La carità pastorale nel bagaglio del sacerdote

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GENTE VENETA | Diocesi
Giovedi, 21 Maggio 2015
La carità pastorale nel bagaglio del sacerdote
Per una volta, in cattedra, si è seduto mons. Francesco Moraglia. Ha incontrato nel Palazzo
Patriarcale, lo scorso 13 maggio, gli studenti del sesto anno della Teologia e ha parlato loro come in una lezione - di un tema che gli sta particolarmente a cuore, la carità pastorale: un
modo per preparare chi è ormai prossimo alla tappa del diaconato a un servizio pieno, senza
riserve, verso le persone, gli ambienti, i ministeri che gli verranno affidati.
Il primo punto approfondito è stato di tipo metodologico: «Il sacerdote non può essere
specialista solo in un campo», ha sottolineato il Patriarca; deve piuttosto essere disposto a
impegnarsi in tutti gli ambiti richiesti dal suo ministero, «perché è a servizio della Chiesa». E'
naturale che i superiori cerchino di valorizzare i carismi delle persone, ma il punto di partenza
deve essere «una disponibilità di base, aperta a 360 gradi nei servizi pastorali», ha ricordato
mons. Moraglia: «Deve anzi essere un vostro punto d'onore offrire questa disponibilità».
Corrisponde, in fondo, al senso stesso dell'essere "cattolico", aperto cioè alla totalità, con un
vero spirito di libertà. E si inserisce nell'orizzonte di quelle collaborazioni pastorali che si
vogliono attuare nella nostra diocesi.
Il Patriarca si è soffermato poi sui contenuti della carità pastorale. "Carità" è il modo di amare
che ha Gesù Cristo, applicato all'attività pastorale. E' attraverso la carità pastorale che è
possibile la reductio ad unum della persona, perché consente di cogliere l'unità sottesa nella
varietà di cose che il prete è chiamato a compiere nelle sue giornate o nella sua vita
presbiterale. Questo accade «quando tutti gli atti del ministero che un sacerdote è chiamato ad
assolvere sono un atto d'amore verso il popolo che gli viene affidato». Non una carità generica,
ma che si incarna in atti concreti, propri del ministero sacerdotale: «Compiendo i gesti in questo
modo - ha sottolineato mons. Moraglia - uno si gioca la sua santità».
Anche la preghiera personale, in questo contesto, non è qualcosa di isolato e di slegato dal
resto del servizio di un prete. «Non si può dire: è il momento della preghiera, lascio tutto il
resto... Bisogna da un lato imparare a progettare i momenti della preghiera nella propria
giornata», ha suggerito il Patriarca; «dall'altro imparare a vivere la preghiera negli atti del
proprio ministero».
Tratto da GENTE VENETA, n.20/2015
Articolo pubblicato su Gente Veneta
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