’analisi effettuata su campioni derivan-
una LLC, è importante istruire i soggetti con MBL
sui potenziali sintomi e segni d’allarme (linfoadenopatie, febbre, sudorazioni notturne, perdita di
peso, astenia) e procedere ad un regolare follow
up. Come accennato, in analogia a quanto avviene per la MGUS, la curva che disegna il rischio
di progressione degli individui con MBL non raggiunge mai un plateau, comportando perciò la
necessità di un monitoraggio a tempo indeterminato (Tabella 4).
n ALTRE CONSIDERAZIONI CLINICHE
Dal punto di vista della pratica clinica, la definizione della categoria diagnostica di MBL ha aperto alcuni rilevanti quesiti, tuttora in attesa di risoluzione. In primo luogo, non esistendo un codice ICD9 applicabile alla MBL, il medico che effet-
Raccomandazioni
MBL LLC-simile
rilevata in studi
di popolazione1
MBL1 LLC-simile
rilevata clinicamente
MBL LLC atipica o
Non-LLC identificata
in un contesto clinico
Sì
Sì
Sì
Sì
No
No
No
No
Sì
Sì
Sì
Sì
No
No
No
No
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì4
Sì
Sì
No
Sì
Sì
1-2%/anno
Non definito
Annuale
Annuale
6-12 mesi
No
3-12 mesi6
3-12 mesi6
6-12 mesi6
Secondo il giudizio
clinico6
Work up
diagnostico
Anamnesi2
Esame obiettivo3
Immunofenotipo dei linfociti
Emocromo con formula
Test FISH con sonda per t(11;14)
TC torace/addome/pelvi
Biopsia osteomidollare
Test prognostici per la LLC
Counseling
& follow-up
Istruzione dei pazienti sui sintomi
Sì
da monitorare2
Rischio di progressione con
Non definito ma basso5
necessità di terapia
Anamnesi2
Controlli di routine
Esame obiettivo3
Controlli di routine
Emocromo con formula
Annuale
TC torace/addome/pelvi
No
1
La MBL LLC-simile identificata nel corso di una valutazione clinica per la linfocitosi viene definita MBL LLC-simile rilevata clinicamente, mentre la MBL LLCsimile identificata nel corso di studi di ricerca in pazienti con conta linfocitaria normale viene definita come MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione.
Attenzione ai sintomi costituzionali (febbre, sudorazioni notturne, calo ponderale, astenia). 3Attenzione alla valutazione linfonodale ed alla determinazione dell’epatosplenomegalia. 4Nei pazienti con fenotipo LLC atipica CD5+ ma CD23- dovrebbe essere effettuata una valutazione FISH con sonda per la t(11;14),
caratteristica del linfoma mantellare. 5Nonostante la limitata disponibilità di dati in merito, la progressione nei soggetti con MBL LLC-simile rilevata in studi
di popolazione sembrerebbe essere rara. Dato che diversi studi suggeriscono che il numero di linfociti B correli con il decorso clinico negli individui con MBL,
il rischio di progressione in soggetti con MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione è ritenuto inferiore rispetto a quello degli individui con MBL LLCsimile clinicamente rilevabile. 6Per i rari soggetti che soddisfano i criteri della MBL con un fenotipo e studi citogenetici suggestivi di linfoma mantellare o di
un altro sottotipo di linfoma aggressivo, si suggerisce un monitoraggio ogni 3-6 mesi con esecuzione di TC almeno ogni 6 mesi. Per gli individui con MBL
LLC atipica o Non-LLC, il cui fenotipo ricorda un sottotipo più indolente di linfoma, si raccomanda un monitoraggio ogni 6-12 mesi e l’esecuzione di esami
strumentali di follow up ad una frequenza stabilita secondo il giudizio clinico.
2
TABELLA 4 - Raccomandazioni per la valutazione ed il follow-up nella pratica clinica [adattato da (13)].
Linfocitosi B monoclonale
ti da 5.141 donatori di sangue ha rivelato la presenza di soli 7 casi di linfocitosi B monoclonale,
con una prevalenza quindi sorprendentemente
bassa, pari allo 0.14% (18); la metodica di screening utilizzata, tuttavia, era dotata di una scarsa
sensibilità, motivo per il quale al momento non
possono essere tratte conclusioni definitive ed in
tale ambito è prematuro raccomandare l’attuazione di metodiche di screening.
Ancora controversa è anche la linea di condotta
da applicare nello screening per MBL dei parenti di primo grado di pazienti affetti da LLC, candidati a trapianto allogenico da donatore familiare, in considerazione dell’aumentata frequenza del
rilievo di MBL in questa condizione (75). Al
momento non è stato ancora definito in maniera
univoca se, in tale contesto, sussista l’indicazione ad uno screening per MBL e se eventuali fami-
liari con MBL debbano essere considerati non idonei alla donazione di cellule staminali midollari.
n CONCLUSIONI
La condizione di MBL costituisce un’ampia
categoria diagnostica tuttora in via di definizione, caratterizzata verosimilmente dalla presenza
di diverse entità, accomunate dall’espressione di
un analogo immunofenotipo. Studi di metanalisi delle diverse coorti di individui MBL con fenotipo LLC (14), pubblicate a livello mondiale hanno dimostrato che la distribuzione di questa condizione può essere fondamentalmente suddivisa in due principali sottogruppi, con caratteristiche biologiche e cliniche differenti:
- MBL con quota di cellule B aberranti inferiori a
FIGURA 4 - Ipotetica patogenesi della MBL e
relazione con la LLC.
53
54
Seminari di Ematologia Oncologica
50 per μl: riscontrate prevalentemente negli studi di popolazione, in quanto clinicamente non rilevabili a causa della bassa sensibilità dei test di
laboratorio di routine, caratterizzate da un profilo di rischio molecolare e citogenetico in qualche
modo simile alla LLC a prognosi favorevole, ma
con un repertorio immunoglobulinico del tutto differente, a volte anche oligoclonale. Per tale condizione, qualora riscontrata incidentalmente agli
esami di routine, non sussiste alcuna indicazione al monitoraggio, in quanto non indicativa di un
aumento significativo del rischio di sviluppare una
franca LLC.
- MBL con quota di cellule aberranti superiore a
2.000 per μl: di riscontro frequente nel corso degli
accertamenti eseguiti nell’ambito di una linfocitosi, dal punto di vista biologico e del repertorio
immunoglobulinico molto simile alla LLC clinicamente definita, esibisce un rischio di progressione in leucemia franca pari a circa l’1% per anno.
Le forme di MBL con quota linfocitaria compresa tra 50 e 2.000 per μl rappresentano la minoranza dei casi al momento riscontrata nei vari studi pubblicati e mostrano un profilo biologico meno
definito, per molti aspetti simile alla LLC clinicamente manifesta, con l’importante differenza che
la conta B cellulare tende a rimanere stabile nel
tempo e rappresenta il parametro da monitorare, data l’inattendibilità, in questo sottogruppo in
particolare, delle modificazioni della quota linfocitaria totale.
In conclusione, la condizione di MBL si presta a
molteplici chiavi interpretative: da un lato, infatti,
le somiglianze biologiche ed immunofenotipiche,
il frequente riscontro di monoclonalità e il dimostrato, seppur basso, rischio di progressione in
LLC con necessità di trattamento, depongono a
favore della natura pre-leucemica della MBL, in
maniera per certi versi analoga alla transizione tra
MGUS e mieloma multiplo. Dall’altro, però, trattandosi di una condizione la cui prevalenza nella popolazione generale è circa 100 volte maggiore rispetto a quella della LLC, che diviene progressivamente più frequente nel corso dell’invecchiamento, talvolta con caratteristiche di oligoclonalità, è altrettanto ragionevole ipotizzare che tale
condizione rappresenti la conseguenza di una stimolazione antigenica cronica e persistente, di per
sé quindi non di natura neoplastica, ma più espo-
sta al rischio di eventi genetici addizionali che ne
possano condizionare, seppur raramente, l’evoluzione in franca leucemia, in accordo con il
modello multi-hit già dimostratosi concretamente valido nello spiegare la patogenesi di molte forme neoplastiche (Figura 4).
La natura della relazione biologica tra MBL e LLC
risulta perciò ad oggi solo parzialmente definita
ed è campo di attiva indagine, sia in relazione alla
necessità di individuare fattori di rischio in grado
di predire il decorso clinico di questa entità e
l’eventuale evoluzione in franca leucemia, che
come affascinante modello di studio per penetrare a fondo i meccanismi patogenetici alla base del
substrato biologico della LLC.
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59
Sindrome di Richter
MARCO FANGAZIO, DAVIDE ROSSI, GIANLUCA GAIDANO
Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”
e Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità, Novara, Italia
Gianluca Gaidano
n INTRODUZIONE
La Sindrome di Richter (SR) rappresenta la trasformazione clinico-patologica della leucemia linfatica cronica (LLC) in linfoma aggressivo, più
comunemente in linfoma diffuso a grandi cellule
B. Questa condizione venne descritta per la prima volta nel 1928 da Maurice N. Richter, da cui
prese il nome (1). La trasformazione della LLC in
SR deve essere distinta dalle altre tipologie di progressione di malattia, che sono definite dalle linee
guida IWCLL-NCI (2). La diagnosi di SR richiede
obbligatoriamente una prova istologica, in assenza della quale la SR può essere soltanto sospettata clinicamente, ma non documentata (3, 4). La
trasformazione della LLC in linfoma diffuso a grandi cellule B deve essere inoltre distinta dalla trasformazione prolinfocitica e da altre neoplasie linfoidi che mostrano un’incidenza aumentata nei
pazienti affetti da LLC (4, 5).
In questa rassegna, la definizione di SR è applicata esclusivamente alla trasformazione da LLC
a linfoma diffuso a grandi cellule B (che rappreParole chiave: sindrome di Richter, leucemia linfatica
cronica, linfoma diffuso a grandi cellule B, predittori clinici e biologici di trasformazione
Indirizzo per la corrispondenza
Prof. Gianluca Gaidano
Divisione di Ematologia
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Università degli Studi del Piemonte Orientale
“Amedeo Avogadro”
Via Solaroli, 17 - 28100 Novara
E-mail: [email protected]
senta più del 90% dei casi di SR). Nonostante
questa restrizione, la definizione di SR rimane eterogenea e comprende almeno due differenti condizioni biologiche nettamente distinte l’una dall’altra:
a) la trasformazione clonalmente correlata delle
cellule di LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B, condizione che si verifica nella maggioranza dei casi di SR;
b) lo sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule
B non clonalmente correlato alla fase di LLC
(3, 6-11).
Nella SR clonalmente correlata, il nesso patogenetico tra LLC e la fase di linfoma diffuso a grandi cellule B è palese ed è sostanziato dall’acquisizione di nuove lesioni molecolari al momento
della trasformazione clinico-patologica. Viceversa,
nel caso dello sviluppo di SR clonalmente non correlata, la trasformazione potrebbe essere favorita da alterazioni immunologiche del paziente affetto da LLC, o da altri meccanismi che, al momento, non sono noti.
Con l’avvento dei nuovi farmaci immunosoppressivi utilizzati per la terapia della LLC, e in particolar modo con l’introduzione dell’anticorpo
monoclonale anti-CD52 (alemtuzumab), è stato
osservato sporadicamente lo sviluppo di linfomi
clinicamente aggressivi caratterizzati da positività del clone neoplastico per infezione da EpsteinBarr virus (EBV) e da spiccate analogie con i linfomi dei pazienti immunodeficienti (12, 13).
Questi casi di linfomi aggressivi associati a terapia con alemtuzumab non devono essere confusi con la SR, ma piuttosto rappresentano un nuovo tipo di linfoma associato a immunodeficienza
che si sviluppa dopo terapie che riducono il com-
60
Seminari di Ematologia Oncologica
partimento T linfocitario in pazienti già immunocompromessi a causa della malattia di base e/o
a causa della pregressa chemioterapia.
La propensione a trasformazione in linfoma
aggressivo non è esclusiva della LLC. Sebbene
con diversa incidenza, tale propensione si osserva anche in altri disordini linfoproliferativi indolenti della serie B linfocitaria, in particolare il linfoma
follicolare e il linfoma della zona marginale.
Nonostante questa evidenza, ad oggi non è stato possibile chiarire se esista un comune percorso molecolare alla base della trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B a partire da tutte
queste differenti condizioni cliniche, oppure se la
trasformazione da un disordine linfoproliferativo
B indolente ad uno aggressivo segua strade diverse a seconda del tipo iniziale di malattia.
n EPIDEMIOLOGIA
La SR è considerata una patologia rara ed una
complicanza infrequente della LLC. Questa percezione, nonostante sia condivisa da molti ematologi, non è supportata da evidenze epidemiologiche derivate da studi riguardanti specificatamente la SR. Dal momento che la diagnosi di SR
richiede la valutazione istologica, l’eterogenicità
tra la sua incidenza osservata in diverse serie di
pazienti affetti da LLC dipende in larga misura dalla diversa prassi della biopsia linfonodale tra i vari
centri (3, 4). In particolare, mentre la rivalutazione bioptica è pratica comune ad ogni progressione di malattia nel linfoma follicolare (14), non si
può dire lo stesso per quanto riguarda la LLC. Per
questo motivo, la sottostima nella diagnosi di SR
potrebbe influenzare, almeno in parte, la percezione della SR come una condizione rara.
Studi recenti hanno valutato l’incidenza di SR in
una serie consecutiva di pazienti affetti da LLC
che sono stati omogeneamente sottoposti a controllo bioptico della lesione indice in caso di:
a) linfoadenopatia ≥5 cm;
b) rapido incremento della dimensione linfonodale (raddoppiamento del diametro trasverso
maggiore in un periodo < 3 mesi);
c) comparsa di lesione extranodale;
d) comparsa di sintomi B;
e) marcata elevazione di LDH (3).
Questi criteri sono stati utilizzati per generare il
sospetto clinico di SR, e per ottenere la conseguente conferma istologica (3). La rigorosa applicazione di questi criteri per la biopsia in una serie
consecutiva di pazienti affetti da LLC ha rivelato che l’incidenza cumulativa di SR a 5 e 10 anni
dalla diagnosi è superiore rispettivamente a 10
e 15% (3).
In questa stessa serie di pazienti, l’incidenza di
SR non si è dimostrata aumentare in modo significativo con il progressivo fallimento delle varie
linee di terapia della LLC (3). Questa osservazione può essere ascritta alla precoce pratica bioptica adottata, che potrebbe identificare precocemente la SR prima di esporre i pazienti a multiple linee di terapia, che, essendo dirette contro
la progressione di LLC, potrebbero risultare inefficaci o solo parzialmente efficaci nel caso di trasformazione. Nella casistica sovrariportata, il
tempo mediano alla trasformazione in SR era di
23 mesi dalla diagnosi di LLC (3).
Questo dato è confermato da altre serie indipendenti di pazienti riportate in letteratura (4), e suggerisce che, almeno in una frazione di pazienti,
la predisposizione a trasformazione da LLC a SR
sia intrinseca alle caratteristiche genetiche del
clone di LLC già al tempo della diagnosi di LLC
(3, 4).
A differenza dell’opinione comune che vede la SR
come un evento molto tardivo nella storia clinica
di LLC, una frazione significativa di pazienti sviluppa la malattia precocemente dopo la diagnosi. In alcuni casi, la diagnosi di SR e LLC sono
concomitanti. Queste osservazioni suggeriscono
l’importanza dell’identificazione dei pazienti a
rischio di trasformazione in SR già al momento
della diagnosi di LLC.
n FATTORI PREDITTIVI
È stato dimostrato che l’estensione della malattia influenza la prognosi dei pazienti affetti da SR
(15). Di conseguenza, il precoce riconoscimento
della SR può essere utile clinicamente e può essere favorito dallo stretto monitoraggio dei pazienti affetti da LLC che presentino fattori clinici o biologici di rischio di trasformazione. Recenti studi
hanno identificato, in serie retrospettive di pazienti, fattori di rischio clinici e biologici che potreb-
Sindrome di Richter
FIGURA 1 - Predizione di trasformazione a SR in base ad espressione di CD38 alla diagnosi di LLC. La curva di Kaplan-Meier
mostra il valore di CD38 nel predire la trasformazione a SR nella serie di LLC (n=360) della Divisione di Ematologia dell’Università
del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (anni 2000-2010).
bero essere utili strumenti per individuare i
pazienti a rischio di sviluppo di SR consentendone una diagnosi precoce (3). È importante notare che i predittori di trasformazione da LLC a SR
sono diversi, almeno in parte, rispetto ai predittori di progressione di LLC stabiliti dalle linee guida IWCLL-NCI (2, 3). Questa osservazione suggerisce che la trasformazione da LLC a SR e la
progressione di LLC senza trasformazione istologica siano eventi clinici distinti che richiedono
un approccio diagnostico differente, benché
complementare, per un’ottimale valutazione globale della categoria di rischio del singolo paziente.
Numerosi fattori di rischio biologici sono stati
analizzati come predittori di trasformazione in SR,
tra cui: l’omologia ≥98% del gene codificante per
la regione variabile della catena pesante delle
immunoglobuline (IGHV), l’utilizzo di specifici geni
IGHV, l’utilizzo di recettore delle cellule B (BCR)
stereotipato, il cariotipo FISH, lo stato mutazionale di TP53, il genotipo di BCL2, la lunghezza
del telomero e l’espressione di CD38, ZAP70 e
CD49d (3, 16-19). Di questi markers biologici,
solo alcuni si sono dimostrati essere fattori di
rischio indipendenti per lo sviluppo di SR, in particolare:
a) espressione di CD38 (Figura 1);
b) assenza di del13q14;
c) utilizzo di specifici geni IGHV (IGHV4-39);
d) utilizzo di BCR stereotipato;
e) lunghezza del telomero (3, 16-19) (Figura 2).
Oltre a questi però, esistono altri marcatori biologici che sono stati identificati come fattori di
rischio di trasformazione da LLC a SR: è interessante notare come il profilo genetico dell’ospite
giochi un ruolo fondamentale in tal senso (20, 21)
(Figura 2). È stato anche dimostrato come la
dimensione linfonodale ≥3 centimetri, un parametro di malattia solida, sia l’unico fattore di rischio
clinico di trasformazione da LLC a SR selezionato da due modelli di analisi multivariata (3) (Figura
FIGURA 2 - Fattori di rischio clinici e
molecolari che, alla diagnosi di LLC,
predicono la trasformazione a SR. Al tempo
della diagnosi di LLC, molteplici marcatori
predicono un aumentato rischio di
trasformazione a SR, tra cui: espressione di
CD38, dimensioni della linfoadenopatia,
lunghezza del telomero, assenza di
del13q14, caratteristiche immunogenetiche
del clone LLC (BCR stereotipato), genotipi
GG/CG dello SNP rs6449182 di CD38, e
genotipo TT dello SNP rs2306029 di LRP4.
61
62
Seminari di Ematologia Oncologica
2). Contrariamente, nella stessa analisi multivariata, i parametri di malattia leucemica (conta linfocitaria, stadio RAI avanzato, splenomegalia, percentuale e pattern di coinvolgimento del midollo
osseo) non sono emersi come fattori di rischio clinici indipendenti di trasformazione a SR (3). Come
atteso, i parametri di malattia leucemica sono risultati predittivi di breve tempo alla progressione di
malattia nei pazienti affetti da LLC senza trasformazione a SR. La discrepanza nella predizione di
progressione versus trasformazione rafforza ulteriormente la distinzione tra progressione di LLC
e trasformazione in SR (3).
Da un punto di vista biologico, il fatto che sia
l’espressione di CD38 sia la dimensione linfonodale ≥3 cm siano predittori indipendenti di SR suggerisce che l’attività di un circuito molecolare nei
linfonodi coinvolti da LLC possa essere importante per il rischio dei singoli pazienti e per la patogenesi di SR. Molte evidenze suggeriscono una
stretta associazione tra espressione di CD38 e
coinvolgimento linfonodale nella LLC (22-25).
Infatti, l’espressione di CD38:
a) è maggiore nelle cellule di LLC del linfonodo
rispetto alle cellule di LLC del sangue periferico o del midollo osseo;
b) è richiesta per la migrazione delle cellule di LLC
nei tessuti linfoidi;
c) si associa a malattia prevalentemente nodale
(22-25).
Queste stesse caratteristiche predicono la trasformazione a SR (3). Il linfonodo può fornire un microambiente ottimale per la proliferazione e la trasformazione blastica delle cellule di LLC che esprimono CD38 (26-28). Curiosamente, l’attivazione
in vitro della via del segnale di CD38 induce la trasformazione delle cellule di LLC in plasmablasti,
la cui morfologia mima le grandi cellule proprie
della trasformazione in SR (26).
L’identificazione dell’espressione di CD38 come
fattore di rischio per lo sviluppo di SR ha stimolato ulteriori ricerche sulla correlazione di questa
molecola con la trasformazione di LLC in SR.
L’espressione di CD38 è regolata a molteplici livelli (27). L’estremità 5’ dell’introne 1 del gene codificante per CD38 è nota per essere un importante regolatore dell’espressione di CD38 in cellule
emopoietiche (29). Nella stessa regione genica è
stato mappato un polimorfismo di un singolo
nucleotide (single nucleotide polymorphism, SNP)
che comporta la sostituzione C>G in posizione
nucleotidica 184 (30). La presenza dell’allele minore G, in condizione di eterozigosi o di omozigosi, correla con lo sviluppo di SR (20). Rispetto agli
omozigoti CC, i pazienti affetti da LLC che sono
omozigoti GG hanno un aumento relativo del
30.6% del rischio di sviluppare SR, mentre i soggetti eterozigoti GC mostrano una probabilità intermedia pari al 12.4% (20). Inoltre, a 5 anni, i pazienti omozigoti GG mostrano un incremento della
probabilità di sviluppare SR, che è approssimativamente doppia rispetto a quella dei soggetti eterozigoti GC (20). Queste osservazioni dimostrano che il profilo genetico dell’ospite riveste un ruolo rilevante nel predire lo sviluppo di SR nei pazienti affetti da LLC.
Proprio quest’ultima osservazione ha fatto sì che
venissero intrapresi nuovi studi atti a identificare le variabili del background genetico dell’ospite coinvolte nella trasformazione da LLC a SR.
L’analisi di un elevato numero di SNP ha rilevato che anche il profilo genetico del gene LRP4
(rs2306029) è un importante predittore di trasformazione (21). In particolare, i pazienti omozigoti per l’allele minore T del polimorfismo LRP4
rs2306029 hanno mostrato una probabilità di trasformazione a 5 anni significativamente maggiore rispetto ai pazienti portatori in omozigosi o in
eterozigosi dell’allele comune C (21). È interessante notare come il gene LRP4 codifichi per una
proteina coinvolta nella via di trasduzione del
segnale di Wnt/beta-catenina, che è nota per
essere attivata nelle cellule di LLC (31). Il coinvolgimento di LRP4 nella patogenesi di altre
malattie fa supporre un possibile ruolo dell’interazione tra LRP4 e Wnt/beta-catenina nella
patogenesi della SR (32).
Il cariotipo FISH eseguito alla diagnosi di LLC ha
dimostrato di poter predire la trasformazione in
SR. In particolare, l’assenza di del13q14 costituisce un fattore di rischio indipendente di sviluppo
(3). È ipotizzabile che le differenze patogenetiche
tra LLC con o senza del13q14 siano alla base della differente predisposizione alla trasformazione
in SR di queste due sottocategorie di LLC. Si ritiene infatti che del13q14 giochi un ruolo importante nella patogenesi della malattia e che la sua presenza attivi vie di trasduzione del segnale cellu-
Sindrome di Richter
lare che sono differenti da quelle attivate in sua
assenza (33, 34). Il concetto che la propensione
alla trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B possa essere influenzata dal profilo molecolare della precedente fase indolente della
malattia non è esclusivo della LLC. Infatti, anche
nel linfoma MALT è stato dimostrato che la trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B
dipende dalle caratteristiche del pre-esistente clone B-cellulare (35). Altre alterazioni FISH, tra le
quali del17p13, del11q23, +12 o la traslocazione della banda 14q32, non sono risultate essere
associate a un aumentato rischio di SR (3, 36).
Anche la selezione da parte dell’antigene attraverso il BCR può facilitare la trasformazione di LLC
in SR. Il ruolo del BCR nel determinare lo sviluppo di SR può dipendere anche dalle caratteristiche del gene IGHV utilizzato dal clone tumorale.
Infatti, l’utilizzo di uno specifico gene IGHV, chiamato IGHV4-39, è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di SR (3, 18). In aggiunta,
la frequenza di IGHV4-39 nella SR è significativamente maggiore rispetto alle LLC che non vanno incontro a trasformazione (18). L’utilizzo di
IGHV4-39 è selettivamente predittivo di SR, e non
è stato associato ad altri outcome di LLC (3, 37).
Una frazione rilevante di pazienti affetti da LLC (circa il 30%) mostra un elevato grado di somiglianza strutturale tra i BCR, dovuta all’elevato grado
di omologia tra le regioni VH CDR3 dei geni codificanti per le catene pesanti delle immunoglobuline (38-41). Questo fenomeno è conosciuto come
BCR stereotipato e suggerisce un importante ruolo della stimolazione antigenica nello sviluppo della malattia (37). Recentemente, il nostro gruppo
ha dimostrato come la presenza di BCR stereotipato al momento della diagnosi di LLC costituisca un fattore di rischio per la trasformazione a
SR (18). Comparando le caratteristiche immunogenetiche di 69 casi di SR con quelle di 714 casi
di LLC, la presenza di BCR stereotipato è risultato significativamente maggiore nella popolazione di SR rispetto a LLC non trasformate (49.3%
rispetto a 21.3%) (18). Applicando un approccio
attuariale a questa coorte di pazienti, è stato dimostrato che l’utilizzo di BCR stereotipato al momento della diagnosi di LLC è un predittore indipendente di sviluppo di SR (18). Il rischio di trasformazione dei pazienti portatori del BCR stereoti-
pato è indipendente dallo stato mutazionale dei
geni IGHV (18).
La disponibilità di numerosi prognosticatori indipendenti di SR rappresenta la base per costruire in futuro uno score di rischio clinico applicabile al singolo paziente al momento della diagnosi di LLC.
n ISTOPATOLOGIA
Classicamente, la SR è rappresentata dal linfoma diffuso a grandi cellule B (3, 4, 9-11, 42-46).
La malattia coinvolge più frequentemente i linfonodi, ma non sono infrequenti le localizzazioni
extra-nodali a livello del tratto gastroenterico, cutaneo, epatico, tonsillare e nel midollo osseo (3, 4,
9-11, 42-46).
In alcuni casi, il coinvolgimento della SR non è
generalizzato a tutti i siti, ma è ristretto ad una singola lesione nodale o extranodale. Pertanto, da
un punto di vista pratico-clinico, la biopsia deve
essere diretta alla lesione indice, ovvero la lesione che mostra il maggiore diametro tramite imaging radiologico. Le caratteristiche PET della lesione, in particolare il valore del SUV, possono aiutare per la scelta del sito bioptico, dal momento
che le regioni affette da SR hanno un valore di
SUV simile a quello del linfoma diffuso a grandi
cellule B de novo (47). L’utilizzo della PET nella
diagnosi di SR e nella predizione del coinvolgimento degli organi da parte della SR è in studio
e non è ancora del tutto standardizzato (47).
I casi di SR diagnosticati come linfoma diffuso a
grandi cellule B generalmente consistono in strati confluenti di grandi linfociti B neoplastici che
sono chiaramente distinguibili dalla proliferazione di piccoli linfociti con scarso citoplasma e cromatina addensata che sono tipici della fase della LLC. I casi di LLC con numerosi centri proliferativi o aumentata proporzione di prolinfociti, ma
senza l’aspetto di linfoma diffuso a grandi cellule B, non devono essere diagnosticati come SR.
Inoltre, i casi che si presentano come linfoma diffuso a grandi cellule B esprimenti il CD5 devono
essere distinti dal linfoma diffuso a grandi cellule B de novo CD5 positivo, che rappresenta una
distinta entità patologica (48).
Morfologicamente, tra le SR si possono ricono-
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Seminari di Ematologia Oncologica
scere entrambe le varianti di linfoma diffuso a
grandi cellule B: centroblastica e immunoblastica. Basandosi sull’algoritmo di Hans per il profilo immunoistochimico dei linfomi diffusi a grandi
cellule B de novo (49), la maggior parte di SR
(approssimativamente l’80%) mostrano un fenotipo non-germinal center identificato da positività per IRF4, mentre solo il 20% dei casi mostra
un fenotipo germinal center-like definito dall’espressione di CD10 e/o BCL-6 (11). La proporzione di casi di SR con fenotipo germinal centerlike rispetto ai casi con fenotipo non-germinal center differisce marcatamente rispetto a quella
riscontrata nei linfomi diffusi a grandi cellule B de
novo (11, 49). È da notare, comunque, che l’algoritmo di Hans è stato sviluppato per i linfomi
diffusi a grandi cellule B de novo, e che i markers
immunoistochimici impiegati dall’algoritmo non
coprono la grande eterogeneità di linfomi diffusi
a grandi cellule B che si presentano come SR (49).
Attualmente, mancano studi sul profilo di espressione genica della SR, che potrebbero fornire indizi importanti per una corretta comprensione della biologia e dell’istogenesi della malattia.
La trasformazione della LLC in linfoma diffuso
a grandi cellule B è frequentemente, sebbene
non sempre, accompagnata dalla perdita dell’espressione degli antigeni CD5 e CD23, che
sono invariabilmente espressi dal clone neoplastico nella fase di LLC (11). Il CD20 è generalmente espresso dalle cellule linfomatose di SR
e rappresenta un bersaglio dell’immunoterapia
con rituximab (11).
Come detto prima, il termine SR in questa rassegna è ristretto alla trasformazione di LLC in linfoma diffuso a grandi cellule B che è da considerarsi la classica forma di SR. Quando usato in
modo più ampio, il termine SR può comprendere anche altre varianti clinico-patologiche. Il linfoma di Hodgkin classico può presentarsi in rari
casi di LLC, e riflette la morfologia e il profilo di
espressione antigenica del linfoma di Hodgkin
insorto come malattia primaria (4, 11).
n PATOGENESI MOLECOLARE
I meccanismi molecolari di trasformazione da LLC
a SR sono per la maggior parte sconosciuti. Nella
SR classica, rappresentata dal linfoma diffuso a
grandi cellule B, studi immunogenotipici hanno
rivelato che la maggior parte dei casi di SR
(approssimativamente l’80%) sono clonalmente
correlati al pre-esistente clone di LLC (3-11). Si
ritiene che queste SR siano dovute all’accumulo
di lesioni genetiche e/o epigenetiche che guidano lo sviluppo di una popolazione cellulare
aggressiva originante dal clone di LLC. Il restante 20% dei casi di SR non è correlato al clone originale della LLC (3-11). I meccanismi patogenetici in questo contesto non possono essere direttamente correlati all’accumulo di lesioni genetiche del clone LLC, ma piuttosto potrebbero essere correlati ad alterazioni del profilo genetico ed
alla funzione immunologica dell’ospite, oppure a
disfunzioni del microambiente cellulare che
aumentino la probabilità di sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule B. Lo sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule B non clonalmente correlato alla LLC può essere parte di un fenomeno più
generalizzato che, per ragioni ancora sconosciute, aumenta la predisposizione dei pazienti affetti da LLC allo sviluppo di una seconda neoplasia
linfoide o, più in generale, di un secondo tumore (5).
Ad oggi, la conoscenza delle lesioni genetiche
associate alla trasformazione da LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B clonalmente correlato è
ancora limitata. L’acquisizione di mutazioni di
TP53 e/o del17p13 sono eventi molecolari frequenti nelle SR (50, 51), così come in altri tipi di
trasformazione da neoplasia B indolente a neoplasia B aggressiva (52, 53). Curiosamente,
rispetto al frequente coinvolgimento nella patogenesi della SR, le mutazioni di TP53 alla diagnosi di LLC non aumentano il rischio successivo di
sviluppo di SR (3).
L’enzima activation-induced cytidine deaminase
(AID) è essenziale per la fisiologica ipermutazione somatica delle cellule B normali, e può condurre a ipermutazione somatica aberrante (ASHM)
di molteplici proto-oncogeni coinvolti nella linfomagenesi B-cellulare (54, 55). La ASHM di
cMYC, RhoH/TTF, PAX5 e PIM1 rappresenta la
lesione genetica più frequente ad oggi conosciuta nei linfomi diffusi a grandi cellule B de novo (5658). Nonostante i livelli di AID aumentino al tempo della trasformazione in SR (9, 59), gli studi di
Sindrome di Richter
ASHM nella SR hanno prodotto risultati contrastanti (59, 60). L’apparente bassa incidenza di
ASHM nella SR distingue la trasformazione da
LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B rispetto
alla trasformazione da linfoma follicolare a linfoma diffuso a grandi cellule B. Quest’ultima, infatti, è frequentemente accompagnata da un alto
numero di eventi ascrivibili ad ASHM che è operativa al momento della trasformazione istologica (60).
Gli studi citogenetici finora non hanno rivelato anomalie ricorrenti selettivamente associate a SR (6165). Il riscontro di trisomia 12 nella SR non è specifico per la malattia, dal momento che la trisomia 12 è di frequente riscontro in diverse altre neoplasie B cellulari, inclusa la LLC (66). A differenza degli altri tipi di linfoma non-Hodgkin B, la traslocazione 14q32 non contribuisce ai meccanismi molecolari coinvolti nella trasformazione da
LLC a SR (36). In accordo con ciò, nella SR non
si riscontrano traslocazioni di BCL1, BCL2 e BCL6
(3). La mancanza del coinvolgimento della traslocazione di 14q32 nello sviluppo di SR suggerisce
che la patogenesi della SR sia diversa da quella
degli altri linfomi non-Hodgkin aggressivi, incluso il linfoma diffuso a grandi cellule B de novo,
in cui un meccanismo patogenetico frequente è
la deregolazione di proto-oncogeni tramite la giustapposizione ai loci delle IG (36, 67, 68). Gli studi di citogenetica molecolare hanno dimostrato
che la SR si associa ad un alto grado di complessità genomica rispetto alla LLC, sebbene nessuna delle lesioni genetiche ad oggi riscontrate sia
specifica per SR (69).
Nella patogenesi della SR è stato postulato anche
un possibile ruolo dell’infezione da EBV. Tuttavia
il fatto che la maggior parte dei casi di SR sia
negativa per l’infezione da EBV non è a favore di
questa ipostesi (3). La presenza di sequenze di
EBV è stata documentata in alcuni, tuttavia non
tutti, pazienti affetti da SR precedentemente trattati con fludarabina nella fase di LLC (70, 71). È
stato ipotizzato che l’infezione da EBV in questi
casi sia conseguenza della deregolazione immununitaria causata dall’analogo nucleosidico.
Complessivamente le osservazioni sulla patogenesi della SR indicano che questa patologia non
può essere facilmente riassunta da lesioni genetiche identificate in altri disordini B cellulari. Si
impone quindi la necessità di nuovi studi finalizzati a chiarire le basi molecolari della malattia.
Auspicabilmente, gli studi genomici attualmente
in corso potranno rivelare nuove alterazioni molecolari e anomalie nell’espressione genica coinvolte nello sviluppo della SR.
n CARATTERISTICHE CLINICHE
La diagnosi di SR richiede la dimostrazione istologica della trasformazione da LLC a linfoma
aggressivo. Quando possibile, è preferibile sottoporre la lesione indice a biopsia. Solamente in
casi eccezionali, quando la biopsia non possa
essere eseguita a causa del performance status
del paziente o per difficoltà tecniche all’accesso
del sito anatomico della lesione indice, la dimostrazione citologica ottenuta tramite biopsia ad
ago sottile può essere accettabile per porre diagnosi di SR.
La prognosi dei pazienti affetti da SR è generalmente considerata altamente sfavorevole. Tuttavia,
in una coorte di 148 pazienti affetti da SR diagnosticata tramite biopsia o agoaspirato è stato dimostrato che la sopravvivenza della SR non è uniforme tra i pazienti, con range che va da poche
settimane a 15 anni (15). La prognosi può essere predetta dal SR score, che non predice la possibilità di sviluppo di SR nei pazienti affetti da LLC,
ma piuttosto predice la prognosi della SR una volta avvenuta la trasformazione (15).
Lo SR score predice il rischio di morte del paziente affetto da SR in base a 5 diversi fattori sfavorevoli che predicono una ridotta sopravvivenza:
a) Zubrod performance status >1;
b) elevati livelli di LDH;
c) conta piastrinica ≤100000;
d) lesioni di dimensioni ≥5 cm;
e) più di 2 precedenti linee di terapia (15).
Poichè il rischio relativo associato a ciascuno dei
fattori di rischio che costituiscono il SR score è
comparabile, il rischio relativo di morte è ottenuto dalla somma del numero dei fattori di rischio
che sono presenti alla diagnosi di SR. I pazienti
sono perciò assegnati ad uno di 4 gruppi di rischio
sulla base del numero dei fattori di rischio presentati: 0 o 1, basso rischio; 2, rischio intermedio-basso; 3, rischio intermedio-alto; 4 o 5, alto
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Seminari di Ematologia Oncologica
rischio. Nello SR score originario, la sopravvivenza era 1.12 anni nei pazienti con SR score 0-1;
0.90 anni nei pazienti con SR score 2; 0.33 anni
nei pazienti con SR score 3; e 0.14 anni nei
pazienti con SR score 4-5 (15). Curiosamente, i
fattori di rischio valutati dall’International
Prognostic Index (numero di siti extranodali di
malattia, età e stadio di malattia) non sono rilevanti nel SR score, confermando il fatto che SR
e linfoma diffuso a grandi cellule B de novo sono
patologie tra loro differenti non solo biologicamente, ma anche clinicamente.
n TRATTAMENTO
Nessuno degli attuali approcci terapeutici può
essere considerato terapia standard o comunque soddisfacente per la SR. Sebbene la maggior parte dei casi di SR sia istologicamente classificata come linfoma diffuso a grandi cellule B,
i risultati della terapia sono molto meno promettenti rispetto a quelli ottenuti nel linfoma diffuso a grandi cellule B de novo, e in molti casi il
trattamento è destinato a fallire (72-76). Gli scarsi risultati nella SR rispetto al linfoma diffuso a
grandi cellule B de novo sono motivati da tre
ragioni intuitive:
a) la SR si associa frequentemente a marcatori
biologici di chemiorefrattarietà, tra cui l’inattivazione di TP53;
b) la massa tumorale alla diagnosi è elevata, a
causa di frequente ritardo diagnostico;
c) la fragilità dei pazienti affetti da SR costituisce
un fattore limitante la scelta terapeutica.
Come per gli altri linfomi trasformati, per esempio il linfoma diffuso a grandi cellule B che origina da una precedente diagnosi di linfoma follicolare, i casi di SR sono intrinsecamente più chemioresistenti, e mostrano un maggior rischio di
alterazioni geniche, quali del17p13 e mutazioni di
TP53, che rendono questa malattia refrattaria ai
programmi chemioterapici convenzionali (3, 68).
L’esteso coinvolgimento della malattia, la grande
massa tumorale e la rapida cinetica sono caratteristiche comuni della SR, caratterizzandone più
del 50% dei casi (3, 15). È stato dimostrato che
la massa tumorale è un predittore indipendente
di ridotta sopravvivenza nei pazienti affetti da SR
(15). La fragilità, comune nel contesto dei pazienti affetti da SR, deriva dallo scarso performance
status e dalla scarsa funzionalità midollare e dall’immunodeficienza (3, 15), e rappresenta un predittore indipendente di ridotta sopravvivenza nei
pazienti affetti da SR (15). La fragilità dei pazienti preclude, in un’elevata frazione di casi, l’uso di
terapia ad alte dosi associata a trapianto di cellule staminali, limitando quindi le opzioni terapeutiche e il possibile beneficio derivato dall’uso di
regimi terapeutici mieloablativi (15). A causa di
queste caratteristiche cliniche e biologiche della
SR, la sopravvivenza mediana con chemioterapia convenzionale con o senza rituximab risulta
inferiore a 12 mesi (72-76).
I regimi chemioterapici utilizzati nella SR sono eterogenei e sono stati sviluppati inizialmente per altri
disordini linfoidi, in particolare per i linfomi nonHodgkin aggressivi o per la leucemia linfoblastica acuta. In epoca pre-rituximab, i regimi utilizzati per la SR includevano, ma non erano limitati a, CHOP-bleo, MACOP-B, ASHAP, VAD e
hyper-CVXD (74-77). Rituximab-CHOP, che è
considerato terapia standard per il linfoma diffuso a grandi cellule B de novo, è generalmente
adottato nella SR come regime terapeutico di
scelta, sebbene i risultati siano lontani dall’essere soddisfacenti (15, 78). È stata anche utilizzata la combinazione di rituximab con regimi frazionati, per esempio rituximab-hyper-CVXD (76).
La combinazione di rituximab con CHOP o hyperCVXD ha indotto risposte nel 47% dei pazienti,
versus un tasso di risposta pari al 34% utilizzando la sola chemioterapia (76). Sebbene le differenze non raggiungano la significatività statistica, i dati suggeriscono che l’immunochemioterapia contenente rituximab possa offrire alcuni
benefici nella terapia della SR.
Recentemente è stato proposto un trial di fase III volto a testare, nei pazienti con SR, un regime
poli-chemioterapico denominato OFAR, contenente oxaliplatino, fludarabina, citarabina e rituximab
(79). Il razionale alla base dello sviluppo del regime OFAR prende origine da 3 osservazioni:
a) dati pre-clinici hanno dimostrato una citotossicità sinergica tra oxaliplatino e gli analoghi
nucleosidici fludarabina e citarabina (80, 81);
b) la somministrazione di fludarabina prima di
citarabina aumenta la concentrazione intracel-
Sindrome di Richter
lulare del metabolita attivo, la citarabina trifosfato (81);
c) i regimi basati sull’oxaliplatino contenenti
citarabina ad alte dosi hanno mostrato attività nei linfoma diffuso a grandi cellule B de novo
recidivato, così come in altri tipi di linfoma (82,
83).
Il 50% dei pazienti affetti da SR e trattati con il
regime OFAR ha ottenuto una risposta completa o parziale (79). OFAR è stato generalmente ben
tollerato, e le tossicità di grado 3-4 sono state principalmente ematologiche.
A dispetto di questi risultati promettenti, la durata mediana della risposta ottenuta con il regime
OFAR è stata di soli 10 mesi, con un tasso di
sopravvivenza a 6 mesi del 60% (79). I pazienti
che hanno ottenuto una risposta completa o una
risposta parziale hanno mostrato una più lunga
sopravvivenza rispetto ai pazienti la cui malattia
non ha risposto a OFAR (79). Poichè i risultati con
l’immunoterapia convenzionale, incluso OFAR,
non possono essere considerati soddisfacenti, è
necessario che vengano esplorati nuovi approcci terapeutici per la SR. Un’opzione è rappresentata dall’utilizzo di terapie di consolidamento o di
mantenimento una volta che si sia ottenuta una
risposta completa o una risposta parziale con RCHOP, OFAR, o altri regimi. Nonostante la scarsa attività come agenti singoli per la terapia di
induzione della SR (84, 85), l’immunoterapia, con
rituximab e alemtuzumab, o la radioimmunoterapia possono essere opzioni attraenti per la terapia di consolidamento e di mantenimento nei
pazienti affetti da SR nel contesto di approcci multistep, già esplorati nella LLC e nei linfomi nonHodgkin (86-93).
Gli approcci basati su alemtuzumab o radioimmunoterapia possono essere considerati sperimentali al momento, ed è necessario che siano
investigati in trials clinici dedicati.
I pazienti affetti da SR più giovani sono candidati al trapianto autologo o allogenico di cellule staminali emopoietiche (94). Il trapianto allogenico di
cellule staminali emopoietiche può essere considerato particolarmente promettente (15). Uno studio effettuato dallo MD Anderson Cancer Center
ha mostrato che la sopravvivenza cumulativa a
3 anni è pari al 75% nei pazienti che avevano ottenuto una risposta completa o una risposta par-
ziale e che poi erano stati sottoposti a trapianto
allogenico di cellule staminali emopoietiche,
rispetto a una sopravvivenza del 27% per i pazienti che inizialmente hanno risposto alla terapia, ma
non sono stati sottoposti al trapianto allogenico
(15). Il trapianto allogenico di cellule staminali,
come atteso, non è risultato di beneficio nei
pazienti refrattari ai regimi di induzione (15). Come
per altre malattie aggressive oncoematologiche,
quindi, l’ottenimento della risposta in fase di induzione è un obiettivo molto importante anche nel
caso di SR.
n STATO ATTUALE
E PROSPETTIVE FUTURE
Gli studi degli ultimi anni hanno documentato un
numero crescente di marcatori molecolari e
fenotipici che, già al tempo della diagnosi di LLC,
permettono di attribuire il rischio di sviluppare SR
in un qualche momento della storia naturale della malattia (3, 18-21). Questi markers sono rappresentati dall’espressione e dal genotipo di
CD38, dal cariotipo FISH, dall’utilizzo di un BCR
stereotipato, dalla lunghezza del telomero, dal profilo genetico dell’ospite e dall’utilizzo di specifici
geni IGHV (3, 18-21).
La conoscenza di questi predittori biologici può
essere utile al fine di adottare una stretta sorveglianza clinica e una politica bioptica più aggressiva nei pazienti affetti da LLC che sono a rischio
di trasformazione, al fine di riconoscere precocemente lo sviluppo di SR. Vari predittori di trasformazione fanno parte delle indagini diagnostiche che sono messe comunque in atto al
momento della diagnosi di LLC, tra cui la citometria a flusso per CD38 e le indagini molecolari sui geni IGHV che sono ormai entrati nella pratica clinica. I predittori molecolari finora identificati provengono da coorti retrospettive, e devono perciò idealmente essere validati in studi prospettici. Le nuove tecnologie disponibili, permettendo lo studio dell’intero genoma, possono
essere utili a identificare nuovi e specifici markers
di trasformazione da LLC a SR.
La messa a punto dello SR score per la definizione della prognosi della SR ha rappresentato un
importante avanzamento nell’identificazione dei
67
68
Seminari di Ematologia Oncologica
fattori prognostici post-trasformazione nei pazienti affetti da SR (15).
Attualmente, lo stato dell’arte prevede che i
pazienti affetti da SR vengano trattati con terapie citoriduttive a base di rituximab in combinazione con una poli-chemioterapia citotossica con
l’intento di ottenere una risposta. Ai pazienti in
risposta dopo il trattamento di induzione, può
essere offerta l’opzione trapiantologica (allo-trapianto) se percorribile in relazione all’età del
paziente, al performance status ed alla disponibilità di un donatore (15). Non è stato indagato,
ad oggi, il ruolo dell’immunoterapia come terapia
di consolidamento per le SR che rispondano alla
terapia di induzione, ma che non che siano
suscettibili di trapianto, sul modello di modalità
terapeutiche esplorate nella LLC (es. alemtuzumab) e nei linfomi (90Y-ibritumomab, 131I-tositumomab). Allo stesso modo, non è stato ancora valutato l’impatto dei nuovi farmaci (es. lenalidomide,
ofatumomab, flavopiridolo) nell’induzione della
risposta di SR. Per rispondere a questi quesiti
sarebbero necessari studi pilota e, qualora possibili, trial clinici multicentrici.
Molti sono gli interrogativi che rimangono ancora aperti nella SR. Nonostante il termine SR sia
correntemente applicato sia ai linfomi diffusi a
grandi cellule B clonalmente correlati sia a quelli non clonalmente correlati (3, 4), è probabile che
le due condizioni siano distinte l’una dall’altra e
che abbiano differente prognosi e, potenzialmente, richiedano differenti trattamenti. Analogamente,
non è noto se le SR ad esordio precoce e le SR
ad esordio tardivo siano biologicamente e clinicamente differenti.
L’ostacolo a una terapia mirata della SR è rappresentato dalla scarsa conoscenza delle lesioni molecolari, genetiche o epigenetiche responsabili della trasformazione da LLC a SR. La diagnosi precoce di SR nei pazienti affetti da LLC è
particolarmente importante (15). Questa osservazione impone di perfezionare l’individuazione di
fattori di rischio per SR, nonché di definire strumenti diagnostici non invasivi utili a generare il
sospetto di SR con alta sensibilità e specificità.
A questo scopo, gli sforzi devono essere diretti
a generare un algoritmo diagnostico-prognostico che utilizzi i fattori di rischio clinici e biologici
oggi noti per la SR.
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Terapie innovative
ROBIN FOÀ, ILARIA DEL GIUDICE, FRANCESCA R. MAURO
Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia,
Università “Sapienza” Roma
Robin Foà
n INTRODUZIONE
La leucemia linfatica cronica (LLC) è la forma di leucemia più comunemente osservata nei paesi occidentali e nella popolazione adulta (1). La sua prevalenza è in aumento in quanto l’aspettativa
mediana di vita è generalmente in aumento. Si tratta di una forma di leucemia a decorso molto variabile. Accanto a casi che presentano una malattia
stabile per molti anni, se non per tutta la vita, ve
ne sono altri caratterizzati da malattia rapidamente progressiva che richiede precocemente un trattamento. La forte diversità del comportamento clinico della LLC va ricercata nelle sue caratteristiche
biologiche che condizionano in modo importante
sia il profilo di crescita cellulare che la risposta terapeutica. Tra queste caratteristiche, vanno menzionate alcune alterazioni citogenetiche evidenziabili
con la metodica FISH, le mutazioni che interessano i geni che codificano per le catene pesanti delle immunoglobuline (IgVH), l’espressione dell’antigene CD38 e di ZAP-70 (2-6). Insieme alla delezione 17p, la mutazione del gene TP53 è l’alterazione genetica che si associa alla prognosi più sfavorevole essendo correlata ad una resistenza alla
chemioterapia e ad una ridotta durata di sopravvivenza (7-9).
Parole chiave: LLC, terapia, immunoterapia, agenti biologici, vaccini
Indirizzo per la corrispondenza
Prof. Robin Foà
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologa
Università “Sapienza”
Via Benevento, 6 - 00161 Roma
E-mail: [email protected]
Benché negli ultimi 20 anni vi sia stato un notevole ampliamento dell’armamentario terapeutico della LLC e sia stato ottenuto non solo un incremento delle risposte terapeutiche, ma anche una migliore qualità delle risposte, la LLC ancor oggi è considerata una patologia non eradicabile con la terapia convenzionale ed i pazienti presentano nel tempo ricorrenti recidive di malattia. La storia naturale della malattia è frequentemente caratterizzata dall’insorgenza di una condizione di refrattarietà alla
terapia che identifica una situazione clinica prognosticamente assai sfavorevole (10).
Si pone quindi non raramente il problema della
gestione terapeutica di pazienti refrattari o anche
doppi refrattari ovvero, refrattari sia alla fludarabina che all’anticorpo monoclonale campath, e
pazienti refrattari alla fludarabina e con malattia linfonodale bulky (diametro delle linfoadenomegalie
>5 cm) che li rende non eleggibili ad un trattamento con campath. Tam et al. (13) hanno valutato retrospettivamente la prognosi di pazienti con queste
caratteristiche seguiti presso il MD Anderson
Cancer Center di Houston (MDACC). Solo il 23%
dei pazienti otteneva una risposta terapeutica alle
terapie successive, le risposte erano parziali con
durata mediana non superiore a 3 mesi e la probabilità di sopravvivenza mediana era di 9 mesi.
L’instaurarsi di una refrattarietà alle terapie convenzionali rappresenta una condizione di difficile
gestione clinico-terapeutica in cui emerge la
necessità di poter disporre di nuovi farmaci non
cross-resistenti indispensabili per cercare di prolungare la sopravvivenza del paziente con LLC. I numerosi studi che hanno attualmente come oggetto la
valutazione di nuovi anticorpi monoclonali e di nuove molecole (Tabella 1) rappresentano la risposta
a questa pressante esigenza. In questa rassegna,
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Agente
Meccanismo d’azione
Anticorpi monoclonali
Ofatumumab
GA-101
Veltuzumab
Lumiliximab
Anti-CD20
Anti-CD20
Anti-CD20
Anti-CD23
Lenalidomide
Immunomodulante
Flavopiridolo
Inibitore delle kinasi
ciclino-dipendenti
Inibitori di Bcl-2
Oblimersen
Obatoclax
ABT-263
Inibitori delle tirosin-chinasi
Dasatinib
Fostamatinib
Vatalanib e pazopanib
Antisenso di Bcl-2
Inibitore di Bcl-2
Inibitore di Bcl-2
Inibitore delle Src e
ABL chinasi
Inibitore di SYK
Inibitori del recettore
del VEGF
TABELLA 1 - Nuove molecole ed anticorpi monoclonali nella
terapia della LLC.
verrà offerta una descrizione delle nuove molecole di cui viene attualmente valutata la potenzialità
terapeutica in questa forma di leucemia.
n NUOVI ANTICORPI MONOCLONALI
Lo sviluppo di nuovi anticorpi monoclonali è stato
diretto alla realizzazione di anticorpi specifici per
nuovi antigeni o per regioni diverse dello stesso antigene, o è stato anche indirizzato alla formulazione
di anticorpi la cui la struttura è stata modificata in
modo da migliorarne l’attività in termini di antibody-dependent cell-mediated cytotoxicity (ADCC) e
di capacità di indurre direttamente il processo di
apoptosi. Molti dei nuovi anticorpi monoclonali sono
già stati sottoposti a sperimentazione clinica,
mentre alcuni sono attualmente ancora in fase preclinica.
Ofatumumab
Ofatumumab è un anticorpo monoclonale di
seconda generazione e completamente umanizzato diretto contro l’antigene CD20. Questo anticorpo riconosce un epitopo dell’antigene CD20 diverso da quello riconosciuto dall’anticorpo monoclonale rituximab. Rispetto a quest’ultimo, si mostra
più fortemente attivo nell’indurre ADCC anche in
cellule con ridotta densità di espressione dell’antigene CD20 come i linfociti della LLC (11). Il primo studio in cui è stata valutata l’attività terapeutica dell’anticorpo monoclonale ofatumumab è stato lo studio di fase I/II proposto da Coiffier et al.
(12). In questo studio sono stati inclusi pazienti precedentemente trattati che sono stati suddivisi in 3
coorti. La dose iniziale di ofatumumab è stata nelle 3 coorti rispettivamente di 100, 300 e 500 mg.
Successivamente, nei pazienti delle 3 coorti sono
state somministrate 3 dosi settimanali di ofatumumab al dosaggio di 500, 1000 e 2000 mg, rispettivamente. È stata documentata una risposta di tipo
parziale nel 44% dei pazienti trattati con una sopravvivenza libera da progressione di malattia di 3 mesi
circa.
Wierda et al. (13) hanno condotto uno studio multicentrico internazionale in cui è stata valutata l’attività terapeutica di ofatumumab in pazienti affetti
da LLC e refrattari al precedente trattamento. Sono
stati trattati 138 pazienti, 59 pazienti refrattari sia
alla fludarabina che all’anticorpo monoclonale
alemtuzumab (FA-ref) e 79 pazienti refrattari alla terapia con fludarabina e non eleggibili ad un trattamento con alemtuzumab perchè caratterizzati dalla presenza di una malattia linfonodale bulky, ovvero da
linfoadenomegalie di diametro superiore a 5 cm (BFref). In questo studio, sono state somministrate 8
dosi settimanali di ofatumumab. La prima somministrazione prevedeva una dose di 300 mg di ofatumumab, mentre le successive dosi sono state di
2000 mg ciascuna. Terminata questa prima fase di
trattamento, i pazienti hanno ricevuto mensilmente 4 somministrazioni di ofatumumab, sempre alla
dose di 2000 mg. È stata ottenuta una risposta in
una percentuale relativamente elevata di pazienti,
nel 55% dei pazienti definiti come FA-ref e nel 47%
di quelli definiti come BF-ref. Si tratta di un risultato importante se si considera l’insuccesso terapeutico che solitamente contraddistingue questi sottogruppi di pazienti. Le probabilità mediane di
sopravvivenza e di sopravvivenza libera da progressione di malattia sono risultate, rispettivamente, di
14 e 6 mesi per pazienti del gruppo FA-ref e di 15
mesi e 6 mesi per i pazienti del gruppo BF-ref. La
tolleranza all’infusione dell’anticorpo monoclonale
è stata buona. Le reazioni infusionali hanno solitamente interessato le prime somministrazioni di ofa-
Terapie innovative
tumumab e sono state ben controllate dalla terapia. L’incidenza di infezioni di grado >III è stata del
29% e la tossicità ematologica in termini di granulocitopenia di grado >III ha interessato il 42% dei
pazienti. I risultati di questo studio indicano che l’anticorpo monoclonale ofatumumab somministrato
come singolo agente ha una chiara efficacia terapeutica in pazienti con LLC refrattari alla terapia ed
a prognosi altamente sfavorevole.
Sulla base di questi risultati, la FDA e l’EMA hanno recentemente approvato l’impiego dell’anticorpo monoclonale ofatumumab nei pazienti affetti da
LLC e refrattari a terapie comprendenti sia la fludarabina che l’anticorpo monoclonale alemtuzumab. Sono attualmente in corso 2 studi controllati multicentrici che si propongono di valutare l’efficacia di questo anticorpo monoclonale quando
somministrato in combinazione con altri agenti di
conosciuta attività nella LLC. Il primo studio è uno
studio randomizzato in cui sono inclusi pazienti non
precedentemente trattati. In questo studio viene
confrontata l’attività terapeutica di 6 cicli mensili di
un trattamento con clorambucile somministrato
come singolo agente (C) con quella di 6 cicli mensili dell’associazione clorambucile e ofatumumab
(O-C). Il secondo studio è uno studio randomizzato che confronta, in pazienti già precedentemente
trattati, l’attività di 6 cicli mensili dell’associazione
fludarabina, ciclofosfamide (FC) con quella di 6 cicli
mensili dell’associazione fludarabina, ciclofosfamide e ofatumumab (O-FC). Il GIMEMA propone invece uno studio multicentrico in cui sarà valutata l’efficacia terapeutica della associazione bendamustina e ofatumumab (Bend-Ofa) in pazienti con LLC
in recidiva o refrattari dopo un primo trattamento.
GA-101
Attualmente è in corso la valutazione dell’attività di
nuovi anticorpi glicoingegnerizzati e tra questi merita particolare interesse l’anticorpo monoclonale antiCD20 RG7159 (GA-101).
La glicoingegnerizzazione è una procedura di biotecnologia che si propone di stimolare la capacità
di un anticorpo monoclonale di indurre una risposta immunitaria contro le cellule tumorali. GA-101
è un anticorpo umanizzato di tipo II, in cui il processo di glicoingegnerizzazione ha significativamente incrementato in vitro la capacità di legame al
recettore FC e quindi l’attività ADCC. Ne risulta per-
tanto un’attività ADCC maggiore rispetto all’anticorpo monoclonale rituximab (14-17). Questo tipo di
anticorpo è inoltre in grado di promuovere direttamente il processo apoptotico (18). Morchhauser et
al. (19) hanno valutato l’attività terapeutica di questo anticorpo monoclonale in 13 pazienti con LLC
refrattari o in recidiva dopo un numero mediano di
3 precedenti trattamenti che, nella maggior parte
dei casi, avevano compreso l’anticorpo monoclonale rituximab. Un terzo dei pazienti presentava
caratteristiche citogenetiche prognosticamente
sfavorevoli. La dose somministrata di GA-101 è stata incrementata da 400 mg a 2000 mg. È stata ottenuta una risposta nel 62% dei casi. L’effetto collaterale più frequentemente osservato è stato la granulocitopenia e le reazioni infusionali sono state per
severità ed incidenza non dissimili da quelle abitualmente osservate dopo somministrazione di rituximab. Il gruppo tedesco per lo studio della LLC
(GCLLSG) ha recentemente promosso uno studio
multicentrico randomizzato che si propone di confrontare in pazienti con LLC, non precedentemente trattati e con comorbidità, l’efficacia terapeutica
di 3 diversi approcci terapeutici: clorambucile, clorambucile più rituximab e, infine, clorambucile più
GA-101.
Veltuzumab
Veltuzumab è un anticorpo monoclonale anti-CD20
di recente sviluppo la cui molecola è stata realizzata in modo da incrementarne l’affinità di legame
al frammento FCGR3a in presenza di polimorfismi
a bassa affinità di legame. In uno studio attualmente in corso (20) questo anticorpo monoclonale di
nuova generazione è stato somministrato per via
sottocutanea in pazienti con LLC che hanno
mostrato una riduzione significativa della linfocitosi periferica.
Lumiliximab
Lumiliximab è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro l’antigene CD23, una glicoproteina transmembrana espressa dalla maggioranza delle cellule leucemiche di LLC. In un protocollo di dose
finding non è stata documentata una dose limiting
toxicity quando l’anticorpo monoclonale lumiliximab
veniva somministrato fino a raggiungere la dose di
500 mg/m2 tre volte alla settimana per 4 settimane (21). Inoltre, in studi preclinici, l’aggiunta di lumi-
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Seminari di Ematologia Oncologica
liximab ha incrementato l’attività citolitica sia della
fludarabina che di rituximab. Queste osservazioni
hanno rappresentato il razionale per il suo impiego clinico in combinazione con la schedula terapeutica fludarabina, ciclofosfamide, rituximab
(FCR-Lumiliximab).
Byrd et al. (22) hanno riportato i risultati di uno studio terapeutico in cui 31 pazienti con LLC precedentemente trattati hanno ricevuto un trattamento
con 6 cicli di FCR-Lumiliximab. Questo anticorpo
è stato somministrato alla dose di 375 mg/m2 (3
pazienti) e di 500 mg/m2 (8 pazienti). La percentuale di risposte è stata del 65% con il 52% di risposte complete ed il profilo di tossicità è risultato del
tutto accettabile. La sopravvivenza libera da progressione di malattia è stata di 29 mesi. Sulla base
di questi dati incoraggianti è stato promosso uno
studio randomizzato multicentrico inteso a confrontare l’attività terapeutica di FCR-lumiliximab con
quella di FCR.
n NUOVE MOLECOLE
Lenalidomide
La lenalidomide è una molecola con le proprietà funzionali di un agente immunomodulante. Questo
analogo, più attivo della talidomide, è oggi impiegato nel trattamento del mieloma multiplo e delle
sindromi mielodisplastiche con delezione del 5q-.
Vi è evidenza di una sua attività terapeutica anche
in malattie linfoproliferative quali i linfomi e la LLC,
benché i suoi meccanismi d’azione, probabilmente molteplici, non siano stati ancora ben definiti.
In un primo studio di fase II, Chanan Khan et al.
(23) hanno impiegato in 45 pazienti con LLC precedentemente trattati, e metà dei quali refrattari alla
fludarabina, lenalidomide alla dose di 25 mg/die per
3 settimane consecutive al mese ottenendo una
percentuale di risposte del 47%, con il 9% di risposte complete. In un secondo studio, Ferrajoli et al.
(24) hanno trattato 44 pazienti con lenalidomide
somministrata giornalmente; la dose più frequentemente tollerata è stata di 10 mg.
In questo studio la percentuale di risposte è stata
del 38%, con il 7% di risposte complete. In entrambi gli studi, le tossicità più frequentemente osservate sono state la mielotossicità e la fatigue. Meno
frequentemente, sono state osservate casi di sin-
drome da lisi tumorale e l’insorgenza di una tumor
flare reaction. Quest’ultima è una condizione
caratterizzata da un aumento di volume doloroso
delle linfoghiandole con segni locali di flogosi. Un
incremento più graduale della dose di lenalidomide può contribuire a ridurre l’incidenza di queste
ultime complicanze.
Ferrajoli et al. (25) hanno riportato in uno studio
successivo che i pazienti con alterazioni citogenetiche a significato prognostico sfavorevole,
quali la delezione 11q- e la delezione 17p-, non
mostravano una risposta dissimile rispetto a
quella ottenuta da pazienti che non mostravano
queste caratteristiche genetiche.
In uno studio più recente, Ferrajoli et al. (26) hanno trattato con lenalidomide alla dose massima
giornaliera di 10 mg pazienti affetti da LLC meno
giovani, di età superiore o uguale a 65 anni ottenendo una risposta nel 54% dei pazienti trattati.
Sempre Ferrajoli et al. (27) hanno riportato i risultati preliminari di uno studio in cui alla lenalidomide è stato associato l’anticorpo monoclonale rituximab.
L’associazione ha dato risultati migliori rispetto a
quelli precedentemente ottenuti con lenalidomide
somministrata come singolo agente, con una percentuale di risposte del 64% ed anche la tossicità in termini di tumor flare reaction sembra essere stata più contenuta. La dose ottimale di lenalidomide, la schedula di somministrazione ed il suo
ruolo come singolo agente in terapia di induzione o di mantenimento o in combinazione con altri
chemioterapici e/o anticorpi monoclonali necessita ancora di valutazione. Al momento attuale, vi
sono in corso molti studi terapeutici per valutare
questi aspetti ed il ruolo terapeutico della lenalidomide nella LLC.
Due studi sponsorizzati da Celgene si propongono di valutare il ruolo di lenalidomide somministrata come terapia di mantenimento e di confrontare l’efficacia terapeutica della combinazione clorambucile-lenalidomide con quella del solo clorambucile. Il gruppo GIMEMA sta attualmente valutando in pazienti con LLC precedentemente trattati l’attività terapeutica della combinazione fludarabina, ciclofosfamide e lenalidomide, ed in
pazienti anziani, non precedentemente trattati, l’attività terapeutica della associazione clorambucile
e lenalidomide.
Terapie innovative
Flavopiridolo
Il flavopiridolo è un agente che inibisce le chinasi
ciclino-dipendenti (CDK) arrestando il ciclo cellulare e che down-regola l’espressione di proteine ad
effetto anti-apoptotico (Mcl-1, X-linked). Inoltre, il
flavopiridolo ha diverse altre attività con effetto proapoptotico, quali la riduzione della fosforilazione ed
attività trascrizionale della RNA polimerasi II e l’attivazione della caspasi 3 distalmente al gene TP53.
Sulla base di studi di farmacocinetica è stato dimostrato che per preservare l’attività di flavopiridolo
in vivo è necessaria una somministrazione di questo agente in un bolo della durata di 30 minuti seguita da una successiva infusione della durata di 4 ore.
I primi studi clinici (28, 29) hanno mostrato che la
somministrazione di questo agente si associava ad
elevata tossicità in termini di sindrome da lisi tumorale e da rilascio di citochine soprattutto nei pazienti con marcata linfocitosi periferica. Lin e collaboratori (30) hanno trattato con flavopiridolo 116
pazienti con LLC, la maggioranza dei quali resistenti alla fludarabina. È stata documentata una risposta nel 53% dei casi con una mediana di sopravvivenza libera da progressione di malattia di 12 mesi.
La risposta terapeutica è stata osservata anche in
pazienti con caratteristiche prognostiche particolarmente sfavorevoli quali la delezione 17p- e la presenza di adenomegalie importanti bulky. L’incidenza
di pazienti con mielotossicità e che hanno sviluppato una sindrome da lisi tumorale è stata importante, ma l’inserimento di steroidi ha reso più tollerabile il trattamento riducendo i casi con sindrome da rilascio delle citochine.
Inibitori di Bcl-2
- Oblimersen. È una proteina antisenso, un oligonucleotide che riconosce il mRNA specifico per la
sintesi della proteina Bcl-2. Sulla base di un effetto sinergico con la fludarabina dimostrato in vitro,
è stato condotto uno studio in cui 241 pazienti sono
stati randomizzati a ricevere 6 cicli della schedula
fludarabina e ciclofosfamide (FC) da sola o in combinazione con oblimersen (31). I pazienti che hanno ricevuto oblimersen in associazione ad FC hanno ottenuto una percentuale significativamente
superiore di risposte complete e di risposte parziali di tipo nodulare, 17%, rispetto al 7% nei pazienti trattati con sola FC.
- Obatoclax. È una molecola inibente Bcl-2. In uno
studio di fase 1 è stata somministrata come singolo agente in 26 pazienti con LLC mostrando attività terapeutica (32). In questa esperienza, gli effetti collaterali, in particolare quelli neurologici (sonnolenza, euforia), fatigue, incremento delle transaminasi non sono stati tuttavia trascurabili.
- ABT-263. Questo agente mimetico di BH3 ha la
capacità di legarsi ed inibire molte proteine ad effetto anti-apoptotico appartenenti alla famiglia di Bcl2. In uno studio di fase 1 in cui ABT-263 è stato
impiegato come singolo agente in 55 pazienti con
diagnosi di linfoma linfocitico o di LLC, questa molecola ha mostrato una chiara attività terapeutica (33).
La trombocitopenia, espressione della inibizione di
Bcl-xL, è stato l’effetto collaterale più importante.
Al momento attuale, sono in corso studi terapeutici intesi a valutare l’efficacia di schedule che associano ABT-263 all’anticorpo monoclonale rituximab.
n INIBITORI DELLE TIROSIN CHINASI
Imatinib e Dasatinib
La LLC presenta un profilo caratteristico e molto
omogeneo di iperepressione di numerosi geni codificanti per varie protein chinasi (PK), come dimostrato in un recente studio di profilo di espressione genica mediante microarray (34). In particolare,
sono altamente iperespressi 16 geni, che codificano per tirosin chinasi (SYK, LYN, BLK, LCK, JAK1,
CSK e FGR), serin-treonin chinasi (PIM2, PFTK1,
TLK1, MAP4K1, PDPK1, PRKCB1 e STK10) e proteine con entrambe le attività (GRK6 e WEE1). Alcuni
di essi sono membri di importanti famiglie geniche
coinvolte nella trasmissione del segnale intracellulare, come le Src chinasi, MAPK e JAK chinasi. Il
profilo genico delle PK non risulta correlato ai classici fattori prognostici della LLC, suggerendo che
l’iperespressione dei geni delle PK caratterizza la
malattia in quanto tale piuttosto che i suoi sottotipi. La sensibilità delle cellule di LLC all’imatinib, inibitore della tirosin chinasi ABL, è stata testata in
studi in vitro (35, 36), che hanno dimostrato una eterogeneità nell’effetto apoptotico indotto dall’inibitore, correlato con il livello di espressione di ABL.
Lin et al. (35) hanno infatti dimostrato che la proteina ABL, iperespressa nelle cellule di LLC rispetto ai linfociti B normali, presenta variabili livelli di
espressione che correlano con la massa di malat-
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tia, lo stadio clinico e lo stato non-mutato dei geni
delle immunoglobuline.
Questi dati pre-clinici hanno portato ad ipotizzare
che gli inibitori delle PK di seconda generazione
possano avere un ruolo nel trattamento dei pazienti con LLC. Il dasatinib è un doppio inibitore che
agisce sia sulle Src chinasi che su ABL, ed è impiegato nel trattamento della leucemia mieloide cronica e delle leucemie linfoblastiche acute Ph+, dimostrando grande efficacia anche nei casi con mutazioni del gene ABL, ad eccezione della mutazione
T315I (37).
Studi in vitro mostrano che il dasatinib è funzionalmente attivo anche su cellule primarie di LLC, riducendone la vitalità (34).
Il dasatinib riduce l’espressione di Mcl-1 e Bcl-x(L)
ed è capace di indurre apoptosi in cellule di LLC
in vitro, specialmente quelle con stato non-mutato delle immunoglobuline (38); la combinazione di
dasatinib e fludarabina in vitro su cellule primarie
ha mostrato un incremento dell’effetto apoptotico
indotto da ciascun farmaco (39).
Mentre la fosforilazione delle chinasi Src risulta inibita dal dasatinib sia nei casi di LLC che mostrano apoptosi in vitro che nei casi resistenti, al contrario l’attività di SYK (spleen tyrosine kinase) e della fospolipasi-Cgamma2 correla con la risposta
apoptotica delle cellule al dasatinib. L’inibizione di
SYK, forse il bersaglio terapeutico più importante, potrebbe quindi predire la risposta cellulare al
dasatinib, rappresentando un potenziale marcatore di sensibilità dei pazienti con LLC a tale trattamento (40).
Inibitori di SYK
I segnali indotti dalla stimolazione del B-cell receptor (BCR) sono determinanti per la sopravvivenza/
apoptosi della cellula di LLC.
SYK è una tirosin chinasi fondamentale per la traduzione del segnale del BCR. Il gene codificante
per SYK è iperespresso nelle cellule di LLC anche
rispetto ai linfociti B normali (34, 41), così come risulta incrementata l’attività della proteina e di altri
mediatori del segnale del BCR nella LLC rispetto
ai linfociti B normali.
Gli inibitori di SYK sono in grado di indurre apoptosi in vitro in cellule primarie di LLC, effetto presente soprattutto in LLC con geni delle immunoglobuline non-mutati e ZAP-70+. Tali inibitori usa-
ti in combinazione con la fludarabina aumentano
l’effetto citotossico in vitro della fludarabina da sola
(41).
In particolare, l’inibitore di SYK R406 è in grado di
abrogare l’effetto protettivo sulla sopravvivenza di
cellule di LLC indotto dalla stimolazione con antiIgM e da cellule nutrici (42), di inibire la capacità di
migrazione nonché la produzione di citochine CCL3
e CCL4 da parte di cellule di LLC, interferendo quindi con i segnali di homing e sopravvivenza che dal
microambiente vengono trasmessi alle cellule
mediante il BCR (43).
Un protocollo di fase I/II (44) ha impiegato il primo inibitore di SYK per via orale, il fostamatinib,
in pazienti con linfomi non-Hodgkin a cellule B in
recidiva. Nella fase I, la dose-limiting toxicity è rappresentata da neutropenia, diarrea e trombocitopenia. Il dosaggio di 200 mg x 2/die è stato scelto per la fase II. Sono stati trattati 68 pazienti in 3
coorti: linfoma diffuso a grandi cellule B, linfoma
follicolare ed altri linfomi (comprendenti linfoma
mantellare, linfoma MALT, linfoma marginale, linfoma linfoplasmocitico e linfoma linfocitico/LLC (11
casi)). Le tossicità più frequenti includono diarrea,
astenia, citopenie, ipertensione e nausea. Risposte
cliniche sono state osservate nel 55% dei linfomi
linfocitici/LLC, 22% dei linfomi a grandi cellule, 10%
dei linfomi follicolari e 11% dei linfomi mantellari.
La sopravvivenza libera da progressione è stata di
4,2 mesi.
Inibitori del recettore di VEGF
Il vascular endothelial growth factor (VEGF) è un
importante fattore del microambiente che sembra
avere un’influenza sulla sopravvivenza delle cellule di LLC indipendentemente dai suoi effetti sulla
angiogenesi.
Il vatalanib ed il pazopanib, inibitori orali del recettore del VEGF che ha attività tirosin chinasica, sono
stati recentemente testati in vitro su cellule primarie di LLC (45). Entrambi riducono la fosforilazione
del recettore del VEGF e inducono l’apoptosi di cellule di LLC, mentre i linfociti B normali subiscono
soltanto un lieve effetto. Provocano una down regolazione delle proteine anti-apoptotiche XIAP e MCL1
e mostrano effetti sinergici con altri agenti chemioterapici convenzionali. L’attività anti-leucemica è stata dimostrata anche in vivo su topi xenografted con
linea cellulare JVM-3.
Terapie innovative
n VACCINI
La LLC presenta alcune peculiari caratteristiche che
la rendono una malattia ottimale a cui applicare
approcci immunoterapici. In primo luogo, la LLC
presenta spesso dopo la diagnosi una fase iniziale ad andamento indolente che rappresenta una
finestra temporale ideale per far maturare una risposta immune contro le cellule tumorali. In secondo
luogo, le cellule tumorali sono facilmente accessibili dal sangue venoso periferico (svp). In terzo luogo, le cellule di LLC esprimono antigeni HLA di classe I e II e hanno la potenzialità di funzionare come
cellule presentanti l’antigene (APC).
Inoltre, numerose evidenze dimostrano come la LLC
sia responsiva all’azione del sistema immunitario,
come dimostrato dall’effetto di graft-versus-leukemia dopo il trapianto di cellule staminali allogeniche (46-49) o l’infusione di linfociti del donatore (50,
51), come pure dall’evenienza di remissioni spontanee di malattia (52). Inoltre, la presenza di linfociti T autologhi ed allogenici con attività anti-LLC
è stata dimostrata da numerosi lavori (49, 53).
Tuttavia l’approccio immunoterapico nella LLC presenta alcune problematiche. Infatti le cellule di LLC
sono di per sé incapaci di indurre una risposta
immunitaria efficace per la mancanza o i bassi livelli di molecole di adesione e costimolatorie (es. CD80
e CD86) e perché sono direttamente responsabili
di meccanismi immunosoppressivi di varia natura
(vedi paragrafo successivo), che determinano lo stato di immunodeficienza umorale e cellulare della
malattia. Inoltre, le chemioterapie e gli anticorpi
monoclonali impiegati per trattare la LLC hanno una
ulteriore azione immunosoppressiva.
L’importanza di sviluppare approcci immunoterapici nella LLC deriva dal fatto che, sebbene le risposte cliniche e la sopravvivenza dei pazienti siano
significativamente migliorate con i regimi immunochemioterapici attualmente utilizzati, la malattia
rimane non curabile. L’unico approccio curativo è
il trapianto di cellule staminali allogeniche, che però
è applicabile soltanto ad una minoranza dei
pazienti.
Scopo della immunoterapia della LLC è quello di
indurre una risposta immune cellulare ed umorale contro le cellule leucemiche in grado di contenerle/eliminarle e prevenire indefinitamente la recidiva. La strategia di controllo immunoterapico auto-
logo della LLC troverebbe il suo spazio ideale sia
nelle fasi iniziali della malattia che nelle fasi di malattia minima residua dopo la terapia. I presupposti
della immunoterapia autologa risiedono nella
espressione e presentazione di antigeni (Ag)
tumorali in un sistema immune dell’ospite capace di riconoscerli e nella generazione di una effettiva risposta immune capace di eliminare le cellule tumorali.
Il sistema immunitario
Le cellule LLC hanno la potenzialità di funzionare
come APC in quanto esprimono Ag tumorali che
possono essere presentati nel contesto delle
molecole di HLA di classe I e II. Tuttavia, nei pazienti affetti da LLC non vi è alcuna immunità autologa efficace contro la malattia (54).
Ciò è legato a tre fattori:
a) la limitata capacità della cellula di LLC di agire
come APC;
b) difetti indotti dalle cellule di LLC sulla normale
attività effettrice dei linfociti T e delle altre cellule accessorie;
c) incremento nel numero dei linfociti T regolatori
(Tregs).
I linfociti di LLC, nonostante esprimano le molecole del sistema HLA di classe I e II ed alcune molecole di adesione (CD54 o ICAM-1, CD27, CD40),
mancano completamente o esprimono bassi livelli di molecole costimolatorie (es. CD80 e CD86)
essenziali per l’induzione di una risposta immunitaria efficace.
Inoltre, le cellule di LLC secernono citochine ad attività immunosoppressiva come l’interleuchina (IL)4, IL-6 e IL-10 ed il TGF-β, con la conseguente soppressione della attivazione, espansione e funzione
effettrice dei linfociti T.
Recentemente è stato dimostrato che la down regolazione del gene della β2-microglobulina (β2M), la
catena β del complesso del sistema HLA di classe I, nelle cellule di LLC in confronto con linfociti
B normali e di LLC in remissione spontanea, supporta l’ipotesi che tale alterazione possa essere
associata con la progressione della malattia, in linea
con i meccanismi di tumor escape esercitati dai
tumori solidi nei confronti dei linfociti T citotossici
(52).
Sono state descritte numerose anomalie nell’ambito delle cellule accessorie non-leucemiche dei
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pazienti con LLC, che hanno suggerito uno stato
di cronica incompleta attivazione in vivo, con conseguente anergia dei linfociti T (55-58). Sono stati
riportati anche difetti funzionali nella popolazione
NK (59,60), come pure difetti funzionali ed aberrazioni fenotipiche a carico delle cellule dendritiche
(DC) (61,62).
Più recentemente, è stato dimostrato che le cellule di LLC sono direttamente responsabili dell’induzione di una azione immunosoppressiva sui linfociti T (63-65).
In primo luogo, i difetti dei linfociti T sono stati caratterizzati accuratamente analizzando il profilo di
espressione genica di linfociti CD4+ e CD8+ purificati dal svp di pazienti con LLC a confronto con
linfociti T di donatori sani della stessa età. Questa
analisi ha dimostrato che vi sono geni differenzialmente espressi, principalmente coinvolti nella differenziazione cellulare e nella formazione del citoscheletro nei linfociti T CD4+, e nella formazione
del citoscheletro, traffico delle vescicole e vie di citotossicità nei linfociti T CD8+ (63). L’actina del citoscheletro appare essenziale per controllare l’attivazione immune e l’attività effettrice dei linfociti T.
Inoltre, le cellule di LLC possono attivamente sopprimere la funzione del citoscheletro nei linfociti T,
inducendo una difettosa formazione della sinapsi
immunologica di F-actina e compromettendo il riconoscimento delle cellule tumorali autologhe (64,65).
Tale difetto è inducibile in linfociti T sia autologhi
che allogenici di individui sani, mediante contatto
diretto degli stessi con le cellule di LLC. Co-colture di cellule di LLC con linfociti T autologhi con
lenalidomide rendono reversibile il difetto della
sinapsi immunologica presente nella malattia, riparando il reclutamento delle proteine del citoscheletro alla sinapsi immunologica dei linfociti T ed
incrementando la citotossicità dei linfociti T CD8+
contro le cellule di LLC autologhe (64,65).
Recentemente, è stata descritta una aumentata frequenza e funzione soppressiva dei linfociti Tregs
nei pazienti con LLC, specialmente nei pazienti non
trattati o con malattia progressiva (66). La lenalidomide e la pomalidomide hanno dimostrato una
attività inibitoria in vitro sulla proliferazione e funzione dei linfociti Tregs (67).
Questi effetti potrebbero rappresentare una componente cruciale delle proprietà adiuvanti della lenalidomide e della pomalidomide, potenzialmente
applicabile anche nel contesto dell’approccio vaccinale alla LLC.
Antigeni tumorali
L’antigene tumorale ideale (tumor associated Ag,
TAA) per la generazione di un vaccino dovrebbe
avere 3 caratteristiche fondamentali: essere espresso unicamente sulle cellule tumorali e non su tessuti normali allo scopo di ridurre il rischio di reazioni autoimmuni; essere espresso su tutte le cellule tumorali; essere essenziale per la sopravvivenza della cellula tumorale per prevenire l’emergenza di cloni Ag-negativi che potrebbero sfuggire al
controllo immune. Tali TAA, degradati, processati
e presentati come peptidi nel contesto di specifiche molecole HLA, sono potenzialmente in grado
di generare una risposta citotossica da parte di linfociti T.
Nella LLC non esiste un singolo TAA che risponda a tutti questi requisiti e che possa essere applicato a tutti i pazienti per una strategia vaccinale.
Tra gli Ag LLC-specifici meglio caratterizzati, vanno menzionati:
- l’idiotipo delle immunoglobuline, che è pazientespecifico ma poco immunogenico (68,69), su cui
sono stati eseguiti tentativi di manipolazione per
incrementarne la immunogenicità (70);
- proteine espresse in maniera aberrante dalle cellule di LLC ed identificate mediante tecniche di
recombinant expression cloning (SEREX) (71);
- CD23 (72), fibromodulina (73), formin-related protein in leukocytes 1 (FMNL1) (74,75), murine double minute 2 oncoprotein (MDM2) (76), oncofetal antigen immature laminin receptor protein
(OFA-iLRP) (77,78), orphan receptor type 1 tyrosine kinase ROR1 (79,80), receptor for hyaluronic
acid-mediated
motility
(RHAMM/
CD168) (81), survivina (82,83), hTERT (84).
Tutti i TAA sopramenzionati possono generare peptidi in grado di indurre risposte citotossiche mediate da linfociti T.
In un recente trial clinico di fase I, 6 pazienti con
LLC sono stati vaccinati per 4 volte ad intervalli
bisettimanali con un peptide derivante dal
RHAMM/CD168 (HLA-A2 ristretto) con somministrazione di GM-CSF come adiuvante. Tale approccio non ha presentato tossicità e ha indotto in 4
pazienti una risposta T CD8+ specifica contro l’Ag
tumorale ed una certa riduzione nella linfocitosi (85).
Terapie innovative
Vaccini cellulari e protocolli clinici
Poichè non è facile trovare un singolo TAA ideale
per una strategia vaccinale applicabile a tutti i
pazienti con LLC, sono nati approcci alternativi che
evocano una risposta immune anti-tumorale impiegando cellule tumorali autologhe o lisati cellulari in
toto, con i quali tutti gli antigeni tumorali rappresentano multipli bersagli potenzialmente in grado di
generare una risposta immune. Infatti, la maggior
parte dei protocolli clinici di vaccinazione condotti nella LLC hanno impiegato vaccini cellulari.
In considerazione del fatto che le cellule di LLC sono
APC deficitarie, sono stati studiati vari approcci per
renderle più immunogeniche. Per ciascun approccio vengono menzionati i corrispondenti protocolli clinici.
Vaccino
Trial
Fase di
malattia
Peptide dal TAA
RHAMM/CD168
(HLA-A2 ristretto)
Fase I
LLC autologhe
trattate con
agenti ossidanti
Fase I/II Indolente 18
DC allogeniche
caricate con lisati
tumorali o corpi
apoptotici
Fase I
DC autologhe
caricate con
lisati tumorali
• Sottoporre le cellule di LLC ex vivo a stress ossidativi allo scopo di indurre il rilascio di heat-shock
proteins e radicali liberi che incrementino la immunogenicità delle cellule di LLC in vivo. Pazienti in
fase indolente di malattia sono stati vaccinati per
via intramuscolare con cellule di LLC autologhe trattate con agenti ossidanti in un protocollo di fase I.
Non sono state osservate tossicità significative.
Cinque dei 18 pazienti hanno presentato risposte
parziali che erano associate con un’aumentata attività T anti-tumorale, ma la durata di tale risposta
è stata breve (1-4 mesi) (86).
• Impiegare APC più potenti, come le DC, che possono essere manipolate ex vivo, cioè caricate con
lisati cellulari tumorali, RNA tumorale, corpi apoptotici o direttamente fuse con cellule di LLC (ibridi)
N° di
Somminipazienti strazioni
Risposta
immune
Risposta
clinica*
Referenza
6
Aumento linfociti
T CD8+ Ag-specifici
CD107a+IFNγ+
Granzyme B+
4/6 riduz.
linfocitosi
85
12 in 6 sett.
9/18 risposta immune
12 in 16 giorni T a cellule LLC
4 in 6 sett.
autologhe
5/18 PR
6/18 SD
7/18 PD
86
5 ogni
2-3 sett.
1/9 risposta linfociti T
specifici per RHAMM
8/9 SD
1/9 PD
88
Fase I/II Indolente 12
8
4/12 risposta linfociti
T specifici per RHAMM
o fibromodulina.
Nei rispondenti:
incremento IL-12
e riduzione Tregs
5/12 riduz.
linfociti
3/12 SD
4/12 PD
89
LLC autologhe
trasdotte con
Ad-CD154
Fase I
Progressiva 11
1
Incremento IL-12 e
IFN gamma.
Aumento linfociti T
specifici anti-LLC
9/11 riduz.
linfociti e
linfonodi
2/11 PD
92
Linfociti T
Xcellerate
Fase I/II Progressiva 17
1
Incremento linfociti
Miglioramento 97
crasi ematica
11/14 riduzione
dei linfonodi
10/12 riduzione
della splenomegalia. No risposta
nella linfocitosi
Indolente 9
4 ogni 2 sett.
+ GM-CSF
*PR risposta parziale; SD malattia stabile; PD malattia progressiva
TABELLA 2 - Protocolli clinici vaccinali nella LLC.
81
82
Seminari di Ematologia Oncologica
allo scopo di presentare l’Ag ai linfociti T e determinarne l’attivazione e la proliferazione. Studi preclinici hanno paragonato le 4 strategie e dimostrato come i corpi apoptotici di cellule di LLC siano
superiori agli altri per caricare le DC autologhe (87).
Protocolli di fase I/II hanno esplorato l’impiego di
DC per vaccinare pazienti con LLC. In un primo studio, sono state impiegate DC allogeniche caricate
con lisati tumorali o corpi apoptotici (88) di cellule
di LLC e somministrate per via sottocutanea a 9
pazienti con malattia in stadio iniziale per 5 volte.
Non sono state rilevate tossicità significative né
fenomeni autoimmuni. Un sottogruppo di pazienti ha presentato una riduzione nel numero di cellule leucemiche durante la vaccinazione ed in un
caso un incremento nella conta dei linfociti T reattivi contro l’Ag leucemico RHAMM. Nel secondo
studio, sono state impiegate DC autologhe caricate con lisati tumorali (89) e somministrate per via
intradermica a 12 pazienti con LLC in stadio iniziale per 8 volte. In alcuni pazienti è stato rilevato un
aumento dei linfociti T che reagivano contro
RHAMM e fibromodulina come pure effetti clinici
minori, ma non è stata osservata alcuna risposta
clinica significativa (88, 89).
È in corso uno studio di fase I/II sulla fattibilità, efficacia e immunogenicità di un vaccino con DC caricate con corpi apoptotici (Apo-DC) e generate da
precursori monocitari arricchiti da svp. Le Apo-DC
sono somministrate per almeno 5 volte a 3 coorti
di pazienti con LLC: la prima riceve Apo-DC soltanto; la seconda Apo-DC+ basse dosi ripetute di
GM-CSF; la terza basse dosi di ciclofosfamide
seguite da Apo-DC + GM-CSF (90).
• Trasferire nelle cellule di LLC geni con proprietà
immunostimolatoria mediante vettori virali (es.
adenovirus), come ad esempio geni codificanti per
molecole accessorie di superficie come CD80 e
CD154 (CD40L) o per citochine stimolatorie come
IL-2 e IL-12. Ad esempio, cellule di LLC infettate
con un vettore adenovirale codificante per il
CD40L ricombinante (Ad-CD154), sono risultate
capaci di stimolare ed espandere linfociti T citotossici specifici per le cellule leucemiche autologhe in
vitro (91). Il vettore virale ideale deve possedere una
elevata efficienza di trasferimento genico nella maggior parte delle cellule leucemiche, con alti livelli di
espressione dei transgeni selezionati; non deve
replicarsi e causare infezione attiva; non dovrebbe
esprimere Ag virali immunodominanti che possano competere con la risposta anti-leucemica.
Numerosi studi sono volti ad ottimizzare il trasferimento genico in cellule di LLC mediante vari tipi
di virus o mediante elettroporazione delle cellule in
presenza di plasmidi di DNA umano contenenti i
geni di interesse.
Un protocollo di fase I ha esplorato la tollerabilità,
tossicità ed attività di una singola dose di cellule
di LLC autologhe trasdotte con Ad-CD154. Tale trattamento è stato associato alla comparsa di sintomi simil-influenzali, un transitorio incremento dei
valori delle transaminasi e transitoria trombocitopenia, senza mai evidenziare una dose-limiting toxicity o citopenie autoimmuni. Il trattamento ha indotto elevati livelli plasmatici di IL-12 e IFN-γ, associati a riduzione, seppur transitoria, del numero delle
cellule di LLC entro le 48 ore dalla somministrazione. Entro 1-2 settimane si assisteva ad una riduzione della dimensione dei linfonodi, della durata
di alcune settimane. Entro un mese dalla somministrazione si assisteva ad un notevole incremento nel numero assoluto dei linfociti T CD4+ e CD8+,
nonchè dei linfociti T anti-LLC specifici (92). La rapida clearance delle cellule di LLC, non giustificata
dai tempi di induzione della risposta immunitaria
citotossica, è probabilmente provocata dalla induzione dei recettori apoptotici (CD95 e DR5) sulle cellule leucemiche e da meccanismi dell’immunità
innnata indotti dalla metodica transgenica (92, 93).
In un altro protocollo clinico di fase I, è stata valutata la somministrazione sottocutanea di cellule di
LLC autologhe modificate per esprimere CD154 ed
IL-2. Sette su 9 pazienti hanno presentato un
aumento transitorio della reattività T contro cellule
autologhe di LLC, ma non è stato osservato alcun
effetto clinico (94).
Un altro approccio è rappresentato dal vaccino TRICOM, basato sul trasferimento genico di una triade di molecole di adesione e costimolatorie (CD80,
ICAM-1 e LFA-3) in cellule di LLC mediante un vettore virale, allo scopo di aumentarne l’espressione
sulla superficie cellulare ed incrementare l’attività
di APC. Le cellule di LLC modificate sono in grado di indurre una efficace attività citotossica in vitro
da parte di linfociti T contro cellule di LLC autologhe e non modificate (95).
• Linfociti T raccolti mediante aferesi da pazienti con
LLC possono essere attivati ed espansi dalle 100
Terapie innovative
alle 1000 volte ex vivo mediante coltura con biglie
magnetiche rivestite di anticorpi contro CD3 e CD28
in presenza di IL-2 (Xcellerate T cells), potendo recuperare la capacità di rispondere ad antigeni. I linfociti T Xcellerate autologhi sono stati valutati in un
protocollo di fase I/II in cui sono stati somministrati a dosi scalari fino a 100 x109 in una singola dose.
Non vi è stata nessuna tossicità, con un incremento dei linfociti T nel svp dose-dipendente, una riduzione della splenomegalia e delle adenopatie. Non
è stata osservata una riduzione delle cellule di LLC
nel svp, sebbene vi sia stato un miglioramento nei
valori di emoglobina, piastrine e neutrofili (96, 97).
• Una forma alternativa di presentazione dell’Ag
si basa sull’impiego di cellule di linfoma fuse con
un ibridoma (cellule TRIOMA) e modificate per
esprimere una Ig diretta contro recettori di superficie di APC (98). Le cellule TRIOMA, che esprimono multipli Ag tumorali e rappresentano pertanto
vaccini polivalenti, costituiscono il bersaglio delle
APC che processeranno e presenteranno gli Ag
tumorali ai linfociti T. Ad esempio, DC pulsate con
cellule TRIOMA attivano efficacemente i linfociti T
contro le cellule di LLC in vitro e gli Ag bersaglio
di tali linfociti T sono stati identificati nel BCL-2,
MDM2 ed ETV5 (99).
In conclusione, i numerosi studi pre-clinici e clinici sulla strategia immunoterapica e vaccinale nella LLC condotti nell’ultima decade hanno dimostrato che è possibile indurre una risposta immune antileucemica, che tuttavia non si è ancora tradotta in
un impatto clinico sostanziale.
Ulteriori sforzi volti ad eseguire un monitoraggio
accurato e standardizzato della risposta immune
dopo la vaccinazione, a correggere i difetti immunitari che accompagnano la malattia e ad impiegare nuovi adiuvanti o farmaci immunomodulanti
potranno migliorare tali affascinanti strategie terapeutiche.
n CONCLUSIONI
Sono attualmente oggetto di valutazione nell’ambito di studi sperimentali nuovi agenti biologici e più
potenti anticorpi monoclonali che hanno mostrato
un’attività terapeutica in pazienti con LLC refrattari alle terapie convenzionali. Molti di essi hanno dato
risultati promettenti ma sono ancora in fase di svi-
luppo molto precoce. Di alcuni rimane da chiarire
il profilo tossicologico, frequentemente caratterizzato dalla comparsa di effetti collaterali non precedentemente noti. Se gli studi iniziali hanno dimostrato per molte molecole una certa attività, altri studi sono necessari per definire la modalità più appropriata di somministrazione indirizzata non solo a
mantenerne l’efficacia, ma anche a garantirne la tollerabilità. Inoltre, per molte di queste nuove molecole, una volta dimostrata l’attività come singolo
agente, ne va valutato il potenziale terapeutico in
schedule di associazione in cui sono combinate con
farmaci di nota efficacia nella LLC.
È indubbio che la grande attenzione diretta alla definizione delle caratteristiche biologiche della LLC si
è tradotta in modo tangibile anche nello sviluppo
di nuovi agenti terapeutici per questa forma di leucemia.
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