Venetian Academy of Indian Studies Ciclo annuale dedicato al “Simbolismo nell’Arte e nel Mito” Anno Accademico 2011‐2012 Elementi di simbolismo orientale in Occidente BRUNO MARCOLONGO “A good traveller is one who does not know where he is going to, and a perfect traveller does not know where he came from”. Lin Yutang Nel contesto di questo ciclo di conferenze sul “simbolismo” declinato attraverso le varie culture ed espressioni artistiche della storia dell’Umanità , sono stato invitato a parlarvi di quelle tracce, ma forse è meglio dire, di quei veri e propri elementi fondanti del simbolismo Orientale che sono riconoscibili vivi e operanti a tutt’oggi in Occidente. E qui si pone subito la necessità di definire i termini della questione, ovvero i “landmarks” impliciti nel titolo del mio intervento che sono appunto “Simbolo” e “Occidente”. 1‐ Sul concetto di simbolo sono stati versati fiumi d’inchiostro1, ma a me fa piacere riprendere qui una sua definizione “simbolica” (scusate il “jeu de mots” o “calembour”), come quella icastica e folgorante di un grande poeta (Johann Wolfgang von Goethe) che recita così: “Simbolo è l’Infinito contenuto nel Finito”2 Questo “ingombrante” simbolo, nel contempo strumento di comprensione ma anche espressione di stupore, viene ancor meglio descritto in un sonetto a rime alessandrine (“Correspondences”, 1857) tratto da “Les Fleurs du Mal” di Charles Baudelaire: 1
“Simbolo” deriva dal greco συμβολον (simbolo), segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto spezzato che si accostano; per estensione, il termine indica una rappresentazione analogica in rapporto all’oggetto considerato. Diversa è l’allegoria, “parlare in altro modo” attraverso l’apologo –allegoria morale– e la parabola –allegoria religiosa–, come pure l’emblema, che è una rappresentazione semplice di un’idea (il bue è considerato l’emblema della forza). 2
Definizione che rimanda al filone della tradizione neoplatonica di Plotino, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola 1 “La nature est un Temple où des vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles ; L’homme y passe à travers des forêts de symboles Qui l’observent avec des regards familials. ………………. “ « La natura è un Tempio in cui dei pilastri viventi Lasciano talvolta uscire confuse parole; L’Uomo vi passa attraverso foreste di simboli Che l’osservano con uno sguardo familiare (…e, sarebbe da dire, comprensivo, quasi materno e protettivo!). …………………“ Già a tale livello di definizione scaturiscono spontanee molte analogie. Prima tra tutte quella del “Finito”, o apparentemente “Finito” Vâmana, il “Nano” avatâra di Vishnu, che si manifesta come il divino “Misuratore” cioè il contenitore dell’Infinito, dei tre Mondi (cielo‐terra‐acque), misurati con i classici tre balzi. Ma questo “Trivi‐krama” “il dio che fece tre passi”, o Ulagalanda‐Perumâ “il signore che comprese l’universo con tre passi” come si dice nelle regioni tamil, non è forse resuscitato (e qui confesso un esperienza personale coinvolgente e profonda) ogni qualvolta il Maestro Iniziato compie i tre passi rituali, scavalcando la sua propria tomba (vita‐morte‐rinascita), cioè l’effige illusoria del mondo, riflesso della manifestazione della Realtà Fondamentale, ma mai la Realtà stessa? 2‐ Il Maestro al quale alludo –e questo è il secondo “corno” della questione‐ è il “cercatore” che ha intrapreso il cammino nel grande alveo della Tradizione Iniziatica dell’Occidente, di cui l’Istituzione Universale della Massoneria regolare ne è a pieno titolo la vivente rappresentante, in quanto si offre come l’unica Istituzione che presenta coerenza ideologica, che ha una lunga storia e che gode di prestigio politico e sociale. 2 Il suo pensiero si manifesta come un’autentica via laica alla trascendenza mirata all’edificazione della cattedrale della fraternità universale e, sebbene la Libera Muratoria speculativa sia nata solo nel 1717, la sua ideologia e i suoi riti riflettono concezioni di età venerabile, legami evidenti con i Misteri delle società arcaiche e tradizionali. Questa dipendenza ha un valore fondamentale e costituisce la vera forza della Massoneria. Essa ha fatto si che un esoterista del calibro di René Guénon abbia potuto parlare della Muratoria in termini sostanzialmente positivi, come della sola società che abbia mantenuto la “regolarità iniziatica” in Occidente, malgrado le spinte centrifughe che talvolta ne hanno tradito lo spirito originario. Istanze sociali e filantropiche non hanno mai compromesso la sua vera natura: in realtà non c’è Massoneria senza Esoterismo. Lo attestano rituali e simboli, lo comprova l’esperienza di morte e la resurrezione simboliche che costituiscono l’unico autentico “segreto” del massone. Chiarite così le “condizioni al contorno” (“landmarks”), cercheremo ora di riconoscere assieme gli echi del più antico simbolismo di Oriente riflessi, o addirittura ripresi integralmente nel simbolismo attualmente operante in Occidente. Tra le varie strade che si aprono dinanzi ho scelto quella non solo simbolica ma anche operativa del “pellegrinaggio3”, che tocca i vari punti topici o cospicui della vita secondo un percorso che si armonizza con il movimento celeste del sole. 3
“Giovane Viaggiatore, dimentica la stanchezza del Viaggio, procedi con coraggio. Non spegnere nell’animo la Luce del Tuo Cammino” (Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913) Il termine pellegrinaggio, nella sua accezione etimologica più diretta, deriva dal latino “peregrinus” (“per agerum”, o attraverso il campo) ed evoca l’immagine del viaggio inteso come percorso rituale –quindi di simbolo vissuto– alla ricerca di un qualche luogo o “centro” capace di risvegliare la coscienza del viandante stesso ridonandogli energia vitale. Sotto questo aspetto, esso rappresenta un archetipo nella mente dell’uomo, visto che fin dalla antichità più remota giungono a noi echi di marce o cammini rituali. Nelle famose grotte di Lascaux nel Périgord e Rouffignac in Dordogna, dipinte durante il paleolitico superiore (circa 25.000‐20.000 anni dal presente) da ignoti artisti con scene di caccia e grandi bovidi, si trovano tracce fossili di passi di giovani adolescenti rimaste impresse nel suolo, che inducono a immaginare riti di iniziazione alla età adulta svolti nel fondo di queste “cattedrali della preistoria”. Famoso è il simbolo del labirinto inciso sui massi levigati dai ghiacci della Val Camonica (graffiti rupestri neolitici e dell’età del bronzo dell’area di Capo di Ponte), rappresentazione di un percorso che dall’esterno conduce, secondo una serie di circonvoluzioni spiraliformi, al centro per poi riportare all’uscita lungo un altro cammino affiancato al precedente. Anche i molti viali delimitati da grandi blocchi di pietra (“menhir”) che si trovano nelle vicinanze di Carnac (Morbihan, Bretagna), aldilà di una possibile funzione di rilevamento astronomico, pare servissero a immortalare “viaggi sacri” verso luoghi di culto di pellegrini preistorici, che ripercorrevano sulla terra le strade celesti percorse dagli astri.
3 Il tema del pellegrinaggio, sostenuto da un viaggio sia fisico che psichico e mentale alla ricerca di un centro dove assorbire energia per poi irradiarla verso la periferia, rappresenta una esperienza propria a tutte le culture4 e una costante nella letteratura mondiale5.
Peculiare caratteristica del percorso da compiere è la circolarità, che offre tra l’altro la possibilità di procedere verso occidente per giungere ad oriente e viceversa. Il ritrovamento del luogo sacro cercato, dove riconoscere la manifestazione della Realtà superiore, avviene idealmente nel punto di partenza6, in conseguenza però dell’esperienza e della coscienza accresciute durante il viaggio. A tale riguardo ci si può riferire al famoso esametro di Tito Lucrezio Caro nel suo “De rerum natura” (58 – 55 A.C.): “in gi‐rum imus noc‐te et con‐sumi‐mur ig‐ni” Questo è forse uno degli esempi letterari più significativi di palindromia, per cui la frase può esser letta normalmente iniziando da sinistra oppure a ritroso e tuttavia mantenere esattamente il medesimo significato: in giro andiamo di notte e siamo consumati dal fuoco, 4
Tra l’altro qui si ricordano le culture: ‐ Induista, con il pellegrinaggio (“char dham yatra”) alle sorgenti sacre del Gange (Gangotri) e dello Yamuna (Yamunotri) nell’area himalayana e al luogo della loro confluenza in pianura (Allahbad) con il terzo fiume invisibile, la Saraswati; ‐ Buddhista, con il pellegrinaggio ai quattro luoghi sacri (assimilabili ai quattro punti cardinali N, E, S, W) di: - Lumbini nel Nepal, luogo di nascita di Siddartha Gautama Buddha; - Bodhgaya, nei pressi della cittadina di Gaya, Stato del Bihar, dove Buddha raggiunse l’illuminazione sotto un albero di banyian (“ficus bengalensis”); - Sarnath, dove nel “parco delle gazzelle” Buddha pronunciò dinanzi a cinque discepoli il suo primo sermone sulla via di mezzo che conduce al nirvana; - Kushinagar, situato nell’Uttar Pradesh, dove Buddha raggiunse il nirvana; ‐ Greca, con il pellegrinaggio al: - tempio di Delfi (o Delfo) eretto sulle pendici del Monte Parnaso in onore di Apollo, dio solare per eccellenza, trionfatore del serpente Pitone (divinità ctonica venerata dalle popolazioni stanziali proto‐mediterranee prima dell’arrivo degli Elleni, nomadi di origine sarmatica‐centro asiatica, legati invece a culti celesti), per impetrare la conoscenza; - santuario di Eleusi dedicato a Demetra (Dea Madre, Al Kham o Terra Nera), per la celebrazione dei Mysteria maggiori in corrispondenza dell’equinozio d’autunno; ‐ Ebraica, con il pellegrinaggio a un luogo sacro per il culto a Dio (“hag”, termine riservato oggi alle tre grandi feste degli Azzimi, delle Settimane e della Raccolta); ‐ Islamica, con il pellegrinaggio alla Mecca (“hajj” da cui il termine Hajji che designa il meritorio pellegrino purificato dopo la visita), quinto pilastro dell’Islam: ‐ Cristiana, con il pellegrinaggio a Santiago de Compostela (etimologicamente da “Compos Stellae”, ovvero “Padrone della Stella”, stella che l’iconologia classica rappresentata sempre a cinque punte), punto estremo ad occidente delle terre emerse dove il Sole tramonta, indicato nel cielo dalla direzione della Via Lattea di cui la via terrestre è immagine speculare riflessa. 5
Per accennare solo all’inizio di un lungo possibile elenco: Hermann Hesse – Il pellegrinaggio in Oriente; Johan Wolfgang Goethe – Il serpente verde; Paulo Coelho – L’alchimista; Jonathan Swift – I viaggi di Gulliver; Andrej Platonov – Alla ricerca di una terra felice. 6
Dice René Guénon in Simboli della Scienza Sacra: “…se esso ‐il Centro‐ è anzitutto un punto di partenza, è anche un punto di arrivo; tutto è derivato da esso, e tutto deve alla fine ritornarvi…. In sintesi, il Centro è al tempo stesso il principio e la fine di tutte le cose; è, secondo un simbolismo conosciutissimo, l’alpha e l’omega. Meglio ancora, è il principio, il mezzo e la fine”. 4 o per meglio dire vagoliamo nell’oscurità e siamo consumati dal desiderio di conoscere7 che sul piano allegorico, con una operazione di ulteriore rovesciamento speculare, diviene: “la Conoscenza brucia tutte le innumerevoli visioni parziali e riconduce all’Inespresso, al Latente, all’Uno che è avvolto dal buio, al Non‐Manifesto8” Seconda caratteristica del pellegrinaggio è l’essenzialità e la leggerezza tanto nel vestito che nei pochi strumenti necessari al progredire, riflesso esteriore della purificazione interiore da compiersi prima della partenza (ad esempio, un mussulmano che si prepara all’hajj deve saldare tutti i propri debiti, assicurare il benessere della sua famiglia e riconciliarsi con i nemici; regole simili o atteggiamenti di pacificazione che ben dispongono corpo, cuore e mente del pellegrino si ritrovano presso qualsiasi altra cultura attuale o passata). Ulteriore caratteristica della peregrinazione è la coralità, o collettività, dell’esperienza che, pur essendo vissuta individualmente nel suo valore formativo, viene comunque fatta insieme a molti altri viandanti. Sembra quasi che un flusso ininterrotto di partecipanti alimenti il fiume dei pellegrini che da sempre nel tempo e ovunque nello spazio si è messo in cammino, per attingere in qualche luogo la conoscenza sul vero significato della vita. Per analogia il pellegrinaggio, sotto questo aspetto, diviene immagine simbolica dello scorrere continuo della esistenza e in particolare dell’evolversi della specie umana, attraverso la conquista della parola9 e il superamento della individualità mediante l’organizzazione sociale e lo sviluppo della coscienza universale. Infine la quarta, e forse più importante, caratteristica del pellegrinaggio è la scoperta al termine del percorso della presenza nel viandante del doppio personaggio, dell’allievo guidato da un maestro che ne è la figura speculare e solidale, da sempre uniti nel cammino verso Oriente
Fissati questi punti peculiari che sono il patrimonio di una universale esperienza fatta sin dagli albori dell’umanità, dal punto di vista iniziatico il “pellegrinaggio” facilmente si comprende come un necessario cammino che riconduce al punto di partenza e porta a riscoprire nel tempo l’attualità di ciò che precede il presente (“la Tradizione”) e nello spazio l’ubiquità del centro sacro, luogo di manifestazione della Realtà superiore (“Il Tempio”). I connotati di un viaggio circolare, da intraprendersi una volta preparati con la purificazione il corpo, il cuore e la mente, alleggerendo all’essenziale il bagaglio e procedendo coralmente con gli altri Fratelli “pellegrini” alla riscoperta individuale 7
nel rito funebre degli Hindù, durante il trasporto del defunto verso il luogo di cremazione, parenti e accompagnatori ripetono continuamente la formula: RAM NAM SATYA È ! (“il Nome del Fuoco è Verità !”) 8
palindromia finale del tempo e dello spazio, ovvero l’Uno > la manifestazione> il Due > il riassorbimento > l’Uno 9
Per l’Induismo, il sacro fiume Saraswati impersonifica anche la Dea del Logos, del linguaggio e della conoscenza. 5 del proprio maestro interiore si ritrovano puntualmente in tutti i passaggi salienti della Iniziazione a ciascuno dei tre gradi della Massoneria azzurra. Passaggio attraverso la “porta stretta” affiancata dalle due colonne B:. e J:. Le due colonne compendiano i due essenziali principi dell’Universo secondo le dottrine esoteriche e secondo ogni filosofia vivente: la colonna “B:.” è Agni dell’ antichissimo culto vedico, l’ Eterno Mascolino, l’ Intelletto creatore, lo Spirito Puro; la colonna “J:.” è Soma, L’Eterno Femminino, l’ Anima del mondo o Sostanza Eterea, Matrice di tutti i mondi visibili ed invisibili, Natura o Materia Sottile nelle sue infinite trasformazioni (cfr. E. Schuré – I Grandi Iniziati. Roma, 1966). 6 La loro indissolubile unione (il “Rebis”, l’Androgino, Ardhanārīśvara) rimanda a Tāṇḍava, danza cosmica di Shiva, “simbolo della rivoluzione della Ruota Cosmica con le due differenti fasi di movimento, la spinta attiva verso l’alto su di un lato e il passivo volgersi verso il basso dall’altro … [che rivelano] le due fasi alterne del ciclo cosmico: la sua emanazione ed evoluzione nello Spazio e nel Tempo e la sua dissoluzione con il riassorbimento nella unica immutabile Essenza di tutte le cose. In riferimento a Shiva, esse rappresentano i due aspetti della sua divina Lîlâ, l’attività di estrinsecazione per la quale egli cela se stesso nella mâyâ della creazione, e l’attività di ritrazione per la quale libera tutte le forme precedentemente create dal Samsâra e le reintegra nel suo proprio Essere. L’orbita della sua danza è dunque l’universo intero, il suo fine è la liberazione” (da Margaret Stutley, James Stutley, 1980 – Dizionario dell’Induismo – Ubaldini Ed., Roma,). Ingresso nel Tempio e Circumambulazione (Pradakshinâ10) 10
“Circumambulazione”. Il prefisso “pra” sta ad indicare un procedimento naturale. “Dakshinâ”, lett. “meridione” o “meridionale”, in questo contesto indica dunque in movimento circumambulatorio relativo al sole, che a mezzogiorno è esattamente a Sud, dal momento che l’oggetto attorno al quale si gira è sempre tenuto alla propria destra. Tra le altre funzioni (attorno ad alberi, animali sacri, templi, ecc., quale atto di venerazione, di rispetto, di sacrificio, di prosperità e protezione contro ogni male) può servire a delimitare un’area consacrata (vedi “squadratura del tempio”, eseguita ogniqualvolta si entra nel T:. e si iniziano i lavori di L:., con una circumambulazione di tre giri). Durante la celebrazione del sacrificio del cavallo (ashvamedha), le mogli del sovrano eseguono una circumambulazione attorno al cavallo, intendendo così fare ammenda alla sua uccisione. Qualora, però, la circumambulazione venisse compiuta nella direzione contraria a quella prescritta –in tal caso è detta “prasavya”– l’effetto sarebbe un influsso estremamente negativo, causa di sorte avversa e di morte. Pur inizialmente connesso con la magia, il rito della pradakshinâ divenne in seguito un importante elemento del rituale vedico, in stretta relazione con il Vishnu solare e con i suoi tradizionali “tre passi” racchiudenti il mondo, simboleggiati dal triplice giro attorno a un oggetto sacro. I testi tantrici forniscono dettagliate istruzioni per la corretta esecuzione della pradakshin; la Lingârcana‐candrikâ specifica specifica il numero di circumambulazioni da eseguire per ciascuna divinità: una per Candî, sette per Sûrya, tre per Ganesha, quattro per Hari (Vishnu) e una e mezza per Shiva. (da Margaret Stutley, James Stutley, 1980 ‐Dizionario dell’Induismo. Ubaldini Ed., Roma) 7 (da Françoise L’Hernault et alii, 1990 – Tiruvannamalai, un lieu saint shivaïte du sud de l’Inde. Vol II. E.F.E.O., Paris) 8 Agni Lingam Simha Tirtam Yama Lingam Nirudhi Lingam Surya Lingam Varuna Lingam Vayu Lingam Kubera Lingam Esanya Lingam Una volta oltrepassate le due colonne di J∴ e B∴, “dvârapâla” collocati sul limite occidentale del Tempio11 (duplice funzione di trattenere chi non è Iniziato e di accogliere chi è il “nato due volte”, o “dvi‐ja”) come le mitiche colonne d’Ercole poste a definizione degli estremi confini occidentali di un mondo conosciuto e organizzato da cui il chaos è bandito, si accede ad un’altra dimensione. Lo spazio viene percorso tutto intero in modo circolare, a immagine di un pellegrinaggio che fa toccare i punti cardinali, risvegliando la coscienza del singolo individuo in rapporto non solo al Cosmo ma anche al Tempo. Il complesso simbolismo della Loggia serve allora ad esprimere proprio il senso di questo viaggio all’interno di una unica dimensione spazio‐temporale. 11
Mircea Eliade definisce il T∴ quale “riproduzione sulla terra di un modello trascendente”, cioè “copia di un archetipo celeste”, “casa degli dei” 9 Nel Tempio l’iniziato, ossia colui che è stato semplicemente posto sulla lunga strada della ricerca di una Realtà superiore e universale, è chiamato a ripercorrere continuamente il cammino del sole (o meglio il vero moto rotatorio della terra da occidente ad oriente), con un bagaglio ridotto e essenziale di strumenti. Le incrostazioni, i desideri, le passioni, a cui si è tutti così tenacemente attaccati, sono lasciati al di fuori della soglia. La leggerezza è sostegno indispensabile nel procedere e nel mantenere acuti i sensi, la ragione e il cuore. Questo perenne movimento, questa specie di danza circolare che, come presso i Dervishi Mevlevi, ha anche la funzione di inebriare e staccare l’animo e la mente dalla pura corporeità della condizione umana, è generato da un flusso corale di Fratelli che uniti formano una catena tenace e duratura. Ruota il percorso, in un Tempio ove la Verità non è proprietà di alcuno, ove la certezza non è mai conseguita ma si è chiamati a cercare sempre. L’insieme dei simboli evoca allusioni e metafore capaci di suscitare, a loro volta, sensazioni, introspezioni e moti dell’animo che trasmutano l’adepto. Pian piano si svela la somiglianza del volto del “servitore‐Capo supremo” Leo con quello del pellegrino, uniti e speculari sulle facce opposte di una stessa statua, come in un Giano bifronte (cfr. Hermann Hesse, Il pellegrinaggio in Oriente). Comincia allora la trasmutazione del secondo nel primo poiché, parafrasando Hermann Hesse, Leo doveva crescere, il pellegrino doveva diminuire, il maestro interiore manifestarsi nella sua pienezza, la pietra diventare perfettamente cubica (“Tat tvam asi12”). Sri Ramana Maharshi Al centro del rettangolo di “proporzione aurea” o “quadrilungo” (cfr. Jules Boucher –La simbologia massonica‐ Atanor, Roma, 2001), che costituisce la pianta del Tempio, si incontra nella camera di mezzo di Maestro l’inequivocabile simbolo dell’Esagramma, denominato anche “Sigillo di Salomone”o “Pietra Filosofale”, unione divina di Microcosmo e Macrocosmo, di “purusha” e “prâkriti”, concepitori dell’uovo cosmico o “bindu”, principio eterno e indifferenziato, il “brahman” o axis mundi a seconda dell’ambito culturale d’Oriente o di Occidente. 12
Una frase che si ritrova nella Chân Upanishad e viene usata come un mantra, simbolo della “identità fondamentale di macrocosmo e microcosmo”. Tat (quello) rappresenta il brahman, il principio universale; tvam (tu) l’âtman, l’aspetto individuale e soggettivo di brahman. L’uomo realizzato identifica il proprio “sé” con il “sé” di tutti gli altri esseri e gioisce del loro bene. (cfr. Margaret Stutley, James Stutley – Dizionario dell’Induismo –Ubaldini Ed., Roma, 1980) 10 Esagramma con bindu Esagramma con pentalfa Sri‐Yantra Cristallo di rocca con Yantra Si trova nei Veda il testo seguente. “O Dèi, che siete in numero di undici nel cielo; che siete in numero di undici sulla terra e che, in numero di undici, abitate con gloria in mezzo all’aria, possa il nostro sacrificio esservi gradevole” (Rig Veda, Adhyaya, II, Anuvaka, XX, Sukta, IV, V, II). E’ curioso notare che l’addizione del pentagramma e dell’esagramma dà per totale undici e il numero undici ritorna anche nella fascia e nelle insegne di Maestro. Segni di Apprendista, Compagno d’Arte, Maestro e chakra13 ‐ L’Apprendista si mette all’ordine con il tipico “segno gutturale”, che gli AA interpretano quale controllo delle passioni e degli umori inferiori da parte della superiore ragione e coscienza, ovvero isolamento del pensiero dagli influssi esterni, vittoria della volontà alla base dei progressi da compiere in assoluto “silenzio”, trasmutazione dell’impulsività passionale (la gola è retta nella tradizione alchemico‐esoterica occidentale dal Toro) in fermezza e perseveranza nel bene, sotto l’influsso delle forze psichiche superiori dell’individuo. In sintesi è la “decapitazione” che libera l’iniziato e fa uscire dal suo corpo la coscienza del suo vero essere. Il quinto chakra (Vishuddah), posto all’altezza della gola nella regione della laringe, è proprio “la porta della grande liberazione per colui i cui sensi sono puri e controllati. La liberazione si ottiene con il risveglio di questo centro che permette di vedere le tre forme del tempo, cioè il passato, il presente e l’avvenire. Vi è la realizzazione dell’essere al di là del tempo, nella manifestazione immateriale di cui questo chakra è in qualche modo la porta di entrata” (cfr. J. Marquès‐Rivière, 1938 –Le yoga tantrique hindou et thibétain). Esso è il centro dello sforzo spirituale che apre l’ingresso ai livelli superiori, lo stesso sforzo che l’Apprendista deve compiere per progredire sulla Via Iniziatica. Il triangolo volto verso il basso sulla colonna B:. è il suo riferimento. 13
Mûlâdhâra
Ajñâkhya , Svâdhishthâna
, Sahasrâra
, Manipûra
M:., Anâhata
11 C:., Vishuddha
A:., ‐ Il Compagno (d’Arte) si mette all’ordine con il “segno pettorale”, mano destra sulla regione del cuore, che secondo gli antichi Rituali sta ad indicare l’impegno d’amore universale che trascende l’individuo, il dominio sui sentimenti che non cede a impeti irriflessivi, il vaso pieno di prezioso “verde liquore” prodotto dalla mistica unione di forza ed energia. Il pentalfa al centro dell’esagramma è il suo segno distintivo. Il quarto chakra (Anâhata), localizzato nella regione cardiaca, luogo ove risiede l’anima vitale, indica il suono che nasce dal silenzio o il suono della vita (il Massone acquista la parola solo nel grado di Compagno). E’ importante ricordare che esso porta al centro l’Esagramma di “purusha” e “prâkriti” intrecciati nella eterna danza cosmica. Anche in questo secondo livello di progressione iniziatica le corrispondenze analogiche tra segno e chakra sono evidenti. ‐ Il Maestro si mette all’ordine con il “segno di dimezzamento” ponendo la mano destra contro il fianco sinistro all’altezza dell’ombelico, compiendo così la funzione di liberare completamente l’energia del proprio athanor e diventare egli stesso fucina cosmica in una specie di palingenesi universale. Segno distintivo della Maestranza, soprattutto in seno all’Arco Reale, è la triplice Tau, contrassegno del luogo dove fu nascosta la “parola perduta” che generò l’intero cosmo. Il terzo chakra (Manipûra), residente nella regione ombelicale alla bocca dello stomaco, è il centro delle energie del fuoco sprigionantesi da un triangolo ardente posto al centro. La sillaba divina che vi risuona, “ram”, è il tramite igneo per accedere alla Verità e ritrovare la “parola perduta” . Qui acquista un significato pregnante e simbolico la litania usualmente ripetuta da coloro che accompagnano una salma alla cremazione: "Ram Nam Satya Hai" (il nome di Ram è Verità). E così il Maestro muore e rinasce alla Luce della Verità. 12 In conclusione, numerosi sono gli elementi di convergenza o addirittura di coincidenza che emergono dalle cerimonie di iniziazione, quella indù della “upanayana14”, conosciuta attraverso l’Atharva Veda (XI 5.3) e che attribuisce all’iniziato il titolo di “dvi‐ja”, e quella massonica che genera il “due volte‐nato”. Le componenti essenziali nella struttura di questi riti sono: - il riferimento ad un “archetipo” comportamentale, ovvero ad un modello posto alle origini della cultura e della società, considerato come iniziatore (radice vitale) nel quadro dello sviluppo della vita. Esso è in grado di fornire con il suo esempio potenza ed efficacia all’azione dell’uomo che intende incamminarsi sulla via iniziatica con la trasformazione del suo sentire e agire; - il simbolismo della “morte iniziatica”, per cui l’iniziazione fa uscire il candidato dal tempo storico per metterlo in relazione con il tempo fondatore. Si tratta di una morte rispetto ad una situazione anteriore di buio e ignoranza, di paura e disimpegno, a cui necessariamente segue una comprensione della realtà sempre più chiara e un impegno di lavoro sempre più deciso; - il simbolismo di una “nuova nascita”, che consiste nell’assunzione da parte del candidato della nuova esistenza alla quali i riti lo hanno introdotto. Nella simbologia della nuova nascita, un ruolo importante è occupato dai miti, che inducono a ripetere i gesti creatori delle origini. L’iniziazione è così una riproduzione della cosmogenesi, la saldatura con la cosmogonia, ma anche insieme una nascita mistica, una seconda nascita. Dopo aver riconosciuto i passi di un comune cammino millenario, ancor oggi percorso da coloro che cercano, usciamo simbolicamente dal Tempio cancellando con un gesto antico il “disegno sin qui tracciato” e distruggiamo il “quadro” del nostro lavoro. 14
L’iniziazione nell’induismo, passaggio obbligato per tutti i brahmini, viene appunto chiamata “upanayana”, parola formata dal pre‐verbo “upa” che significa “presso”, seguito dal verbo “nayana”, cioè “condurre”. Pertanto essa indica letteralmente l’azione di “introdurre presso” e quindi l’esperienza di “ingresso” già sottolineata sin qui più volte. Centrale nella esperienza iniziatica è la conoscenza della parola sacra o “brahman”. L’iniziazione diviene identica a una formazione spirituale e la presenza e frequentazione attiva di un Maestro è il presupposto fondamentale di questo percorso. Nella fattispecie due sono i riti essenziali della “upanayana”: - l’imposizione del “cordone brahmanico, senza cui non si può sacrificare, che cinge il busto dell’iniziato dalla spalla sinistra al fianco destro; - l’insegnamento di una formula sacra, la “sâvitrî”, che suona così. “Possiamo noi ricevere la meravigliosa Luce del dio Savitar. Possa essa vivificare le nostre menti” Luce iniziatica che genera la visione delle cose nella loro essenzialità, la percezione della realtà priva del velo di Maya, non il continuo e ingannevole fluire, ma l’eterno e vero essere. 13 BIBLIOGRAFIA SUGGERITA -
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