La diagnosi nelle varici degli arti inferiori

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I mezzi diagnostici strumentali di oggi consentono un’accuratezza diagnostica estrema e rapida
È piuttosto facile fare diagnosi di
fronte a casi eclatanti, quelli cioè
che in genere saranno candidati
al trattamento chirurgico. Più
difficile è invece la diagnosi di
insufficienza venosa iniziale per
la quale possono essere sufficienti
dei banali presidi igienici-comportamentali, oppure una contenzione elastica mirata o una buona
terapia, al fine di stabilizzare il
problema. Con una visita corretta
è possibile in realtà sospettare e
individuare anche questi casi.
La visita inizia generalmente con la
raccolta dell’anamnesi. Per primo
andrà indagata la familiarità per
le varici, dato al quale occorre
assegnare molta importanza. La familiarità per malattia varicosa è un
elemento pressoché costante nei
pazienti varicosi. E’ noto a tutti che
la gravidanza rappresenta spesso
l’esordio di questa malattia. E’ perciò necessario indagare il numero
di gravidanze e se eventualmente
si sono verificati, in gravidanza o
nel post-partum, trombosi venose
superficiali o profonde. Grande
importanza riveste l’assunzione di
farmaci, in particolare di estro-progestinici. Anche il lavoro svolto dal
paziente ha capitale importanza
come detto nel precedente articolo. Nell’ambito dell’anamnesi
patologica remota occorre fare attenzione alla presenza di eventuali
cardiopatie (che possono aggravare la già presente stasi venosa
dell’arto inferiore), le broncopatie
croniche (che peggiorano l’edema
dell’arto), l’ipertensione e il diabete (concause delle ulcere), le patologie osteoarticolari che alterano
la deambulazione aggravando la
sintomatologia flebostatica.
In realtà chi si reca dal medico
specialista di questo settore lo fa
perché presenta una sintomatologia ben specifica. Sono pochi
quei pazienti che si sottopongono
ad una visita specialistica agli arti
inferiori per il solo scrupolo. Chi
decide di fare questo passo arriva
dal medico con la diagnosi fatta da
solo e nella maggior parte dei casi
la diagnosi è giusta!
I sintomi che più comunemente
affliggono il soggetto con insufficienza venosa sono, il senso di
peso, il dolore dell’arto con irradiazioni più o meno ben localizzate, il
prurito che spesso arriva a livelli di
scarsa sopportazione, l’edema della gamba, le parestesie, i crampi, il
bruciore, la sensazione di puntura.
Tutti sintomi che in genere tendono a migliorare leggermente
con l’arto sollevato e che invece si
accentuano alla stazione eretta e in
particolare alla fine della giornata,
dopo svariate ore passate in piedi.
Normalmente ne vengono riferiti
dal paziente solo alcuni, quelli
che, a seconda del caso, rendono
più fastidiosa l’esistenza di chi ne
è interessato.
Dopo questo fondamentale colloquio con il paziente si passa
all’esame obiettivo. Generalmente
l’esame viene inizialmente condotto con il paziente in piedi su una
pedana e scalzo. L’ispezione è un
tempo fondamentale e le gambe
parlano da sole in certi casi. Occorre valutare, se visibili, il calibro
delle varici e la loro sede. Con
estremo schematismo potremmo
sostenere che varici voluminose e
tortuose sono tipiche di sindromi
varicose inveterate. L’arto sembra
aumentato di volume da questa
sorta di massa di varici che sembrano formare una vera e propria
spugna piena di sangue.
Varici di calibro più modesto,
meno tortuose, quasi rettilinee,
sono indice di varicosi recente,
spesso tipiche di donne che non
hanno avuto gravidanze.
Continuando la semplice osservazione possono essere evidenziate
le varici reticolari che sono di
piccolo calibro e che danno vita a
varicosità filiformi e arborescenti
di un caratteristico colorito blu
tendente al verdastro. Tipiche del
sesso femminile prediligono la giovane età. Infine le teleangectasie:
capillari arborescenti o rettilinei,
tipici della faccia esterna o interna della coscia, possono essere
rilevati in qualsiasi sede dell’arto
inferiore.
Le manovre flebodinamiche e
percusso-palpatorie, con l’esame
obiettivo cutaneo, concludono in
genere la prima parte della visita.
Fino a non molti anni fa la visita
sarebbe in pratica terminata qui.
Oggi invece disponiamo di mezzi
diagnostici strumentali, che se da
una parte non ci devono esimere
da tutta la procedura fino a adesso
esaminata, ci consentono un’accuratezza diagnostica estrema e
rapida.
I più comuni sono l’esame doppler
e l’esame eco-color-doppler. Questi
due esami sono di facile esecuzione, indolori, non richiedono
nessuna preparazione e forniscono immediatamente il risultato. Sia
il doppler che l’eco-color-doppler
misurano il flusso del sangue e la
sua direzione; il secondo fornisce
anche dati visivi circa la struttura
del vaso, le sue valvole, gli even-
tuali collaterali e i vasi perforanti.
La sonda dello strumento (analoga
alla sonda usata per un’ecografia
all’addome) viene posta in corrispondenza dei punti cruciali di
reflusso venoso (generalmente a
livello inguinale e posteriormente
al ginocchio, cioè nel cavo popliteo) e successivamente spostata
secondo il sospetto diagnostico.
L’accuratezza di questi esami
permette una mappatura così
sensibile e precisa che anche i casi
più avanzati, quelli cioè candidati
all’intervento chirurgico, possono
essere risolti con interventi mirati
e poco invasivi che consentono
una ripresa della deambulazione a
poche ore dall’intervento.
Chiudiamo questo nostro III
incontro menzionando solamente
altri esami, ormai utilizzati come
complemento e solo in casi particolari, quali la pletismografia
(che permette la misurazione e
registrazione di una modificazione
di volume di un segmento dell’arto), la misurazione della pressione
parziale di ossigeno, la capillaroscopia, la termografia.
Vi lascio in attesa del prossimo
appuntamento, sperando che le
basi fisio-patologiche, cliniche e
diagnostiche che stiamo costruendo insieme stiano riuscendo a farvi
entrare con sempre maggiore
chiarezza in questo complesso ma
altrettanto diffuso capitolo della
medicina.
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Nel complesso sanitario di Montedomini la preziosa attività dei volontari dell’“AIP”
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Firenze: una storia ricca di Confraternite e Opere Pie. Istituzioni religiose
di assistenza e beneficenza in vita fin
dai tempi medievali e rinascimentali,
come la Misericordia di Piazza del
Duomo, quella degli uomini dalla
tonaca e dal cappuccio neri che
aiutavano i malati e i bisognosi; o lo
Spedale degli Innocenti che accoglieva alla ruota del porticato di piazza
Santissima Annunziata i bambini abbandonati dalle madri impossibilitate
a mantenerli. E, chiaramente, Montedomini il cui primo nucleo risale
ad un ospizio fondato da un gruppo
di suore nell’anno 1531, diventato
oggi per il Comune di Firenze sede
e centro nevralgico di assistenza medica, con attività socio-sanitarie per
soggetti autosufficienti e non autosufficienti (come gli affetti da morbo
di Alzheimer), con la gestione anche
dei servizi residenziali di Firenze e
con un’ampia rete relazionale con il
mondo del volontariato.
Adesso, ancora più che nei tempi
antichi, nonostante la moderna conquista al diritto alla salute (secondo
cui dovrebbe essere garantita dalle
istituzioni una certa assistenza al
malato), è, e si manifesta, sempre
più necessaria una presenza nel
campo dell’assistenza medica di
attori privati e associazioni non a fini
di lucro (onlus) i quali si occupano
soprattutto di disabili e malattie gravi
come quelle terminali. Più le malattie
sono gravi e più c’è bisogno di un
servizio supplementare a quello
pubblico; il morbo di Parkinson ne
è un esempio.
Scoperto per la prima volta nel 1817
dallo studioso che gli dette il nome,
esso riguarda una parte della popolazione sempre più in crescita nei
Paesi più sviluppati, gli stessi che,
con le loro ricerche farmaceutiche,
non sono riusciti ancora a trovare
nuove cure più efficaci. Si tratta di
un disturbo del sistema nervoso cen-
trale caratterizzato principalmente da
degenerazione di alcune cellule nervose (neuroni) situate in una zona
profonda del cervello denominata
sostanza nera. Queste sono molto
importanti, poiché responsabili, in
pratica, dell’attivazione di un circuito
che controlla il movimento, ma purtroppo soggette a rischio degenerativo, di rimpicciolimento fino alla loro
morte. Nella maggioranza dei casi i
primi sintomi del morbo si notano
intorno ai 60 anni e sono caratterizzati da tremore, rigidità e lentezza
dei movimenti ai quali si associano
disturbi di equilibrio, atteggiamento
curvo, impaccio nell’andatura, oppure anche alterazioni della grafia e
della voce.
Tredici
anni
fa
nasceva
l’“Associazione Italiana Parkinsoniani” (AIP), costituita con sede
a Milano da un piccolo gruppo di
pazienti familiari e amici; essa, da più
di dieci anni, si dedica alla raccolta
di fondi per sostenere la ricerca e il
raggiungimento di nuove conoscenze scientifiche sulla malattia. Ha 25
sezioni locali che coprono l’intera
penisola e il distaccamento fiorentino ha naturalmente sede presso gli
Istituti Riuniti di Montedomini e San
Silvestro, in via dei Malcontenti, 6.
All’istituto, quindi, il compito di continuare l’antica tradizione di assistenza
del territorio fiorentino, e all’Associazione onlus il merito di portare
avanti le attività di logopedia, piscina,
psicoterapia, fisioterapia, gli incontri
con gli specialisti, e, non ultima, la
pubblicazione del giornalino “Aip
Insieme” che si prefigge di tenere al
corrente i pazienti e le famiglie sulle
attività interne, le terapie farmacologiche, chirurgiche, fisioterapiche,
e sui centri specializzati italiani e
all’estero. Un veicolo di ulteriore conoscenza e dibattito anche, come si
legge in una riflessione sul numero 2
del 2006, “per stimolare e pungolare
le istituzioni a fare quanto di loro
competenza”.
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