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com
m f p er s on a l@cl a s s . it
Investire nella Qualità della vita
n n Medicina Nuova terapia per l’epatite C. Guarito il 90% dei casi dopo 12 settimane
Fegato sotto protezione
Può eradicare il virus anche in chi è intollerante all’interferone
di Elena Correggia
U
n’innovativa terapia combinata accende nuove speranze per eradicare il virus dell’epatite C. Entro questa settimana anche in Italia sarà infatti disponibile
simeprevir, un farmaco antivirale ad azione diretta,
che verrà prodotto dalla Janssen nel suo stabilimento di Latina. In
base agli studi clinici effettuati il trattamento di simeprevir in combinazione con sofosbuvir, un altro farmaco di ultima generazione,
rappresenta l’associazione di antivirali orali, senza interferone, con
la più alta percentuale di successo. L’eliminazione del virus è stata
raggiunta in oltre il 90% dei casi trattati
dopo una terapia di 12 settimane. I
risultati sulla tollerabilità e sull’efficacia
sono stati ottenuti dallo studio Cosmos,
il protocollo clinico che ha valutato gli
effetti dell’associazione dei due antivirali ad azione diretta senza interferone,
con o senza l’aggiunta di ribavirina.
«Simeprevir aggredisce il virus inibendo
l’attività dell’enzima proteasi ed è studiato in maniera specifica per i pazienti
adulti con epatite C di genotipo 1 e 4, in
quanto negli altri genotipi la sequenza
dell’enzima è diversa e la molecola risulterebbe meno efficace», ha
affermato Gloria Taliani, professore ordinario di malattie infettive
all’Università La Sapienza di Roma.
La nuova terapia consentirà quindi un’ottimizzazione del trattamento per i soggetti che hanno i genotipi dell’epatite C più
comuni in Italia. Il 60% circa dei pazienti italiani è infettata dal
genotipo 1 del virus, mentre il genotipo 4 è il responsabile di
circa il 20% delle infezioni croniche nel mondo.
Dallo studio Cosmos si può anche comprendere come l’efficacia
del trattamento non sia compromessa nonostante la riduzione
della durata, 12 settimane, rispetto alle terapie con interferone e
ribavirina, di norma prescritte per 48 settimane. L’utilizzo solo opzionale e non necessario della ribavirina migliora inoltre il profilo
di tollerabilità terapeutica, riducendo il rischio di anemizzazione.
«Grazie a simeprevir possiamo adottare nella pratica clinica una
strategia efficace multifarmaco, essenziale nei confronti dell’epatite C, un virus ad alta capacità di replicazione e di mutazione», ha
spiegato Taliani. «Esso richiede infatti di predisporre un’azione di
attacco antivirale con molecole diverse su diversi siti funzionali,
così da impedire la comparsa di ceppi resistenti».
Un altro vantaggio della nuova opzione terapeutica senza interferone è che potrà essere estesa anche alle categorie di pazienti
cche erano escluse dal trattamento per
lla forte intolleranza verso l’interferone,
ccome nel caso dei pazienti cirrotici
aavanzati e nei soggetti in attesa di
ttrapianto. Il virus dell’epatite C colp
pisce nel mondo circa 170 milioni di
p
persone, in Italia un milione 500 mila.
S
Secondo l’Organizzazione mondiale
d
della sanità si tratta della patologia che
ccausa il maggior numero di decessi fra
lle malattie infettive trasmissibili ed è la
p
prima causa di trapianto di fegato.
L
Le buone prospettive di successo
della nuova terapia, attraverso la guarigione dei vecchi pazienti e la riduzione di nuove infezioni, dovrebbero limitare la
diffusione epidemiologica della malattia, compensando così
le difficoltà nella definizione di un vaccino, a oggi ancora
non disponibile, anche a causa delle peculiarità elusive del
virus e della sua capacità di mutazione.
Infine, disporre di farmaci che permettono la guarigione dalle
patologie correlate all’Hcv potrà produrre ricadute positive
anche a livello economico, soprattutto per quanto riguarda
cirrosi e Hcv cronica che determinano gli oneri maggiori per
il sistema sanitario nazionale. (riproduzione riservata)
n n Salute Studio mostra la riduzione dell’80% con una dieta mirata nei primi 11 mesi
Noccioline ai bebè? Diminuiscono l’allergia
di Cristina Cimato
U
n nuovo studio può
fare la gioia di tutti
i bimbi, soprattutto
quelli più a rischio di sviluppare allergie alimentari. Una
ricerca svolta su 620 bimbi
appena svezzati suggerisce
la possibilità, introducendo
prodotti a base di noccioline
nella dieta di soggetti di età
inferiore agli 11 mesi, la possibilità che essi siano protetti
dall’allergia a questo alimento.
Il nuovo lavoro del King’s College, come riporta la Bbc, ha
dimostrato che la possibilità di
sviluppare l’allergia si è ridotta
di oltre l’80%. Gli esperti che
hanno condotto la ricerca sostengono che queste evidenze
possano trovare applicazione
anche in altri tipi di allergie
e possano cambiare il regime dietetico nei primi mesi di
svezzamento, purché i tentativi non vengano sperimentati
a casa, autonomamente, bensì
sotto lo stretto controllo degli
allergologi. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul
New England Journal of
Medicine e si sono focaliz-
zati sui bambini piccolissimi,
che avevano già manifestato
reazioni cutanee, campanelli
d’allarme per le allergie. Con
alcuni test sono stati identificare coloro che non avevano
ancora sviluppato un’allergia
vera e propria all’alimento. A
metà di questi bimbi sono
state somministrate pietanze
contenenti noccioline (perché sotto i cinque mesi esse
sono pericoloso da ingerire
in forma naturale, per via di
un possibile soffocamento).
Lo studio ha mostrato una
drastica riduzione delle ma-
nifestazioni allergiche negli
anni seguenti, da una media di
14 a 2 su 100. Secondo Gideon
Lack, «ci siamo resi conto per
la prima volta che possiamo
davvero prevenire lo sviluppo dell’allergia» (riproduzione
riservata)
Lampi
nel buio
Mangiare è
incorporare un
territorio
Jean Brunhes
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