TU E DINTORNI PRIMA PAGINA L’attualità sui banchi di scuola Costano alle famiglie dai 200 agli 800 euro al mese Ragazzi d’oro La crisi ha inflitto un duro colpo ai consumi, ma quelli dei teen-ager non calano. Ragazzi d’oro: un bel complimento di genitori compiaciuti ai loro figli. Ma non è il nostro caso. Qui “d’oro” vuol dire costosi come l’oro, il metallo biondo che da sempre è simbolo di valore e che con la crisi finanziaria è schizzato alle stelle. È un dato che stupisce in tempi di crisi, ma è proprio così: mentre tutti i consumi si contraggono, quelli dei teen-ager sembrano non conoscere crisi. Tengono o oscillano dello zero virgola. Praticamente sono invariati. I ragazzi italiani, ad esempio, – ma non è diversa la situazione negli altri paesi industrializzati – costano alle loro famiglie non meno di duecento euro, ma si arriva anche agli ottocento, al mese. Le famiglie italiane negli ultimi anni hanno tagliato sempre di più i consumi. Hanno cominciato da quelli voluttuari (cinema, divertimento, pranzi al ristorante) per passare all’abbigliamento, all’arredamento fino ad arrivare alle spese per la salute e, da ultimo, ai beni di prima necessità, come pane e pasta. Ma tagliare i consumi per i figli sembra essere per le famiglie proprio l’ultima spiaggia, tanto che molti genitori sono propensi anche a indebitarsi pur di evitarlo. È solo perché i genitori non sanno più dire di no ai figli? O capita perché i ragazzi sono dei consumisti a prescindere? Oppure perché sono particolarmente bravi a chiedere e ottenere, magari in cambio di un maggior impegno a scuola o di un ritorno a casa in orari accettabili nel fine settimana? O sono i genitori ad essere dei consumisti incalliti che, frustrati dalle ristrettezze imposte dalla crisi, si concedono una valvola di sfogo, lasciando che almeno i ragazzi continuino a consumare? Probabilmente c’è un po’ di vero in ciascuna di questa ipotesi, ma ci sono anche altri aspetti da considerare. Per esempio, per i ragazzi un ruolo fondamentale è giocato dal gruppo. Se tutti hanno quel jeans, quella maglietta, quel cappellino, quel cellulare, esserne privo provoca un senso di esclusione. “Ce l’hanno tutti” è una della motivazioni considerate decisive da ragazzi e ragazze nelle loro rivendicazioni. Naturalmente i genitori potrebbero rispondere che il fatto che ce l’abbiano tutti, non è un motivo per comprare qualcosa di su- 1 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo perfluo o di inutilmente costoso. Ma non succede o succede raramente. Anche per i genitori il fattore “ce l’hanno tutti” risulta in genere decisivo. Probabilmente, ritengono i figli particolarmente fragili e quindi non in grado di resistere senza danni psicologici alla pressione del gruppo. Un ruolo decisivo nella remissività dei genitori è giocato spesso dai sensi di colpa. Comprare qualcosa, fare un regalo, per molti genitori è una compensazione per il poco tempo dedicato ai figli o per le lunghe assenze da casa, non importa se imposte dal lavoro o dalle circostanze. Questo sembra confermato dal fatto che statisticamente a spendere di più sono i genitori separati e i genitori single, che mediamente spendono per i figli oltre 550 euro al mese. C’è poi un aspetto pratico che rende difficile controllare la spesa per i figli. Le spese per i ragazzi sono costituite da tante piccoli voci – gli spiccioli per il panino, per il dolce, per la bibita o i pochi euro per la ricarica o la cover del telefonino… – che le rendono indolori e difficili da quantificare. C’è un motivo più generale che rende la posizione dei genitori molto debole nel resistere alle pulsioni consumistiche dei figli. Unico alleato dei genitori in questa battaglia può essere infatti la scuola, mentre televisione, pubblicità, massmedia remano decisamente nella direzione del consumismo, soprattutto la pubblicità che dilaga in televisione, sui giornali, in Internet e segna sempre più il paesaggio delle nostre città con una vera e pro- pria selva di messaggi pubblicitari. D’altra parte, un giorno sì e l’altro pure politici, imprenditori perfino sindacalisti ripetono che bisogna rilanciare i consumi perché si riprenda l’economia… Il motivo di fondo però è che i genitori stessi, pur se frenati dalla situaziona contingente, hanno in genere una mentalità consumista, considerano cioè un valore poter spendere e un disvalore non poterlo fare. Considerano realizzata una persona se può “avere” una serie di oggetti, fallita se non ha la possibilità di procurarseli. Negare o comprimere i consumi di un figlio o di una figlia per un genitore consumista equivale, quindi, a condannarlo o a condannarla all’irrilevanza sociale e comprometterne il percorso sulla strada del successo, misurato con la capacità di spendere e di consumare. È significativo che tra le voci di spesa immancabili per un ragazzino o un adolescente ci sia la paghetta settimanale. La motivazione ufficiale dei genitori è che la paghetta serve a responsabilizzare il figlio o la figlia, a far capire loro il valore dei soldi. In realtà la paghetta settimanale – grande o piccola che sia – è una specie di iniziazione all’età adulta. Prima, molto prima, del diritto al voto nella nostra società ci viene riconosciuto il diritto a spendere e a consumare. Benvenuto tra gli adulti: sei un consumatore! Puoi spendere finalmente in prima persona, ma non ti preoccupare, perché sei stato preparato a questo dalla nascita. Sei un nativo consumista. 2 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo Lavoriamoci su 1. Che cosa vuol dire qui l’espressione “ragazzi d’oro”? 2. Quali consumi hanno tagliato le famiglie italiane? 3. Secondo te, perché i genitori separati spendono per i figli più della media? 4. A chi è affidato in modo particolare il compito di promuovere i consumi? Il turboconsumismo Tutte le parole che terminano in -ismo indicano un’esagerazione, un eccesso, un comportamento patologico. Non fa eccezione la parola “consumismo” che indica la tendenza al consumo eccessivo di beni economici (prodotti, oggetti, servizi). In particolare, vuol dire la tendenza a consumare beni inutili o superflui, avvertiti però dal consumatore come necessari e indispensabili. Far avvertire come necessari e indispensabili per il proprio benessere e la propria felicità beni inutili o addirittura dannosi è compito della pubblicità. Si tratta di messaggi molto sofisticati, studiati a tavolino da professionisti, per coinvolgere e convincere i consumatori. Così siamo bombardati da messaggi studiati ad hoc da professionisti della comunicazione per trasformarci in consumatori insoddisfatti, cioè in persone che, anche se dispongono di una grande quantità di beni, desiderano continuamente qualcosa di nuovo: l’ultimo prodotto, l’ultimo ritrovato, l’ultimo modello… L’insoddisfazione del consumatore – i pubblicitari lo avevano già capito all’inizio del Novecento – è la chiave del consumismo. Per esempio, l’insoddisfazione del proprio corpo è una spinta straordinaria per l’espansione dell’industria della bellezza, a partire dai cosmetici, per passare all’abbigliamento, alle palestre, alle body farm, fino ad arrivare alle cliniche per la chirurgia estetica. Siccome le donne presentano un livello di consumi sicuramente superiore a quelli maschili, l’ultima frontiera della pubblicità è quella di riuscire a imporre anche ai maschi gli stessi consumi diventati ormai tradizionali per le donne. Così anche tra i maschi negli ultimi anni si sono diffusi la depilazione, il disegno delle sopracciglia, le lampade abbronzanti, l’uso di cosmetici, di orecchini, di borselli, di abiti firmati… Il consumismo è come una droga – più si ha e più si vuole avere –e il mercato dei paesi capitalisti è fatto in modo da soddisfare qualsiasi desiderio del con3 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo sumatore, mettendo a sua disposizione una quantità e una varietà incredibile di prodotti. La pubblicità serve a far conoscere i prodotti ai consumatori e a convincerli che non se ne può fare a meno, perché aumentano il nostro benessere, perché ci rendono più attraenti, perché favoriscono il successo, perché… Così quotidiani, riviste, programmi televisivi, siti Internet, ma anche i muri delle città, i mezzi pubblici e luoghi molto frequentati come gli stadi, le stazioni ferroviarie, le metropolitane sono zeppi di immagini pubblicitarie, immagini prodotte proprio per condizionare il nostro modo di pensare e per convertire tutti i nostri desideri e le nostre aspirazioni in impulsi a comprare. La cosa più paradossale è che il prodotto più venduto è… la pubblicità. Il fatturato della pubblicità supera quello delle merci propagandate, proprio perché è la pubblicità a creare quei bisogni artificiali, che ci portano a comprare prodotti del tutto inutili o di cui potremmo fare a meno, senza cambiare la qualità della nostra vita. Lo shopping compulsivo Questa spinta continua a comprare e a consumare può addirittura assumere delle forme parossistiche e diventare un vero e proprio disturbo psicologico di cui soffre ormai il 5 per cento della popolazione italiana, di cui l’85 per cento è composto da donne. Si tratta del cosiddetto shopping compulsivo, che consiste in una costrizione psichica a comprare in modo esagerato, senza tenere conto delle proprie reali possibilità finanziare e delle caratteristiche di ciò che si compra. Chi soffre di questo disturbo riesce a liberarsi dall’ansia solo comprando, anche cose del tutto inutili e fuori della portata delle proprie possibilità finanziarie; ma poi l’ansia torna e si torna a comprare, a comprare, a comprare… Il consumatore compulsivo è una persona malata, ma molti sani non sembrano molto diversi, nella nostra società turboconsumista. Lavoriamoci su 1. Che cos’è il consumismo? 2. Chi è il consumatore insoddisfatto? 3. Qual è il compito della pubblicità? 4. Che cos’è lo shopping compulsivo? 5. Che cosa vuol dire turbo consumismo? 4 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo La nascita del consumismo I nativi consumisti, cioè le generazioni nate in un periodo e in un ambiente profondamente segnati dal consumismo, sono portati a pensare che il consumismo sia sempre esistito. Ritengono cioè che l’uomo per natura sia portato a desiderare e a consumare in modo incontrollato. In realtà non è così. Il consumismo è un fenomeno sociale abbastanza recente e abbastanza limitato nello spazio: è nato un secolo fa e ha interessato a lungo solo i paesi industrializzati, cioè l’Europa, gli USA, il Giappone e l’Australia. Ecco come racconta la nascita del consumismo l’economista e saggista Jeremy Rifkin. Per agevolare la comprensione del testo, l’abbiamo corredato di note esplicative a margine. Quando la pubblicità partorì il consumista di Jeremy Rifkin da La fine del lavoro, Baldini e Castoldi, pag. 46ss Negli anni Venti, mentre la produttività cresceva drammaticamente e un numero sempre più grande di lavoratori veniva messo sulla strada, le vendite crollavano; la stampa iniziava a parlare di «sciopero dei consumatori» e di «mercato limitato». Davanti allo spettro di una produzione eccessiva e di una domanda insufficiente, le imprese americane iniziarono a far leva sulla risorsa della pubblicità per scuotere il pubblico. […] Il mondo delle imprese sperava, convincendo chi aveva ancora un lavoro a consumare di più e risparmiare di meno, di vuotare i propri magazzini e di mantenere l’economia americana in crescita. La crociata per trasformare i lavoratori americani in «consumatori di massa» divenne nota come il «Vangelo del consumo». La parola «consumo» ha radici anglosassoni e latine. Nella sua accezione originale il termine «consumare» ha significato di distruggere, esaurire, spogliare. Il termine ha un contenuto violento e, fino a tempi molto recenti, ha avuto una connotazione esclusivamente negativa. […] La metamorfosi del consumo, da vizio a virtù, è uno dei fenomeni più importanti del XX secolo. Convertire gli Americani dalla psicologia della sobrietà a quella della spesa si rivelò un compito assai difficile. […] La parsimonia e il risparmio erano le chiavi di volta dello stile di vita americano, elementi fondamentali della tradizione yankee che aveva avuto una funzione di guida per intere generazioni di americani e che costituiva un punto di riferimento per milioni di emigranti che speravano in un fu- 5 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA La produzione di beni era aumentata, ma le vendite diminuivano; perciò molti lavoratori venivano licenziati. Mercato limitato: solo pochi avevano i mezzi per comprare i nuovi prodotti. Accezione: significato. Metamorfosi: trasformazione. Psicologia della sobrietà: abitudine a consumare il meno possibile. Tradizione yankee: il modo di pensare dei pionieri. Adolescenti e consumismo turo migliore per sé e i propri figli. Per la maggioranza degli americani, le virtù del sacrificio di se stessi continuava ad avere il sopravvento sul richiamo dell’immediata gratificazione che si poteva ottenere sul mercato. La comunità degli affari americana si diede il compito di cambiare radicalmente la psicologia che aveva costruito la nazione, con l’obiettivo di trasformare gli americani da investitori del futuro a consumatori nel presente. I leader delle imprese capirono subito che, per fare in modo che la gente «volesse» beni che non aveva mai desiderato prima, dovevano creare «il consumatore insoddisfatto». Charles Kettering, della General Motors, fu tra i primi apostoli del Vangelo del consumo. La General Motors aveva già iniziato a introdurre variazioni annuali nei modelli di automobile che produceva e a realizzare campagne pubblicitarie pensate per rendere il consumatore insoddisfatto dell’automobile che possedeva. «La chiave della prosperità economica», affermava Kettering, «è la creazione organizzata dell’insoddisfazione». L’economista John Kenneth Galbraith, anni dopo, ha sintetizzato l’affermazione osservando che la nuova missione dell’attività d’impresa era «creare i bisogni che vuole soddisfare». L’enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino ai prima anni del secolo, venne improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. Negli anni Venti emerse un nuovo campo di analisi della teoria economica, l’«economia del consumo», e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuali al comportamento del consumatore. Il marketing, che fino a quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza. […] Trasformare il lavoratore americano in un consumatore conscio del proprio status sociale era un impegno radicale. La maggior parte degli americani produceva da sé, in casa propria, la gran parte dei beni che consumava. I pubblicitari ricorsero a ogni mezzo e occasione per denigrare i prodotti «fatti in casa» e per celebrare la gloria di quelli «acquistati» e «di fabbrica».I giovani erano il bersaglio privilegiato: i messaggi pubblicitari erano orientati a farli vergognare di indossare o usare prodotti fatti in casa; la linea di frontiera venne definita nella distinzione tra l’essere «moderni» o «fuori moda». La paura di essere lasciati indietro si è rivelata una potente motivazione per stimolare la spesa. 6 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA …da investitori del futuro a consumatori del presente: trasformarli da risparmiatori a consumatori. General Motors: industria automobilistica. Marketing: tecniche di vendita dei prodotti. Adolescenti e consumismo Domande in linea 1. Qual era obiettivo del «Vangelo del consumo»? 2. Quali erano i valori più importanti della tradizione yankee? 3. Che cosa vuol dire l’espressione «consumatore insoddisfatto»? 4. Perché la General Motors cambiava ogni anno i modelli delle sue automobili? 5. Che cosa vuol dire che «la nuova missione dell’attività d’impresa era “creare i bisogni che vuol soddisfare”»? 6. Perché i pubblicitari screditavano i prodotti fatti in casa? Un sistema insostenibile Il consumismo è un sistema produttivo molto dispendioso, perché induce a consumare per motivi futili o senza alcuna necessità risorse naturali spesso scarse o limitate. Questo modello di sviluppo è il maggior responsabile dei pericoli che minacciano il pianeta Terra (inquinamento ambientale, desertificazione, riscaldamento globale, ecc). Tra i compiti della pubblicità c’è anche quello di occultare quanto più possibile questo problema, cercando di far dimenticare al consumatore di essere direttamente responsabile con i propri acquisti del degrado e della distruzione ambientali. Tra i suoi obiettivi c’è anche quello di produrre il «consumatore indifferente» ai guasti ambientali indotti dal proprio comportamento. Consumatori indifferenti di George Monbiot, The Guardian, Regno Unito da Internazionale 1031, 20 dicembre 2013 I sensi di colpa fanno bene. Sono quelli che distinguono le persone sane dagli psicopatici, sono un sentimento che caratterizza le persone empatiche. Ma i sensi di colpa inibiscono i consumi e, per soffocarli, l’industria globale ha sviluppato una rete di celebrità, cartoni animati e musica d’atmosfera che cerca di convincerci a non provare sentimenti. A quanto pare funziona: dall’indagine Grendex del 2012 risulta che in media gli abitanti dei paesi poveri si sentono più in colpa di quelli dei paesi ricchi riguardo al proprio impatto sulla natura. Si provano meno sensi di colpa in Germania, negli Stati Uniti, in Australia e nel Regno Unito, mentre le preoccupazioni maggiori si provano in India, Cina, Messico e Brasile. «I consumatori di paesi come il Messico, il Brasile, la Cina e l’India» afferma l’indagine, «si curano più di questioni come il cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, la contaminazione delle acque, la distruzione 7 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo della biodiversità e la carenza di acqua potabile. Invece, tra i consumatori statunitensi, francesi e britannici i timori maggiori sono legati all’economia e al costo dell’energia». Penso che nei paesi più poveri l’empatia non sia stata ancora indebolita da decenni di consumismo irragionevole. […] Il consumismo ci costringe a spianare le montagne, a disseminare la superficie del pianeta di fori giganteschi, a maneggiare i prodotti di questa distruzione per qualche attimo fugace e poi a smaltire i materiali in un altro foro. Un rapporto della Gaia foundation rivela che l’estrazione mineraria cresce a pieno ritmo: in dieci anni la produzione di cobalto è aumentata del 165 per cento e quella di minerale di ferro del 180 per cento. I prodotti di questa devastazione sono contenuti in ogni cosa: dispositivi elettronici, plastica, ceramica, vernici, tinture. […] L’inflessibile dio della crescita vuole che spendiamo fino a lasciar cadere il mondo della natura nell’oblio. Domande in linea 1. Quali danni provoca il consumismo alla natura? 2. Perché il consumismo è definito «irragionevole»? 3. «…disseminare la superficie del pianeta di fori giganteschi»: che cosa sono i fori a cui allude l’articolista? 4. «…smaltire i materiali in un altro foro»: e qui di che cosa si parla? 5. Riscrivi l’ultimo paragrafo («L’inflessibile dio della crescita…») chiarendone il significato. IL COSTUME LA LEGGE La pubblicità ingannevole Il decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145 definisce i criteri per valutare se una pubblicità è ingannevole e detta le regole per una corretta pubblicità, in modo particolare per la pubblicità di tipo comparativo. All’art. 1, si afferma che la pubblicità deve essere «palese, veritiera e corretta». «Palese» vuol dire che – qualunque sia il canale utilizzato – deve essere evidente che si tratta di un messaggio pubblicitario, che non deve essere, quindi, contrabbandato come informazione, cronaca o commento. «Veritiera» vuol dire che il messaggio pubblicitario deve dire la verità e non può mentire sulle reali caratteristiche del prodotto. «Corretta» vuol dire che la pubblicità non deve essere ingannevole. 8 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo La pubblicità è considerata ingannevole quando è in grado di indurre in errore una persona o un’impresa commerciale, influenzando il suo comportamento economico, inducendola cioè a comprare o a non comprare un prodotto. In particolare, è considerata ingannevole qualunque pubblicità rivolta a bambini e adolescenti, che li induca a comprare o a non comprare un prodotto, sfruttando la loro «naturale credulità» e la loro inesperienza. È considerata ingannevole qualunque pubblicità che minacci la sicurezza di bambini e adolescenti. La pubblicità comparativa è un tipo particolare di pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente, paragonando il proprio prodotto con quello della ditta concorrente. Nel raffronto le caratteristiche del proprio prodotto saranno esaltate mentre quelle del prodotto concorrente saranno sminuite. È evidente che il rischio di esagerare, denigrando il prodotto concorrente, sia molto alto. Per tutelare consumatori e produttori e per sanzionare i comportamenti scorretti, la legge ha istituito un’Autorità garante della correttezza pubblicitaria. L’Autorità garante, per vigilare e sanzionare, usa la Guardia di finanza. In caso di pubblicità ingannevole, l’Autorità garante può invitare i responsabili della pubblicità ad auto correggersi, cambiando o togliendo dal mercato la pubblicità considerata ingannevole. L’autorità può anche bloccare la diffusione di una pubblicità o di sospenderla per accertamenti. In caso di violazione palese della correttezza, l’Autorità garante può sanzionare i responsabili con una multa da 2.000 a 20.000 euro; in caso di pubblicità non veritiera la sanzione oscilla tra i 4.000 e i 40.000 euro. Testo Se una pubblicità vi offende, dice il falso, è volgare o incoraggia la violenza, potete segnalarla a IAP, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Bastano un clic sul sito www.iap.it e cinque minuti per compilare il modulo. IAP tiene sotto controllo i grandi mass media nazionali, ma qualche campagna locale o sul web può sfuggire: per questo le vostre segnalazioni sono così importanti. Le campagne segnalate vengono esaminate nel giro di pochi giorni agli organismi di controllo. Una campagna bloccata da IAP non può più essere né pubblicata né trasmessa. Online c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Se volete dare una mano, non ripubblicate le campagne già bloccate dall’Autodisciplina. 1. Analizzate il messaggio pubblicitario: a quale tipo di scorrettezza rimanda ciascuna immagine? 2. Che cos’è lo IAP? Qual è il suo compito? 3. Che cosa succede a una pubblicità bloccata dallo IAP? 4. Qual è la «cosa giusta» a cui allude lo slogan? 5. Quali sono i tempi di intervento garantiti nel messaggio pubblicitario? 9 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo Suggestioni letterarie e linguistiche Il messaggio pubblicitario La pubblicità nasce dal bisogno di un’industria di reclamizzare un proprio prodotto perché il consumatore lo conosca, lo ricordi, ne sia incuriosito, lo desideri e lo acquisti. Per questo, il messaggio pubblicitario deve attirare, interessare, incuriosire, coinvolgere, convincere. Il messaggio pubblicitario è una forma di comunicazione molto sofisticata prodotta da professionisti della comunicazione, le agenzie pubblicitarie, che utilizzano tutti i mezzi a disposizione (la lingua, la grafica, le immagini, i suoni, le animazioni, gli effetti speciali…) e fanno ricorso alla più sofisticate tecniche comunicative per convincere il consumatore a comprare anche… qualcosa di cui non ha assolutamente bisogno. Come abbiamo visto, la pubblicità è stata un po’ la levatrice che ha fatto nascere il consumismo. Analizziamo il messaggio pubblicitario, utilizzando lo schema classico della comunicazione: emittente, messaggio, canale, destinatario. Emittenti Ditta produttrice Commissiona e finanzia la campagna pubblicitaria. Agenzia pubblicitaria Cura l’ideazione, la realizzazione e la distribuzione del messaggio pubblicitario Nel messaggio pubblicitario scritto sono presenti sempre questi elementi Ditta produttrice Prodotto (nome ed eventualmente immagine) Slogan Testo Agenzia pubblicitaria Canali Sono i mezzi di comunicazione attraverso i quali sarà diffuso il messaggio pubblicitario. Carta stampata: giornali e riviste Manifesti murali Radio TV Cinema Internet Destinatari Consumatori Messaggio pubblicitario Universali Selezionati La committenza della pubblicità è rappresentata dalle imprese, che investono in pub- 10 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo blicità per far conoscere e per vendere i loro prodotti. Per le imprese è importante imporre un marchio. Tecniche pubblicitarie vengono utilizzate sempre più anche per far conoscere e imporre i candidati politici, trattati spesso come veri e propri prodotti da rendere graditi agli elettori-consumatori. In questo caso, sarebbe più corretto parlare di propaganda politica. Un tipo particolare di pubblicità è la cosiddetta pubblicità-progresso, che non si pone fini commerciali, ma educativi; si rivolge cioè ai cittadini per sensibilizzarli su temi politici e sociali. Ecco una tipica pubblicità comparativa, in cui vengono paragonati due prodotti che si fanno concorrenza sul mercato. Prodotti in concorrenza. Parola chiave: differenza. Testo. Rispondi: 1) Qual è la differenza, secondo il messaggio pubblicitario? 2) Quali elementi rafforzano il concetto in tutto il messaggio pubblicitario? 3) Perché lo sfondo riprende il colore della confezione del prodotto pubblicizzato? 4) Qual è il prodotto colto per prima dallo sguardo? Marchio (ditta che fa la pubblicità). Slogan Riprende un detto di saggezza popolare: sano come un pesce 11 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo Come si vede dall’esempio, nel messaggio pubblicitario niente è lasciato al caso, ma tutti gli elementi concorrono a rafforzare il messaggio di base: i due prodotti sono differenti e solo uno, quello pubblicizzato, è veramente una pasta per bambini e solo uno, quello pubblicizzato, è veramente sano. Lo slogan «sano come un (pesce) Plasmon», il color arancione che ricorda quello del sole che fa maturare il grano, il confronto dei risultati della analisi che dà un tocco di scientificità, l’uso di termini specifici (pesticidi, micotossine), il riferimento alla certificazione di un laboratorio indipendente e alla normativa ISO, l’accenno ai contaminanti che potrebbero essere presenti nel prodotto concorrente, il tono assertivo del testo: tutto concorre a convincere il consumatore che l’unico prodotto veramente sano è quello pubblicizzato. L’accenno alle mamme ci fa capire chi è il destinatario a cui è rivolto il messaggio pubblicitario. Il testo comincia con un tono volutamente grave: «Molte mamme usano pasta per adulti anche per bambini con meno di 3 anni». Quasi un vago rimprovero per la povera mamma che compra prodotti per adulti per il suo bambino. Finirà poi per sentirsi un po’ in colpa, sapendo che rischia di far mangiare al proprio bambino cibo in cui sono presenti dei contaminanti pericolosi per la salute del piccolo. E quella confezione scura del prodotto concorrente, estraneo nel mare di luce dello sfondo arancione, finisce per essere quasi minacciosa. No meglio comprare Plasmon che «dà il meglio» per il proprio bambino. A voi il compito di analizzare la risposta della Barilla. 1. Perché nello slogan si fa riferimento alle mamme? 2. Perché vicino al pacco di pasta è posto un prodotto della linea “Mulino Bianco”? 3. A che cosa si appella Barilla per ribadire la bontà dei propri prodotti? 4. Che cosa suggerisce lo slogan «Dove c’è Barilla c’è casa»? 5. Quale dei due messaggi ritieni più convincente? Perché? 12 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA Adolescenti e consumismo Percorso di ricerca Fai una ricerca sui messaggi pubblicitari e sulle propagande elettorali ritrovati negli scavi di Pompei e riassumi il risultato in una relazione di almeno venti righi. Risorse di rete Per i docenti i libri di riferimento possono essere: Naomi Klein, No logo, Bur, 2001; Zygmunt Bauman, Consumo dunque sono, Laterza, 2009. Il tema del consumismo compulsivo è stato analizzato anche da numerosi film e documentari che si sono succeduti negli ultimi anni, che analizzano ciascuno un singolo aspetto del fenomeno consumistico. Alcuni esempi: Essi vivono di John Carpenter del 1988, che opera una critica della società consumistica e verso la pubblicità che condiziona la vita e i bisogni degli esseri umani The Corporation di Marck Achbar e Jennifer Abbott del 2004, che analizza il ruolo delle multinazionali nell’economia globale, ne analizza profitti e ne denuncia i danni sociali e ambientali. Fast food nation di Richard Linklater del 2007, che concentra la sua analisi sul consumo eccessivo di carne da parte dei consumatori e il suo impatto sull’alimentazione e sulla sua sicurezza. Home di Yann Arthus-Bertrand, film documentario che tocca soprattutto il tema dell’impatto ambientale dei nostri consumi. È reperibile su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=jqxENMKaeCU (in inglese con sottotitoli con migliore qualità delle immagini) http://www.youtube.com/watch?v=I1fQ-3-CEFg (in italiano) Vi sono inoltre diversi siti di lotta e di denuncia contro il consumismo, di cui forniamo di seguito alcuni esempi: https://www.facebook.com/BoicoteOConsumismo?fref=ts http://www.decrescita.com/ https://www.facebook.com/sportello.consumatori.online?fref=ts https://www.facebook.com/ConSuMismoConscienteRedDeBienestar?fref=ts 13 © Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA