"Gli Italiani e la carità" (86.85 KB

annuncio pubblicitario
 “Per una città equa che non abbandona nessuno” Carità e giustizia secondo Roberto Mancini Il commento del docente di Filosofia Teoretica dell’Università di Macerata ai risultati emersi dall’indagine “Gli italiani e la carità” svolta da AstraRicerche per conto della Casa della carità. Roberto Mancini è docente di Filosofia Teoretica all’Università di Macerata dove è anche presidente del corso di laurea in Filosofia e vicepreside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Collabora con le riviste “Servitium”, “Ermeneutica Letteraria” e “Altreconomia”, dirige la collana “Orizzonte Filosofico” dell’editrice Cittadella di Assisi ed è membro del Comitato Scientifico della Scuola di Pace della Provincia di Lucca e della Scuola di Pace del Comune di Senigallia. Insieme al sociologo Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, giovedì 20 giugno ha presentato e commentato la ricerca nazionale (commissionata ad AstraRicerche dalla Casa della carità) sugli “Italiani e la carità” . Ma soprattutto Mancini, sollecitato dal presidente della Fondazione Casa della carità don Virginio Colmegna,ha voluto sottolineare alcuni risultati emersi dall’indagine, a cominciare dal nesso tra carità e giustizia esplicitato da molte risposte alle domande sottoposte dai ricercatori. Vero, dice il professor Mancini, “nelle frasi che traducono la carità in atteggiamenti o gesti concreti emerge sì il nesso con la giustizia, ma manca ogni riferimento all’attività politica e alla democrazia”. Il rilievo non è da poco perché, spiega Mancini “ carità-­‐giustizia-­‐politica-­‐democrazia è un nesso poco riconosciuto”. Per questo, aggiunge, “è necessario rendere meno ambiguo sia il termine carità che il termine giustizia”. Ma c’è anche un altro dato della ricerca sulla carità che, secondo Mancini, non deve passare inosservato: “Dalle risposte emerge quanto oggi siano meno forti la protesta e la speranza nel cambiamento”, quanto prevalgano “assuefazione e ripiegamento” in virtù del fatto che “la politica da troppo tempo non ha più una visione alternativa della società ma continua a identificarla con il mercato”. Un terzo spunto, sul quale il professor Mancini, ha invitato tutti a riflettere è quello sulle preferenze dei destinatari della carità: “Attenzione – dice – è una gerarchia pericolosa, dove si oscilla tra riconoscimento e disprezzo, quella che è emersa dalle3 risposte degli intervistati: primi i bambini, ultimi le prostitute e i rom”. Occorre riflette, come occorre riflettere sul dato che vede l’Italia divisa a metà sulla pratica della carità (attivo nella carità il 53, 6% degli italiani, non attivo il 46,4 %) perché se è vero che “la metà di persone disponibili e attive sia già un valore alto”, altrettanto vero è che su questa propensione “incide più la formazione familiare, l’educazione ricevuta in vari ambiti o la qualità delle relazioni interpersonali che non l’appartenenza religiosa” visto che dalla ricerca emerge, semmai, “un cristianesimo tiepido”. Per questo, è necessario rendere meno ambigui i termini carità e giustizia. Insiste Mancini: “La dignità della persona, di tutte le persone, va al di là del merito e guarda ai bisogni, alla sofferenza, al valore stesso di ognuno”. Solo così si può superare in ogni opera di carità “quella logica sottesa che prevede la 1 distinzione tra buoni e cattivi o falsi poveri, tra poveri meritevoli e no”. Ancora: “La carità è gratuità, è un dare, ma la gratuità richiede, per essere capita e sentita, il senso della gratitudine, altrimenti sembra assurda”. Qual è il allora il legame tra carità e giustizia? “Quello di un’esigenza irrinunciabile che nasce dalla dignità e dal bene comune, che non fa distinzioni tra meriti e colpe”. Il passo più difficile ma anche più importante è quello di tradurre in prassi politica, in comportamenti sociali il nesso carità-­‐giustizia. Come si può contribuire a generare un humus culturale predisposto al cambiamento? Le risposte di Mancini sono precise. ”Occorre – dice – generare un conflitto politico nonviolento che non accetti più come normale l’ingiustizia, che la denunci pubblicamente. Occorre tradurre questa denuncia in programma creando su questo la convergenza tra movimenti, associazioni, aree interne a partiti e sindacati. Il punto di convergenza è un’idea di città equa che non abbandona nessuno, che vuol crescere in umanità”. Contemporaneamente si deve spingere su quelli che Mancini definisce “gli agenti di socializzazione primaria” e cioè sui genitori, gli insegnanti, i responsabili di comunità civili e religiose perché “promuovano il superamento dei pregiudizi sulla carità”. Questo processo di promozione è fondamentale perché “se la giustizia secondo gratuità resta estranea a questi mondi vitali, famiglia, scuola, società, non diverrà mai il cuore della cultura diffusa”. Infine, conclude Mancini “è necessario avviare processi di auto-­‐aiuto sociale e di autopromozione economica”. Come? “Uscendo dall’assistenzialismo ed evitando che siano solo le dinamiche interne al sistema capitalistico a determinare la vita economica delle persone”. All’incapacità diffusa di identificarsi con chi sta peggio, alla paura di restare prigionieri dell’angoscia, spiega Mancini, “bisogna rispondere generando un senso di appartenenza a una comunità locale civile, ospitale, solidale e aperta”. Insomma, carità e giustizia richiedono uno sforzo culturale e politico. Conclude Mancini: “Chi si impegna nella carità non può trascurare la crescita culturale, chi si impegna in politica non può pensare di rimediare alla crisi della vita pubblica con operazioni di ingegneria istituzionale, come l’opzione presidenzialista o la mutazione genetica della Costituzione in senso liberista, ma deve impegnarsi innanzi tutto a rigenerare la base sociale della democrazia, il tessuto comunitario aperto nei territori e nelle città. Solo così carità e giustizia, fraternità e sororità, si incontreranno in modo più fecondo e frequente di quanto non accada oggi. 2 
Scarica