1 NTR NUMERI TRANSFINITI 1 Successioni Le funzioni di dominio IN vengono tradizionalmente chiamate successioni. Si chiama successione di numeri reali ogni funzione f : IN → IR. Detta n la variabile, per indicare l'immagine di n in f si scrive fn ( leggi: f con n ) anziché f(n). Il numero reale fn si chiama termine n-esimo o termine generale della successione ed n è l'indice di fn. La stessa lettera f, iniziale della parola funzione, viene spesso sostituita dalla lettera a. Indichiamo allora una successione scrivendo n 1 an oppure elencando, secondo i valori crescenti dell'indice, i termini che la costituiscono: a1, a2, … , an, … Nei casi più comuni, una successione di numeri reali è data mediante una formula che descrive le opera zioni da eseguire su ogni n per ottenere an. ESEMPI 1 La successione n an definita da an = I suoi primi cinque termini sono: 1, 2 1 2 1 n è chiamata successione armonica. , 1, 1, 1. 3 4 5 Molte successioni possono essere definite per ricorrenza, cioè fissando delle regole per co struire tutti i termini della successione a partire da uno o più termini iniziali assegnati. E' questo il caso della successione dei numeri di Fibonacci, definita da: a1 = a2 = 1, an+1 = an + an−1 per n ≥ 2 i cui primi otto termini sono: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21. 3 A volte, per costruire i termini di una successione, sono necessarie due (o più) espressioni analitiche. E' questo il caso della successione definita da a2n−1 = 1, a2n = 2n2 i cui primi sette termini sono: 1, 2, 1, 8, 1, 18, 1. Occorre distinguere tra la successione, che è una particolare funzione, e l'insieme {an / n∈ IN} ⊆ IR, imma gine della successione, indicato brevemente con {an}. In particolare, osserviamo che l'immagine può esse re un insieme finito; ad esempio, per la successione costante an = 1 ∀n, l'immagine si riduce all'insieme {1}. Una successione n an si dice limitata, limitata superiormente o inferiormente, a seconda che l'insie me {an} sia limitato, limitato superiormente o inferiormente in IR. Gli estremi superiore e inferiore di {an} si dicono, rispettivamente, estremo superiore ed estremo inferiore della successione, indicati con sup a n e n∈N 1 inf a n n∈N . La difformità dei simboli usati per le successioni, rispetto a quelli usati per le funzioni in generale, trae la sua motivazione da considerazioni di carattere storico. Le successioni venivano infatti considerate non come casi particolari di funzioni, ma come oggetti concettualmente distinti dalle funzioni stesse. 2 Inoltre, una successione di numeri reali si dice: crescente ⇔ a1 ≤ a2 ≤ … ≤ an ≤ … def decrescente ⇔ a1 ≥ a2 ≥ … ≥ an ≥ … def strettamente crescente a1 < a2 < … < an < … ⇔ def strettamente decrescente ⇔ a1 > a2 > … > an > … def Una successione crescente o decrescente si dice monotòna; una successione strettamente crescente o strettamente decrescente si dice strettamente monotòna. Osserviamo che la successione dell'esempio 1 è strettamente decrescente, mentre quella dell'esempio 2 è crescente; la successione dell'esempio 3 non è monotòna. La nozione di successione può essere facilmente generalizzata. Dato un insieme qualsiasi X, non vuoto, si chiama successione di elementi di X ogni funzione f : IN → X. ESEMPIO Sia X l'insieme di tutte le circonferenze di un piano π. Fissato un punto C ∈ π, le circonferenze xn di centro C e raggio n, con n ∈ IN, costituiscono una successione. In questo caso i termini x1, x2, x3, … sono le circonferenze di centro C e raggi rispettivi 1, 2, 3, … La nozione di restrizione di una funzione si applica anche alle successioni. In particolare, si chiama sottosuccessione di una successione data n da questa, la restrizione di n xn, ovvero successione estratta xn a un qualsiasi sottoinsieme infinito di IN. ESEMPI Se si prende come insieme degli indici l'insieme dei numeri pari, si ottiene la sottosuccessione: x2, x 4, x6, x8, , x 2n , Se si prende come insieme degli indici l'insieme dei "quadrati perfetti", si ottiene la sottosuccessione: x 1, x 4 , x 9 , x 16 , , x 2, n 2 Equipotenza d'insiemi Contare gli elementi di un insieme qualsiasi A significa definire una funzione bijettiva f : A → B, dove B è un insieme "campione" (ad esempio l'insieme delle dita di una mano). Definizione cantoriana di equipotenza 2 Dati due insiemi A e B non vuoti, si dice che A è equipotente a B e si scrive A ∼ B, se esiste una funzione bijettiva f : A → B. Poniamo, inoltre, A ∼ ∅ ⇔ A = ∅. 2 "cantoriana" perché formulata da Georg Cantor (1845 – 1918), grande matematico tedesco. 3 Preso un n ∈ IN, l'insieme In = {1, 2, … , n}, cioè l'insieme costituito dai primi n numeri naturali, si presta bene come insieme "campione". Un insieme A si dice finito, se A = ∅ oppure se esiste un n ∈ IN tale che A ∼ In. ESEMPI Gli insiemi A = {v, w, x, y, z}, B = {#, <, (, &, ∃} e C = {α, β, γ, δ}, sono finiti in quanto A ∼ I5, B ∼ I5 e C ∼ I4. Risulta A ∼ B, mentre A ∼ C (A non è equipotente a C). Un insieme si dice infinito, se non è finito. ESEMPI Conosciamo parecchi esempi di insiemi infiniti. Fra questi: l'insieme IN dei numeri naturali, l'insieme degli interi relativi, l'insieme dei numeri ra 2 zionali, l'insieme IR dei numeri reali, l'insieme IR (coppie ordinate di numeri reali), ecc. Gli insiemi infiniti hanno proprietà che a prima vista sembrano paradossali. Ad esempio, la funzione n n2 di IN nell'insieme dei quadrati perfetti (vedi schema) è bijettiva. Quindi IN è equipotente all'insieme dei quadrati perfetti che, ovviamente, è un sottoinsieme proprio di IN ( paradosso di Galilei ). 1 − ↓ 1 2 − ↓ 4 3 − ↓ 9 4 5 − − ↓ ↓ 16 25 … − ↓ … Diciamo subito, tuttavia, che il fatto che un insieme possa essere equipotente a una sua parte propria, lungi dall'essere paradossale, costituisce la proprietà caratteristica degli insiemi infiniti. Infatti si può dimostrare che un insieme è infinito se e solo se è equipotente a un suo sottoinsieme proprio. Preso, come ambiente, un insieme d'insiemi F, si riconosce facilmente che la relazione di equipotenza d'in siemi è una relazione di equivalenza in F; come tale essa determina una partizione di F in classi (principio di contrazione). Dato un X ∈ F, la classe di tutti gli insiemi equipotenti a X si chiama cardinalità o numero cardinale di X e si indica con card X. Poniamo: card ∅ = 0, def card In = n, def card IN = ℵ0. def Nel caso finito, dunque, il concetto di cardinalità di un insieme si identifica con quello più familiare di numero degli elementi dell'insieme: se X non contiene alcun elemento, cioè se X = ∅, è X ∼ ∅ e quindi card X = 0; se X è costituito da n ( ≥ 1) elementi, risulta X ∼ In e quindi card X = n. Il simbolo ℵ0 ( alef-zero, dove ℵ è la prima lettera dell'alfabeto ebraico), si chiama cardinalità del numera bile. Ogni X ∼ IN si dice, infatti, un insieme numerabile. 4 Se X è un insieme numerabile, è sempre possibile disporre i suoi elementi in una successione: x1, x2, … , xn, … dove xn è l'elemento che facciamo corrispondere al numero naturale n. In un certo senso, l'insieme IN dei numeri naturali è il più piccolo insieme infinito. Infatti, ogni insieme infini to Y include un insieme numerabile X. Per vederlo, prendiamo un x1 ∈ Y. Poiché Y è infinito, Y possiede un elemento x2 ≠ x1. Per lo stesso motivo, Y conterrà un elemento x3 diverso da x1 e da x2, e così via. Gli ele menti x1, x2, … , xn, … formano un insieme X, incluso in Y, equipotente a IN. Dati due insiemi A e B, si dice che la cardinalità di A è minore o uguale alla cardinalità di B e si scrive card A ≤ card B, se A = ∅ oppure se esiste una funzione iniettiva f : A → B. In particolare, se card A ≤ card B e card A ≠ card B, si dice che la cardinalità di A è minore della cardinalità di B e si scrive card A < card B. Se A è un insieme finito non vuoto di cardinalità n, è per definizione A ∼ In ⊆ IN. Esiste allora una funzione iniettiva f: A → IN, e quindi n ≤ ℵ0. Ma n ≠ ℵ0. Quindi n < ℵ0. Ciò dimostra che la cardinalità di un insie me finito è minore della cardinalità del numerabile. Vediamo alcuni importanti risultati sulla cardinalità. 1 Dim L'insieme è numerabile. Gli elementi di si possono disporre nella successione 0, 1, −1, 2, −2, … La tabella: 0 − ↓ 1 − ↓ −1 − ↓ 2 − ↓ −2 − ↓ … − ↓ 1 2 3 4 5 … definisce una funzione bijettiva f: 2 Dim L'insieme → IN. Quindi ∼ IN. ν è numerabile. Consideriamo la tabella: 0 1 −1 2 −2 3 −3 0 2 1 2 − 1 2 2 2 − 2 2 3 2 … 0 3 1 3 − 1 3 2 3 − 2 3 … 0 4 1 4 − 1 4 2 4 … … … … … … Essa contiene, con ripetizione, tutti (e solo) i numeri razionali ( m si trova nella n.esima riga ); n i suoi elementi distinti si possono disporre, seguendo l'ordine delle frecce e senza ripetizione, nella successione 0, 1, −1, 1 2 , 2, − 1 2 , 1 3 , −2, … , formata dalla totalità dei numeri razionali. 5 La tabella: − ↓ 1 2 − ↓ 3 4 0 1 −1 − ↓ − ↓ 1 2 definisce una funzione bijettiva f: 3 Dim 1 3 − ↓ −2 … − ↓ −1 2 − ↓ − ↓ − ↓ 5 6 7 8 … 2 → IN. Quindi ∼ IN. ν L'intervallo reale ]0, 1[ non è numerabile. Supponiamo, per assurdo, che l'insieme ] 0, 1 [ sia numerabile. In questa ipotesi, i suoi elementi potrebbero disporsi in una successione n xn, essendo: x1 = 0, a11 a12 a13 a14 a15 … x2 = 0, a21 a22 a23 a24 a25 … x3 = 0, a31 a32 a33 a34 a35 … x4 = 0, a41 a42 a43 a44 a45 … .………………………………….. con ani ∈ { 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 } per ogni n, i ∈ IN. Prendiamo ora il numero y = 0, b1 b2 b3 b4 …, dove: bn = 2, se a 1, se a nn nn = 1 ≠ 1 , ∀n ∈ IN. Evidentemente y ∈ ] 0, 1 [ ma non figura nella successione n xn. Il numero reale y, infatti, differisce da x1 almeno per la prima cifra decimale, differisce da x2 almeno per la seconda, da x3 almeno per la terza e così via. Quindi l'intervallo ] 0, 1 [ non è numerabile. ν 4 Dim L'insieme IR è equipotente all'intervallo ] 0,1 [. Sia AB la semicirconferenza aperta (cioè senza gli estremi A e B) di raggio 1/2 e tangente alla retta reale nel punto di ascissa 1/2 (come in figura). Indicato con M il punto medio del segmento [AB], definiamo due funzioni f e g: A M B P g↓ 0 1 /2 y f 1 x IR υ f ad ogni x ∈ IR fa corrispondere il punto P ∈ AB allineato con x e M (proiezione centrale); υ g ad ogni P ∈ AB fa corrispondere l'ascissa y della sua proiezione ortogonale su IR. Chiaramente f e g sono funzioni bijettive: la prima di IR in AB, la seconda di AB nell'intervallo ] 0, 1 [. Risulta così definita la funzione g f : IR → ] 0, 1[ che, essendo la composta di due fun zioni bijettive, è a sua volta bijettiva. Quindi IR ∼ ] 0, 1[. ν 6 Ora, per la proposizione 4, risulta card IR = card ] 0, 1[ ma, per la proposizione 3, è card ] 0, 1[ ≠ ℵ0. Quindi card IR ≠ ℵ0. Poniamo card IR = (leggi: C gotica), chiamata cardinalità del continuo. def Se A ∼ IN, cioè se A è un insieme numerabile, allora esiste una funzione iniettiva f: A → IR, perché IR ⊇ IN. Ne segue ℵ0 ≤ cardina lità del continuo. ℵ0 e . Ma ℵ0 ≠ . Quindi ℵ0 < : la cardinalità del numerabile è minore della prendono il nome di numeri transfiniti. Sviluppando la teoria, si trova che esistono … infiniti numeri transfiniti. Ma noi ci fermiamo qui. 3. L'ipotesi del continuo Poniamoci la seguente domanda: esiste un insieme X tale che IN ⊂ X ⊂ IR per cui si abbia ℵ0< card X < ? Nel 1883 Cantor congetturò che la risposta fosse negativa, ma non riuscì a dimostrarlo. Tale questione rima se aperta, e passò alla storia della matematica col nome di ipotesi del continuo quando Hilbert, nel 1900, la enunciò come uno dei problemi matematici aperti alle soglie del XX secolo2. Fu necessario aspettare fino al 1963, quando un matematico americano, Paul Cohen, della Stanford Univer sity, dimostrò, con un metodo estremamente ingegnoso, che l'ipotesi del continuo è indipendente dagli as siomi di Zermelo–Fraenkel sui quali è basata la moderna teoria degli insiemi 3. «Indipendente» significa che l'ipotesi del continuo, nel sistema di Zermelo–Fraenkel, non può essere né provata né refutata. Il problema è dunque risolto, e la soluzione è che esso … non può essere risolto con le nozioni di teoria degli insiemi che sono oggi di uso comune. Ciò non significa, ovviamente, che non possano emergere in futu ro estensioni della teoria degli insiemi che permetteranno di decidere l'ipotesi del continuo in un senso o nell'altro, ma significa soltanto che, per ora, ci si deve accontentare di separare i risultati provati usando det ta ipotesi (o la sua negazione), da quelli che invece ne fanno a meno. 2 L'8 agosto 1900, David Hilbert, dell'università di Gottinga, prese la parola al Secondo Congresso Interna zionale della Matematica in una gremita sala per le conferenze della Sorbona, a Parigi. Hilbert, che già allora era conosciuto come uno dei più grandi matematici dell'epoca, tenne una relazione rimasta famosa, nella quale salutava il nuovo secolo elencando 23 problemi aperti che costituivano una grande sfida: riuscendo a risolverli, i matematici avrebbero «sollevato il velo sotto il quale è celato il futuro, per gettare uno sguardo ai progressi che attendono la nostra disciplina e ai segreti del suo sviluppo nei secoli a veni re». L'ipotesi del continuo occupava il primo posto dell'elenco. 3 La teoria degli insiemi da noi studiata nell'U.D. Logica e insiemi, oggi viene comunemente chiamata teoria ingenua degli insiemi. Essa si fonda su due soli principi che riducono gli insiemi alle proprietà che li defini scono. Anzitutto il principio di estensionalità: un insieme è completamente determinato dai suoi elementi, e due insiemi con gli stessi elementi sono dunque uguali. Inoltre, il principio di comprensione: ogni proprietà determina un insieme, costituito dagli oggetti che soddisfano la proprietà; e ogni insieme è determinato da una proprietà, che è appunto quella di essere un oggetto appartenente all'insieme.