TU
E
DINTORNI
PRIMA PAGINA
L’attualità sui banchi di scuola
Costano alle famiglie dai 200 agli 800 euro al mese
Ragazzi d’oro
La crisi ha inflitto un duro colpo ai consumi,
ma quelli dei teen-ager non calano.
Ragazzi d’oro: un bel complimento di
genitori compiaciuti ai loro figli. Ma non
è il nostro caso. Qui “d’oro” vuol dire costosi come l’oro, il metallo biondo che da
sempre è simbolo di valore e che con la
crisi finanziaria è schizzato alle stelle. È
un dato che stupisce in tempi di crisi, ma
è proprio così: mentre tutti i consumi si
contraggono, quelli dei teen-ager sembrano non conoscere crisi. Tengono o oscillano dello zero virgola. Praticamente
sono invariati. I ragazzi italiani, ad esempio, – ma non è diversa la situazione negli altri paesi industrializzati – costano
alle loro famiglie non meno di duecento
euro, ma si arriva anche agli ottocento, al
mese.
Le famiglie italiane negli ultimi anni
hanno tagliato sempre di più i consumi.
Hanno cominciato da quelli voluttuari
(cinema, divertimento, pranzi al ristorante) per passare all’abbigliamento, all’arredamento fino ad arrivare alle spese per
la salute e, da ultimo, ai beni di prima necessità, come pane e pasta. Ma tagliare i
consumi per i figli sembra essere per le
famiglie proprio l’ultima spiaggia, tanto
che molti genitori sono propensi anche a
indebitarsi pur di evitarlo.
È solo perché i genitori non sanno più
dire di no ai figli? O capita perché i ragazzi sono dei consumisti a prescindere?
Oppure perché sono particolarmente bravi a chiedere e ottenere, magari in cambio di un maggior impegno a scuola o di
un ritorno a casa in orari accettabili nel
fine settimana? O sono i genitori ad essere dei consumisti incalliti che, frustrati
dalle ristrettezze imposte dalla crisi, si
concedono una valvola di sfogo, lasciando che almeno i ragazzi continuino a
consumare?
Probabilmente c’è un po’ di vero in
ciascuna di questa ipotesi, ma ci sono anche altri aspetti da considerare.
Per esempio, per i ragazzi un ruolo
fondamentale è giocato dal gruppo. Se
tutti hanno quel jeans, quella maglietta,
quel cappellino, quel cellulare, esserne
privo provoca un senso di esclusione.
“Ce l’hanno tutti” è una della motivazioni considerate decisive da ragazzi e ragazze nelle loro rivendicazioni. Naturalmente i genitori potrebbero rispondere
che il fatto che ce l’abbiano tutti, non è
un motivo per comprare qualcosa di su-
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© Medusa Editrice 2014 – Matteo Speraddio, In PRIMA PAGINA
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perfluo o di inutilmente costoso. Ma non
succede o succede raramente. Anche per i
genitori il fattore “ce l’hanno tutti” risulta
in genere decisivo. Probabilmente, ritengono i figli particolarmente fragili e
quindi non in grado di resistere senza
danni psicologici alla pressione del gruppo.
Un ruolo decisivo nella remissività
dei genitori è giocato spesso dai sensi di
colpa. Comprare qualcosa, fare un regalo,
per molti genitori è una compensazione
per il poco tempo dedicato ai figli o per
le lunghe assenze da casa, non importa se
imposte dal lavoro o dalle circostanze.
Questo sembra confermato dal fatto che
statisticamente a spendere di più sono i
genitori separati e i genitori single, che
mediamente spendono per i figli oltre
550 euro al mese.
C’è poi un aspetto pratico che rende
difficile controllare la spesa per i figli. Le
spese per i ragazzi sono costituite da tante piccoli voci – gli spiccioli per il panino, per il dolce, per la bibita o i pochi euro per la ricarica o la cover del telefonino… – che le rendono indolori e difficili
da quantificare.
C’è un motivo più generale che rende
la posizione dei genitori molto debole nel
resistere alle pulsioni consumistiche dei
figli. Unico alleato dei genitori in questa
battaglia può essere infatti la scuola,
mentre televisione, pubblicità, massmedia remano decisamente nella direzione del consumismo, soprattutto la pubblicità che dilaga in televisione, sui giornali,
in Internet e segna sempre più il paesaggio delle nostre città con una vera e pro-
pria selva di messaggi pubblicitari.
D’altra parte, un giorno sì e l’altro pure
politici, imprenditori perfino sindacalisti
ripetono che bisogna rilanciare i consumi
perché si riprenda l’economia…
Il motivo di fondo però è che i genitori stessi, pur se frenati dalla situaziona
contingente, hanno in genere una mentalità consumista, considerano cioè un valore poter spendere e un disvalore non
poterlo fare. Considerano realizzata una
persona se può “avere” una serie di oggetti, fallita se non ha la possibilità di
procurarseli.
Negare o comprimere i consumi di un
figlio o di una figlia per un genitore consumista equivale, quindi, a condannarlo o
a condannarla all’irrilevanza sociale e
comprometterne il percorso sulla strada
del successo, misurato con la capacità di
spendere e di consumare.
È significativo che tra le voci di spesa
immancabili per un ragazzino o un adolescente ci sia la paghetta settimanale. La
motivazione ufficiale dei genitori è che la
paghetta serve a responsabilizzare il figlio o la figlia, a far capire loro il valore
dei soldi. In realtà la paghetta settimanale
– grande o piccola che sia – è una specie
di iniziazione all’età adulta. Prima, molto
prima, del diritto al voto nella nostra società ci viene riconosciuto il diritto a
spendere e a consumare. Benvenuto tra
gli adulti: sei un consumatore! Puoi
spendere finalmente in prima persona,
ma non ti preoccupare, perché sei stato
preparato a questo dalla nascita. Sei un
nativo consumista.
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Adolescenti e consumismo
Lavoriamoci su
1. Che cosa vuol dire qui l’espressione “ragazzi d’oro”?
2. Quali consumi hanno tagliato le famiglie italiane?
3. Secondo te, perché i genitori separati spendono per i figli più della media?
4. A chi è affidato in modo particolare il compito di promuovere i consumi?
Il turboconsumismo
Tutte le parole che terminano in -ismo indicano un’esagerazione, un eccesso,
un comportamento patologico. Non fa eccezione la parola “consumismo” che
indica la tendenza al consumo eccessivo di beni economici (prodotti, oggetti,
servizi). In particolare, vuol dire la tendenza a consumare beni inutili o superflui, avvertiti però dal consumatore come necessari e indispensabili.
Far avvertire come necessari e indispensabili per il proprio benessere e la
propria felicità beni inutili o addirittura dannosi è compito della pubblicità. Si
tratta di messaggi molto sofisticati, studiati a tavolino da professionisti, per coinvolgere e convincere i consumatori. Così siamo bombardati da messaggi studiati ad hoc da professionisti della comunicazione per trasformarci in consumatori insoddisfatti, cioè in persone che, anche se dispongono di una grande quantità di beni, desiderano continuamente qualcosa di nuovo: l’ultimo prodotto,
l’ultimo ritrovato, l’ultimo modello…
L’insoddisfazione del consumatore – i pubblicitari lo avevano già capito
all’inizio del Novecento – è la chiave del consumismo. Per esempio,
l’insoddisfazione del proprio corpo è una spinta straordinaria per l’espansione
dell’industria della bellezza, a partire dai cosmetici, per passare
all’abbigliamento, alle palestre, alle body farm, fino ad arrivare alle cliniche
per la chirurgia estetica.
Siccome le donne presentano un livello di consumi sicuramente superiore a
quelli maschili, l’ultima frontiera della pubblicità è quella di riuscire a imporre
anche ai maschi gli stessi consumi diventati ormai tradizionali per le donne.
Così anche tra i maschi negli ultimi anni si sono diffusi la depilazione, il disegno delle sopracciglia, le lampade abbronzanti, l’uso di cosmetici, di orecchini,
di borselli, di abiti firmati…
Il consumismo è come una droga – più si ha e più si vuole avere –e il mercato dei paesi capitalisti è fatto in modo da soddisfare qualsiasi desiderio del con3
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sumatore, mettendo a sua disposizione una quantità e una varietà incredibile di
prodotti. La pubblicità serve a far conoscere i prodotti ai consumatori e a convincerli che non se ne può fare a meno, perché aumentano il nostro benessere,
perché ci rendono più attraenti, perché favoriscono il successo, perché…
Così quotidiani, riviste, programmi televisivi, siti Internet, ma anche i muri
delle città, i mezzi pubblici e luoghi molto frequentati come gli stadi, le stazioni ferroviarie, le metropolitane sono zeppi di immagini pubblicitarie, immagini
prodotte proprio per condizionare il nostro modo di pensare e per convertire
tutti i nostri desideri e le nostre aspirazioni in impulsi a comprare.
La cosa più paradossale è che il prodotto più venduto è… la pubblicità. Il
fatturato della pubblicità supera quello delle merci propagandate, proprio perché è la pubblicità a creare quei bisogni artificiali, che ci portano a comprare
prodotti del tutto inutili o di cui potremmo fare a meno, senza cambiare la qualità della nostra vita.
Lo shopping compulsivo
Questa spinta continua a comprare e a consumare può addirittura assumere delle forme parossistiche e diventare un vero e proprio disturbo psicologico di cui
soffre ormai il 5 per cento della popolazione italiana, di cui l’85 per cento è
composto da donne. Si tratta del cosiddetto shopping compulsivo, che consiste
in una costrizione psichica a comprare in modo esagerato, senza tenere conto
delle proprie reali possibilità finanziare e delle caratteristiche di ciò che si
compra. Chi soffre di questo disturbo riesce a liberarsi dall’ansia solo comprando, anche cose del tutto inutili e fuori della portata delle proprie possibilità
finanziarie; ma poi l’ansia torna e si torna a comprare, a comprare, a comprare…
Il consumatore compulsivo è una persona malata, ma molti sani non sembrano molto diversi, nella nostra società turboconsumista.
Lavoriamoci su
1. Che cos’è il consumismo?
2. Chi è il consumatore insoddisfatto?
3. Qual è il compito della pubblicità?
4. Che cos’è lo shopping compulsivo?
5. Che cosa vuol dire turbo consumismo?
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La nascita del consumismo
I nativi consumisti, cioè le generazioni nate in un periodo e in un ambiente profondamente segnati dal consumismo, sono portati a pensare che il consumismo sia sempre
esistito. Ritengono cioè che l’uomo per natura sia portato a desiderare e a consumare
in modo incontrollato.
In realtà non è così. Il consumismo è un fenomeno sociale abbastanza recente e abbastanza limitato nello spazio: è nato un secolo fa e ha interessato a lungo solo i paesi
industrializzati, cioè l’Europa, gli USA, il Giappone e l’Australia.
Ecco come racconta la nascita del consumismo l’economista e saggista Jeremy Rifkin. Per agevolare la comprensione del testo, l’abbiamo corredato di note esplicative
a margine.
Quando la pubblicità partorì il consumista
di Jeremy Rifkin
da La fine del lavoro, Baldini e Castoldi, pag. 46ss
Negli anni Venti, mentre la produttività cresceva drammaticamente e
un numero sempre più grande di lavoratori veniva messo sulla strada,
le vendite crollavano; la stampa iniziava a parlare di «sciopero dei
consumatori» e di «mercato limitato». Davanti allo spettro di una
produzione eccessiva e di una domanda insufficiente, le imprese americane iniziarono a far leva sulla risorsa della pubblicità per scuotere il pubblico. […] Il mondo delle imprese sperava, convincendo
chi aveva ancora un lavoro a consumare di più e risparmiare di meno,
di vuotare i propri magazzini e di mantenere l’economia americana
in crescita. La crociata per trasformare i lavoratori americani in
«consumatori di massa» divenne nota come il «Vangelo del consumo».
La parola «consumo» ha radici anglosassoni e latine. Nella sua
accezione originale il termine «consumare» ha significato di distruggere, esaurire, spogliare. Il termine ha un contenuto violento e, fino a
tempi molto recenti, ha avuto una connotazione esclusivamente negativa. […] La metamorfosi del consumo, da vizio a virtù, è uno dei
fenomeni più importanti del XX secolo.
Convertire gli Americani dalla psicologia della sobrietà a quella
della spesa si rivelò un compito assai difficile. […] La parsimonia e
il risparmio erano le chiavi di volta dello stile di vita americano, elementi fondamentali della tradizione yankee che aveva avuto una funzione di guida per intere generazioni di americani e che costituiva un
punto di riferimento per milioni di emigranti che speravano in un fu-
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La produzione di
beni era aumentata,
ma le vendite diminuivano; perciò molti
lavoratori venivano
licenziati.
Mercato limitato:
solo pochi avevano i
mezzi per comprare i
nuovi prodotti.
Accezione: significato.
Metamorfosi: trasformazione.
Psicologia della
sobrietà: abitudine a
consumare il meno
possibile.
Tradizione yankee:
il modo di pensare
dei pionieri.
Adolescenti e consumismo
turo migliore per sé e i propri figli. Per la maggioranza degli americani, le virtù del sacrificio di se stessi continuava ad avere il sopravvento sul richiamo dell’immediata gratificazione che si poteva ottenere sul mercato. La comunità degli affari americana si diede il compito di cambiare radicalmente la psicologia che aveva costruito la nazione, con l’obiettivo di trasformare gli americani da investitori del
futuro a consumatori nel presente.
I leader delle imprese capirono subito che, per fare in modo che la
gente «volesse» beni che non aveva mai desiderato prima, dovevano
creare «il consumatore insoddisfatto». Charles Kettering, della General
Motors, fu tra i primi apostoli del Vangelo del consumo. La General
Motors aveva già iniziato a introdurre variazioni annuali nei modelli di
automobile che produceva e a realizzare campagne pubblicitarie pensate per rendere il consumatore insoddisfatto dell’automobile che possedeva. «La chiave della prosperità economica», affermava Kettering,
«è la creazione organizzata dell’insoddisfazione». L’economista John
Kenneth Galbraith, anni dopo, ha sintetizzato l’affermazione osservando che la nuova missione dell’attività d’impresa era «creare i bisogni che vuole soddisfare».
L’enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino
ai prima anni del secolo, venne improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. Negli anni Venti emerse un nuovo
campo di analisi della teoria economica, l’«economia del consumo»,
e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuali al comportamento del consumatore. Il marketing, che fino a
quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza. […]
Trasformare il lavoratore americano in un consumatore conscio
del proprio status sociale era un impegno radicale. La maggior parte
degli americani produceva da sé, in casa propria, la gran parte dei
beni che consumava. I pubblicitari ricorsero a ogni mezzo e occasione per denigrare i prodotti «fatti in casa» e per celebrare la gloria di
quelli «acquistati» e «di fabbrica».I giovani erano il bersaglio privilegiato: i messaggi pubblicitari erano orientati a farli vergognare di
indossare o usare prodotti fatti in casa; la linea di frontiera venne definita nella distinzione tra l’essere «moderni» o «fuori moda». La paura di essere lasciati indietro si è rivelata una potente motivazione
per stimolare la spesa.
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…da investitori del
futuro a consumatori del presente:
trasformarli da risparmiatori a consumatori.
General Motors:
industria automobilistica.
Marketing: tecniche
di vendita dei prodotti.
Adolescenti e consumismo
Domande in linea
1. Qual era obiettivo del «Vangelo del consumo»?
2. Quali erano i valori più importanti della tradizione yankee?
3. Che cosa vuol dire l’espressione «consumatore insoddisfatto»?
4. Perché la General Motors cambiava ogni anno i modelli delle sue automobili?
5. Che cosa vuol dire che «la nuova missione dell’attività d’impresa era “creare i bisogni che vuol soddisfare”»?
6. Perché i pubblicitari screditavano i prodotti fatti in casa?
Un sistema insostenibile
Il consumismo è un sistema produttivo molto dispendioso, perché induce a consumare
per motivi futili o senza alcuna necessità risorse naturali spesso scarse o limitate.
Questo modello di sviluppo è il maggior responsabile dei pericoli che minacciano il
pianeta Terra (inquinamento ambientale, desertificazione, riscaldamento globale, ecc).
Tra i compiti della pubblicità c’è anche quello di occultare quanto più possibile
questo problema, cercando di far dimenticare al consumatore di essere direttamente
responsabile con i propri acquisti del degrado e della distruzione ambientali. Tra i suoi
obiettivi c’è anche quello di produrre il «consumatore indifferente» ai guasti ambientali indotti dal proprio comportamento.
Consumatori indifferenti
di George Monbiot, The Guardian, Regno Unito
da Internazionale 1031, 20 dicembre 2013
I sensi di colpa fanno bene. Sono quelli che distinguono le persone sane dagli psicopatici, sono un sentimento che caratterizza le persone empatiche. Ma i sensi di colpa inibiscono i consumi e, per soffocarli, l’industria globale ha sviluppato una rete di celebrità, cartoni animati e musica d’atmosfera che cerca di convincerci a non provare sentimenti.
A quanto pare funziona: dall’indagine Grendex del 2012 risulta che in media gli
abitanti dei paesi poveri si sentono più in colpa di quelli dei paesi ricchi riguardo al
proprio impatto sulla natura. Si provano meno sensi di colpa in Germania, negli Stati
Uniti, in Australia e nel Regno Unito, mentre le preoccupazioni maggiori si provano in
India, Cina, Messico e Brasile. «I consumatori di paesi come il Messico, il Brasile, la
Cina e l’India» afferma l’indagine, «si curano più di questioni come il cambiamento
climatico, l’inquinamento atmosferico, la contaminazione delle acque, la distruzione
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della biodiversità e la carenza di acqua potabile. Invece, tra i consumatori statunitensi,
francesi e britannici i timori maggiori sono legati all’economia e al costo
dell’energia».
Penso che nei paesi più poveri l’empatia non sia stata ancora indebolita da decenni
di consumismo irragionevole. […]
Il consumismo ci costringe a spianare le montagne, a disseminare la superficie del
pianeta di fori giganteschi, a maneggiare i prodotti di questa distruzione per qualche
attimo fugace e poi a smaltire i materiali in un altro foro. Un rapporto della Gaia
foundation rivela che l’estrazione mineraria cresce a pieno ritmo: in dieci anni la produzione di cobalto è aumentata del 165 per cento e quella di minerale di ferro del 180
per cento. I prodotti di questa devastazione sono contenuti in ogni cosa: dispositivi elettronici, plastica, ceramica, vernici, tinture. […]
L’inflessibile dio della crescita vuole che spendiamo fino a lasciar cadere il mondo
della natura nell’oblio.
Domande in linea
1. Quali danni provoca il consumismo alla natura?
2. Perché il consumismo è definito «irragionevole»?
3. «…disseminare la superficie del pianeta di fori giganteschi»: che cosa sono i fori a
cui allude l’articolista?
4. «…smaltire i materiali in un altro foro»: e qui di che cosa si parla?
5. Riscrivi l’ultimo paragrafo («L’inflessibile dio della crescita…») chiarendone il significato.
IL COSTUME
LA LEGGE
La pubblicità ingannevole
Il decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145 definisce i criteri per valutare se una pubblicità è ingannevole e detta le regole per una corretta pubblicità, in modo particolare
per la pubblicità di tipo comparativo.
All’art. 1, si afferma che la pubblicità deve essere «palese, veritiera e corretta».
«Palese» vuol dire che – qualunque sia il canale utilizzato – deve essere evidente che
si tratta di un messaggio pubblicitario, che non deve essere, quindi, contrabbandato
come informazione, cronaca o commento. «Veritiera» vuol dire che il messaggio pubblicitario deve dire la verità e non può mentire sulle reali caratteristiche del prodotto.
«Corretta» vuol dire che la pubblicità non deve essere ingannevole.
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La pubblicità è considerata ingannevole quando è in grado di indurre in errore una
persona o un’impresa commerciale, influenzando il suo comportamento economico,
inducendola cioè a comprare o a non comprare un prodotto.
In particolare, è considerata ingannevole qualunque pubblicità rivolta a bambini e
adolescenti, che li induca a comprare o a non comprare un prodotto, sfruttando la loro
«naturale credulità» e la loro inesperienza. È considerata ingannevole qualunque pubblicità che minacci la sicurezza di bambini e adolescenti.
La pubblicità comparativa è un tipo particolare di pubblicità che identifica in modo
esplicito o implicito un concorrente, paragonando il proprio prodotto con quello della
ditta concorrente. Nel raffronto le caratteristiche del proprio prodotto saranno esaltate
mentre quelle del prodotto concorrente saranno sminuite. È evidente che il rischio di
esagerare, denigrando il prodotto concorrente, sia molto alto.
Per tutelare consumatori e produttori e per sanzionare i comportamenti scorretti, la
legge ha istituito un’Autorità garante della correttezza pubblicitaria. L’Autorità garante, per vigilare e sanzionare, usa la Guardia di finanza.
In caso di pubblicità ingannevole, l’Autorità garante può invitare i responsabili della pubblicità ad auto correggersi, cambiando o togliendo dal mercato la pubblicità
considerata ingannevole. L’autorità può anche bloccare la diffusione di una pubblicità
o di sospenderla per accertamenti. In caso di violazione palese della correttezza,
l’Autorità garante può sanzionare i responsabili con una multa da 2.000 a 20.000 euro;
in caso di pubblicità non veritiera la sanzione oscilla tra i 4.000 e i 40.000 euro.
Testo
Se una pubblicità vi offende, dice il falso, è volgare o
incoraggia la violenza, potete segnalarla a IAP, l’Istituto
dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Bastano un clic sul sito
www.iap.it e cinque minuti per compilare il modulo.
IAP tiene sotto controllo i grandi mass media nazionali,
ma qualche campagna locale o sul web può sfuggire:
per questo le vostre segnalazioni sono così importanti.
Le campagne segnalate vengono esaminate nel giro di
pochi giorni agli organismi di controllo. Una campagna
bloccata da IAP non può più essere né pubblicata né
trasmessa.
Online c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Se volete dare una
mano, non ripubblicate le campagne già bloccate
dall’Autodisciplina.
1. Analizzate il messaggio pubblicitario: a quale tipo di
scorrettezza rimanda ciascuna immagine?
2. Che cos’è lo IAP? Qual è il suo compito?
3. Che cosa succede a una pubblicità bloccata dallo
IAP?
4. Qual è la «cosa giusta» a cui allude lo slogan?
5. Quali sono i tempi di intervento garantiti nel messaggio pubblicitario?
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Suggestioni
letterarie e linguistiche
Il messaggio pubblicitario
La pubblicità nasce dal bisogno di un’industria di reclamizzare un proprio prodotto
perché il consumatore lo conosca, lo ricordi, ne sia incuriosito, lo desideri e lo acquisti. Per questo, il messaggio pubblicitario deve attirare, interessare, incuriosire, coinvolgere, convincere.
Il messaggio pubblicitario è una forma di comunicazione molto sofisticata prodotta
da professionisti della comunicazione, le agenzie pubblicitarie, che utilizzano tutti i
mezzi a disposizione (la lingua, la grafica, le immagini, i suoni, le animazioni, gli effetti speciali…) e fanno ricorso alla più sofisticate tecniche comunicative per convincere il consumatore a comprare anche… qualcosa di cui non ha assolutamente bisogno. Come abbiamo visto, la pubblicità è stata un po’ la levatrice che ha fatto nascere
il consumismo.
Analizziamo il messaggio pubblicitario, utilizzando lo schema classico della comunicazione: emittente, messaggio, canale, destinatario.
Emittenti
Ditta produttrice
Commissiona e finanzia la campagna pubblicitaria.
Agenzia pubblicitaria
Cura l’ideazione, la realizzazione e la distribuzione
del messaggio pubblicitario
Nel messaggio pubblicitario
scritto sono presenti sempre
questi elementi
Ditta produttrice
Prodotto (nome ed eventualmente immagine)
Slogan
Testo
Agenzia pubblicitaria
Canali
Sono i mezzi di comunicazione attraverso i quali sarà diffuso il messaggio pubblicitario.
Carta stampata: giornali e riviste
Manifesti murali
Radio
TV
Cinema
Internet
Destinatari
Consumatori
Messaggio
pubblicitario
Universali
Selezionati
La committenza della pubblicità è rappresentata dalle imprese, che investono in pub-
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blicità per far conoscere e per vendere i loro prodotti. Per le imprese è importante imporre un marchio.
Tecniche pubblicitarie vengono utilizzate sempre più anche per far conoscere e imporre i candidati politici, trattati spesso come veri e propri prodotti da rendere graditi
agli elettori-consumatori. In questo caso, sarebbe più corretto parlare di propaganda
politica.
Un tipo particolare di pubblicità è la cosiddetta pubblicità-progresso, che non si
pone fini commerciali, ma educativi; si rivolge cioè ai cittadini per sensibilizzarli su
temi politici e sociali.
Ecco una tipica pubblicità
comparativa,
in cui vengono
paragonati due
prodotti che si
fanno concorrenza sul mercato.
Prodotti in
concorrenza.
Parola chiave: differenza.
Testo.
Rispondi:
1) Qual è la differenza, secondo il messaggio
pubblicitario?
2) Quali elementi
rafforzano il
concetto in tutto il
messaggio pubblicitario?
3) Perché lo
sfondo riprende il
colore della confezione del prodotto pubblicizzato?
4) Qual è il prodotto colto per
prima dallo
sguardo?
Marchio
(ditta che fa la
pubblicità).
Slogan
Riprende un
detto di saggezza popolare: sano come
un pesce
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Come si vede dall’esempio, nel messaggio pubblicitario niente è lasciato al caso,
ma tutti gli elementi concorrono a rafforzare il messaggio di base: i due prodotti sono
differenti e solo uno, quello pubblicizzato, è veramente una pasta per bambini e solo
uno, quello pubblicizzato, è veramente sano.
Lo slogan «sano come un (pesce) Plasmon», il color arancione che ricorda quello
del sole che fa maturare il grano, il confronto dei risultati della analisi che dà un tocco
di scientificità, l’uso di termini specifici (pesticidi, micotossine), il riferimento alla
certificazione di un laboratorio indipendente e alla normativa ISO, l’accenno ai contaminanti che potrebbero essere presenti nel prodotto concorrente, il tono assertivo del
testo: tutto concorre a convincere il consumatore che l’unico prodotto veramente sano
è quello pubblicizzato.
L’accenno alle mamme ci fa capire chi è il destinatario a cui è rivolto il messaggio
pubblicitario. Il testo comincia con un tono volutamente grave: «Molte mamme usano
pasta per adulti anche per bambini con meno di 3 anni». Quasi un vago rimprovero per
la povera mamma che compra prodotti per adulti per il suo bambino. Finirà poi per
sentirsi un po’ in colpa, sapendo che rischia di far mangiare al proprio bambino cibo in
cui sono presenti dei contaminanti pericolosi per la salute del
piccolo. E quella confezione scura del prodotto concorrente, estraneo nel mare di luce dello
sfondo arancione, finisce per essere quasi minacciosa. No meglio
comprare Plasmon che «dà il
meglio» per il proprio bambino.
A voi il compito di analizzare
la risposta della Barilla.
1. Perché nello slogan si fa riferimento alle mamme?
2. Perché vicino al pacco di pasta è posto un prodotto della linea “Mulino Bianco”?
3. A che cosa si appella Barilla
per ribadire la bontà dei propri
prodotti?
4. Che cosa suggerisce lo slogan
«Dove c’è Barilla c’è casa»?
5. Quale dei due messaggi ritieni
più convincente? Perché?
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Percorso di ricerca
 Fai una ricerca sui messaggi pubblicitari e sulle propagande elettorali ritrovati negli scavi di Pompei e riassumi il risultato in una relazione di almeno
venti righi.
Risorse di rete
Per i docenti i libri di riferimento possono essere: Naomi Klein, No logo, Bur, 2001; Zygmunt
Bauman, Consumo dunque sono, Laterza, 2009.
Il tema del consumismo compulsivo è stato analizzato anche da numerosi film e documentari
che si sono succeduti negli ultimi anni, che analizzano ciascuno un singolo aspetto del fenomeno consumistico. Alcuni esempi:
Essi vivono di John Carpenter del 1988, che opera una critica della società consumistica e verso
la pubblicità che condiziona la vita e i bisogni degli esseri umani
The Corporation di Marck Achbar e Jennifer Abbott del 2004, che analizza il ruolo delle multinazionali nell’economia globale, ne analizza profitti e ne denuncia i danni sociali e ambientali.
Fast food nation di Richard Linklater del 2007, che concentra la sua analisi sul consumo eccessivo di carne da parte dei consumatori e il suo impatto sull’alimentazione e sulla sua sicurezza.
Home di Yann Arthus-Bertrand, film documentario che tocca soprattutto il tema dell’impatto
ambientale dei nostri consumi. È reperibile su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=jqxENMKaeCU (in inglese con sottotitoli con migliore qualità delle immagini)
http://www.youtube.com/watch?v=I1fQ-3-CEFg (in italiano)
Vi sono inoltre diversi siti di lotta e di denuncia contro il consumismo, di cui forniamo di seguito alcuni esempi:
https://www.facebook.com/BoicoteOConsumismo?fref=ts
http://www.decrescita.com/
https://www.facebook.com/sportello.consumatori.online?fref=ts
https://www.facebook.com/ConSuMismoConscienteRedDeBienestar?fref=ts
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