19/04/2012 Cina Le sfide dell’internazionalizzazione del renminbi Juan Carlos Martinez Oliva La Cina è da tempo orientata verso l’integrazione finanziaria e l’internazionalizzazione del renminbi. In un contesto internazionale dominato dall’incertezza, l’accesso al mercato finanziario globale può tuttavia rappresentare un obiettivo difficile e rischioso per un’economia emergente quale quella cinese, la cui politica economica è oggi ambiziosamente impegnata su numerosi altri fronti. Per questa ragione, pur senza rinunciare all’obiettivo di perseguire lo status di valuta internazionale per il renminbi, le autorità cinesi si sono mosse sinora con cauto gradualismo, ricorrendo alla sperimentazione di nuovi regimi valutari in aree circoscritte. Convertibilità L’obiettivo della convertibilità nel medio periodo è formalmente inscritto nel XII Piano quinquennale per il 2011-2015. L’interesse ad ampliare il grado di apertura finanziaria dell’economia cinese è tuttavia ben precedente. Già nel 2002 le autorità avevano introdotto il Qualified Foreign Institutional Investors, un programma che consentiva agli investitori esteri la compravendita di titoli di borsa denominati in renminbi. È seguito nel 2006 un programma denominato Qualified Domestic Institutional Investor, atto a fornire alle istituzioni finanziarie nazionali l’opportunità di acquisire strumenti finanziari sui mercati esteri. Sempre nell’ambito di una strategia di graduale ammorbidimento dei controlli ai flussi di capitale, si è consentito l’accesso degli investitori esteri privati e pubblici al mercato interbancario di titoli denominati in renminbi. Infine, sono stati rimossi i vincoli ai trasferimenti tra conti bancari individuali a Hong Kong, con positive ricadute sullo sviluppo del mercato finanziario locale. Di fronte a tali sviluppi è legittimo domandarsi quali siano le implicazioni dello sviluppo del mercato offshore di Hong Kong per il vigente regime di controllo dei movimenti di capitale. Prigionieri del mercato L’esperienza europea degli anni sessanta e settanta insegna che lo sviluppo del mercato dell’eurodollaro rappresentò una fonte di problemi per le autorità monetarie dei paesi del Gruppo dei dieci, che raccoglieva le principali economie mondiali. L’eurodollaro aveva la capacità di sfuggire al controllo delle autorità monetarie e frustrava le politiche creditizie nazionali perché le banche avevano l’opportunità di attingere fondi all’estero. I responsabili delle banche centrali ebbero l’impressione di essere “prigionieri del mercato”. Il controllo sugli aggregati e sui tassi veniva indebolito dalla massa consistente di eurodollari sul mercato internazionale. Laddove permanevano controlli ai movimenti dei capitali, gli operatori erano in grado di eluderli. Vi è il rischio che le autorità monetarie cinesi possano trovarsi in futuro a fronteggiare una situazione analoga? Questa possibilità è estremamente improbabile, come suggeriscono le seguenti considerazioni. Innanzi tutto, previsioni recenti suggeriscono che la dimensione dei depositi bancari offshore denominati in renminbi in percentuale di quelli sul territorio nazionale cinese per il 2010-2020 sarà notevolmente inferiore a quanto si realizzò per la quota di depositi bancari in eurodollari in percentuale sul totale dei depositi sul territorio nazionale degli Stati Uniti nel 1963-1973. Il potenziale destabilizzante del mercato offshore di Hong Kong dovrebbe pertanto essere assai più lieve di quanto avvenne nel caso del mercato dell’eurodollaro negli anni sessanta. Inoltre, il sistema di controlli valutari e ai movimenti di capitale vigente oggi in Cina è certamente più stretto di quanto avvenisse sul mercato dell’eurodollaro nell’esperienza degli anni sessanta. Per esempio, le banche di Hong Kong possono offrire credito alla clientela in renminbi offshore, ma con stretti limiti ai ritmi di aumento. Esse sono altresì vincolate da accordi con le autorità nazionali cinesi nella formulazione dei tassi sui depositi applicati alla clientela. Si può dire che mentre un eurodollaro rimane sempre un dollaro, un renminbi cinese è differente da un renminbi offshore. Condizioni da realizzare Studi recenti argomentano che i controlli ai movimenti di capitale in Cina sono ancora oggi pienamente funzionanti. Le autorità monetarie cinesi controllano con efficacia il processo di internazionalizzazione della loro moneta. Esse inoltre appaiono ben consapevoli dei rischi di una crescente esposizione ai flussi finanziari dall’estero per il loro sistema bancario domestico. È fuor di dubbio che i controlli ai movimenti di capitale limitano le scelte finanziarie dei risparmiatori cinesi, che non hanno alternative all’investimento immobiliare. Essi rallentano altresì l’obiettivo dell’internazionalizzazione perché gli investitori esteri non hanno alcun incentivo a detenere una valuta che non può essere reinvestita nel territorio di origine. Un felice conseguimento della convertibilità del conto capitale necessita però di condizioni che non sono tuttora realizzate: la costruzione di un settore finanziario solido e caratterizzato da una adeguata governance degli istituti bancari e finanziari; un valido strumentario legale, di vigilanza, di regolazione, e di gestione delle crisi, coadiuvato da meccanismi credibili di controllo della liquidità; un regime di cambi pienamente flessibile. Va peraltro ricordato che lo stretto regime di controlli vigente ha tuttavia sino ad oggi protetto la Cina da episodi quali la crisi asiatica del 1997 e le turbolenze finanziarie internazionali degli ultimi anni. È dunque improbabile che le autorità cinesi deflettano nei prossimi anni da un gradualismo: questo ha sinora consentito una transizione sicura verso il nuovo equilibrio. Il rischio di destabilizzare gravemente un assetto bancario e finanziario tuttora fragile e scarsamente sviluppato è troppo elevato, anche di fronte ai tangibili vantaggi che l’apertura finanziaria della Cina potrebbe comportare. Prudenza e gradualismo È prevedibile che l’internazionalizzazione del renminbi apporterà nel lungo termine notevoli benefici all’economia cinese. Tra questi, la possibilità di denominare le proprie attività finanziarie e il proprio commercio estero in moneta nazionale, in tal modo riducendo le implicazioni destabilizzanti delle fluttuazioni del cambio con il dollaro sull’economia interna. La prudenza e il gradualismo appaiono tuttavia la scelta più opportuna, se si vuole evitare che siffatti benefici siano annullati dai costi e dai potenziali rischi di una transizione prematura. Juan Carlos Martinez Oliva, Peterson Institute for International Economics e la Banca d’Italia.