L`iperattività: dall`ADHD al disturbo di Tourette

annuncio pubblicitario
L’iperattività:
dall’ADHD al disturbo di Tourette
Dr. Cesare Porcelli
Direttore UOS NPIA Bari-Area Metropolitana – ASL BA
Introduzione
È assolutamente normale per un bambino “muoversi”, guardare, toccare, scoprire, provocare, disobbedire, opporsi. Così come è assolutamente normale che lo stesso bambino sia in
grado di star fermo, non toccare quando non è il caso o su divieto dell’adulto, di obbedire.
Il bambino “normale” è in grado di adattarsi a tutti i contesti. Con i suoi schemi, certo, ma è in
grado di farlo e lo fa. È raro che si metta in situazioni di pericolo reale, che sfidi l’altro, che si
opponga sempre e comunque, ecc.
Il bambino “iperattivo” no. Non è in grado, sbaglia sempre o quasi sempre ed anche quando
lui non è il colpevole di un misfatto compiuto da un gruppo è spesso il solo a pagarne le conseguenze. Il bambino iperattivo e con ADHD soffre. Il bambino vivace NO.
Sono tante le situazioni psicopatologiche che portano bambini e ragazzi a muoversi in continuazione, a non riuscire a star fermi se non per pochi minuti, che reagiscono improvvisamente ed in modo esagerato di fronte a provocazioni minime, che non sono in grado di completare un compito, che cominciano sempre e non finiscono mai, che si mettono in situazioni
di pericolo reale, ecc. L’ADHD è uno di questi disturbi e spesso non è solo. Può essere infatti
associato (comorbidità) ad altri disturbi quali il disturbo di Tourette, il disturbo oppositivoprovocatorio, i disturbi dell’apprendimento scolastico, i disturbi dello spettro autistico, i disturbi d’ansia, ecc.
Quali sono le principali caratteristiche dell’ADHD?
L’ADHD, acronimo inglese da Attention Deficit Hyperactivity Disorder, è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla contemporanea presenza di importanti, gravi e persistenti difficoltà dell’attenzione e del controllo motorio.
IL DSM V lo inserisce nei Disturbi del Neurosviluppo insieme ad altre problematiche tipiche
dell’età evolutiva tipo il disturbo dello sviluppo intellettivo, il disturbo dello sviluppo della
comunicazione (compresi i disturbi del linguaggio), i disturbi dello spettro autistico, i disturbi
dello sviluppo motorio e i disturbi specifici dell’apprendimento.
Il DSM V parla di disturbi del neurosviluppo perché è frequente la co-occorrenza delle difficoltà: individui con problematiche ascrivibili allo spettro autistico, spesso hanno difficoltà
anche sul versante dello sviluppo intellettivo, sono iperattivi e molto frequentemente presentano difficoltà di apprendimento non necessariamente legate al disturbo cognitivo. Ancora, è
molto frequente l’associazione, nello stesso bambino, di problematiche di natura intellettiva,
di relazione e/o di iperattività/disattenzione con i disturbi della coordinazione motoria o i disturbi da tic.
Quando si parla di ADHD quindi bisogna sempre far riferimento al complesso delle difficoltà
presentate dal bambino che spesso non sono ascrivibili ad un semplice e solo disturbo dell’attenzione con iperattività.
133
Non c’è una età di esordio dell’ADHD e spesso le mamme raccontano di un feto particolarmente “vivace” anche durante la gestazione. La diagnosi però non dovrebbe essere fatta
prima dei 6 anni, epoca in cui i bambini vengono avviati alla frequenza della scuola primaria.
Ancora oggi la diagnosi di ADHD è controversa e sono molti coloro che ne negano addirittura l’esistenza. La cosa è effettivamente complessa e deve spingere gli operatori della salute
mentale ad estrema cautela nella formulazione diagnostica per non cadere nella trappola di
definire come portatore di ADHD un bambino particolarmente “maleducato” o solo particolarmente “vivace”.
I bambini con ADHD rappresentano spesso un grave problema per le famiglie prima di tutto
ma poi anche per la scuola e per tutti i contesti all’interno dei quali si trovano inseriti.
Cenni storici
Non ci sono dati di letteratura riguardanti problematiche afferibili ad ADHD fino agli inizi del
´900. È nel 1902 infatti che Sir George F. Still ed altri pubblicano sul numero 159 del 9 aprile di
The Lancet l’articolo “Some abnormal psychical condition in children”. Still disquisiva di un
gruppo di bambini che presentavano difficoltà nel “controllo morale” associata ad eccessiva
vivacità e distruttività.
(http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0140673601700220).
Nel corso degli anni sono state fatte diverse ipotesi circa le cause dell’ADHD. Quella che ha
avuto maggior successo, anche se non corroborata da evidenze scientifiche dimostrate, è stata l’ipotesi che ha immaginato la presenza di Lesioni Cerebrali Minime alla base del disturbo.
Nel DSM II (APA 1968) compare l’etichetta diagnostica “Reazione ipercinetica del bambino”.
Non era però presente alcun tipo di criterio per procedere alla diagnosi.
È con il DSM III (APA 1980) che l’attenzione viene spostata dal disturbo ipercinetico alle difficoltà cognitive e dell’attenzione in particolare anche in seguito agli studi di Virginia Douglas
che individuò la centralità dei sintomi cognitivi rispetto a quelli motori.
Nel DSM-III (APA, 1980) venivano descritti due sottotipi di DDA: con o senza Iperattività. I
sintomi previsti erano 16, suddivisi in tre categorie: disattenzione (5 sintomi), impulsività (6
sintomi) e iperattività (5 sintomi). Secondo tali criteri, il bambino, per essere diagnosticato con
DDA, doveva presentare almeno tre sintomi di disattenzione e tre di impulsività; mentre se al
DDA si associava l’Iperattività allora dovevano essere presenti almeno altri 2 sintomi.
Nel 1987 fu pubblicato il DSM-III-R, il quale rappresentò forse un arretramento rispetto alla precedente edizione in quanto furono eliminati i sottotipi e fu introdotta l’attuale etichetta Disturbo
da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI). Furono rimosse le tre categorie di sintomi a favore
di un’unica lista di 14 comportamenti in cui disattenzione, impulsività e iperattività erano considerati di pari importanza per poter formulare una diagnosi di DDAI. In base al DSM-III-R (APA,
1987) era sufficiente che il bambino manifestasse almeno 8 sintomi in due contesti per almeno 6
mesi per ricevere una diagnosi di DDAI” (http://www.aidaiassociazione.com/storia.htm)
Il DSM IV (APA 1994) ed oggi il DSM V (APA 2014) descrivono 3 modalità di presentazione del
disturbo: combinato, prevalentemente inattentivo e prevalentemente iperattivo-impulsivo.
Nel corso degli anni il disturbo ha gradatamente perso la valenza “morale” intesa come scarsa
volontà di adeguarsi e rispettare le regole dei contesti per acquisire pian piano la valenza di
un vero e proprio disturbo di carattere medico dove le problematiche relative alla motricità
(ipermotricità spesso associata a disturbi della coordinazione motoria) e del pensiero (accelerazione dello stesso, scarsa capacità di cogliere le istanze degli altri, ecc.) determinano un
insieme complesso e spesso difficile da modificare.
134
L’ICD 10 (che è la Decima Revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie e dei
Problemi correlati) include i disturbi dell’attività e dell’attenzione all’interno del gruppo dei
disturbi ipercinetici. Questi sono definiti come “un gruppo di disturbi caratterizzato da un
esordio precoce (di solito nei primi 5 anni di vita), una mancanza di perseveranza nelle attività che richiedono un impegno cognitivo ed una tendenza a passare da un’attività all’altra
senza completarne alcuna, insieme ad una attività disorganizzata, mal regolata ed eccessiva.
Possono associarsi diverse altre anomalie. I bambini ipercinetici sono spesso imprudenti ed
impulsivi, inclini agli incidenti e vanno incontro a problemi disciplinari per infrazioni dovute a
mancanza di riflessioni piuttosto che a deliberata disobbedienza. I loro rapporti con gli adulti
sono spesso socialmente disinibiti, con assenza della normale cautela e riservatezza. Essi sono
impopolari presso gli altri bambini e possono diventare isolati. È comune una compromissione cognitiva, e ritardi specifici dello sviluppo motorio e del linguaggio sono sproporzionalmente frequenti. Complicazioni secondarie includono il comportamento antisociale e la
scarsa autostima”. (ICD_10_GM_tomo_1_web.pdf)
Clinica
Come si può presentare l’ADHD?
La presentazione del disturbo è apparentemente semplice: contemporanea presenza di disattenzione, iperattività ed impulsività datata da almeno sei mesi e presente in tutti i contesti di
vita del bambino porta a far diagnosi di ADHD. La manifestazione clinica del disturbo però
cambia da bambino a bambino e da contesto a contesto ed è il risultato di una serie di variabili
che ne determinano poi il fenotipo comportamentale. I quadri di ADHD infatti variano da forme relativamente semplici che rispondono bene ai trattamenti psicoeducativi e ad interventi
di rideterminazione di alcune “prassi”, tipo quella di dare i compiti per casa all’inizio della
lezione e non alla fine, permettere al bambino uscite dalla classe finalizzate a piccole incombenze, rendere la lezione particolarmente varia e interessante.
Si tratta in questi casi di interventi che coinvolgono tutto il gruppo classe e che non sono finalizzati solo al bambino ADHD.
Elemento importante da tenere sempre in considerazione e che vale per tutti i bambini ADHD
è la loro diversa “percezione” dello scorrere del tempo. Per loro il tempo ha un altro ritmo,
scorre molto più velocemente. Chiedere ad un ragazzo con ADHD di star fermo 5 minuti equivale a chiedere ad un altro di fare la stessa cosa per 15-20 minuti. Il tempo interno nei ragazzi
ADHD scorre molto più velocemente; la loro naturale tendenza alla soddisfazione immediata
del desiderio e la loro scarsa capacità di procrastinare la realizzazione di un desiderio dipendono anche da questo oltre che dalle difficoltà che coinvolgono il funzionamento dei centri
della gratificazione.
Diverso e molto più complesso è il quadro del bambino che presenta una manifestazione clinica moderata-severa cui molto spesso si associa la presenza di disturbo oppositivo-provocatorio difficile da gestire con la sola riorganizzazione della classe. In questi casi è fondamentale
la collaborazione di tutte le figure e le istituzioni che circondano il bambino e che si occupano
del suo sviluppo e della sua salute. In primis non bisogna mai dimenticare che la condizione
ADHD moderata-grave è una vera e propria disabilità che impedisce al minore di mantenere
i normali ritmi di apprendimento e condiziona pesantemente le sue possibilità di relazione e
di sviluppo. Vanno quindi avviate tutte le procedure per l’attivazione del sostegno pedagogico
e va definito un PEI secondo i canoni della legge 104/92.
Dovrà contemporaneamente essere acquisita la disponibilità e collaborazione della famiglia.
135
Non è possibile fare interventi “sul” bambino e “sulla” famiglia ma è fondamentale lavorare
“con” il bambino e “con” la famiglia.
È fin troppo frequente però che la famiglia non colga appieno le difficoltà del piccolo anche
perché, data l’alta “geneticità” del disturbo, è molto comune che lo stesso sia presente anche
nei genitori, nei padri in particolare, vista la netta prevalenza del disturbo nei maschi (rapporto di 4 a 1 con le femmine), che non sono quindi in grado di discernere le difficoltà del
bambino perché lo stesso è “identico” al padre o alla mamma a seconda dei casi.
Parlare con i genitori ed aiutarli a decodificare il comportamento del figlio anche mettendo
in discussione se stessi è il primo passo. Il successivo è il lavoro diretto sul bambino e sulla
sua capacità di cogliere le proprie difficoltà fornendogli le strategie adeguate al superamento delle stesse. L’altro passo ancora riguarda il complesso delle amicizie e dei contesti che il
bambino frequenta e dai quali rischia spesso di essere emarginato e poi allontanato creando
così le premesse per l’emarginazione sociale, l’abbandono scolastico, la devianza, la tossicodipendenza, ecc.
Nei casi di ADHD moderato-severo può essere indispensabile affiancare il bambino dal sostegno pedagogico e da un educatore che supporti gli insegnanti nei processi di integrazione. Il
PEI di questi bambini deve prevedere sempre la possibilità per gli stessi di momenti di uscita
dalla classe; momenti nel corso dei quali bisogna far sì che la caoticità dell’assetto motorio
che porta questi ragazzi al muoversi in continuazione abbia un obiettivo e sia inserito nel
progetto generale di supporto. Non bisogna dimenticare mai che le attività ripetute e noiose
alimentano il comportamento disturbato ed accentuano la componente oppositiva e provocatoria. Attività interessanti per loro possono essere proposti per tempi relativamente lunghi
(in genere comunque non oltre i 30-40 minuti); le altre attività dovrebbero essere organizzate
entro i primi 10-15 minuti di ogni ora.
L’uso delle nuove tecnologie può essere di grande aiuto nella gestione dei ragazzi ADHD. Le
nuove tecnologie hanno velocità ed immediatezza che le rendono immediatamente appetibili dai nostri ragazzi. La stessa velocità ed immediatezza possono però molto rapidamente
determinare l’insorgenza di un quadro di vera e propria dipendenza patologica dalle stesse.
Insegnare a dosare il “gioco” tecnologico sarà un altro punto da dover eventualmente inserire
nel PEI.
Obiettivo finale di tutti gli interventi verso i bambini e ragazzi con ADHD dovrà essere quello
di creare intorno a loro un ambiente stimolante, tollerante ma altrettanto fermo e deciso.
Quando, nonostante tutti gli interventi, persistano le difficoltà e prima che le stesse determinino conseguenze personali e socioambientali importanti è necessario avviare un trattamento
farmacologico con farmaci psicostimolanti. A questo proposito è importante ricordare che il
mancato trattamento farmacologico, quando indispensabile, può determinare conseguenze
sul minore non altrimenti trattabili accentuando il rischio della devianza e della dipendenza
da sostanze. Il trattamento farmacologico non può essere il punto di partenza nella “gestione”
del bambino con ADHD ma non deve neppure essere utilizzato quando è ormai troppo tardi
e i comportamenti disturbati e disturbanti si sono stabilizzati ed ormai scarsamente modificabili.
Comorbità
Può associarsi ad altre patologie? Quali?
Si è detto nelle righe precedenti che quasi mai l’ADHD si presenta isolato. In circa il 60-65%
dei casi si associa a disturbo oppositivo-provocatorio; oltre la metà dei bambini e ragazzi
136
presenta un disturbo d’ansia mentre circa il 35-40% presenta un quadro di depressione vera
e propria; il 40% circa presenta un disturbo dell’apprendimento scolastico e almeno il 25%
presenta un vero e proprio disturbo della condotta. Significativa poi è l’associazione con i
disturbi dello spettro autistico. È evidente come nello stesso bambino possano coesistere diverse problematiche. Tutto questo rende ancora più indispensabile la diagnosi precoce ed il
trattamento corretto della difficoltà. Deve inoltre spingere gli operatori a non fermarsi solo
alla diagnosi immediatamente evidente ma dovranno seguire nel tempo il bambino/ragazzo e
cogliere rapidamente i cambiamenti che si potranno verificare.
Attenzione particolare va posta alla associazione tristezza-senso di fallimento-depressioneimpulsività-suicidio. Il rischio suicidario in questi ragazzi, al di là della loro apparente indifferenza a tutte le sollecitazioni, è relativamente alto ed è reso drammatico dalla costante
presenza della impulsività.
Un quadro a parte meritano i bambini e ragazzi che presentano iperattività associata al disturbo da tic. In questi casi la presenza dei movimenti ticcosi è la causa e contemporaneamente
conseguenza della iperattività, determinando un circolo vizioso di problemi: il tic è preceduto
da tensione che si scarica nel movimento o nella emissione di un suono. Questi ultimi, il movimento anomalo e la pronuncia di suoni, creano disagio che alimenta la tensione che a sua
volta alimenta la sensazione e l’impulso a muoversi e vocalizzare e quindi la ricomparsa del tic
ed il ciclo così continua.
La presenza contemporanea di tic motori o vocali semplici o complessi va sotto il nome di
Sindrome di Tourette.
Cos’è la Sindrome di Tourette?
L’ICD 10 così descrive i disturbi da tic: “Sindromi in cui la manifestazione predominante è
rappresentata da un tipo di tic. Il tic è un movimento o una produzione vocale involontaria,
rapida, ricorrente, non ritmica (di solito coinvolgente gruppi circoscritti di muscoli) che insorge improvvisamente e che non è finalizzata a nessuno scopo apparente. I tic tendono ad
essere vissuti come irrefrenabili, ma di solito possono essere soppressi per vari periodi di
tempo, sono esacerbati dallo stress e scompaiono durante il sonno. Comuni tic motori semplici comprendono l’ammiccare, il torcere il collo, lo scrollare le spalle il fare smorfie con la
faccia. Comuni tic vocali semplici sono quelli considerati nello schiarirsi la gola, nel tossire,
nell’annusare o nel fischiare. Comuni tic motori complessi sono quelli consistenti nel colpire
se stessi o nel saltare. Comuni tic vocali complessi sono quelli consistenti nel ripetere particolari parole, nell’usare parole socialmente inaccettabili (spesso oscene, coprolalia) o nel ripetere propri suoni o parole (palilalia)”. Nella sindrome di Tourette la condizione ticcosa motoria
e verbale è nettamente accentuata e spesso associata ad altre manifestazioni tipo il disturbo
ossessivo compulsivo ed una marcata irritabilità.
È frequente che il disturbo da tic possa non essere riconosciuto a scuola per via sia della capacità dei ragazzi di contenere la manifestazione motoria e vocale eventualmente mascherando
il tic in un movimento o produzione verbale apparentemente congrui, e sia perché, nonostante l’evidenza, le difficoltà dei ragazzi possono essere lette come incapacità di adeguarsi alle
regole e “cattiva educazione”.
Il disturbo da tic e la sindrome di Tourette esordiscono di solito tra i 5 ed i 14 anni con un
massimo di incidenza intorno ai 6-8 anni. Il disturbo ha spesso una importante componente
familiare a volte non di tipo ticcosa ma di tipo ossessivo-compulsivo. È frequente l’associazione con quadri comportamentali tipo sindrome di Asperger. Le cause non sono attualmente
conosciute ma prevedono la presenza di componenti genetico-familiari, ambientali, immuno137
logiche. In alcuni casi deve essere presa in considerazione la presenza di infezione da streptococco beta-emolitico di gruppo A alla base di una sindrome clinica che va sotto il nome di
PANDAS, responsabile di una sintomatologia del tutto sovrapponibile a quella tourettica ma
trattabile con terapia antibiotica. Non ci sono ancora comunque dati definitivi e sono in corso
ricerche in molti centri in tutto il mondo.
La presenza in classe di un bambino con tic semplici in genere non crea particolari problematiche data la capacità del bambino stesso di contenere e controllare le sue difficoltà in modo
autonomo. Può essere però importante supportarlo e difenderlo quando dovesse essere oggetto di scherzi di cattivo gusto da parte degli altri compagni o quando lui dovesse essere a
disagio per le sue difficoltà. La presenza di un tic vocale semplice come il continuo colpo di
tosse potrebbe però condizionare l’attenzione e la serenità di tutto il gruppo classe. In questi
casi è importante in primo luogo tranquillizzare il bambino parlando con lui e permettendogli
di produrre tutti i suoni di cui senta la necessità anche accompagnandolo dolcemente fuori
della classe (accompagnandolo! non mandandolo fuori!). La consapevolezza e l’accettazione
aiutano il bambino a contenere e ridurre il fenomeno.
Lo stesso atteggiamento va tenuto anche nei casi più gravi a volte realmente difficili da gestire
il classe. In questi casi il supporto medico con l’uso di farmaci, psicologico al bambino, alla
sua famiglia e al resto dei compagni sono indispensabili.
Il vissuto dei bambini e dei ragazzi tourettici è infine fortemente condizionato anche dalla
presenza di pensieri intrusivi ed ossessivi dai quali loro cercano disperatamente di difendersi
ingaggiando lotte interne incredibili. In questi casi la loro tolleranza alle frustrazioni anche
minime è estremamente bassa e può portarli a reazioni improvvise di fronte a rimproveri
apparentemente banali sia a scuola sia a casa. Le ossessioni condizionano le capacità di attenzione con ulteriore compromissione delle possibilità di apprendimento pur in presenza di
capacità cognitive globali assolutamente normali.
Conclusioni
I disturbi del comportamento e l’iperattività in particolare sono dei fenomeni molto frequenti
in età evolutiva e mai devono essere sottovalutati o interpretati solo come conseguenza di
scarsa capacità genitoriale. Sono espressione di disagio importante e spesso sono espressione di vere e proprie patologie che dovranno essere affrontate e “gestite” con tutti gli strumenti a disposizione della scuola e delle strutture territoriali di riferimento. Certo non bisogna
medicalizzare il disagio e bisogna cercare le risoluzioni in primis nelle capacità del contesto.
In assenza di cambiamenti però non deve essere mai trascurata la possibilità che dietro un
disturbo del comportamento ci possa essere un quadro psicopatologico che dovrà essere affrontato e gestito nel migliore dei modi nell’interesse in primis del bambino ma poi anche dei
suoi compagni e della sua famiglia.
138
Scarica