OSPEDALI/NEUROCHIRURGIA
ECCO LE TECNICHE CHIRURGICHE PER COMBATTERE L’EPILESSIA
Su cento persone affette da epilessia almeno dieci non riescono a trarre vantaggio
dalle cure con i farmaci. In moltissimi di questi casi si è invece rivelato efficace
l’intervento chirurgico che asportando la zona del tessuto cerebrale colpita dal male
può eliminare, o quanto meno ridurre in maniera notevole, l’eventualità di crisi
epilettiche. Questa tecnica, finora praticata in pochissimi centri italiani, potrebbe a
breve trovare applicazione nella Neurochirurgia di Cattinara dove da oltre un anno è
attivo uno specifico ambulatorio per i pazienti epilettici.
“Si tratta di una tecnica ormai ben standardizzata che non presenta rischi particolari
rispetto ad altri interventi nella zona cranica”, spiega il direttore della struttura,
Leonello Tacconi, che a questa e altre metodiche ha di recente dedicato un lungo
periodo di studio e aggiornamento negli Stati Uniti alla Cleveland clinic. “A rendere
complesso quest’intervento – prosegue – è piuttosto la necessità di mettere a punto un
approccio multidisciplinare che coinvolga neurologi, neurofisiologi, neuroradiologi,
neuropsicologi e medici nucleari. Solo un team di questo tipo, peraltro già presente
nel nostro ospedale, può farsi carico di una metodica del genere”.
Quali pazienti possono giovarsi della terapia chirurgica dell’epilessia?
In termini statistici sono circa il 10 per cento dei pazienti. La cosa più importante è
proprio la selezione dei malati per identificare la causa della malattia. L’intervento è
infatti indicato per chi non trae benefici dalle cure farmacologiche e in presenza di
una lesione, di solito localizzata nell’area mediale lobotemporale del cervello, in
quella zona dove si trova l’ippocampo.
Si tratta di una zona delicata, importante per la memoria. Non è pericoloso
rimuoverla?
In condizioni di salute la memoria effettivamente è collegata a quest’area.
Nell’epilessia i problemi di memoria sono però già presenti. L’asportazione di questa
parte non peggiora dunque il deficit neurologico preesistente. Il vantaggio è che si
migliorano le crisi che con il tempo divengono episodiche evitando così quel
deterioramento cerebrale che sempre si accompagna all’epilessia e le morti
improvvise legate all’epilessia.
Quali sono, nell’esperienza internazionale, i margini di successo?
Si è visto che, tra quel 10 per cento di malati che può avvalersene, la percentuale di
successo della terapia chirurgica si attesta sull’85 per cento ed è dunque molto
elevata. I rischi sono invece del 3 per cento circa, come per tutti gli interventi eseguiti
in quella parte del corpo.
Gli interventi cranici sono da tempo una parte importante del lavoro di
Neurochirurgia.
Senz’altro. La media è di circa 250 l’anno per tumori, ematomi o aneurismi. Più
consistente in termini numerici è invece la parte d’attività dedicata alle patologie
spinali, ad esempio per problemi degenerativi, ernie del disco, fratture su base
osteoporotica, dolori o tumori. Sono patologie che hanno particolare frequenza in una
popolazione anziana come quella triestina e che implicano circa 650 interventi
l’anno.
Vengono utilizzate delle tecniche particolari?
Quand’è possibile cerchiamo di privilegiare tecniche mininvasive per via
endoscopica. Ad esempio nelle stabilizzazione utilizziamo un’incisione di due
centimetri al posto delle tradizionali incisioni cutanee dieci volte più ampie con cui
s’inserivano finora le viti. Per il resto lo sforzo è di aggiornarsi in modo costante per
proporre le metodiche più aggiornate senza perciò dimenticare l’attenzione al malato.
Un supporto necessario, vista la delicatezza degli interventi praticati.
Per questo cerchiamo di dedicare molto tempo sia ai pazienti sia ai famigliari. Negli
anni abbiamo messo a punto diverse strategie, anche sulla base dei suggerimenti degli
stessi cittadini. Accanto al consueto orario di ricevimento dei medici, una volta la
settimana, ci si può ad esempio rivolgere ogni giorno al medico di reparto che è
disponibile per informazioni, chiarimenti e consigli. Cerchiamo di prestare attenzione
alla privacy del paziente, durante l’intervento teniamo i familiari al corrente di quanto
accade in sala operatoria e altri accorgimenti ancora. Al termine del ricovero
misuriamo il gradimento dei degenti e dei parenti. E’ un modo di verificare il nostro
operato e di ricevere qualche nuova e utile indicazione sul nostro lavoro.