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Corso di
Sito WEB:
http://www.dsa.unisa.it/Organigramma/
5. Roma
3.
Organizzazione
dal periodo
dell’Italia
arcaico romana
al IV secolo a.C.
Antichità
Romane
Docenti/La_Greca/fernando_la_greca.php
A.a. 2009-2010
Dott. Fernando La Greca
[email protected]
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Momenti della conquista
del Mediterraneo (264-133)
Appunti ad esclusivo uso didattico
per gli studenti del corso
(non sostituiscono i testi di studio)
6. L’Italia nel II secolo a.C.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sviluppo dell’economia romana repubblicana
- Prima guerra punica (264-241 a.C.)
Nelle nostre fonti, greche e romane, c’è una rimozione sistematica di tutto ciò
che riguarda il lavoro e la produzione.
- Seconda guerra punica (218-201
a.C.)
Nell’antichità i mestieri manuali erano screditati, lasciati ai poveri e agli
schiavi.
- Seconda guerra macedonica (200197 a.C.)
- Guerra siriaca (192-188 a.C.)
Per esempio, secondo Cicerone, il guadagno dei lavoratori salariati e degli
artigiani è indegno di un uomo libero, perché ad essi viene pagata la fatica
fisica e non l’ingegno.
- Terza guerra macedonica (171-168
a.C.)
- Guerra acaica e presa di Corinto (146
a.C.)
Dipartimento di Scienze dell’Antichità
Università degli Studi di Salerno
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Le classi elevate avevano
come ideale economico il
possesso agrario, la proprietà
della terra e la sua rendita.
Un esempio è il personaggio
Trimalcione, dal Satyricon di
Petronio: un liberto che
diventa ricco con l’importexport (diremmo oggi), ma
che poi compra terre e si
ritira dal lavoro vivendo di
rendita.
- Terza guerra punica (149-146 a.C.)
- Presa di Numanzia (133 a.C.)
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Nonostante tutto, possiamo
ricostruire una storia
dell’economia romana
repubblicana.
L’economia romana aveva un
carattere “duale”. Essa
comprendeva:
- produzione per l’autoconsumo;
- produzione per il mercato.
Essa ebbe un grande balzo in
avanti fra il III ed il I sec. a.C.,
affermandosi come economia di
mercato.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
A) Vi è un incremento degli
scambi, marittimi e terrestri, anche a
lunga distanza, con la
contemporanea formazione di
nuovi ceti mercantili, che
emergono già al tempo della censura
di Appio Claudio (costruttore della
via Appia), durante la seconda
guerra sannitica (312 a.C.).
B) Nasce dopo la prima guerra
punica una nuova magistratura, il
“pretore peregrino”, che trattava
le controversie giuridichecommerciali fra Romani e stranieri,
secondo un nuovo diritto, definito
“diritto delle genti”.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
C) Nasce e si diffonde rapidamente la moneta
romana (IV-III sec. a.C.), dapprima con pesanti
assi squadrati e con figure a rilievo (aes
signatum), poi coniata in argento nelle città
alleate della Campania (vittoriati), e infine
coniata nella stessa Roma (denario).
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
D) Già dopo la prima
guerra punica, una
massa ingente di
schiavi viene
impiegata nelle nuove
proprietà terriere
aristocratiche, frutto
delle conquiste in
Italia. Sono circa
600.000 nel 225 a.C.,
alcuni milioni nel
secolo successivo.
E) Il numero dei cittadini
di Roma cresce
costantemente, e giunge a
circa 300.000 durante il III
secolo a.C. Cambia anche
l’urbanistica e l’edilizia, si
diffondono case sempre più
alte, a più piani (insulae), con
botteghe al livello delle
strade. Si porta a Roma
l’acqua potabile con appositi
acquedotti.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
F) A partire da questo momento
(III sec. a.C.), lo sviluppo
economico della repubblica
romana è strettamente legato alle
continue guerre di conquista,
che la portano a impadronirsi di
tutto il Mediterraneo.
G) Accanto agli aristocratici
senatori, si affianca un nuovo
gruppo sociale, quello dei
“cavalieri”: liberti arricchiti,
affaristi, banchieri,
commercianti, appaltatori,
costruttori, ecc.
Il motore dell’economia diventa
il circuito guerra-conquistaricchezza-nuova guerra-ecc.
La loro ricchezza deriva
soprattutto dagli appalti
pubblici per le forniture
dell’esercito, l’attività edilizia,
la riscossione delle tasse, l’uso
dell’ager publicus, i dazi
doganali nei porti, stipulando
contratti per somme enormi.
Le guerre portano a Roma e in
Italia denaro contante in
abbondanza e milioni di schiavi,
forza-lavoro a buon mercato.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Polibio, VI, 17:
<<Le opere che i censori appaltano in
tutta l’Italia per il restauro o la
costruzione di edifici pubblici sono così
numerose che non è facile tenerne il
conto…
Sono così tanti i fiumi, i porti, i boschi,
le miniere, le terre, … tutto quello che è
in mano ai Romani, che … quasi tutti i
cittadini partecipano agli appalti o ai
profitti che ne derivano>>.
L’espressione “quasi tutti i cittadini” si
riferisce in realtà ai più ricchi,
appartenenti alle centurie dei cavalieri ed
a quelle delle prima classe, ossia ad
alcune decine di migliaia di cittadini.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
H) Una legge del 218 a.C. vietava
ai senatori di possedere navi con
portata superiore a 300 anfore, 8
tonnellate circa.
Potremmo definirla una legge sul
“conflitto di interessi”. In pratica, i
senatori non potevano svolgere
direttamente attività commerciali.
Continuano però a farlo, attraverso
clienti, liberti, persone di fiducia, con
appositi contratti, senza “sporcarsi le
mani”.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
I) Verso la metà del II sec. a.C.,
Catone il censore scrive un Trattato
sull’agricoltura, nel quale descrive una
fattoria o villa romana ideale, quale fonte
di guadagno:
- La villa romana è un’azienda che
produce per il mercato, altamente
redditizia; si estende su 100-250 iugeri
(25-60 ettari).
- Il lavoro è svolto soprattutto dagli
schiavi, e in parte da salariati liberi
stagionali;
Ma i cavalieri di fatto non possono
diventare senatori ed aristocratici, se
non rinunciando alle navi e al
commercio, ed acquistando terre.
- Le colture devono essere
specializzate (uliveti, vigneti, grano,
alberi da frutta).
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L) Lo stesso Catone, però, invitato a formulare una classifica delle migliori
fonti di guadagno, mette al primo posto l’allevamento, che allora si diffonde
in modo particolare nell’Italia meridionale, negli estesi latifondi e sull’ager
publicus, con il lavoro di schiavi-pastori.
L’allevamento è redditizio non solo per la vendita delle carni fresche, ma
per tutto ciò che vi è connesso: i salumi, le pelli, il latte, i formaggi, le uova, le
lane, i tessuti. Ciò in connessione al forte aumento della popolazione di Roma e
dell’Italia, e alle commesse statali per il mantenimento dell’esercito.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
M) In questo stesso periodo,
mentre si assiste alla crescita della
manodopera, si ha nelle aziende,
nelle imprese edilizie, nelle
manifatture, una divisione dei
compiti.
- In pratica la produzione è
standardizzata, ed ogni operaio,
anche senza competenze
specifiche, esegue solo una parte
del lavoro.
- Ciò consente economie in
scala e ingenti profitti per i
proprietari.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Un esempio di villa catoniana è
la villa di Settefinestre
nell’Etruria meridionale presso
Cosa, estesa su 125 ettari di
terreno coltivabile ed altrettanti di
bosco e pascoli.
- La villa è divisa in una pars
urbana destinata al padrone (forse
un Sestio) ed una pars rustica
destinata alla produzione agricola.
- La villa è specializzata nella
produzione di vino, da esportare in
Gallia.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
- Ad esempio, nell’edilizia, si
sviluppa il cosiddetto opus
reticulatum (paramenti in pietre
regolari o mattoni e calce), che
rispetto all’opus quadratum
(grandi blocchi di pietra
squadrati) non richiedeva
particolari competenze.
- Anche la produzione
ceramica diventa
standardizzata, e richiede solo
un lavoro ripetitivo.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
N) Si afferma nel II sec.
a.C. il nuovo sistema monetario
romano, basato sul denario
d’argento, che sostituisce le
monete locali.
Anche l’uso di una moneta
unica contribuisce alla
romanizzazione ed unificazione
dell’Italia.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sviluppo economico
romano, nel quale furono
coinvolte necessariamente
anche le classi dirigenti dei
Latini e degli Italici, con
vantaggi comuni, fu
sicuramente un altro potente
fattore della romanizzazione
dell’Italia.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Conseguenze della
guerra annibalica
- Le distruzioni della guerra
annibalica mettono in crisi molti
centri dell’Italia meridionale.
- Altri centri, ribelli ai Romani,
vedono il loro territorio
confiscato e trasformato in
ager publicus.
- Le guerre continue mettono in
crisi la classe dei piccoli
proprietari terrieri romani,
costretta a vendere le terre ai
latifondisti ed a trasferirsi a
Roma.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Conseguenze della guerra annibalica
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Conseguenze della guerra
annibalica
- Secondo una teoria più convincente, i piccoli proprietari romani
abbandonano la vita tradizionale dei campi, non più redditizia se non in
grande scala, per cercare fortuna a Roma o nelle province in una economia
avanzata di tipo commerciale-monetario che offriva maggiori
opportunità. Le enormi ricchezze delle conquiste generano nuove
aspirazioni consumistiche e patrimoniali.
- Le nuove classi dirigenti modellano
la loro cultura, letteraria e
figurativa, attingendo dal mondo
greco ellenistico e da Roma.
- Contemporaneamente si forma sia a Roma sia nelle città italiche una classe di
nuovi ricchi (commerci, traffici, appalti, aziende agricole e manifatturiere,
anche con lo sfruttamento dell’ager publicus occupato illegalmente).
- I centri di potere, come Roma,
monopolizzano la cultura:
scompaiono le lingue locali,
sostituite dal latino.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Conseguenze della guerra annibalica
- A Roma i nuovi ricchi sono inseriti nella classe dei cavalieri.
- Inizia un processo di
omogeneizzazione culturale
dell’Italia, riflesso nella nuova
rete stradale romana.
- Sia a Roma che nelle città italiche i nuovi ricchi si alleano con le classi
aristocratiche dirigenti.
- Si forma in Italia un forte divario sociale fra le classi ricche e quelle umili,
venendo a mancare la classe intermedia.
- Le classi dirigenti italiche si legano con matrimoni ed alleanze alla classe
senatoria romana, spingendo così verso una ulteriore romanizzazione.
- Diventa naturale allora la richiesta e l’esigenza diffusa della cittadinanza
romana completa da parte degli italici.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento
delle conquiste
Conseguenze della guerra annibalica
Gli italici senza cittadinanza completa erano discriminati:
- negli appalti pubblici
- nell’esercito e nella divisione del bottino
- nei processi, non potendo usufruire del diritto di appello al popolo
- nella partecipazione ai comizi, per l’elezione dei magistrati e l’approvazione
delle leggi
- nello sfruttamento delle conquiste (dopo il 168 e la vittoria di Pidna sulla
Macedonia, il bottino consente di esentare dalle tasse tutti i cittadini
romani).
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento
delle conquiste
- Le ricchezze provenienti dalle guerre,
dai tributi e dai commerci con
l’Oriente arricchiscono Roma e le
città italiche.
- Nel 166, per punire Rodi,
colpevole di presunti appoggi
alla Macedonia, venne creato
il porto franco di Delo
nell’Egeo.
- In Oriente operano le comparse dei
senatori, ed inoltre pubblicani,
banchieri, usurai, armatori, mercanti
grandi e piccoli di grano, vino, olio,
schiavi.
- Delo diventò un centro
commerciale internazionale
(soprattutto di schiavi), con
una nutrita presenza di
commercianti romani ed
italici.
- I pubblicani appaltano per somme
enormi i tributi dell’Asia (6 milioni di
denarii annui all’inizio del I sec.
a.C.), anticipando e recuperando sui
provinciali.
Sostruzioni del santuario di Giove a Terracina
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento
delle conquiste
Lo sfruttamento
delle conquiste
- Fra i commercianti di Delo
troviamo i nomi di oltre 220
italici, ripartiti tra le varie
regioni, ma con la prevalenza
di Roma e della Campania.
- Solo un terzo di costoro sono
liberi, e gli altri sono schiavi
o liberti.
- Gli Italici fondano imprese
internazionali grandi e
prospere, e lasciano ai
subalterni la gestione delle
filiali, come Delo.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
- Il commercio grande e piccolo è aperto anche a coloro che non sono cittadini
romani, ma che, al di fuori della penisola, non sono distinti come tali.
- Si usano così a Delo, come sinonimi, in iscrizioni greche, i termini Italikòi e
Romàioi, per tutti coloro che provenivano dall’Italia: essi qui non sentono il
bisogno di distinguersi, ma di avvicinarsi.
Delo, base di torchio e fornaci
- A Delo e altrove gli Italici si raggruppano in collegi diretti da magistri
elettivi, senza distinzioni sociali o di provenienza: sono coloro che esercitano
la stessa attività, sotto la protezione di una particolare divinità, e si
riuniscono in occasione di culti, banchetti e feste.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento delle conquiste
A Delo troviamo fra il 166 e l’88 a.C. una
ventina di cittadini di Elea-Velia, in
assoluto il gruppo più numeroso
proveniente dall’Italia meridionale.
Le loro attività sono legate al commercio
all’ingrosso dell’olio prodotto nell’Italia
meridionale, e forse anche del vino: Velia
appare un centro di redistribuzione di
merci di altre città italiche.
Gli Eleati sono attivi anche nel commercio di
aromi, indispensabili insieme all’olio per
la produzione di profumi, e si spingono fin
nella “terra degli aromi”, l’antica Somalia.
Forse gli Eleati commercializzavano anche i
profumi a base di rosa prodotti a
Paestum.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento
delle conquiste
- Le classi dirigenti
italiche promuovono la
costruzione di
monumenti significativi
ispirati al mondo
ellenistico, gareggiando
con Roma, come a
Pompei, a Terracina, a
Palestrina, a Gabii.
Una famiglia di Eleati a Delo:
Ermon, Agathokles,
Thrasudeios,
Ermon II, Ermon III,
Zenon, Theon
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento delle conquiste
- I Prenestini erano
particolarmente attivi sul
mercato di Delo.
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Ricostruzione del santuario della Fortuna a Preneste/Palestrina
6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento delle conquiste
Nel 100 a.C. una apposita legge istituì un comando militare contro i pirati, a
protezione dei traffici romani ed italici in Oriente.
- Tutti gli abitanti dell’Italia, quando sono “all’estero”, sono e si sentono di
fatto “Romani”.
<<Che il console invii a tutti i popoli che hanno amicizia e alleanza con il
- Molte guerre furono determinate dagli attacchi contro i commercianti romani
ed italici che operavano in Africa e in Asia.
popolo romano delle lettere, con le quali ordini loro di far sì che i cittadini
romani, i latini e i loro alleati italici, non soltanto possano svolgere i loro
affari senza pericolo in tutte le città e le isole dell’Oriente, ma possano
anche navigare in tutti i mari in piena tranquillità>>.
- Giugurta fa strage di Italici a Cirta (112 a.C.). Ne segue la Guerra
Giugurtina, con la vittoria finale di Gaio Mario.
- Mitridate fa strage di Italici in Asia Minore e in Grecia (88 a.C.). Ne seguono
tre spedizioni contro Mitridate, da parte di Silla, Lucullo e Pompeo, con la
vittoria finale di quest’ultimo, la creazione di nuove province romane, tra le
quali la Siria, l’afflusso di enormi ricchezze.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Lo sfruttamento delle
conquiste - La schiavitù
- In Italia tuttavia la crescita
demografica rallenta, mentre la
società viene sconvolta dalla
forzata immigrazione di milioni di
schiavi (alla fine del I sec. a.C.,
circa 3 milioni di schiavi su un
totale di 7,5 milioni di abitanti).
- Scoppiano rivolte servili nel 186
in Apulia, nel 135 in Sicilia
(Euno), nel 104 in Campania e in
Sicilia, nel 72 nell’Italia
meridionale con Spartaco.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Durante la sua espansione in
oriente, nel II e nel I sec.
a.C., Roma si impadronì di
milioni di schiavi.
Fra Repubblica e Impero, acquistare
uno schiavo non costava molto: circa
1000-2000 sesterzi per uno schiavo
da destinare all’agricoltura.
La schiavitù-merce ebbe un
successo strepitoso, e questa
riserva illimitata di forzalavoro a buon mercato fu
impiegata massicciamente in
Italia nelle campagne
spopolate, nelle manifatture,
nelle attività domestiche,
nelle costruzioni, nei lavori
pesanti.
Ma un grammatico costava molto di
più, fino a 70.000 sesterzi.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Una delle rivolte più sanguinose avvenne in
Sicilia, dal 135 al 132 a.C.: guidati da un
capo di nome Euno, proclamatosi re, si
impadronirono di gran parte dell’isola,
saccheggiando e distruggendo città e ville.
Infine (secondo il racconto di Diodoro Siculo),
assediato con gli ultimi uomini nella città di
Enna, Euno diede delle rappresentazioni
sceniche nelle quali gli schiavi si ribellavano ai
padroni rinfacciando loro l’arroganza e la
violenza con cui erano stati trattati, vero motivo
della ribellione.
In questo teatro della disperazione, gli schiavi
non accusano l’esistenza della schiavitù, che è
fuori discussione, ma il dispotismo dei padroni.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Catone, uomo politico e
scrittore romano del II sec.
a.C., nel suo trattato
sull’Agricoltura considerava
gli schiavi come “attrezzi
agricoli parlanti”.
La tratta degli schiavi era une delle
attività commerciali più fiorenti del
Mediterraneo romano. Il mercato più
importante era il porto di Delo, dove
in un solo giorno si vendevano fino a
10.000 prigionieri.
Il lavoro schiavile diventò
qualcosa di “naturale” nelle
civiltà antiche. Nessuna
rivolta di schiavi nel mondo
romano pensò mai di
“abolire” la schiavitù, ma
solo ad ottenere la libertà.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Il grande numero di schiavi
aveva impensierito anche
uomini politici romani.
Tiberio Gracco proponeva,
nella sua riforma agraria, un
ritorno all’antica proprietà
contadina, di estensione
limitata, e sufficiente a
sostenere una famiglia e a dare
allo stato cittadini e soldati.
La riduzione dei latifondi
avrebbe comportato anche la
riduzione del numero degli
schiavi.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’ultima rivolta fu quella di
Spartaco: a partire da un
gruppo di gladiatori di Capua,
arrivò a raccogliere in Italia
meridionale un esercito di
schiavi, che sconfisse più volte
le legioni romane, ma il loro
obiettivo primario era lasciare
l’Italia, per vivere liberi nella
terra d’origine.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Dopo la sconfitta di
Spartaco, gli schiavi
prigionieri furono puniti
in un modo che voleva
essere esemplare per
scongiurare future
ribellioni: furono
crocifissi a migliaia
lungo la via Appia, da
Capua a Roma.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Il cristianesimo, pur rivalutando la dignità
dello schiavo come persona umana, non
pensò ad abolire la schiavitù, in quanto ciò
significava rivoluzionare la società romana.
Significativa è la lettera di San Paolo a
Filèmone: Paolo rimanda a Filèmone un suo
schiavo fuggitivo, pregandolo di trattarlo non
come schiavo, ma come un fratello carissimo
nella comune fede cristiana.
Tale concezione, con tempo, favorì
comunque la scomparsa della schiavitù.
Anche i filosofi stoici, come Seneca ( I sec.
d.C.), invitavano i padroni a vedere “l’uomo”
e non lo “schiavo”, e a sottolineare che
l’anima non può essere mai schiava.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II e I sec. a.C.
- Le conquiste e l’arricchimento portarono l’aristocrazia romana ad una
trasformazione della vita sociale ed intellettuale, nella quale ebbero un ruolo
di primo piano la retorica e la filosofia ellenistica.
- La padronanza della retorica e della filosofia fornivano armi nuove nella
competizione politica a Roma e nella ricerca del prestigio sociale.
Alessandro Magno forniva l’immagine del capo ideale, protetto dagli dèi,
forte, vittorioso, dotato di una vasta cultura.
- La “Villa dei Papiri” di Ercolano, nel I sec. a.C., è l’esempio di una
costruzione che riproduce i palazzi ellenistici, con porticati, giardini,
biblioteche, statue di filosofi e personaggi celebri: questo contesto si
riteneva appropriato all’uomo di stato ideale, accompagnato da consiglieri
greci.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Il lavoro schiavile non era
inefficiente, ma assicurò una
certa regolarità nella produzione,
nella circolazione, negli scambi e
nei consumi, apparendo agli
studiosi singolarmente
“moderno”.
Il confronto con lo sfruttamento
degli schiavi negri negli Stati
Uniti, fino alla Guerra di
secessione americana (18611865), mostra che il sistema
schiavistico poteva essere
altamente redditizio, e reggere
al confronto con una economia
basata sul lavoro libero.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II e I sec. a.C.
- Attraverso i rapporti di clientela, collettivi e individuali, l’aristocrazia romana
influenzava tutta la società italica.
- I rapporti di clientela collettivi legavano una città dell’Italia con il generale che
l’aveva sconfitta, o che aveva stabilito il patto di alleanza, o con il
magistrato che l’aveva fondata.
- Le situazioni erano variabili, ma di solito la città sceglieva per decreto un
proprio patrono, e in cambio di aiuto e protezione dava disponibilità e
sostegno politico.
- Il legame di patronato contribuiva alla romanizzazione.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II
e I sec. a.C.
L’aristocrazia romana nel II
e I sec. a.C.
- I rapporti di clientela individuali erano
però quelli più forti, tra gli aristocratici
locali e i patroni romani. Le clientele si
trasmettevano poi di padre in figlio, per
eredità.
- Altri pestani entrarono in
questa clientela: Cornelio
Blasio, pretore anche lui nel
194, e Marco Tuccio,
pretore nel 190. Entrambi
sono celebrati su monete di
Paestum come patroni.
- Probabilmente Digizio e gli
altri grazie ai loro potenti
protettori beneficarono la
città di Paestum con alcuni
edifici ispirati all’architettura
ellenistica macedone.
- La guerra ed il servizio militare degli Italici
negli eserciti romani offrivano l’occasione
di creare forti legami clientelari.
- Sesto Digizio della colonia di Paestum
combatté in Spagna nell’armata di
Scipione Africano, e grazie ad i suoi
legami con gli Scipioni fu pretore nel 194
e legato nel 190 in Oriente con Scipione
Asiatico.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II e nel
I sec. a.C.
L’aristocrazia romana nel II e
nel I sec. a.C.
- Un esempio eccezionale di carriera
fatta nelle campagne militari,
addirittura contro il proprio stesso
patrono fu quella di Gaio Mario, di
Arpino, cliente dei Metelli.
- Al contrario Cicerone, sempre di
Arpino, fece carriera non sotto
le armi, ma nelle case
aristocratiche trasformate in
centri culturali: fu allievo di
Quinto Muzio Scevola e del
cugino omonimo, celebri
giureconsulti, oratori e politici
romani. Qui imparò oltre al
diritto le regole di
comportamento proprie di un
senatore.
- Impegnato nella guerra giugurtina
come ufficiale agli ordini di Metello
Numidico, Mario si rese popolare
fra i soldati e fra la plebe, e fu
eletto console malgrado
l’opposizione del suo patrono.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II e I sec. a.C.
- In questo modo le élites locali si integravano nella società romana, e il
sostegno di un patrono potente forniva l’accesso al bottino di guerra,
all’ager publicus, al mondo degli affari.
- Costoro trasferendosi a Roma ottenevano la cittadinanza romana, e potevano
far carriera nelle magistrature. Clienti a Roma, diventavano a loro volta
patroni in patria, nella loro città.
- Queste reti clientelari furono potenti strumenti di romanizzazione,
introducendo dovunque in Italia i valori ed i comportamenti degli
aristocratici romani.
- Si è parlato anche di autoromanizzazione: le classi dirigenti locali avevano
tutto l’interesse a romanizzarsi, anche in assenza di particolari iniziative
romane.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’aristocrazia romana nel II e I sec. a.C.
- Le case dell’aristocrazia romana ospitavano dunque nel II e soprattutto nel I
sec. a.C. retori, poeti, filosofi, maestri greci, ma anche allievi, amici, clienti,
romani ed italici, fornendo loro vitto, alloggio, una biblioteca fornita e un
salotto nel quale partecipare a conversazioni filosofiche e politiche.
- Sono esempi famosi la casa di Scipione Emiliano, dei Sempronii Gracchi, degli
Scevola, di Lucullo, di Silla il Giovane.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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Le aristocrazie municipali italiche
- Sono le classi che governano localmente le città ed i popoli dell’Italia.
- Il loro potere dipende dalla loro capacità di influenzare le decisioni dei
magistrati e dei senatori di Roma, e da modelli di autorappresentazione
conformi all’usanza ellenistica.
- Le famiglie aristocratiche dominano localmente la vita politica, sempre le
stesse nel tempo, mediante alleanze familiari, ricchezze, favori, clientele.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Le aristocrazie municipali italiche
- Gli aristocratici locali non avevano solo case signorili, ma anche terre,
aziende agricole, imprese artigiane: traevano le loro ricchezze dal
commercio e dagli affari, ed avevano tutto l’interesse ad avere buoni
rapporti con l’aristocrazia romana.
- Un altro requisito era l’onorabilità: secondo la “tavola di Eraclea”, erano
esclusi i condannati per crimini, i falliti, i tutori disonesti, i debitori insolventi,
i calunniatori, gli ex-soldati espulsi dall’esercito, i liberti, i gladiatori e coloro
che ne organizzavano gli spettacoli. Insomma, tutti coloro che avevano
perduto credito, fides, agli occhi dei concittadini.
- Contavano poi anche la conoscenza del diritto e il valore militare.
- Trasferendosi a Roma, in qualità di cittadini romani e di cavalieri, potevano
aspirare alle magistrature di Roma stessa.
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Le aristocrazie municipali italiche
- Nelle colonie latine e nei municipi con una certa autonomia troviamo come
supremi magistrati i duoviri o duumviri, incaricati del rispetto delle leggi
(iure dicundo), delle convocazioni delle assemblee, dei censimenti, della
scelta dei senatori locali. Erano affiancati da edili o questori.
- Nei municipi dopo il 79 a.C. troviamo i quattuorviri, con funzioni analoghe.
- I senatori o decurioni amministravano la comunità, le finanze, i lavori
pubblici, e curavano l’ordine pubblico.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
Le aristocrazie municipali italiche
- Per i Romani ogni città deve avere una aristocrazia. Nelle colonie latine di
nuova fondazione veniva formata artificialmente dividendo la terra in
misura diversa tra fanti, centurioni e cavalieri. Apposite leggi ne
assicuravano il mantenimento.
- A Taranto nel I sec. a.C. una legge obbligava ogni decurione (senatore) a
possedere in città o nel territorio un edificio di almeno 1500 tegole
(evidentemente da considerare come eventuale pegno). I senatori dunque
dovevano offrire garanzie personali.
- Nelle altre città vi erano situazioni diverse, sempre però basate sulla
tripartizione popolo - senato - magistrati.
- Inoltre i senatori erano tenuti a spendere una certa somma (summa
honoraria) in lavori pubblici o giochi a favore della comunità quando
entravano nel senato oppure erano eletti magistrati.
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L’esigenza della cittadinanza
- Nel II sec. a.C. dalle colonie latine molti si trasferiscono o cercano di
trasferirsi a Roma per avere la piena cittadinanza (ius migrationis).
- Gli altri italici escogitano vari “trucchi” per eludere le regole ed essere censiti
fra i cittadini romani.
- Uno era quello di farsi iscrivere fra i coloni di una colonia romana, magari
lontana, come Buxentum, per poi abbandonarla alla prima occasione
(Buxentum fu trovata spopolata già una decina di anni dopo la fondazione).
6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’esigenza della cittadinanza
- Un altro trucco messo in atto dagli Italici era quello di “vendersi” come
schiavi a cittadini romani compiacenti, che poi li avrebbero “liberati”,
facendone dei liberti, e con la cittadinanza romana completa garantita
almeno per i figli.
- Il trucco fu adottato anche dai Latini quando ci fu il blocco delle nuove
iscrizioni, e quando fu imposto loro di lasciare dei figli nelle città di origine.
- Una nuova legge sugli affrancamenti davanti al magistrato obbligò gli
intervenuti a giurare che la manomissione non veniva fatta “per cambiare il
diritto di cittadinanza”.
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L’esigenza della cittadinanza
- Alcune città con la civitas sine suffragio, quali Formia, Fondi e Arpino, ed altre
della Campania, forse in seguito ad una legge del 189 del tribuno Quinto
Terenzio Culleone, ricevono la civitas optimo iure, obbligando i censori a
richiamare gli abitanti e iscriverli nelle tribù. Comunque, nel corso del II sec.
la civitas sine suffragio scompare.
- In tale confusione, folle di Latini e di Italici si presentarono a Roma per farsi
censire abusivamente fra i cittadini.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’esigenza
della cittadinanza
- Costoro furono sostituiti a
Fregellae da 3.000 famiglie di
Sanniti e Peligni, che vi
impiantarono attività
commerciali (fulloniche,
laboratori per la lavorazione dei
tessuti di lana) e tentarono di
diventare latini.
- Stessa cosa lamentano i magistrati delle città alleate nel Sannio, che
lamentano il trasferimento di migliaia di uomini nelle città latine come
Fregelle e di conseguenza l’impossibilità di fornire soldati.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’esigenza della cittadinanza
- Numerosi magistrati romani si rendono autori di abusi (impuniti) nei confronti
degli Italici:
- interventi di sistemazione dell’ager publicus, con strade e fori;
- leggi approvate a Roma che si applicano in tutta l’Italia;
- confische e distribuzioni di ager publicus con i Gracchi.
L’esigenza della cittadinanza
- Anche in altre città si verificano questi trasferimenti di sede, per motivi
economici (ad es. verso Pozzuoli, avviata a diventare il maggior porto
dell’Italia).
L’esigenza della cittadinanza
- repressione dei Baccanali (186 a.C.), con processi ed esecuzioni dei
presunti congiurati fedeli di Bacco in tutta l’Italia;
6. L’Italia nel II secolo a.C.
- Tipico è il caso di Fregellae, nel
179 a.C., la più importante e
fedele delle colonie latine,
quando migliaia di suoi cittadini
(metà della popolazione)
emigrarono a Roma.
- Nel corso del II sec. a.C. il dominio romano sull’Italia si inasprisce; un numero
sempre maggiore di decisioni, che coinvolgono gli alleati, vengono prese a
Roma, senza neppure consultarli:
- repressione delle rivolte di schiavi e conseguenti guerre che coinvolgono i
territori italici;
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- pretendono ospitalità non dovuta;
- fanno frustare i magistrati locali;
- depredano templi ed edifici pubblici e privati di tegole, ricchezze, opere
d’arte.
- I magistrati delle colonie latine come Fregelle fanno presente ai Romani
l’impossibilità di far fronte agli impegni presi per mancanza di cittadini.
- I Romani reagiscono alle migrazioni di massa con il rifiuto del censimento, la
chiusura della cittadinanza ai Latini e l’espulsione dei nuovi arrivati. Nel 186
sono respinti 12.000 latini; altri ancora nel 177.
6. L’Italia nel II secolo a.C.
Tiberio Sempronio Gracco
Tiberio Gracco nacque nel 162 a.C., figlio di Tiberio
Sempronio Gracco (220 ca. - 154 a.C.), tribuno della plebe nel
184 e console nel 177 e nel 163, e di Cornelia, figlia di Scipione
Africano, il vincitore di Annibale.
Tiberio partecipò alla campagna d’Africa contro Cartagine nel
146 a.C., alloggiando nella stessa tenda del comandante, Scipione
Emiliano, suo cognato, che aveva sposato la sorella Sempronia.
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Tiberio Gracco nel 137 fu questore, al seguito del console
Ostilio Mancino in Spagna. L’esercito di Mancino fu accerchiato
dagli spagnoli di Numanzia, e Tiberio negoziò con i Numantini un
accordo che salvò la vita a ventimila soldati romani e italici.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Questo episodio provocò la rottura fra Tiberio Gracco e la
nobiltà romana, gli Optimates, per cui egli passò alla fazione dei
Populares, cercando per la sua carriera e per le sue idee politiche
l’appoggio del popolo.
Ma una volta tornato a Roma l’accordo non fu accettato dal
Senato, e fu inviato contro Numanzia un altro esercito, comandato
da Scipione Emiliano (che distrusse Numanzia nel 133).
Alla stessa fazione popolare, opposta al gruppo degli Scipioni,
appartenevano Publio Licinio Crasso Muciano, e Appio Claudio
Pulcro, console nel 143, censore nel 136, e suocero di Tiberio
Gracco.
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La proposta da una parte richiamava idee di giustizia sociale
ispirate alla filosofia ed alla politica del mondo greco, e dall’altra
intendeva rafforzare la classe media romana, costituita dai
piccoli proprietari terrieri, fra i quali venivano reclutati i soldati
per le legioni romane.
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La proposta di legge agraria di Tiberio
Gracco ci è tramandata da Appiano, “Le guerre
civili”, I, 37-38:
<<Tiberio Gracco rinnovò la legge che nessuno
potesse occupare più di 500 iugeri di agro pubblico;
aggiunse però alla vecchia legge la clausola che i figli
degli occupanti potessero possedere altri 250 iugeri;
quello che sarebbe sopravanzato, tre persone elette
all’uopo l’avrebbero diviso fra i poveri (…).
I ricchi erano furenti perché ora non potevano più
come prima trascurare la legge, a causa della
commissione distributrice, né potevano ricomprare dagli
assegnatari le parcelle assegnate, perché Tiberio,
prevedendo questa possibilità, ne aveva proibito la
vendita>>.
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Con l’appoggio dei Populares Tiberio Gracco per il 133 fu eletto
tribuno della plebe, e si accinse a proporre una legge agraria
che distribuiva le terre pubbliche (ager publicus) ai nullatenenti
romani.
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La legge prevede così:
- La piena proprietà dell’ager publicus, occupato illegalmente,
fino a 500 iugeri (più eventuali altri 250 per i figli)
(1 iugero = 2.500 mq;
4 iugeri = 1 ettaro
500 iugeri = 125 ettari);
- La distribuzione delle terre recuperate oltre i 500 iugeri fra
i cittadini nullatenenti, curata da una Commissione
triumvirale eletta con questo preciso scopo.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Le nuove terre ottenute in proprietà fanno compiere ai
beneficiari nullatenenti un balzo in avanti nelle classi di censo,
posizionandoli nella classe media.
La norma del limite dei 500 iugeri, o qualcosa di simile, già
esisteva (leggi Licinie-Sestie del 367 a.C.), ma non era
applicata; Tiberio aggiunge la distribuzione dell’esubero
recuperato al popolo.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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Non tutto è chiaro
in queste disposizioni
di legge, e restano dei
probemi aperti:
1) In quali regioni
doveva essere
applicata? (i cippi posti
dalla Commissione per
la divisione delle terre
sono stati ritrovati in
Campania e in
Lucania, nel
Salernitano).
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
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2) Le terre potevano essere distribuite anche ai Latini ed agli
alleati Italici? (costoro avrebbero così ricevuto insieme alle terre
la cittadinanza romana).
Appare probabile una risposta affermativa, secondo la
tradizione romana che ammetteva Latini ed Italici nella fondazione
di colonie.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Discorso di Tiberio Gracco al popolo:
3) Anche le occupazioni inferiori a 500 iugeri venivano
legalizzate con la piena proprietà? (in questo caso avremmo dei
beneficiari -romani, latini, italici?- che già detengono le terre, e
che sono semplicemente immessi nella proprietà -nel censo e
nella cittadinanza?-).
- Anche in questo caso appare probabile una specie di
“sanatoria” che legalizzava le occupazioni inferiori a 500 iugeri,
rendeva gli occupanti cittadini romani nel caso non lo fossero già,
e li iscriveva nella corrispondente classe di censo.
<<Le fiere che abitano l’Italia hanno ciascuna una tana e un ovile in
cui riposare, mentre coloro che per l’Italia combattono e muoiono
non hanno che l’aria e la luce, e nient’altro; senza casa, senza fissa
dimora, vagano con la moglie e i figli. I comandanti li ingannano,
questi soldati, quando nelle battaglie li esortano a difendere dagli
assalti del nemico il proprio focolare e la tomba degli avi, poiché
nessuno di questi Romani, e sono moltissimi, ha il suo altare
familiare, nessuno ha un sepolcro avito, ma combattono e muoiono
per difendere l’altrui ricchezza, il lusso altrui. Vengono chiamati da
tutti ‘padroni del mondo’, mentre in verità non hanno una sola
zolla di terra che sia loro>> (Plutarco, Tib. Gracco, 9).
Tiberio Gracco propose la legge agraria in
accordo con i maggiori esponenti del suo
gruppo politico: Appio Claudio Pulcro,
Licinio Crasso Muciano, Publio Mucio Scevola
console nello stesso anno 133 e giurista
insigne.
L’orientamento prevalente, anche sul
piano del diritto, era quello di far sparire la
categoria ambigua ed incerta dell’ager
publicus, in favore della proprietà privata.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
La legge agraria è approvata, nonostante l’opposizione degli
aristocratici, ed è nominata la Commissione triumvirale che dovrà
procedere al recupero, alla divisione ed alla distribuzione delle
terre.
A votare la legge sono soprattutto i sostenitori di Tiberio venuti
da fuori Roma, dalla campagna, ossia i cittadini nullatenenti delle
tribù rurali, maggiormente interessati.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Frattanto Attalo III, re dello stato
ellenistico di Pergamo, in Asia Minore,
muore lasciando il popolo romano
erede di tutti i suoi beni e dello stesso
regno.
Tiberio Gracco propone di utilizzare
tale eredità per i beneficiari delle terre,
in modo che essi possano con tali fondi
attrezzare subito e rendere produttivi i
loro lotti.
L’opposizione degli aristocratici si fa
più decisa, e si accompagna a minacce
personali.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’azione di Tiberio Gracco sicuramente
favoriva anche gli Italici, almeno quelli
non ricchi. Ciò si può dedurre anche dalla
presenza al suo fianco di Blossio di Cuma e
di Publio Muzio Scevola.
Blossio, filosofo stoico, italico di
Cuma, al seguito di Tiberio Gracco, fu in
parte ispiratore delle sue riforme sia agrarie
che politiche (uguaglianza di tutti gli
uomini, divisione delle terre, azione del
tribuno della plebe in favore del popolo).
L’opera di Tiberio Gracco fu influenzata
anche dal giurista Publio Muzio Scevola
(trasformazione dell’ager publicus in
proprietà privata).
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
L’esigenza della cittadinanza
- Nel complesso, comunque si vogliano interpretare le riforme di
Tiberio Gracco, cresce nella seconda metà del II sec. a.C.
l’esigenza della cittadinanza romana da parte degli Italici.
- Nel 125 a.C. il console graccano Marco Fulvio Flacco tentò di
proporre una legge che concedeva agli Italici la cittadinanza
romana, ma non se ne fece nulla.
- Nello stesso anno 125 Fregellae si ribellò, forse per un ulteriore
rifiuto della cittadinanza romana, ma venne distrutta dal pretore
Opimio.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Temendo per la sua vita, una volta uscito dalla carica di tribuno
della plebe, Tiberio Gracco chiede di essere rieletto tribuno per
l’anno successivo, con un’altra innovazione costituzionale,
inaccettabile per gli aristocratici, che lo accusano di voler
diventare re.
I senatori, con a capo Scipione Nasica, irrompono nel comizio
ed uccidono Tiberio con alcuni suoi sostenitori. Altri suoi seguaci
sono in seguito processati e messi a morte. Ma non si osa abolire
la sua legge agraria, e l’attività della commissione continua anche
in seguito.
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6. L’Italia nel II secolo a.C.
Riforme di Caio Gracco
Tribuno della plebe 123-122 a.C.
- Nuova riforma agraria
- Legge frumentaria:
distribuzioni gratuite di frumento alla plebe
- Legge giudiziaria: i cavalieri
giudicano i senatori
- Nuove colonie con distribuzioni di terre per il popolo
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- Caio Gracco viene rieletto dal popolo per il 122 (passa la riforma
dell’elezione dei Tribuni della plebe).
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- Caio Gracco propone l’estensione della cittadinanza a
Latini e Italici
- Tutti questi eventi mostrano significativamente l’importanza
vitale che i Latini e nel complesso gli Italici attribuivano alla
cittadinanza romana, come ultimo atto di una romanizzazione
ormai pressoché completa, ma ancora negata.
- Gli optimates oppongono a Caio Gracco un tribuno che fa
proposte ancora più allettanti per la plebe, con la fondazione di
12 colonie di 3000 cittadini (ma non le porta a termine).
- Cercando di porre rimedio ad una situazione esplosiva, dopo i
Gracchi i Romani concedono la piena cittadinanza romana a coloro
che rivestivano una magistratura nelle città e nelle colonie latine.
- Per il 121 Caio Gracco non è più rieletto. Durante un tumulto,
viene ucciso dal console Opimio con circa 3000 seguaci.