Altre tipologie dietetiche
La dieta Kousmine
Catherine Kousmine (1904-1992) è stata un medico svizzero, ma di origine russa, pioniera della medicina
ortomolecolare, che ha messo a punto il cosiddetto metodo Kousmine.
Il suo campo di ricerca era rappresentato dallo studio di alcune gravi malattie degenerative (cancro, sclerosi
multipla, artrite reumatoide). Essa arrivò alla convinzione che la cura di malattie, a volte etichettate come
“incurabili”, implica il ritorno all’abitudine a cibarsi in modo sano, seguendo un’alimentazione che fornisca
tutti i nutrienti di cui l’organismo ha bisogno per funzionare correttamente: l’uomo, infatti, avendo imparato
a mangiare male, non riesce a difendersi dagli agenti tossici e inquinanti che lo circondano.
Di conseguenza, Kousmine concentrò la sua attenzione sull’alimentazione sana, poiché era convinta che la
Crema Budwig (10 g di olio di lino + 20 g di formaggio bianco magro o yogurt magro ben emulsionati), una
componente della dieta olio-proteine di Johanna Budwig (1908-2003), svolgesse un ruolo importante nella
lotta al cancro. La cosiddetta Dieta Budwig si basa sul consumo regolare di una miscela di semi di lino/olio di
lino e “formaggio” magro (quark). I semi di lino sono ricchi di acidi grassi polinsaturi, in particolare di acido linolenico, mentre il formaggio magro serve come fonte di amminoacidi solforati, per legare e rendere solubili
gli acidi grassi e, quindi, migliorarne l’assorbimento da parte dell’organismo. La Crema Budwig attualmente
consigliata comprende semi di lino od olio di lino oppure altri semi oleosi (quali nocciole, mandorle, noci),
cereali crudi finemente macinati (avena, orzo, riso o grano saraceno), limone, frutta fresca e secca, yogurt
vaccino, di soia, tofu o ricotta magra.
Il cosiddetto Metodo Kousmine si basa, oltre che sulle regole di alimentazione, sull’igiene intestinale, sull’equilibrio acido-base, sull’integrazione nutrizionale con macrodosi di vitamine e sugli oligoelementi, nonché
sulla consulenza psico-sociale. Alcuni ritengono questo metodo in grado non soltanto di guarire le patologie
tumorali, ma anche la bronchite cronica, le allergie, le malattie cardiovascolari, la poliartrite e la sclerosi multipla.
Il metodo comprende alcuni principi fondamentali, tra i quali la riduzione del consumo di carni e derivati animali, l’eliminazione dello zucchero bianco e di cereali raffinati, nonché l’assunzione di grandi quantità di frutta
e verdura, e in generale di alimenti che aiutino l’organismo a mantenere un’acidità controllata.
Come strumento per l’igiene intestinale sono consigliati enteroclismi regolari.
Catherine Kousmine si basava sul presupposto che molte malattie devono essere ricondotte a una percentuale eccessiva di acidi nel corpo a causa di un’alimentazione scorretta. Di conseguenza, i pazienti, secondo
il suo pensiero, dovevano verificare regolarmente il valore del pH dell’urina e, alla sua discesa al di sotto di
una soglia stabilita, assumere citrati per regolarizzarlo.
Un’altra osservazione della dottoressa Kousmine è una generale carenza nella dieta moderna di acidi grassi
polinsaturi (quasi assenti per esempio nell’olio di oliva), presenti invece negli oli di semi spremuti a freddo (girasole, lino, ecc.) e necessari per il mantenimento integro della mucosa intestinale (importante filtro di virus,
batteri, sostanze tossiche) e senza la cui azione protettiva il sistema immunitario si troverebbe in situazione
permanente di iperattività, che lo porterebbe, col tempo, a situazioni di stress e di scarsa efficacia nell’ordinaria attività di difesa del corpo, con anche la comparsa di più gravi fenomeni degenerativi.
Tuttavia, bisogna rilevare che la dieta Kousmine è troppo sbilanciata verso i carboidrati e contiene poche
proteine e anche pochi grassi.
F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
Dietologia e dietoterapia
La dieta macrobiotica
La parola macrobiotica (letteralmente “la grande vita”) fu usata per la prima volta dall’igienista tedesco Gregor von Hufeland nel XVIII secolo. La notorietà della dieta macrobiotica, ideata nei primi anni del Novecento,
ma diffusasi soltanto nel dopoguerra, è dovuta al giapponese Nyoiti Sakurazawa (1893-1966) che ha fatto co-
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F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
noscere antiche conoscenze orientali, dapprima nella sua patria di origine e successivamente
in Occidente, con lo pseudonimo di Georges Ohsawa.
Tale modello alimentare si ispira allo stile di vita dei monaci zen; in particolare, il carattere di filosofia
alimentare è evidente nel tentativo di cercare un equilibrio fra individuo e natura.
Ohsawa descrive la macrobiotica come “la pratica di una concezione dialettica dell’universo, antica di 5000
anni e che mostra la via della felicità attraverso la salute”, rifacendosi agli antichi maestri cinesi e indiani.
Secondo Ohsawa, la macrobiotica “non è una medicina empirica di origine popolare, né una medicina mistica
o sedicente scientifica e palliativa, ma l’applicazione, alla vita giornaliera, dei principi della filosofia orientale”.
La chiave per il raggiungimento della salute fisica, mentale e spirituale è la ricerca, nel proprio stile di vita,
dell’equilibrio, secondo i princìpi dello Yin e dello Yang (le energie opposte e complementari che governano
l’universo).
La salute e, di conseguenza, la malattia sono effetti della condotta dell’individuo, che rispetta o viola l’ordine
dell’universo. In tale percorso, è fondamentale il ruolo svolto dall’alimentazione, la quale, costruendo e modificando il corpo, interagisce anche con la mente e lo spirito.
Poiché i cibi appartengono a due grandi gruppi (Yin e Yang), assumendoli opportunamente è possibile arrivare a uno stato di perfetta armonia.
Secondo la cucina macrobiotica, gli alimenti Yin sono quelli soffici, acquosi, che crescono verso l’alto, dal
sapore acido, amaro, molto dolci, aromatici, contenenti una maggiore quantità di potassio; al contrario, gli
alimenti Yang sono duri, asciutti, poco acidi, di sapore salato, poco dolce o piccante, con maggior contenuto
di sodio.
In realtà molte sono le interpretazioni della dieta macrobiotica, soprattutto per contaminazioni occidentali.
Le linee generali, pertanto, sono:
a)l’esclusione dello zucchero bianco, degli alimenti raffinati e trattati industrialmente;
b)l’esclusione di carni, salumi, uova, latticini, bevande alcoliche, aceto, bibite zuccherate, caffè, grassi animali, margarine, miele e frutti tropicali.
Gli alimenti consigliati, invece, sono:
a)cereali integrali cotti (riso, orzo, miglio, avena, frumento, segale, mais) e grano saraceno;
b)zuppe di verdure, verdure stagionali fresche cotte o crude, legumi.
Soltanto occasionalmente sono permessi il pesce (magro) e i semi oleosi.
In genere, si usano insaporitori particolari, che vanno dal semplice sale marino integrale a condimenti particolari come le prugne umeboshi (fermentate sotto sale).
Secondo la macrobiotica sono molto importanti la qualità e la quantità del cibo e anche le modalità di consumo dello stesso, che dovrebbe essere masticato a lungo.
Particolare attenzione è dedicata ai metodi di cottura, in particolare dei vegetali (per i quali si preferisce la
cottura al vapore in alternativa al consumo crudo o al metodo di pressarli sotto sale).
Un’alimentazione di questo tipo deve contenere circa il 50% di cereali integrali, il 25% di proteine (di cui il
10% di origine animale e il 15% di origine vegetale), il 25% tra verdura e frutta.
Dopo il boom iniziale, la macrobiotica ha perso molto del suo fascino, rivelando tutti i limiti delle diete puriste
(è soprattutto carente di proteine, ferro, calcio, zinco, vitamina B12 e vitamina D) e ormai riguarda una fascia
piuttosto esigua di appassionati.
Diete di altre culture alimentari
Cucina cinese
La cucina cinese rappresenta la somma di varie cucine regionali (almeno otto) anche molto diverse fra loro,
oltre a essersi evoluta pure in altre parti del mondo, con caratteristiche diverse.
Esiste una grande differenza di pratiche culinarie fra persone provenienti da territori differenti della Cina. Una
delle prime classificazioni della cucina cinese distingueva la cucina del Nord e la cucina del Sud: questa antica
distinzione è una delle più utilizzate anche oggi, nonostante la cultura del cibo nella Cina del Nord e in quella
del Sud si sia ovviamente molto evoluta nel tempo. Queste differenze, dovute alla grande estensione del Paese, alle varietà di clima e alla disponibilità di risorse di cibo, possono essere molto numerose, ma sono state
anticamente classificate in dieci scuole di stile culinario, che prendono il nome da alcune province cinesi: sulla
base delle “Quattro scuole”, ovvero Lu, Chuan, Yang e Yue (spesso tradotte come le cucine di Shandong, Sichuan, Jiangsu and Guangdong), una distinzione in uso durante la dinastia Ming, si sono sviluppate le “Otto
scuole” (si aggiungono alle quattro sopra citate le cucine delle provincie di Hunan, Fujian, Anhui e Zhejiang)
e le “Dieci scuole” (che aggiungono alle otto sopra citate le cucine di Pechino e di Shanghai).
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F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
Un’ulteriore classificazione distingueva la cucina imperiale o mandarina e quella aristocratica o
privata. La prima, oggi servita in pochi locali scelti, prevedeva l’uso di ingredienti selezionati e
rari, con una particolare varietà e raffinatezza nelle preparazioni e nella presentazione dei cibi, oltre a
un numero esorbitante di ricette.
Una caratteristica della cucina cinese è la diffusa preparazione di piatti che combinano il 50% di ingredienti
amidacei, detti fan (sotto forma di riso o pasta), con un 50% di ingredienti di accompagnamento (carne, pesce o vegetali da soli o in combinazione), ai quali si aggiungono aromi e condimenti.
La cucina cinese è legata alla filosofia e alla medicina. Gli alimenti yin, femminili, umidi e teneri dunque rinfrescanti, sono i legumi e i frutti. Gli alimenti yang, maschili, fritti, speziati o a base di carne, hanno un effetto
riscaldante. Un pasto deve dunque non soltanto armonizzare i gusti, ma anche trovare un equilibrio tra il
freddo e il caldo. Un altro aspetto che caratterizza la cucina tradizionale cinese è l’assenza di latte e derivati
a causa di un’intolleranza al lattosio che esiste in numerosi Paesi asiatici.
I Cinesi condividono i piatti, che sono spesso messi in comune. Essi, inoltre, mangiano con l’aiuto di bacchette, o di cucchiai di legno, più raramente di porcellana. La tavola si caratterizza, quindi, per il suo aspetto
sociale: è rotonda e talvolta sormontata da un vassoio girevole dove sono depositati i piatti. Nessun coltello
è presente a tavola, ma tutti gli alimenti sono tagliati in cucina, con l’eccezione dei frutti di mare, che talvolta
sono serviti non sgusciati.
La successione cronologica dei piatti che si conosce in Italia e negli altri Paesi occidentali, nella cucina cinese
è sostituita da una ricerca di equilibrio a partire dai cinque sapori di base (dolce-salato-acido-amaro-piccante). Tuttavia, i cibi esclusivamente dolci non appaiono che alla fine dei banchetti o dei pranzi di festa.
Il riso è un componente fondamentale dell’alimentazione quotidiana cinese ed è utilizzato come tale o sotto
forma di farina per la preparazione di spaghetti, vermicelli, ravioli, dolci. Il frumento, per quanto meno utilizzato del riso, presenta comunque una certa diffusione.
La pasta è preparata con varie tipologie di farine (riso, frumento, grano saraceno, soia, fagioli mungo).
I legumi svolgono un ruolo importante: sono utilizzati, infatti, soia, lenticchie, ceci, fagioli, piselli, arachidi.
Il tofu è un’invenzione cinese e costituisce la base di una dozzina di alimenti diversi, che appaiono molto
spesso sulle tavole a causa del loro costo modico.
Sono anche utilizzati molti prodotti animali (maiale, pollo, anatra, pesci, molluschi e crostacei).
Le verdure sono parte integrante di molte preparazioni ed è anche frequente il consumo di frutta.
I condimenti utilizzati nella cucina cinese sono rappresentati da molti tipi di oli vegetali (girasole, soia, arachide, sesamo, mais); un prodotto tipico è la salsa di soia; molto utilizzate sono le spezie e le erbe.
Il tè è la bevanda più bevuta ed è consumato per le sue virtù digestive e decongestionanti. La birra e l’alcol
di riso sono invece bevande per le feste, riservate ai grandi eventi. Nondimeno, durante un pasto ordinario a
casa propria, in generale non è proposta alcuna bevanda, ma ci si disseta con una zuppa o una pappa.
Nella maggior parte dei Paesi occidentali, soltanto una piccola parte di ristoranti asiatici propongono autentica
cucina cinese di qualità. Spesso, infatti, i piatti sono prodotti scialbi e standardizzati, eventualmente associati
ad altri tipi di cucine: in particolare vietnamita, cambogiana e tailandese. Ciò vale anche in Italia, sebbene nel
nostro Paese, considerata la netta prevalenza dei ristoranti cinesi, il problema non sia tanto l’eventuale contaminazione con altre tradizioni culinarie asiatiche, quanto la tendenza a fare concessioni a volte eccessive ai gusti
locali. La gestione collettiva degli approvvigionamenti al fine di limitare le spese di funzionamento, la ristorazione rapida, i piatti scelti in funzione dei gusti locali, sono in gran parte responsabili di questo snaturamento.
Cucina indiana
La cucina indiana è molto variegata ed è nota soprattutto per il grande uso che fa di spezie, latte e latticini,
riso e legumi. Si differenzia in numerose varietà regionali, riferibili comunque a due grandi gruppi: la cucina
dell’India del nord, che fa uso di carni ed è meno speziata, e quella del sud, vegetariana e più speziata. L’India
è un paese ricco di prodotti naturali, ma le invasioni di stranieri e i contatti commerciali hanno introdotto nella
cucina indiana influenze arabe, cinesi, mongole, turche, inglesi e portoghesi.
In India il cibarsi è considerato come parte integrante dell’esperienza spirituale.
In India, la cucina, soprattutto nei ristoranti, è anche classificata in cucina non vegetariana (indicata da cartelli con la scritta “non veg”), vegetariana (“veg”, senza carni), e quasi vegana (“pure veg”, che non fa uso
di uova). Praticamente inesistente la cucina vegana propriamente detta, cioè senza neanche latte e latticini.
Il riso è un componente fondamentale della cucina indiana. Come accompagnamento ai cibi sono anche
consumate varietà diverse di pane di frumento o di legumi, spesso non lievitato, cotto al forno, su piastra o
fritto. I cereali, soprattutto riso e semolino, sono anche utilizzati per la preparazione di dolci.
I legumi sono consumati in abbondanza soprattutto dai vegetariani (circa il 30% della popolazione segue
un’alimentazione vegetariana).
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Cucina araba
Con il termine cucina araba s’intende di norma la somma delle cucine dei Paesi del cosiddetto mondo arabo, dagli Stati arabi del Golfo ai Paesi del Nord Africa. La si può considerare una via di mezzo tra la cucina
mediterranea e la cucina indiana.
La cucina araba prende origine dalle tradizioni di nomadismo delle prime popolazioni della Penisola arabica
e fa ampio uso di carni, latte e derivati, grasso di ovini e cereali; l’espansione del mondo arabo al di fuori
di questo territorio arricchì notevolmente la tradizione culinaria e, di conseguenza, la cucina araba è oggi il
risultato di una combinazione di cucine molto diverse tra loro, che attraversano il mondo arabo, e ha subito
in parte l’influenza delle cucine indiana, turca, berbera e persiana.
La cucina araba è condizionata da una serie di divieti alimentari presenti nella religione islamica e derivati
dal Corano. I cibi sono distinti in halal cioè “secondo la legge” e in haram cioè “contro la legge”. Sono
proibiti alcol, sangue, carni di animali carnivori od onnivori (in particolare maiale e derivati, compreso lo
strutto); è inoltre proibito il consumo della carne d’asino, di uccelli rapaci, di topi, rettili e anfibi. È halal il
pesce con le scaglie, mentre variano le posizioni circa i pesci senza scaglie e i crostacei. Gli animali permessi devono essere macellati secondo il rito islamico e il sangue deve essere completamente eliminato
dopo la macellazione.
Inoltre, durante l’anno è previsto un periodo di digiuno e purificazione della durata di 40 giorni (Ramadan),
nel corso del quale è proibito mangiare e bere dal sorgere del sole al tramonto.
Il riso è l’ingrediente base ed è utilizzato per la preparazione di diversi piatti anche dolci, mentre il frumento è
impiegato per il pane, sotto forma di semolino o come ingrediente base del cuscus di origine berbera; molto
utilizzato è il bulgur, un derivato del grano duro.
I legumi sono molto diffusi: lenticchie, fave e ceci trovano, infatti, un largo impiego.
Le carni più utilizzate sono quelle di origine ovina e il pollame, ma sono consumati anche manzo e cammello;
nelle aree costiere si utilizza il pesce.
Data la scarsa conservabilità del latte sono molto utilizzati i prodotti caseari ottenuti con la fermentazione,
quali yogurt e formaggi; burro, uova e panna sono comunque consumati.
Sono impiegate diverse varietà di ortaggi: questa cucina predilige verdure come cetrioli, melanzane, zucchine, okra (una varietà di zucca) e cipolle. Sono comuni i piatti a base di verdure ripiene di riso e/o carne.
Anche la frutta è molto apprezzata, utilizzata anche come condimento delle portate, con grande consumo
di agrumi, datteri, fichi, uvetta, meloni, cocomeri e melograno. Le olive sono una parte importante di questa
cucina e anche la frutta secca oleosa (noci, mandorle, arachidi, pinoli e pistacchi) è consumata molto spesso.
Le spezie sono usate in dosi minori rispetto alla cucina indiana, ma la quantità e la varietà, in genere, variano
di regione in regione; tra le erbe, menta e timo sono utilizzati ampiamente e universalmente; prezzemolo e
menta sono condimenti popolari in molti piatti, mentre gli spinaci e una specie di iuta (chiamata molokhia in
lingua araba) sono utilizzati nei cibi cotti.
I condimenti più popolari includono varie combinazioni di olio d’oliva, succo di limone, prezzemolo e/o aglio,
oltre al tahini (una pasta di sesamo).
Tra le bevande si prediligono quelle calde a quelle fredde, soprattutto tè e caffè, ed è anche frequente il
consumo di succhi di agrumi e di altra frutta.
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F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
Il consumo di alcuni tipi di carne è escluso, invece, da diversi precetti religiosi: i bovini per gli
indù, il maiale per i musulmani, tutti i tipi di carne per vegetariani indù, buddisti o giainisti. Le
mucche sono considerate sacre in quanto forniscono latte e derivati, supportano i lavori agricoli e i
loro escreti sono utilizzati come combustibile e fertilizzante. Il consumo di latte e derivati è ammesso ed è
anzi molto diffuso.
Il ghee è il burro chiarificato tradizionale della cucina indiana, preparato riscaldando il burro fresco in modo
da eliminare l’acqua. Molto diffuso è anche lo yogurt utilizzato come bevanda, nella preparazione di salse,
come base per diluire le spezie e nell’elaborazione di diversi piatti, soprattutto nel Nord. Oltre al burro sono
utilizzati vari tipi di condimenti di origine vegetale, come l’olio di semi di senape, gli oli di soia e di girasole,
il burro di cocco e le margarine vegetali.
Nella cucina indiana sono presenti molte varietà di verdura e frutta, oltre a essere utilizzati spesso il mango,
il peperoncino e, soprattutto al Sud, il cocco e il suo latte.
Tale cucina prevede un uso intenso di spezie aggiunte praticamente a tutti i tipi di cibi: il tipo di spezie, la
quantità totale e le proporzioni tra i diversi componenti contribuiscono all’aroma e al grado di piccante delle
diverse preparazioni.
La bevanda di maggiore consumo è il tè, ma anche il caffè ha una certa diffusione, specialmente al Sud. Altre
bevande sono a base di latticini, cocco o frutta.
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Cucina ebraica
La cucina ebraica è di difficile definizione, facendo riferimento a un insieme molto eterogeneo di tradizioni
culinarie sviluppatesi nell’ambito di comunità ebraiche residenti in aree geografiche diverse, pur seguendo
le comuni leggi alimentari.
La religione ebraica presenta, infatti, numerose regole da seguire in campo alimentare. Il cibo è definito
kasher o kashér in ebraico, cioè adatto al consumo, se segue il kashroot, cioè il corpo delle leggi sull’alimentazione derivate dalla Bibbia (Genesi, Levitico, Deuteronomio) con ulteriori specificazioni dalla Mishnah, dal
Talmud e da altri testi rabbinici. È vietato, invece, il cibo non kashér o treif.
Il cibo è diviso in categorie: la prima (quella della carne) e la seconda (latte e derivati) non possono entrare
nella stessa preparazione culinaria; una terza categoria raccoglie tutti gli altri alimenti definiti “neutri” (parve)
che possono essere consumati insieme alla carne o con i latticini.
Secondo le indicazioni del Levitico, si possono consumare gli animali che hanno lo zoccolo fesso e sono ruminanti (bovini, pecore, capre e cervidi) con esclusione di quelli che non presentano tali caratteristiche (cammello, cavallo, lepre, coniglio, maiale). È ammesso il consumo degli uccelli e delle loro uova, tranne i predatori
come avvoltoi, aquile e falchi; in realtà, anche altri uccelli selvatici non sono consumati.
Gli animali devono essere macellati secondo precise regole in modo da provocare la minima sofferenza all’animale e favorire il massimo drenaggio del sangue; la pratica della caccia, in cui l’animale è ucciso in modo
cruento, non è accettata.
Il latte e i derivati sono ammessi soltanto se provengono da animali kashér. Non è lecito mescolare la carne
con latte e derivati, né nella cottura né nello stesso pasto: di conseguenza, la carne non può essere cotta
utilizzando latte o burro o panna. Sono previsti, inoltre, tempi di attesa tra il consumo della carne e del latte
e derivati, che variano presso i diversi gruppi ebraici.
Il pesce fa parte dei cibi “neutri”, ma va consumato separatamente dalla carne. È lecito mangiare pesce
provvisto di pinne e scaglie, ma è proibito il consumo di squalo, pesce gatto, anguille, crostacei, molluschi,
mammiferi marini, rettili, anfibi e insetti.
È concesso il consumo del miele; frutta, verdura e derivati sono considerati “neutri”. Per i cibi in scatola e surgelati possono essere richiesti i marchi di certificazione rabbinica che ne specifichino l’idoneità al consumo.
Alcune festività prevedono il consumo di cibi particolari. Per la Pasqua ebraica vi è il precetto di consumare
soltanto pane non lievitato (si mangia il pane azzimo), escludendo ogni altro alimento che contenga lieviti.
Il sabato (shabbat), che inizia con il tramonto del sole del venerdì e termina dopo il tramonto del sabato, prevede la sospensione di ogni attività lavorativa comprese quelle della cucina: tutti i cibi devono quindi essere
già pronti e sufficienti fino alla sera successiva; il piatto forte è spesso uno stufato di carne, legumi e patate
o riso.
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F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
Nella giornata sono previsti più pasti. Ci sono due strutture di base per i pasti nel mondo arabo, una regolare e una specifica per il mese del Ramadan.
La colazione è in genere un pasto veloce che consiste in pane (a volte condito con olio ed erbe) e
prodotti caseari (yogurt o crema di latte speziati), accompagnati da tè e, a volte, marmellata.
Nella tradizione, la colazione era un pasto molto più sostanzioso e, soprattutto fra le classi lavoratrici, erano
diffusi la zuppa di lenticchie o misture di fave e ceci, oltre a dolci particolarmente ricchi.
Il pranzo è considerato il pasto principale della giornata e, nella tradizione, è consumato dopo la preghiera
di mezzogiorno. È consumato in famiglia e possono esservi invitati eventuali ospiti. Esso consiste, di solito,
in un piatto principale di carne (pollame o pesce) con le verdure, accompagnato da riso o altri cereali, pane
e una porzione di verdure fresche. Il cibo è posto in un grande vassoio al centro della tavola da cui ci si serve
portando il cibo alla bocca con le prime tre dita della mano destra, evitando l’uso della mano sinistra, considerata impura. Le uniche posate utilizzate sono i cucchiai per le eventuali zuppe.
La cena è per tradizione il pasto più leggero e può consistere in pane con formaggio o con olio d’oliva ed
erbe o carne per finire con frutta e dolci.
Nel periodo del Ramadan è consumato un maggior numero di dolci e frutta fresca, serviti di solito fra i due
pasti principali previsti.
Il pasto consumato al tramonto, quando l’astinenza dal cibo è finita, è chiamato futùr (o rottura del digiuno)
e consiste di tre portate: la prima è un numero dispari di datteri, come prescritto dalla tradizione islamica;
la seconda è una zuppa, di cui la più popolare quella di lenticchie, ma ve n’è un’ampia varietà (pollo, avena,
patate e altre ancora); la terza portata, di solito consumata dopo una pausa dedicata alla preghiera, è quella
principale ed è simile a quella che si consuma solitamente per pranzo, con l’eccezione che sono servite anche
bevande fredde.
Il suhur è, invece, il pasto consumato appena prima dell’alba, quando il digiuno deve cominciare.
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Cucina americana
La cucina americana è il risultato dell’integrazione di molteplici influenze inserite in un periodo storico relativamente breve: agli alimenti tipici dei nativi (soprattutto mais e legumi) si aggiunsero gli apporti dei colonizzatori e degli immigrati. I coloni europei (prevalentemente di origine anglosassone, olandese o francese
al Nord, spagnola o portoghese al Sud) non soltanto importarono molti dei loro alimenti nelle Americhe, ma
incorporarono nella propria cucina i prodotti locali. Gli schiavi neri introdotti dall’Africa svilupparono, invece,
una propria cucina che associava al mais e ai legumi gli ingredienti più poveri o di scarto, come le parti meno
appetibili degli alimenti animali. Le successive ondate immigratorie dall’Europa e dai Paesi Orientali hanno
ulteriormente influenzato le tradizioni alimentari.
Il mais, originario dell’America, alimento base di Aztechi ed Incas, è ancora ampiamente consumato sotto
forma di pannocchie o di chicchi oppure in alimenti preparati con la farina.
Il riso, introdotto dai colonizzatori europei, si diffuse ampiamente al Nord e al Sud, diventando un ingrediente
fondamentale di molte preparazioni (minestre, stufati di carne, vegetali o legumi); grande diffusione ha avuto
anche il frumento.
Le grandi distese del Nord e del Sud America hanno favorito l’allevamento dei bovini importati dall’Europa.
La grande disponibilità di carne ha influito molto sull’abitudine a un suo consumo frequente e al suo utilizzo
come componente principale dei pasti a scapito dei farinacei. Anche il maiale e il pollame sono molto utilizzati e apprezzati in tutto il continente.
Il consumo del latte, assunto anche ai pasti come bevanda, è molto diffuso al Nord, mentre al Sud è diffuso
quello di latte in polvere o condensato dolce. I formaggi sono ampiamente prodotti, con varietà che spesso
imitano quelle europee.
Verdure tipiche dell’America sono pomodori, peperoni e peperoncino (chili); tra i tuberi è originaria dell’America la patata, poi importata in Europa e diffusa in tutto il mondo; dall’America del Sud deriva, invece, una
grande varietà di frutti, come ananas, papaia, guava, frutto della passione, avocado.
L’America del Nord ha accolto un grande numero di etnie diverse per cui è difficile identificare una cucina
nordamericana in senso stretto, essendo presenti numerose varietà di stili alimentari. In questi territori si sono particolarmente diffusi i cibi cosiddetti “di convenienza” che hanno l’obiettivo di accorciare i processi di
preparazione (cibi in scatola, prodotti liofilizzati, surgelati) e i fast-food.
Anche la cucina sudamericana è il risultato di influenze diverse, da quelle indigene a quelle introdotte dagli
schiavi africani ad altre europee, portate dai colonizzatori.
Un esempio di questa integrazione di stili è la cucina messicana, famosa per i suoi gusti intensi e diversificati
e la gran varietà di spezie, nella quale, agli elementi tipici della cucina pre-colombiana (mais, legumi, tacchino
e altre carni, pomodori, peperoncino, zucca, avocado, papaia, cacao, vaniglia, arachidi, patate dolci), si aggiunsero gli ingredienti di origine europea come riso, manzo, maiale, pollo, aglio, cipolla, formaggio e vino.
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F. Fuoco, ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE E SICURA
Pur nel rispetto di tali leggi alimentari, le tradizioni culinarie hanno assunto caratteristiche differenziate a seconda delle aree geografiche in cui gli Ebrei sono vissuti.
Generalmente si considerano tre grandi gruppi di popolazioni ebraiche cui corrispondono diverse
tradizioni alimentari: gli ashkenazi (Ebrei che nel Medioevo vivevano in Francia e Germania e che poi migrarono in Polonia e Lituania e in diverse parti del mondo), gli Ebrei sefarditi (discendenti dagli Ebrei espulsi
dalla Spagna e dal Portogallo nel 1492) e gli Ebrei levantini (o Mizrahi, Ebrei orientali provenienti dai Paesi
del mondo arabo).
Nell’alimentazione degli ashkenazi sono presenti ingredienti tipici della cucina nordica o dell’Europa dell’Est,
mentre la cucina sefarditica comprende un insieme di preparazioni culinarie di origine spagnola, italiana, mediorientale e nordafricana con un gusto più mediterraneo. La cucina Mizrahi è invece simile alla cucina araba,
per le carni arrostite, le paste dolci e salate, i piatti con riso, le verdure ripiene e le insalate.
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