UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Matematica (triennale) Spazi di Banach e proprietà di Radon-Nikodym Relatore: Prof. Clemente Zanco Elaborato Finale di: Riccardo Brasca matricola n. 668290 Anno Accademico 2005/2006 Indice Introduzione 3 Avvertenze 5 1 Misure vettoriali ed integrale di Bochner 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà . . . . . 1.2 L’integrale di Bochner . . . . . . . . . . . 1.3 Misura e integrazione . . . . . . . . . . . . 1.4 Un lemma di esaustione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 La proprietà di Radon-Nikodym 2.1 Radon-Nikodym fallisce . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 . . . neanche Riesz sopravvive . . . . . . . . . . . . 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym . 2.3.1 L’equivalenza delle due proprietà . . . . . . 2.3.2 Il duale di Lp (µ, X) . . . . . . . . . . . . . . 3 Martingale 3.1 Valore atteso . . . . . . . 3.2 Martingale . . . . . . . . . 3.3 Convergenza di martingale 3.4 Altri risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 12 16 19 . . . . . 21 22 25 26 26 31 . . . . 37 37 39 40 42 4 Proprietà geometriche degli spazi di Radon-Nikodym 45 4.1 Di nuovo la proprietà di Radon-Nikodym . . . . . . . . . . . . 45 4.2 Slice e dentabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Indice 4.3 4.4 2 4.2.1 Altri concetti geometrici . . . . . . . . . . . . . . . . . Dentabilità e Radon-Nikodym . . . . . . . . . . . . . . . . . . Punti estremi, esposti e fortemente esposti . . . . . . . . . . . 50 52 58 5 Spazi duali e la proprietà di Radon-Nikodym 60 5.1 Spazi duali separabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 5.2 Alcune importanti conseguenze . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 A Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 65 Bibliografia 70 Ringraziamenti 72 Introduzione La definizione di misura, positiva o complessa, richiede che sia già stato introdotto il concetto di serie e questo può essere fatto senza problemi in R o in C; anche in uno spazio di Banach può essere ambientato il concetto di serie e quindi si può definire un nuovo tipo di misura, introducendo le cosiddette misure vettoriali. Nel primo capitolo dell’elaborato, dopo aver introdotto le misure vettoriali, viene definito l’integrale di una funzione scalare rispetto a tali misure e ne vengono dimostrate le prime proprietà. Si passa poi all’integrale di Bochner, una generalizzazione di quello di Lebesgue, che permette di integrare funzioni a valori in un qualsiasi spazio di Banach X rispetto ad una misura scalare. Vengono quindi introdotti gli spazi Lp (µ, X) e si stabilisce, nel modo classico, una connessione tra integrale di Bochner e misure vettoriali. L’integrale di Bochner sembra all’inizio una generalizzazione di quello di Lebesgue priva di interesse: le due teorie sembrano infatti sostanzialmente uguali. L’obiettivo principale del secondo capitolo dell’elaborato è proprio quello di mettere in luce le differenze tra l’integrale di Lebesgue e quello di Bochner. La prima, e per quanto ci riguarda più importante, differenza riguarda il Teorema di Radon-Nikodym: la sua naturale generalizzazione non è in generale realizzabile se si prescinde dallo spazio di Banach X. L’obiettivo del resto dell’elaborato è lo studio degli spazi per cui questa generalizzazione è attuabile, i cosiddetti spazi di Radon-Nikodym. Una prima caratterizzazione viene subito mostrata nel secondo capitolo, esaminando gli operatori lineari da L1 (µ) a X; si affronta quindi lo studio del duale di Lp (µ, X). Nel terzo capitolo vengono introdotti alcuni concetti in apparenza slegati dal resto dell’elaborato, in realtà finalizzati al suo prosieguo; in particolare Introduzione 4 viene studiata (brevemente) la teoria del valore atteso per funzioni vettoriali e quella delle martingale, anch’esse vettoriali. Vengono quindi presentati diversi teoremi di convergenza, sia puntuale sia in norma. L’obiettivo del quarto capitolo è lo studio delle proprietà geometriche degli spazi di Radon-Nikodym: in particolare si vuole arrivare all’equivalenza tra la proprietà di Radon-Nikodym e la dentabilità di sottoinsiemi chiusi convessi e limitati. Per raggiungere l’obiettivo per prima cosa viene riformulata la proprietà di Radon-Nikodym, introducendo il concetto di insieme con la proprietà di Radon-Nikodym e vengono poi introdotti diversi concetti geometrici, tra i quali in particolare quello di insieme dentabile. Per la dimostrazione della più importante caratterizzazione geometrica vengono inoltre utilizzati pesantemente i risultati riguardanti le martingale, che trovano quindi una collocazione naturale in questo contesto. Alla fine del quarto capitolo vengono presentate, senza dimostrazione, altre caratterizzazioni degli spazi di Radon-Nikodym, che coinvolgono tutte le nozioni geometriche precedentemente introdotte. Nel quinto ed ultimo capitolo si studiano gli spazi duali: il teorema più importante al riguardo afferma che spazi duali separabili sono spazi di RadonNikodym. Grazie a questo teorema vengono dimostrati diversi corollari, in particolare si mostra che gli spazi riflessivi hanno la proprietà di RadonNikodym. Gli argomenti trattati nell’elaborato sono classici, una loro trattazione completa e precisa può essere trovata nell’unione dei testi in bibliografia. Gli esempi presentati sono una rielaborazione personale di esempi noti. Avvertenze Per tutta la durata della tesi (X, k·k) sarà uno spazio di Banach e (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva, che supporremo sempre essere σ-finito e completo. In particolare lo spazio (S, Ω, µ) sarà sempre sottinteso nei vari enunciati e dimostrazioni, inoltre quando dirò “quasi ovunque”, senza specificare a quale misura mi riferisco, intenderò sempre rispetto alla misura µ. Quando parlerò Pn di funzioni semplici, dicendo per esempio f = i=1 xi Ai , spesso ometterò di scrivere che {Ai } è una partizione di S costituita da insiemi misurabili, tuttavia questo sarà spesso sottinteso, inoltre intenderò sempre che se i 6= j xi 6= xj (questo per evitare che f sia misurabile anche se non tutti gli Ai sono misurabili). Con Lp (µ) intenderò lo spazio Lp (S) rispetto alla misura µ. Con Lp (A), essendo A un insieme misurabile, intenderò lo spazio delle funzioni in Lp (µ), con supporto contenuto in A. Con Ba (x) intenderò la bolla di raggio a centrata nel punto x, cioè l’insieme y ∈ X : ky − xk ≤ a, co (A) indica l’involucro convesso di A e co (A) la chiusura di co (A). Per il resto la notazione utilizzata è standard. Per la comprensione dell’argomento è necessaria una certa conoscenza della teoria della misura, in particolare il Teorema di Radon-Nikodym classico verrà spesso utilizzato nelle dimostrazioni. Utilizzerò largamente la teoria dell’integrazione secondo Lebesgue e la teoria relativa agli spazi Lp , tutto quello che serve al riguardo può essere trovato nei primi capitoli di [17] e in [16]. Darò anche per scontate le proprietà basilari degli spazi di Banach e i primissimi teoremi di analisi funzionale: al riguardo due testi molto belli (che costituiscono un corso intero di analisi funzionale e contengono infinitamente di più di quello che utilizzeremo qui) sono [18] e [14]; per chi volesse vedere un’impostazione dell’argomento diversa e forse poco usuale consiglio [3]. Avvertenze 6 La teoria del valore atteso e delle martingale è sviluppata il meno possibile, tutti i risultati proposti servono per dimostrare proposizioni riguardanti argomenti diversi. Probabilmente il lettore che non ha famigliarità con questi concetti avrà delle difficoltà a comprendere il senso degli argomenti proposti, tuttavia non è necessario avere grande padronanza di questi argomenti per comprendere il resto. Capitolo 1 Misure vettoriali ed integrale di Bochner In questo primo capitolo verrà generalizzato il concetto di misura complessa, introducendo le cosiddette misure vettoriali. Verrà quindi definito l’integrale di una funzione scalare rispetto ad una misura vettoriale. Verrà poi introdotto l’integrale di Bochner, definendo quindi l’integrale di una funzione a valori in uno spazio di Banach rispetto ad una misura scalare. I legami tra questi due concetti emergeranno in maniera naturale, definendo una misura vettoriale attraverso l’integrale di Bochner. L’impostazione dell’argomento, almeno all’inizio, segue quella di [1]. 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà Sia S un insieme e Ω una σ-algebra di sottoinsiemi di S. Una funzione µ : Ω → C è chiamata misura complessa se soddisfa: ! µ [ i∈N Ai = X µ(Ai ), Ai ∈ Ω ∀i ∈ N, Ai ∩ Aj = ∅ se i 6= j; i∈N si noti che la serie deve convergere incondizionatamente, quindi assolutamente, da cui µ dev’essere finita. Vogliamo ampliare questo concetto sostituendo a C insiemi più generali: ovviamente la definizione di misura deve restare si- 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 8 mile, in particolare dovremo scegliere insiemi in cui sia ben definito il concetto di serie. È allora naturale scegliere spazi normati, in particolare sceglieremo spazi di Banach. Sia dunque (X, k·k) uno spazio di Banach e (S, Ω) uno spazio misurabile: diamo la definizione di misura vettoriale. Definizione 1.1 Una funzione τ : Ω → X è detta misura vettoriale se soddisfa: ! [ X τ Ai = τ (Ai ), Ai ∈ Ω ∀i ∈ N, Ai ∩ Aj = ∅ se i 6= j, (1.1) i∈N i∈N dove, per ipotesi, la serie converge incondizionatamente. Si ha il seguente utile Lemma 1.2 Una funzione d’insieme τ :Ω→X finitamente additiva è numerabilmente additiva (e quindi è una misura vettoriale) se e solo se τ (An ) → 0 per ogni successione decrescente di insiemi T {An } tale che An = ∅. Dimostrazione. Il verso del “solo se” è evidente. Per il viceversa sia {Ai }i∈N una partizione di un generico A ∈ Ω, si ha τ ! [ Ai − i∈N n X i=1 τ (Ai ) = τ = τ ∞ [ i=n+1 ! [ Ai −τ n∈N n [ i=1 ! Ai = ! Ai → 0 se n → ∞ per ipotesi. Mantenendo l’analogia con le misure complesse diamo la seguente Definizione 1.3 Sia τ una misura a valori in X. Sia |τ | : Ω → X 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà A 7→ sup nX o kτ (Ai )k , 9 (1.2) dove il sup si intende esteso a tutte le partizioni {Ai }i∈N di A. Esattamente come nel caso di misure complesse si verifica che |τ | è una misura positiva, tuttavia non vale più |τ |(S) < ∞: vedremo fra poco un controesempio. Per mantenere l’analogia con le misure standard richiediamo allora che τ sia di variazione limitata, cioè che |τ |(S) < ∞. In realtà per quasi tutto quello che verrà detto in seguito basterebbe τ di semivariazione limitata, dove la semivariazione di τ è definita come: kτ k (A) = sup {|x∗ τ |(A)} dove il sup è esteso a tutti gli x∗ ∈ X ∗ tali che kx∗ k ≤ 1 e dove con |x∗ τ | intendo la variazione totale della misura scalare x∗ τ . Naturalmente una misura è detta di semivariazione limitata se kτ k (S) < ∞. Per maggiori dettagli riguardo quest’argomento si veda [4]. Si ha il seguente facile teorema, che useremo spesso, anche senza richiamarlo esplicitamente. Teorema 1.4 Se µ(S) < ∞ ed esiste k ∈ R tale che kτ (A)k ≤ kµ(A) per ogni A ∈ Ω allora τ è di variazione limitata. Dimostrazione. Sia {Ai } una qualunque partizione di S. Si ha X kτ (Ai )k ≤ X kµ(Ai ) = kµ(S) < ∞. Esempio 1.5 Sia (S, Ω) = ([0, 1], L ([0, 1]))1 e X = Lp ([0, 1]). Definiamo una funzione d’insieme τ ponendo τ (A) = χA . Affinché τ sia una misura vettoriale occorre che sia p 6= ∞, infatti in caso contrario τ non è σ-additiva: se si scrive [0, 1] come unione di una famiglia Con L ([0, 1]) intendo la σ-algebra costituita dai sottoinsiemi di [0, 1] Lebesguemisurabili, analogamente con altri insiemi al posto di [0, 1]. 1 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 10 S P numerabile di insiemi disgiunti {Ai }, allora τ ([0, 1]) = τ ( Ai ) = τ (Ai ) = P χAi , tuttavia kχAi k∞ = 1 ∀i da cui la serie non può convergere (si ricordi che la convergenza dev’essere in norma). Viceversa se 1 ≤ p < ∞ sia C ⊆ S [0, 1] e C = Ai , con {Ai } mutuamente disgiunti: essendo µ(C) ≤ 1 (µ P indica qui la misura di Lebesgue su R) si ha che µ(Ai ) converge e quindi P χAi converge in norma Lp . Se p 6= 1 τ non è di variazione limitata, basta i i+1 S , stimare dal basso |τ |((0, 1)) usando questa , scrivere (0, 1) = n−1 i=0 n n partizione e lasciare n → ∞ per ottenere |τ |((0, 1)) = ∞. Ovviamente se p = 1 si ha |τ |([0, 1]) = 1. Nel seguito τ sarà sempre una misura di variazione limitata. Vogliamo definire l’integrale di una funzione scalare rispetto a una misura vettoriale τ . Il modo più naturale di procedere consiste nel partire dalle funzioni semplici: P se f = m i=1 ai χAi , con Ai ∈ Ω per ogni i, (si ricordi che {Ai } dev’essere una partizione di S, questo nel seguito sarà sempre sottinteso) definiamo Z f dτ = m X S ai τ (Ai ). (1.3) i=1 Se f è semplice vale Z Z m m m X X X f dτ = |f | d |τ | . kai τ (Ai )k = |ai | kτ (Ai )k ≤ ai τ (Ai ) ≤ S i=1 i=1 i=1 S Se al posto di S c’è un insieme generico A ⊆ S, ovviamente poniamo Z Z f χA dτ. f dτ = A S Consideriamo ora una generica f misurabile ed essenzialmente limitata, rispetto a |τ |: poiché f è limite uniforme di funzioni semplici è ben definito, per continuità, l’integrale di f rispetto a τ (si ricordi che |τ |(S) < ∞). Per densità delle funzioni semplici, per ogni f essenzialmente limitata vale Z Z f dτ ≤ |f | d |τ | ∀A ∈ Ω. A A (1.4) 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 11 La (1.4) significa ovviamente che l’integrazione rispetto a τ è un operatore (lineare) continuo da L∞ (|τ |) a X. Per estendere l’integrazione rispetto a τ basta ora procedere per continuità e ottenere un operatore lineare continuo da L1 (|τ |) a X. Tutte le proprietà fin qui discusse valgono in generale per la densità di L∞ (|τ |) in L1 (|τ |) e la continuità dell’integrale. Si noti che la definizione di integrale (di Lebesgue) rispetto ad una misura complessa viene data sfruttando il Teorema di Radon-Nikodym: ovviamente a questo punto della trattazione non abbiamo nessun teorema analogo a Radon-Nikodym per misure vettoriali, vedremo in seguito che un tale teorema non può esistere e quindi il ricorso all’esensione per continuità è indispensabile. Esempio 1.6 Sia (S, Ω) = (N, P(N)) e sia τ ({i}) = xi ∈ X (dev’essere P xi incondizionatamente convergente). In questo modo abbiamo sempre P una misura vettoriale, che è di variazione limitata se e solo se xi converge assolutamente. Introduciamo ora il concetto di misura vettoriale assolutamente continua rispetto ad una misura scalare. Definizione 1.7 Una misura vettoriale τ di variazione limitata è detta assolutamente continua rispetto ad una misura positiva µ σ-finita se vale una di queste condizioni (equivalenti): • |τ | ≺ µ; • µ(A) = 0 ⇒ τ (A) = 0; • ∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che µ(A) < δ ⇒ |τ |(A) < ε. In questo caso scriviamo τ ≺ µ. L’ipotesi di σ-finitezza di µ serve per garantire l’equivalenza delle 3 condizioni, al riguardo si veda [4]. Con le ipotesi del Teorema 1.4 possiamo dedurre che τ è assolutamente continua rispetto a µ, infatti µ(A) = 0 ⇒ τ (A) = 0 ⇒ |τ (A)| = 0. Si noti che il Lemma 1.2 permette di dedurre il seguente Teorema 1.8 Una funzione d’insieme τ :Ω→X 1.2 L’integrale di Bochner 12 finitamente additiva e assolutamente continua rispetto a µ misura positiva è numerabilmente additiva. 1.2 L’integrale di Bochner Passiamo ora all’argomento principale di questo capitolo, l’integrale di BochR ner. Vogliamo dare un senso alla scrittura f dµ, dove però f è una funzione definita da S a valori in uno spazio di Banach X. In apparenza tutto ciò non è collegato con il concetto di misura vettoriale (la misura µ è infatti positiva), tuttavia vedremo come il concetto di misura vettoriale entrerà naturalmente in gioco. Abbiamo bisogno per prima cosa del concetto di funzione misurabile: incominciamo dalle funzioni semplici. Pm Definizione 1.9 Sia f = i=1 xi χAi , con xi ∈ X ∀i. Diciamo che f è misurabile se Ai ∈ Ω ∀i. Veniamo ora alla definizione generale. Definizione 1.10 Sia f : S → X. f è misurabile se è µ-quasi ovunque limite puntuale di funzioni semplici misurabili. Nel caso di funzioni reali la definizione è diversa, tuttavia è comunque vero che ogni funzione misurabile è limite di funzioni semplici misurabili, e viceversa; per funzioni vettoriali è conveniente adottare questa definizione. Definizione 1.11 Sia f : S → X. f è debolmente misurabile se x∗ f è µ-misurabile per ogni x∗ ∈ X ∗ . La più importante caratterizzazione delle funzioni misurabili è il seguente teorema, dovuto a Pettis. Teorema 1.12 (Pettis) Sia f : S → X. f è misurabile se e solo se valgono le seguenti condizioni: • f è debolmente misurabile; • ∃A ∈ Ω, con µ(A) = 0, tale che f (S\A) sia separabile. Dimostrazione. Sia f misurabile e sia quindi {fi } una successione di funzioni semplici misurabili che convergono puntualmente quasi ovunque a f . Per 1.2 L’integrale di Bochner 13 il Teorema di Egoroff2 ∀n ∈ N ∃An ∈ Ω con µ(An ) < n1 tale che fi → f uniformemente su S\An . fi (S\An ), essendo fi semplice, è finito dimensionale e limitato, da cui f (S\Ai ) è precompatto (per l’uniforme convergenza ∀ε > 0 ∃m tale che kfi (x) − f (x)k < ε ∀x ∈ S\An e ∀i ≥ m: allora fm (S\An ), che è costituito da un numero finito di punti, è una ε-net finita per f (S\An )) e S S quindi risulta separabile. Allora f ( n S\An ) = n f (S\An ) è separabile ed S T essendo µ(S\ n (S\An )) = µ( n An ) = 0 è dimostrato che vale la seconda proprietà. Sia x∗ ∈ X ∗ : allora x∗ (fn (s)) → x∗ (f (s)) per quasi ogni s ∈ S. x∗ fn è semplice misurabile e x∗ f è quasi ovunque limite di x∗ fn e quindi è misurabile e vale allora la prima proprietà. Viceversa sia A ⊆ S, con µ(A) = 0 tale che f (S\A) sia separabile. Supponiamo che {xn } sia una successione densa in f (S\A). Per il Teorema di Hahn-Banach esiste {x∗n } ⊆ X ∗ tale che kx∗n k = 1 ∀n e x∗n (xn ) = kxn k ∀n. Per la densità di {xn } si ha kf (s)k = sup |x∗n (f (s))|, n quindi la funzione kf (·)k è µ misurabile e anche gm (·) = kf (·) − xm k = supn {x∗n (f (·)) − x∗n (xm )} è µ-misurabile per ogni m fissato. Sia ε > 0 e Aεn = {s ∈ S\A tali che gn (s) < ε} : S allora, per la densità di {xn }, vale S\A = n Aεn e gli Aεn sono tutti misurabili. Definiamo n−1 [ ε ε Bn = An \ Aεi : i=1 P allora {Bnε } è una partizione di S\A e se gε = i xi χBiε si ha kgε (s) − f (s)k < ε ∀s ∈ S\A e f è limite uniforme di funzioni con rango al più numerabile misurabili. Segue che f è quasi ovunque limite puntuale di vere funzioni semplici. 2 Molti teoremi, come appunto il Teorema di Egoroff, valgono anche per funzioni vettoriale, e la loro dimostrazione è identica al caso di funzioni reali; tralascio quindi i dettagli. 1.2 L’integrale di Bochner 14 Siamo pronti a definire l’integrale di Bochner! Al solito cominciamo con P le funzioni semplici. Una funzione f = m i=1 xi χAi è Bochner integrabile se il supporto ha misura finita: in questo caso scriviamo Z f dµ = S m X xi µ(Ai ), i=1 dove per convenzione 0 · ∞ = 0. Più in generale: Definizione 1.13 Sia f : S → X. f è Bochner integrabile se esiste una successione {fi } di funzioni semplici misurabili, Bochner integrabili e puntualmente convergente a f tale che Z kfn − fm k dµ → 0. (1.5) S In questo caso scriviamo Z Z fn dµ. f dµ = lim S (1.6) S Il caso in cui S è sostituito da insiemi diversi si tratta nel modo ovvio. Bisognerebbe fare molte verifiche, per esempio che la definizione è ben posta, nel senso che il limite non dipende dalla scelta della successione di funzioni semplici, ma tutto funziona come nel caso scalare. Vale per esempio il seguente R Teorema 1.14 Per ogni funzione f Bochner integrabile si ha f dµ ≤ R kf k dµ Dimostrazione. La disuguaglianza è evidente nel caso f semplice e il caso generale segue per densità. Come ci si può aspettare, si ha la seguente utile caratterizzazione delle funzioni Bochner integrabili. Teorema 1.15 Sia f : S → X. f è Bochner integrabile se e solo se • f è misurabile; R • S kf k dµ < ∞. 1.2 L’integrale di Bochner 15 Dimostrazione. Che le due condizioni siano necessarie è evidente dalla definizione di funzione Bochner integrabile. Viceversa, se f è misurabile, anche kf k lo è, quindi esiste una successione {fn }, costituita da funzioni misurabili e con rango al più numerabile (si veda la dimostrazione del Teorema 1.12), tale che kf − fn k ≤ n1 ∀n valga quasi ovunque; quindi vale quasi ovunque kfn k ≤ kf k + n1 . Assumiamo per il momento µ(S) < ∞, e scriviamo fn = ∞ X xn,i χAn,i . i=1 Sia pn sufficientemente grande perché si abbia Z kfn k dµ ≤ ∪∞ m=pn +1 An,m µ(S) n Pn e si ponga gn = pi=1 xn,i χAn,i : in questo modo ogni gn è semplice e misurabile. Vale Z Z Z kf − gn k dµ ≤ kf − fn k dµ + kfn − gn k dµ ≤ S S Z ≤ S S µ(S) 2µ(S) 1 dµ + = →0 n n n se n → ∞. Il caso generale in cui S non ha misura finita segue ora dal fatto che in uno spazio di misura σ-finito ∀ε > 0 ∃Aε , con µ(Aε ) < ∞, tale che R kf k dµ < ε. S\Aε D’ora in poi, quando non vi saranno dubbi, spesso tralascerò di scrivere R dµ negli integrali, scrivendo solo S f ; inoltre tralascerò anche l’insieme di integrazione se questo è generico. L’insieme delle classi di equivalenza (a meno di uguaglianza quasi ovunque) di funzioni Bochner integrabili, dotato della norma naturale, è uno spazio di Banach che viene indicato con L1 (µ, X). Anche gli spazi Lp (µ, X), 1 < p ≤ ∞, definiti nel modo ovvio, sono spazi di Banach. La dimostrazione ricalca il caso scalare. Teorema 1.16 Se T : X → R è un funzionale lineare continuo, allora R R T f = T f ∀f ∈ L1 (µ, X). 1.3 Misura e integrazione 16 Dimostrazione. Il teorema è ovvio per funzioni semplici. Inoltre se fn → f R R in norma L1 (µ, X), con fn semplici, si ha che fn → f in norma di X. Inoltre la successione T fn è di Cauchy in L1 (µ) e quindi il teorema segue R R dall’uguaglianza T fn = T fn , passando al limite da entrambe le parti. Le proprietà dell’integrale di Bochner sono molto simili a quelle dell’integrale di Lebesgue, ad esempio se fn → f puntualmente e kfn k ≤ g ∈ L1 (µ) quasi ovunque, il teorema della convergenza dominata applicato a kfn − f k R con dominante 2g assicura che kfn − f k → 0. Teorema 1.17 Sia f ∈ L1 (µ, X). Allora valgono le seguenti proprietà: Z 1) lim f → 0; µ(A)→0 A 2) Z se {An }n∈NZè una partizione di A (costituita da insiemi misurabili) vale X f= f e la serie converge assolutamente. A n∈N Dimostrazione. An 1) Segue direttamente dal Teorema 1.14. 2) La serie è certamente assolutamente convergente, infatti, per ogni n ∈ R R N, An f dµ ≤ An kf k dµ, la cui serie converge. Si noti che l’integrale di Bochner è finitamente additivo, come segue immediatamente dalla definizione, e quindi vale Z Z m Z X f dµ − f dµ = f dµ . ∪∞ ∪∞ n=m+1 An n=1 An n=1 An S Inoltre µ ∞ n=m+1 → 0 se m → ∞ e quindi dalla proprietà appena dimostrata segue la tesi. 1.3 Misura e integrazione Come si collegano misure vettoriali ed integrale di Bochner? Partendo da una funzione f ∈ L1 (µ, X) possiamo definire una misura vettoriale nel modo più naturale: infatti dal Teorema 1.17 segue direttamente il seguente 1.3 Misura e integrazione 17 Teorema 1.18 Sia f ∈ L1 (µ, X), allora la seguente funzione τ :Ω→X Z A 7→ f dµ (1.7) A è una misura vettoriale. Se g è una funzione scalare semplice è immediato verificare che, detta τ la R R misura del teorema precedente, vale A g dτ = A f g dµ e quindi per densità vale sempre Z Z g dτ = f g dµ. A A Una misura cosı̀ definita ha tutte le buone proprietà che dovrebbe avere: intanto è di variazione limitata, infatti se {Ai }ni=1 è una partizione di A ∈ Ω si ha n X i=1 n Z X kτ (Ai )k = Ai i=1 X n Z f dµ ≤ i=1 Z kf k dµ. kf k dµ = Ai (1.8) A R Ne segue |τ |(A) ≤ A kf k dµ e quindi l’assoluta continuità di τ rispetto a µ. Un fatto molto utile nella pratica è che vale anche la disuguaglianza opposta. Teorema 1.19 Se f ∈ L1 (µ, X) e τ è come sopra, allora vale Z |τ |(A) = kf k dµ. (1.9) A Dimostrazione. Una disuguaglianza è già stata vista; per l’altra sia ε > 0 e sia {fn } una successione di funzioni semplici tali che Z kf − fn k dµ = 0. lim n→∞ Sia n0 tale che R S S kf − fn k dµ < ε. Si scelga una partizione π 0 di A tale che Z Z X fn0 dµ = kfn0 k dµ, B∈π 0 B A 1.3 Misura e integrazione 18 che esiste poiché fn0 è una funzione semplice. Raffinando π 0 si può trovare una partizione π di A tale che Z X f dµ < ε; |τ |(A) − B B∈π inoltre vale ancora Z X Z fn0 dµ = kfn0 k dµ. B∈π Vale B A Z Z X Z f dµ − fn0 dµ ≤ kf − fn0 k dµ < ε B∈π B B A e quindi Z X |τ |(A) − kf kf |τ |(E) − k dµ k dµ = < 2ε. n0 n0 A B∈π Poiché questa disuguaglianza vale per tutti gli n0 sufficientemente grandi, possiamo dedurre che Z Z |τ |(A) = lim n→∞ kf k dµ, kfn k dµ = A A e quindi la tesi. Deduciamo il seguente Corollario 1.20 Se f e g sono Bochner integrabili e Ω allora f = g µ-quasi ovunque. R A f dµ = R A g dµ ∀A ∈ Dimostrazione. Si costruisca τ a partire da f − g: allora τ (A) = 0 ∀A ∈ Ω R e quindi |τ |(A) = 0 ∀A ∈ Ω. Dal Teorema 1.19 segue che A kf − gk dµ = 0 ∀A ∈ Ω. Ne segue kf − gk = 0 µ-quasi ovunque e allora f = g µ-quasi ovunque. Fin qui l’integrale di Bochner non ha nessuna differenza rispetto all’integrale di Lebesgue, se non che il simbolo di valore assoluto | · | è sostituito 1.4 Un lemma di esaustione 19 da quello di norma k·k. Tuttavia, non appena si esaminano fatti più profondi della teoria dell’integrazione e della misura, emergono delle fondamentali differenze: è quello che vedremo nel prossimo capitolo. 1.4 Un lemma di esaustione Mostriamo qui un lemma tecnico, che sarà utile più avanti: la dimostrazione non ha nulla di concettualmente importante e potrebbe anche essere omessa, la inseriamo per completezza. Lemma 1.21 Sia τ : Ω → X una misura vettoriale e supponiamo che µ(S) < ∞. Sia P una qualsiasi proprietà che τ può avere su un certo A misurabile. Se si verificano le seguenti circostanze: 1) τ ha P sugli insiemi di misura nulla; 2) ogni volta che τ ha P su un insieme misurabile A, τ ha P su ogni insieme misurabile B ⊆ A; 3) ogni insieme misurabile A con µ(A) > 0 contiene un sottoinsieme misurabile B, con µ(B) > 0, tale che τ abbia P su B. Allora esiste una successione di insiemi {An }, mutuamente disgiunti, tali che S n An = S e τ abbia P su ogni An . Dimostrazione. Sia Y = {A ∈ Ω tali che τ ha P su A} e poniamo X = {unioni finite di elementi di Y } . Sia c = supA∈X {µ(A)} < ∞ e sia {Ai }i∈N tale che limn µ(An ) = c. PoS niamo inoltre Bn = ni=1 Ai : allora {Bn } ⊆ X e limn µ(Bn ) = c. Sia S A = S\ ∞ i=1 Bi : se fosse µ(A) > 0, esisterebbe C ⊆ A, con µ(C) > 0, tale che τ avrebbe P su C e quindi {Bn ∪ C} sarebbe contenuto in X e si avrebbe limn µ(Bn ∪ C) = c + µ(C) > c; che è assurdo per la definizione di c. Quindi µ(C) = 0. Consideriamo ora la successione C0 = A, C1 = B1 , C2 = B2 \B1 , . . . , Cn = Bn \Bn−1 , . . . . 1.4 Un lemma di esaustione 20 allora {Cn } è una successione di elementi di X , mutuamente disgiunti, tali S che Cn = S. La tesi è allora immediata “espandendo” ogni Cn che è unione finita di elementi di Y . Capitolo 2 La proprietà di Radon-Nikodym Se non detto altrimenti in questo capitolo supporremo sempre µ(S) < ∞. Il teorema forse più importante della teoria della misura è il Teorema di Radon-Nikodym: Teorema 2.1 (Radon-Nikodym) Se α : S → C è una misura complessa assolutamente continua rispetto a µ esiste una (e una sola) f ∈ L1 (µ) tale che Z α(A) = f dµ. A f viene chiamata derivata di Radon-Nikodym di α rispetto a µ e si scrive f= dα . dµ Per quanto riguarda la teoria dell’integrazione è invece di fondamentale importanza il Teorema di rappresentazione di Riesz. Teorema 2.2 (Riesz) Sia T : L1 (µ) → R un funzionale lineare continuo. Allora esiste una (e una sola) g ∈ L∞ (µ) tale che Z Tf = f g dµ. S 2.1 Radon-Nikodym fallisce . . . 22 Si può facilmente ipotizzare una generalizzazione del Teorema di RadonNikodym che usi l’integrale di Bochner invece di quello di Lebesgue, tuttavia la dimostrazione del caso scalare non funziona più: cosa possiamo dire allora? Il Teorema di Riesz si può generalizzare in diversi modi: per ora noi considereremo la generalizzazione che al posto di funzionali lineari tratta di operatori a valori in X, lo studio del duale di L1 (µ, X) verrà affrontato invece più avanti. 2.1 Radon-Nikodym fallisce . . . Vedremo che il Teorema di Radon-Nikodym è falso se al posto di C si considera un generico spazio di Banach X; diamo allora la seguente Definizione 2.3 Siano X uno spazio di Banach e (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva. Diciamo che X ha la proprietà di Radon-Nikodym rispetto a µ se per ogni misura vettoriale τ : Ω → X, di variazione limitata ed assolutamente continua rispetto a µ, esiste una (e una sola) f ∈ L1 (µ, X) tale che Z τ (A) = f dµ. A Diciamo che X ha la proprietà di Radon-Nikodym se ha questa proprietà rispetto a ogni µ misura positiva di probabilità. Si noti che, per il Corollario 1.20, l’esistenza di una tale f è sufficiente per dedurne l’unicità. Nel caso X abbia la proprietà di Radon-Nikodym scriverò più semplicemente che X ha RNP, oppure dirò che X che è uno spazio di Radon-Nikodym. Vediamo subito che tutto questo discorso è in effetti sensato. Teorema 2.4 Esistono degli spazi di Banach che non hanno RNP. 2.1 Radon-Nikodym fallisce . . . 23 Dimostrazione. Dimostriamo che c0 non ha RNP. Sia (S, Ω) = ([0, 2π], L ([0, 2π])) e sia µ la misura di Lebesgue normalizzata. Definiamo τ : Ω → c0 nel modo seguente Z A 7→ Z 1 dµ, A Z it e dµ(t), . . . , A int e dµ(t), . . . ; A per il Lemma di Riemann-Lebesgue la definizione è ben posta (nel senso che l’immagine di A appartiene effettivamente a c0 ). È chiaro che τ è una funzione d’insieme finitamente additiva e da Z int kτ (A)k = sup e dµ(t) ≤ µ(A) n∈N A segue che τ è assolutamente continua rispetto a µ; quindi dal Teorema 1.8 deduciamo che τ è una misura vettoriale, ed inoltre è di variazione limitata. Tuttavia τ non ha derivata di Radon-Nikodym rispetto a µ: infatti l’unica scelta possibile sarebbe f = 1, eit , . . . , eint , . . . che non mappa [0, 2π] in c0 (questa f è l’unica scelta possibile per il Teorema 1.16, considerato che le proiezioni πi sono funzionali lineari continui). Il caso di c0 non è isolato, come provano i seguenti ulteriori esempi. Esempio 2.5 Anche X = L1 ([0, 1]) non ha RNP. Per (S, Ω, µ) scegliamo [0, 1] con la misura di Lebesgue. Poniamo τ (A) = χA : con ragionamenti analoghi al caso di c0 si vede che τ è una misura vettoriale, di variazione limitata e assolutamente continua rispetto a µ. Se esistesse la derivata f di τ rispetto a µ dovrebbe essere f : [0, 1] → L1 ([0, 1]), quindi f (x) dovrebbe essere una funzione f (x) : [0, 1] → R ∀x ∈ [0, 1]. Possiamo quindi vedere f come una 2.1 Radon-Nikodym fallisce . . . 24 funzione reale di due variabili f : [0, 1] × [0, 1] → R (x, y) 7→ (f (x))(y). Dovrebbe essere Z τ (A) = χA = Z f dµ = A f (x, y) dx, A (ricordo che l’integrale di Bochner coincide con l’integrale di Lebesgue e con quello di Riemann quando questi hanno senso) e quindi seguirebbe Z Z B \ f (x, y) dxdy = µ A B , A quindi f dovrebbe essere nulla fuori dalla diagonale, che è chiaramente assurdo. Esempio 2.6 Sia X = C 0 ([0, 1]) e (S, Ω, µ) sia [0, 1] con la misura di Lebesgue. Si ponga \ τ (A)(t) = µ A [0, t] . Come nei due casi precedenti τ è una misura vettoriale di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ, inoltre vale |τ | = µ. Se esistesse f R tale che µ(A ∩ [0, t]) = A f (s, t) ds (vale il discorso dell’esempio precedente) dovrebbe necessariamente essere f (s, t) = 1 per quasi ogni s ≤ t e f (s, t) = 0 per quasi ogni s > t, ma allora f non sarebbe una funzione continua. Abbiamo visto attraverso questi esempi che il Teorema di Radon-Nikodym non è sempre vero per misure vettoriali; che cosa possiamo dire riguardo al Teorema di rappresentazione di Riesz? 2.2 . . . neanche Riesz sopravvive 2.2 25 . . . neanche Riesz sopravvive Definizione 2.7 Sia T : L1 (µ) → X un operatore lineare continuo. Diciamo che T è rappresentabile se esiste una (e una sola) g ∈ L∞ (µ, X) tale che Z f g dµ. Tf = S Si noti che per il Corollario 1.20 l’esistenza di una tale g è sufficiente per dedurne l’unicità. In sostanza il Teorema di Riesz classico afferma che ogni operatore lineare e continuo a valori in R è rappresentabile. Teorema 2.8 Esistono misure µ e spazi di Banach X in corrispondenza ai quali esistono operatori lineari continui T : L1 (µ) → X non rappresentabili. Dimostrazione. Per prima cosa abbiamo bisogno di scegliere lo spazio di Banach che sarà il codominio di T , sia allora X = c0 . Sia (S, Ω, µ) come nella dimostrazione del Teorema 2.4, e sia T : L1 (µ) → c0 Z f 7→ −int e f (t) dt Q , n∈N con Q = [0, 2π] (per il Lemma di Riemann-Lebesgue la definizione è ben R R R posta). Poiché Q e−int f (t) dt ≤ Q |e−int f (t)| dt ≤ Q |f (t)| dt = kf k1 si ha che l’operatore appena definito (che è ovviamente lineare) è limitato. Supponiamo allora che esista g ∈ L∞ (µ, X) tale che Z f g dµ. Tf = Q Sia τ la misura del Teorema 2.4: allora si dovrebbe avere Z τ (A) = T (χA ) = g dµ, A che abbiamo visto non essere possibile. Anche per il Teorema di Riesz il caso X = c0 non è peculiare. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 26 Esempio 2.9 Esistono degli operatori a valori in L1 (µ) non rappresentabili. Sia (S, Ω, µ) come nell’Esempio 2.5 e sia T l’identità. Se T fosse rappresentabile, dovrebbe esistere g ∈ L∞ (µ, X) tale che Z f = Tf = f g dµ S R per ogni f ∈ L1 (µ, X), in particolare si dovrebbe avere χA = A g dµ e quindi g sarebbe la derivata di Radon-Nikodym della τ definita nell’Esempio 2.5, assurdo. Considerando gli esempi precedenti è lecito formulare l’ipotesi che ci sia una qualche relazione tra il Teorema di Radon-Nikodym e il Teorema di Riesz, è quanto vedremo fra poco. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di RadonNikodym 2.3.1 L’equivalenza delle due proprietà Vogliamo dimostrare che uno spazio di Banach X ha RNP se e solo se, per ogni misura µ, ogni operatore lineare limitato da L1 (µ) a X è rappresentabile! In apparenza le due proprietà sono slegate fra loro, che cosa c’entra il Teorema di Radon-Nikodym con la rappresentabilità di operatori? Negli esempi il collegamento nasceva costruendo una misura vettoriale τ (A) = T (χA ), con il seguente lemma cerchiamo di “ufficializzare” questo legame. Lemma 2.10 Siano µ una misura e T : L1 (µ) → X un operatore lineare continuo. Se A ∈ Ω si ponga τ (A) = T (χA ). Allora T è rappresentabile se e solo se esiste g ∈ L1 (µ, X) tale che Z τ (A) = g dµ A 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 27 per ogni A ∈ Ω. In questo caso si ha g ∈ L∞ (µ, X) e Z Tf = f g dµ S per ogni f ∈ L1 (µ). Inoltre vale kT k = kgk∞ . Si noti che il lemma non fa altro che generalizzare quanto visto negli esempi; nella dimostrazione emergerà meglio il legame fra le due proprietà. Dimostrazione. Uno dei due versi è ovvio: se T è rappresentabile, esiste g ∈ R L∞ (µ, X) tale che T (f ) = S f g dµ ∀f ∈ L1 (µ, X), quindi Z τ (A) = T (χA ) = g dµ, A come vogliamo (ricordo che µ(S) < ∞ e quindi g ∈ L∞ (µ, X) ⇒ g ∈ L1 (µ, X)). Per il viceversa osserviamo che, essendo le funzioni semplici dense in L1 (µ) ed essendo T lineare e continuo, è sufficiente che T sia rappresentabile per quanto riguarda le funzioni caratteristiche per concludere che sia effettivamente rappresentabile; quindi resta solo da dimostrare che g ∈ L∞ (µ, X). Si ha kτ (A)k = kT (χA )k ≤ kT k kχA k = kT k µ(A) e quindi |τ |(A) ≤ kT k µ(A) ∀A ∈ Ω. R Per il Teorema 1.19 vale |τ |(A) = A kgk dµ e quindi kgk ≤ kT k almeno quasi ovunque, cioé g ∈ L∞ (µ, X). Resta da dimostrare la disuguaglianza opposta per provare che in effetti kgk∞ = kT k. Si ha Z Z ≤ kT (f )k = f g dµ |f | kgk∞ dµ = kgk∞ kf k1 . S S Quindi kT k ≤ kgk∞ da cui segue la tesi. Con la dimostrazione di questo lemma la connessione fra le due proprietà è stabilita. Siamo ora pronti a dimostrare l’equivalenza. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 28 Teorema 2.11 Uno spazio di Banach X ha RNP se e solo se, per ogni misura µ, ogni operatore T : L1 (µ) → X è rappresentabile. Dimostrazione. Supponiamo che X abbia RNP. Sia T un operatore lineare continuo a valori in X, si definisca τ (A) = T (χA ). Essendo kτ (A)k ≤ kT k µ(A) si ha che τ è una misura vettoriale assolutamente continua rispetto a µ, e quindi deve esistere la derivata di Radon-Nikodym di R τ rispetto a µ, sia g. Poiché g ∈ L1 (µ, X) e τ (A) = A g dµ, il Lemma 2.10 permette di concludere. R Il viceversa è più difficile. L’idea è quella di usare τ (A) = S χA dτ e quindi R di passare attraverso l’operatore S f dτ , che però non è sempre continuo (è limitato come operatore da L1 (|τ |), non da L1 (µ)): vediamo come si può aggirare il problema. Supponiamo quindi che ogni T che soddisfa le ipotesi del teorema sia rappresentabile e sia τ una misura vettoriale di variazione limitata, con τ ≺ µ. Per il Teorema di Radon-Nikodym classico possiamo trovare h ∈ L1 (µ) tale che Z |τ |(A) = h dµ. A Si osservi che dev’essere h(s) ≥ 0 quasi ovunque. Per n ∈ N poniamo An = {s ∈ S : n − 1 ≤ h(s) < n} , questi insiemi sono tutti misurabili e vale |τ |(A) ≤ nµ(A) per ogni A ⊆ An e per ogni n ∈ N. Si fissi n e si definisca Tn : L1 (µ) → X 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 29 Z f 7→ f dµ. An In questo modo ogni Tn è lineare e continuo: infatti se f = Pp i=1 αi χBi si ha p p X \ \ X |αi ||τ | An Bi ≤ αi τ An Bi ≤ kTn (f )k = i=1 i=1 p X ≤ \ |α|nµ An Bi ≤ n kf k1 i=1 e, per densità delle funzioni semplici, kTn k ≤ n. In questo modo abbiamo risolto il problema della non continuità dell’integrale rispetto a τ . Per ipotesi ogni Tn è rappresentabile, quindi esiste gn ∈ L∞ (µ, X) tale che Z f gn dµ. Tn (f ) = S Per quanto detto prima si ha anche Z \ τ An A = Tn (χA ) = gn dµ. A Questa relazione ci permette di dedurre che gn (s) = 0 per quasi ogni s 6∈ An . Tutto questo può essere fatto per ogni n, e quindi si ottiene una successione P {gn }n∈N ⊆ L∞ (µ, X), e per quanto appena detto è naturale definire g = gn , cioè g(s) = gn (s) dove n è l’unico che soddisfa s ∈ An . Si ha τ (A) = τ A ∞ \[ ! An ∞ ∞ Z \ X X τ A An = gn dµ. = n=1 n=1 i=1 A Mostriamo che kgk ∈ L1 (µ). Si ha Z Z X ∞ ∞ ∞ Z X X kgk dµ = gn dµ ≤ kgn k dµ ≤ kgn k dµ = S S S S Z n=1 = i=1 ∞ X i=1 |τ |(An ) ≤ |τ |(S) < ∞. i=1 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 30 Per il teorema della convergenza dominata (che ricordo vale anche per l’integrale di Bochner), con dominante kgk si ha τ (A) = ∞ Z X i=1 gn dµ = Z X ∞ A Z gn dµ = A i=1 g dµ, A e poiché g ∈ L1 (µ, X) abbiamo dimostrato il teorema. Esempio 2.12 Vediamo ora un esempio non banale di spazio di Banach che abbia RNP: `1 . Sia τ : Ω → `1 una misura vettoriale di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ. Possiamo applicare il Teorema di RadonNikodym classico ad ogni componente per trovare una f : S → `1 che sia la derivata di τ . Perché tutto questo funziona? Se {τn } sono le componenti di τ e se fn è la derivata di τn , si ha, detto ek il vettore che ha tutti 0 tranne un 1 al k-esimo posto, τ (A) = ∞ X i=1 τi (A)ei = ∞ Z X i=1 fi dµei = A ∞ Z X i=1 fi ei dµ, A inoltre vale Z ∞ Z ∞ ∞ Z X X X fi ei dµ ≤ |fi | dµ ≤ |fi | dµ < ∞ A A A i=1 i=1 i=1 dove l’ultima disuguaglianza segue da |τ |(S) < ∞. Questo in `1 permette di P∞ R P concludere che la serie ∞ i=1 A fi ei dµ = i=1 fi ei converge in norma e quindi R R P∞ i=1 fi ei dµ = A f dµ, per cui abbiamo trovato la derivata di RadonA Nikodym di τ rispetto a µ. Si noti che la proprietà forte di `1 che è stata P P usata è la seguente: se k αi ei k < ∞ allora αi ei converge in norma1 . 1 Esiste un analogo di questa proprietà per spazi più generali dove {ei } è una base di Schauder: per questi spazi vale infatti la proprietà di Radon-Nikodym. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 2.3.2 31 Il duale di Lp (µ, X) Qual è il duale di Lp (µ, X)? Ovviamente non può essere Lq (µ, X)2 , almeno non nel senso classico, perché non è neanche possibile fare il prodotto tra f e g, dove f ∈ Lp (µ, X) e g ∈ Lq (µ, X). Un’ipotesi sensata potrebbe allora essere la seguente Lp (µ, X)∗ = Lq (µ, X ∗ ) : infatti il prodotto tra f e g può essere definito in questo modo < f, g > (s) = g(s)(f (s)). (2.1) Più esplicitamente la nostra ipotesi è la seguente: se T ∈ Lp (µ, X)∗ , allora esiste una (e una sola) g ∈ Lq (µ, X ∗ ) tale che Z Tf = < f, g > dµ; (2.2) S inoltre kT k = kgkq . Incominciamo a vedere che Lq (µ, X ∗ ) può sempre essere immerso, isometricamente, in Lp (µ, X)∗ . Teorema 2.13 Lq (µ, X ∗ ) può essere immerso isometricamente in Lp (µ, X)∗ definendo Z Tg f = < f, g > dµ, (2.3) S e vale kT k = kgkq . Dimostrazione. Per prima cosa occorre dimostrare che l’integrale che compare in 2.3 ha senso, quindi per prima cosa che < f, g > è misurabile: se {gn } ⊆ Lq (µ, X ∗ ) è una successione di funzioni semplici che converge a g si ha che 2 Nel corso di questa sezione p e q saranno sempre esponenti coniugati, quindi se 1 < p < ∞ si ha 1 1 + =1 p q e se p = 1 q = ∞. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 32 < f, gn > è misurabile e anche < f, g >= lim < f, gn > è misurabile. Inoltre Z Z | < f, g > | dµ ≤ kf k kgk dµ ≤ kf kp kgkq , S S dove l’ultima disuguaglianza segue dalla disuguaglianza di Hölder. Quindi ad ogni g ∈ Lq (µ, X ∗ ) possiamo associare un Tg ∈ Lp (µ, X)∗ e vale kTg k ≤ kgkq . La dimostrazione della disuguaglianza opposta è più complessa, e passa attraverso lo spazio Lp (µ): infatti la funzione g permette di trovare un elemento P del duale di Lp (µ), quello dato da kgkq ∈ Lq (µ). Sia ε > 0, g = x∗i χAi e si scelga h ∈ L( µ), con h ≥ 0, 0 < khkp ≤ 1 e tale che ε kgkq − < 2 Z kgk h dµ, S h in sostanza è un elemento di L1 (µ) che fa realizzare, a meno di 2ε , a Tkgkq la sua norma. Si scelga poi {xi } ⊆ X, con kxi k = 1 ∀i tale che kx∗i k − Sia ora f ∈ Lp (µ, X), f = P ε khk1 < x∗i (xi ). 2 xi hχAi , allora kf kp = khkp ≤ 1 e si ha Z Z h < f, g > dµ = s S Z ≥ S ∞ X h kx∗i k − i=1 ε 2 khk1 ∞ X x∗i (xi )χAi dµ ≥ i=1 Z h kgk dµ − χAi dµ = S ε R h dµ ≥ 2 khk1 S ε ε − = kgkq − ε. 2 2 da cui segue che se g ha rango numerabile kTg k ≥ kgkq , cioè kTg k = kgkq . Per il caso generale si osservi che se 1 ≤ q < ∞ le funzioni semplici, e quindi anche quelle a rango numerabile, sono dense in Lq (µ, X) (segue direttamente dalla definizione di funzione Bochner integrabile) e, come nel caso scalare, queste ultime sono dense anche in L∞ (µ, X). Sia quindi g ∈ Lq (µ, X ∗ ) e si scelga {gn } ⊆ Lq (µ, X ∗ ), tutte a rango numerabile, tali che kg − gn kq → 0 se n → ∞. Si ha 0 < kTg − Tgn k ≤ kg − gn k → 0 se n → ∞, inoltre ≥ kgkq − 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 33 kTgn k = kgn kq e quindi kTg k = lim kTgn k = lim kgn kq = kgkq . Com’è facile aspettarsi, l’isomorfismo isometrico appena costruito non è sempre suriettivo; si ha però il seguente teorema Teorema 2.14 L’uguaglianza Lp (µ, X)∗ = Lq (µ, X ∗ ) vale se e solo se X ∗ ha RNP. Dimostrazione. Supponiamo che X ∗ abbia RNP. L’idea della dimostrazione è quella di scegliere, a partire da un T ∈ Lp (µ, X)∗ , un’opportuna misura vettoriale τ , a valori in X ∗ , la cui derivata di Radon-Nikodym g sia l’elemento di Lq (µ, X ∗ ) cercato: vediamo come dev’essere fatta τ . Se f ∈ Lp (µ, X) è semplice, vale Z Z < < f, g > dµ = n X S S Z g(s) xi χAi , g > dµ = S i=1 = n Z X i=1 n X ! xi χAi (s) dµ = i=1 g(s)(xi ) dµ. Ai Applichiamo adesso il Teorema 1.16, e otteniamo Z < f, g > dµ = S n Z X i=1 g(s)(xi ) dµ, = Ai n Z X i=1 g dµ(xi ) = n X Ai τ (Ai )(xi ). i=1 Inoltre vogliamo che valga Z < f, g > dµ = S n X i=1 τ (Ai )(xi ) = T n X i=1 ! xi χ A i = n X T (xi χAi ). i=1 Dato allora T ∈ Lp (µ, X)∗ , risulta naturale definire τ in modo che valga τ (A)(x) = T (xχA ). La finita additività di τ è ovvia, inoltre se kxk = 1 si ha |τ (A)(x)| = |T (xχA )| ≤ kT k kxχA kp = kT k kχA kp , quindi kτ (A)k ≤ kT k kχA kp e quindi τ è una misura vettoriale, a valori in X ∗ , assolutamente continua rispetto a µ. Dobbiamo mostrare che τ è di variazione limitata. P Sia allora {Ai }ni=1 una partizione di S: dobbiamo stimare kτ (Ai )k, per cui 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 34 consideriamo {xi }ni=1 ⊆ X con kxi k = 1 ∀i. Si ha n n n X X X x χ T (x χ ) ≤ kT k τ (A )(x ) = i Ai ≤ i Ai i i i=1 i=1 i=1 p n X χAi = kT k µ(S)1/p . ≤ kT k i=1 p Facendo il sup al variare di {xi } otteniamo esattamente di nuovo il sup al variare delle partizioni abbiamo P kτ (Ai )k e facendo |τ |(S) ≤ kT k µ(S)1/p , quindi τ è di variazione limitata. Poiché per ipotesi X ∗ ha RNP, esiste g ∈ R L1 (µ, X ∗ ) tale che τ (A) = A g dµ. Per come abbiamo costruito τ è ovvio che, se f ∈ Lp (µ, X ∗ ) è una funzione semplice, vale Z T (f ) = < f, g > dµ. S Per il caso generale si scelga una successione crescente di insiemi {An } tale S che An = S e tale che g sia limitata su ogni An . Fissato n0 si ha che R l’operatore Tn0 (·) = An < ·, g > dµ è un funzionale lineare continuo (per la 0 limitatezza di g su An0 ) uguale a T per tutte le funzioni semplici con supporto contenuto in An0 . Per densità delle funzioni semplici segue Z T (f χAn0 ) = Tn0 (f χAn0 ) = S < f, gχAn0 > dµ per ogni f ∈ Lp (µ, X). Per la limitatezza di g abbiamo che gχAn0 ∈ Lq (µ, X ∗ ) e per il Teorema 2.13 vale gχAn0 q = kTn0 k ≤ kT k. Quest’ultima disuguaglianza vale per ogni n0 e quindi per il teorema della convergenza dominata vale g ∈ Lq (µ, X ∗ ). Si ha Z T (f ) = lim n→∞ Z < f, gχAn > dµ = S < f, g > dµ, S 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 35 dove per l’ultima uguaglianza è stato usato il fatto che g ∈ Lq (µ, X ∗ ) e la disuguaglianza di Hölder per portare il limite sotto il segno di integrale. Per il viceversa dimostreremo che, data una misura vettoriale τ di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ e dato un insieme misurabile A, con µ(A) > 0, esiste un insieme misurabile B ⊆ A, con µ(B) > 0, tale che τ abbia la derivata di Radon-Nikodym su B; grazie poi al Lemma di esaustione 1.21 potremo concludere. L’idea della dimostrazione è simile a quella del Teorema 2.11. Sia allora A0 un insieme misurabile. Procedendo come nella dimostrazione del Teorema 2.11, si riesce a trovare un k intero e un B ⊆ A0 tale che |τ |(A) ≤ kµ(A) per ogni A ⊆ B misurabile (si scelga k tale che µ(Ck ∩ A0 ) > 0, dove {Cn } è la partizione trovata nella dimostrazione di 2.11 e si ponga B = Ck ∩ A0 ). Definiamo ora un operatore T sulle funzioni P semplici: se f = ni=1 xi χAi sia n \ X T (f ) = τ Ai B (xi ). i=1 Vale n n X \ X τ (E ∩ B) i (µ(Ai ∩ B)xi ) ≤ |T (f )| = τ Ei B (xi ) = µ(Ai ∩ B) i=1 i=1 n n X X τ (Ei ∩ B) |τ |(Ai ∩ B) ≤ k(µ(Ai ∩ B)xi )k ≤ µ(Ai ∩ B) k(µ(Ai ∩ B)xi )k ≤ µ(Ai ∩ B) i=1 i=1 ≤ n X k k(µ(Ai ∩ B)xi )k ≤ k kf k1 ≤ kµ(S)1/p kf kp . i=1 Quindi T , che è lineare sulle funzioni semplici, è anche limitato, quindi continuo e allora ha un’unica estensione ad un funzionale lineare continuo su Lp (µ, X). Per ipotesi esiste allora g ∈ Lq (µ, X ∗ ) tale che Z T (f ) = < f, g > dµ ∀f ∈ Lp (µ, X). S Non è difficile continuare, τ (A ∩ B)(x) = T (xχA ) = R A < x, g > dµ per ogni 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 36 x ∈ X e ogni A misurabile. Essendo g Bochner integrabile per il Teorema 1.16 si ha Z τ (A ∩ B)(x) = g dµ (x) A per ogni A e per ogni x, quindi dev’essere Z τ (A ∩ B) = g dµ. A Grazie al Lemma di esaustione, costruiamo ora una g che va bene su tutto S: questa g è Bochner integrabile perché τ è di variazione limitata. Con questo teorema concludiamo lo studio delle proprietà analitiche degli spazi con la proprietà di Radon-Nikodym e passiamo allo studio delle proprietà geometriche. Vedremo in particolare come si può riformulare il Teorema 2.11 tramite concetti puramente geometrici. Prima però abbiamo bisogno di introdurre un concetto completamente nuovo: le martingale. Capitolo 3 Martingale Questo capitolo potrà inizialmente sembrare inutile e in apparenza verranno introdotti dei concetti slegati dal resto della tesi, tuttavia per arrivare alle caratterizzazioni geometriche della proprietà di Radon-Nikodym l’unico modo che si conosce è passare attraverso le martingale. 3.1 Valore atteso Prima di iniziare a trattare le proprietà geometriche di spazi con RNP abbiamo bisogno di alcuni concetti preliminari. Diamo la definizione di valore atteso condizionato come nel caso scalare. Definizione 3.1 Sia Σ ⊆ Ω una σ-algebra tale che µ|Σ sia completa (nel seguito diremo brevemente che Σ è una σ-algebra completa) e sia f ∈ L1 (µ, X). Il valore atteso di f , data Σ, se esiste, è una g ∈ L1 (µ, X) che sia Σ-misurabile tale che Z Z f dµ = g dµ A A per ogni A ∈ Σ. In questo caso scriveremo g = E(f | Σ). Si noti che se tale g esiste è univocamente determinata in base al Corollario R 1.20. Se X ha RNP g è la derivata di Radon-Nikodym di τ (A) = A f dµ, dove τ è definita su Σ. 3.1 Valore atteso 38 Ricordiamo brevemente alcune proprietà del valore atteso scalare, cioè nel caso sia X = R. 1. E(·| Σ) è un operatore positivo, cioè f ≥ 0 quasi ovunque implica E(f | Σ) ≥ 0 quasi ovunque; 2. E(·| Σ) è lineare; 3. E(·| Σ) è idempotente; 4. se Σ1 e Σ2 sono σ-algebre complete tali che Σ2 ⊆ Σ1 ⊆ Ω, allora E(E(f | Σ1 )| Σ2 ) = E(f | Σ2 ) per ogni f ∈ L1 (µ); 5. E(c| Σ) = c per ogni costante c; 6. kE(·| Σ)k = 1; 7. per ogni 1 ≤ p ≤ ∞ E(·| Σ) mappa Lp (µ) in sé e vale kE(f | Σ)kp ≤ kf kp . La dimostrazione che il valore atteso, nel caso scalare, esiste sempre di fa immediatamente sfruttando il Teorema di Radon-Nikodym. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il valore atteso condizionato esiste sempre, qualunque sia lo spazio di Banach X. Teorema 3.2 Per ogni f ∈ L1 (µ, X) e per ogni σ-algebra completa Σ ⊆ Ω esiste sempre g = E(f | Σ). P Dimostrazione. Se f = xi χAi è una funzione semplice è immediato verifiP care che E(f | Σ) = xi E(χAi | Σ), dove E(χAi | Σ) sono i valori attesi delle funzioni scalari χAi . Dalle proprietà del valore atteso nel caso scalare segue che questo operatore, che è lineare, è limitato sulle funzioni semplici e quindi ha un’unica estensione ad un operatore lineare continuo da L1 (µ, X) a L1 (µ, X). Inoltre si dimostra, sempre utilizzando le proprietà del valore atteso scalare, che l’operatore è una proiezione lineare contrattiva da Lp (µ, X) in sé, 3.2 Martingale 39 nel senso che vale kE(f | Σ)kp ≤ kf kp . 3.2 (3.1) Martingale Definizione 3.3 Sia {Σi }i∈N una successione crescente di σ-algebre (tutte complete), (quindi i < j ⇒ Σi ⊆ Σj ). Una successione {fi }i∈N ⊆ L1 (µ, X) è chiamata una martingala (relativa ad {Σi }i∈N ) se i < j ⇒ E(fj | Σi ) = fi . Esempio 3.4 Sia f ∈ Lp (µ, X), 1 ≤ p ≤ ∞ e sia {Σi }i∈N una successione crescente di σ-algebre complete e si ponga fi = E(f | Σi ) : allora per la proprietà 4 del valore atteso (che vale anche nel caso non scalare) {fi }i∈N è una martingala, inoltre fi ∈ Lp (µ, X) ∀i ∈ N. Una martingala in Lp (µ, X) è detta Lp -convergente a f ∈ Lp (µ, X) se limi∈N kf − fi kp = 0. D’ora in poi tutte le σ-algebre saranno sempre complete, anche quando non detto. Vediamo un’utile caratterizzazione delle martingale convergenti. Teorema 3.5 Sia {fn } ⊆ L1 (µ, X) una martingala relativa ad {Σn }. Sia S Σ∞ la σ-algebra generata dall’algebra Σn . Allora le seguenti condizioni sono equivalenti 1. {fn } converge in L1 (µ, X) ad una f∞ ∈ L1 (µ, X); 2. esiste f ∈ L1 (µ, X) tale che fi = E(f | Σi ) per ogni i. Inoltre, se valgono queste due condizioni, si ha E(f | Σ∞ ) = f∞ , dove f è una qualsiasi funzione che soddisfa 2. 3.3 Convergenza di martingale 40 Dimostrazione. 1 ⇒ 2. Si fissi n0 e sia A ∈ Σn0 . Dalla definizione di martingala segue Z Z fn dµ = fn0 dµ A A R R per ogni n ≤ n0 . Per ipotesi A fn dµ → A f∞ dµ se n → ∞ e quindi R R dev’essere A fn0 dµ = A f∞ dµ. Per l’arbitrarietà di n0 e di A abbiamo dimostrato che vale 2. 2 ⇒ 1. Poniamo f∞ = E(f | Σ∞ ): allora per le proprietà del valore atteso si ha fn = E(f | Σn ) = E(f∞ | Σn ). Per concludere la dimostrazione dobbiamo far vedere che E(f∞ | Σn ) → f∞ in norma L1 (µ, X). Se g è una funzione semplice, misurabile rispetto a Σ∞ , sicuramente vale E(g| Σn ) → g, perché per n sufficientemente grande vale E(g| Σn ) = g. La densità di queste funzioni semplici in L1 (µ|Σ∞ , X), insieme al fatto che kE(·| Σn )k = 1 ∀n, permette di concludere. 3.3 Convergenza di martingale In questa sezione vogliamo mostrare che una martingala che converge in norma L1 (µ, X) converge necessariamente quasi ovunque: tutti i risultati a cui giungeremo serviranno solo a questo scopo. Chi si fida può tranquillamente passare oltre. Lemma 3.6 Sia {fn } ⊆ L1 (µ, X) una martingala relativa a {Σn } e sia δ > 0. Posto Sδ = {s ∈ S : supn {kfn (s)k > δ}}, si ha Z (kfn k − δ) dµ ≥ 0, lim sup n da cui µ Sδ 1 s ∈ S : sup {kfn (s)k > δ} ≤ sup kfn k1 . δ n n Dimostrazione. Per ogni m ∈ N si ponga Sδm = {s ∈ S : kfm (s) > δk e kfj (s)k ≤ δ per j < m} . 3.3 Convergenza di martingale 41 È immediato verificare che gli Sδm sono una partizione di Sδ , inoltre ogni Sδm è Σm -misurabile. Quindi si ha Z (kfn k − δ) dµ ≥ lim sup lim lim sup n k n Sδ k Z X (kfn k − δ) dµ. Sδm m=1 Se k è fissato e n ≥ k si ha E(fn | Σm ) = fm per m = 1, . . . , k, inoltre vale kE(f | Σ)k ≤ kf k: tutto ciò permette di dedurre Z Z (kfn k − δ) dµ ≥ (kfm k − δ) dµ. Sδm Sδm Concludiamo quindi che Z (kfn k − δ) dµ ≥ lim sup lim lim sup n k n Sδ = ∞ Z X m=1 k Z X m=1 (kfm k − δ) dµ = Sδm (kfm k − δ) dµ ≥ 0. Sδm Per dimostrare l’altra disuguaglianza si osservi che kfn k1 1 sup ≥ lim sup δ δ n n Z δ kfn k dµ ≥ µ(Sδ ), δ Sδ che è esattamente la tesi. Possiamo ora enunciare il teorema che ci interessa davvero. Teorema 3.7 Sia {fn } ⊆ L1 (µ, X) una martingala relativa a {Σn } e supponiamo inoltre che {fn } converga in norma L1 (µ, X). Allora {fn } converge puntualmente, quasi ovunque, allo stesso limite. Dimostrazione. Per il Teorema 3.5 esiste una f ∈ L1 (µ, X) tale che fn = S E(f | Σn ) per ogni n. Sia Σ∞ la σ-algebra generata da Σn e sia f∞ = E(f | Σ∞ ) (in sostanza f∞ ha la stessa proprietà di f , ma in più è Σ∞ misurabile; inoltre sappiamo che f∞ è il limite in norma). Scegliamo ε e δ positivi arbitrari e troviamo una g, Σ∞ -misurabile, semplice e tale che 3.4 Altri risultati 42 kf∞ − gk1 < εδ2 , che ovviamente esiste per densità delle funzioni semplici. Per un qualche k abbastanza grande, essendo g semplice, E(g| Σn ) = g quasi ovunque per ogni n ≥ k. Poiché vale, sempre quasi ovunque, fn − fm = E(g| Σn ) − E(g| Σm ) + E(f∞ − g| Σn ) − E(f∞ − g| Σm ), abbiamo che sup {kfn − fm k} ≤ 2 sup {kE(f∞ − g| Σn )k} n∈N n,m≥k almeno quasi ovunque. Usiamo ora il Lemma 3.6, con f∞ − g al posto di f , (usiamo le stesse notazioni del lemma). Otteniamo µ n εo sup {kfn − fm k > ε} ≤µ sup kE(f∞ − g| Σn )k > ≤ 2 n n,m≥k 2 ≤ µ Sε/2 ≤ kf∞ − gk1 ≤ δ. ε Per l’arbitrarietà di ε e δ abbiamo la convergenza in misura di {fn } e quindi anche quella quasi ovunque. 3.4 Altri risultati I due risultati in questa sezione saranno utili più avanti, li inserisco qui poiché riguardano gli argomenti di questo capitolo. Definizione 3.8 Sia {Σi }∞ i=1 una successione crescente di σ-algebre tutte ∞ contenute in Ω. Sia {gn }n=1 una successione di funzioni a valori in X tale che gn sia Bochner integrabile e Σn -misurabile per ogni n. Supponiamo inoltre che per qualche ε > 0 valga ∞ X kgn − E(gn+1 | Bn )k1 ≤ ε. n=1 Sotto queste ipotesi {gn } è detta una quasi-martingala relativa a {Σn }∞ n=1 . 3.4 Altri risultati 43 Lemma 3.9 Sia {gn } una quasi-martingala tale che ∞ X kgn − E(gn+1 | Bn )k1 ≤ ε. n=1 Allora esiste una martingala {fn }∞ n=1 , relativa ad {Σn }, tale che kgn − fn k1 ≤ ε ∀n. Dimostrazione. Ricordo che kE(f | Σ)k1 ≤ kf k1 . Fissiamo k ∈ N e consideriamo m e n tali che k ≤ m < n. Si ha E(gn | Σk ) − E(gm | Σk ) = E(gn − gn−1 | Σk ) + E(gn−1 − gn−2 | Σk )+ + · · · + E(gm+1 − gm | Σk ). (3.2) Inoltre se m < j ≤ n vale E(gj − gj−1 | Σk ) = E(E(gj − gj−1 | Σj−1 )| Σk ) = E(E(gj | Σj−1 ) − gj−1 | Σk ). Quindi kE(gj − gj−1 | Σk )k1 ≤ kE(gj | Σj−1 ) − gj−1 k1 . Sostituendo questo in (3.2) troviamo kE(gn | Σk ) − E(gm | Σk )k1 ≤ kE(gn | Σn−1 ) − gn−1 k1 + + kE(gn−1 | Σn−2 ) − gn−2 k1 + · · · + kE(gm+1 | Σm ) − gm k1 . (3.3) P Per ipotesi la serie k(E(gi+1 | Σi ) − gi )k1 converge, quindi {E(gn | Σk )} è una successione di Cauchy in L1 (µ), e quindi converge, per ogni k, ad una funzione fk ∈ L1 (µ). Ponendo m = k in (3.3) abbiamo subito che kgk − fk k1 ≤ ε per ogni n, inoltre è ovvio che fk è Σk -misurabile. Resta da dimostrare che {fk }∞ k=1 è una martingala, cioè che E(fk+1 | Σk ) = fk . 3.4 Altri risultati 44 Poiché l’operatore valore atteso è continuo si ha E(fk+1 | Σk ) = E( lim E(gn | Σk+1 )| Σk ) = lim E(E(gn | Σk+1 )| Σk ) = n→∞ n→∞ = lim E(gn | Σk ) = fk . n→∞ Teorema 3.10 Sia f Bochner integrabile a valori in un insieme B ⊆ X chiuso e convesso. Se Σ ⊆ Ω è una σ-algebra, anche g = E(f | Σ) è a valori in B (quasi ovunque). Dimostrazione. f e g sono Σ-misurabili e quindi per il Teorema 1.12 hanno insieme immagine µ-essenzialmente separabile, per cui possiamo assumere che X sia separabile. Per il Teorema di Hahn-Banach B è intersezione di una successione di semispazi Hn , con Hn = {x ∈ X : x∗n (x) ≤ λn } . Sia C = {s ∈ S : g(s) 6∈ B}. Supponiamo per assurdo che sia µ(C) > 0. Deve allora esistere n tale che l’insieme En = {s ∈ S : x∗n (g(s)) > λn } abbia misura positiva. Ovviamente En è Σ-misurabile e quindi Z Z g dµ f dµ = En En per ipotesi. Per il Teorema 1.16 vale Z En x∗n (f ) dµ Z = x∗n (g) dµ En e questo è assurdo perché x∗n (g) < λn mentre x∗n (f ) ≥ λn su En . Quindi nel Lemma 3.9 se l’immagine di tutte le gn è contenuta in qualche insieme chiuso e convesso C, questo vale anche per le fn (che sono limiti di valori attesi delle gn ). Ora possiamo davvero passare alle caratterizzazioni geometriche degli spazi di Radon-Nikodym. Capitolo 4 Proprietà geometriche degli spazi di Radon-Nikodym Abbiamo visto alcune caratterizzazioni degli spazi che hanno RNP, tutte di carattere fondamentalmente analitico. Come capita spesso in analisi funzionale, determinate proprietà analitiche hanno delle interessanti controparti geometriche: la proprietà di Radon-Nikodym non fa eccezione. Anche in questo capitolo supporremo µ(S) < ∞. 4.1 Di nuovo la proprietà di Radon-Nikodym Per lo studio delle proprietà geometriche di spazi con RNP abbiamo bisogno di una riformulazione della proprietà di Radon-Nikodym. Definizione 4.1 Un sottoinsieme chiuso convesso e limitato C di uno spazio di Banach X ha la proprietà di Radon-Nikodym se è soddisfatta la seguente condizione: sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva finito e sia τ una misura vettoriale, a valori in X con la proprietà che τ (A)/µ(A) ∈ C per ogni A misurabile con µ(A) 6= 0. Allora esiste f ∈ L1 (µ, X) tale che Z τ (A) = f dµ. A 4.1 Di nuovo la proprietà di Radon-Nikodym 46 Se B1 (0) ha RNP anche Br (0) ha RNP per ogni r > 0: basta considerare al posto di µ la misura µ0 = rµ. Inoltre se C, chiuso convesso e limitato, ha RNP e D ⊆ C è chiuso e convesso, anche D ha RNP: infatti τ (A)/µ(A) ∈ D ⇒ R τ (A)/µ(A) ∈ C e quindi τ (A) = A f dµ per qualche f ∈ L1 (µ, X). Abbiamo quindi dimostrato che, se B1 (0) ha RNP, ogni C ⊆ X chiuso convesso e limitato ha RNP. Se X ha RNP, sicuramente B1 (0) ha RNP: infatti kτ (A)/µ(A)k ≤ 1 ⇒ kτ (A)k ≤ µ(A) e quindi τ è di variazione limitata e assolutamente continua dτ . Vale anche il viceversa: infatti se esiste la rispetto a µ, quindi esiste dµ τ (A) dτ derivata di Radon-Nikodym per le τ tali che µ(A) ≤ 1, allora esiste g = d|τ | per ogni τ . Inoltre, se τ ≺ µ, per definizione |τ | ≺ µ e quindi esiste f = dτ quindi dµ = f g. Abbiamo quindi dimostrato il seguente d|τ | , dµ Teorema 4.2 Uno spazio di Banach X è uno spazio di Radon-Nikodym se e solo se B1 (0) ha la proprietà di Radon-Nikodym. È interessante notare che, se kτ (A)/µ(A)k < M , allora f = dτ , se esiste, è µ 1 essenzialmente limitata, cioè oltre a f ∈ L (µ, X) si ha anche f ∈ L∞ (µ, X). Se infatti ∀n ∈ N esistesse An , con µ(An ) > 0 tale che kf (x)k > n ∀x ∈ An R R si avrebbe M µ(An ) ≥ |τ |(An ) = An kf k dµ > An n dµ = nµ(An ), quindi M > n ∀n ∈ N, assurdo. D’ora in poi indicheremo con P(µ) l’insieme delle densità di probabilità in L1 (µ), quindi P(µ) = 1 Z ϕ ∈ L (µ) : ϕ ≥ 0 e ϕ dµ = 1 . (4.1) S Più in generale, se A è un insieme misurabile con µ(A) > 0, indichiamo con P(µ, A) l’insieme delle ϕ ∈ P(µ) che hanno supporto contenuto in A. Dato un operatore lineare continuo T : L1 (µ) → X e dato un insieme misurabile A, con µ(A) > 0, definiamo ΓA = T (P(µ, A)). (4.2) Anche il teorema sugli operatori rappresentabili ha un analogo sotto questo 4.1 Di nuovo la proprietà di Radon-Nikodym 47 nuovo punto di vista. Teorema 4.3 Sia C ⊆ X chiuso, limitato e convesso. C ha la proprietà di Radon-Nikodym se e solo se ogni operatore lineare continuo T : L1 (µ) → X con la proprietà che T ϕ ∈ C per ogni ϕ ∈ P(µ) è rappresentabile. Dimostrazione. Se C ha la proprietà di Radon-Nikodym, dato T come nell’eτ (A) χA nunciato si ponga τ (A) = T (χA ). Poiché µ(A) ∈ P(µ) si ha µ(A) ∈ C e quindi R ∞ esiste f ∈ L (µ, X) tale che T χA = A f dµ: per linearità e continuità si ha R T g = S f g dµ. Viceversa supponiamo che ogni T dell’enunciato sia rappresentabile e che τ τ (A) ∈ C per ogni A misurabile. Come opesia una misura vettoriale tale che µ(A) R ratore scegliamo ovviamente T f = S f dτ , che è ben definito poiché |τ | ≺ µ. P Se λi > 0 sono tali che λi µ(Ai ) = 1, allora, per la convessità di C si ha T X X χ Ai ∈ C, λi χ A i = λi µ(Ai ) µ(Ai ) quindi per la chiusura di C e la continuità di T si ha T ϕ ∈ C per ogni ϕ ∈ P(µ), da cui T è rappresentabile. Come abbiamo già visto diverse volte, se l’integrale rispetto a τ è un operatore rappresentabile X ha la proprietà di Radon-Nikodym. Enunciamo un lemma che ci servirà più avanti Lemma 4.4 Un operatore lineare e continuo T : L1 (µ) → X è rappresentabile se e solo se per ogni A misurabile, con µ(A) > 0, e per ogni ε > 0 esiste B ⊆ A misurabile, con µ(B) > 0, tale che diam (ΓB ) < ε. Dimostrazione. Supponiamo che ∀A e ∀ε come nelle ipotesi valga l’esistenza di ΓB con diam (ΓB ) < ε. Per il Lemma di esaustione 1.21 possiamo scrivere S S= ∞ i=1 Bi , con Bi mutuamente disgiunti e tali che diam (ΓBi ) < ε ∀i. Sia xi = T χBi µ(Bi ) n o P χBi χBi e sia h = xi χBi . Poiché µ(B = 1, l’insieme ⊆ L1 (µ) è limitato, µ(Bi ) i) inoltre essendo T un operatore limitato anche l’insieme {xi } è limitato, quindi 4.2 Slice e dentabilità 48 h ∈ L∞ (µ). Sia g ∈ L1 (µ) con g ≥ 0 quasi ovunque e kgk = 1: poniamo R P χBi gχ ∈ P(µ, Bi ). αi = Bi g dµ. Ovviamente vale αi = 1, αBi i ∈ P(µ, Bi ) e µ(B i) Si ha quindi Z Z X ∞ ∞ X T g − gh dµ = T gχ − g x χ dµ = Bi i Bi S S i=1 i=1 ∞ ∞ X X gχ gχ χ Bi Bi Bi − xi = αi T −T αi T = ≤ α α µ(B ) i i i i=1 i=1 ≤ε ∞ X αi = ε, i=1 dove per l’ultima disuguaglianza è stato usato il fatto che diam (ΓBi ) < ε. R Quindi T g − S gh dµ ≤ ε kgk1 per ogni g ∈ L1 (µ). Ponendo ε = n1 e costruendo le partizioni {Bin }, tali che ogni partizione raffini la precedente, costruiamo una successione di funzioni {hn } ⊆ L∞ (µ) che converge, in L∞ (µ), ad una f che permette di rappresentare T . L’altra direzione è immediata lavorando sulle funzioni a rango numerabile (che sono dense in L∞ (µ)) e estendendo per continuità. 4.2 Slice e dentabilità Siamo ora pronti a definire i concetti che ci serviranno per le caratterizzazioni geometriche di spazi di Radon-Nikodym. Definizione 4.5 Sia C ⊆ X chiuso e convesso. Sia x∗ ∈ X ∗ e α > 0. Lo slice S(C, x∗ , α) è definito come S(C, x∗ , α) = {y ∈ C : x∗ (y) > sup {x∗ (x) : x ∈ C} − α} . Definizione 4.6 Sia C ⊆ X chiuso limitato e convesso. C è detto dentabile se possiede slice di diametro arbitrariamente piccolo. Definizione 4.7 Sia C ⊆ X chiuso limitato e convesso. Un punto y ∈ C è detto denting point per C se è contenuto in slice di diametro arbitrariamente 4.2 Slice e dentabilità 49 piccolo. Teorema 4.8 Sia C ⊆ X chiuso limitato e convesso. Se y è un denting point per C, allora l’identità da C con la topologia debole a C con la topologia indotta dalla norma è una mappa continua. Dimostrazione. Detto sx∗ = sup {x∗ (x) : x ∈ C}, abbiamo che S(C, x∗ , α) = C ∩ (x∗ )−1 (sx∗ − α, +∞) è un aperto nella topologia debole di C e che per ipotesi questi slice formano una base locale in y della topologia di C indotta dalla norma. Questa è la definizione di insieme dentabile che diamo, e storicamente è quella che per prima è servita a trovare delle connessioni con la proprietà di Radon-Nikodym; tuttavia questo concetto può essere riformulato in un altro modo, forse più geometrico. Teorema 4.9 Sia C ⊆ X chiuso limitato e convesso. C è non dentabile se e solo se esiste ε > 0 tale che x ∈ co (C\Bε (x)) per ogni x ∈ C. Dimostrazione. Sia C dentabile e sia S = S(C, x∗ , α) uno slice di diametro minore di ε; prendiamo x ∈ S. Per ipotesi è S ⊆ Bε (x), quindi C\Bε (x) ⊆ C\S e allora ∀y ∈ C\Bε (x) si ha y 6∈ S, da cui x∗ (y) ≤ sup {x∗ (x) : x ∈ C}− α per ogni y ∈ C\Bε (x) e quindi anche per ogni y ∈ co (C\Bε (x)). Poiché x ∈ S si ha x∗ (x) > sup {x∗ (x) : x ∈ C} − α e quindi x 6∈ co (C\Bε (x)). Viceversa sia ε > 0 e sia x ∈ C tale che x 6∈ co (C\Bε (x)). co (C\Bε (x)) è chiuso, convesso e disgiunto da {x} quindi, come conseguenza del Teorema di Hahn-Banach, i due insiemi sono strettamente separati: esiste quindi x∗ ∈ X ∗ e β > 0 tali che x∗ (y) < β per ogni y ∈ co (C\Bε (x)) e x∗ (x) > β. Segue allora che sup {x∗ (y) : y ∈ co (C\Bε (x))} ≤ β < x∗ (x), quindi esiste α > 0 tale che sup {x∗ (y) : y ∈ co (C\Bε (x))} = x∗ (x) − α. Quindi S(C, x∗ , α) ⊆ Bε (x), infatti se C 3 y 6∈ Bε (x) si ha y ∈ C\Bε (x) e y ∈ co (C\Bε (x)) e quindi x∗ (y) ≤ x∗ (x) − α, cioè y 6∈ S(C, x∗ , α). Segue diam (S) ≤ 2ε e quindi C è dentabile. Segue dalla dimostrazione appena vista il seguente Teorema 4.10 Sia C ⊆ X chiuso limitato e convesso. Un punto x ∈ C è un denting point per C se e solo se per ogni ε > 0 vale x 6∈ co (C\Bε (x)). 4.2 Slice e dentabilità 50 Esempio 4.11 Vediamo esplicitamente un esempio di spazio la cui bolla uni0 taria è non dentabile: C 0 ([0, 1]). Consideriamo infatti f ∈ C ([0, 1]) con kf k = 1: vogliamo mostrare che f ∈ co B1 (0)\B 1 (f ) . Si fissi n ∈ N e si 2 scelgano f1 , . . . , fn tutte di norma 1 tali che i−1 i fi (t) = f (t) se t 6∈ , n n 1 e kf − fi k > . 2 In questo modo si ha che n 2 X 1 f f − i ≤ n n i=1 e dall’arbitrarietà di n segue la tesi. Esempio 4.12 Anche la bolla unitaria di c0 è non dentabile, mostriamolo direttamente partendo dalla prima definizione. Uno slice di B1 (0) ⊆ c0 è individuato da un x∗ ∈ c∗0 = `1 e un α > 0, inoltre se x∗ = {x∗i }i∈N scriviamo s = supx∈B1 (0) {x∗ (x)}. Sia allora x = {xi }i∈N ∈ c0 tale che x∗ (x) > s − α, P quindi i x∗i xi > s−α, poniamo poi δ = x∗ (x)−s+α, si osservi che vale δ > 0. ∗ Se n è tale che xn < 12 e | x2n | < δ, allora y = x+ e2n (ei è la successione composta da tutti 0 tranne un 1 all’n-esimo posto) soddisfa y ∈ B1 (0), kx − yk∞ = 21 ∗ e x∗ (y) = x∗ (x) + x2n > s − α, quindi y ∈ S(B1 (0), x∗ , α) e in particolare diam (S(B1 (0), x∗ , α)) ≥ 21 da cui B1 (0) non è dentabile. 4.2.1 Altri concetti geometrici Introduciamo alcuni concetti che aiutano a comprendere che cosa sia un denting point; per prima cosa ricordo la definizione di punto estremo. Definizione 4.13 Sia X uno spazio vettoriale topologico e sia K ⊆ X un insieme convesso. Un punto a ∈ K è chiamato punto estremo di K se a non è interno ad alcun segmento (non banale) interamente contenuto in K. L’insieme dei punti estremi di K è indicato con ext (K) ed è evidentemente un sottoinsieme di ∂K. È evidente dalla definizione che x è un punto estremo per K convesso se e 4.2 Slice e dentabilità 51 solo se l’insieme K\ {x} è convesso, cioè se x 6∈ co (K\ {x}). Per la definizione ho considerato il caso in cui X sia un generico spazio vettoriale topologico invece che restringermi al caso di spazi normati, questo perchè spesso ci si riferisce a spazi normati dotati della topologia debole. È di fondamentale importanza il seguente teorema, di cui omettiamo la dimostrazione (che può essere trovata ad esempio in [18]) Teorema 4.14 (Krein-Milman) Sia X uno spazio vettoriale topologico localmente convesso e sia K ⊆ X compatto e convesso. Allora K = co (ext (K)). Definizione 4.15 Sia X uno spazio vettoriale topologico e sia A ⊆ X un insieme convesso. Un punto x ∈ A viene detto punto esposto di A se esiste x∗ ∈ X ∗ tale che x∗ (x) > x∗ (y) per ogni y ∈ A. L’insieme dei punti esposti in A è indicato con exp (A). Sotto queste ipotesi diremo inoltre che il funzionale x∗ espone x. Definizione 4.16 Sia X uno spazio vettoriale topologico e sia A ⊆ X. Un punto x ∈ A viene detto punto fortemente esposto di A se x ∈ exp (A) e lim diam (S(A, x∗ , α)) = 0, α→0 dove x∗ è un qualsiasi funzionale che espone x: in questo caso diremo che x∗ espone fortemente x. L’insieme dei punti fortemente esposti in A è indicato con s exp (A). Teorema 4.17 Sia X uno spazio di Banach e sia A ⊆ X chiuso, convesso e limitato. Vale s exp (A) ⊆ exp (A) ⊆ ext (A) , inoltre le inclusioni possono essere strette. Dimostrazione. Che sia s exp (A) ⊆ exp (A) è ovvio dalla definizione. Se x ∈ exp (A) e x∗ espone x, vale x∗ (y) < x∗ (x) per ogni y ∈ A\ {x} e quindi anche per ogni y ∈ co (A\ {x}). Dev’essere allora x 6∈ co (A\ {x}) e quindi x ∈ ext (A). Dimostriamo per prima cosa che la seconda inclusione può essere stretta, anche se X ha dimensione finita. Sia X = R2 con la norma euclidea e sia K = co (B1 (0) ∪ {(1, 1), (−1, −1)}): in questo caso il punto (1, 0) è un punto estremo per K ma non è esposto. Si può dimostrare, ma non lo faremo 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 52 qui, che la prima inclusione può essere stretta solo se dim X = ∞. Sia X = `2 P e poniamo K = {{xn } ∈ `2 : xn ≥ 0 ∀n e xn = 1}. È facile vedere che K è chiuso, convesso e limitato. L’origine è un punto esposto: infatti basta prendere {yn } ∈ `∗2 = `2 tale che yn < 0 per ogni n e sicuramente y espone l’origine. Tuttavia l’origine non è un punto fortemente esposto: infatti se y espone l’origine, tutti gli slice S(K, y, α) sono intorni deboli di 0 e quindi ognuno contiene, definitivamente, tutti gli en , elementi della base naturale √ dello spazio di Hilbert, da cui diam (S(K, y, α)) ≥ 2. È una diretta conseguenza della definizione che ogni punto fortemente esposto di un insieme chiuso, convesso e limitato è un denting point. Inoltre dal Teorema 4.10 deduciamo che un denting point è sicuramente un punto estremo. Il primo esempio della dimostrazione del Teorema 4.17 mostra che esistono denting point che non sono punti esposti, quindi neanche fortemente esposti, mentre nel secondo esempio troviamo un punto (l’origine) che è un punto estremo (questo è di immediata dimostrazione), ma che non è un denting point per quanto detto sul diametro degli slice. Esempio 4.18 Mostriamo che la bolla unitaria di `∞ è priva di denting point. È ovvio che i punti estremi di B1 (0) ⊆ `∞ sono tutti quelli del tipo a = {ai }∞ i=1 con |ai | = 1 ∀i: basta mostrare che nessuno di loro è un denting point, verifichiamolo ad esempio per a = (1, 1, . . . ), negli altri casi la verifica è del tutto analoga. Si prenda ε > 0 opportuno (ad esempio ε = 14 ): mostriamo che a ∈ co (B1 (0)\Bε (a)). Prendiamo n ∈ N e costruiamo i punti a1 = (1 − 2ε, 1, 1, . . . ), a2 = (1, 1 − 2ε, 1, 1, . . . ) e cosı̀ via, si noti che tutti questi punti appartengono a B1 (0)\Bε (a). Si ha n X 2ε 1 2ε 2ε ai = (1, 1, . . . ) − 1 − , 1 − , . . . a − = n n n n i=1 e facendo n → ∞ otteniamo a ∈ co (B1 (0)\Bε (a)). 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym Per prima cosa un lemma. 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 53 Lemma 4.19 Sia T : L1 (µ) → X un operatore lineare continuo. Si fissino A misurabile con µ(A) > 0, x∗ ∈ X ∗ e α > 0. Allora esiste B ⊆ A misurabile, con µ(B) > 0 tale che ΓB ⊆ S(ΓA , x∗ , α). Dimostrazione. Si noti innanzi tutto che ΓA è ovviamente chiuso, inoltre è limitato per la limitatezza di T e di P(µ, A), ed è convesso per la convessità di P(µ, A) (che segue dalla positività delle densità di probabilità) e dalla linearità di T . Sia γ = sup {x∗ (x) : x ∈ ΓA } − α = sup x∗ (x) : x ∈ ΓA − α. Essendo α > 0 esiste una funzione ϕ ∈ P(µ, A) tale che x∗ (T ϕ) > γ. Poniamo K = ψ : 0 ≤ ψ ∈ L1 (A) e x∗ (T ψ) ≤ γ kψk1 . Ovviamente K è un cono, e per la continuità di T e x∗ è chiuso, inoltre per la linearità di T e x∗ segue che K è anche convesso. Quindi K è un cono chiuso, convesso, che contiene l’origine e dalla definizione segue ϕ 6∈ K. Come conseguenza del Teorema di Hahn-Banach gli insiemi K e {ϕ} sono strettamente separati, quindi, per il Teorema di Riesz (scalare) esiste una g ∈ L∞ (A) tale che R R R gϕ dµ > sup S gψ dµ : ψ ∈ K . Se esistesse ψ ∈ K tale che s gψ dµ > 0, S R essendo K un cono, seguirebbe sup S gψ dµ : ψ ∈ K = ∞, quindi de R v’essere sup S gψ dµ : ψ ∈ K = 0. Poniamo B = {s ∈ S : g(s) > 0}. Questo B ⊆ A è chiaramente misurabile ed ha misura positiva, infatti se R µ(B) = 0, da ϕ > 0 seguirebbe S gϕ dµ ≤ 0 che è assurdo. Segue allora R che, se ψ ∈ P(µ, B) ⊆ P(µ, A), vale B gψ dµ > 0 da cui ψ 6∈ K, quindi x∗ (T ψ) > γ cioè T ψ ∈ S. Segue la tesi. Siamo finalmente pronti per enunciare il risultato più importante di questo capitolo e forse di tutta la tesi. Teorema 4.20 Sia C ⊆ X un insieme chiuso convesso e limitato. Le seguenti affermazioni sono equivalenti: 1) ogni sottoinsieme chiuso e convesso di C è dentabile; 2) C ha la proprietà di Radon-Nikodym; 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 54 3) ogni martingala {fn }∞ n=1 tale che fn (s) ∈ C per ogni n ∈ N e ogni s ∈ S converge quasi ovunque per n → ∞. Si noti che da questo teorema segue che X ha la proprietà di RadonNikodym se e solo se ogni suo sottoinsieme chiuso convesso e limitato è dentabile. L’introduzione delle martingale, che può essere sembrata artificiosa, si spiega nella dimostrazione di questo teorema: il solo modo conosciuto per provare che 2) ⇒ 1) consiste appunto nel passare attraverso 3). Dimostrazione. 1) ⇒ 2). Per dimostrare che C ha la proprietà di RadonNikodym sfrutteremo quanto già visto sulla rappresentabilità di operatori. Sia µ una misura di probabilità e sia T : L1 (µ) → X un operatore lineare limitato tale che T ϕ ∈ C per ogni ϕ ∈ P(µ). Scegliamo un qualsiasi insieme misurabile A con µ(A) > 0: si ha che ΓA ⊆ C è un chiuso e convesso, dunque, per ipotesi, è dentabile. Sfruttiamo allora il Lemma 4.19 ed il Lemma 4.4: per il Lemma 4.19 sappiamo che per ogni ε > 0 esiste un B ⊆ A, con µ(B) > 0, tale che diam (ΓB ) < ε e allora per il Lemma 4.4 l’operatore T è rappresentabile. Il Teorema 4.3 ci permette di dedurre che C ha la proprietà di Radon-Nikodym. S 2) ⇒ 3). Sia Σ∞ la σ-algebra generata da Σn . Se A è tale che A ∈ Σn per qualche n, per la definizione di martingala (che richiede che la successione R R di σ-algebre sia crescente) si ha A ∈ Σi e A fi dµ = A fn dµ per ogni i ≥ n. R In particolare τ (A) = limn A fn dµ è ben definito per ogni A che appartenga S all’algebra Σn . Estendendo τ nel modo ovvio a tutta Σ∞ si ottiene una misura vettoriale. Se g è una funzione semplice a valori in C, segue immediaR A g dµ tamente dalla convessità di C che µ(A) ∈ C e quindi per la chiusura di C si ha R A fn dµ µ(A) ∈ C, cioè τ (A) ∈ C. µ(A) Quindi per ipotesi esiste una f ∈ L1 (µ|Σ∞ , X) ⊆ L1 (µ, X) tale che Z τ (A) = f dµ. A 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 55 R R Se A ∈ Σn per qualche n si ha τ (A) = A f dµ = A fn dµ, quindi fn = E(f | Σn ). Per il Teorema 3.5 {fn } converge in norma L1 (µ, X) ed infine per il Teorema 3.7 si ha la convergenza puntuale quasi ovunque. 3) ⇒ 1). Supponiamo per assurdo che 1) sia falsa e sia B ⊆ C chiuso, convesso e non dentabile. Per il Teorema 4.9 esiste ε > 0 tale che x ∈ co (B\Bε (x)) per ogni x ∈ B. Per costruire una martingala {gn }∞ n=1 a valori in B non convergente per prima cosa ci serve uno spazio di probabilità e una successione {Σn }∞ n=1 di σ-algebre. Scegliamo (S, Ω) = ([0, 1], L ([0, 1]) e come misura scegliamo la misura di Lebesgue su [0, 1], inoltre poniamo Σ1 = {∅, [0, 1]}. Come prima funzione scegliamo una costante, quindi g1 = x per qualche x ∈ B. Vogliamo costruire, per ricorrenza, una successione di σ-algebre ognuna finita e una successione di funzioni {gn } tutte semplici. P Supponiamo quindi di conoscere Σn e gn = m i=1 xi χAi , con xi ∈ B per ogni i. Ogni xi è tale che xi ∈ co (B\Bε (xi )), quindi, fissato i possiamo trovare Pi i i λj = 1, tali che , con kj=1 ⊆ B\Bε (xi ) ⊆ B e {λj }kj=1 ki ∈ N, {xi,j }kj=1 k i X ε λj xi,j − xi ≤ n+3 . 2 j=1 Si noti che per costruzione vale kxi − xi,j k ≥ ε. Si ripartisca ora ogni Ai in insiemi Ai,j , con j ≤ ki , tali che µ(Ai,j ) = λi,j µ(Ai ) per ogni i e per ogni j. Per Σn+1 si scelga la σ-algebra generata dagli Ai,j e si ponga ki m X X gn+1 = xi,j χAi,j . i=1 j=1 In questo modo gn+1 è ovviamente Σn+1 -misurabile. Osserviamo subito che ovviamente vale kgn (s) − gn+1 (s)k ≥ ε e quindi kgn − gn+1 k1 ≥ ε (4.3) 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 56 per ogni n e per quasi ogni s ∈ [0, 1]. La successione che abbiamo costruito non è una martingala, ma è una quasi-martingala: vogliamo allora usare il Lemma 3.9. Dobbiamo calcolare E(gn+1 | Σn ), ma questo è molto facile per com’è fatta gn+1 : dobbiamo semplicemente calcolare la media (pesata) dei suoi valori su ogni Ai . Si ha ki X xi,j µ(Ai,j ) j=1 µ(Ai ) = ki X xi,j λi,j µ(Ai ) j=1 µ(Ai ) = ki X xi,j λi,j . j=1 Quindi, per costruzione kgn − E(gn+1 | Σn )k∞ ki X = gn − xi,j λi,j j=1 quindi ≤ ε 2n+1 , ∞ ∞ X ε kgn − E(gn+1 | Σn )k1 ≤ . 4 n=1 Usiamo adesso il Lemma 3.9: otteniamo quindi una martingala {fn }∞ n=1 , ∞ relativa a {Σn }n=1 , con ε kfn − gn k1 ≤ 4 per ogni n. Inoltre per le osservazioni subito dopo il Teorema 3.10 anche {fn } è a valori in B. Dalla (4.3) segue ε kfn − fn+1 k1 ≥ , 2 infatti se fosse kfn − fn+1 k1 < ε 2 si avrebbe kgn − gn+1 k1 = kgn − fn + fn − fn+1 + fn+1 − gn−1 k1 < ε ε ε + + = ε, 4 2 2 che è assurdo. Quindi {fn } non converge in norma L1 (µ, X) e per il teorema della convergenza dominata, essendo B limitato, non può convergere neanche puntualmente. Abbiamo allora trovato una martingala {fn } a valori in B, < 4.3 Dentabilità e Radon-Nikodym 57 e quindi in C, che non converge puntualmente, neanche quasi ovunque, e abbiamo completato la dimostrazione del teorema. Le fn costruite sono funzioni misurabili: allora per il Teorema 1.12, hanno rango essenzialmente separabile e quindi un insieme C ⊆ X chiuso convesso e limitato ha la proprietà di Radon-Nikodym se e solo se ogni B ⊆ C chiuso convesso e separabile ha RNP. Inoltre gli Ai,j dell’ultima parte della dimostrazione possono essere scelti fra gli intervalli di [0, 1] e si può fare in modo S che la σ-algebra generata da n Σn sia la σ-algebra di Borel di [0, 1]. Teorema 4.21 Sia X uno spazio di Banach. • X ha la proprietà di Radon-Nikodym se e solo se ha questa proprietà rispetto alla misura di Lebesgue; • la proprietà di Radon-Nikodym è ereditaria, ovvero se X ha RNP ogni sottospazio chiuso di X ha RNP. Dimostrazione. Il primo punto segue immediatamente dall’ultima osservazione dopo la dimostrazione del Teorema 4.20. Il secondo punto è immediato considerando l’equivalenza tra RNP e la convergenza di martingale. Abbiamo anche dimostrato i seguenti Teorema 4.22 C ⊆ X chiuso, convesso e limitato ha la proprietà di RadonNikodym se e solo se ogni sottoinsieme B ⊆ C chiuso, convesso e separabile, ha RNP. Segue che X è uno spazio di Radon-Nikodym se e solo se ogni sottospazio chiuso Y separabile ha RNP. Teorema 4.23 La proprietà di Radon-Nikodym è invariante per isomorfismi. Dimostrazione. Evidente considerando l’equivalenza tra RNP e convergenza di martingale. Esempio 4.24 Non è difficile a questo punto esibire esplicitamente uno spazio X tale che Lp (µ, X)∗ 6= Lq (µ, X ∗ ): consideriamo X = `1 . In questo caso X ∗ = `∞ , che contenendo c0 non può avere la proprietà di Radon-Nikodym, in quanto c0 stesso non ha RNP. Si noti come in questo esempio X sia uno spazio di Radon-Nikodym. 4.4 Punti estremi, esposti e fortemente esposti 4.4 58 Punti estremi, esposti e fortemente esposti In questa sezione esploreremo altre proprietà geometriche collegate con la proprietà di Radon-Nikodym, senza riportare la dimostrazione dei risultati esposti. Abbiamo già ricordato il Teorema 4.14 di Krein-Milman: esiste una connessione, forse inaspettata, tra la proprietà di Radon-Nikodym e la struttura dei punti estremi di un insieme C chiuso, convesso e limitato. Teorema 4.25 Sia X uno spazio di Banach e sia C ⊆ X un insieme chiuso, convesso, limitato e con la proprietà di Radon-Nikodym: allora C = co (ext (C)). Si noti che il Teorema di Krein-Milman da solo non permetterebbe di arrivare alla tesi, poiché C non è necessariamente compatto, neanche in qualche topologia più debole di quella della norma (si pensi ad esempio alla bolla unitaria di spazi non riflessivi). Uno spazio di Banach è detto avere la proprietà di Krein-Milman (X ha KMP) se ogni C ⊆ X chiuso, convesso e limitato soddisfa C = co (ext (C)). Il Teorema 4.25 afferma quindi che RN P ⇒ KM P . Rimane un problema aperto se valga l’implicazione opposta, tuttavia si sa che è vera per spazi duali. Vale inoltre il seguente Teorema 4.26 Sia X uno spazio di Banach, allora X ha la proprietà di Krein-Milman se e solo se ext (C) 6= ∅ per ogni C ⊆ X chiuso, convesso, limitato e non vuoto. Vediamo ora come si collega la proprietà di Radon-Nikodym con la struttura dei punti fortemente esposti di un insieme chiuso convesso e limitato. Teorema 4.27 Sia X uno spazio di Banach e sia C ⊆ X chiuso, convesso, limitato e con RNP: allora C = co (s exp (C)). Inoltre i funzionali che espongono fortemente C formano un Gδ (fortemente) denso in X ∗ . Il Teorema 4.27 dice in particolare che se C 6= ∅ è un chiuso, convesso, limitato e con RNP; allora s exp (C) 6= ∅. Vale anche il viceversa, infatti Teorema 4.28 Sia X uno spazio di Banach, allora le seguenti affermazioni sono equivalenti: 4.4 Punti estremi, esposti e fortemente esposti 59 1. X è uno spazio di Radon-Nikodym; 2. se C ⊆ X è chiuso, convesso, limitato e non vuoto allora s exp (C) è denso in X ∗ ; 3. se C ⊆ X è chiuso, convesso e limitato allora C = co (s exp (C)); 4. se C ⊆ X è chiuso, convesso, limitato e non vuoto allora s exp (C) 6= ∅. Capitolo 5 Spazi duali e la proprietà di Radon-Nikodym Vogliamo ora analizzare la proprietà di Radon-Nikodym per spazi duali, in particolare arriveremo a dimostrare che ogni spazio di Banach riflessivo ha RNP. 5.1 Spazi duali separabili Osservando la dimostrazione del Teorema 1.12 si nota come la condizione di misurabilità debole possa in realtà essere indebolita con la seguente: x∗n f è misurabile per ogni x∗n che appartiene a qualche successione {x∗n } che fa realizzare la norma ad ogni elemento x di W =< f (S\A) >1 (A è tale che µ(A) = 0 e W sia separabile). Supponiamo adesso che X = Y ∗ ; com’è noto, Y può essere isometricamente immerso in X ∗ = Y ∗∗ e inoltre una successione che fa realizzare la norma ad ogni elemento di W ⊆ X ∗ può essere trovata in Y . Infatti sia {x∗n } una successione densa in W (che adesso è un sottospazio di un duale) e per ogni n si scelga {yn,k } ⊆ Y , con kyn,k k = 1 per ogni n e per ogni k, tale che kx∗n k = supk {x∗n (xn,k )}: tale scelta può essere effettuata per definizione di norma operatoriale. Riordinando in una successione gli yn,k abbiamo trovato quello che cercavamo. 1 Cioè vale kxk = supn {|x∗n (x)|} per ogni x ∈ W e kx∗n k = 1 per ogni n. 5.1 Spazi duali separabili 61 Definizione 5.1 Una funzione f : S → X ∗ è detta debolmente∗ -misurabile se < x, f (s) > è misurabile per ogni s ∈ S. Teorema 5.2 Sia X uno spazio di Banach e sia {fn } una martingala (relativa ad un certa successione di σ-algebre Σn tutte contenute in Ω), a valori in C ⊆ X ∗ , con C chiuso e limitato. Allora: • esiste una funzione f : Ω → X ∗ debolmente∗ -misurabile, a valori in C, tale che per ogni x ∈ X esiste Ax ⊆ X, con µ(Ax ) = 0, che soddisfa lim < x, fn (s) >=< x, f (s) > se s 6∈ Ax ; n→∞ (5.1) • {fn } converge quasi ovunque (e quindi anche in norma L1 (µ, X ∗ )) se e solo se esiste una f che soddisfi la condizione del punto precedente e che in più sia a rango essenzialmente separabile (cioè soddisfi la seconda condizione del Teorema 1.12). Dimostrazione. Per ogni s ∈ S si scelga un punto limite debole∗ di {fn (s)} (che esiste perché C è limitato ed appartiene a C per la chiusura), e lo si chiami f (s). Per ogni x ∈ X la successione {< x, fn >} è una martingala a valori scalari (è una martingala per il Teorema 1.16), e quindi converge quasi ovunque, poiché R ha RNP. L’unica possibilità è che si abbia < x, f (s) >= limn < x, fn (s) >, almeno dove c’è convergenza di {< x, fn >}, e quindi f è debolmente∗ -misurabile e vale la prima condizione. La parte “solo se” del secondo punto è ovvia. Per il “se” si supponga che esista una f come nel primo punto e tale che esista W sottospazio di X ∗ separabile che contenga essenzialmente f (S) e fn (S), sia inoltre {xn } ⊆ X, con kxn k = 1 per ogni n una successione che faccia realizzare la norma ad ogni elemento di W . Per quanto detto prima dell’enunciato e per il Teorema 1.12, f è misurabile, in più è anche Σ∞ -misurabile, dove Σ∞ è la σ-algebra generata dalle Σn . S Su S\ Axn , e quindi quasi ovunque, vale (5.1) per ogni xn : quindi considerando che tutte le fn sono limitate e che {xn } fa realizzare la norma di f (s), deduciamo che f è essenzialmente limitata, in particolare è Bochner integrabile. Per dimostrare che {fn } converge, almeno quasi ovunque, sfruttiamo le Proposizioni 3.5 e 3.7. Vogliamo quindi dimostrare che fn = E(f | Σn ). Sia 5.2 Alcune importanti conseguenze 62 n ∈ N e A ∈ Σn : usando ancora il Teorema 1.16 e il fatto che < x, fn > è una martingala a valori scalari, quindi convergente in norma L1 (µ), otteniamo Z Z fn dµ >= < x, A Z < x, fn > dµ = lim A m→∞ Z Z < x, f > dµ =< x, = A < x, fm > dµ = A f dµ >; A R R essendo poi x arbitrario otteniamo A fn dµ = A f dµ per ogni A ∈ Σn . Concludendo abbiamo fn = E(f | Σn ), quindi fn converge quasi ovunque a f. Segue direttamente dal Teorema 5.2 il seguente Teorema 5.3 Sia C ⊆ X ∗ convesso, debolmente∗ compatto e separabile, allora C ha la proprietà di Radon-Nikodym. Teorema 5.4 Sia C ⊆ X convesso e debolmente compatto, allora C ha la proprietà di Radon-Nikodym. Dimostrazione. Sia D ⊆ C chiuso, convesso e separabile. Immergendo in maniera canonica D in X ∗∗ abbiamo un sottoinsieme convesso e debolmente∗ compatto, che ha la proprietà di Radon-Nikodym per il Teorema 5.3. Il Teorema 5.6 permette di dedurre che C ha RNP. Teorema 5.5 Sia C ⊆ X convesso e debolmente compatto, allora C = co (ext (C)). Dimostrazione. Per il Teorema 5.4 C ha la proprietà di Radon-Nikodym: la tesi segue allora dal Teorema 4.25. 5.2 Alcune importanti conseguenze Dal Teorema 5.2 discendono alcuni immediati corollari, di fondamentale importanza. Teorema 5.6 Sia X uno spazio di Banach tale che X ∗ sia separabile, allora X ∗ è uno spazio di Radon-Nikodym. 5.2 Alcune importanti conseguenze 63 Dimostrazione. Per il secondo punto del Teorema 5.2 ogni martingala a valori nella bolla unitaria di X ∗ converge, quindi per il Teorema 4.20 X ∗ ha RNP. Alternativamente si poteva usare il Teorema di Banach-Alaoglu ed il Teorema 5.3. Si noti che `∞ = `∗1 , ma `∞ non è uno spazio di Radon-Nikodym (contiene infatti c0 ), l’ipotesi di separabilità è quindi essenziale. Teorema 5.7 Sia X uno spazio di Banach riflessivo, allora X è uno spazio di Radon-Nikodym. Dimostrazione. Per il Teorema 4.22 basta considerare i sottospazi chiusi e separabili Y ⊆ X. Poiché sottospazi chiusi di spazi riflessivi sono a loro volta spazi riflessivi, questi Y sono spazi duali separabili, quindi per il Teorema 5.6 hanno RNP, da cui X è uno spazio di Radon-Nikodym. Corollario 5.8 Sia X uno spazio di Hilbert, allora X è uno spazio di RadonNikodym. Dimostrazione. Segue dal Teorema 5.7 e dal fatto che gli spazi di Hilbert sono spazi di Banach riflessivi. Teorema 5.9 (Phillips) Sia X uno spazio di Banach. Per ogni 1 < p < ∞ Lp (µ, X) è riflessivo se e solo se X è riflessivo. Dimostrazione. Se X è riflessivo anche X ∗ è riflessivo, quindi X ∗ ha RNP e allora Lp (µ, X)∗ = Lq (µ, X ∗ ); essendo poi X ∗∗ = X, si ha Lq (µ, X ∗ )∗ = Lp (µ, X). Per il viceversa si noti che l’insieme costituito dalle funzioni costanti {f = x : x ∈ X} è un sottospazio chiuso di Lp (µ, X) isometrico a X, quindi se Lp (µ, X) è riflessivo anche X deve esserlo. Teorema 5.10 c0 non è isomorfo al duale di nessun spazio di Banach. Dimostrazione. c0 è uno spazio separabile, e, come già visto diverse volte, non ha RNP, quindi per il Teorema 5.6 non può essere uno spazio duale. La dimostrazione si sarebbe comunque potuta ottenere ricordando che la proprietà di Schur (di cui gode `1 ) è ereditaria e invariante per isomorfismi. 5.2 Alcune importanti conseguenze 64 La stessa dimostrazione del Teorema 5.10 permette di dedurre i seguenti Teorema 5.11 L1 (µ), dove µ indica la misura di Lebesgue su [0, 1], non è isomorfo al duale di alcuno spazio di Banach. Teorema 5.12 C 0 ([0, 1]) non è isomorfo al duale di alcuno spazio di Banach. Appendice A Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym In questo appendice verranno presentati i principali risultati di teoria della misura necessari alla comprensione della tesi, senza dimostrazioni. Tutte le dimostrazioni, nonché una trattazione precisa e completa dell’argomento si trovano in [17]. Definizione A.1 Sia S un insieme. Ω ⊆ P(S) è detta σ-algebra se soddisfa 1. ∅ ∈ Ω; 2. A ∈ Ω ⇒ Ac ∈ Ω; 3. se {Ai }i∈N è tale che Ai ∈ Ω ∀i allora S Ai ∈ Ω. Definizione A.2 Uno spazio misurabile è una coppia (S, Ω) costituita da un insieme S e da una σ-algebra di sottoinsiemi di S. Gli elementi di Ω sono detti insiemi misurabili. Definizione A.3 Sia (S, Ω) uno spazio misurabile. Una funzione d’insieme µ : Ω → R+ ∪ {∞} Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 66 viene detta misura positiva se soddisfa ! µ [ i∈N Ai = X µ(Ai ), Ai ∈ Ω ∀i ∈ N, Ai ∩ Aj = ∅ se i 6= j. i∈N Si noti che non vi sono problemi di comportamento incondizionato poichè la misura è a valori positivi. In questo caso la terna (S, Ω, µ) viene detta spazio di misura positiva. Solitamente si richiede, nella definizione di misura positiva, che µ(∅) = 0, cosı̀ da escludere che µ sia identicamente ∞. Definizione A.4 Uno spazio di misura (S, Ω, µ) viene detto completo se µ(A) = 0 implica B ∈ Ω per ogni B ⊆ A. Teorema A.5 Ogni spazio di misura (S, Ω, µ) può essere completato, cioè esiste una σ-algebra Σ ⊇ Ω e una misura α tale che (S, Σ, α) sia uno spazio di misura completo e α|Ω = µ. Inoltre il completamento minimale è unico. Definizione A.6 Sia S un insieme e sia A ⊆ P(S). La σ-algebra generata da A è la minima (rispetto all’inclusione insiemistica) σ-algebra che contiene A. Si noti che la σ-algebra generata esiste sempre, essendo l’intersezione di tutte le σ-algebre (l’intersezione di σ-algebre è ovviamente ancora una σalgebra) che contengono A, e tale intersezione è non vuota essendo P(S) una σ-algebra. Definizione A.7 Sia (X, τ ) uno spazio topologico. La σ-algebra generata da τ è detta σ-algebra di Borel. Su R (e su ogni intervallo contenuto in R) è quindi definita la σ-algebra di Borel, e partendo dalla lunghezza degli intervalli si definisce in maniera naturale una misura µ. Si ottiene cosı̀ uno spazio di misura, che tuttavia non è completo: il suo completamento porta alla definizione della misura e della σ-algebra di Lebesgue. Definizione A.8 Sia f una funzione tra due spazi misurabili. Se la controimmagine di ogni insieme misurabile è misurabile, f è detta funzione misurabile. Se f è a valori in uno spazio topologico Y si intente che la σ-algebra Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 67 di riferimento in Y è la σ-algebra di Borel generata dalla topologia di Y . Definizione A.9 Sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura (positiva). Se µ(S) < ∞, (S, Ω, µ) viene detto spazio di probabilità. Se f : S → R è una funzione semplice misurabile (R dotato della topologia P euclidea), cioè f = ai χAi , con Ai ∈ Ω per ogni i, definiamo l’integrale di Lebesgue di f come Z X f dµ = ai µ(Ai ). S Questa definizione permette di estendere il concetto di integrale ad ogni funR zione f complessa misurabile tale che sia S |f | dµ < ∞ se si osserva che f = (<(f ))+ − (<(f ))− + i (=(f ))+ − i (=(f ))− . Si definiscono quindi gli spazi Lp (µ), 1 ≤ p < ∞, come classi di equivalenza, a meno di uguaglianza quasi ovunque, di funzioni f tali che |f |p sia Lebesgue integrabile (cioè R |f |p dµ < ∞). S Definizione A.10 Gli spazi Lp (µ) dotati della norma Z kf kp = 1/p |f | dµ p S sono spazi di Banach. Lo spazio L∞ (µ) è definito come classi di equivalenza di funzioni essenzialmente limitate, la norma essendo quella dell’estremo superiore essenziale. Anche in questo caso si ottiene uno spazio di Banach. Definizione A.11 Sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura. Se S è unione numerabile di insiemi di misura finita diciamo che lo spazio è σ-finito. Veniamo ora a parlare dell’argomento che probabilmente più ci interessa per gli argomenti trattati in questa tesi: le misure complesse. Definizione A.12 Sia (S, Ω) uno spazio misurabile. Una funzione µ : Ω → C è detta misura complessa se soddisfa ! µ [ i∈N Ai = X i∈N µ(Ai ), Ai ∈ Ω ∀i ∈ N, Ai ∩ Aj = ∅ se i 6= j; Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 68 la serie deve convergere incondizionatamente, quindi assolutamente. Si noti che µ è a valori in C: non può essere dunque µ(A) = ∞, quindi le misure positive non sono un sottoinsieme delle misure complesse, lo sono invece le misure di probabilità. Definizione A.13 Sia µ una misura complessa. Definiamo la variazione totale di µ: |µ| : Ω → R ∪ ∞ nX o A 7→ sup |µ(Ai )| dove gli Ai formano una partizione di A e il sup è esteso a tutte la partizioni. Teorema A.14 Sia µ una misura complessa: allora |µ| è una misura di probabilità. Si noti che si poteva intuire facilmente che |µ| fosse una misura, mentre non è affatto ovvio che |µ|(S) < ∞. Inoltre |µ| è una misura positiva tale che |µ(A)| ≤ |µ|(A) per ogni A ∈ Ω e segue immediatamente dalla definizione che ogni altra misura positiva α che soddisfa questa proprietà è tale che |µ|(A) ≤ α(A). Definizione A.15 Sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva e sia λ una misura qualsiasi (positiva o complessa). Diciamo che λ è assolutamente continua rispetto a µ se µ(A) = 0 ⇒ λ(A) = 0. In questo caso scriviamo λ ≺ µ. Teorema A.16 (Radon-Nikodym) Sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva σ-finito e sia λ una misura complessa assolutamente continua rispetto a µ. Allora esiste una, e una sola, f ∈ L∞ (µ) tale che Z λ(A) = f dµ. A f è chiamata derivata di Radon-Nikodym di λ rispetto a µ e si scrive f = dα . dµ Il Teorema di Radon-Nikodym permette di dimostrare il seguente fondamentale Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 69 Teorema A.17 (Riesz) Sia (S, Ω, µ) uno spazio di misura positiva σ-finito. Se 1 ≤ p < ∞ e q è l’esponente coniugato con p, allora per ogni T ∈ Lp (µ)∗ esiste una, e una sola, g ∈ Lq (µ) tale che Z Tf = f g dµ S per ogni f ∈ Lp (µ). Inoltre vale kT k = kgkq , quindi esiste un isomorfismo isometrico suriettivo da Lp (µ)∗ a Lq (µ). Bibliografia [1] Yoav Benyamini and Joram Lindenstrauss. Geometric nonlinear functional analysis. Providence, Rhode Island American Mathematical Society, 2000. [2] Richard D. Bourgin. Geometric aspects of convex sets with the RadonNikodym property. Berlin Springer-Verlag, 1983. [3] John B. Conway. A Course in Functional Analysis. Springer, 1990. [4] Joseph Diestel and John J. Uhl Jr. Vector Measures. Providence, Rhode Island American Mathematical Society, 1977. [5] Aryeh Dvoretzky and Claude A. Rogers. Absolute and unconditional convergence in normed linear spaces. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 36(3):192–197, 1950. [6] Ryszard Engelking. General Topology. Heldermann Verlag Berlin, 1989. [7] Bernard R. Gelbaum. Holden-Day, 1964. Counterexamples in analysis. San Francisco [8] John R. Giles. Convex analysis with application in differentation of convex functions. Boston Pitman Advanced Publishing Program, 1982. [9] Paul R. Halmos. Measure theory. New York Springer-Verlag, 1974. [10] Serge Lang. Real and functional analysis. New York Springer-Verlag, 1993. [11] Ronald Larsen. Functional analysis. New York Marcel Dekker, 1973. Bibliografia 71 [12] Balmohan V. Limaye. Functional analysis. New Delhi Wiley Eastern Limited, 1981. [13] Bor-Luh Lin, Pei-Kee Lin, and Stanimir L. Troyanski. Characterization of denting points. Proceedings of the American Mathematical Society, 102(3):526–528, 1988. [14] Robert E. Megginson. Springer, 1998. An Introduction to Banach Space Theory. [15] Halsey L. Royden. Real analysis. New York MacMillan Publishing Company, 1988. [16] Walter Rudin. Principles of Mathematical Analysis. Mc Graw-Hill, 1952. [17] Walter Rudin. Real and Complex Analysis. Mc Graw-Hill, 1966. [18] Walter Rudin. Functional analysis. Mc Graw-Hill, 1973. [19] Dick van Dulst. The geometry of Banach spaces with the Radon Nikodym property. Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1985. [20] Dick van Dulst. Characterizations of Banach spaces not containing `1 . Amsterdam Centrum voor Wiskunde en Informatica, 1989. Ringraziamenti Ringrazio per primi i miei genitori che, tra le altre cose, ogni anno mi pagano la retta dell’università e senza i quali di certo questa tesi non avrebbe mai visto la luce. Un grandissimo “grazie” va a tutte le persone che hanno contribuito alla mia formazione scientifica, senza le quali non sarei mai potuto arrivare fin qui: in particolare devo molto a tutti i miei maestri e professori, dalle elementari all’università. Ringrazio specialmente il mio relatore, il Prof. Clemente Zanco, che oltre ad aver curato la stesura della tesi, mi ha mostrato attraverso le sue splendide lezioni la bellezza dell’analisi, facendomi conoscere l’affascinante mondo dell’analisi funzionale, della teoria della misura e della topologia. Senza molti dei miei compagni di corso questi ultimi tre anni non sarebbero stati cosı̀ belli, in loro ho trovato degli ottimi amici e degli incredibili compagni di studio. Molte altre persone mi hanno aiutato nella stesura della tesi, non provo neanche a citarle tutte poichè indubbiamente me ne dimenticherei molte. In ultimo un doveroso saluto ai miei “amici del sabato sera”, in ordine alfabetico: Chiame, Izzy, Luchino, Pinna e Pippo, il perché i loro nomi si trovino qui ognuno di loro lo può immaginare da solo.