Le piante nel Vangelo: La senape.

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Un argomento al mese su cui riflettere: Ottobre 2009
Le piante nel Vangelo:
La senape.
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°9.
Nell'alimentazione umana hanno sempre avuto molta
importanza tutte quelle sostanze che, aggiunte in minime
quantità, permettono di migliorare il sapore delle vivande.
Un gruppo di piante speziali (spezie) come la senape, i
capperi o l'erba cipollina contengono composti di zolfo, i
quali determinano un sapore particolarmente piccante. Di
origine esotica, questi prodotti vegetali giungevano sui
mercati europei attraverso l'Asia e il Medio Oriente.
La senape è originaria dell'Asia, dove cresceva
spontanea. Si pensa che sia stata coltivata per la prima
volta nel 3000 a.C. in India, e poi esportata in Occidente
come spezia pregiata. Era infatti già nota ai Greci e ai
Romani, i quali utilizzavano i semi pestati da cospargere
sui cibi per renderli più appetitosi.
Tutte le varietà di senape appartengono alle «crocifere»,
famiglia molto numerosa, comprendente generi e specie
di piante erbacee coltivate come ortaggi (rape, ravanelli
ecc.) e come erbe aromatiche e medicinali (la senape
appunto).
Esse hanno fiori con quattro sepali e quattro petali,
disposti a croce e un frutto tipico detto siliqua, un
bacinelle affusolato diviso da un lungo setto centrale che
separa il vano interno in due settori dove alloggiano i
semi.
I semi vengono piantati in primavera e producono un fiore
giallo a giugno. Il frutto che si sviluppa è un baccello che
contiene i semi, che vengono raccolti a fine estate.
Esistono diversi tipi di senape: quelle utilizzate in cucina
sono la «senape bianca» (Sinapis alba), che produce
semi più grossi e bianchi e la «senape nera» (Sinapis
nigra), i cui semi sono marroni-nerastri. In entrambi i casi
Pianta della senape in fiore e i baccelli con i minuscoli semi.
i semi sono molto piccoli (1-2 mm di diametro).
Triturando i semi si produce la farina di senape o senape
in polvere che, opportunamente trattata, emana un odore pungente, dal sapore aspro e irritante. I precotti a
base di senape sono dette senapi o più propriamente mostarde. Con il termine «senape», infatti, si intende
solo la farina di senape che di solito è formata da una miscela dei due tipi di semi.
Plinio, nella sua «Historia naturae» (20,236-240), annovera la senape tra le piante coltivate ma, a differenza
di altre erbe medicinali, essa non abbisogna di alcuna coltura. Oltre ai semi, si mangiavano anche le foglie
bollite, come verdura. La senape nera è stata ben nota nell'antichità anche per le sue proprietà
farmaceutiche: gli impiastri di senape venivano applicati sui malati in caso di bronchiti; l'azione revulsiva di
senapismi applicati sulla pelle e sugli organi malati attiva la circolazione del sangue. Una terza variante di
senape, la Sinapis arvensis, cresce spontaneamente ed è considerata infestante dal contadino.
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Seennaappee,, uunniittàà ddii m
miissuurraa
La senape era, in un certo modo, anche una unità di misura. Sebbene l'Antico Testamento non menzioni mai
questa pianta, la senape, come attesta la letteratura tardogiudaica, era ben nota in Palestina.
Essa non era considerata semplicemente una pianta da orto, ma veniva coltivata anche nei campi. Al
momento della raccolta, veniva messa in cesti, che quindi risultavano pieni di questi piccolissimi granelli.
I rabbini, che discutevano quanto dovesse durare il periodo del nazireato, erano soliti dire: «Se qualcuno ha
fatto voto di nazireato (di 30 giorni) a cesto pieno - cioè di osservare il nazireato tante volte quanti sono gli
oggetti che un cesto può contenere - si consideri allora (quale possibilità più rigorosa) che il cesto sia pieno
di semi di senapa: in questo caso sarà nazireo per tutta la vita».
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Nel Nuovo Testamento, il termine di paragone «come granello di senape» è adoperato dai sinottici per
illustrare due diversi concetti teologici: il primo è inserito nel discorso parabolico (Mc 4,1-34; Mt 13,1-52; Lc
13,18-20) che pone Gesù seduto davanti alla folla, intento a spiegare ai suoi uditori il mistero del regno;
mentre il secondo è incentrato sulla fede, la quale, pur microscopica, se autentica ha la forza di sradicare
anche un albero (Lc 17,5-6; Mt 17,14-20): «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò?
È simile a un granellino di senape, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e diventato un
arbusto» (Lc 13,18-19a).
Per illuminare concetti astratti. Gesù prende spunto dall'esperienza agraria ben conosciuta all'epoca. Il regno
di Dio paragonato a un granello di senape mette in risalto il contrasto tra la piccolezza del chicco e lo stadio
finale della sua crescita. Il regno di Dio non ha apparenza eclatante, eppure esso è già vicino e presente ma
nell'aspetto insignificante di un granello di senape. Proprio a partire da quella minuscola entità si sviluppa
una grande realtà di vita. Dio opera cose mirabili servendosi di strumenti e materiali umili che portano in sé
un potenziale e un dinamismo travolgente. La parabola poteva terminare con l'immagine dell'albero anche
senza alcun ulteriore rinforzo, ma Gesù continua: «... e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami» (Lc
13,19b).
Più di ogni altro arbusto, nel caso della senape, colpisce la proporzione che prende la pianta: essa diventa
un albero reale, dal rifugio sicuro per i volatili. L'immagine dell'albero sui cui rami gli uccelli fanno il nido è
classico nei profeti, per designare l'uno o l'altro dei grandi regni del loro tempo. Gesù aggiunge questo «di
più», alludendo chiaramente all'apologo del cedro di Ez 17,22-24 che descrive la prosperità e l'estensione
universale del regno di Dio: «Dice il Signore Dio: lo prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami
coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio; lo pianterò sul monte alto d'Israele.
Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile
all'ombra dei suoi rami riposerà».
In Cristo ogni predizione di salvezza dell'Antico Testamento ha trovato la sua realizzazione. Il regno di Dio
diventa iperbolicamente un arbusto dalle dimensioni gigantesche e giungerà ad abbracciare e salvare i
popoli del mondo intero. Attraverso questa parabola Gesù spiega che il regno ha una logica diversa e
superiore a quella umana e che esso si manifesta in modo imprevedibile e inesorabile, accompagnato dalle
sue parole e opere. Il granello di senape, ossia la predicazione di Gesù, non è appariscente, eppure reca in
sé il mistero dell'agire divino, di ampiezza universale. «L'agire divino non è misurabile con criteri umani
dell'efficienza e del successo. Dio fa storia con il piccolo resto operando in forma oscura e inferiore,
sollecitando gli uomini a fargli credito anche contro le apparenze. È un chiaro invito alla fiducia e alla
speranza» (Ravasi).
S
Seeccoonnddaa ppaarraabboollaa:: ppootteennzzaa ddeellllaa ffeeddee
Anche la seconda parabola enfatizza le sproporzioni tra causa ed effetto, tra un inizio apparentemente
insignificante e un esito sorprendente: «Gli apostoli dissero al Signore: "Aumenta la nostra fede!". Il Signore
rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e
trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe"» (Lc 17,5-6).
«Aumenta la nostra fede!». Questa implorazione degli apostoli fornisce a Gesù il pretesto di riportare la loro
attenzione non tanto alla quantità, bensì alla qualità e al vero significato della parola «fede». Gesù dichiara
la potenza divina della fede che, anche se simile a un seme microscopico come quello della senape, ha la
forza di strappare ciò che è consolidato, di trapiantare nel mare ciò che può vivere solo radicato nella terra,
come il sicomoro.
In tutte le ricorrenze veterotestamentarie (1 Re 10,27; 2 Cr 1,15; 9,27; Sal 77,47; Is 9,9) sukaminos
corrisponde all'ebraico shiqmah ovvero «sicomoro». La TOB (Traduction Oecuménique de la Bible) traduce
«gelso» con «sicomoro», che è il senso abituale del termine nell'Antico Testamento Greco. Nel greco
profano si può tradurre gelso, ma il contrasto con il seme di senape è minore. L'immagine paradossale del
sicomoro sradicato e piantato nel mare traduce, in forma visualizzata, la forza della totale fiducia in Dio. Noi
infatti non ricordiamo bene le parole. Ricordiamo le immagini. Ricordiamo al meglio le parole traducendole in
simboli visuali. Attenendosi alla traduzione della TOB, vediamo che si fronteggiano un granellino di senape
da un lato e un sicomoro dall'altro.
Il sicomoro è un arbusto gigante che raggiunge circa 15 metri di altezza, ha una chioma ampia e
tondeggiante con ampie foglie che hanno forma ovale, dal colore verde scuro come anche i suoi frutti, con
radici difficilmente sradicabili. Sia le foglie sia i frutti possiedono un notevole valore nutritivo; sono perciò
ricercati dagli uccelli e dai mammiferi e vengono raccolti dall'uomo per la propria alimentazione e come
foraggio per il bestiame. Possiamo aggiungere pure che il sicomoro era un arbusto molto pregiato
nell'antichità. Gli antichi Egizi lo apprezzavano per il suo legno, di colore chiaro, che si lavorava con facilità e
veniva utilizzato anche per la costruzione di sarcofagi. Secondo un'antica credenza egizia era proprio un
sicomoro a ergersi alto sotto la volta del ciclo, tra il sole nascente e quello che tra montava, e a fare
ondeggiare al vento le sue foglie di malachite, tanto che era considerato una dea benefica, protettrice degli
amanti. I contadini gli rivolgevano un culto speciale offrendogli sacrifici e adorazione.
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Gli Egizi pensavano inoltre che la sua ombra, tanto grata ai vivi, riempisse di gioia anche i morti. Di fronte al
magnifico sicomoro cos'è un albero di senape? Anzi, cos'è un solo granello di senape? In altre parole,
perché mai «basta e avanza»?
«Granello di senape» serve unicamente a indicare la più piccola unità, non si richiede una fede
straordinariamente grande; già la fede più povera gode della massima promessa. Così la fede autentica può
fare cose impossibili, ha la capacità di sovvertire le sorti, di ribaltare i destini e di trasformare la storia.
L'autentica fede lascia che sia Dio ad agire, ed è così che le diventa possibile anche l'impossibile.
Aver fede come un granello di senape significa allora non venir meno, resistere allo sconforto, sperando
contro ogni speranza. L'appuntamento è con la fede, la fiducia e la speranza, non con un giorno fissato
chiaramente sulla nostra agenda. «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che
non si vedono», dirà l'autore della lettera agli Ebrei (Eb 11,1). E per san Paolo diventa ragionevole il
paradossale criterio divino: la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza (cf 2 Cor 12,9).
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