Copyright © by Tommaso Ciccarone Arthur SCHOPENHAUER Il Filosofo della Voluntas in cerca della Noluntas La figura di Schopenhauer nel panorama della storia della filosofia rappresenta la prima voce di quella che è stata definita la “Cultura del Sospetto”, principalmente rappresentata da SCHOPENHAUER – MARX – FREUD. La cifra filosofica che accomuna questi pensatori e che innanzitutto caratterizza il pensiero “alternativo” di Schopenhauer è l’approccio anti-metafisico. Nella fattispecie Schopenhauer esprime l’attacco più consapevolmente violento alle costruzioni sistematico - speculative dell’Idealismo hegeliano. L’ approccio è dunque innanzitutto critico – decostruttivo. Il pensiero di Schopenhauer intende squarciare i veli illusori delle costruzioni concettuali che nascondono l’essenza del Mondo e/o della Vita. Analizziamo brevemente un quadro delle influenze che determinano il pensiero complesso o pluridimensionale di Schopenhauer. 1. KANT – Schopenhauer vede in Immanuel Kant il simbolo della autentica filosofia moderna e dell’autentica riflessione sui meccanismi dell’Epistemologia ovvero di una coerente teoria della conoscenza. Kant ha avuto il merito di basare i principii della conoscenza sulle rappresentazioni soggettive legittimate dalle due intuizioni pure a-priori di Spazio e Tempo e articolate entro le 12 categorie dell’Intelletto analitico(Verstand). Schopenhauer eredita da Kant il concetto di “rappresentazioni” entro cui inquadrare la conoscenza del mondo, ma lo utilizza secondo una nuova prospettiva (decisamente lontana dall’autore della “Critica della Ragion Pura”). 2. PLATONE – Lo stile e il pensiero di Schopenhauer dimostra di essere eclettico e “aggressivo” sulle concezioni apparentemente più disparate della filosofia, entro un quadro di coerenza assolutamente originale e, al limite, provocatoria. Il pensiero di Platone, il filosofo dell’”Iperuranio”, si riflette nella concezione artistica del filosofo tedesco di Danzica, per cui l’Arte è il passaggio o, meglio, la “fuga” dell’individuo da se stesso e dal mondo quotidiano e materiale percorso dal dolore, verso il mondo della Perfezione ideale, il “Mondo – delle – Idee”, appunto. Qui la “Bellezza” è catartica sulla realtà e sulla vita, intesa come Tragedia 3. ROMANTICISMO – la ricchissima cultura romantica è alla radice del pensiero “irrazionale” di Schopenhauer. I termini Streben (tensione) e Sensucht (“Desiderio inappagato”) costituiscono le lenti interpretative del suo discorso che, dal punto di vista stilistico non esibisce un impianto “sillogistico” o dialettico-speculativo, ma anzi un discorso che ruota attorno alla vita e al 1 Copyright © by Tommaso Ciccarone sentimento dominante e primitivo che è la “volontà di vivere”, l’unica e autentica “Cosa in Sé” di cui la filosofia e l’uomo possa parlare. 4. FILOSOFIA INDIANA – Schopenhauer, sulla scorta dei contatti con l’orientalista Fredrich MAYER avuti nel salotto di sua madre nella casa di Weimar, rielabora un pensiero “alternativo” alla cultura occidentale incentrata, da Cartesio a Hegel (non escluso nemmeno Kant), sul centralismo del SOGGETTO (inteso, alla lettera come Sub-jectum) ovvero sul Principium Individuationis. Schopenhauer apre la riflessione sulla decentralizzazione del Soggetto: l’individuum è in realtà un dividuum, scisso e lacerato dalla forza essenziale della realtà organica. La Volontà di Vivere che procura dolore, sofferenza e noia (Francesco De Sanctis scrisse un celebre saggio nel 1958 sul rapporto fra Schopenhauer e Leopardi). La saggezza indiana della Upanisad conduce ad una dimensione “mistica” e irrazionale (meister ECKHART la chiamerebbe “iper-razionale”) in cui l’individua dimentica se stesso, secondo il principio del Nirvana (parola che in sanscrito rinvia a “macerazione”; la macerazione nella Noluntas cui potremmo associare, a titolo di esempio, una immagine poetica di beata “dimenticanza di sé”-lo scopo è distruggere il Principium individuationis, che è la chiave di volta della Cultura Occidentale). Le opere che esprimono i punti massimi del pensiero di Schopenhauer si riferiscono soprattutto alla fase giovanile della parabola intellettuale. Mi riferisco al lavoro coincidente con la sua tesi di Laurea del 1813, “Sulla Quadruplice radice del Principio di Ragion Sufficiente” e poi al capolavoro filosofico del 1818, il cui titolo racchiude i termini di tutta la visione del mondo di Schopenhauer: “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione”. Prima di entrare nel merito di tali concetti si dovrebbe prestare attenzione, ancora, al generale tenore del messaggio filosofico: cosa che ne spiega anche lo stile “arrogante” e “irriverente” (sono famosi gli insulti pesanti rivolti a Hegel, che a Berlino insegnava proprio accanto all’aula di Schopenhauer, alle cui lezioni contrariamente a quanto accadeva al “divino” Hegel andavano i pochissimi. Schopenhauer, tra l’altro aveva voluto che le sue lezioni fossero coincidenti con quelle di Hegel, in atteggiamento di sfida all’interno delle mura universitarie). Il messaggio di Schopenhauer è innanzitutto orientato alla più cruda e realistica “Disillusione” sulla realtà della vita: i grandi sistemi filosofici basati su valori eterni e immutabili (vedi l’Ottimismo del “Panlogismo” di LEIBNIZ che, con la teoria della “Armonia Prestabilita” costruiva un universo perfetto e razionalmente intelligibile) e, come il Cristianesimo, persino “rassicuranti”. Senza contare la critica alla contemporanea visione “scientista” del Positivismo che, con l’Idealismo hegeliano, riproponeva un evoluzionismo storico Provvidenziale e Perfetto, senza residui inspiegabili o irrazionali. Schopenhauer afferma proprio questo: che la Vita, il Mondo, la Realtà hanno una radice irrazionale: al di là delle apparenze illusorie (il “Velo di Maya”, usando il linguaggio Veda delle Upanisad) delle rappresentazioni. L’”Essenza” o la “Cosa in sé” – che Kant aveva dichiarata in conoscibile da parte del Soggetto, è ora per Schopenhauer a portata della conoscenza: ma si tratta di un tipo diverso dalla conoscenza kantiana; non è l’Intelletto analitico che può cogliere l’essenza, 2 Copyright © by Tommaso Ciccarone ma è la parte irrazionale di noi: il desiderio o la volontà di Vivere, ciò che Schopenhauer associa ad un forza cosmica che accomuna tutti gli esseri viventi; vegetali, inorganici, organici e animali; l’uomo è quell’essere che è consapevole di questa forza e che si esprime sottoforma di desiderio ovvero di dolore. Schopenhauer rovescia la “scoperta” dell’ottimismo filosofico di Francesco BACONE: la Volontà (dell’Homo Tecnologicus) è Potere; cioè la Scienza è alla base della supremazia (i Greci usavano il termine Hybris per indicare la “tracotanza” o presunzione del Soggetto che sfida gli Dei) del Soggetto nell’Universo e sulla Natura. Per Schopenhauer, al contrario, i termini della questione sono i seguenti: VOLERE implica SOFFRIRE; la cifra della Volontà è il Desiderio e il desiderio che altro è se non il sintomo di uno strappo o di una deficienza (Platone nel Simposio diceva che “si desidera ciò di cui si manca”)? Il dolore è il desiderio inappagabile o non ancora appagato (e qualora fosse appagato verrebbe a coincidere con la Noia): su questo punto è fortissimo il parallelismo con la teoria del Piacere di G. Leopardi (“Il Piacere è diminuzione del dolore”, “una parentesi tra due dolori”). Schopenhauer diceva esplicitamente che “(…) la vita oscilla tra il Dolore e la Noia”. Osservazioni sul concetto di “rappresentazione” (Vorstellung) Ne “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” Schopenhauer esordisce con la prima frase: “Il mondo è una MIA rappresentazione”. Questa affermazione regge il senso di tutta la prima parte dell’opera (la seconda dedicata alla Volontà di Vivere), laddove il senso principale è da ricercarsi nell’aggettivo “MIA”: questo è il punto di distinzione con Kant. Kant, infatti, sosteneva (nella celebre II^ Edizione del 1787 della Critica della Ragion Pura) che le rappresentazioni hanno il loro statuto di universalità e oggettività scientifica nelle 12 categorie dell’Intelletto che organizzano i dati provenienti dalla sfera della sensibilità, forniti dalle intuizioni sensibili di Spazio e Tempo. Schopenhauer, quando riprende il concetto kantiano di “rappresentazione” dimostra di non rifarsi alla II^ edizione della Critica, bensì alla I^, quella cioè del 1781. La differenza è decisiva. Si usa dire che la I^ edizione della Critica abbia un innegabile impianto “berkeleyano” della concezione della conoscenza: col che si intende il priviligiamento della dimensione soggettiva – percettiva della conoscenza da parte di Kant e non ancora l’insistenza sulla oggettività (“trascendentale”) delle categorie dell’intelletto. In breve, la I^ edizione sarebbe viziata dall’”Idealismo soggettivo” del principio, del filosofo BERKELEY, “Esse Est Percipi”. Questo principio evidentemente inibisce una qualsiasi visione oggettiva del mondo e della realtà, ma tutto è “relativo” alle percezioni soggettive: dunque in questo senso il termine “rappresentazione” si carica di questa ipoteca relativistica o, per dirla con Schopenhauer, “illusoria”. Schopenhauer è chiaro: 3 Copyright © by Tommaso Ciccarone “la vita e i sogni sono pagine dello stesso libro. La lettura seguita è la vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è trascorsa ed arriva il momento del riposo, noi continuiamo spesso a sfogliare oziosamente il libro, aprendo a caso questa pagina o quella senz’ordine e senza seguito, imbattendoci ora in una pagina già letta, ora in una nuova, ma il libro che leggiamo è sempre il medesimo”. Ritornando alla conclusione filosofica sul “kantismo” di Schopenhauer dobbiamo tener conto di questa differenza: la rappresentazione, per Schopenhauer, è l’Intuizione sensibile di spazio e tempo o, detto sempre con linguaggio kantiano è “Immaginazione produttiva” (noi percepiamo un oggetto ed è come se siamo noi a “produrlo”). Schopenhauer, al di là di questa grande differenza con Kant, ritiene che il kantismo “vale” e “funziona” per il campo epistemologico o conoscitivo della filosofia: da qui l’insistenza sulla importanza della categoria della Causalità (che sostituisce le altre 11 di cui parlava Kant) come principio – cardine per la spiegazione dei meccanismi della ragione conoscitiva umana, applicabile solo alla conoscenza dei fenomeni; si tratta del principio essenziale per la critica kantiana di “Ragion Sufficiente”. La “Cosa – in – Sé” (Ding an Sich) appartiene ad un ambito puramente metafisico e problematico per la ragione conoscitiva. Schopenhauer, su questo va oltre Kant annunciando che al di là della “patina” illusoria dei fenomeni (il “Velo di Maya”) pulsa la “Cosa in Sé” che è un fondamento radicale di potenza (nel senso greco di “Dynamis” = “potenzialità”), ovvero energia irrazionale e/o pulsionale. Il “vero” fondamento è questo e non il Subjectum/Principium individuationis! Intermezzo antologico sul “Mondo come Volontà e Rappresentazione” Sul Linguaggio “eversivo” anti-hegeliano: “Accademico mercenario (Hegel), insediato dall’alto, dalle forze al potere, fu un ciarlatano di mente ottusa, insipido nauseabondo, illetterato che raggiunse il colmo dell’audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificanti non sensi” (tratto da un saggio “Sulla Corruzione delle Università”, in PARERGA E PARALIPOMENA, 1851); “Quella di Hegel è una buffonata filosofica, la più vuota e insignificante chiacchierata di cui si sia mai contentata una testa di legno; Hegel è un ciarlatano pesante e stucchevole” Sulla realtà “fuggevole” e “fluttuante”: “(…) il suo essere consiste unicamente nel suo Agire. Meravigliosa è dunque la precisione del termine Wirklichkeit (derivato da Wirken, Agire)…termine ben più preciso che non quello di Realtà”. 4 Copyright © by Tommaso Ciccarone (…) I VEDA e i PURANA non hanno, per la conoscenza del mondo reale che essi chiamano il VELO di MAYA, una similitudine più bella e più frequente di quella del sogno” (da “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, cfr. Libro I) Nel Libro I Schopenhauer non solo mette in luce il carattere relativo e transitorio delle rappresentazioni (scardinandone l’oggettività kantiana), ma le riconduce alla loro fonte originaria come oggettivazione o “veli” della vera essenza della “realtà” che è la “volontà di vivere”. Ora, la Verità consiste nello strappare il Velo di Maya o, fuori metafora, il guscio limitato e ristretto del Soggetto conoscente (il Principium Individuationis); rimuovere il razionalismo analitico per sentirsi parte del Caos, dell’ In-differenza. La Verità va cercata come dimenticanza di sé, annullamento del proprio egoismo: per questo il Libro IV de “Il Mondo” (che è quello più importante) sostiene che pervenire alla consapevolezza della Volontà di Vivere come essenza della realtà, significa –posti di fronte all’orrore che tale consapevolezza innesca – predisporsi ad annullare tale Volontà. Insomma: la consapevolezza della verità nuda e cruda agisce come “quietivo”: induce ad arretrare, “abdicare” rispetto alla sfera egoistica delle passioni e dei desideri, verso una catarsi o una quiete (annichilimento di sé che coincide con il Nirvana della sapienza e della lingua sanscrito-orientale). Schopenhauer lo sintetizza già nel sottotitolo stesso del Libro IV: “Acquistata la coscienza di sé, la Volontà di vivere si afferma e poi si nega” PARAGRAFO 53: “ la morte è un sonno in cui viene dimenticata l’individualità”. Qui Schopenhauer allude evidentemente alla negatività dell’esistenza individuale, riprendendo uno dei capisaldi del pensiero di Spinoza, secondo cui “Omnis Determinatio est Negatio”. Ovvero: la Verità non è nell’Individuo (come per il Cogito cartesiano), ma la verità comprende l’individuo, che ne è piuttosto una semplice manifestazione. Se si vuol cercare un parallelo nella storia del pensiero antico, viene in mente la concezione che ERACLITO aveva della verità : LOGOS, come una Totalità in cui tutte le parti si con-fondono e si unificano. Così, similmente, in Schopenhauer la cifra o il Logos della realtà è la Voluntas, ovvero quella forza che è alla base di ogni singola determinazione (compresa l’individualità umana). Allora l’Etica (ovvero, la sfera dei principi e dei comportamenti umani), per Schopenhauer, è alla lettera Ethos = Abitudine, costanza di una predisposizione: l’Etica non si fonda su principii astratti ma parte “dal basso”, cioè si spiega con la volontà, che si esprime attraverso i desideri e i bisogni. Nello stesso PAR. 53: “Ciò che l’uomo vuole realmente e precipuamente, l’oggetto a cui aspira nel segreto del suo essere, il fine correlativo che si propone, non c’è forza esteriore o dottrina capace di modificarli; altrimenti dovremmo essere nelle condizioni di ricreare ex-novo l’uomo. – VELLE NON DISCITUR- dice meravigliosamente Seneca”. 5 Copyright © by Tommaso Ciccarone E prima, nel Libro II (“L’Oggettivazione della Volontà”) così si era espresso Schopenhauer: PARAGRAFO 18: “In raltà sarebbe impossibile trovare il vero significato di questo mondo che ci sta dinnanzi come rappresentazione, oppure comprendere il suo passaggio da semplice rappresentazione del Soggetto conoscente a qualcosa d’altro e di più, se il filosofo stesso non fosse qualcosa di più che un puro soggetto conoscente (una testa d’angelo alata, senza corpo). Ma il filosofo ha la sua radice nel mondo” Tornando al Libro IV, Schopenhauer, dopo aver mostrato come l’Arte costituisca un possibile, ma momentaneo nonché rarissimo momento di “elevazione” dal tumulto delle passioni e dal dolore dell’esistenza, perviene all’analisi dei vari aspetti dell’Etica come tradizionale maschera dell’egoismo soggettivo. Dietro e al di là dei valori metafisici dell’etica agisce sempre una motivazione egoistica, che ricerca il soddisfacimento dei propri desideri. Ora, una forma storica di Etica che rappresenti il tentativo della uscita dal proprio egoismo e, quindi dal proprio dolore individuale è il Cristianesimo: nalla fattispecie, relativamente al valore dell’Amore come “Pietà”. Il Principio è il seguente: “Ogni Amore (Pietas/Agapè) è Compassione” Il vero amore si esprime come com-passione, ovvero come rottura di quell’involucro egoistico di Amor Proprio: uscire da sé per partecipare al dolore degli altri (Patire-con). Gli esempi che Schopenhauer riporta di questo Amore estremo sono Cristo, Socrate e Giordano Bruno, che si annullarono per amore della Verità, un amore disinteressato. In realtà questa forma di amore cristiano si apre, nella quotidianità , fatte salve le eccezioni appena citate, all’ipocrisia implicita nel principio dell’ “Ama il prossimo tuo come te stesso”; l’egoismo non è del tutto cancellato. In questo esercizio di smascheramento delle tradizionali forme d’Etica, non viene risparmiato nemmeno Kant che, nella Critica della ragion Pratica , imponeva all’uomo il dovere (“disumano”, cioè irrealizzabile in questo mondo mortale) rendersi santo attraverso l’uso della ragione (obbediente all’imperativo categorico del dovere morale disinteressato). Ciò che costantemente emerge dalle considerazioni pessimiste di Schopenhauer è che comunque è difficilissimo, se non impossibile, sperimentare l’annullamento della Volontà di Vivere (escludendo l’atto del suicidio che, piuttosto, esprime l’attaccamento disperato al proprio egoismo che vorrebbe la realizzazione di una vita fatta senza dolore). Dato che non si può procedere con “ricette” metafisiche o dogmatiche, Schopenhauer cerca di rendersi chiaro attraverso gli esempi di vita vissuta dai santi, asceti, martiri sia della tradizione occidentale (Schopenhauer allude esplicitamente a SAN FRANCESCO, Meister ESCHKART, Angelo SILESIUS – questi ultimi due, mistici della cultura tedesca) sia di quella orientale (CRISTO, i 6 Copyright © by Tommaso Ciccarone precetti dei 4 Vangeli, il BUDDISMO, le UPANISAD dei sapienti VEDA e PURANA, i martiri TIBETANI). Al di la dei principi astratti, la redenzione deve passare per l’annullamento di sé: l’unica massima morale, conseguente alla consapevolezza dell’Essenza della Realtà, come eterna volontà di vivere, è quella della sapienza Veda che dice, dell’individuo di fronte ad ogni determinazione e situazione del Mondo “TU SEI QUESTO” (ovvero: che si è fatti della stessa materia dell’universo e della stessa essenza, quindi, in sé stessi, si è NULLA): Pascal, tanto per capirci in senso Occidentale, avrebbe detto “SEI UNA CANNA AL VENTO”, Novalis invece “SEI UNO ZERO ELEVATO A ZERO”. Libro IV/ PARAGRAFO 68: Sulla Negazione della Volontà di Vivere ( la “Noluntas”) L’Ascesi consiste nell’ALIENAZIONE da sé (Principium Individuationis); implica il rinnegare se stessi attraverso la RINUNCIA e RASSEGNAZIONE. Perché si arriva a negare ogni volere? Ciò deriva, ancora una volta, dalla conoscenza vera e autentica della natura umana che, già di per sé (offrendo lo spettacolo orrendo del dolore umanouniversale) agisce come “quietivo” di ogni volere. Tale ascesi deve necessariamente seguire tappe di “esercizi fisico-spirituali” che fanno capo a: 1. Libera e perfetta CASTITA’ (eliminare l’istinto sessuale. Nella storia, il filosofo medievale ABELARDO “abbreviò” le pene di questa rinuncia dandoci un bel taglio…) 2. Povertà intenzionale; spogliarsi dei propri beni per mortificare la propria volontà di vivere (mortificare il proprio egoismo: S. Francesco) 3. Il DIGIUNO e la “macerazione” (questa è una pratica orientale indiana che si estremizza, tra i fachiri e i tibetani, attraverso la macerazione nel dolore) Le parole “macerazione” e “fuga da sé” (che aprono il discorso ad una dimensione mistica: PLOTINO ne fu l’iniziatore a livello linguistico) conducono alla comprensione dei termini di NIRVANA (parola sanscrita che significa appunto “macerazione” /” dispersione”) e PSICHEDELIA (fuga dell’Anima dal corpo, dileguamento). Riferendosi proprio alla sapienza sanscrita Schopenhauer vede nell’esperienza del Nirvana la forma autentica di etica (alla lettera: virtù, disposizione, abitudine da coltivare con il sacrificio costante di sé) che, rispetto alla sapienza indiana, va al di là del principio egoistico della Volontà di vivere che, nelle rappresentazioni mitiche, assumono le sembianze di 1. SIVA (Morte – Distruzione) 2. VISNU (Conservazione) 3. BRAHMA (Generazione – Vita) Siva, nella cultura Veda delle Upanisad, rappresenta il principio essenziale, la Cosa-in-sé, l’Alfa e Omega, lo Yin e Yang ( ovvero: la Volontà di Vivere in tutte le sue molteplici manifestazioni: infatti essa viene rappresentata nell’iconografia 7 Copyright © by Tommaso Ciccarone Veda con la Collana di teschi e, allo stesso momento, con il Lingam, simbolo di fertilità, che nella cultura Greco – Orientale è rappresentato dal Dio Priapo, il Fallo. PAR. 69: “Mentre chi è ancora prigioniero nel Principium individuationis e nell’egoismo, non concepisce che le cose particolari, e soltanto in relazione con la propria persona, senza ricavarne che motivi sempre nuovi che lo eccitano a volere; al contrario la suaccennata conoscenza del tutto, la conoscenza della natura intima delle cose in sé, diviene un quietivo per qualsiasi volontà. La volontà allora si distacca dalla vita e sente orrore di tutte le gioie in cui si traduce la sua affermazione. L’uomo perviene ad uno stato di volontaria rinunzia, di rassegnazione, di perfetta quiete, e di soppressione completa del volere. A noi, miseri mortali avvolti ancora nel Velo di Maya, accade talvolta che un acerbo dolore personale, o la viva rappresentazione di sofferenze altrui, ci renda consci della nullità e dell’amarezza della vita; e allora vorremmo con energico atto di rinunzia, smussare una volta per sempre la punta dei desideri, chiudere ogni accesso ai dolori, purificarci e santificarci; ma il fascino ingannatore del mondo fenomenico torna subito a sedurci e ad irretirci , e i suoi motivi non tardano a mettere nuovamente la volontà in movimento: siamo impotenti a liberarci. Le seduzioni della speranza, le lusinghe del presente, la dolcezza delle gioie, il benessere che per eccezione ci tocca talora in sorte tra le pene ed i guai di questo misero mondo dominato dal caso e dall’errore, tutto ci sospinge indietro, e riallaccia di nuovo i nostri vincoli con la vita. Ecco perché Gesù dice: -- È più facile ad una gomena passare per la cruna di un ago, che Ad un ricco entrare nel regno di Dio – “ Precedentemente Schopenhauer aveva indicato, stando alle biografie dei santi e asceti, le sole a rappresentare l’esempio di pratiche di rinuncia di sé, le vie della rimozione del Principium Individuationis; la dimensione di Nirvana. In realtà, il discorso ricalca bene anche la concezione ascetica del Buddismo che, non ostante le differenze di cultura e dottrinarie, si accomuna al Cristianesimo di Cristo e quello evangelico; alle Upanisad indiane; al misticismo tedescomedievale. Infatti il Buddismo mette capo al concetto del “Risveglio” che non è affatto in contraddizione con lo stato di Nirvana (“Estinzione” – “macerazione”) perché si tratta di parlare dell’estinzione dei desideri e bisogni più contingenti ed empirici che caratterizzano la vita egoistica dell’individuo. Lo aveva detto Silesio in una poesia dal titolo “L’uomo porta tutto a Dio”, dove il mistico tedesco dice: “Uomo! Tutto ti ama! Ogni cosa si affolla attorno a te; Tutto verso te corre, per arrivare sino a Dio” 8 Copyright © by Tommaso Ciccarone Versi che sembrano rievocare la “fuga da solo a solo della mente in Dio” di PLOTINO o anticipare il concetto nicciano di “De-menza” (scrollarsi di dosso le croste e i limiti ristretti dell’egoismo borghese – “occidentale”. DIGRESSIONE Schopenhauer/La Rochefoucault: La Rochefocault, per citare qualche principio indicativo, evidenzia come “dietro” ai grandi valori metafisici ed eterni di Amore e Amicizia fermentino, in realtà, principii e passioni egoistiche, offrendo così un quadro quantomeno disilluso della morale umana o, comunque, di tutti i valori della filosofia e della cultura fino ad allora imbevute di Cristianesimo e Illusione. A titolo di “assaggio” dello stile di un pensatore interessante come La Rochefoucault considera la seguente massima: “ La violenza che bisogna esercitare su sé stessi per rimanere fedeli a chi si ama, non vale più di un’infedeltà” Oppure ecco altre massime suggestive di la Rochefoucault: “ Spesso l’umiltà non è che una finta sotto missione di cui ci si serve per sottomettere gli altri; è un artificio dell’orgoglio che si abbassa per innalzarsi”. “la riconoscenza della maggior parte degli uomini non è che un segreto desiderio di ricevere benefici maggiori” “Spesso ci vergogneremmo delle nostre più belle azioni se la gente vedesse tutti i motivi che le determinano” “Spesso l’uomo crede di guidarsi e invece è guidato; e mentre con la mente tende a una meta, il cuore insensibilmente lo trascina verso un’altra” Quest’ultima Massima di La Rochefoucault è molto simile ad un famosissimo principio che ispira il pensiero di un pensatore contrario a Cartesio, il francese PASCAL, che sottolinea l’importanza primaria della fragilità umana e della sua natura irrazionale piuttosto che di quella razionale (come stabilisce Cartesio): “Il cuore ha delle ragioni che la ragione non può conoscere”. 9