13201 LEUCEMIE SOMMARIETTO: Anche in corso di infezione una linfocitosi può non essere reattiva. È sempre bene tenere conto di altri possibili fattori causali. ABSTRACT: Tra le neoplasie linfatiche, quella che più frequentemente causa linfocitosi assoluta è la leucemia linfatica cronica, seguita dai linfomi e dalle leucemie acute. Questa anche la forma di leucemia prevalente in età avanzata. Di fronte a una linfocitosi in pazienti ultrasessantenni va quindi messa in conto l’origine neoplastica anche quando eventuali malattie febbrili intercorrenti possono mascherarla. A maggior ragione, il dato anamnestico della presenza di fattori di rischio noti impone l’approfondimento ematologico. L’esame citologico del midollo e le analisi citogenetiche, di biologia molecolare e di immunofenotipizzazione sono necessari per la diagnosi differenziale tra le varie forme neoplastiche linfoidi e sono di complemento per la stadiazione clinica. LINFOCITOSI E LLC Elisa Grespi EMATOLOGIA MILANO IL CASO Vita agreste e tubi di scappamento Ermanno F. è un pensionato settantenne delle ferrovie dello stato; quando, rimasto vedovo, è venuto ad abitare in paese, per avvicinarsi al figlio sposato, si è fatto dare dal Comune un pezzetto di terra tra il terrapieno delle rotaie e la trafficatissima provinciale, dove può tenersi attivo per tutto il giorno, tempo permettendo, coltivando ortaggi e guardando passare i tanto rimpianti treni. Da allora sono passati quindici anni in cui è stato uno dei pazienti che i medici prediligono: i sempre sani. Qualche tempo fa, però, si è lamentato con me di stancarsi esageratamente con i suoi lavoretti nell’orto: «I miei vicini di podere – lui chiama così il suo inquinato fazzoletto – sono più vecchi di me, ma fanno metà della mia fatica a vangare». Inoltre, pur essendosi vaccinato contro l’influenza e non essendo un fumatore, ha inanellato tre episodi respiratori febbrili. Durante l’ultimo gli fatto fare gli esami del sangue, che hanno mostrato una lieve anemia (Hb 10 mg/dL) e soprattutto 28.000 globuli bianchi, che la formula leucocitaria dava prevalentemente per linfociti. L’ho fatto ricoverare nel reparto di medicina del nostro ospedale dove, dopo biopsia del midollo e l’esecuzione del cariotipo hanno fatto diagnosi di leucemia linfatica cronica. Oltre a chiedermi quale saranno la sua prognosi e la sua terapia, mi chiedo se il suo hobby dell’agricoltura a bordo strada non abbia avuto un ruolo nella sua malattia: so, infatti, che molti inquinanti, tra cui il benzene, sono stati accusati di indurre le mutazioni cromosomiche alla base delle leucemie. Nel caso di riscontro di una linfocitosi (aumento del numero di linfociti > 5.000/micronL), la prima cosa da fare è stabilire se si tratta di linfocitosi reattiva o neoplastica. Nel primo caso l’incremento dei linfociti periferici è secondario a infezioni per lo più virali (come la mononucleosi infettiva, una virosi influenzale), ma anche batteriche intracellulari (per esempio la TBC), ad assunzione di farmaci o a infiammazione; un’accurata anamnesi e un attento esame obiettivo sono d’aiuto nell’attribuzione della responsabilità. In effetti, Ermanno era in corso di malattia respiratoria febbrile e la sua conta linfocitaria avrebbe potuto esserne una spia. Ciononostante, il collega del caso ha ritenuto opportuno richiedere subito il ricovero, forse pensando al dato epidemiologico dell’età e forse anche alla diuturna esposizione ai gas di scarico delle automobili che passavano vicino al suo orto (vedi il secondo parere). Tra le neoplasie linfatiche, quella che più frequentemente causa linfocitosi assoluta è la leucemia linfatica cronica (LLC) seguita dai linfomi e dalle leucemie acute. La leucemia linfatica cronica è un disordine caratterizzato da una ridotta apoptosi e dalla proliferazione midollare e periferica di linfociti B maturi; è la forma di leucemia più frequente nell’adulto e prevale nei soggetti con più di 60 anni di età. L’interessamento del midollo e la linfocitosi periferica sono elementi sempre presenti, mentre è variabile l’incidenza di linfadenopatie e splenomegalia. La prevalenza delle forme mature e la presenza delle classiche ombre di Gumprecht da fragilità cellulare nello striscio, con scarsità, invece, di forme atipiche di prolinfociti (< 55%) nello striscio di sangue periferico, permette di distinguere le forme croniche da quelle acute. Esami specialistici sono poi in grado di fare diagnosi differenziale tra le varie forme neplastiche linfoidi. Le analisi citogenetiche, di biologia molecolare e di immunofenotipizzazione (vedi box 1) si sono di recente aggiunte alla classica stadiazione clinica, consentendo di identificare programmi terapeutici con finalità diverse dagli interventi palliativi. L’identificazione dei nuovi fattori prognostici può stratificare i pazienti per classi di rischio e selezionare soggetti che potrebbero beneficiare di interventi terapeutici precoci nel corso della malattia. La leucemia linfatica cronica ha, infatti, un’estrema variabilità clinica: ci sono malati in cui l’aspettativa di vita non è diversa da quella della popolazione sana della stessa età e soggetti che hanno un decorso della malattia rapidamente progressivo. Le stadiazioni cliniche cui si fa riferimento da oltre 25 anni sono quella di Rai (5 stadi clinici da 0 a IV), in funzione del numero di linfociti circolanti, del coinvolgimento degli organi linfatici, (linfonodi e milza), dell’infiltrazione midollare con conseguente deficit produttivo di globuli rossi e piastrine, e quella di Binet (3 stadi clinici da A a C), in funzione del grado di impegno degli organi linfatici e della presenza di anemia e di piastrinopenia (vedi tabella 1). I pazienti sono definiti: a basso rischio negli stadi 0 di Rai e A di Binet; a rischio intermedio negli stadi I e II di Rai e B di Binet; ad alto rischio negli stadi III di Rai e C di Binet. Sono necessari quindi un esame obiettivo accurato volto soprattutto alla valutazione dei linfonodi superficiali e degli organi ipocondriaci ed esami strumentali quali la radiografia e la TC del torace e un’ecografia e una TC dell’addome. Parametri sierologici il cui incremento ha un significato prognostico negativo sono la beta 2 microglobulina, la timidinochinasi, l’sCD-23, l’LDH; uguale valenza hanno la soppressione delle Ig e il test di Coombs positivo. Negli stadi precoci, se sono ancora assenti i sintomi sistemici (febbre, sudorazioni, calo ponderale, astenia intensa) o i segni di progressione della malattia (tempo di duplicazione linfocitaria LDT < 6 mesi), non è indicato alcun trattamento, ma solo il monitoraggio (raccomandazione di grado B) come dimostrato da un recente meta-analisi (META). Ermanno, però, ha già manifestato, seppure in grado lieve, alcuni dei segni di deterioramento immunologico; in tal caso, la terapia di prima linea, se non ci sono fattori di rischio biologici sfavorevoli e vista l’assenza di altre patologie importanti, è con fludarabina e ciclofosfamide (raccomandazione grado A). Essa è associata a un minor tasso di recidive complete, ma a un’aumentata incidenza di infezioni opportunistiche, di anemia emolitica autoimmune e a una ridotta mobilizzazione di cellule staminali. I soggetti non candidati o con controindicazioni alla terapia con fludarabina e ciclofosfamide, devono ricevere clorambucil (grado B), farmaco che ha una maggior tossicità a lungo termine (neoplasie secondarie). I soggetti che recidivano precocemente (prima di 6 mesi) o che non rispondono a clorambucil devono ricevere terapie contenenti la fludarabina; per quelli che recidivano più tardivamente o che non rispondono alla fludarabina sono indicati farmaci non cross reattivi come alentuzumab, possibilmente seguiti da trapianto di midollo osseo autologo o allogenico, che deve essere previsto anche per i soggetti giovani con fattori prognostici biologici sfavorevoli. I malati di leucemia linfatica cronica generalmente muoiono decenni per cause legate a età anziana (60-70%), complicazioni infettive da deficit immunitario secondario (20%) o per le complicanze proprie della malattia, come la cosiddetta sindrome di Richter (brusca comparsa di sintomi sistemici, aumento asimmetrico e vistoso dei linfonodi, decadimento delle condizioni cliniche) e la sindrome di Evans (comparsa di anemia e piastrinopenia autoimmuni) e la trasformazione prolinfocitoide e, raramente, in leucemia acuta. Bibliografia Brugiatelli M et al. Management of chronic lymphocytic leukemia: practice guidelines from the Italian Society of Hematology, the Italian Society of Experimental Hematology and the Italian Group for Bone Marrow Transplantation. Haematologica 2006; 91: 1662. Doll R et al. Cancer risks in benzene exposed workers. Occup Environ Med 2005; 62: 231. Gachard N et al. Chronic lymphocytic leukemia. Multicenter study of ZAP-70 expression in patients with B-cell chronic lymphocytic leukemia using an optimized flow cytometry method. Haematologica 2008; 93: 215. (META) CLL Trialist Collaborative Group. Chemotherapeutic options in chronic lymphocytic leukemia: a meta-analysis of the randomized trials. Natl Cancer Inst 1999; 91: 86. (PROGN) Montillo M et al. Moving from clinical to biological staging for the management of chronic lymphocytic leukemia. Hematology Meeting Reports 2007: 1: 8. Steffen C et al. Acute childhood leukaemia and environmental exposure to potential sources of benzene and other hydrocarbons; a case-control study. Occup Environ Med 2004; 61: 773 Box 1 Lenti d’ingrandimento La positività dei linfociti B maturi per i recettori CD5 e CD19/CD-20 è importante per fare una diagnosi differenziale con altri tipi di proliferazione linfoide (per esempio il linfoma mantellare). L’analisi del cariotipo può essere limitata alla ricerca della trisomia 12, della delezione del 13 e della delezione dell’11, che sono le anomalie più rappresentate, seguite dalla delezione del cromosoma 17 (17 p-) e dalla delezione del cromosoma 6. Mentre la prima ha buona prognosi, le altre sono tutte associate a una cattiva prognosi. In particolare, la 17p- è caratterizzata da mancata risposta alle terapie convenzionali. Il fattore prognostico principale, indipendente dallo stadio clinico, è lo stato mutazionale dei geni della regione variabile delle catene leggere delle immunoglobuline (IgVH). I soggetti con lo stato mutato hanno una buona prognosi al contrario di quelli con lo stato non mutato, che molto più probabilmente svilupperanno una malattia progressiva e con ridotta sopravvivenza (PROGN 2007). Poiché tali analisi sono difficili da ottenere di routine si sono studiate misurazioni surrogate che abbiano lo stesso valore prognostico. Una di queste è la misurazione dell’espressione della proteina di membrana CD-38 sulla superficie delle cellule leucemiche mediante citometria a flusso. L’espressione di questa proteina, segno di attivazione cellulare è associata a infiltrazione midollare, linfocitosi periferica importante e prognosi sfavorevole. Anche l’espressione di ZAP-70, enzima espresso normalmente dai T linfociti, determinata con la citometria a flusso, è un nuovo promettente fattore prognostico della LLC, per la sua concordanza con la delezione 17p; la sua assenza è invece correlata alla mutazione isolata del 13q (Gachard 2008). Tabella 1 Stadio Classificazione di Rai (modificata) Sopravvivenza media (anni) 0 linfocitosi periferica (> 5.000 mL) e midollare (> 40%) > 10 I come stadio 0 associato a linfoadenomegalia 7 II come stadio 0 associato a splenomegalia a epatomegalia 5 con o senza linfoadenomegalia III come stadio 0 + anemia (Hb < 11 g/dL) con o senza epatosplenoadenomegalia 2–4 IV come stadio 0 + trombocitopenia (Plt < 100.000 mL) e anemia (Hb < 11 g/dL) con o senza epatosplenoadenomegalia 1,5 Stadio Classificazione di Binet Sopravvivenza media (anni) A linfocitosi (> 5.000 mL) e < 3 aree linfonodali coinvolte 12 B linfocitosi (> 5.000 mL) e > 3 aree linfonodali coinvolte 7 C linfocitosi (> 5.000 mL) + anemia (Hb < 10 g/dL) e/o trombocitopenia (plt < 100.000/mL) indipendentemente 2-4 dal numero di aree linfonodali coinvolte