1 VII- La filosofia del Medio Evo 1) Divisione generale Con l’espressione “filosofia del Medio Evo” si intende la speculazione che ebbe inizio con la rivelazione evangelica e si sviluppò fino alla metà del secolo XIV circa con Guglielmo d’Ockham, morto intorno al 1350, la cui concezione filosofica suole considerarsi come l’ultima espressione del pensiero medioevale. La filosofia del Medio Evo si divide in due grandi periodi: la filosofia della Patristica, che va dalla Rivelazione evangelica alla prima metà del secolo XI, quando la pubblicazione del Monologion di Anselmo d’Aosta segnerà nel 1076 l’inizio del periodo successivo; e la filosofia della Scolastica, la quale, come detto, si chiude con Guglielmo d’ Ockham intorno al 1350. 2 La filosofia del Medio Evo Riepilogo visivo La fil. nel pensiero cristiano Agostino di Tagaste 354-430 Patristica (dalla rivelazione evangelica al 1076 ca.) La filosofia del Medio Evo (dalla rivelazione evangelica a Guglielmo d’Ockham, 1350 ca.) Scolastica (dal 1076 ca. al 1350 ca.) Preparazione (IX-X) Sviluppo (XI-XII) Anselmo d’Aosta 1033-1109 Apogeo (XIII) Decadenza (XIV) Tommaso d’Aquino 1221-1274 Guglielmo d’Ockham 1280 ca.-1349 ca. 3 2)La Patristica É la filosofia dei Padri della Chiesa, cioè di coloro i quali hanno elaborato la dottrina cristiana e definito il contenuto della fede. Essa si rivolge soprattutto alla soluzione del rapporto fra ragione e fede, fra filosofia e teologia e stabilisce i limiti della ragione umana e delle sue capacità di ricerca; determina, inoltre, i dogmi ricavandoli dalla rivelazione divina. In questa sistemazione dottrinaria della verità cristiana si nota un diverso orientamento fra la Patristica orientale o greca e la Patristica occidentale o latina. I Padri della Chiesa orientale considerano la filosofia greca come una preparazione o anticipazione, seppur imperfetta e incompleta, del pensiero cristiano e, quindi, tale da non opporsi alla nuova religione, la quale è il perfezionamento della dottrina antica. Da qui il tentativo di conciliare il pensiero classico con la religione cristiana e l’importanza attribuita alla ragione umana. I Padri della Chiesa occidentale, invece, dichiarano la civiltà pagana inconciliabile con il cristianesimo e la combattono apertamente ripudiando la ragione umana e rifugiandosi nella fede. Così, il mondo greco e quello romano confermano in questo periodo la loro diversa mentalità: speculativa e teorica, il primo; pratica e concreta il secondo. a) La filosofia nel pensiero cristiano La filosofia del Cristianesimo è una filosofia nuova che annuncia una concezione originale del mondo e della vita nei confronti di quella del mondo classico e pagano. - Infatti, è diverso il concetto di Dio. Secondo il mondo classico e pagano, Dio è ragione universale, astratta, puro intelletto che pensa se stesso, essere perfetto e immobile, indifferente all’incessante divenire delle cose. Secondo il cristianesimo, invece, Dio non è fredda e impersonale razionalità, ma Persona, Padre amoroso, creatore e provvidenza. - Parimenti diversa è la concezione del mondo. Il pensiero antico distingue nettamente l’Essere, come perfezione assoluta, dal non essere, materia irrazionale ed informe. 4 L’Essere è il mondo delle idee (Platone), la Forma (Aristotele), di cui solo un barlume si manifesta nella realtà terrena, perché contrapposta c’è la materia, originaria ed eterna, inadeguata ad accogliere la perfezione assoluta. Di conseguenza, il mondo è una mescolanza di essere e non essere, di forma e materia, ed è, perciò, una degradazione del perfetto. Risulta logica, pertanto, la teoria della palingenesi o dell’eterno ritorno, secondo cui il mondo imperfetto tende, attraverso il divenire, alla perfezione da cui deriva e nella quale si annulla di nuovo. Il Cristianesimo, invece, concepisce il mondo come creazione libera e spontanea di Dio, e considera la materia non preesistente e contrapposta all’atto creativo divino, bensì creata essa stessa. Di conseguenza, essa non è più principio del male, eterno e indistruttibile, né si contrappone alla perfezione dell’essere che Dio attua nel mondo con la creazione. Pertanto, il cristianesimo ammette nella sapienza divina, nel Verbo o Logos, esistente fin dall’eternità, il disegno razionale dell’universo pensato da Dio, ed ammette anche che questo disegno razionale si è attuato nel mondo mediante un libero atto della volontà divina, per cui è passato dall’essenza all’esistenza. Il mondo, perciò, non è mescolanza di essere e di non essere, di forma e di materia, né è una degradazione del perfetto, ma piuttosto il concreto compimento di esso. - Differente è anche la concezione dell’uomo. Secondo la filosofia antica, l’uomo, come anche tutte le cose, è immagine dell’Idea, alla quale deve sempre essere riferito perché come individualità non ha alcuna importanza. Ciò che lo distingue dalle cose è la ragione con la quale si può elevare sopra le cose stesse e raggiungere la verità, cioè la conoscenza delle Idee, della forma e della perfezione. Secondo il cristianesimo, invece, l’uomo, creatura divina, è immagine di Dio, persona libera e autocosciente, figlio di Dio. La dignità umana è, perciò, immensa perché ciascun individuo è creato da Dio e per ciascuno Gesù si è fatto uomo e si è sacrificato sulla croce. 5 Nel cristianesimo la ragione, prerogativa dell’uomo, acquista un significato nuovo; essa è lo strumento con il quale l’individuo si rende cosciente della sua realtà, del suo legame con Dio e dello scopo assegnato alla propria esistenza, uno scopo che trascende la vita terrena e si proietta al di là del tempo, nell’eterno possesso di Dio, fonte di inesauribile beatitudine. - Disuguale è pure il concetto del bene e del male. Per il pensiero classico il bene risiede nella vera conoscenza, offerta dall’intelletto, e nel rifiuto delle opinioni false, proprie dei sensi. Il male è l’errore e deriva dalla materia, di cui sono costituiti l’individuo e gli oggetti della natura, che impedisce all’uomo di liberarsi dalla fallace apparenza e di giungere alla contemplazione della verità ed al bene. Vero e bene, infatti, sono intimamente congiunti fino a diventare sinonimi: ciò che l’intelletto umano conosce come vero, cioè l’essere, le idee, la Forma o l’Intelligibile, diventa bene per la volontà. Di conseguenza, se l’uomo, ingannandosi, considera reali le opinioni sensibili, cerca la soddisfazione delle passioni; se, invece, si eleva fino all’attività intellettiva, raggiunge la razionalità e supera gli istinti sensibili volgendosi all’intelligibilità. Il Cristianesimo indica il bene nelle virtù teologali, fede, speranza e carità, che portano ad un rinnovamento interiore e conducono alla santità. La fede è l’adesione consapevole dell’uomo alla rivelazione divina; la speranza è l’attesa fiduciosa della beatitudine eterna; la carità è amore di Dio ed amore per il prossimo. Il male consiste nel peccato, cioè in un atto volontario e libero con cui l’uomo, ribellandosi a Dio, sminuisce se stesso e subordina il fine trascendente per il quale è stato creato, cioè la beatitudine eterna, ad uno scopo mondano. Nel campo morale, dunque, all’intellettualismo classico si contrappone il volontarismo cristiano. Secondo il pensiero antico, pochi privilegiati, forniti di eccezionali capacità intellettive, possono aspirare all’ideale della saggezza; secondo il Cristianesimo, invece, tutti, con l’aiuto della grazia divina, 6 possono raggiungere l’ideale della perfezione e della santità purché animati dalla buona volontà, cioè da una buona disposizione interiore. b)Agostino di Tagaste Il principale rappresentante della Patristica è Agostino di Tagaste, vissuto fra il 354 e il 430. 1) Egli, prima di seguire la fede cristiana, aderisce a varie correnti filosofico- religiose che poi rifiuta insoddisfatto man mano che raggiunge la maturità. Nella giovinezza accetta il manicheismo, dottrina proclamata dal persiano Mani, vissuto nel III secolo d. C., che ammette nel mondo l’esistenza di due divinità contrapposte, il Bene ed il Male, l’una indipendente dall’altra. Tale indirizzo trova corrispondenza nel suo animo perché giustifica la forte attrazione che egli sente verso il peccato, ma ben presto si convince che il manicheismo non ha fondamento razionale ed è soltanto una interpretazione fantastica della realtà. Cade, quindi, nello scetticismo da cui si libera avvicinandosi alla filosofia neoplatonica, attraverso la quale raggiunge il concetto della spiritualità divina e della inesistenza del male. Infine, spinto dal desiderio di una totale purificazione interiore e dalla consapevolezza dell’amore di Dio verso le sue creature, si converte al cristianesimo e nella nuova religione trova l’appagamento di tutte le sue inquietudini. 2) Nella sua speculazione Agostino parte dal dubbio degli Scettici ma solo per cogliere la certezza della propria esistenza che è il primo passo verso la conquista della verità. Costoro, egli dice, professano il dubbio come fondamento dell’attività conoscitiva e proclamano che la verità non può essere raggiunta; tuttavia, sottolinea Agostino, nello stesso momento in cui fanno una tale affermazione, sono sicuri della verità del proprio dubbio, per cui chi dubita veramente, dubita anche del proprio dubitare. Essi, inoltre, dichiarano il loro desiderio di verità e contemporaneamente negano che la si possa conseguire. 7 Ma, evidenzia Agostino, chi dubita e dice che la verità non può essere raggiunta, deve pur sapere che cosa sia questa verità; deve, cioè, conoscerla. Infatti, una proposizione può essere giudicata falsa o verosimile solo allorquando si conosce il corrispondente termine di confronto, cioè il vero. Di conseguenza, conclude Agostino, anche gli scettici devono ammettere di possedere la verità. Dalla validità del dubbio scaturisce una certezza inoppugnabile, la certezza della mia esistenza, cioè, se dubito, dice Agostino, devo necessariamente ammettere che sono io a dubitare, per cui devo altrettanto necessariamente ammettere che esisto: si fallor sum. Dopo avere affermato la propria esistenza, Agostino dichiara che dal dubbio scaturiscono la consapevolezza del proprio esistere e l’amore del proprio essere e del proprio conoscere. Esse, cioè esistere, nosse, cioè conoscere, e velle, cioè amare sono i tre elementi che costituiscono la coscienza umana, la quale presenta una certa analogia con l’unità e trinità divina. L’uomo, infatti, è uno e contemporaneamente trino, in quanto esiste (esse: il Padre), conosce (nosse: il Figlio), ama (velle: lo Spirito Santo). Letture1: Superamento dello Scetticismo: De Trinitate XV, 12- 21, pp.533-534; dimostrazione della propria esistenza, consapevolezza del proprio esistere, amore del proprio essere e del proprio conoscere: De Civitate Dei XI, 26, p. 535, De vera religione 39, 73, p.536 3) Ma come conosce l’uomo e come può raggiungere la verità? L’uomo, dice Agostino, mediante i sensi si volge alle cose del mondo ma la realtà sensibile, soggetta al mutamento, non può offrire la verità. Allora, egli dall’esterno si indirizza verso l’interno, verso la sua natura spirituale, e qui coglie la verità, pur riconoscendo che essa trascende la sua stessa mente. 1 I numeri delle pagine si riferiscono al testo adottato per il corso generale: ABBAGNANOFORNERO, Protagonisti e testi della filosofia, vol. A, tomo 2 8 Infatti, questa verità, proprio perché fornita di attributi diversi da quelli che caratterizzano l’animo dell’uomo, non è creata da lui, ma egli la scopre soltanto dentro di sé, dove è stata messa da Dio. Essa è immutabile, perfetta, universale, mentre l’animo umano è mutevole, imperfetto e particolare. La mente dell’individuo cambia con il tempo perché via via accresce il proprio sapere e compie atti che possono risultare fallaci e di cui può provare pentimento; anche il dubbio, del resto, dimostra che l’uomo non aderisce sempre alla verità, anche se ha coscienza di essa. Di conseguenza, la verità, viva e presente nell’anima umana, è luce divina, che si comunica all’uomo mediante un misterioso rapporto, detto illuminazione. 4) Essa è una luce che l’anima riceve da Dio, rischiarandosi tutta; è come una fiamma alla quale si accende la singola lampada spirituale di ogni individuo. Mediante questa luce e questa fiamma Dio comunica all’uomo la verità, cioè i principi intelligibili delle cose, le forme immutabili secondo le quali Egli crea il mondo, le essenze universali della realtà che sono in lui dall’eternità in quanto Dio è Verbo, cioè sapienza. Di conseguenza, l’illuminazione divina può essere paragonata alla luce del sole, poiché, come il sole rende visibili gli oggetti, così l’illuminazione che Dio partecipa all’uomo permette la conoscenza delle cose del mondo nella loro essenza intelligibile. L’illuminazione divina non è un semplice atto avvenuto nel momento della creazione con il quale Dio abbia impresso nella mente umana immagini delle sue idee, ma piuttosto è un’assistenza continua da parte di Dio sull’intelletto e sull’anima dell’uomo, è un atto di grazia e di amore con il quale Egli colma l’inquietudine umana che le cose sensibili non possono appagare. Di conseguenza, Dio è un maestro interiore che partecipa la verità ed acquieta lo spirito di chi sa ascoltarlo. 5) Per quanto riguarda il rapporto fra fede e ragione e, quindi, fra teologia e filosofia, problema fondamentale in tutto il Medio Evo, Agostino sostiene che fede e ragione non si escludono ma piuttosto si completano e si integrano a vicenda, perché l’una e l’altra tendono alla verità e mirano allo stesso fine che è Dio. 9 Infatti, la ragione cerca la verità ma per la sua limitatezza non può raggiungerla, per cui riconosce la necessità di rivolgersi alla fede, la quale, intervenendo, conduce l’uomo alla verità ed è, perciò, presupposto dell’intendere. Da qui la duplice formula agostiniana: intellige ut credas; crede ut intelligas, vale a dire “comprendi per credere”; “credi per comprendere”. 6) Il pensiero di Agostino viene definito “filosofia dell’interiorità” perché è tutto orientato verso l’esperienza interna. L’anima, infatti, è il principio della certezza e della verità, affermate contro lo scetticismo, e la vita dello spirito è il centro verso cui convergono tutte le attività dell’ uomo. La stessa conoscenza ed il possesso di Dio si attuano con l’interiorizzazione dell’indagine filosofica (=ragione) e dell’autorità religiosa (=fede) che, in tal modo, si unificano e diventano principio dell’ autocoscienza ed elementi costitutivi dell’essenza spirituale dell’uomo. Per questo richiamo all’interiorità Agostino è stato considerato l’iniziatore del pensiero moderno. Nei confronti della filosofia greca egli apre al pensiero una nuova direzione che ha come punto di partenza e come centro di tutto il suo sviluppo l’interiorità dell’anima. Socrate aveva già proclamato “conosci te stesso” ed aveva parlato di maieutica, mentre Platone aveva espresso la teoria della reminiscenza, ma l’introspezione e l’analisi interiore da loro affermate si risolvevano in una esercitazione semplicemente intellettuale; l’invito agostiniano, invece, impegna, oltre all’intelletto, anche la fede, i sentimenti e la volontà, vale a dire tutto l’uomo. 7) Per Agostino Dio esiste come verità assoluta ed immutabile. La mente umana, infatti, insoddisfatta delle cose sensibili, si innalza al di sopra del mondo materiale e, affidandosi all’attività razionale, trascende anche se stessa, ed infine, inondata dalla luce divina, coglie la verità, che è Dio stesso, realtà trascendente, Verbo che pensa le idee eterne e le partecipa all’uomo. Pertanto, Dio esiste perché comunica la verità alla mente dell’ individuo. 10 Questa dimostrazione ha carattere psicologico, in quanto l’esistenza di Dio è una esigenza dell’anima ed è il presupposto e la condizione della conoscenza umana. Per Agostino, Dio è indefinibile perché infinitamente superiore alle capacità intellettive dell’uomo; tuttavia, Egli ha delle qualità che per analogia possono essere ricavate dal mondo umano, come l’immutabilità e la semplicità. Egli, inoltre, è uno e trino, e le Persone della SS. Trinità si distinguono e si differenziano pur nell’unità dell’identica sostanza. Il Padre, esse, è la fonte dell’essere delle cose come creatore; il Figlio, nosse, è la fonte della verità che è in lui, in quanto egli pensa le forme immutabili ed universali delle cose; lo Spirito Santo, velle, è la fonte dell’amore che spinge l’uomo a sollevarsi fino a Dio ed a rispettare e ad amare i suoi simili nell’amore di Dio. La SS. Trinità si riflette nell’anima umana, la quale, per la sua struttura una e triplice, può esserne considerata l’immagine: l’uomo è (esse), conosce (nosse), ama (velle) con tutto il suo cuore che, pur dispiegandosi in queste diverse funzioni, conserva la sua unità interiore. Letture: Esistenza di Dio e suoi attributi: Confessiones X, 24, 25, 26, pp. 537538 8) Per quanto riguarda l’origine del mondo, Agostino non accetta né la concezione platonica secondo la quale il demiurgo plasma la materia sul modello delle Idee, né il principio di emanazione affermato da Plotino, ma sostiene che il mondo è stato creato da Dio dal nulla con un atto di libera volontà. Le idee, principi intelligibili di tutte le cose, presenti nel Figlio o Verbo fin dall’eternità, sono il modello della creazione. Nella materia, essa stessa opera divina, Dio pone dei germi latenti, energie nascoste dette “ragioni seminali”, che si sviluppano nel tempo, determinandosi e specificandosi in nuovi esseri, sempre più perfetti. Ciò non significa che la creazione sia imperfetta e incompleta, ma soltanto introduce il principio di evoluzione e di progresso, attestando 11 la continua assistenza divina al mondo, cioè conferma che Dio è provvidenza. Dal momento che il mondo è stato creato, esso non è eterno. Da questa constatazione deriva una conseguenza molto grave che sembra non conciliarsi con l’immutabilità divina. Infatti, ci si potrebbe domandare: che cosa faceva Dio prima della creazione? Agostino risponde che tale domanda nasce dal fatto che l’eternità è immaginata sul modello del tempo. Il tempo è concepito come una successione di istanti posti l’uno accanto all’altro come i punti di una lunga linea, che costituiscono il passato, il presente e il futuro. Di conseguenza, per analogia, l’eternità è pensata come un tempo senza principio né fine, come una linea retta infinita, suddivisa anch’essa in una successione di istanti che si svolgono continuamente. Tale concezione, però, è errata perché l’eternità non ha successione né svolgimento, essendo eterno presente. Di conseguenza, Dio, che è eterno, è al di fuori del tempo ed il problema di come si possa conciliare l’immutabilità divina con la creazione del mondo non ha senso in quanto l’opera creativa non è avvenuta nel tempo. Anzi, si può dire che il tempo è stato creato insieme con il mondo nel senso che, prima della creazione, esso (tempo) non esisteva e che con la creazione del mondo Dio lo ha creato come modo di esistere proprio delle creature. Il tempo, così, considerato come cosa, come oggetto, non esiste, e non ha, perciò, una sua realtà oggettiva. Il tempo, infatti, è formato di passato, presente e futuro; ma il passato non esiste più, il futuro non è ancora ed il presente, punto di congiunzione fra passato e futuro, non ha durata perché trapassa continuamente. Tuttavia, l’uomo misura il tempo attribuendolo alle cose che cambiano e ciò è possibile perché la sua coscienza non cambia ed è capace di conservare ciò che non è più e di prevedere ciò che non è ancora. 12 Di conseguenza, il tempo acquista realtà nell’interiorità della coscienza e l’anima ne è la misura. Così, il passato torna ad essere presente come ricordo, il futuro come attesa, il presente come visione. In tal modo l’anima si distende nel passato e nel futuro e così facendo li rende presenti a se stessa. Di conseguenza, il tempo può essere definito “distensione dell’anima”. Letture: La creazione del mondo e il tempo: Confessiones XI, 14, 18; XI, 20, 27, pp. 541 – 543 9) Un altro problema che travagliò Agostino fu la presenza del male nel mondo, che sembra non possa conciliarsi con la perfezione e la bontà di Dio. Se l’universo è stato creato da Dio, sommamente buono, come si spiega il male? E qui occorre rifarsi al manicheismo, al quale Agostino si era accostato durante la sua giovinezza. Secondo il manicheismo, esistono realmente due divinità, il Bene ed il Male, in perenne lotta fra di loro, mentre Platone considera la materia come causa del male e lo Stoicismo attribuisce l’origine del male alle passioni. Agostino non accetta queste soluzioni perché secondo il Cristianesimo non è possibile che a Dio si contrapponga un altro dio, cioè il male, né che sia male ciò che esiste, cioè la materia e le passioni, vale a dire ciò che ha avuto origine da Dio, somma bontà. Di conseguenza, il male non è una realtà sostanziale ma semplicemente privazione di bene, mancanza o limitazione di essere. Tale privazione e limitazione si riscontra nell’ambito metafisico, morale e fisico, per cui si parla di male metafisico, male morale e male fisico. Il male metafisico si riferisce alla finitezza degli esseri creati: ogni creatura è necessariamente finita e limitata perché, se possedesse la pienezza dell’essere, sarebbe identica a Dio. 13 Non per questo, però, la creazione cessa di essere buona; infatti, ogni cosa rivela una bellezza intrinseca per cui è buona di per se stessa, e la stessa creazione, considerata nel suo insieme, manifesta l’armonia universale esistente nel mondo. Il cosiddetto male metafisico, perciò, non è un vero male ma soltanto una diminuzione di essere, cioè di bene. Il male morale è il peccato, di cui è responsabile l’uomo in quanto essere libero. L’uomo, quando pecca, si allontana volontariamente dal creatore e gli preferisce le cose inferiori. Di conseguenza, il male consiste in un cattivo uso della libera volontà. Solo l’uomo e non Dio è responsabile del male morale, che Dio non vuole ma permette. Per quanto riguarda il male fisico, da identificare con le malattie, i dolori o le sofferenze, esso è la conseguenza del male metafisico, cioè della limitatezza dell’essere: l’uomo, creatura finita e menomata per la colpa originale, vive nel tempo e quindi è esposto alla corruzione e alla morte. D’ altra parte, il male fisico diventa un mezzo di espiazione e di purificazione del male morale, il peccato, e quindi non è un vero male perché permette un avvicinamento dell’uomo a Dio. Letture: Confessiones VII, 12; VII, 13, 15, 16; De civitate Dei, XII, 8, pp. 538540 10) Strettamente legato al problema del male è il tema del libero arbitrio e della grazia. Qui occorre rifarsi a Pelagio, un monaco irlandese del V secolo, secondo il quale il peccato originale di Adamo non ha avuto conseguenze sugli uomini, per cui essi conservano intatta la possibilità di salvarsi in virtù della loro autonomia e della loro libera volontà. Questa affermazione inficia l’importanza dell’ incarnazione e della morte di Gesù Cristo ed annulla la concezione cristiana incentrata nella passione del Figlio di Dio. 14 Agostino, naturalmente, non accetta questa tesi e riconosce che il libero arbitrio non è sufficiente per la salvezza umana e che è indispensabile la grazia divina; perciò egli dice che Adamo, prima della colpa, era libero e che possedeva una inclinazione naturale verso il bene: poteva, perciò, non peccare (posse non peccare). Dopo la ribellione, però, egli fu abbandonato da Dio e divenne schiavo delle passioni, trasmettendo questo stato di colpa e di corruzione a tutti i suoi discendenti: perciò egli non poteva non peccare e insieme con lui tutti gli uomini furono condannati alla stessa sorte (non posse non peccare). Da qui la necessità della grazia divina, che viene concessa a tutti senza distinzione, anche se ad alcuni viene elargita più generosamente. 11) Ultimo tema da prendere in esame è la concezione della storia. Agostino nell’opera La città di Dio , forse indotto dall’influenza manichea, concepisce la storia come il risultato della lotta fra il bene ed il male, cioè del contrasto fra la società dei buoni e quella degli empi, tra la città celeste o di Dio e la città terrena o del diavolo a seconda se gli uomini siano guidati dall’amore di Dio e del prossimo o dominati dalle passioni egoistiche e dalla cupidigia. Queste due città sono mescolate nel corso della storia mondana e solo dopo il giudizio universale saranno nettamente separate l’una dall’altra, ma già si delineano su questa terra, in quanto la città celeste è rappresentata dalla Chiesa e quella terrena dall’ Impero romano, che proprio nel periodo in cui Agostino scriveva La città di Dio era invaso dai Visigoti di Alarico (410 d. C.). Letture: La storia (De civitate Dei, XIV, 28, pp. 545- 547 15 Riepilogo visivo Agostino di Tagaste 1) Orientamenti filosofici seguiti da Agostino prima di diventare cristiano: Manicheismo, Scetticismo, Neoplatonismo 2) Superamento dello scetticismo; dimostrazione della propria esistenza, consapevolezza del proprio esistere, amore del proprio essere e del proprio conoscere 3) Problema della conoscenza 4) Dottrina dell’illuminazione 5) Rapporto fede- ragione 6) La filosofia dell’interiorità 7) Esistenza di Dio e suoi attributi 8) La creazione del mondo e il tempo 9) Il male 10) Libero arbitrio e grazia 11) La storia 16 3) La Scolastica É la filosofia insegnata nelle scuole cristiane, sorte e sviluppate ampiamente durante il Medio Evo per impulso di Carlo Magno. Essa può essere considerata continuazione della Patristica ma rivela anche un suo carattere particolare. Infatti, mentre la Patristica, muovendo dalla Rivelazione, giunge alla formulazione dei dogmi, la Scolastica, partendo dai dogmi, li dispone in un sistema organico in modo che essi concordino armonicamente con tutto il resto del sapere. In altre parole, gli scolastici si servono dei risultati conseguiti dai Padri della Chiesa per costituire un sistema filosofico completo che si rivolge ai principali problemi del tempo e li risolve coerentemente con le aspirazioni spirituali del Medio evo. In questa opera di sistemazione, il rapporto fra fede e ragione, fra rivelazione e filosofia, è mutato. Nel periodo della Patristica il punto da cui si muove è la fede, la quale determina e dirige la ragione nel suo sforzo di esprimere e di presentare il contenuto della Rivelazione; nei secoli della Scolastica, invece, il presupposto da cui si parte è la ragione, la quale cerca in quale modo ed entro quali limiti possa raggiungere le verità costituenti il contenuto degli stessi dogmi. Di conseguenza, l’adesione alla fede diventa un atto cosciente della ragione che non deve essere menomata nella sua dignità. Comunemente, la Scolastica viene suddivisa in quattro periodi: di preparazione (secc. IX e X); di sviluppo (secc. XI e XII); di massimo splendore (sec. XIII); di decadenza (sec. XIV). 17 Riepilogo visivo La Scolastica Sviluppo Secc. XI e XII Preparazione Secc. IX e X Scolastica Secc. IX-XIV Decadenza Sec. XIV Apogeo Sec. XIII 18 I principali problemi di questa corrente sono quelli concernenti a) il rapporto tra ragione e fede; b) quello relativo alla cosiddetta questione degli universali. a)Per quanto riguarda il problema dei rapporti intercorrenti fra fede e ragione ,e, conseguentemente, fra teologia e filosofia, è da dire che le principali soluzioni indicate per esso sono tre: - gli Scolastici del primo periodo riconoscono una sostanziale armonia tra fede e ragione, in quanto considerano l’una e l’altra provenienti da Dio; - nel secolo XIII predomina la tesi che, pur ammettendo la concordia fra fede e ragione, le distingue l’una dall’altra ed assegna a ciascuna un campo proprio di indagine: alla prima il mondo delle verità soprannaturali; alla seconda il mondo della natura. In questo periodo la filosofia viene definita “ancella della teologia” perché le è attribuito il compito, oltre che di spiegare le verità di ordine naturale, di chiarire e di interpretare le verità rivelate senza oltrepassare i dati della fede. Di conseguenza, la filosofia rende un servizio alla teologia, in quanto ricerca nella rivelazione il fondamento dei dogmi ed illustra il modo e la via che la Chiesa, nel suo magistero infallibile, ha seguito per giungere a stabilire e fissare le formule dogmatiche. Naturalmente, la Rivelazione rimane il principio regolatore dell’indagine filosofica; però, tale principio non è ossessivo né mortifica la dignità tradizionale, ma traccia il cammino ed indica l’indirizzo entro il quale il pensiero può liberamente avviarsi e svolgersi affinché la sua attività sia più feconda. - Nel periodo della decadenza si prospetta la possibilità di disaccordo tra fede e ragione che inevitabilmente conduce a risultati diversi ed anche contrapposti. 19 Riepilogo visivo Rapporto fede - ragione Secc. XI – XII : armonia Rapporto fede – ragione Sec. XIII : armonia e distinzione Sec. XIV : disaccordo 20 b) In riferimento alla questione degli universali è da precisare che l’universale è il concetto o idea con cui si può pensare l’essenza di un oggetto, comune ad una intera categoria di individui indicati con il medesimo nome; per es., l’universale di animale (concetto, idea) è riferibile a tutti gli animali, pur diversi nelle loro caratteristiche particolari; l’universale di uomo(concetto, idea) può essere attribuito a tutti gli uomini, anche se ciascuno manifesta un aspetto suo proprio, differente da quello degli altri. Gli universali, perciò, in quanto essenze, riguardano tutti gli esseri componenti un intero gruppo in contrapposizione al singolo individuo, che è possibile conoscere mediante la sensibilità. Nella storia della filosofia il problema non è nuovo perché già si trova nel pensiero classico, soprattutto nei Cinici, in Platone, e in Aristotele; ma la Scolastica si domanda più chiaramente se gli universali abbiano una propria realtà indipendente e autonoma o esistano solo nell’intelletto dell’uomo quando questi li pensa, oppure siano soltanto parole, nomi convenzionali che l’uomo crea appositamente per intendersi con i suoi simili. Le soluzioni del problema degli universali sono le seguenti: - realismo estremo, il quale, ispirandosi alla concezione platonica, secondo cui gli universali sono le Idee esistenti come realtà in sé nell’ iperuranio, afferma che gli universali hanno una propria realtà trascendente e separata dalle cose particolari, perché contenuti nella mente divina, e li considera come il modello esemplare di ogni oggetto perché esistono prima della costituzione delle cose. Per questo sostiene che gli universali sono ante rem, cioè anteriori alla realtà. Rappresentante: Guglielmo di Champeaux. Letture: Ingredientibus notis, p.587 - realismo moderato, il quale, rifacendosi alla tesi aristotelica, secondo cui gli universali sono la forma immanente dei singoli individui, 21 ritiene gli universali presenti nelle cose come essenze delle cose stesse e principio attivo del loro essere. Per questo dichiara che gli universali sono in re, cioè negli individui particolari. In seno al realismo moderato Tommaso d’Aquino sostiene che l’universale è in re, ossia nella cosa come sostanza di essa, post rem, dopo la cosa, come concetto elaborato sulla base dell’esperienza, ante rem, prima della cosa, nella mente divina, a titolo di idea o modello delle cose create; - nominalismo estremo, il quale, riprendendo l’affermazione dei Cinici, riconosce reali solo le cose individuali e particolari, e riduce gli universali a vuote parole, a semplici nomi generici, creati convenzionalmente e per comodità di espressione e di comprensione fra gli uomini. Con i nomi vengono indicati gruppi di cose somiglianti ma ad essi non corrisponde alcuna realtà. Gli universali sono, quindi, semplici flatus vocis. Rappresentante: Roscellino. Letture: Glossae super Porphyrium Nostrorum petitioni sociorum, p. 588 - nominalismo moderato, secondo il quale l’universale non esiste nelle cose ma soltanto in intellectu, essendo nient’altro che un segno mentale atto a raccogliere in una stessa classe una serie di individui aventi tra di loro caratteristiche affini. Rappresentante: Guglielmo d’ Ockham. Fra il nominalismo estremo ( flatus vocis) e il realismo moderato ( in re) sta il concettualismo, rappresentato da Abelardo, secondo il quale l’universale non è una realtà né un puro nome, ma è un sermo, un discorso che implica sempre il riferimento alla cosa significata, cioè che tende a significare o a indicare qualche cosa. Letture: Gl. Sup. Porph. Nostrorum petitioni sociorum, p. 589 22 Riepilogo visivo Il problema degli universali Realismo esagerato: ante rem (Guglielmo di Champeaux) Realismo moderato: in re (Tommaso: in re, ante rem, post rem Probl. degli universali Concettualismo: sermo (Abelardo) Nominalismo estremo: flatus vocis (Roscellino) Nominalismo moderato: in intellectu, segno mentale (G.d’Ockham) 23 In seno al realismo esagerato ed al nominalismo sono, però, implicite pericolose conseguenze combattute severamente dalla Chiesa. Infatti, se si attribuisce realtà solo all’universale, l’individuo viene annullato e ridotto a semplice apparenza. Questa tesi svuota di significato l’incarnazione e la morte di Gesù Cristo, che si sarebbe sacrificato per niente. Invece, se si attribuisce realtà solo all’individuo e si nega l’universale, il dogma della SS. Trinità viene messo in discussione, perché l’unica sostanza divina diventa una semplice e vuota parola e le tre Persone, essendo distinte l’una dall’altra, sono tre sostanze diverse e separate, tre dei. Questa eresia viene condannata dalla Chiesa nel 1092 con l’accusa di triteismo. c) Durante i cinque secoli della filosofia scolastica si sviluppano due grandi correnti: il misticismo ed il razionalismo. Il misticismo si ispira al principio dell’interiorità proclamato da Agostino ed afferma che l’uomo può conoscere Dio soltanto con uno slancio di fede e di amore perché Dio è assoluta libertà e volontà e quindi si manifesta liberamente, senza essere limitato da alcun principio di necessità che lo costringa a rivelarsi in forme determinate e prevedibili. Di conseguenza, la ragione non è adatta a cogliere Dio; pertanto, deve essere subordinata alla fede e considerata come momento preparatorio all’esperienza mistica, attraverso la quale l’anima si congiunge direttamente e immediatamente con il divino in una estatica unione. Il razionalismo si collega al pensiero classico, soprattutto aristotelico e si sviluppa nel sistema di Tommaso d’Aquino. Esso riconosce che la perfezione assoluta di Dio oltrepassa le capacità conoscitive dell’uomo, al quale occorre senza dubbio la Rivelazione, ma, nello stesso tempo, afferma che l’essenza divina è razionalità per cui Dio non può non manifestarsi in forme razionali. 24 Per questo aggiunge che le verità di fede sono semplicemente sovrarazionali (cioè al di sopra della ragione, nel senso che la mente umana non puo’ conoscerle pienamente solo perché limitata) e non antirazionali (cioè opposte decisamente alla ragione, nel senso che la mente umana non può conoscerle perché contrarie alla sua essenza), per cui l’uomo con la sola attività razionale può conoscere Dio, anche se in modo limitato. Tuttavia, queste due correnti, pur nella loro contrapposizione, non sono irriducibili l’una all’altra, ma piuttosto si completano a vicenda perché ciascuna, pur accettando come fondamento o la fede o la ragione, non esclude totalmente il presupposto che l’altra sostiene. I principali rappresentanti della Scolastica sono: Anselmo d’Aosta, Bonaventura da Bagnoregio, Tommaso d’Aquino, Giovanni Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham. 25 Riepilogo visivo La Scolastica Misticismo: l’uomo può conoscere solo con la fede Razionalismo: fede e ragione si completano correnti Scolastica rappresentanti Bonaventura Anselmo d’Aosta Tommaso d’Aquino G. Duns Scoto Guglielmo d’Ockham 26 d) Vissuto fra il 1033 e il 1109, Anselmo d’Aosta riprende il tema tipico di tutta la speculazione medioevale, quello del rapporto fra fede e ragione, e sostiene che la prima è il presupposto della seconda perché la mente umana non può, da sola, raggiungere le verità divine. Il suo motto, perciò, è credo ut intelligam, cioè credo per capire. Però, anche se la fede è l’inizio della ricerca filosofica, la ragione non deve rimanere inerte; anzi, essa ha il compito di scoprire e di spiegare le verità divine, quando queste sono accessibili alla mente umana. Naturalmente, la ragione non può arrogarsi il diritto di giudicare e discutere le verità di fede e quando le sue conclusioni contrastano con i dogmi, essa è sicuramente nell’errore. Particolarmente importanti sono in Anselmo le prove che egli adduce per dimostrare l’esistenza di Dio, tre a posteriori nel Monologion, una a priori nel Proslogion. Quelle a posteriori sono argomentazioni che muovono dagli effetti, dalle conseguenze, sempre particolari, per risalire alla causa che è universale; si va, cioè, dalle cose create a Dio; la prova a priori, invece, è un argomento che trascura l’esperienza sensibile e trova nello stesso concetto di Dio l’evidente certezza della sua esistenza, in modo che lo stesso ateo ne rimanga convinto. In questo caso l’esistenza di Dio è, quindi, dedotta dalla stessa idea di Dio. Questa prova è detta anche argomentazione ontologica perché conduce alla conoscenza dell’Ente assoluto. Esaminiamo dapprima le prove a posteriori riportate nel Monologion. Esse sono tre: - Le cose del mondo sono beni limitati e perciò, in quanto tali, rimandano ad un Bene assoluto, che è Dio, del quale partecipano in diverso grado. - Le cose del mondo esistono ma non per virtù propria perché non hanno in sé il principio, la causa, della loro esistenza. 27 Esse sono, perciò, contingenti, cioè sono ma potrebbero non essere; hanno quelle particolari caratteristiche ma potrebbero averne diverse perché quelle qualità sono accidentali e non sostanziali. La contingenza delle cose implica l’esistenza di un Essere necessario, che sia la causa della loro esistenza. - Le cose del mondo possiedono una maggiore o minore perfezione a seconda della loro realtà e possono essere disposte gerarchicamente in una classificazione alla cui sommità c’è l’Essere perfettissimo, che, in diverso grado, partecipa la sua perfezione alle cose stesse. E veniamo, adesso, all’ argomentazione a priori riportata nel Proslogion. Prendendo lo spunto dal XIII Salmo, dove lo stolto disse in cuor suo che Dio non c’è, Anselmo sostiene che anche l’ateo nel momento in cui dice “Dio non è esistente”, possiede la nozione di Dio, perché egli esprime un giudizio, anche se negativo (Dio = soggetto, è = copula, non esistente = predicato), del quale ha, senza dubbio, nella mente i concetti. Ciò significa che egli sa che cosa è Dio e che cosa significa non esistere. E qual è l’idea di Dio? L’idea di Dio, risponde Anselmo, è quella dell’Essere del quale nulla di maggiore può essere pensato. Perciò, egli conclude, l’ateo si contraddice quando afferma che Dio non esiste perché l’Essere, del quale nulla di maggiore può essere pensato, in quanto perfettissimo, non può non avere, fra le altre perfezioni, anche quella dell’esistenza. In caso contrario, qualunque altra cosa che potesse essere pensata esistente nella mente e nella realtà sarebbe più perfetta di Dio. Di conseguenza, nell’Essere perfettissimo l’essenza non si distingue dall’esistenza, vale a dire, l’idea di Dio coincide con l’esistenza di Dio stesso. Letture: Proslogion, 3, 5, pp.569- 570 28 L’argomentazione ontologica viene criticata da un contemporaneo di Anselmo, il monaco Gaunilone, il quale afferma che pensiero e realtà sono due cose distinte. Infatti, egli sostiene, io posso pensare un’isola meravigliosa per fertilità e ricchezza, la più perfetta fra tutte, ma non è detto che essa debba esistere per il fatto che io la pensi. Anselmo a questa obiezione risponde dicendo che le cose, e quindi anche l’isola immaginaria, non possono essere perfettissime perché non esistono cose di cui non si possa pensare qualcosa di maggiore. Soltanto Dio è perfettissimo e quindi solo l’idea di Dio coincide con l’esistenza di Dio stesso. 29 Riepilogo visivo Anselmo d’ Aosta Monologion = tre prove a posteriori fede e ragione: credo ut intelligam = credo per capire Proslogion = prova a priori o ontologica esistenza di Dio Anselmo d’Aosta critica di Gaunilone 30 e) Bonaventura da Bagnoregio, francescano, è il maggiore interprete dello spirito di San Francesco ed è seguace della filosofia agostiniana. Egli accetta la presenza divina nel mondo e nell’anima e conclude con il misticismo: Dio, verità ed amore, è il centro della sua dottrina nella quale predomina non l’attività intellettiva, bensì l’intuizione dell’anima. Per questo motivo l’uomo contempla il divino presente nelle cose della natura e, ripiegandosi nella propria interiorità, coglie Dio direttamente e si unisce a Lui in uno slancio mistico. Riprendendo la tematica, tipica di tutto Il Medioevo, dei rapporti fra fede e ragione, e quindi fra teologia e filosofia, egli sostiene che queste non possono e non devono essere distinte, in quanto l’una e l’altra tendono alla verità. Si possono distinguere soltanto quando si discute a chi spetti il primato e quando si intende decidere da quale delle due sia necessario prendere l’avvio per raggiungere la vera conoscenza. In questi casi la risposta è che la fede possiede la priorità sulla ragione e che essa è il presupposto da cui occorre iniziare la ricerca della verità. L’uomo, infatti, con la sola ragione non potrebbe cogliere l’essenza universale delle cose se il Verbo divino con azione illuminante non partecipasse all’anima le idee modello, i principi intelligibili presenti in lui dall’eternità e da lui posti nelle stesse cose come segno della loro derivazione da Dio. Di conseguenza, la fede, cioè la rivelazione divina, è il presupposto della ricerca filosofica. In riferimento al problema dell’esistenza di Dio, Bonaventura accetta l’argomento ontologico anselmiano; però, lo corregge dicendo che nella mente dell’uomo è presente non tanto l’idea di Dio, quanto Dio stesso. Dio, infatti, si manifesta immediatamente all’anima umana come luce di verità e quindi in maniera tale che non può essere rifiutato o negato da nessuno, nemmeno dall’ateo. 31 La presenza diretta di Dio nell’anima umana è la prova della sua esistenza ed il fondamento della conoscenza. Di particolare importanza è l’opera bonaventuriana Itinerarium mentis in Deum, dove il Santo descrive i momenti o tappe necessarie a che la mente umana arrivi a Dio. L’ascesa dell’uomo a Dio avviene in tre tappe, compiute ciascuna da una particolare facoltà o “occhio” dell’anima. Questa, infatti, ha un occhio volto alle cose del mondo, oculum carnis, che è la sensibilità; un secondo occhio diretto verso la propria interiorità, oculum rationis, che è lo spirito; un terzo occhio rivolto alla contemplazione divina, oculum contemplationis, che è la mente. Ogni singola tappa si sdoppia in due gradi, dei quali il primo conduce a Dio indirettamente perché permette di cogliere solo l’immagine divina; il secondo, invece, conduce a Dio direttamente perché fa intuire in modo immediato l’essenza stessa di Dio e la sua presenza. Quali sono i due gradi della prima tappa? Nel primo grado della prima tappa l’uomo conosce Dio attraverso i vestigi divini nel mondo: tutte le cose create, oggetto dell’esperienza dei sensi, mostrano Dio nella loro bellezza e nella loro armonia. Nel secondo grado l’uomo conosce Dio direttamente mediante la immaginazione perché contempla nelle cose l’essenza, la potenza e la presenza divina. Anche la seconda tappa comprende due gradi: nel primo l’uomo, rivolgendosi alla propria interiorità, con la ragione contempla, nel suo triplice aspetto di memoria, intelletto e volontà, l’immagine trinitaria di Dio; nel secondo, l’uomo con l’intelletto conosce direttamente Dio, poiché la grazia lo illumina con le tre virtù teologali, fede, speranza e carità. Analogamente avviene per la terza tappa: nel primo grado l’uomo con l’intelligenza si solleva al di sopra delle cose sensibili e di se stesso e, scoprendo la realtà eterna e trascendente quale si manifesta nelle essenze angeliche, creature somiglianti a Dio, per similitudine 32 contempla Dio nel suo attributo fondamentale di essere; nel secondo grado l’uomo, mediante l’acume della mente, contempla direttamente Dio quale Amore e Bene assoluto e in questa intuizione l’anima umana, pur rimanendo come sostanza distinta da Dio, si congiunge a Lui nell’estasi mistica. Cessano, così, le passioni, tacciono i desideri, si estinguono gli impulsi egoistici e l’uomo, morto e annullato come individualità, risorge a vera vita, assorbito in Dio. 33 Riepilogo visivo Bonaventura da Bagnoregio Fede e ragione Teologia e filosofia Esistenza di Dio Bonaventura da Bagnoregio Itinerarium mentis in Deum Prima tappa: sensibilità: sensi e immaginazione Terza tappa: mente: intelligenza e acm della mente Seconda tappa: spirito: ragione e intelletto 34 f)Tommaso d’ Aquino è un domenicano e segue l’indirizzo del proprio Ordine, fondato da San Domenico per difendere e divulgare la fede con la cultura e l’insegnamento. Egli accetta come fondamento del suo pensiero la filosofia aristotelica, considerata la più alta espressione della ragione umana e la inserisce definitivamente nella dottrina cristiana, modificandola in alcuni punti, dove contrasta con i dogmi della Chiesa. Distingue, inoltre, la fede dalla ragione e riconosce a quest’ultima i propri diritti nell’ambito delle verità naturali; ammette il primato dell’intelletto sulla volontà ed afferma che la conoscenza razionale si attua mediante l’astrazione dell’universale intelligibile dall’ esperienza sensibile. In questo indirizzo è evidente il razionalismo che caratterizza la filosofia di Tommaso, in contrapposizione allo spirito mistico del pensiero agostiniano- francescano, ed è manifesta l’importanza attribuita alla persona umana ed alle sue capacità razionali. Per il Nostro fede e ragione, pur distinguendosi, non sono contrapposte fra loro, perché l’una e l’altra derivano da Dio, anche se ciascuna svolge una propria attività autonoma. Infatti, la prima, appoggiandosi alla rivelazione, si volge alle verità di ordine soprannaturale; la seconda, rielaborando l’esperienza, scopre le verità dell’ordine naturale. Così, i misteri della fede, come, ad esempio, quello della SS. Trinità, dell’incarnazione e morte del Figlio di Dio, ecc., riguardano verità soprannaturali, cioè superiori alle capacità comprensive della ragione che non può spiegarle, ma non per questo sono irrazionali, perché altrimenti si dovrebbe concludere che Dio ha concesso all’uomo due doni, fede e ragione, che si escludono a vicenda e bisognerebbe, perciò, ammettere in Dio stesso la contraddizione. Altre verità, invece, sono comuni tanto alla fede quanto alla ragione, come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima che possono essere dimostrate anche razionalmente. L’attività razionale può recare un valido contributo alla fede. Essa, infatti, dimostra alcune verità, come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, che costituiscono come “i preamboli della 35 fede”, in quanto dispongono la mente ad accettare consapevolmente la fede stessa: l’uomo che con la ragione dimostra, ad esempio, l’esistenza di Dio, è portato ad accettare anche la rivelazione divina che afferma le stesse verità ed a riconoscere, quindi, la convenienza della fede. Inoltre, l’attività razionale, anche se non è capace di spiegare i misteri della fede, perché sono verità soprarazionali, può formulare analogie che illustrano e giustificano gli stessi misteri. Ad esempio, chiariscono il mistero dell’ Unità- Trinità divina alcune considerazioni compiute sulle cose della natura, creata da Dio stesso: la foglia del trifoglio che, pur essendo unica, si suddivide in tre foglie; il raggio di luce bianca che, incontrando un prisma di vetro, si scompone in sette colori, cioè nei colori componenti la stessa luce bianca. Infine, l’attività razionale può controbattere le argomentazioni contro la fede, dimostrandone la falsità. Pertanto, giustamente, la ragione, ossia la filosofia, può essere considerata ancella della teologia, cioè della fede. Letture:Summa contra Gentiles, I, q.7-8,pp.628-629 Per quanto riguarda la dimostrazione dell’esistenza di Dio, Tommaso non accetta la prova ontologica affermata da Anselmo e da Bonaventura, perché l’essenza di Dio pensata come concetto rimane idea e quindi pensiero dell’ intelletto, senza includerne necessariamente l’ esistenza reale. Inoltre, l’essenza di Dio, cioè di un Essere infinito e perfettissimo, non può essere compresa dalla mente umana, che è limitata. Egli, allora, dimostra l’esistenza di Dio mediante cinque prove a posteriori, che partono, cioè, dall’osservazione delle cose del mondo, prove da lui definite “vie” per indicare che esse segnano il cammino attraverso il quale l’uomo può risalire a Dio muovendo dalla realtà sensibile. La prima via, di derivazione aristotelica, è quella del movimento. Nell’universo esiste il movimento: ogni mosso suppone un motore, il quale, a sua volta, è mosso da un altro motore, e così via di seguito 36 Dal momento che non si può andare all’infinito, è necessario fermarsi ad un primo motore che muove senza essere mosso. Questo primo Motore immobile è Dio. La seconda via, anch’essa di derivazione aristotelica, fa capo al rapporto fra effetto e causa. Ogni cosa dipende da un’altra, cioè è effetto di una causa, la quale, a sua volta, è effetto di un’altra causa, e così via. Non potendosi procedere all’infinito, è necessario ammettere una Causa prima non causata, che, cioè, non sia effetto di nessun’altra causa. Questa Causa prima è Dio. La terza via, derivata da Anselmo, è quella del rapporto tra contingente (=possibile) e necessario. Tutte le cose che esistono in natura sono soggette al mutamento, cioè nascono, si trasformano, muoiono, e pertanto sono contingenti, cioè esistono ma potrebbero anche non esistere. Di conseguenza, esse non sono per virtù propria, non avendo in sé la ragione del loro esistere. La contingenza delle cose fa risalire ad un Essere necessario, che possieda in se stesso la ragione dell’esistere e da cui derivi l’esistenza delle cose contingenti. Questo essere necessario è Dio. La quarta via, anche questa derivata da Aristotele e da Anselmo, è quella dei vari gradi di perfezione: le cose della natura possiedono una minore o maggiore perfezione; è necessario, perciò, che esista un Essere assolutamente perfetto che in diverso grado partecipa alle cose la sua perfezione e che è assunto come termine di confronto. La quinta via è quella dell’ordinamento finalistico delle cose: nel mondo i fenomeni si succedono regolarmente e ordinatamente rivelando un’armonia che non può essere prodotta dal caso. Questo ordinamento finalistico si nota anche nelle cose naturali, che sono prive di intelligenza e quindi incapaci di volgersi intenzionalmente verso un fine. Di conseguenza, l’ordine ammirevole dell’universo fa presupporre l’esistenza di una intelligenza ordinatrice, che è Dio. 37 Dalle suddette prove risulta evidente che il mondo dipende da Dio perché Egli è Motore immobile, Causa prima, Essere necessario, Perfezione assoluta, Intelligenza ordinatrice. Tutti questi attributi escludono sia il panteismo, cioè l’immanenza divina nel mondo, sia l’indifferenza divina per il mondo. Tommaso, infatti, afferma che Dio è creatore e che le cose create hanno una quantità minore o maggiore di essere, possiedono un diverso grado di perfezione, ma ricevono il loro essere e la loro perfezione da Dio e non si identificano con l’essere e la perfezione. Letture: Summa theologiae, I, q.2,a.3, pp.640-641 Dio partecipa alle cose l’esistenza e la diversa perfezione ma rimane separato e distinto dal mondo creato, come rimangono lontani la Causa infinita e l’effetto finito. Dio, però, anche se trascende il mondo, non trascura le cose create, ma piuttosto provvede affinché ogni creatura, anche individualmente, consegua i propri fini particolari nel disegno generale della sua volontà. Per Tommaso tutte le cose del mondo sono sintesi di essenza ed esistenza: l’essenza o natura è ciò che è la cosa, cioè il complesso delle caratteristiche che essa possiede, per cui appartiene ad una determinata specie piuttosto che ad un’altra (ad es., è uomo e non animale: l’essenza di animale comprende vita vegetativa e sensitiva, l’essenza di uomo comprende vita vegetativa, sensitiva e razionale); l’esistenza o essere rappresenta l’esistere concreto che si attua in virtù di una energia ricevuta da Dio. L’essenza corrisponde alla potenza, l’esistenza all’atto. Infatti, l’essenza di una cosa è la semplice possibilità di esistere; l’esistenza l’attuazione, cioè l’atto, di questa possibilità. Così l’umanità, considerata come essenza, non ha l’esistenza ma soltanto la possibilità di attuarsi in singole esistenze umane, ciascuna delle quali esiste in virtù di un atto creativo di Dio. Nelle cose, dunque, essenza ed esistenza sono distinte; in Dio, invece, esse si identificano, ed è per questo che le cose sono contingenti e Dio, invece, è essere necessario. 38 In riferimento al problema gnoseologico, Tommaso sostiene che non esistono idee innate. Il processo conoscitivo inizia con la sensazione e si compie con l’attività intellettiva: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, cioè niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi. I sensi sono modificati dagli oggetti esterni e colgono le cose non nella loro materialità ma nella loro immagine sensibile (specie sensibile). Ad esempio, l’occhio vede il colore dell’arancia ma non percepisce la materia di cui l’arancia è costituita. La sensazione è conservata nella fantasia, la quale produce il fantasma, che è l’insieme delle singole immagini sensibili di uno stesso oggetto percepite nelle esperienze precedenti. Nel fantasma è implicita, contenuta in potenza, la specie intelligibile, cioè il concetto, che l’intelletto coglie mediante l’astrazione. L’ intelletto umano è passivo ed attivo nello stesso tempo e possiede perciò due capacità: in quanto può ricevere la specie intelligibile, è intelletto passivo o potenziale; in quanto astrae la specie intelligibile dal fantasma e la illumina in modo che l’intelletto passivo la conosca, passando dalla potenza all’atto, è intelletto attivo o agente. L’intelletto attivo non ha la funzione di conoscere ma, come una sorgente luminosa, ha la capacità di diffondere raggi luminosi che permettono la vista degli oggetti. Con l’apprensione della specie intelligibile, astratta dal fantasma sensibile, si conclude la prima parte della conoscenza intellettiva, che è detta “apprensione” perché con essa l’intelletto intende ciò che una cosa è. Es., L’uomo è animale ragionevole. La seconda parte comprende il giudizio e il ragionamento. Il giudizio è costituito da un soggetto e da un predicato congiunti dalla copula e con esso l’intelletto afferma o nega qualcosa, cioè giudica se una cosa è o non è. Es., Socrate è uomo; il cane non è uomo. Il ragionamento è l’insieme di più giudizi e spiega il motivo di ciò che viene affermato o negato nel giudizio. 39 Es., Tutti gli animali ragionevoli sono uomini; Socrate è un animale ragionevole; quindi Socrate è uomo. La verità consiste nell’adeguazione della cosa e dell’intelletto, adaequatio rei et intellectus, cioè nella piena e perfetta corrispondenza fra l’universale, contenuto come forma in ogni cosa particolare (es., l’essenza di uomo, l’umanità) e la specie intelligibile che l’intelletto astrae dalla cosa stessa (es., il concetto di uomo). L’errore si può avere non nel momento dell’attività astrattiva dell’intelletto, e quindi non nell’apprensione, ma nella formulazione dei giudizi e dei ragionamenti, cioè quando viene attribuita una specie intelligibile ad una cosa a cui non compete. 40 Riepilogo visivo Tommaso d’ Aquino: Probl. della conoscenza Sensazione fantasia OGGETTO_ varie specie sensibili_ fantasma, contiene in potenza _ (es., odore, colore, ecc.) Attivo (astrae) per astrazione l’intelletto la specie intelligibile o concetto = Prima fase: apprensione Passivo (incamera, elabora e conosce) verità Seconda fase: formulazione del giudizio(l’int. giudica se una cosa è o non è) e ragionamento(spiega il motivo del giudizio) errore verità: adaequatio rei et intellectus errore: quando si attribuisce una specie intelligibile ad una cosa cui non compete 41 A questo punto, dal momento che Tommaso è prettamente un aristotelico, occorre fare un confronto fra la conoscenza umana del primo e quella del secondo. Entrambi negano l’innatismo ed affermano che la conoscenza inizia dai sensi; Aristotele parla di specie sensibile, di schema rappresentativo e di concetto; Tommaso di specie sensibile, fantasma e specie intelligibile; giudizio e concetto sono comuni ad entrambi e tutti e due ammettono che l’uomo possiede l’intelletto passivo. Qui finiscono le analogie. Le differenze riguardano la concezione dell’intelletto attivo: Aristotele sostiene che l’intelletto attivo è come distaccato dall’uomo; secondo Tommaso, invece, si tratta dello stesso intelletto umano, che ha la funzione di astrarre dal fantasma la specie intelligibile, consentendo all’intelletto passivo la conoscenza universale. A questo punto occorre accennare al problema politico che verrà ripreso nel corso monografico. Anche qui Tommaso riprende Aristotele: l’uomo è portato naturalmente a vivere associato, per cui lo Stato ha il compito di tutelare i beni materiali dei cittadini, di assecondare il loro sviluppo culturale e di assicurare la pace. Egli dichiara che ogni forma di governo è valida purché garantisca i diritti dei cittadini ed il benessere della società, ma le sue preferenze sono per la monarchia, che assicura meglio l’unità dello Stato. Questo guida l’uomo alla felicità terrena, mentre la Chiesa lo conduce alla felicità eterna; di conseguenza, il potere temporale, anche se svolge la sua attività in un campo autonomo e distinto, deve essere subordinato all’autorità spirituale, sia perché anch’esso deriva direttamente da Dio, sia perché persegue una finalità inferiore a quella della Chiesa. 42 Riepilogo visivo Tommaso d’ Aquino Esistenza di Dio: quinque viae a posteriori: movimento, causa ed effetto, contingente e necessario, gradi di perfezione, ordinamento finalistico Fede - ragione Rapporto Dio- mondo Tommaso d’Aquino politica Essenza ed esistenza Gnoseologia 43 g)Giovanni Duns Scoto è un francescano e fa capo all’Università di Oxford dove si combattono le tendenze aristoteliche e razionalistiche dell’università di Parigi. Egli, però, non rinnega totalmente l’aristotelismo ma cerca di conciliarlo con il misticismo del pensiero di Agostino e dei Francescani, che diventa presupposto fondamentale della sua dottrina. Per questo motivo egli afferma il primato della volontà sull’intelletto, tanto nell’uomo quanto in Dio. Infatti, è la volontà che spinge l’intelletto a conoscere questo o quell’oggetto ed è ancora la volontà che conduce l’uomo a questa o a quell’altra azione. Anche l’attività divina è determinata non dalla razionalità ma dalla volontà, la quale è la caratteristica fondamentale dell’assoluta potenza e infinita libertà di Dio. In caso contrario, cioè se Dio dovesse manifestarsi solo in forme razionali, non sarebbe libero ma condizionato necessariamente da una forza a cui non potrebbe sottrarsi, pur essendo questa forza intrinseca a lui in quanto costituente la sua stessa essenza. Per questi motivi la sua filosofia viene definita “volontarismo”. Riguardo al rapporto fede- ragione Duns Scoto intende affermare la priorità della prima sulla seconda. Infatti, anche le verità di ordine soprannaturale che secondo Tommaso sono dimostrabili filosoficamente, secondo Duns Scoto sono soltanto oggetto di fede. È questo il caso, ad esempio, dell’esistenza di Dio, dell’immortalità dell’anima, della Provvidenza, oltre, naturalmente, ai misteri, come quello della SS. Trinità o quello dell’Incarnazione. La ragione può tutt’al più riflettere su queste verità e cercarne una spiegazione, ma essa rimane sempre nell’ambito della probabilità e non può mai raggiungere la certezza. Per questo primato della fede nei confronti della ragione, la volontà ha il compito di accogliere i dati della Rivelazione, la quale perde il suo carattere speculativo e diventa norma di vita pratica perché suggerisce principi direttivi e regole per la condotta dell’uomo. In tal modo fede e ragione risultano eterogenee, per cui verrà a determinarsi una frattura inconciliabile fra teologia e filosofia. 44 Criticando S. Tommaso 2, Duns Scoto sostiene che la materia non è semplice potenza, e quindi assolutamente indeterminata, ma possiede un suo atto, una sua forma, anche se infima, altrimenti sarebbe niente. Di conseguenza, tutti gli esseri, anche quelli spirituali, come gli angeli e l’anima, sono composti di materia e forma, per cui non esistono forme prive di materia. In caso contrario queste forme immateriali non potrebbero avere rapporti con altri esseri perché è la materia che, come passività, permette di ricevere l’azione degli altri. Gli esseri più complessi hanno una pluralità di forme, ciascuna delle quali presiede ad una diversa funzione; così, ad esempio, nell’uomo esistono la forma vegetativa, la sensitiva e quella razionale. Per Duns Scoto gli individui si distinguono fra di loro non per la materia che è indeterminata ma per l’ haecceitas. Il termine deriva da haec, che significa “questa cosa qui”, “questa cosa e non un’ altra”, ed è il processo tramite cui la sostanza comune si contrae in una cosa singola: ad es., l’individualizzazione della sostanza universale di uomo si contrae in questo o quell’uomo particolare. Riguardo al problema degli universali, Duns Scoto è orientato verso il concettualismo, ma non nega totalmente il realismo moderato; rifiuta, invece, nettamente il nominalismo, che annulla ogni sapere oggettivo e riduce la conoscenza ad una finzione mentale, perché i nomi non hanno una realtà corrispondente e sono semplici e vuote parole create convenzionalmente dall’uomo; respinge anche il realismo esagerato perché l’universale non può esistere al di fuori dell’oggetto né nell’oggetto stesso. Secondo lui, le singole cose sono particolari ma non sono estranee all’essenza universale della specie alla quale appartengono. Così, l’intelletto dell’uomo nota che questa essenza, la quale si presenta sempre individualizzata nelle cose particolari, si è attuata in una pluralità di individui e perciò la universalizza, riferendola ad una molteplicità di esseri. L’universale, dunque, esiste nell’intelletto. 2 Secondo Tommaso, materia e forma, potenza ed atto, si identificano. Tale coincidenza si riscontra solo negli esseri corporei ma non si può ammettere per le sostanze spirituali, cioè gli angeli e l’ anima umana. 45 Riepilogo visivo Giovanni Duns Scoto fede- ragione volontarismo Giovanni Duns Scoto Probl. degli universali Pluralità delle forme haecceitas 46 Guglielmo d’ Ockham può essere considerato l’ultima grande figura della Scolastica e nello stesso tempo la prima dell’età moderna. Egli sostiene che la realtà è costituita da esseri individuali, ciascuno dei quali possiede caratteristiche proprie: questo cane e quest’ altro cane particolare, questo uomo e quest’ altro uomo con qualità diverse. Non esiste, perciò, una essenza comune a più esseri, ma ci sono soltanto individui, ognuno dei quali è una realtà a sé stante separata dagli altri individui. Di conseguenza, il vero sapere consiste nella diretta esperienza delle cose individuali, che si ottiene mediante l’attività sensitiva. Questa conoscenza è chiamata intuitiva, perché coglie immediatamente il singolo, ed è contrapposta a quella concettuale o astrattiva, confusa e indeterminata, perché è rivolta all’universale che non ha alcuna realtà concreta. Riguardo al problema degli universali, Ockham segue il nominalismo. Egli, infatti, dice che la realtà è costituita soltanto di esseri individuali e che universale è solo il termine o la parola con cui si vogliono indicare più oggetti aventi caratteri affini. Ad esempio, il nome “uomo” è universale perché si può riferire ad una pluralità di esseri (Pietro, Paolo, Maria, ecc.), ma i singoli uomini, pur essendo in qualche modo somiglianti, possiedono caratteristiche individuali che li rendono diversi l’uno dall’altro. Perciò, la parola “uomo” è un simbolo creato convenzionalmente per raccogliere un certo numero di individui sotto lo stesso segno, per comodità di espressione e di comprensione. Quali le conseguenze del sapere intuitivo e del nominalismo affermati da Ockham? Conseguenze molto gravi che segnano il declino della Scolastica, e precisamente - le critiche al principio di causa e - al concetto di sostanza. - Cominciamo dalla prima. L’uomo, mediante l’esperienza sensibile, conosce le cose particolari, i singoli fatti, e non può andare oltre i dati sperimentati per 47 affermare che due cose, due fatti, sono legati fra loro da una connessione causale. Per esempio, vedo un lampo e successivamente odo un tuono: sono certo di questi due fenomeni perché li percepisco direttamente con la vista e con l’udito; posso riconoscere che il lampo è avvenuto prima del tuono ma non posso affermare che esso è causa del tuono perché oltrepasserei le due percezioni sensibili (vista e udito) e stabilirei fra i due fenomeni un legame che l’esperienza non mi offre. Infatti, posso ammettere che fino ad ora ho udito il tuono dopo aver visto il lampo, ma non posso affermare che sarà sempre così, che, cioè, al lampo debba seguire necessariamente il tuono. - In riferimento alla seconda critica, cioè al concetto di sostanza, Ockham dice che l’uomo percepisce le qualità che costituiscono i singoli oggetti, ma non può oltrepassare queste qualità ed affermare che esse sono come attaccate ad un sostrato che le sostiene e le riunisce, cioè ad una sostanza (= che sta sotto) materiale. Esempio: Ho davanti a me un’arancia: la vedo, la odoro, ne gusto il sapore; posso dire che queste tre qualità (colore, profumo, sapore) appartengono a quell’arancia, ma non poso affermare che esse siano raccolte in un sostegno, la sostanza materiale, perché tale sostegno non è oggetto di esperienza. Analogamente avviene per l’anima che è sostanza spirituale. L’uomo è consapevole dei suoi stati d’animo (dolore, gioia, ira, ecc.) ma non può andare oltre questi sentimenti ed ammettere che essi si trovino in un sostrato che li sostiene, cioè nella sostanza spirituale (l’anima). Es., provo un dolore di cui sono pienamente certo perché mi procura un profondo disagio interiore. Posso riconoscere che questo stato d’animo è in me ma non posso ammettere che esiste in me un sostrato, una sostanza spirituale che lo sostiene, perché dell’anima non ho esperienza sensibile. Per questo motivo anche la sostanza spirituale divina non può essere oggetto di conoscenza. Dal momento che per Ockham unica fonte di conoscenza certa è l’esperienza sensibile, tutto ciò che non può essere percepito con i sensi non può essere conosciuto. 48 Di conseguenza, la realtà divina, l’anima, le essenze spirituali e tutte le verità soprasensibili non sono oggetto della scienza umana ma possono essere accettate solo per fede. Perciò fede e ragione sono separate e indipendenti e si trovano l’una accanto all’altra senza avere alcun rapporto fra loro. 49 Riepilogo visivo Guglielmo d’Ockham Problema degli universali: nominalismo Conoscenza: attività sensitiva, detta intuitiva perché coglie immediatamente il singolo Guglielmo d’Ockham Conseguenze: critica al principio di causa; critica al concetto di sostanza 50