Abstracts Training Courses, Conversazioni con l`Esperto, Poster e

SINPIA 2011
SINPIA 2011
la NEUROPSICHIATRIA
dell’infanzia e dell’adolescenza:
dalla ricerca alla clinica
la NEUROPSICHIATRIA
dell’infanzia e dell’adolescenza:
dalla ricerca alla clinica
Abstracts
Abstracts
Pisa 11-14 Maggio 2011
Pisa 11-14 Maggio 2011
Tipografia Editrice Pisana
Tipografia Editrice Pisana
stampa maggio 2011
Tipografia Editrice Pisana snc
via Trento 26/30 - 56126 Pisa
tel./Fax 050 503526
[email protected]
www.tepsnc.it
stampa maggio 2011
Tipografia Editrice Pisana snc
via Trento 26/30 - 56126 Pisa
tel./Fax 050 503526
[email protected]
www.tepsnc.it
INDICE DEGLI ABSTRACTS
INDICE DEGLI ABSTRACTS
MEET THE EXPERTS E TRAINING COURSES………………………………….. pag. 1
MEET THE EXPERTS E TRAINING COURSES………………………………….. pag. 1
GIOVEDI’ 12 MAGGIO 2011 – 17.25 – 18.40
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011 – 08.00 – 09.00
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011 – 12.25 – 13.20
SABATO 14 MAGGIO 2011 – 08.00 – 09.00
GIOVEDI’ 12 MAGGIO 2011 – 17.25 – 18.40
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011 – 08.00 – 09.00
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011 – 12.25 – 13.20
SABATO 14 MAGGIO 2011 – 08.00 – 09.00
COMUNICAZIONI ORALI ……………………………………………………..……. pag. 19
COMUNICAZIONI ORALI ……………………………………………………..……. pag. 19
NEUROLOGIA (C1 – C11)
PSICHIATRIA 1 (C12 – C21)
PSICHIATRIA 2 (C22 – C31)
NEUROPSICOLOGIA/RIABILITAZIONE/SERVIZI (C32 – C42)
NEUROLOGIA (C1 – C11)
PSICHIATRIA 1 (C12 – C21)
PSICHIATRIA 2 (C22 – C31)
NEUROPSICOLOGIA/RIABILITAZIONE/SERVIZI (C32 – C42)
POSTER…………………………………………………………………………………. pag. 61
POSTER…………………………………………………………………………………. pag. 61
NEUROLOGIA (P1 –P37)
PSICHIATRIA (P38 – P80)
NEUROPSICOLOGIA (P81 – P103)
RIABILITAZIONE (P104 – P113)
SERVIZI (P114 – P123)
NEUROLOGIA (P1 –P37)
PSICHIATRIA (P38 – P80)
NEUROPSICOLOGIA (P81 – P103)
RIABILITAZIONE (P104 – P113)
SERVIZI (P114 – P123)
COLLOCAZIONE POSTER……………………………………………………………pag. 184
COLLOCAZIONE POSTER……………………………………………………………pag. 184
GIOVEDI’ 12 MAGGIO 2011
GIOVEDI’ 12 MAGGIO 2011
17.25 – 18.40 SESSIONE PARALLELA 1
17.25 – 18.40 SESSIONE PARALLELA 1
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
MANIFESTAZIONI PAROSSISTICHE NON EPILETTICHE
In collaborazione con la Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP)
MANIFESTAZIONI PAROSSISTICHE NON EPILETTICHE
In collaborazione con la Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP)
Oliviero Bruni (Roma)
Salvatore Savasta (Pavia)
Pierangelo Veggiotti (Pavia)
Alberto Verrotti (Chieti)
Oliviero Bruni (Roma)
Salvatore Savasta (Pavia)
Pierangelo Veggiotti (Pavia)
Alberto Verrotti (Chieti)
Episodi non epilettici nel sonno
Episodi non epilettici nel sonno
Bruni O.
Dip. Scienze Neurologiche e Psichiatriche Età Evolutiva, Sapienza Università di Roma
Bruni O.
Dip. Scienze Neurologiche e Psichiatriche Età Evolutiva, Sapienza Università di Roma
Da un punto di vista clinico i disturbi parossistici sonno-correlati nei bambini possono essere differenziati in epilettici e
non-epilettici e la differenziazione clinica può essere spesso difficile. Gli eventi associati a fenomeni motori in sonno
sono rappresentati da disturbi dell’arousal, movimenti ritmici sonno-correlati, comportamenti automatici, etc.
La diagnosi differenziale è in genere possibile sulla base della sola storia clinica, ma a volte può essere necessario
ricorrere a tecniche neurofisiologiche, come la registrazione video EEG o la polisonnografia, quando non è possibile
avere una descrizione dettagliata del fenomeno. Nelle epilessie frontali notturne la diagnosi differenziale con le
parasonnie ed in particolare con i disturbi dell’arousal (DOA) può essere difficile perché i pattern comportamentali sono
simili, gli elementi semiologici soggettivi sono assenti (o riferiti dai genitori) e i tools diagnostici attuali non sono
completamente validi.
Tuttavia alcuni segni semeiologici permettono di orientarci verso l’una o l’altra diagnosi:
a)
in genere i DOA iniziano nella prima infanzia, sono poco stereotipati, raramente associati con la sonnolenza,
scompaiono dopo la pubertà e avvengono prevalentemente nel sonno profondo nella prima parte della notte;
b)
gli eventi epilettici notturni invece possono presentarsi più volte nella notte, sono stereotipati, si associano
anomalie EEG (non sempre!), persistono anche dopo la pubertà, avvengono prevalentemente in stadio 2 NREM.
E’ importante sottolineare che questi eventi sono spesso valutati da pediatri neurologi da un punto di vista esclusivamente
epilettologico che è molto diverso da quello ipnologico. Il diverso approccio si basa sulle diverse conoscenze della
struttura del sonno e dei meccanismi del sonno. L’ipnologo cerca di chiarire i meccanismi intrinseci del sonno che
determinano gli eventi parossistici attraverso l'analisi della microstruttura del sonno e dei processi di attivazione delle
anomalie epilettiche. In questa prospettiva, gli eventi parossistici possono essere visti come la conseguenza di una
alterazione della struttura del sonno che facilita l’insorgenza della manifestazione parossistica. L’instabilità dell’attività
elettrica nel sonno NREM si traduce in un aumento degli eventi fasici in sonno che si presentano in maniera più frequente
e con un intervallo di tempo inferiore fra di loro immediatamente prima dell’episodio. In pratica prima di un qualsiasi
evento epilettico in sonno si determina un aumento della frequenza delle oscillazioni dei pattern tipici di quella fase del
sonno (delta bursts, K complexes, spindles) rappresentato anche da un alto numero di micro-arousal nel sonno NREM che
facilita l’insorgenza dell’evento parossistico.
Da un punto di vista clinico i disturbi parossistici sonno-correlati nei bambini possono essere differenziati in epilettici e
non-epilettici e la differenziazione clinica può essere spesso difficile. Gli eventi associati a fenomeni motori in sonno
sono rappresentati da disturbi dell’arousal, movimenti ritmici sonno-correlati, comportamenti automatici, etc.
La diagnosi differenziale è in genere possibile sulla base della sola storia clinica, ma a volte può essere necessario
ricorrere a tecniche neurofisiologiche, come la registrazione video EEG o la polisonnografia, quando non è possibile
avere una descrizione dettagliata del fenomeno. Nelle epilessie frontali notturne la diagnosi differenziale con le
parasonnie ed in particolare con i disturbi dell’arousal (DOA) può essere difficile perché i pattern comportamentali sono
simili, gli elementi semiologici soggettivi sono assenti (o riferiti dai genitori) e i tools diagnostici attuali non sono
completamente validi.
Tuttavia alcuni segni semeiologici permettono di orientarci verso l’una o l’altra diagnosi:
a)
in genere i DOA iniziano nella prima infanzia, sono poco stereotipati, raramente associati con la sonnolenza,
scompaiono dopo la pubertà e avvengono prevalentemente nel sonno profondo nella prima parte della notte;
b)
gli eventi epilettici notturni invece possono presentarsi più volte nella notte, sono stereotipati, si associano
anomalie EEG (non sempre!), persistono anche dopo la pubertà, avvengono prevalentemente in stadio 2 NREM.
E’ importante sottolineare che questi eventi sono spesso valutati da pediatri neurologi da un punto di vista esclusivamente
epilettologico che è molto diverso da quello ipnologico. Il diverso approccio si basa sulle diverse conoscenze della
struttura del sonno e dei meccanismi del sonno. L’ipnologo cerca di chiarire i meccanismi intrinseci del sonno che
determinano gli eventi parossistici attraverso l'analisi della microstruttura del sonno e dei processi di attivazione delle
anomalie epilettiche. In questa prospettiva, gli eventi parossistici possono essere visti come la conseguenza di una
alterazione della struttura del sonno che facilita l’insorgenza della manifestazione parossistica. L’instabilità dell’attività
elettrica nel sonno NREM si traduce in un aumento degli eventi fasici in sonno che si presentano in maniera più frequente
e con un intervallo di tempo inferiore fra di loro immediatamente prima dell’episodio. In pratica prima di un qualsiasi
evento epilettico in sonno si determina un aumento della frequenza delle oscillazioni dei pattern tipici di quella fase del
sonno (delta bursts, K complexes, spindles) rappresentato anche da un alto numero di micro-arousal nel sonno NREM che
facilita l’insorgenza dell’evento parossistico.
1
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La sincope in età pediatrica
La sincope in età pediatrica
Savasta S.
Dipartimento Materno-Infantile, U.O. Pediatria, Fondazione IRCCS San Matteo, Pavia.
Savasta S.
Dipartimento Materno-Infantile, U.O. Pediatria, Fondazione IRCCS San Matteo, Pavia.
Dinanzi ad un soggetto in età pediatrica e con disturbo acuto della coscienza è opportuno interrogarsi se l’evento sia
attribuibile a sincope o ad altre cause, se sia presente una cardiopatia sottostante o se dall’anamnesi emergono quadri
clinici che suggeriscano una diagnosi. L’iniziale valutazione clinica dovrebbe comprendere: una buona anamnesi, l’esame
fisico del bimbo, la misurazione della pressione arteriosa in clino e ortostatismo, e l’esecuzione di un ECG completo a 12
derivazioni. Sulla base dei dati ottenuti con questa prima valutazione è possibile giungere a una diagnosi eziologia fino
nell’85% dei casi. Nell’inquadramento dell’evento critico è importante valutare le circostanze in cui esso si verifica e gli
eventi e i sintomi che lo precedono. Inoltre, oltre al tipo di manifestazione critica, è necessario valutare la durata di essa, il
tempo di ripresa , le eventuali sequele neurologiche e se è stata necessaria una rianimazione cardiopolmonare per il
risveglio.
Per sincope si intende una perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale da anossia cerebrale acuta
e diffusa. Essa può essere preceduta da sintomi prodromici riferibili ad iniziale anossia cerebrale e in genere il recupero è
rapido e spontaneo. Si tratta di un problema clinico comune in età pediatrica, che colpisce circa il 5-25% dei soggetti
almeno una volta prima dell’adolescenza ,con un picco tra 9-15 anni. La sintomatologia associata alla sincope è
strettamente legata all’entità e alla rapidità con cui avviene la caduta pressoria, oltre alla durata dell’ipoperfusione
cerebrale. A seconda del meccanismo scatenante, le sincopi possono esse distinte in: neuromediate (s. vasovagale, da
stress, riflessa, spasmi affettivi, nevralgia trigeminale..), ortostatiche (ipotensione ortostatica idiopatica, ipovolemia
cronica, insufficienza neurovegetativa da farmaci o alcol..), cardiache (stenosi valvolari, cardiomiopatie e cardiopatie
congenite,disturbi del ritmo/ conduzione sia ipo che ipercinetici) e cerebrovascolari (drop attacks,embolie, trombosi..).
Utile è l’inquadramento diagnostico seguendo linee guida che consentono un migliore approccio al problema dopo
precisa anamnesi ed esami mirati.
Dinanzi ad un soggetto in età pediatrica e con disturbo acuto della coscienza è opportuno interrogarsi se l’evento sia
attribuibile a sincope o ad altre cause, se sia presente una cardiopatia sottostante o se dall’anamnesi emergono quadri
clinici che suggeriscano una diagnosi. L’iniziale valutazione clinica dovrebbe comprendere: una buona anamnesi, l’esame
fisico del bimbo, la misurazione della pressione arteriosa in clino e ortostatismo, e l’esecuzione di un ECG completo a 12
derivazioni. Sulla base dei dati ottenuti con questa prima valutazione è possibile giungere a una diagnosi eziologia fino
nell’85% dei casi. Nell’inquadramento dell’evento critico è importante valutare le circostanze in cui esso si verifica e gli
eventi e i sintomi che lo precedono. Inoltre, oltre al tipo di manifestazione critica, è necessario valutare la durata di essa, il
tempo di ripresa , le eventuali sequele neurologiche e se è stata necessaria una rianimazione cardiopolmonare per il
risveglio.
Per sincope si intende una perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale da anossia cerebrale acuta
e diffusa. Essa può essere preceduta da sintomi prodromici riferibili ad iniziale anossia cerebrale e in genere il recupero è
rapido e spontaneo. Si tratta di un problema clinico comune in età pediatrica, che colpisce circa il 5-25% dei soggetti
almeno una volta prima dell’adolescenza ,con un picco tra 9-15 anni. La sintomatologia associata alla sincope è
strettamente legata all’entità e alla rapidità con cui avviene la caduta pressoria, oltre alla durata dell’ipoperfusione
cerebrale. A seconda del meccanismo scatenante, le sincopi possono esse distinte in: neuromediate (s. vasovagale, da
stress, riflessa, spasmi affettivi, nevralgia trigeminale..), ortostatiche (ipotensione ortostatica idiopatica, ipovolemia
cronica, insufficienza neurovegetativa da farmaci o alcol..), cardiache (stenosi valvolari, cardiomiopatie e cardiopatie
congenite,disturbi del ritmo/ conduzione sia ipo che ipercinetici) e cerebrovascolari (drop attacks,embolie, trombosi..).
Utile è l’inquadramento diagnostico seguendo linee guida che consentono un migliore approccio al problema dopo
precisa anamnesi ed esami mirati.
Discinesie parossistiche non epilettiche
Discinesie parossistiche non epilettiche
Veggiotti P.
Dipartimento di Sanità Pubblica e Neuroscienze, Univesrità di Pavia
Veggiotti P.
Dipartimento di Sanità Pubblica e Neuroscienze, Univesrità di Pavia
Abstract non pervenuto
Abstract non pervenuto
Sindromi periodiche
Sindromi periodiche
Verrotti A.
Dipartimento di Medicina e Scienze dell’invecchiamento, Università di Chieti-Pescara
Verrotti A.
Dipartimento di Medicina e Scienze dell’invecchiamento, Università di Chieti-Pescara
Abstract non pervenuto
Abstract non pervenuto
2
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TRAINING COURSE - Sala TORNADO
TRAINING COURSE - Sala TORNADO
PATOLOGIA CEREBELLARE: GENETICA, CLINICA E COGNITION
PATOLOGIA CEREBELLARE: GENETICA, CLINICA E COGNITION
Riva D.* (Milano)
Riva D.* (Milano)
D’Arrigo S.* (Milano)
D’Arrigo S.* (Milano)
Valente EM.** (Roma)
Valente EM.** (Roma)
* U.O. Neurologia dello Sviluppo, Irccs Fondazione Istituto Neurologico C. Besta, Milano
**Unita' Neurogenetica, Istituto C.S.S. Mendel, Roma
* U.O. Neurologia dello Sviluppo, Irccs Fondazione Istituto Neurologico C. Besta, Milano
**Unita' Neurogenetica, Istituto C.S.S. Mendel, Roma
Scopo del Corso: 1) conoscere le basi genetiche della patologia con coinvolgimento cerebellare; 2) acquisire gli elementi
necessari per effettuare una corretta diagnosi differenziale fra le condizioni neurologiche caratterizzate da alterazioni
cerebellari sia in ambito lesionale che malformativo e metabolico-degenerativo; 3) conoscere il contributo del cervelletto
al funzionamento cognitivo ed emozionale e quindi i diversi fenotipi cognitivo\comportamentali causati da patologie
neuro pediatriche a diversa localizzazione cerebellare.
Riassunto esaustivo del contenuto del Corso: il cervelletto è frequentemente coinvolto in numerose patologie
neurologiche infantili. Questo frequente interessamento è legato al particolare processo di maturazione del cervelletto,
che a differenza di altre strutture del sistema nervoso centrale, inizia in una fase più tardiva dello sviluppo fetale e si
protrae più a lungo nel tempo, anche dopo la nascita. Questo prolungato periodo di sviluppo renderebbe quindi il
cervelletto un’area particolarmente vulnerabile nei confronti di un’ampia gamma di fattori lesivi. Il coinvolgimento
cerebellare può presentarsi in forma isolata, come parte di un quadro malformativo piu’ complesso della fossa cranica
posteriore o essere associato ad altre anomalie sovratentoriali. Tali situazioni possono riscontrarsi sia in quadri di
encefalopatia “statica”, lesionale o malformativa geneticamente determinata, sia in patologie neurodegenerative e
disordini neuro metabolici, anch’esse su base genetica. Da un punto di vista anatomico le anomalie cerebellari possono
coinvolgere diversi distretti: il verme cerebellare, in una sua porzione o nella sua interezza, gli emisferi cerebellari, uni- o
bi-lateralmente, oppure riguardare il cervelletto in toto: distinguere queste diverse forme è importante perché queste a
volte caratterizzano in modo specifico patologie diverse. A carico dei diversi distretti anatomici si può riscontrare un
quadro di ipoplasia, legato a un ridotto numero di cellule di dimensioni adeguate, di displasia, dovuto all’assenza di parte
della struttura cerebellare o ad un disturbo di migrazione neurale cerebellare, di atrofia, dovuto a una progressiva
deplezione cellulare. Queste condizioni si caratterizzano, dal punto di vista clinico, per la presenza di segni e sintomi
secondari all’interessamento cerebellare, associati nella maggior parte dei casi a ritardo psicomotorio o deficit intellettivo.
Studi neuropsicologici eseguiti su bambini affetti da quadri malformativi cerebellari congeniti hanno dimostrato in questi
pazienti un deficit cognitivo marcato, con un profilo intellettivo disarmonico alle scale di valutazione, per migliori
prestazioni nelle prove verbali rispetto alle prove non verbali. È inoltre noto e confermato da studi su pazienti adulti con
lesioni acquisite ma anche su bambini con lesioni congenite ed acquisite (tumori-stroke) l’importante ruolo del cervelletto
nell’acquisizione di alcune funzioni cognitive ed emotivo-relazionali, quali la pianificazione e l’organizzazione visuospaziale, il linguaggio, la memoria, l’attenzione, l’affettività.
Format del Corso: sono prevista tre relazioni di 15 minuti ciascuna dedicate a:
•
genetica
•
diagnosi differenziale e flow-chart diagnostica
•
aspetti i cognitivi-comportamentali
•
discussione finale
Scopo del Corso: 1) conoscere le basi genetiche della patologia con coinvolgimento cerebellare; 2) acquisire gli elementi
necessari per effettuare una corretta diagnosi differenziale fra le condizioni neurologiche caratterizzate da alterazioni
cerebellari sia in ambito lesionale che malformativo e metabolico-degenerativo; 3) conoscere il contributo del cervelletto
al funzionamento cognitivo ed emozionale e quindi i diversi fenotipi cognitivo\comportamentali causati da patologie
neuro pediatriche a diversa localizzazione cerebellare.
Riassunto esaustivo del contenuto del Corso: il cervelletto è frequentemente coinvolto in numerose patologie
neurologiche infantili. Questo frequente interessamento è legato al particolare processo di maturazione del cervelletto,
che a differenza di altre strutture del sistema nervoso centrale, inizia in una fase più tardiva dello sviluppo fetale e si
protrae più a lungo nel tempo, anche dopo la nascita. Questo prolungato periodo di sviluppo renderebbe quindi il
cervelletto un’area particolarmente vulnerabile nei confronti di un’ampia gamma di fattori lesivi. Il coinvolgimento
cerebellare può presentarsi in forma isolata, come parte di un quadro malformativo piu’ complesso della fossa cranica
posteriore o essere associato ad altre anomalie sovratentoriali. Tali situazioni possono riscontrarsi sia in quadri di
encefalopatia “statica”, lesionale o malformativa geneticamente determinata, sia in patologie neurodegenerative e
disordini neuro metabolici, anch’esse su base genetica. Da un punto di vista anatomico le anomalie cerebellari possono
coinvolgere diversi distretti: il verme cerebellare, in una sua porzione o nella sua interezza, gli emisferi cerebellari, uni- o
bi-lateralmente, oppure riguardare il cervelletto in toto: distinguere queste diverse forme è importante perché queste a
volte caratterizzano in modo specifico patologie diverse. A carico dei diversi distretti anatomici si può riscontrare un
quadro di ipoplasia, legato a un ridotto numero di cellule di dimensioni adeguate, di displasia, dovuto all’assenza di parte
della struttura cerebellare o ad un disturbo di migrazione neurale cerebellare, di atrofia, dovuto a una progressiva
deplezione cellulare. Queste condizioni si caratterizzano, dal punto di vista clinico, per la presenza di segni e sintomi
secondari all’interessamento cerebellare, associati nella maggior parte dei casi a ritardo psicomotorio o deficit intellettivo.
Studi neuropsicologici eseguiti su bambini affetti da quadri malformativi cerebellari congeniti hanno dimostrato in questi
pazienti un deficit cognitivo marcato, con un profilo intellettivo disarmonico alle scale di valutazione, per migliori
prestazioni nelle prove verbali rispetto alle prove non verbali. È inoltre noto e confermato da studi su pazienti adulti con
lesioni acquisite ma anche su bambini con lesioni congenite ed acquisite (tumori-stroke) l’importante ruolo del cervelletto
nell’acquisizione di alcune funzioni cognitive ed emotivo-relazionali, quali la pianificazione e l’organizzazione visuospaziale, il linguaggio, la memoria, l’attenzione, l’affettività.
Format del Corso: sono prevista tre relazioni di 15 minuti ciascuna dedicate a:
•
genetica
•
diagnosi differenziale e flow-chart diagnostica
•
aspetti i cognitivi-comportamentali
•
discussione finale
3
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TRAINING COURSE - Sala MUSTANG
TRAINING COURSE - Sala MUSTANG
I DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE
I DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE
Albizzati A.* (Milano)
Albizzati A.* (Milano)
Cantini F. (Milano)
Cantini F. (Milano)
Maestro S.*** (Pisa)
Maestro S.*** (Pisa)
Martinetti MG.** (Firenze)
Martinetti MG.** (Firenze)
*Servizio per i Disturbi Alimentari in Età Evolutiva , Ospedale Universitario San Paolo,
Milano.
**Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università di Firenze, SODc di
NPI, Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi, Firenze
*** Dip. Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università di
Pisa
*Servizio per i Disturbi Alimentari in Età Evolutiva , Ospedale Universitario San Paolo,
Milano.
**Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università di Firenze, SODc di
NPI, Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi, Firenze
*** Dip. Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università di
Pisa
Il corso si propone di introdurre l’approccio ai Disturbi della condotta alimentare in età evolutiva affrontando
sostanzialmente 3 tipi di problemi:
Il corso si propone di introdurre l’approccio ai Disturbi della condotta alimentare in età evolutiva affrontando
sostanzialmente 3 tipi di problemi:
1)
La specificità del disturbo alimentare in età evolutiva rispetto all’età adulta (manifestazioni cliniche e
impatto sulla famiglia) ) e in che modo tale specificità deve “in-formare” un servizio specialistico (requisiti specifici di
un servizio multidisciplinare dedicato)
2)
Le linee guida per l'intervento sui DCA in età volutiva, considerando la correlazione tra sintomatologia,
aspetti psicopatologici, personalizzazione e integrazione dei del progetto terapeutico con particolare attenzione al
coinvolgimento della famiglia nella presa in carico
3)
La costruzione dell’albero decisionale per la valutazione dei livelli dell’invio.
1)
La specificità del disturbo alimentare in età evolutiva rispetto all’età adulta (manifestazioni cliniche e
impatto sulla famiglia) ) e in che modo tale specificità deve “in-formare” un servizio specialistico (requisiti specifici di
un servizio multidisciplinare dedicato)
2)
Le linee guida per l'intervento sui DCA in età volutiva, considerando la correlazione tra sintomatologia,
aspetti psicopatologici, personalizzazione e integrazione dei del progetto terapeutico con particolare attenzione al
coinvolgimento della famiglia nella presa in carico
3)
La costruzione dell’albero decisionale per la valutazione dei livelli dell’invio.
4
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TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
PSICOTERAPIA ISTITUZIONALE: TEORIA E APPLICAZIONI PRATICHE IN
PSICHIATRIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA
PSICOTERAPIA ISTITUZIONALE: TEORIA E APPLICAZIONI PRATICHE IN
PSICHIATRIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA
Rigon G.* (Bologna)
Rigon G.* (Bologna)
Costa S.** (Bologna)
Costa S.** (Bologna)
* Coordinatore Sezione Psichiatria SINPIA
** UOS Psichiatria e Psicoterapia Età Evolutiva, Area NPIA, DSM-DP Bologna
* Coordinatore Sezione Psichiatria SINPIA
** UOS Psichiatria e Psicoterapia Età Evolutiva, Area NPIA, DSM-DP Bologna
Scopo del Corso: vengono presentati gli elementi teorici e di applicazione pratica che caratterizzano la psicoterapia
istituzionale a partire dalla storia delle Comunità Terapeutiche, che della psicoterapia istituzionale hanno rappresentato il
luogo della pratica e dello sviluppo delle tecniche. Viene discusso il concetto di intervento integrato, anche attraverso la
discussione un esempio clinico, con particolare riferimento a ciò che lo caratterizza rispetto all’intervento plurifocale.
Riassunto esaustivo del contenuto del Corso: vengono tratteggiati gli elementi costitutivi del lavoro terapeutico
istituzionale attraverso l’analisi delle strutture intermedie ad ambizione terapeutica, a partire dall’evoluzione storica di
questo concetto. In particolare vengono esaminati i modelli di funzionamento ed alcuni dati di casistica di due strutture
intermedie:
- Centro Semiresidenziale è una struttura ad “alta densità terapeutica”, punto di aggregazione clinica ed organizzativa che
opera in rete, al servizio delle strutture territoriali. Il trattamento è volto a ottenere, in tempi definiti, cambiamenti stabili
nella struttura di personalità dell’utente e quindi un suo concreto miglioramento nella qualità di vita e nelle relazioni con
se stesso e con l’ambiente. Per poter ottenere un obiettivo così ambizioso, in un limite di tempo circoscritto e definito, è
necessario orientarsi verso una terapia focale ed un forte investimento di figure professionali che operino su diversi ambiti
in maniera integrata.
Il lavoro terapeutico istituzionale prevede l’interazione di diversi aspetti:
1.
Intervento educativo finalizzato a migliorare l’autonomia, ad aumentare le capacità relazionali, la tolleranza
alla frustrazione e il controllo delle proprie reazioni rispetto ad essa.
2.
Colloqui individuali ad indirizzo psicodinamico.
3.
A metà strada fra l’intervento educativo e quello psicoterapico: psicomotricità, musicoterapia ed arteterapia.
4.
Un intervento di sostegno è offerto a tutte le famiglie; talvolta questo si struttura come una vera e propria
psicoterapia.
Elementi peculiari della modalità di lavoro e fattori terapeutici:
·
valutazione diagnostica approfondita per progetto terapeutico individualizzato condiviso con identificazione
delle potenzialità di ogni ragazzo.
·
La crisi considerata come momento di particolare significato clinico e comunicativo
·
Un forte investimento in termini di tempo e risorse dedicato al confronto fra operatori, supervisione e
formazione.
Day Hospital, accoglie le situazioni urgenti di psichiatria dell’età evolutiva. Il modello di trattamento prevede diversi tipi
di intervento: colloqui psicoterapici con bambino, con i genitori o con l’intero nucleo familiare; interventi farmacologici,
educativi e sociali, realizzando così un intervento integrato. Viene riservata grande attenzione alla costruzione di una
alleanza di lavoro mediante la condivisione di obiettivi specifici. Un ulteriore elemento caratteristico è il forte
investimento che viene attuato dall’intera équipe rispetto alla ripresa del percorso evolutivo. L’esperienza maturata in
questi anni di lavoro di educatori e dell’infermiera, appositamente formati, con i casi urgenti in psichiatria
dell’adolescente ha permesso di evidenziare la grande importanza terapeutica del lavoro degli educatori presso il nostro
Day Hospital. Innanzitutto allo spazio educativo, concepito come luogo accogliente, informale, non giudicante, di
sostegno e non prescrittivi. A qu
esto si deve gran parte degli agganci positivi dei ragazzi più in difficoltà. Fondamentale è la capacità di ascolto del
paziente e del suo ambiente e parallelamente la capacità di trasmettere comprensione ed accettazione.
Format del Corso:
presentazione power-point
suddivisione sequenziale di più interventi (prima parte generale teorica, seconda parte sui modelli di
intervento)
presentazione di un caso clinico
discussione
Scopo del Corso: vengono presentati gli elementi teorici e di applicazione pratica che caratterizzano la psicoterapia
istituzionale a partire dalla storia delle Comunità Terapeutiche, che della psicoterapia istituzionale hanno rappresentato il
luogo della pratica e dello sviluppo delle tecniche. Viene discusso il concetto di intervento integrato, anche attraverso la
discussione un esempio clinico, con particolare riferimento a ciò che lo caratterizza rispetto all’intervento plurifocale.
Riassunto esaustivo del contenuto del Corso: vengono tratteggiati gli elementi costitutivi del lavoro terapeutico
istituzionale attraverso l’analisi delle strutture intermedie ad ambizione terapeutica, a partire dall’evoluzione storica di
questo concetto. In particolare vengono esaminati i modelli di funzionamento ed alcuni dati di casistica di due strutture
intermedie:
- Centro Semiresidenziale è una struttura ad “alta densità terapeutica”, punto di aggregazione clinica ed organizzativa che
opera in rete, al servizio delle strutture territoriali. Il trattamento è volto a ottenere, in tempi definiti, cambiamenti stabili
nella struttura di personalità dell’utente e quindi un suo concreto miglioramento nella qualità di vita e nelle relazioni con
se stesso e con l’ambiente. Per poter ottenere un obiettivo così ambizioso, in un limite di tempo circoscritto e definito, è
necessario orientarsi verso una terapia focale ed un forte investimento di figure professionali che operino su diversi ambiti
in maniera integrata.
Il lavoro terapeutico istituzionale prevede l’interazione di diversi aspetti:
1.
Intervento educativo finalizzato a migliorare l’autonomia, ad aumentare le capacità relazionali, la tolleranza
alla frustrazione e il controllo delle proprie reazioni rispetto ad essa.
2.
Colloqui individuali ad indirizzo psicodinamico.
3.
A metà strada fra l’intervento educativo e quello psicoterapico: psicomotricità, musicoterapia ed arteterapia.
4.
Un intervento di sostegno è offerto a tutte le famiglie; talvolta questo si struttura come una vera e propria
psicoterapia.
Elementi peculiari della modalità di lavoro e fattori terapeutici:
·
valutazione diagnostica approfondita per progetto terapeutico individualizzato condiviso con identificazione
delle potenzialità di ogni ragazzo.
·
La crisi considerata come momento di particolare significato clinico e comunicativo
·
Un forte investimento in termini di tempo e risorse dedicato al confronto fra operatori, supervisione e
formazione.
Day Hospital, accoglie le situazioni urgenti di psichiatria dell’età evolutiva. Il modello di trattamento prevede diversi tipi
di intervento: colloqui psicoterapici con bambino, con i genitori o con l’intero nucleo familiare; interventi farmacologici,
educativi e sociali, realizzando così un intervento integrato. Viene riservata grande attenzione alla costruzione di una
alleanza di lavoro mediante la condivisione di obiettivi specifici. Un ulteriore elemento caratteristico è il forte
investimento che viene attuato dall’intera équipe rispetto alla ripresa del percorso evolutivo. L’esperienza maturata in
questi anni di lavoro di educatori e dell’infermiera, appositamente formati, con i casi urgenti in psichiatria
dell’adolescente ha permesso di evidenziare la grande importanza terapeutica del lavoro degli educatori presso il nostro
Day Hospital. Innanzitutto allo spazio educativo, concepito come luogo accogliente, informale, non giudicante, di
sostegno e non prescrittivi. A qu
esto si deve gran parte degli agganci positivi dei ragazzi più in difficoltà. Fondamentale è la capacità di ascolto del
paziente e del suo ambiente e parallelamente la capacità di trasmettere comprensione ed accettazione.
Format del Corso:
presentazione power-point
suddivisione sequenziale di più interventi (prima parte generale teorica, seconda parte sui modelli di
intervento)
presentazione di un caso clinico
discussione
5
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VENERDI’ 13 MAGGIO 2011
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011
08.00 – 09.00 SESSIONE PARALLELA 2
08.00 – 09.00 SESSIONE PARALLELA 2
MEET THE EXPERTS – Sala MUSTANG
MEET THE EXPERTS – Sala MUSTANG
VACCINAZIONI E MALATTIE NEUROPSICHICHE IN ETÀ EVOLUTIVA
VACCINAZIONI E MALATTIE NEUROPSICHICHE IN ETÀ EVOLUTIVA
Paolo Balestri (Siena)
Dario Pruna (Cagliari)
Paolo Balestri (Siena)
Dario Pruna (Cagliari)
Vaccinazioni ed epilessia
Vaccinazioni ed epilessia
Pruna D.
Unità di Epilettologia Clinica di NPI, Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari
Pruna D.
Unità di Epilettologia Clinica di NPI, Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari
La LICE ha istituito un gruppo di studio su Epilessia e Vaccinazioni, da me coordinato, in cui sono coinvolte diverse
società scientifiche con lo scopo di arrivare alla formulazione delle Linee Guida (LG) su Epilessia (E) e Vaccinazioni (V),
in modo da fornire indicazioni omogenee riguardo le controindicazioni e i rischi della pratica vaccinica nei soggetti con
epilessia. La letteratura scientifica è stata esaminata consultando fonti terziarie (banche dati di linee-guida), secondarie
(Cochrane Library) e primarie (Medline). Per la valutazione della letteratura sono state utilizzate le Scottish
Intercollegiate Guidelines (SIGN 50) che forniscono uno strumento di valutazione standardizzato evidenziando gli
elementi chiave necessari per la stesura di ogni tipo di LG. E’ stato consultato il manuale metodologico del Programma
Nazionale per le Linee Guida (PNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità. La letteratura che tratta i rapporti fra vaccinazioni
ed epilessia è in larga parte costituita da serie di casi clinici, studi osservazionali o analisi retrospettive mentre sono
molto carenti ricerche basate sulla randomizzazione in cieco. E’ stata effettuata una revisione completa della letteratura
impiegando quando possibile criteri predefiniti per la selezione degli articoli (SIGN 50 checklist) ma valutando anche
gli altri studi al fine di stilare le raccomandazioni finali. Benche’ molti siano gli aspetti da prendere in considerazione, le
raccomandazioni della Task force si sono focalizzate sulle seguenti questioni principali alle quali rispondere sulla base
della analisi della letteratura consultata :
1.D: Le vaccinazioni possono causare convulsioni febbrili ?
1.R: SI, le vaccinazioni DTP , MMR, MMRV possono provocare determinare rialzo termico e CF
2.D: Le eventuali CF indotte dal rialzo termico associato alla vaccinazione sono diverse dalle dalle altre CF ?
2.R: NO
3.D: Le eventuali CF indotte dal rialzo termico associato alla vaccinazione possono evolvere verso una epilessia o una
specfica sindrome epilettica in misura differente dalle altre CF?
3.R: NO
4.D : Le vaccinazioni possono causare convulsioni afebbrili ?
4.R : NO
I dati provenienti dalla letteratura permettono di escludere una associazione causa-effetto fra vaccinazioni e crisi
convulsive/epilessia, pertanto è possibile fornire risposte ai quesiti seguenti :
5.D: Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti con CF?
5. R: Non esistono lavori specificamente indirizzati che dimostrino una maggior rischio di CF indotte dalla vaccinazione
in pazienti gia’ affetti da tale patologia. Pertanto, pur consapevoli che alcune vaccinazioni possono indurre un maggior
rischio di CF, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da CF né è
giustificato non vaccinare soggetti sani per timore della insorgenza di CF
soprattutto tenendo conto del rapporto rischio/beneficio derivante dalla vaccinazione stessa
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
6.D: Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti affetti da epilessia idiopatica o sintomatica non progressiva?
6.R: Non esistono lavori che dimostrino una maggior rischio di epilessia indotta dalla vaccinazione.
Pertanto, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da epilessia né è
La LICE ha istituito un gruppo di studio su Epilessia e Vaccinazioni, da me coordinato, in cui sono coinvolte diverse
società scientifiche con lo scopo di arrivare alla formulazione delle Linee Guida (LG) su Epilessia (E) e Vaccinazioni (V),
in modo da fornire indicazioni omogenee riguardo le controindicazioni e i rischi della pratica vaccinica nei soggetti con
epilessia. La letteratura scientifica è stata esaminata consultando fonti terziarie (banche dati di linee-guida), secondarie
(Cochrane Library) e primarie (Medline). Per la valutazione della letteratura sono state utilizzate le Scottish
Intercollegiate Guidelines (SIGN 50) che forniscono uno strumento di valutazione standardizzato evidenziando gli
elementi chiave necessari per la stesura di ogni tipo di LG. E’ stato consultato il manuale metodologico del Programma
Nazionale per le Linee Guida (PNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità. La letteratura che tratta i rapporti fra vaccinazioni
ed epilessia è in larga parte costituita da serie di casi clinici, studi osservazionali o analisi retrospettive mentre sono
molto carenti ricerche basate sulla randomizzazione in cieco. E’ stata effettuata una revisione completa della letteratura
impiegando quando possibile criteri predefiniti per la selezione degli articoli (SIGN 50 checklist) ma valutando anche
gli altri studi al fine di stilare le raccomandazioni finali. Benche’ molti siano gli aspetti da prendere in considerazione, le
raccomandazioni della Task force si sono focalizzate sulle seguenti questioni principali alle quali rispondere sulla base
della analisi della letteratura consultata :
1.D: Le vaccinazioni possono causare convulsioni febbrili ?
1.R: SI, le vaccinazioni DTP , MMR, MMRV possono provocare determinare rialzo termico e CF
2.D: Le eventuali CF indotte dal rialzo termico associato alla vaccinazione sono diverse dalle dalle altre CF ?
2.R: NO
3.D: Le eventuali CF indotte dal rialzo termico associato alla vaccinazione possono evolvere verso una epilessia o una
specfica sindrome epilettica in misura differente dalle altre CF?
3.R: NO
4.D : Le vaccinazioni possono causare convulsioni afebbrili ?
4.R : NO
I dati provenienti dalla letteratura permettono di escludere una associazione causa-effetto fra vaccinazioni e crisi
convulsive/epilessia, pertanto è possibile fornire risposte ai quesiti seguenti :
5.D: Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti con CF?
5. R: Non esistono lavori specificamente indirizzati che dimostrino una maggior rischio di CF indotte dalla vaccinazione
in pazienti gia’ affetti da tale patologia. Pertanto, pur consapevoli che alcune vaccinazioni possono indurre un maggior
rischio di CF, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da CF né è
giustificato non vaccinare soggetti sani per timore della insorgenza di CF
soprattutto tenendo conto del rapporto rischio/beneficio derivante dalla vaccinazione stessa
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
6.D: Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti affetti da epilessia idiopatica o sintomatica non progressiva?
6.R: Non esistono lavori che dimostrino una maggior rischio di epilessia indotta dalla vaccinazione.
Pertanto, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da epilessia né è
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giustificato non vaccinare soggetti sani per timore della insorgenza di crisi epilettiche
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
D : Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti affetti da encefalopatia epilettica o specificiche sindromi epilettiche
genetiche con crisi suscettibili alla febbre (S Dravet)?
R: Non esistono lavori che dimostrino una maggior rischio di encefalopatie epilettiche indotte dalla vaccinazione.
Alcune encefalopatie ritenute post vacciniche possono, al contrario trovare la loro genesi in una specfica mutazione
genetica e pertanto avere una diversa eziopatogenesi . Allo stato delle conoscenze, le vaccinazioni non appaiono in grado
di modificare in senso peggiorativo l’evoluzione della S di Dravet
Pertanto, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da encefalopatie
epilettiche o S di Dravet ( con nota).
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
giustificato non vaccinare soggetti sani per timore della insorgenza di crisi epilettiche
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
D : Esistono controindicazioni a vaccinare soggetti affetti da encefalopatia epilettica o specificiche sindromi epilettiche
genetiche con crisi suscettibili alla febbre (S Dravet)?
R: Non esistono lavori che dimostrino una maggior rischio di encefalopatie epilettiche indotte dalla vaccinazione.
Alcune encefalopatie ritenute post vacciniche possono, al contrario trovare la loro genesi in una specfica mutazione
genetica e pertanto avere una diversa eziopatogenesi . Allo stato delle conoscenze, le vaccinazioni non appaiono in grado
di modificare in senso peggiorativo l’evoluzione della S di Dravet
Pertanto, si puo’ affermare che non esistono controindicazioni alla pratica vaccinica in soggetti affetti da encefalopatie
epilettiche o S di Dravet ( con nota).
CLASSE DI EVIDENZA: III FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE : A
Vaccinazioni e malattie neurologiche
Vaccinazioni e malattie neurologiche
Balestri P.
Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Univesità di Siena
Balestri P.
Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Univesità di Siena
Abstract non pervenuto
Abstract non pervenuto
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TRAINING COURSE – Sala CONCORDE
LA PSICOFARMACOLOGIA
COMPORTAMENTO
NEI
DISTURBI
TRAINING COURSE – Sala CONCORDE
GRAVI
ED
ACUTI
DEL
LA PSICOFARMACOLOGIA
COMPORTAMENTO
NEI
DISTURBI
GRAVI
ED
ACUTI
DEL
Maria Mucci (Pisa)
Maria Mucci (Pisa)
Annarita Milone (Pisa)
Annarita Milone (Pisa)
Dipartimento Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università
di Pisa
Dipartimento Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università
di Pisa
Mucci M.
Mucci M.
La gestione clinica delle urgenze psichiatriche in età evolutiva rappresenta ancora oggi un ambito scarsamente esplorato
sul piano clinico e metodologico, con una carenza di risposta organizzativa di servizi dedicati su tutto il territorio
nazionale. Gli utenti minorenni afferenti in condizione di urgenza psichiatrica alle strutture sanitarie rappresentano una
popolazione di particolare gravità clinica e di complessa gestione che richiede strutture specializzate e con standard di
eccellenza sanitaria articolate nella varietà di risposte necessarie.
In adolescenza si è assistito ad un rapido cambiamento delle problematiche psicopatologiche, con maggiori richieste in
“urgenza”, favorito anche dall’ utilizzo sempre più frequente di sostanze e alcool con maggiore espressione ed incidenza
di disturbi dirompenti del comportamento e stati di agitazione con esito in complessi quadri clinici con spesso associate
condotte violente etero dirette e/o auto dirette.
L’intervento farmacologico negli stati di scompenso comportamentale grave è molto importante e deriva da una attenta
valutazione clinica, sufficiente ad una prima collocazione del paziente all’interno di una categoria diagnostica (psicosi,
stato maniacale, disturbo della condotta, attacco di panico…) e da un piano di trattamento con lo scopo di migliorare
rapidamente la condizione del paziente per ricostituirne l’equilibrio. E’ indicato quando è presente una intensità tale della
crisi di agitazione /aggressività da non permettere altre strategie di contenimento verbale e solo dopo il fallimento di
queste. L’obiettivo del trattamento è “tranquillizzare” il più rapidamente possibile il paziente riducendo il rischio di atti
violenti, auto ed etero lesivi senza deprimere lo stato di coscienza in modo pericoloso. La psicofarmacoterapia ha sempre,
anche e soprattutto in urgenza, una serie di implicazioni specifiche che coinvolgono il rapporto del soggetto con il
farmaco, con il proprio disturbo, con il proprio corpo, con la propria mente, con il medico.
In tale corso verranno affrontate le prevalenti problematiche inerenti la gestione psicofarmacologica dei disturbi gravi e
acuti del comportamento in età evolutiva.
La gestione clinica delle urgenze psichiatriche in età evolutiva rappresenta ancora oggi un ambito scarsamente esplorato
sul piano clinico e metodologico, con una carenza di risposta organizzativa di servizi dedicati su tutto il territorio
nazionale. Gli utenti minorenni afferenti in condizione di urgenza psichiatrica alle strutture sanitarie rappresentano una
popolazione di particolare gravità clinica e di complessa gestione che richiede strutture specializzate e con standard di
eccellenza sanitaria articolate nella varietà di risposte necessarie.
In adolescenza si è assistito ad un rapido cambiamento delle problematiche psicopatologiche, con maggiori richieste in
“urgenza”, favorito anche dall’ utilizzo sempre più frequente di sostanze e alcool con maggiore espressione ed incidenza
di disturbi dirompenti del comportamento e stati di agitazione con esito in complessi quadri clinici con spesso associate
condotte violente etero dirette e/o auto dirette.
L’intervento farmacologico negli stati di scompenso comportamentale grave è molto importante e deriva da una attenta
valutazione clinica, sufficiente ad una prima collocazione del paziente all’interno di una categoria diagnostica (psicosi,
stato maniacale, disturbo della condotta, attacco di panico…) e da un piano di trattamento con lo scopo di migliorare
rapidamente la condizione del paziente per ricostituirne l’equilibrio. E’ indicato quando è presente una intensità tale della
crisi di agitazione /aggressività da non permettere altre strategie di contenimento verbale e solo dopo il fallimento di
queste. L’obiettivo del trattamento è “tranquillizzare” il più rapidamente possibile il paziente riducendo il rischio di atti
violenti, auto ed etero lesivi senza deprimere lo stato di coscienza in modo pericoloso. La psicofarmacoterapia ha sempre,
anche e soprattutto in urgenza, una serie di implicazioni specifiche che coinvolgono il rapporto del soggetto con il
farmaco, con il proprio disturbo, con il proprio corpo, con la propria mente, con il medico.
In tale corso verranno affrontate le prevalenti problematiche inerenti la gestione psicofarmacologica dei disturbi gravi e
acuti del comportamento in età evolutiva.
Milone A.
Milone A.
I disturbi del comportamento sociale (descritti nei sistemi nosografici attuali come Disturbi della Condotta o Disturbi
Oppositori-Provocatori) rappresentano attualmente una delle nuove frontiere dell’emergenza sociale e clinica in età
evolutiva e costituiscono uno dei più frequenti motivi di consultazione nei servizi di psichiatria e di psicologia infantile. Il
notevole aumento che negli ultimi decenni ha avuto, anche in età pediatrica, l’incidenza della patologia psichiatrica in cui
l’aggressività è il sintomo preminente del quadro clinico, ha motivato un’intensa attività di ricerca in quest’area con
l’obiettivo di identificare le caratteristiche ed i meccanismi alla base di questa patologia comportamentale. Infatti, si è
cercato di identificare l’etiologia, i fattori di rischio, l’interferenza sui processi di sviluppo ed i percorsi evolutivi che
caratterizzano il Disturbo della Condotta (DC) e dei Disturbi oppositivo-provocatori (DOP) e negli ultimi dieci anni,
sono stati pubblicati molti lavori anche sul tema della prevenzione e dell’intervento terapeutico in queste patologie. In
particolare si sono dimostrati efficaci approcci terapeutici multidisciplinari che includono interventi psicoeducativi e
psicoterapici individuali e familiari e terapie farmacologiche. Vi sono molte evidenze cliniche che alcune categorie di
farmaci (antipsicotici atipici, modulatori dell’umore, stimolanti) possono incidere positivamente su aspetti specifici del
quadro clinico dei DC (condotte etero aggressive, impulsività, iperattività, instabilità del tono dell’umore) e ancor più
quando è presente una chiara comorbidità con una o più altre patologia psichiatrica (Disturbo dell’umore depressivo o
bipolare, Adhd).
Nello spazio del presente training course verranno discusse linee di indirizzo per il trattamento farmacologico dei DC e
DOP e discussi dati provenienti dalla gestione clinica di questi minori all’interno della Sezione diagnostica per i DC e del
Servizio di Trattamento per i DC dell’IRCCS Stella Maris.
I disturbi del comportamento sociale (descritti nei sistemi nosografici attuali come Disturbi della Condotta o Disturbi
Oppositori-Provocatori) rappresentano attualmente una delle nuove frontiere dell’emergenza sociale e clinica in età
evolutiva e costituiscono uno dei più frequenti motivi di consultazione nei servizi di psichiatria e di psicologia infantile. Il
notevole aumento che negli ultimi decenni ha avuto, anche in età pediatrica, l’incidenza della patologia psichiatrica in cui
l’aggressività è il sintomo preminente del quadro clinico, ha motivato un’intensa attività di ricerca in quest’area con
l’obiettivo di identificare le caratteristiche ed i meccanismi alla base di questa patologia comportamentale. Infatti, si è
cercato di identificare l’etiologia, i fattori di rischio, l’interferenza sui processi di sviluppo ed i percorsi evolutivi che
caratterizzano il Disturbo della Condotta (DC) e dei Disturbi oppositivo-provocatori (DOP) e negli ultimi dieci anni,
sono stati pubblicati molti lavori anche sul tema della prevenzione e dell’intervento terapeutico in queste patologie. In
particolare si sono dimostrati efficaci approcci terapeutici multidisciplinari che includono interventi psicoeducativi e
psicoterapici individuali e familiari e terapie farmacologiche. Vi sono molte evidenze cliniche che alcune categorie di
farmaci (antipsicotici atipici, modulatori dell’umore, stimolanti) possono incidere positivamente su aspetti specifici del
quadro clinico dei DC (condotte etero aggressive, impulsività, iperattività, instabilità del tono dell’umore) e ancor più
quando è presente una chiara comorbidità con una o più altre patologia psichiatrica (Disturbo dell’umore depressivo o
bipolare, Adhd).
Nello spazio del presente training course verranno discusse linee di indirizzo per il trattamento farmacologico dei DC e
DOP e discussi dati provenienti dalla gestione clinica di questi minori all’interno della Sezione diagnostica per i DC e del
Servizio di Trattamento per i DC dell’IRCCS Stella Maris.
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TRAINING COURSE – Sala TORNADO
TRAINING COURSE – Sala TORNADO
APPROCCI EVOLUTIVI NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO:
TED E DIR MODEL
APPROCCI EVOLUTIVI NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO:
TED E DIR MODEL
Tancredi R.* (Pisa)
Tancredi R.* (Pisa)
Monti A.** (Empoli)
Monti A.** (Empoli)
* Dip. Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università di Pisa
**U.O.C. Neuropsichiatria Infantile AUSL 11 Empoli
* Dip. Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris, Università di Pisa
**U.O.C. Neuropsichiatria Infantile AUSL 11 Empoli
Scopo
Il Corso intende descrivere il razionale scientifico, i principi generali , l’applicazione pratica degli approcci evolutivi
DIR e TED, approcci che sottolineano l’importanza di seguire ,nell’insegnamento di nuove competenze la sequenza dello
sviluppo infantile normale, per adeguare gli interventi abilitativi al normale processo di crescita del bambino. L’obiettivo
formativo generale è quello di fornire strumenti per la presa in carico precoce dei bambini con disturbo dello spettro
autistico, particolarmente necessari nei casi in cui siano attivati programmi di screening per l’individuazione di bambini a
rischio come nella regione Toscana .
Scopo
Il Corso intende descrivere il razionale scientifico, i principi generali , l’applicazione pratica degli approcci evolutivi
DIR e TED, approcci che sottolineano l’importanza di seguire ,nell’insegnamento di nuove competenze la sequenza dello
sviluppo infantile normale, per adeguare gli interventi abilitativi al normale processo di crescita del bambino. L’obiettivo
formativo generale è quello di fornire strumenti per la presa in carico precoce dei bambini con disturbo dello spettro
autistico, particolarmente necessari nei casi in cui siano attivati programmi di screening per l’individuazione di bambini a
rischio come nella regione Toscana .
Format del corso
Il corso si avvarrà di due presentazioni accompagnate da materiale video. Sarà distribuito materiale bibliografico
specifico
Format del corso
Il corso si avvarrà di due presentazioni accompagnate da materiale video. Sarà distribuito materiale bibliografico
specifico
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TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
COME STUDIARE UN’EPILESSIA GENETICA
COME STUDIARE UN’EPILESSIA GENETICA
Il genotipo – Mei D.* (Firenze)
Il genotipo – Mei D.* (Firenze)
Il fenotipo – Marini C.** (Firenze)
Il fenotipo – Marini C.** (Firenze)
* A.O.U. Ospedale pediatrico A. Meyer - Laboratorio di Neurogenetica – Firenze
** A.O.U. Ospedale pediatrico A. Meyer - Clinica di Neurologia Pediatrica – Firenze
* A.O.U. Ospedale pediatrico A. Meyer - Laboratorio di Neurogenetica – Firenze
** A.O.U. Ospedale pediatrico A. Meyer - Clinica di Neurologia Pediatrica – Firenze
Negli ultimi due decenni sono state acquisite notevoli conoscenze sul ruolo che diversi geni giocano nella epilessia.
Le epilessie genetiche includono sindromi benigne, con esordio ed evoluzione età dipendenti, in assenza di ritardo
mentale e prevalentemente associate a mutazioni di geni che codificano per componenti di canali ionici. Le epilessie
genetiche tuttavia includono anche le encefalopatie epilettiche (EE) caratterizzate da epilessia farmacoresistente ad
esordio precoce, ritardo mentale e normale risonanza magnetica dell’encefalo. Le EE sono più frequentemente associate a
geni che codificano per proteine la cui funzione non è chiara. Nella pratica clinica una tale suddivisione non è sempre
possibile, le indagini genetiche sono spesso complicate da difficili correlazioni fenotipo-genotipo. Un esempio classico è
rappresentato dalla sindrome di Dravet, un’encefalopatia epilettica associata a mutazioni del gene SCN1A che codifica
per la subunità a1 del canale del sodio. Mutazioni di SCN1A, causano anche fenotipi più lievi come l’epilessia
generalizzata con crisi febbrili plus. Ad origine genetica sono anche le epilessie associate a malformazioni dello sviluppo
corticale.
L’identificazione del gene malattia permette di: implementare test genetici nella routine diagnostica, migliorare le
correlazioni genotipo-fenotipo con identificazione di criteri diagnostici che consentono una diagnosi precoce e un
migliore management clinico, terapeutico e counselling genetico del paziente. Per le epilessie in cui non è noto il gene
malattia, l’arrayCGH potrebbe permettere di identificare regioni cromosomiche delete o duplicate comprendenti
potenziali geni candidati per l’epilessia. Pazienti con epilessia familiare possono essere studiati tramite analisi di linkage
o sequenziamento di una parte o dell’interno genoma per individuare il gene malattia di quella specifica famiglia e
possibilmente di altri pedigree con fenotipo simile.
Alla luce delle conoscenze attuali e delle metodiche di studio il corso prevede:
1)
Caratterizzazione del fenotipo:
a.
crisi, età di esordio, EEG
b.
pedigree per identificare il tipo di ereditarietà
c.
risonanza magnetica cranio-encefalo
d.
valutazione neuropsicologica
Negli ultimi due decenni sono state acquisite notevoli conoscenze sul ruolo che diversi geni giocano nella epilessia.
Le epilessie genetiche includono sindromi benigne, con esordio ed evoluzione età dipendenti, in assenza di ritardo
mentale e prevalentemente associate a mutazioni di geni che codificano per componenti di canali ionici. Le epilessie
genetiche tuttavia includono anche le encefalopatie epilettiche (EE) caratterizzate da epilessia farmacoresistente ad
esordio precoce, ritardo mentale e normale risonanza magnetica dell’encefalo. Le EE sono più frequentemente associate a
geni che codificano per proteine la cui funzione non è chiara. Nella pratica clinica una tale suddivisione non è sempre
possibile, le indagini genetiche sono spesso complicate da difficili correlazioni fenotipo-genotipo. Un esempio classico è
rappresentato dalla sindrome di Dravet, un’encefalopatia epilettica associata a mutazioni del gene SCN1A che codifica
per la subunità a1 del canale del sodio. Mutazioni di SCN1A, causano anche fenotipi più lievi come l’epilessia
generalizzata con crisi febbrili plus. Ad origine genetica sono anche le epilessie associate a malformazioni dello sviluppo
corticale.
L’identificazione del gene malattia permette di: implementare test genetici nella routine diagnostica, migliorare le
correlazioni genotipo-fenotipo con identificazione di criteri diagnostici che consentono una diagnosi precoce e un
migliore management clinico, terapeutico e counselling genetico del paziente. Per le epilessie in cui non è noto il gene
malattia, l’arrayCGH potrebbe permettere di identificare regioni cromosomiche delete o duplicate comprendenti
potenziali geni candidati per l’epilessia. Pazienti con epilessia familiare possono essere studiati tramite analisi di linkage
o sequenziamento di una parte o dell’interno genoma per individuare il gene malattia di quella specifica famiglia e
possibilmente di altri pedigree con fenotipo simile.
Alla luce delle conoscenze attuali e delle metodiche di studio il corso prevede:
1)
Caratterizzazione del fenotipo:
a.
crisi, età di esordio, EEG
b.
pedigree per identificare il tipo di ereditarietà
c.
risonanza magnetica cranio-encefalo
d.
valutazione neuropsicologica
2)
a.
b.
2)
a.
b.
Correlazioni fenotipo-genotipo:
test genetici per epilessie senza anomalie strutturali dell’encefalo (canali ionici e non)
test genetici per epilessie con malformazioni cerebrali
Correlazioni fenotipo-genotipo:
test genetici per epilessie senza anomalie strutturali dell’encefalo (canali ionici e non)
test genetici per epilessie con malformazioni cerebrali
3)
Studio di epilessie senza gene malattia incluso arrayCGH, analisi di linkage o sequenziamento di una parte o
dell’intero genoma.
3)
Studio di epilessie senza gene malattia incluso arrayCGH, analisi di linkage o sequenziamento di una parte o
dell’intero genoma.
10
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VENERDI’ 13 MAGGIO 2011
VENERDI’ 13 MAGGIO 2011
12.25 – 13.20 SESSIONE PARALLELA 3
12.25 – 13.20 SESSIONE PARALLELA 3
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
AUTISMO: LA GENETICA LASCIA SPAZIO ALL’AMBIENTE?
AUTISMO: LA GENETICA LASCIA SPAZIO ALL’AMBIENTE?
Agatino Battaglia (Pisa)
Antonio M. Persico (Roma)
Agatino Battaglia (Pisa)
Antonio M. Persico (Roma)
Eterogeneità eziologica nei disturbi dello spettro autistico.
Eterogeneità eziologica nei disturbi dello spettro autistico.
Battaglia A.
IRCCS Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva;
Division of Medical Genetics, Department of Pediatrics, University of Utah, SLC, USA
Battaglia A.
IRCCS Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva;
Division of Medical Genetics, Department of Pediatrics, University of Utah, SLC, USA
Vi è un'evidenza crescente che disturbi dello spettro autistico (ASDs) possono derivare da rare mutazioni altamente
penetranti e da alterazioni genomiche. La rarità di queste varianti e le diverse ottiche dei genetisti clinici e dei genetisti
ricercatori possono non facilitare la comprensione di quanti progressi siano stati compiuti nella definizione dell'eziologia
genetica dell'autismo. Vi è, infatti, nella comunità scientifica che si occupa della ricerca sull' autismo, l'idea che siano ad
oggi noti soltanto un modesto numero di loci per l'autismo. Ad una accurata revisione della letteratura scientifica
concernente la ricerca sull'autismo, abbiamo trovato dati su 99 geni malattia e 45 loci genomici riportati in soggetti con
ASD o comportamento autistico. Tali geni e loci sono tutti stati coinvolti nella disabilità intellettiva, indicando che queste
due condizioni condividono una comune base genetica. E' anche evidente una sovrapposizione genetica tra gli ASDs e
l'epilessia.
Queste caratteristiche mostrano che l'autismo non è una singola entità clinica, ma una manifestazione comportamentale di
decine o forse centinaia di disturbi genetici e genomici. L'aumentato riconoscimento dell'eterogeneità eziologica degli ASDs
espanderà il numero dei geni bersaglio per indagini neurobiologiche e potrà consentire lo sviluppo di una "pathway-based"
farmacoterapia. Infine, i dati sono fortemente a favore dell'impiego di DNA microarrays ad alta risoluzione e di whole-exome
e whole-genome sequencing quale approccio critico per identificare le cause genetiche degli ASDs.
Vi è un'evidenza crescente che disturbi dello spettro autistico (ASDs) possono derivare da rare mutazioni altamente
penetranti e da alterazioni genomiche. La rarità di queste varianti e le diverse ottiche dei genetisti clinici e dei genetisti
ricercatori possono non facilitare la comprensione di quanti progressi siano stati compiuti nella definizione dell'eziologia
genetica dell'autismo. Vi è, infatti, nella comunità scientifica che si occupa della ricerca sull' autismo, l'idea che siano ad
oggi noti soltanto un modesto numero di loci per l'autismo. Ad una accurata revisione della letteratura scientifica
concernente la ricerca sull'autismo, abbiamo trovato dati su 99 geni malattia e 45 loci genomici riportati in soggetti con
ASD o comportamento autistico. Tali geni e loci sono tutti stati coinvolti nella disabilità intellettiva, indicando che queste
due condizioni condividono una comune base genetica. E' anche evidente una sovrapposizione genetica tra gli ASDs e
l'epilessia.
Queste caratteristiche mostrano che l'autismo non è una singola entità clinica, ma una manifestazione comportamentale di
decine o forse centinaia di disturbi genetici e genomici. L'aumentato riconoscimento dell'eterogeneità eziologica degli ASDs
espanderà il numero dei geni bersaglio per indagini neurobiologiche e potrà consentire lo sviluppo di una "pathway-based"
farmacoterapia. Infine, i dati sono fortemente a favore dell'impiego di DNA microarrays ad alta risoluzione e di whole-exome
e whole-genome sequencing quale approccio critico per identificare le cause genetiche degli ASDs.
Persico A. M.
Area di Neurpsichiatria Infantile, Laboratorio di Psichiatria Molecolare e Neurogenetica,
Università Campus Bio-Medico, Roma.
Persico A. M.
Area di Neurpsichiatria Infantile, Laboratorio di Psichiatria Molecolare e Neurogenetica,
Università Campus Bio-Medico, Roma.
Il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) comprende un gruppo eterogeneo di patologie del neurosviluppo caratterizzate
clinicamente da deficit della comunicazione e delle abilità sociali di varia severità, unitamente a comportamenti stereotipati ed
un’aderenza rigida a schemi comportamentali. Studi neuropatologici hanno evidenziato anomalie compatibili con una
eziopatogenesi prenatale ad esordio molto precoce, sebbene i sintomi comportamentali generalmente compaiano a 6-24 mesi di
vita. Fattori genetici contribuiscono fortemente alla patogenesi del DSA, che presenta le stime di ereditabilità più elevate tra tutti i
disturbi psichiatrici dell’infanzia e dell’adulto, nonché un rilevante rischio di ricorrenza anche per le forme non-sindromiche.
Nonostante ciò, in molto casi non si riscontrano mutazioni o micro-delezioni/duplicazioni chiaramente patogene. Inoltre, studi
post-mortem ed in vivo hanno evidenziato un’abnorme attivazione del sistema immunitario, specie nelle sue componenti innate.
Questo inatteso grado di complessità ha stimolato un interesse verso modelli poligenici di malattia aperti a possibili interazioni
gene-ambiente e consoni con la grande variabilità interindividuale che si riscontra in clinica. Presenteremo in estrema sintesi tre
esempi di modelli di interazione gene-ambiente che stanno ricevendo iniziale supporto sperimentale ed epidemiologico: (a) i geni
PON1 e RELN + esposizione prenatale a insetticidi e pesticidi organofosfati, (b) geni SLC25A12 e ATP2B2 + esposizione
prenatale a bifenili policlorurati, (c) gene MET + esposizione prenatale a idrocarburi policiclici aromatici. Infine, esporremo
brevemente un modello di ereditabilità non genetica che prevede una trasmissione verticale di virus mediata dai gamete parentali
in interazione con vari geni (PRKCB1, ITGB3, MET), come potenziale trigger di un anormale neurosviluppo.
Il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) comprende un gruppo eterogeneo di patologie del neurosviluppo caratterizzate
clinicamente da deficit della comunicazione e delle abilità sociali di varia severità, unitamente a comportamenti stereotipati ed
un’aderenza rigida a schemi comportamentali. Studi neuropatologici hanno evidenziato anomalie compatibili con una
eziopatogenesi prenatale ad esordio molto precoce, sebbene i sintomi comportamentali generalmente compaiano a 6-24 mesi di
vita. Fattori genetici contribuiscono fortemente alla patogenesi del DSA, che presenta le stime di ereditabilità più elevate tra tutti i
disturbi psichiatrici dell’infanzia e dell’adulto, nonché un rilevante rischio di ricorrenza anche per le forme non-sindromiche.
Nonostante ciò, in molto casi non si riscontrano mutazioni o micro-delezioni/duplicazioni chiaramente patogene. Inoltre, studi
post-mortem ed in vivo hanno evidenziato un’abnorme attivazione del sistema immunitario, specie nelle sue componenti innate.
Questo inatteso grado di complessità ha stimolato un interesse verso modelli poligenici di malattia aperti a possibili interazioni
gene-ambiente e consoni con la grande variabilità interindividuale che si riscontra in clinica. Presenteremo in estrema sintesi tre
esempi di modelli di interazione gene-ambiente che stanno ricevendo iniziale supporto sperimentale ed epidemiologico: (a) i geni
PON1 e RELN + esposizione prenatale a insetticidi e pesticidi organofosfati, (b) geni SLC25A12 e ATP2B2 + esposizione
prenatale a bifenili policlorurati, (c) gene MET + esposizione prenatale a idrocarburi policiclici aromatici. Infine, esporremo
brevemente un modello di ereditabilità non genetica che prevede una trasmissione verticale di virus mediata dai gamete parentali
in interazione con vari geni (PRKCB1, ITGB3, MET), come potenziale trigger di un anormale neurosviluppo.
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MEET THE EXPERTS – Sala TORNADO
MEET THE EXPERTS – Sala TORNADO
DISTURBI DELLA PERSONALITÀ NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
In collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria (SIP)
DISTURBI DELLA PERSONALITÀ NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
In collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria (SIP)
Domenico Berardi * (Bologna)
Domenico Berardi * (Bologna)
Gabriel Levi (Roma) **
Gabriel Levi (Roma) **
*Università di Bologna, Dipartimento di Psichiatria “P. Ottonello”
**Università “La Sapienza”, Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile
*Università di Bologna, Dipartimento di Psichiatria “P. Ottonello”
**Università “La Sapienza”, Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile
Abstracts non pervenuti
Abstracts non pervenuti
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TRAINING COURSE – Sala MUSTANG
TRAINING COURSE – Sala MUSTANG
IL BAMBINO CON CEFALEA: DALLA DIAGNOSI MIRATA AL TRATTAMENTO
INDIVIDUALIZZATO
IL BAMBINO CON CEFALEA: DALLA DIAGNOSI MIRATA AL TRATTAMENTO
INDIVIDUALIZZATO
Battistella P.A, Toldo I., Sartori S., De Carlo D. Gatta M.,
Battistella P.A, Toldo I., Sartori S., De Carlo D. Gatta M.,
Centro per la Diagnosi e la terapia delle cefalee in eta' evolutiva, Dipartimento di
Pediatria,Universita' di Padova
Centro per la Diagnosi e la terapia delle cefalee in eta' evolutiva, Dipartimento di
Pediatria,Universita' di Padova
Format del Corso: suddivisione sequenziale di due interventi con discussione finale. Scopo: 1) illustrare l’iter diagnostico
della cefalea in età evolutiva, con le indicazioni ai principali esami strumentali sulla base della più recente letteratura; 2)
analizzare le attuali indicazioni al trattamento farmacologico sintomatico e profilattico dell'emicrania in età evolutiva con
i vecchi ed i nuovi farmaci.
Contenuto: La cefalea è un sintomo frequente in età pediatrica (40-75%). L’inquadramento diagnostico della cefalea deve
essere basato su un’attenta anamnesi in cui vanno approfonditi in particolare il pattern cefalalgico ed alcuni elementi
dell’anamnesi personale e familiare. Deve seguire poi un accurato esame obiettivo e neurologico comprensivo di fundus
oculi. L’anamnesi e l’esame obiettivo consentono di formulare una diagnosi corretta nella maggior parte dei casi. Gli
accertamenti strumentali vanno richiesti se il pattern della cefalea è sospetto per forme secondarie, se l’esame neurologico
risulta positivo o se la cefalea è ingravescente e di recente insorgenza. L'EEG è utile in caso di dubbie crisi epilettiche,
aura emicranica atipica o sospetta encefalite. Le indicazioni alla RMN cerebrale includono i casi con esame neurologico
alterato, o quelli con esame neurologico normale ma in presenza di crisi epilettiche, o con esordio recente di cefalea
grave, o aggravamento del pattern cefalalgico o con sintomi neurologici. La rachicentesi è indicata solo in casi
selezionati. Se l’esame neurologico risulta negativo ed il pattern della cefalea è benigno, la strategia migliore rimane il
controllo clinico a distanza. Un inquadramento diagnostico corretto della cefalea è la premessa indispensabile sia per
poter instaurare precocemente il migliore trattamento ma anche per evitare esami inutili, invasivi e costosi.
Per quanto riguarda il trattamento, le maggiori conoscenze sono relative alla fisiopatologia dell’emicrania ed hanno
consentito l’introduzione di nuovi farmaci, quali i triptani, o di quelli già in uso per altre condizioni morbose, quali gli
antidepressivi e i neuromodulatori.
La terapia sintomatica comprende tre classi di farmaci: a) paracetamolo (15 mg/kg), b)anti-infiammatori non steroidei
(FANS), specie ibuprofene (7.5 - 10 mg/kg), validati da studi controllati; c) i triptani, con trials favorevoli per efficacia e
tollerabilità sia del sumatriptan spray nasale (5-20 mg), zolmitriptan per os (2.5-5 mg) e per via nasale (5 mg), rizatriptan
(5-10 mg) e almotriptan (12.5 mg) per os. L’indicazione alla profilassi farmacologica nell’emicrania si basa su frequenza
elevata (> 3/mese) di attacchi intensi e/o scarsa risposta ai sintomatici e si prefigge di ridurre la frequenza e la gravità
degli attacchi, migliorare la risposta al trattamento sintomatico, ridurre la disabilità e migliorare la funzionalità e la qualità
di vita. I principali farmaci profilattici utilizzati in letteratura appartengono a 5 classi: a) anti-ipertensivi; b)
antidepressivi; c) modulatori della serotonina; d) calcio-antagonisti; e) antiepilettici. I trials con questi due ultimi
raggruppamenti sono più recenti e concordano sull’efficacia della flunarizina, (5mg/die), mentre il valproato di sodio
(15-45 mg/kg/die) ha dato risultati controversi; crescenti sono, infine, i dati a favore del topiramato (1-3 mg/kg/die).
L’elevata risposta al placebo e le conoscenze ancora incerte sulla farmacodinamica delle diverse molecole in età evolutiva
accentuano per il clinico le problematiche medico-legali correlate all’uso spesso “off-label” di molti di questi farmaci.
Un approccio diagnostico accurato e precoce ed un adeguato trattamento del giovane emicranico, oltre a ridurre la
disabilità e migliorare la qualità di vita, possono concorrere a modificare la storia naturale di un disturbo che tende a
persistere fino all’età adulta in circa il 50% dei casi.
Format del Corso: suddivisione sequenziale di due interventi con discussione finale. Scopo: 1) illustrare l’iter diagnostico
della cefalea in età evolutiva, con le indicazioni ai principali esami strumentali sulla base della più recente letteratura; 2)
analizzare le attuali indicazioni al trattamento farmacologico sintomatico e profilattico dell'emicrania in età evolutiva con
i vecchi ed i nuovi farmaci.
Contenuto: La cefalea è un sintomo frequente in età pediatrica (40-75%). L’inquadramento diagnostico della cefalea deve
essere basato su un’attenta anamnesi in cui vanno approfonditi in particolare il pattern cefalalgico ed alcuni elementi
dell’anamnesi personale e familiare. Deve seguire poi un accurato esame obiettivo e neurologico comprensivo di fundus
oculi. L’anamnesi e l’esame obiettivo consentono di formulare una diagnosi corretta nella maggior parte dei casi. Gli
accertamenti strumentali vanno richiesti se il pattern della cefalea è sospetto per forme secondarie, se l’esame neurologico
risulta positivo o se la cefalea è ingravescente e di recente insorgenza. L'EEG è utile in caso di dubbie crisi epilettiche,
aura emicranica atipica o sospetta encefalite. Le indicazioni alla RMN cerebrale includono i casi con esame neurologico
alterato, o quelli con esame neurologico normale ma in presenza di crisi epilettiche, o con esordio recente di cefalea
grave, o aggravamento del pattern cefalalgico o con sintomi neurologici. La rachicentesi è indicata solo in casi
selezionati. Se l’esame neurologico risulta negativo ed il pattern della cefalea è benigno, la strategia migliore rimane il
controllo clinico a distanza. Un inquadramento diagnostico corretto della cefalea è la premessa indispensabile sia per
poter instaurare precocemente il migliore trattamento ma anche per evitare esami inutili, invasivi e costosi.
Per quanto riguarda il trattamento, le maggiori conoscenze sono relative alla fisiopatologia dell’emicrania ed hanno
consentito l’introduzione di nuovi farmaci, quali i triptani, o di quelli già in uso per altre condizioni morbose, quali gli
antidepressivi e i neuromodulatori.
La terapia sintomatica comprende tre classi di farmaci: a) paracetamolo (15 mg/kg), b)anti-infiammatori non steroidei
(FANS), specie ibuprofene (7.5 - 10 mg/kg), validati da studi controllati; c) i triptani, con trials favorevoli per efficacia e
tollerabilità sia del sumatriptan spray nasale (5-20 mg), zolmitriptan per os (2.5-5 mg) e per via nasale (5 mg), rizatriptan
(5-10 mg) e almotriptan (12.5 mg) per os. L’indicazione alla profilassi farmacologica nell’emicrania si basa su frequenza
elevata (> 3/mese) di attacchi intensi e/o scarsa risposta ai sintomatici e si prefigge di ridurre la frequenza e la gravità
degli attacchi, migliorare la risposta al trattamento sintomatico, ridurre la disabilità e migliorare la funzionalità e la qualità
di vita. I principali farmaci profilattici utilizzati in letteratura appartengono a 5 classi: a) anti-ipertensivi; b)
antidepressivi; c) modulatori della serotonina; d) calcio-antagonisti; e) antiepilettici. I trials con questi due ultimi
raggruppamenti sono più recenti e concordano sull’efficacia della flunarizina, (5mg/die), mentre il valproato di sodio
(15-45 mg/kg/die) ha dato risultati controversi; crescenti sono, infine, i dati a favore del topiramato (1-3 mg/kg/die).
L’elevata risposta al placebo e le conoscenze ancora incerte sulla farmacodinamica delle diverse molecole in età evolutiva
accentuano per il clinico le problematiche medico-legali correlate all’uso spesso “off-label” di molti di questi farmaci.
Un approccio diagnostico accurato e precoce ed un adeguato trattamento del giovane emicranico, oltre a ridurre la
disabilità e migliorare la qualità di vita, possono concorrere a modificare la storia naturale di un disturbo che tende a
persistere fino all’età adulta in circa il 50% dei casi.
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TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
PSICHIATRIA FORENSE DELL’ETÀ EVOLUTIVA
PSICHIATRIA FORENSE DELL’ETÀ EVOLUTIVA
Giovanni Battista Camerini * (Padova)
Giovanni Battista Camerini * (Padova)
Ugo Sabatello ** (Roma)
Ugo Sabatello ** (Roma)
* Libero professionista
** Dipartimento di Neuropsichiatria infantile Università la Sapienza, Roma
* Libero professionista
** Dipartimento di Neuropsichiatria infantile Università la Sapienza, Roma
Abstracts non pervenuti
Abstracts non pervenuti
14
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SABATO 14 MAGGIO 2011
SABATO 14 MAGGIO 2011
08.00 – 09.00 - SESSIONE PARALLELA 5
08.00 – 09.00 - SESSIONE PARALLELA 5
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
MEET THE EXPERTS – Sala CONCORDE
LE RICADUTE DELLA LEGGE 170/2010 SUI SERVIZI DI NPIA: UN RISCHIO O
UN’OCCASIONE?
LE RICADUTE DELLA LEGGE 170/2010 SUI SERVIZI DI NPIA: UN RISCHIO O
UN’OCCASIONE?
Penge R.
Dipartimento Pediatria e NPI, Università di Roma Sapienza
Penge R.
Dipartimento Pediatria e NPI, Università di Roma Sapienza
Termine C.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Neuropsichiatria Infantile, Università Insubria
Termine C.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Neuropsichiatria Infantile, Università Insubria
Contenuto: La legge 170 del 2010 in materia di Disturbi Specifici di Apprendimento coinvolge i Servizi Sanitari per
quanto concerne la diagnosi e la relativa certificazione e per quanto riguarda l'avvio di progetti di riconoscimento
precoce.
Quasi contemporaneamente sono stati o verranno pubblicati gli aggiornamenti delle Linee Guida per i DSA scaturiti dalla
Consensus Conference interassociativa del 2007 e le indicazioni in merito fornite dall'Istituto Superiore di Sanità.
Gli Utenti con DSA costituiscono mediamente il 20% della popolazione in età scolare seguita dai Servizi di NPIA;
costituiscono però solo 1/3 dei bambini ragazzi con DSA realmente esistenti (i rimanenti 2/3 sono non riconosciuti o
seguiti da singoli specialisti).
Allo stato attuale la diagnosi viene troppo spesso effettuata tardivamente e la presa in carico termina spesso con la fine
della Scuola Primaria o al massimo della Scuola Secondaria di I grado: la necessità di disporre di una certificazione
diagnostica aggiornata richiede il proseguimento della presa in carico almeno fino al termine dell'età evolutiva.
L'incontro si pone l'obiettivo di presentare in modo critico e discutere con i partecipanti le ricadute che il coinvolgimento
dei Neuropsichiatri Infantili nella prevenzione, nella diagnosi e nella presa in carico dei bambini/ragazzi con DSA
comporta per i Servizi e per Neuropsichiatria Infantile in generale:
- aumento di lavoro per Servizi spesso già abbondantemente sottodimensionati, ma anche un'occasione per ribadire la
necessità di risorse
- confronto con una casistica da alcuni ritenuta di minore rilevanza per i NPI (rispetto ai disturbi neurologici o
psichiatrici) che però presenta problemi di diagnosi differenziale, comorbidità e cronicità/trasformabilità nel tempo
complessi;
- organizzazione dei Servizi e gestione dei casi in equipe: chi deve occuparsi dei DSA? con quali obiettivi? per quanto
tempo?
- poiché la Legge sui DSA è l'unica del genere esistente in Italia c'è il rischio di un aumento improprio di diagnosi di
DSA; quali criteri possono essere individuati per ridurre questo rischio?
- sul piano dei modelli patogenetici si pone il problema della prevedibilità dei DSA nel corso della Scuola dell'Infanzia e
degli indicatori per una diagnosi precoce;
- sul piano della formazione la necessità di fornire diagnosi descrittive dettagliate e facilmente leggibili (su cui impostare
la programmazione didattica e l'uso degli strumenti compensativi e dispensativi) richiede un adeguamento della
formazione primaria e in itinere degli specialisti NPIA.
Contenuto: La legge 170 del 2010 in materia di Disturbi Specifici di Apprendimento coinvolge i Servizi Sanitari per
quanto concerne la diagnosi e la relativa certificazione e per quanto riguarda l'avvio di progetti di riconoscimento
precoce.
Quasi contemporaneamente sono stati o verranno pubblicati gli aggiornamenti delle Linee Guida per i DSA scaturiti dalla
Consensus Conference interassociativa del 2007 e le indicazioni in merito fornite dall'Istituto Superiore di Sanità.
Gli Utenti con DSA costituiscono mediamente il 20% della popolazione in età scolare seguita dai Servizi di NPIA;
costituiscono però solo 1/3 dei bambini ragazzi con DSA realmente esistenti (i rimanenti 2/3 sono non riconosciuti o
seguiti da singoli specialisti).
Allo stato attuale la diagnosi viene troppo spesso effettuata tardivamente e la presa in carico termina spesso con la fine
della Scuola Primaria o al massimo della Scuola Secondaria di I grado: la necessità di disporre di una certificazione
diagnostica aggiornata richiede il proseguimento della presa in carico almeno fino al termine dell'età evolutiva.
L'incontro si pone l'obiettivo di presentare in modo critico e discutere con i partecipanti le ricadute che il coinvolgimento
dei Neuropsichiatri Infantili nella prevenzione, nella diagnosi e nella presa in carico dei bambini/ragazzi con DSA
comporta per i Servizi e per Neuropsichiatria Infantile in generale:
- aumento di lavoro per Servizi spesso già abbondantemente sottodimensionati, ma anche un'occasione per ribadire la
necessità di risorse
- confronto con una casistica da alcuni ritenuta di minore rilevanza per i NPI (rispetto ai disturbi neurologici o
psichiatrici) che però presenta problemi di diagnosi differenziale, comorbidità e cronicità/trasformabilità nel tempo
complessi;
- organizzazione dei Servizi e gestione dei casi in equipe: chi deve occuparsi dei DSA? con quali obiettivi? per quanto
tempo?
- poiché la Legge sui DSA è l'unica del genere esistente in Italia c'è il rischio di un aumento improprio di diagnosi di
DSA; quali criteri possono essere individuati per ridurre questo rischio?
- sul piano dei modelli patogenetici si pone il problema della prevedibilità dei DSA nel corso della Scuola dell'Infanzia e
degli indicatori per una diagnosi precoce;
- sul piano della formazione la necessità di fornire diagnosi descrittive dettagliate e facilmente leggibili (su cui impostare
la programmazione didattica e l'uso degli strumenti compensativi e dispensativi) richiede un adeguamento della
formazione primaria e in itinere degli specialisti NPIA.
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TRAINING COURSE – Sala TORNADO
TRAINING COURSE – Sala TORNADO
USO CLINICO ICF-CY NELLA DEFINIZIONE DEL PROGETTO RIABILITATIVO
USO CLINICO ICF-CY NELLA DEFINIZIONE DEL PROGETTO RIABILITATIVO
De Polo G., Martinuzzi A.
IRCCS "E. Medea" - Associazione "La Nostra Famiglia" , Conegliano Veneto - TV
De Polo G., Martinuzzi A.
IRCCS "E. Medea" - Associazione "La Nostra Famiglia" , Conegliano Veneto - TV
Contenuto: ICF-CY è la Classificazione O.M.S. (Organismo Mondiale della Sanità) del Funzionamento, della Disabilità e
della Salute nella versione specifica per l’infanzia e l’adolescenza. Essa fornisce un linguaggio comune ed universale per
descrivere la disabilità in età evolutiva, monitorare le tendenze demografiche di bambini che ricevono o utilizzano servizi,
sviluppare strumenti clinici utile a definire il progetto riabilitativo complessivo a favore di minori in situazione di
disabilità.
Il corso prevede la presentazione del modello bio-psico-sociale che sottende ICF oltre alle caratteristiche fondamentali
della classificazione con specifica attenzione alla versione per l’infanzia e l’adolescenza. Si illustrano alcuni strumenti di
utilizzo clinico di ICF-CY elaborati ed in uso presso il nostro servizio, condivisi con altri servizi territoriali: in particolare
uno per la definizione del percorso di inclusione scolastica completamente declinato in linguaggio ICF nella stesura della
documentazione specifica (scheda di segnalazione, diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale e piano educativo
individualizzato); un altro per la definizione e condivisione del progetto riabilitativo per adolescenti con disabilità mediograve inseriti con frequenza diurna in un centro di riabilitazione. Inoltre si presenteranno alcuni strumenti semplici ma
molto funzionali, come uno schema di stesura delle relazioni educative, anch’essi sviluppati con linguaggio ICF.
Descriveremo il percorso metodologico che ha condotto allo sviluppo di questi strumenti specifici con linguaggio ICF.
Infine vengono specificate alcune regole di buona prassi che devono orientare un uso corretto di ICF-CY in contesto
riabilitativo.
Si tratta di un corso base con obiettivo di fornire informazioni chiare ed utili per l’applicazione della classificazione
all’interno di un servizio riabilitativo territoriale.
Il corso si avvale di presentazione in Power Point e viene condotto da due relatori con esperienza diretta nell’uso della
classificazione (dr. De Polo e dr. Martinuzzi dell’IRCCS Medea di Conegliano, che è stato centro collaboratore con OMS
nella elaborazione della versione ICF per l’infanzia e l’adolescenza).
Il materiale del corso verrà lasciato ai corsisti in formato Power Point e PDF.
Contenuto: ICF-CY è la Classificazione O.M.S. (Organismo Mondiale della Sanità) del Funzionamento, della Disabilità e
della Salute nella versione specifica per l’infanzia e l’adolescenza. Essa fornisce un linguaggio comune ed universale per
descrivere la disabilità in età evolutiva, monitorare le tendenze demografiche di bambini che ricevono o utilizzano servizi,
sviluppare strumenti clinici utile a definire il progetto riabilitativo complessivo a favore di minori in situazione di
disabilità.
Il corso prevede la presentazione del modello bio-psico-sociale che sottende ICF oltre alle caratteristiche fondamentali
della classificazione con specifica attenzione alla versione per l’infanzia e l’adolescenza. Si illustrano alcuni strumenti di
utilizzo clinico di ICF-CY elaborati ed in uso presso il nostro servizio, condivisi con altri servizi territoriali: in particolare
uno per la definizione del percorso di inclusione scolastica completamente declinato in linguaggio ICF nella stesura della
documentazione specifica (scheda di segnalazione, diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale e piano educativo
individualizzato); un altro per la definizione e condivisione del progetto riabilitativo per adolescenti con disabilità mediograve inseriti con frequenza diurna in un centro di riabilitazione. Inoltre si presenteranno alcuni strumenti semplici ma
molto funzionali, come uno schema di stesura delle relazioni educative, anch’essi sviluppati con linguaggio ICF.
Descriveremo il percorso metodologico che ha condotto allo sviluppo di questi strumenti specifici con linguaggio ICF.
Infine vengono specificate alcune regole di buona prassi che devono orientare un uso corretto di ICF-CY in contesto
riabilitativo.
Si tratta di un corso base con obiettivo di fornire informazioni chiare ed utili per l’applicazione della classificazione
all’interno di un servizio riabilitativo territoriale.
Il corso si avvale di presentazione in Power Point e viene condotto da due relatori con esperienza diretta nell’uso della
classificazione (dr. De Polo e dr. Martinuzzi dell’IRCCS Medea di Conegliano, che è stato centro collaboratore con OMS
nella elaborazione della versione ICF per l’infanzia e l’adolescenza).
Il materiale del corso verrà lasciato ai corsisti in formato Power Point e PDF.
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TRAINING COURSE – Sala MUSTANG
TRAINING COURSE – Sala MUSTANG
TRAINING META COGNITIVO PER LA DISABILITÀ INTELLETTIVA
TRAINING META COGNITIVO PER LA DISABILITÀ INTELLETTIVA
Bargagna S., Perelli V., Inguaggiato E.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva
Calambrone, Pisa
Bargagna S., Perelli V., Inguaggiato E.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva
Calambrone, Pisa
Contenuto:Scopo:Nel trattamento della Disabilità Intellettiva (ID) un ruolo chiave è assunto da un intervento specifico
sulle capacità cognitive e metacognitive. Poichè all’interno dei percorsi terapeutico riabilitativi per il ID tuttora non è
costante l’approccio meta cognitivo, prevalendo ancora modalità di trattamento sulle funzioni adattive
(linguaggio/motricità) , con questo Traning Course ci proponiamo di favorire l’uso di questo approccio .
Contenuto: L’approccio metacognitivo si basa sull’evidenza che, nei soggetti con ID, a fianco di deficit qualiquantitativi e neuropsicologici, si riscontra anche una cattiva utilizzazione delle proprie capacità intellettive. La
metacognizione fa riferimento al ruolo attivo che il soggetto esercita sulla gestione delle proprie competenze cognitive;
comprende la consapevolezza del proprio funzionamento mentale. All’interno dei percorsi terapeutico-riabilitativi per il
ID, appare quindi opportuno intervenire su 3 dimensioni:
1)conoscenza meta cognitiva che si riferisce quindi alla consapevolezza che il soggetto ha del proprio funzionamento
mentale e dei processi che possono favorirlo od ostacolarlo
2)capacità di controllo che si riferisce alla capacità di attivare strategie adeguate di autoregolazione durante la risoluzione
di un problema; e si articola in: analisi, pianificazione, monitoraggio, la verifica del compito e generalizzazione
dell’apprendimento.
3)componente emotivo-motivazionale che fa riferimento alle credenze e convinzioni, sia implicite che esplicite, relative
all'autostima e ad altri parametri che condizionano la riuscita del compito stesso (impegno, fortuna, aiuti esterni, abilità).
Criteri principali
•
individuare insieme al bambino quali sono gli ostacoli che non permettono una ottimizzazione delle capacità e
quali invece sono i fattori facilitanti.; fornire al bambino uno schema di riferimento per l’analisi e la risoluzione del
compito attraverso l’utilizzo di passaggi ben definiti.
•
Focalizzare le energie del soggetto su poche tematiche precise sulle quali è utile lavorare contemporaneamente
da più punti di vista (terapia individuale, di gruppo, scuola, famiglia)
•
favorire il trasferimento e la generalizzazione dell’acquisizione, a tale scopo potrebbe essere utile utilizzare
esperienze personali e di vita quotidiana al fine di fornire al bambino un aggancio concreto con la realtà (ad esempio
trasformando il problema in esperienza diretta)
•
Adeguare il lavoro proposto ai tempi ed agli interessi del soggetto per evitare situazioni di stress eccessivo,
(utile terminare la seduta di trattamento con un successo da parte del bambino);Fornire al bambino uno schema costante
per l’analisi del compito e per la sua risoluzione
•
Cambiare, dopo una adeguata stabilizzazione dell’abilità, le condizioni all’interno delle quali si attua il
programma terapeutico, per esempio cambiando il materiale didattico, mantenendo costante l’obiettivo;
•
Ripresentare problemi già risolti per consolidare le acquisizioni e sostenere i sentimenti di padronanza rispetto
ad un compito;
•
Utilizzare un setting tranquillo e familiare dove il bambino possa lavorare, riducendo al massimo gli stimoli
distraenti;
•
Mostrare interesse per i pensieri, le idee, il lavoro ed i risultati ottenuti dal bambino;
•
Coinvolgere il bambino nella costruzione del materiale da utilizzare
•
Sostenere il bambino nella elaborazione dei suoi stati d’animo in relazione alle sue abilità (es. concentrazione)
ed ai risultati ottenuti;Favorire l’analisi dei risultati sia positivi che negativi e trovare insieme soluzioni alternative.
Format: Si propone caso clinico esemplificativo con materiali videoregistrati e fotografici .Verranno poi forniti
materiali per approfondire quanto verrà presentato e alcune griglie (osservazione e trattamento) guida per l’operatore.
Contenuto:Scopo:Nel trattamento della Disabilità Intellettiva (ID) un ruolo chiave è assunto da un intervento specifico
sulle capacità cognitive e metacognitive. Poichè all’interno dei percorsi terapeutico riabilitativi per il ID tuttora non è
costante l’approccio meta cognitivo, prevalendo ancora modalità di trattamento sulle funzioni adattive
(linguaggio/motricità) , con questo Traning Course ci proponiamo di favorire l’uso di questo approccio .
Contenuto: L’approccio metacognitivo si basa sull’evidenza che, nei soggetti con ID, a fianco di deficit qualiquantitativi e neuropsicologici, si riscontra anche una cattiva utilizzazione delle proprie capacità intellettive. La
metacognizione fa riferimento al ruolo attivo che il soggetto esercita sulla gestione delle proprie competenze cognitive;
comprende la consapevolezza del proprio funzionamento mentale. All’interno dei percorsi terapeutico-riabilitativi per il
ID, appare quindi opportuno intervenire su 3 dimensioni:
1)conoscenza meta cognitiva che si riferisce quindi alla consapevolezza che il soggetto ha del proprio funzionamento
mentale e dei processi che possono favorirlo od ostacolarlo
2)capacità di controllo che si riferisce alla capacità di attivare strategie adeguate di autoregolazione durante la risoluzione
di un problema; e si articola in: analisi, pianificazione, monitoraggio, la verifica del compito e generalizzazione
dell’apprendimento.
3)componente emotivo-motivazionale che fa riferimento alle credenze e convinzioni, sia implicite che esplicite, relative
all'autostima e ad altri parametri che condizionano la riuscita del compito stesso (impegno, fortuna, aiuti esterni, abilità).
Criteri principali
•
individuare insieme al bambino quali sono gli ostacoli che non permettono una ottimizzazione delle capacità e
quali invece sono i fattori facilitanti.; fornire al bambino uno schema di riferimento per l’analisi e la risoluzione del
compito attraverso l’utilizzo di passaggi ben definiti.
•
Focalizzare le energie del soggetto su poche tematiche precise sulle quali è utile lavorare contemporaneamente
da più punti di vista (terapia individuale, di gruppo, scuola, famiglia)
•
favorire il trasferimento e la generalizzazione dell’acquisizione, a tale scopo potrebbe essere utile utilizzare
esperienze personali e di vita quotidiana al fine di fornire al bambino un aggancio concreto con la realtà (ad esempio
trasformando il problema in esperienza diretta)
•
Adeguare il lavoro proposto ai tempi ed agli interessi del soggetto per evitare situazioni di stress eccessivo,
(utile terminare la seduta di trattamento con un successo da parte del bambino);Fornire al bambino uno schema costante
per l’analisi del compito e per la sua risoluzione
•
Cambiare, dopo una adeguata stabilizzazione dell’abilità, le condizioni all’interno delle quali si attua il
programma terapeutico, per esempio cambiando il materiale didattico, mantenendo costante l’obiettivo;
•
Ripresentare problemi già risolti per consolidare le acquisizioni e sostenere i sentimenti di padronanza rispetto
ad un compito;
•
Utilizzare un setting tranquillo e familiare dove il bambino possa lavorare, riducendo al massimo gli stimoli
distraenti;
•
Mostrare interesse per i pensieri, le idee, il lavoro ed i risultati ottenuti dal bambino;
•
Coinvolgere il bambino nella costruzione del materiale da utilizzare
•
Sostenere il bambino nella elaborazione dei suoi stati d’animo in relazione alle sue abilità (es. concentrazione)
ed ai risultati ottenuti;Favorire l’analisi dei risultati sia positivi che negativi e trovare insieme soluzioni alternative.
Format: Si propone caso clinico esemplificativo con materiali videoregistrati e fotografici .Verranno poi forniti
materiali per approfondire quanto verrà presentato e alcune griglie (osservazione e trattamento) guida per l’operatore.
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TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
TRAINING COURSE – Sala DAKOTA
IL RITARDO MENTALE DA ENCEFALOPATIE METABOLICHE SUSCETTIBILI
DI TRATTAMENTO EZIOLOGICO. ALGORITMI DIAGNOSTICI E PRINCIPI DI
TRATTAMENTO
IL RITARDO MENTALE DA ENCEFALOPATIE METABOLICHE SUSCETTIBILI
DI TRATTAMENTO EZIOLOGICO. ALGORITMI DIAGNOSTICI E PRINCIPI DI
TRATTAMENTO
Principali quadri di encefalopatia metabolica trattabile, in particolare le malattie lisosomiali ed il
loro trattamento Donati M. A. Ospedale Meyer, Firenze
Principali quadri di encefalopatia metabolica trattabile, in particolare le malattie lisosomiali ed il
loro trattamento Donati M. A. Ospedale Meyer, Firenze
Encefalopatie con RM sensibili al trattamento: il modello del deficit di creatina cerebrale Battini
R. IRCCS Fondazione Stella Maris, Calambrone Pisa
Encefalopatie con RM sensibili al trattamento: il modello del deficit di creatina cerebrale Battini
R. IRCCS Fondazione Stella Maris, Calambrone Pisa
Lo screening neonatale allargato per la diagnosi precoce di malattie sensibili al trattamento:
l’esperienza della Regione Toscana Pasquini E. Ospedale Meyer, Firenze
Lo screening neonatale allargato per la diagnosi precoce di malattie sensibili al trattamento:
l’esperienza della Regione Toscana Pasquini E. Ospedale Meyer, Firenze
Il ritardo mentale è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi neuropsichiatrici in età pediatrica. Con l’affinamento delle
tecniche diagnostiche in campo biochimico, genetico e neuroradiologico, un gruppo crescente di affezioni metaboliche
viene riconosciuta oggi responsabile di condizioni che comportano ritardo mentale. La possibilità in alcuni casi di
correggere il disturbo metabolico e di prevenirne le conseguenze giustifica il grande interesse per queste affezioni.
Il ritardo psicomotorio, con o senza tratti autistici, la regressione neurologica, i disturbi del movimento ad esordio precoce
e l’epilessia sono sintomi comuni nelle affezioni dell’età evolutiva ma la loro associazione è spesso suggestiva di disturbo
neurometabolico o neurodegenerativo. Specificatamente, ci si riferisce a ritardo psicomotorio in quelle condizioni con un
notevole divario tra l’età cronologica e l’età di sviluppo neuromotorio e psicologico: per la difficoltà, nei primi anni di
vita, di distinguere tra un semplice ritardo di maturazione e un disturbo neurologico progressivo, si dovrà sospettare un
disordine neuro metabolico o neurodegenerativo quando questo aspecifico segno clinico, sia associato ad almeno uno
degli altri sintomi.
Adeguate flow chart diagnostiche potranno aiutare i clinici nel riconoscimento di questi rari disordini per avviare
appropriati esami ed iniziare trattamenti tempestivi laddove siano possibili.
Nelle malattie lisosomiali, rare malattie di origine genetica, clinicamente eterogenee in cui
l’alterazione genetica di uno degli enzimi deputati alla degradazione enzimatica provoca accumulo di prodotti all’interno
dei lisosomi determinando gravi danni cellulari, ad esempio, recentemente sono stati applicati trattamenti terapeutici
specifici capaci di ridurre il substrato e l’accumulo del precursore o della sostanza tossici per i tessuti.
Negli ultimi anni, grazie all’applicazione clinica della risonanza magnetica spettroscopica, è stato possibile individuare
una nuovo gruppo di affezioni neuro metaboliche il cui elemento distintivo è il deficit di creatina (Cr) cerebrale. Questi
bambini presentano un quadro clinico caratterizzato da ritardo mentale, disturbi del linguaggio, autismo, epilessia,
disturbi del movimento. Indagini biochimiche e genetico-molecolari, hanno consentito di caratterizzare tali deficit
definendo due livelli di compromissione biochimica: il deficit di sintesi, in particolare quello dell’ enzima guanidinoacetato-metiltransferasi (GAMT) (fenotipo GAMT) o dell’ enzima glicina amidino transferasi (AGAT) (fenotipo non
GAMT) ed il deficit del trasportatore specifico della Cr (CreaT) La somministrazione orale di alte dosi di creatina è
risultata in grado di migliorare significativamente il quadro clinico dei deficit di sintesi, prevenendo anche le
manifestazioni se il trattamento inizia in fase presintomatica. Nel deficit di trasporto di Cr sono in corso trattamenti
specifici con precursori della creatina capaci di passare la barriera ematoencefalica (arginina e glicina) ed è suggestivo
anche in tal caso, pur ancora controverso, un risultato efficace.
Lo screening neonatale metabolico, cioè il controllo delle principali Malattie Metaboliche Ereditarie (M.M.E.) nei primi
giorni di vita, assume un ruolo fondamentale in quanto può comportare la differenza tra il lo stato di salute benessere e un
quadro clinico più o meno grave di sofferenza e di ritardo mentale. L’utilizzo della TANDEM-MASS spettrometria, in
uso in diversi Laboratori Italiani, ha creato nuove importanti possibilità nella diagnostica delle M.M.E. ed permesso di
diagnosticare circa 40 malattie genetiche. La diagnosi precoce è fondamentale per la presa in carico e la cura del paziente
oltre che per la prevenzione primaria nell'ambito familiare, data la possibile ricorrenza della malattia stessa in più soggetti
dello stesso nucleo familiare. Un bambino diagnosticato tardivamente sarà un bambino che presenterà il quadro di
malattia conclamato. La possibilità di agire sulla malattia in fase presintomatica è la chiave della prevenzione dell'
handicap, soprattutto neurologico, che deriva da queste malattie e ciò ha un innegabile valore sia per il singolo che per la
società.
Il ritardo mentale è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi neuropsichiatrici in età pediatrica. Con l’affinamento delle
tecniche diagnostiche in campo biochimico, genetico e neuroradiologico, un gruppo crescente di affezioni metaboliche
viene riconosciuta oggi responsabile di condizioni che comportano ritardo mentale. La possibilità in alcuni casi di
correggere il disturbo metabolico e di prevenirne le conseguenze giustifica il grande interesse per queste affezioni.
Il ritardo psicomotorio, con o senza tratti autistici, la regressione neurologica, i disturbi del movimento ad esordio precoce
e l’epilessia sono sintomi comuni nelle affezioni dell’età evolutiva ma la loro associazione è spesso suggestiva di disturbo
neurometabolico o neurodegenerativo. Specificatamente, ci si riferisce a ritardo psicomotorio in quelle condizioni con un
notevole divario tra l’età cronologica e l’età di sviluppo neuromotorio e psicologico: per la difficoltà, nei primi anni di
vita, di distinguere tra un semplice ritardo di maturazione e un disturbo neurologico progressivo, si dovrà sospettare un
disordine neuro metabolico o neurodegenerativo quando questo aspecifico segno clinico, sia associato ad almeno uno
degli altri sintomi.
Adeguate flow chart diagnostiche potranno aiutare i clinici nel riconoscimento di questi rari disordini per avviare
appropriati esami ed iniziare trattamenti tempestivi laddove siano possibili.
Nelle malattie lisosomiali, rare malattie di origine genetica, clinicamente eterogenee in cui
l’alterazione genetica di uno degli enzimi deputati alla degradazione enzimatica provoca accumulo di prodotti all’interno
dei lisosomi determinando gravi danni cellulari, ad esempio, recentemente sono stati applicati trattamenti terapeutici
specifici capaci di ridurre il substrato e l’accumulo del precursore o della sostanza tossici per i tessuti.
Negli ultimi anni, grazie all’applicazione clinica della risonanza magnetica spettroscopica, è stato possibile individuare
una nuovo gruppo di affezioni neuro metaboliche il cui elemento distintivo è il deficit di creatina (Cr) cerebrale. Questi
bambini presentano un quadro clinico caratterizzato da ritardo mentale, disturbi del linguaggio, autismo, epilessia,
disturbi del movimento. Indagini biochimiche e genetico-molecolari, hanno consentito di caratterizzare tali deficit
definendo due livelli di compromissione biochimica: il deficit di sintesi, in particolare quello dell’ enzima guanidinoacetato-metiltransferasi (GAMT) (fenotipo GAMT) o dell’ enzima glicina amidino transferasi (AGAT) (fenotipo non
GAMT) ed il deficit del trasportatore specifico della Cr (CreaT) La somministrazione orale di alte dosi di creatina è
risultata in grado di migliorare significativamente il quadro clinico dei deficit di sintesi, prevenendo anche le
manifestazioni se il trattamento inizia in fase presintomatica. Nel deficit di trasporto di Cr sono in corso trattamenti
specifici con precursori della creatina capaci di passare la barriera ematoencefalica (arginina e glicina) ed è suggestivo
anche in tal caso, pur ancora controverso, un risultato efficace.
Lo screening neonatale metabolico, cioè il controllo delle principali Malattie Metaboliche Ereditarie (M.M.E.) nei primi
giorni di vita, assume un ruolo fondamentale in quanto può comportare la differenza tra il lo stato di salute benessere e un
quadro clinico più o meno grave di sofferenza e di ritardo mentale. L’utilizzo della TANDEM-MASS spettrometria, in
uso in diversi Laboratori Italiani, ha creato nuove importanti possibilità nella diagnostica delle M.M.E. ed permesso di
diagnosticare circa 40 malattie genetiche. La diagnosi precoce è fondamentale per la presa in carico e la cura del paziente
oltre che per la prevenzione primaria nell'ambito familiare, data la possibile ricorrenza della malattia stessa in più soggetti
dello stesso nucleo familiare. Un bambino diagnosticato tardivamente sarà un bambino che presenterà il quadro di
malattia conclamato. La possibilità di agire sulla malattia in fase presintomatica è la chiave della prevenzione dell'
handicap, soprattutto neurologico, che deriva da queste malattie e ciò ha un innegabile valore sia per il singolo che per la
società.
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COMUNICAZIONI ORALI
COMUNICAZIONI ORALI
Venerdi’ 13 Maggio 2011
Venerdi’ 13 Maggio 2011
NEUROLOGIA
NEUROLOGIA
C1
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DISORDINI CONGENITI DELLA GLICOSILAZIONE: LA NOSTRA ESPERIENZA IN
EUROGLYCANET (2005-2010)
DISORDINI CONGENITI DELLA GLICOSILAZIONE: LA NOSTRA ESPERIENZA IN
EUROGLYCANET (2005-2010)
Barone R.1, Sturiale L 2, Garozzo D.2, Cocuzza D.1, Sorge G.1, Fiumara A.1
1
Dipartimento di Pediatria - Università di Catania, 2ICTP-CNR - Catania.
Barone R.1, Sturiale L 2, Garozzo D.2, Cocuzza D.1, Sorge G.1, Fiumara A.1
1
Dipartimento di Pediatria - Università di Catania, 2ICTP-CNR - Catania.
Background: i disordini congeniti della glicosilazione (Congenital Disorders of Glycosylation - CDG) sono patologie
neurometaboliche dovute a difetti di sintesi delle glicoproteine e altri glicoconiugati. Ad oggi, sono state identificate 25
forme di CDG dovute a difetti della N-glicosilazione. I disordini della glicosilazione sono caratterizzati da ritardo dello
sviluppo di grado variabile e possibile presenza di anomalie malformative del sistema nervoso centrale (atrofia
cerebellare), dismorfie, microcefalia, deficit sensoriali, epilessia, neuropatia periferica e patologia multisistemica.
Euroglycanet è un network europeo finalizzato alla diffusione di strumenti adeguati per la diagnosi clinica dei pazienti
affetti da CDG, per la identificazione dei difetti molecolari e per lo sviluppo di procedure terapeutiche.
Scopo: riportiamo la nostra esperienza nella diagnosi dei disordini della glicosilazione e descriviamo i fenotipi clinici
identificati attraverso un lavoro di screening per queste patologie svolto nel contesto di Euroglycanet.
Pazienti e Metodi: durante gli ultimi 5 anni (2005-2010), presso il Dipartimento di Pediatria, Università di Catania, oltre
3000 campioni di pazienti Italiani con sospetto clinico per CDG, sono stati analizzati con esame isoelettrofocusing della
transferrina sierica (test di primo livello per i difetti della N-glicosilazione). Sui campioni diagnosticati veniva
ulteriormente effettuata caratterizzazione dello stato di glicosilazione tramite tecniche di spettrometria di massa,
attraverso metodiche appositamente sviluppate presso l’ICTP-CNR di Catania. Successivamente tali campioni venivano
inviati in altri laboratori Euroglycanet per analisi biochimica e molecolare.
Risultati: sono stati identificati 21 pazienti con difetti molecolari della N-glicosilazione dovuti a deficit della sintesi del
precursore glicoproteico dolicol-oligosaccaride nel citosol e reticolo-endoplasmico (CDG tipo I). Quattordici pazienti
erano affetti da PMM2-CDG (CDG-Ia), che rappresenta la forma più frequente tra queste patologie. Rispetto alla forma
classica, la presenza di pazienti con PMM2-CDG e fenotipo “mild” veniva definita in relazione al pattern di sviluppo,
assenza di microcefalia e assenza di malformazione cerebellare tipo Dandy-Walker. In pazienti con fenotipo “mild”
veniva osservata associazione genotipo-fenotipo per la ricorrenza in tutti questi soggetti di eterozigosi composta in
presenza della mutazione p.L32R del gene PMM2. I sette pazienti non PMM2-CDG (38%), presentavano dismorfie (7/7),
microcefalia (6/7), ritardo dello sviluppo di grado severo (6/7), epilessia farmaco-resistente con esordio nel primo anno di
vita (6/7), deficit visivo (5/7) e assenza di atrofia cerebellare (6/7). In questi soggetti, i profili di glicosilazione della Tf
osservati tramite spettrometria di massa MALDI-TOF erano significativamente differenti rispetto a quelli osservati in
pazienti con PMM2-CDG.
Conclusioni: la presenza di epilessia farmaco-resistente con esordio precoce, microcefalia e deficit visivo in pazienti
identificati con CDG-I, definiscono nella popolazione studiata un fenotipo frequente e differente dalla forma classica
(PMM2-CDG/CDG-Ia). Questi risultati indicano che la diagnosi di CDG dovrebbe essere considerata tra le malattie
metaboliche causa di encefalopatia epilettica precoce.
Background: i disordini congeniti della glicosilazione (Congenital Disorders of Glycosylation - CDG) sono patologie
neurometaboliche dovute a difetti di sintesi delle glicoproteine e altri glicoconiugati. Ad oggi, sono state identificate 25
forme di CDG dovute a difetti della N-glicosilazione. I disordini della glicosilazione sono caratterizzati da ritardo dello
sviluppo di grado variabile e possibile presenza di anomalie malformative del sistema nervoso centrale (atrofia
cerebellare), dismorfie, microcefalia, deficit sensoriali, epilessia, neuropatia periferica e patologia multisistemica.
Euroglycanet è un network europeo finalizzato alla diffusione di strumenti adeguati per la diagnosi clinica dei pazienti
affetti da CDG, per la identificazione dei difetti molecolari e per lo sviluppo di procedure terapeutiche.
Scopo: riportiamo la nostra esperienza nella diagnosi dei disordini della glicosilazione e descriviamo i fenotipi clinici
identificati attraverso un lavoro di screening per queste patologie svolto nel contesto di Euroglycanet.
Pazienti e Metodi: durante gli ultimi 5 anni (2005-2010), presso il Dipartimento di Pediatria, Università di Catania, oltre
3000 campioni di pazienti Italiani con sospetto clinico per CDG, sono stati analizzati con esame isoelettrofocusing della
transferrina sierica (test di primo livello per i difetti della N-glicosilazione). Sui campioni diagnosticati veniva
ulteriormente effettuata caratterizzazione dello stato di glicosilazione tramite tecniche di spettrometria di massa,
attraverso metodiche appositamente sviluppate presso l’ICTP-CNR di Catania. Successivamente tali campioni venivano
inviati in altri laboratori Euroglycanet per analisi biochimica e molecolare.
Risultati: sono stati identificati 21 pazienti con difetti molecolari della N-glicosilazione dovuti a deficit della sintesi del
precursore glicoproteico dolicol-oligosaccaride nel citosol e reticolo-endoplasmico (CDG tipo I). Quattordici pazienti
erano affetti da PMM2-CDG (CDG-Ia), che rappresenta la forma più frequente tra queste patologie. Rispetto alla forma
classica, la presenza di pazienti con PMM2-CDG e fenotipo “mild” veniva definita in relazione al pattern di sviluppo,
assenza di microcefalia e assenza di malformazione cerebellare tipo Dandy-Walker. In pazienti con fenotipo “mild”
veniva osservata associazione genotipo-fenotipo per la ricorrenza in tutti questi soggetti di eterozigosi composta in
presenza della mutazione p.L32R del gene PMM2. I sette pazienti non PMM2-CDG (38%), presentavano dismorfie (7/7),
microcefalia (6/7), ritardo dello sviluppo di grado severo (6/7), epilessia farmaco-resistente con esordio nel primo anno di
vita (6/7), deficit visivo (5/7) e assenza di atrofia cerebellare (6/7). In questi soggetti, i profili di glicosilazione della Tf
osservati tramite spettrometria di massa MALDI-TOF erano significativamente differenti rispetto a quelli osservati in
pazienti con PMM2-CDG.
Conclusioni: la presenza di epilessia farmaco-resistente con esordio precoce, microcefalia e deficit visivo in pazienti
identificati con CDG-I, definiscono nella popolazione studiata un fenotipo frequente e differente dalla forma classica
(PMM2-CDG/CDG-Ia). Questi risultati indicano che la diagnosi di CDG dovrebbe essere considerata tra le malattie
metaboliche causa di encefalopatia epilettica precoce.
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C2
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CEFALEA PRIMARIA IN ETÀ EVOLUTIVE E ASPETTI COGNITIVI: STUDIO DI
UNA POPOLAZIONE
CEFALEA PRIMARIA IN ETÀ EVOLUTIVE E ASPETTI COGNITIVI: STUDIO DI
UNA POPOLAZIONE
Carotenuto M., Esposito M., Castaldo L., Umano G. R., Di Dona A.
Centro Cefalee per l’età evolutiva, Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di
Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria, Dermatovenereologia, Seconda Università
degli Studi di Napoli
Carotenuto M., Esposito M., Castaldo L., Umano G. R., Di Dona A.
Centro Cefalee per l’età evolutiva, Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di
Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria, Dermatovenereologia, Seconda Università
degli Studi di Napoli
Background: l’attuale letteratura clinica riporta dati discordanti e non conclusivi sugli aspetti cognitivi dei bambini affetti
da cefalea primaria, riportando tuttavia la presenza in questi soggetti di alterazioni in diverse competenze
neuropsicologiche (memoria, attenzione, velocità di elaborazione delle informazioni).
Scopo dello Studio: valutare le capacità cognitive di bambini affetti da cefalea primaria, con particolare riferimento alle
differenze qualitative delle competenze intellettive tra i bambini affetti da Emicrania senz’Aura (MoA) e i soggetti con
Cefalea Tensiva (TTH).
Metodologie e Soggetti: la popolazione in esame è composta da 147 bambini affetti da cefalea primaria (età media 10.82;
SD 2.17), reclutati presso il Centro Cefalee per l’età evolutiva della clinica di Neuropsichiatria Infantile della Seconda
Università degli Studi di Napoli e 137 bambini sani (età media 10.78; SD 2.35) reclutati presso le scuole della Regione
Campania. È stato considerato criterio di esclusione la presenza di: Ritardo Mentale (IQ<75), associazione tra differenti
tipi di cefalea, precedenti profilassi farmacologiche antiemicraniche, alterazioni neuroradiologiche (MRI),
neurofisiologiche (EEG), ed ematologiche, patologie neurologiche (epilessia, disturbi motori, paralisi cerebrali) o
psichiatriche (schizofrenia, disturbi d’ansia, disturbi d’umore, psicosi, disturbi del comportamento alimentare e
ADHD),malattie metaboliche, distiroidismi, obesità e disturbi respiratori in sonno. Il profilo cognitivo è stato valutato con
la somministrazione, nei periodi lontani da crisi di dolore, del reattivo di livello WISC-III a tutta la popolazione in esame.
In accordo ai criteri internazionali di classificazione per la cefalea pediatrica (ICHD-2), i bambini con cefalea sono stati
suddivisi in affetti da emicrania senz’aura (MoA) (N= 75; 43 M, 32 F) e cefalea di tipo tensivo (TTH) (N= 72; 49 M, 23
F). Tutti i soggetti esaminati sono stati reclutati nella medesima area urbana, e nell’ambito dello stesso status socioeconomico. Per il confronto tra i dati intellettivi dei diversi gruppi è stato applicato il T-test con correzione di Bonferroni.
È stato considerato significativo un valore di p= 0.05.
Risultati e Discussioni: il gruppo di soggetti sani risulta confrontabile al gruppo di cefalalgici sia per distribuzione tra i
sessi (p= 0.417) che per età (p= 0.882). Il gruppo di cefalalgici (147 soggetti) risulta composto da 75 bambini affetti da
emicrania senz’aura (MoA) e 72 da cefalea di tipo tensivo (TTH) confrontabili tra loro per età (p=0.38) e distribuzione tra
i sessi (p=0.241). I tre gruppi esaminati (MoA, TTH e Controlli) non mostrano differenze nel livello intellettivo totale
(FIQ), ma risulta presente un più basso quoziente intellettivo verbale (VIQ) ed un maggiore livello intellettivo di
performance (PIQ) nei soggetti con cefalea tensiva rispetto ai bambini con emicrania sen’aura e i bambini sani. I dati di
analisi fattoriale mostrano che i soggetti emicranici sembrano avere un più basso rendimento nella Organizzazione
Percettiva (PO) rispetto ai controlli sani e ai bambini con cefalea tensiva. I dati ottenuti sembrano dunque suggerire la
presenza nei bambini affetti da cefalea di stili intellettivi peculiari e differenti tra i diversi tipi di cefalea primaria,
sottolineando ancora una volta la tendenza dei soggetti emicranici a disinvestire il campo delle attività di tipo esecutivo e
fine motorio, e la tendenza opposta dei soggetti con cefalea tensiva ad iperinvestire tali ambiti a scapito di quelli di
intellettualizzazione verbale.
Background: l’attuale letteratura clinica riporta dati discordanti e non conclusivi sugli aspetti cognitivi dei bambini affetti
da cefalea primaria, riportando tuttavia la presenza in questi soggetti di alterazioni in diverse competenze
neuropsicologiche (memoria, attenzione, velocità di elaborazione delle informazioni).
Scopo dello Studio: valutare le capacità cognitive di bambini affetti da cefalea primaria, con particolare riferimento alle
differenze qualitative delle competenze intellettive tra i bambini affetti da Emicrania senz’Aura (MoA) e i soggetti con
Cefalea Tensiva (TTH).
Metodologie e Soggetti: la popolazione in esame è composta da 147 bambini affetti da cefalea primaria (età media 10.82;
SD 2.17), reclutati presso il Centro Cefalee per l’età evolutiva della clinica di Neuropsichiatria Infantile della Seconda
Università degli Studi di Napoli e 137 bambini sani (età media 10.78; SD 2.35) reclutati presso le scuole della Regione
Campania. È stato considerato criterio di esclusione la presenza di: Ritardo Mentale (IQ<75), associazione tra differenti
tipi di cefalea, precedenti profilassi farmacologiche antiemicraniche, alterazioni neuroradiologiche (MRI),
neurofisiologiche (EEG), ed ematologiche, patologie neurologiche (epilessia, disturbi motori, paralisi cerebrali) o
psichiatriche (schizofrenia, disturbi d’ansia, disturbi d’umore, psicosi, disturbi del comportamento alimentare e
ADHD),malattie metaboliche, distiroidismi, obesità e disturbi respiratori in sonno. Il profilo cognitivo è stato valutato con
la somministrazione, nei periodi lontani da crisi di dolore, del reattivo di livello WISC-III a tutta la popolazione in esame.
In accordo ai criteri internazionali di classificazione per la cefalea pediatrica (ICHD-2), i bambini con cefalea sono stati
suddivisi in affetti da emicrania senz’aura (MoA) (N= 75; 43 M, 32 F) e cefalea di tipo tensivo (TTH) (N= 72; 49 M, 23
F). Tutti i soggetti esaminati sono stati reclutati nella medesima area urbana, e nell’ambito dello stesso status socioeconomico. Per il confronto tra i dati intellettivi dei diversi gruppi è stato applicato il T-test con correzione di Bonferroni.
È stato considerato significativo un valore di p= 0.05.
Risultati e Discussioni: il gruppo di soggetti sani risulta confrontabile al gruppo di cefalalgici sia per distribuzione tra i
sessi (p= 0.417) che per età (p= 0.882). Il gruppo di cefalalgici (147 soggetti) risulta composto da 75 bambini affetti da
emicrania senz’aura (MoA) e 72 da cefalea di tipo tensivo (TTH) confrontabili tra loro per età (p=0.38) e distribuzione tra
i sessi (p=0.241). I tre gruppi esaminati (MoA, TTH e Controlli) non mostrano differenze nel livello intellettivo totale
(FIQ), ma risulta presente un più basso quoziente intellettivo verbale (VIQ) ed un maggiore livello intellettivo di
performance (PIQ) nei soggetti con cefalea tensiva rispetto ai bambini con emicrania sen’aura e i bambini sani. I dati di
analisi fattoriale mostrano che i soggetti emicranici sembrano avere un più basso rendimento nella Organizzazione
Percettiva (PO) rispetto ai controlli sani e ai bambini con cefalea tensiva. I dati ottenuti sembrano dunque suggerire la
presenza nei bambini affetti da cefalea di stili intellettivi peculiari e differenti tra i diversi tipi di cefalea primaria,
sottolineando ancora una volta la tendenza dei soggetti emicranici a disinvestire il campo delle attività di tipo esecutivo e
fine motorio, e la tendenza opposta dei soggetti con cefalea tensiva ad iperinvestire tali ambiti a scapito di quelli di
intellettualizzazione verbale.
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STUDIO ELETTROCLINICO DI 7 SOGGETTI CON MUTAZIONE PCDH19
STUDIO ELETTROCLINICO DI 7 SOGGETTI CON MUTAZIONE PCDH19
Darra F., Opri R., Accorsi P.*, Fiorini E., Meneghello L., Gabbiadini S., Caputo D., Dalla
Bernardina B.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, AOUI Verona, *U.O. di Neuropsichiatria Infantile,
Ospedale Civile di Brescia
Darra F., Opri R., Accorsi P.*, Fiorini E., Meneghello L., Gabbiadini S., Caputo D., Dalla
Bernardina B.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, AOUI Verona, *U.O. di Neuropsichiatria Infantile,
Ospedale Civile di Brescia
Background scientifico: le mutazioni del gene PCDH19 sono state inizialmente associate ad epilessia con ritardo mentale
familiare nelle femmine. Più recentemente sono stati descritti fenotipi di epilessia Dravet-like o di epilessia parziale.
Scopo: con il presente studio si intende descrivere il fenotipo elettroclinico ed in particolare il pattern critico dei soggetti
con una mutazione del gene PCDH19.
Metodologie e soggetti: abbiamo descritto il quadro neurologico, neuropsicologico ed EEG critico ed intercritico in 7
femmine con crisi esordite nel primo anno di vita (range 1 mese, 11 mesi), seguite dall’esordio presso il nostro Servizio
per un periodo minimo di 18 mesi e massimo di 12 anni. Sono stati videoregistrati diversi episodi critici in tutti i soggetti.
Il quadro neurologico all’esordio risultava nella norma in tutti i soggetti, nessuna delle bimbe presenta dei dimorfismi.
All’esordio dell’epilessia le pazienti presentavano, crisi focali in 2 casi, crisi focali con generalizzazione secondaria
favorite dalla febbre in tutti i casi. Le crisi tendevano a manifestarsi in cluster, della durata di alcuni giorni (1 a 3 giorni) o
a realizzare ripetuti stati di male (5 su 7 pazienti), spesso favoriti dalla febbre. L’EEG intercritico risultava nei limiti di
norma all’esordio in 6 su 7 soggetti, in 1 soggetto si osservavano frequenti anomalie multifocali a tipo di P e PL bilaterali
più evidenti a carico delle regioni fronto-centrali. Nel corso del follow-up comparsa all’età di 18 mesi di sporadiche PO in
sonno in 1 caso, in 2 casi comparsa di un rallentamento focale temporo-occipitale a carico dell’emisfero dx, in 1 caso
comparsa, all’età di 15 anni, di PO diffuse e di fotosensibilità elettroclinica. L’EEG critico mostra la comparsa di crisi
parziali a focalità temporo-occipitale (3 caso) e parieto-temporale (2 casi); in 2 casi è stato osservato un coinvolgimento
prevalente a carico della regione del vertice, con successivo interessamento della regione centro-temporale dell’emisfero
dx e sx. Le crisi erano caratterizzate dalla comparsa di crisi parziali complesse con sguardo spaventato, deviazione dello
sguardo, cambiamento di colorito con flushing o cianosi periorale, con ipertono vibratorio di durata generalmente
compresa tra 30 sec e 1 min - 30 sec. In alcuni casi (6/7) le crisi risultavano paucisintomatiche con parziale modificazione
della reattività in assenza di altre manifestazioni. In tutti i casi erano riferite crisi apparentemente generalizzate fin
dall’esordio ma con riscontro EEG di inizio focale; in 1 soggetto è stata registrata una crisi emiclonica all’età di 7 anni.
Tutti i soggetti sono risultati farmacoresistenti nonostante i diversi trattamenti farmacologici effettuati anche in
politerapia. Nel soggetto con il follow-up più lungo (12 anni), persistono sporadiche crisi convulsive in corso di febbre e
mioclonie massive alla SLI; in 1 soggetto persistono crisi sporadiche, gli altri soggetti presentano tuttora crisi in cluster
con frequenza variabile. La RMN encefalo è risultata negativa in tutti i casi. Il profilo neuropsicologico ha evidenziato un
deficit cognitivo lieve in 3 casi, in 2 casi un deficit di tipo medio, in altri 2 casi il deficit medio si associa ad un disturbo
comportamentale importante (in 1 caso comportamento autistic-like). In tutti e 7 i soggetti sono stati evidenziate
mutazioni PCDH19 de novo in 3, in 1 caso ereditate dalla mamma; nei restanti 4 casi le analisi dei genitori sono ancora in
corso.
Risultati e Discussioni: i dati riportati evidenziano come il fenotipo elettroclinico in soggetti con mutazione PCDH19 può
essere quello di una sorta di epilessia focale ed amplia quindi lo spettro clinico originariamente descritto in tale sindrome.
Si sottolinea inoltre come tale fenotipo sia, nonostante alcune caratteristiche comuni, ben distinguibile dalla Sindrome di
Dravet e come costituisca un fenotipo elettroclinico tipico, soprattutto per quanto riguarda il pattern critico oltre che per
l’andamento critico.
Background scientifico: le mutazioni del gene PCDH19 sono state inizialmente associate ad epilessia con ritardo mentale
familiare nelle femmine. Più recentemente sono stati descritti fenotipi di epilessia Dravet-like o di epilessia parziale.
Scopo: con il presente studio si intende descrivere il fenotipo elettroclinico ed in particolare il pattern critico dei soggetti
con una mutazione del gene PCDH19.
Metodologie e soggetti: abbiamo descritto il quadro neurologico, neuropsicologico ed EEG critico ed intercritico in 7
femmine con crisi esordite nel primo anno di vita (range 1 mese, 11 mesi), seguite dall’esordio presso il nostro Servizio
per un periodo minimo di 18 mesi e massimo di 12 anni. Sono stati videoregistrati diversi episodi critici in tutti i soggetti.
Il quadro neurologico all’esordio risultava nella norma in tutti i soggetti, nessuna delle bimbe presenta dei dimorfismi.
All’esordio dell’epilessia le pazienti presentavano, crisi focali in 2 casi, crisi focali con generalizzazione secondaria
favorite dalla febbre in tutti i casi. Le crisi tendevano a manifestarsi in cluster, della durata di alcuni giorni (1 a 3 giorni) o
a realizzare ripetuti stati di male (5 su 7 pazienti), spesso favoriti dalla febbre. L’EEG intercritico risultava nei limiti di
norma all’esordio in 6 su 7 soggetti, in 1 soggetto si osservavano frequenti anomalie multifocali a tipo di P e PL bilaterali
più evidenti a carico delle regioni fronto-centrali. Nel corso del follow-up comparsa all’età di 18 mesi di sporadiche PO in
sonno in 1 caso, in 2 casi comparsa di un rallentamento focale temporo-occipitale a carico dell’emisfero dx, in 1 caso
comparsa, all’età di 15 anni, di PO diffuse e di fotosensibilità elettroclinica. L’EEG critico mostra la comparsa di crisi
parziali a focalità temporo-occipitale (3 caso) e parieto-temporale (2 casi); in 2 casi è stato osservato un coinvolgimento
prevalente a carico della regione del vertice, con successivo interessamento della regione centro-temporale dell’emisfero
dx e sx. Le crisi erano caratterizzate dalla comparsa di crisi parziali complesse con sguardo spaventato, deviazione dello
sguardo, cambiamento di colorito con flushing o cianosi periorale, con ipertono vibratorio di durata generalmente
compresa tra 30 sec e 1 min - 30 sec. In alcuni casi (6/7) le crisi risultavano paucisintomatiche con parziale modificazione
della reattività in assenza di altre manifestazioni. In tutti i casi erano riferite crisi apparentemente generalizzate fin
dall’esordio ma con riscontro EEG di inizio focale; in 1 soggetto è stata registrata una crisi emiclonica all’età di 7 anni.
Tutti i soggetti sono risultati farmacoresistenti nonostante i diversi trattamenti farmacologici effettuati anche in
politerapia. Nel soggetto con il follow-up più lungo (12 anni), persistono sporadiche crisi convulsive in corso di febbre e
mioclonie massive alla SLI; in 1 soggetto persistono crisi sporadiche, gli altri soggetti presentano tuttora crisi in cluster
con frequenza variabile. La RMN encefalo è risultata negativa in tutti i casi. Il profilo neuropsicologico ha evidenziato un
deficit cognitivo lieve in 3 casi, in 2 casi un deficit di tipo medio, in altri 2 casi il deficit medio si associa ad un disturbo
comportamentale importante (in 1 caso comportamento autistic-like). In tutti e 7 i soggetti sono stati evidenziate
mutazioni PCDH19 de novo in 3, in 1 caso ereditate dalla mamma; nei restanti 4 casi le analisi dei genitori sono ancora in
corso.
Risultati e Discussioni: i dati riportati evidenziano come il fenotipo elettroclinico in soggetti con mutazione PCDH19 può
essere quello di una sorta di epilessia focale ed amplia quindi lo spettro clinico originariamente descritto in tale sindrome.
Si sottolinea inoltre come tale fenotipo sia, nonostante alcune caratteristiche comuni, ben distinguibile dalla Sindrome di
Dravet e come costituisca un fenotipo elettroclinico tipico, soprattutto per quanto riguarda il pattern critico oltre che per
l’andamento critico.
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ENCEFALOPATIA EPILETTICA PRECOCE ASSOCIATA A DIFETTI CONGENITI
DELLA GLICOSILAZIONE (CDG).
ENCEFALOPATIA EPILETTICA PRECOCE ASSOCIATA A DIFETTI CONGENITI
DELLA GLICOSILAZIONE (CDG).
Falchi M., Donati M. A.1 , Procopio E.,2 Barone R.3, Sturiale L.4, Garrozzo D.4, Barba C.1,
Guerrini R.1,5
1
Neurologia Pediatrica, AOU “A. Meyer” Firenze, 2 Sezione Malattie Metaboliche e Muscolari
3
Ereditarie,
Neurologia
Pediatrica,
AOU
“A.,Meyer”Firenze,
Dipartimento
di
4
5
Pediatria-Università di Catania, ICTP-CNR - Catania, Fondazione IRCCS Stella Maris, Pisa.
Falchi M., Donati M. A.1 , Procopio E.,2 Barone R.3, Sturiale L.4, Garrozzo D.4, Barba C.1,
Guerrini R.1,5
1
Neurologia Pediatrica, AOU “A. Meyer” Firenze, 2 Sezione Malattie Metaboliche e Muscolari
3
Ereditarie,
Neurologia
Pediatrica,
AOU
“A.,Meyer”Firenze,
Dipartimento
di
4
5
Pediatria-Università di Catania, ICTP-CNR - Catania, Fondazione IRCCS Stella Maris, Pisa.
Background: i difetti congeniti della glicosilazione, (Congenital Disorder of Glycosylation CDG), sono patologie
neurogenetiche dovute al difetto di enzimi implicati nella glicosilazione delle proteine. Il quadro clinico è eterogeneo con
uno spettro di sintomi e segni variamente rappresentati nei singoli difetti.
Scopo: descriviamo due pazienti con CDG-I, in cui la manifestazione principale è una encefalopatia epilettica precoce.
La diagnosi di CDG-I posta in due pazienti affetti da encefalopatia epilettica, microcefalia acquisita, dismorfismi facciali,
artrogriposi, scoliosi e tetraparesi spastica, sottolinea l’importanza di effettuare gli accertamenti specifici per questo
gruppo di malattie genetiche rare.
Metodologie e soggetti:
Paziente 1: 2 anni e tre mesi; ritardo di crescita intrauterina e ipocinesia fetale, parto alla 34a settimana. Alla nascita
parametri auxologici nella norma, severa ipotonia artrogriposi , distress respiratorio. Dai due mesi crisi epilettiche
farmaco resistenti, microcefalia progressiva, grave ritardo psicomotorio, tetraparesi spastica, infezioni respiratorie
frequenti con distress. Esame clinico: microcefalia, dismorfismi facciali, collo corto e grave scoliosi. Artrogriposi arti
superiori e inferiori. Tetraparesi spastica. Esami strumentali RM: semplificazione della girazione con atrofia diffusa.
EMG/ VCN: nella norma, BAEP e PEV: modesta alterazione della trasmissione centrale. Eco addome: fegato di
dimensioni ed ecostruttura incrementate. Fondo oculare: iride stellata e atrofia ottica. EEG: scarsa organizzazione,
anomalie parossistiche multifocali; crisi ad esordio emisferico destro o sinistro, con arresto psicomotorio, versione capo,
manifestazioni toniche asimmetriche, talora clonie.
Paziente 2: 16 mesi. Gravidanza normodecorsa, parto eutocico. Parametri auxologici nella norma. Alla nascita motricità
povera. Ad un mese crisi parziali, pluriquotidiane farmacoresistenti, grave ritardo psicomotorio, infezioni respiratorie
ricorrenti. Esame obiettivo: microcefalia, aplasia cutis dello scalpo. Dismorfismi facciali. Artrogriposi degli arti
superiori e inferiori. Scoliosi. Tetraparesi spastica.Esami strumentali. RM encefalo: semplificazione della girazione con
atrofia diffusa. EMG/ENG e PEV: nella norma, BAEP: bassa ampiezza con latenza conservata. Eco addome e fondo
oculare nella norma. EEG: rallentato, anomalie parossistiche multifocali; numerose crisi ad esordio emisferico destro o
sinistro, versione del capo, manifestazioni toniche asimmetriche, incostantemente clonie.
Esami di laboratorio dei due pazienti: Isoelettrofocusing della transferrina sierica (IEF) : aumento di sialo-tranferrina con
assenza di asialo-transferrina in entrambi. Analisi MALDI-TOF della transferrina sierica: in entrambi i pazienti difetto di
glicosilazione in accordo con analisi IEF . Oligosaccaridi legati ai lipidi (LLO) su fibroblasti: profilo alterato nel primo
paziente, in corso nel secondo. Analisi di mutazione del gene ALG3 (CDG-Id) in corso.
Risultati e discussione: entrambi i pazienti presentano encefalopatia epilettica ad esordio precoce associata a
microcefalia acquisita, dismorfismi facciali, artrogriposi e tetraparesi spastica. La RM encefalo in entrambi i casi mostra
una semplificazione della girazione con progressiva e diffusa atrofia. Le crisi epilettiche ad esordio nei primi 3 mesi e
farmacoresistenti, mostrano un pattern elettroclinico caratterizzato da coinvolgimento sincrono o asincrono dei due
emisferi con manifestazioni cliniche prevalentemente di tipo motorio. L’IEF eseguita nel primo anno di vita ha mostrato
in entrambi i pazienti, un pattern di CDG di tipo I. Le sindromi CDG sono un gruppo di difetti clinicamente e
biochimicamente eterogeneo, probabilmente sotto diagnosticato. Si sottolinea l’importanza di eseguire l’analisi IEF su
siero in pazienti affetti da encefalopatia epilettica da causa non nota specie in presenza di dimorfismi facciali, epatopatia
e artrogriposi.
Background: i difetti congeniti della glicosilazione, (Congenital Disorder of Glycosylation CDG), sono patologie
neurogenetiche dovute al difetto di enzimi implicati nella glicosilazione delle proteine. Il quadro clinico è eterogeneo con
uno spettro di sintomi e segni variamente rappresentati nei singoli difetti.
Scopo: descriviamo due pazienti con CDG-I, in cui la manifestazione principale è una encefalopatia epilettica precoce.
La diagnosi di CDG-I posta in due pazienti affetti da encefalopatia epilettica, microcefalia acquisita, dismorfismi facciali,
artrogriposi, scoliosi e tetraparesi spastica, sottolinea l’importanza di effettuare gli accertamenti specifici per questo
gruppo di malattie genetiche rare.
Metodologie e soggetti:
Paziente 1: 2 anni e tre mesi; ritardo di crescita intrauterina e ipocinesia fetale, parto alla 34a settimana. Alla nascita
parametri auxologici nella norma, severa ipotonia artrogriposi , distress respiratorio. Dai due mesi crisi epilettiche
farmaco resistenti, microcefalia progressiva, grave ritardo psicomotorio, tetraparesi spastica, infezioni respiratorie
frequenti con distress. Esame clinico: microcefalia, dismorfismi facciali, collo corto e grave scoliosi. Artrogriposi arti
superiori e inferiori. Tetraparesi spastica. Esami strumentali RM: semplificazione della girazione con atrofia diffusa.
EMG/ VCN: nella norma, BAEP e PEV: modesta alterazione della trasmissione centrale. Eco addome: fegato di
dimensioni ed ecostruttura incrementate. Fondo oculare: iride stellata e atrofia ottica. EEG: scarsa organizzazione,
anomalie parossistiche multifocali; crisi ad esordio emisferico destro o sinistro, con arresto psicomotorio, versione capo,
manifestazioni toniche asimmetriche, talora clonie.
Paziente 2: 16 mesi. Gravidanza normodecorsa, parto eutocico. Parametri auxologici nella norma. Alla nascita motricità
povera. Ad un mese crisi parziali, pluriquotidiane farmacoresistenti, grave ritardo psicomotorio, infezioni respiratorie
ricorrenti. Esame obiettivo: microcefalia, aplasia cutis dello scalpo. Dismorfismi facciali. Artrogriposi degli arti
superiori e inferiori. Scoliosi. Tetraparesi spastica.Esami strumentali. RM encefalo: semplificazione della girazione con
atrofia diffusa. EMG/ENG e PEV: nella norma, BAEP: bassa ampiezza con latenza conservata. Eco addome e fondo
oculare nella norma. EEG: rallentato, anomalie parossistiche multifocali; numerose crisi ad esordio emisferico destro o
sinistro, versione del capo, manifestazioni toniche asimmetriche, incostantemente clonie.
Esami di laboratorio dei due pazienti: Isoelettrofocusing della transferrina sierica (IEF) : aumento di sialo-tranferrina con
assenza di asialo-transferrina in entrambi. Analisi MALDI-TOF della transferrina sierica: in entrambi i pazienti difetto di
glicosilazione in accordo con analisi IEF . Oligosaccaridi legati ai lipidi (LLO) su fibroblasti: profilo alterato nel primo
paziente, in corso nel secondo. Analisi di mutazione del gene ALG3 (CDG-Id) in corso.
Risultati e discussione: entrambi i pazienti presentano encefalopatia epilettica ad esordio precoce associata a
microcefalia acquisita, dismorfismi facciali, artrogriposi e tetraparesi spastica. La RM encefalo in entrambi i casi mostra
una semplificazione della girazione con progressiva e diffusa atrofia. Le crisi epilettiche ad esordio nei primi 3 mesi e
farmacoresistenti, mostrano un pattern elettroclinico caratterizzato da coinvolgimento sincrono o asincrono dei due
emisferi con manifestazioni cliniche prevalentemente di tipo motorio. L’IEF eseguita nel primo anno di vita ha mostrato
in entrambi i pazienti, un pattern di CDG di tipo I. Le sindromi CDG sono un gruppo di difetti clinicamente e
biochimicamente eterogeneo, probabilmente sotto diagnosticato. Si sottolinea l’importanza di eseguire l’analisi IEF su
siero in pazienti affetti da encefalopatia epilettica da causa non nota specie in presenza di dimorfismi facciali, epatopatia
e artrogriposi.
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STROKE ISCHEMICO IN ETA’ PEDIATRICA E NEONATALE: DATI DEL 1° ANNO
DI ATTIVITÀ DEL REGISTRO ITALIANO TROMBOSI INFANTILI (RITI)
STROKE ISCHEMICO IN ETA’ PEDIATRICA E NEONATALE: DATI DEL 1° ANNO
DI ATTIVITÀ DEL REGISTRO ITALIANO TROMBOSI INFANTILI (RITI)
Bassi B, Gentilomo C, Saracco P, Lorenzon E, Laverda AM, Battini R, Agostini M, Bagna
R, Giordano P, Molinari C, Ramenghi L, Simioni P e il Gruppo Italiano per il Registro
Trombosi Infantili - GIRTI -).
Bassi B, Gentilomo C, Saracco P, Lorenzon E, Laverda AM, Battini R, Agostini M, Bagna
R, Giordano P, Molinari C, Ramenghi L, Simioni P e il Gruppo Italiano per il Registro
Trombosi Infantili - GIRTI -).
Introduzione. Stroke e tromboembolismo (TE) sistemico in età evolutiva sono in forte aumento e gravati da alti tassi di
mortalità e morbilità. I fattori di rischio, le caratteristiche cliniche e la prognosi, così come l’approccio terapeutico ideale
cambiano con l’età d’esordio; in mancanza di trials clinici randomizzati pediatrici, tuttavia, le raccomandazioni
disponibili sono mutuate da quelle per l’adulto e di fatto la pratica clinica varia molto tra i paesi e tra i singoli centri
pediatrici.
Scopo, materiali e metodi. Nel 2008 si è riunito un gruppo multicentrico e multidisciplinare di ricercatori italiani che,
supportato da ALT onlus (Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle Malattie Cardiovascolari, Milano) e GIRTI
onlus (Gruppo Italiano per il Registro delle Trombosi Infantili, Padova), ha realizzato un registro online delle trombosi
infantili (RITI - www.trombosinfantili.it), al fine di raccogliere prospetticamente il maggior numero possibile di casi
italiani di TE (arterioso e venoso, cerebrale e sistemico) in età perinatale (fino a 28 giorni di vita) e pediatrica (29 giorni18 anni). Il RITI raccoglie dati su fattori di rischio, caratteristiche cliniche, reperti laboratoristici e strumentali, trattamenti
antitrombotici comprese dosi, eventuali complicanze e fallimenti terapeutici, prognosi a breve e a lungo termine. I dati
sulle recidive, la qualità di vita percepita dal paziente e il numero di ospedalizzazioni e/o procedure legate agli esiti,
inoltre, forniscono informazioni sul costo sociale del TE pediatrico.
Riportiamo i risultati dei casi di stroke ischemico arterioso (SIA) e trombosi venosa cerebrale (TVC) arruolati nel RITI
nel suo primo anno di attività.
Risultati: completata la prima fase di validazione, il RITI è stato ufficialmente inaugurato nel marzo 2010. Attualmente
include 256 eventi TE, di cui 175 (70%) casi di stroke: 106/175 (60%) TVC, 69/175 (40%) SIA. Questa preponderanza di
TE cerebrale non ha valenza epidemiologica, ma riflette verosimilmente la maggioranza di neuropediatri coinvolti nella
realizzazione e nelle prime fasi di attività del RITI.
I dati dei pazienti con stroke confermano quanto osservato in registri esteri preesistenti, tra cui innanzitutto un approccio
diverso nei vari centri pediatrici e una prognosi severa in quasi la metà dei pazienti. Neonati e adolescenti rappresentano
le principali classi d’età; infezioni, vasculopatie e cardiopatie le condizioni cliniche associate più frequentemente; inoltre,
almeno un difetto trombofilico è stato identificato nel 51% dei pazienti indagati. Nel 66% dei pazienti lo stroke è
avvenuto in età pediatrica, nel 31% in epoca perinatale; il 3% ha presentato uno stroke presunto perinatale. Il 69% dei
pazienti ha ricevuto un trattamento anti-trombotico: l’acido acetilsalicilico è stato il farmaco più usato nello SIA; le
eparine a basso peso molecolare, sono state l’anticoagulante di prima scelta sia nello SIA che nella TVC. La diagnosi di
SIA pediatrico è stata ottenuta entro 3 ore dall’esordio dei sintomi nel 20% dei casi, in nessuno di questi è stato praticato
un trattamento trombolitico. Complessivamente il tasso di mortalità è stato del 2%, il tasso di morbilità del 43%, il tasso
di recidiva del 10% all’ultimo follow-up (con un periodo di osservazione medio di 3 mesi, range: 0-9 mesi).
Conclusione: il RITI rappresenta un’opportunità sia per i pediatri italiani che per i ricercatori di registri esteri di
collaborare a studi multicentrici e multinazionali sull’eziologia, l’approccio diagnostico, il trattamento e la prognosi dello
stroke neonatale e pediatrico.
Introduzione. Stroke e tromboembolismo (TE) sistemico in età evolutiva sono in forte aumento e gravati da alti tassi di
mortalità e morbilità. I fattori di rischio, le caratteristiche cliniche e la prognosi, così come l’approccio terapeutico ideale
cambiano con l’età d’esordio; in mancanza di trials clinici randomizzati pediatrici, tuttavia, le raccomandazioni
disponibili sono mutuate da quelle per l’adulto e di fatto la pratica clinica varia molto tra i paesi e tra i singoli centri
pediatrici.
Scopo, materiali e metodi. Nel 2008 si è riunito un gruppo multicentrico e multidisciplinare di ricercatori italiani che,
supportato da ALT onlus (Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle Malattie Cardiovascolari, Milano) e GIRTI
onlus (Gruppo Italiano per il Registro delle Trombosi Infantili, Padova), ha realizzato un registro online delle trombosi
infantili (RITI - www.trombosinfantili.it), al fine di raccogliere prospetticamente il maggior numero possibile di casi
italiani di TE (arterioso e venoso, cerebrale e sistemico) in età perinatale (fino a 28 giorni di vita) e pediatrica (29 giorni18 anni). Il RITI raccoglie dati su fattori di rischio, caratteristiche cliniche, reperti laboratoristici e strumentali, trattamenti
antitrombotici comprese dosi, eventuali complicanze e fallimenti terapeutici, prognosi a breve e a lungo termine. I dati
sulle recidive, la qualità di vita percepita dal paziente e il numero di ospedalizzazioni e/o procedure legate agli esiti,
inoltre, forniscono informazioni sul costo sociale del TE pediatrico.
Riportiamo i risultati dei casi di stroke ischemico arterioso (SIA) e trombosi venosa cerebrale (TVC) arruolati nel RITI
nel suo primo anno di attività.
Risultati: completata la prima fase di validazione, il RITI è stato ufficialmente inaugurato nel marzo 2010. Attualmente
include 256 eventi TE, di cui 175 (70%) casi di stroke: 106/175 (60%) TVC, 69/175 (40%) SIA. Questa preponderanza di
TE cerebrale non ha valenza epidemiologica, ma riflette verosimilmente la maggioranza di neuropediatri coinvolti nella
realizzazione e nelle prime fasi di attività del RITI.
I dati dei pazienti con stroke confermano quanto osservato in registri esteri preesistenti, tra cui innanzitutto un approccio
diverso nei vari centri pediatrici e una prognosi severa in quasi la metà dei pazienti. Neonati e adolescenti rappresentano
le principali classi d’età; infezioni, vasculopatie e cardiopatie le condizioni cliniche associate più frequentemente; inoltre,
almeno un difetto trombofilico è stato identificato nel 51% dei pazienti indagati. Nel 66% dei pazienti lo stroke è
avvenuto in età pediatrica, nel 31% in epoca perinatale; il 3% ha presentato uno stroke presunto perinatale. Il 69% dei
pazienti ha ricevuto un trattamento anti-trombotico: l’acido acetilsalicilico è stato il farmaco più usato nello SIA; le
eparine a basso peso molecolare, sono state l’anticoagulante di prima scelta sia nello SIA che nella TVC. La diagnosi di
SIA pediatrico è stata ottenuta entro 3 ore dall’esordio dei sintomi nel 20% dei casi, in nessuno di questi è stato praticato
un trattamento trombolitico. Complessivamente il tasso di mortalità è stato del 2%, il tasso di morbilità del 43%, il tasso
di recidiva del 10% all’ultimo follow-up (con un periodo di osservazione medio di 3 mesi, range: 0-9 mesi).
Conclusione: il RITI rappresenta un’opportunità sia per i pediatri italiani che per i ricercatori di registri esteri di
collaborare a studi multicentrici e multinazionali sull’eziologia, l’approccio diagnostico, il trattamento e la prognosi dello
stroke neonatale e pediatrico.
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C6
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SINDROME OPSOCLONO-MIOCLONO: E’ SEMPRE PARANEOPLASTICA? CASI
PERSONALI E REVISIONE DELLA LETTERATURA
SINDROME OPSOCLONO-MIOCLONO: E’ SEMPRE PARANEOPLASTICA? CASI
PERSONALI E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Molinaro A.1, Zonno G. 1, Micheli R. 1, Fazzi E.1,2
1
UONPIA A.O. Spedali Civili di Brescia, 2 Dipartimento Materno-Infantile, Università degli
Studi di Brescia
Molinaro A.1, Zonno G. 1, Micheli R. 1, Fazzi E.1,2
1
UONPIA A.O. Spedali Civili di Brescia, 2 Dipartimento Materno-Infantile, Università degli
Studi di Brescia
Background: la sindrome opsoclono-mioclono (OMS, o sindrome di Kinsbourne), è un disordine neurologico
autoimmune raro, con picco di esordio tra 6 e 36 mesi di età, associato nella metà dei casi alla presenza di neuroblastoma.
Scopo: Presentazione di 3 casi personali e discussione dell’ipotesi che l’OMS possa associarsi a neuroblastoma
strumentalmente non identificabile.
Pazienti e metodi: 2 femmine e 1 maschio (di 15, 24 e 23 mesi) ricoverati tra il 2002 e il 2008 presso l’UONPIA degli
Spedali Civili di Brescia, per atassia subacuta assiale e segmentaria, opsoclono e mioclono, hanno eseguito esami
ematochimici, sierologici, screening metabolico (AAgramma, ac. organici urinari, FT3-FT4-TSH, lattato, EAB, Cu+),
Ab-anticervelletto, ricerca di catecolamine e metaboliti nelle urine/24 ore, esame liquorale diretto, colturale e ricerca di
virus neurotropi, EEG, RM encefalo, Rx torace, ecografia addome. Effettuata una diagnosi clinica di OMS, hanno assunto
terapia con ACTH (attacco: 0.02 mg/kg/die IM).
Risultati: Tutti gli esami effettuati sono risultati nella norma. In particolare è stato escluso, alla diagnosi, un
neuroblastoma. Nel paziente 1 (F, 15 mesi), l’ACTH (iniziato a 18 giorni dall’esordio) ha permesso una completa
remissione sintomatologica dopo un mese, ed è stato sospeso dopo 1.5 anni; a 9 anni dalla diagnosi, la bambina è
neurologicamente e cognitivamente normale. Il paziente 2 (F, 24 mesi), iniziato ACTH a 7 giorni dall’esordio, ha
presentato risoluzione della sintomatologia dopo un mese, ma anche due recidive di atassia/mioclono (8 mesi e 2 anni
dopo la diagnosi, durante riduzione posologica della terapia, sospesa dopo 2.4 anni; a 9 anni dalla diagnosi, persistono
incoordinazione motoria e ritardo cognitivo medio-lieve. Il paziente 3 (M, 23 mesi), non responsivo a Desametasone ed
acyclovir, ha ottenuto pronta risposta all’ACTH iniziato a 4 settimane dall’esordio, ma ha poi presentato recidive di
malattia (a 3, 4 e 9 mesi dalla diagnosi), per cui ha iniziato in altra sede (Polonia, paese d’origine) l’infusione di IVIG (1
g/kg/mese). A 9 mesi dalla diagnosi, una scintigrafia-MIBG ha escluso la presenza di neuroblastoma; tuttavia 3 mesi
dopo una TC total-body ha identificato un neuroblastoma toracico di 3,5 cm, quindi asportato chirurgicamente. A 3 anni
dall’esordio, il bambino è ancora in terapia con ACTH-IVIG, è neurologicamente normale e non ha manifestato recidive
di malattia negli ultimi 8 mesi.
Discussione e conclusioni: Il ritardo diagnostico medio di 3 mesi riportato in letteratura a proposito dell’OMS (Tate et al,
2005) ritarda il trattamento mirato con ACTH. Sembrano in realtà inefficaci le terapie non mirate (nel sospetto di
cerebellite virale acuta) con steroidi ed antivirali (pur essendovi spesso infezioni virali e/o vaccinazioni nel mese
precedente l’esordio clinico; Cardesa-Salzmann et al, 2006), essendo la sindrome probabilmente autoimmune (Sottini et
al, 2007; Pranzatelli et al 2010) ma su base assai frequentemente paraneoplastica. In effetti l’OMS può precedere di
mesi/anni un tumore della cresta neurale, e quest’ultimo può dare un’escrezione urinaria di catecolamine normale , come
nel nostro paziente 3 (Aguilera et al, 2009); inoltre, a causa dell’alta incidenza di regressione spontanea del
neuroblastoma, il fatto di non aver trovato il tumore non significa che precedentemente non esistesse (Tate et al, 2005).
Tanto che da alcuni Autori “OMS idiopatica” è considerata sinonimo di “OMS da probabile tumore involuto”
(Rothenberg et al, 2009; Aguilera et al, 2009). La nostra esperienza concorda con la letteratura, e l’occorrenza di recidive
in corso di terapia potrebbe rappresentare un criterio di selezione dei pazienti sui quali continuare a ricercare un
neuroblastoma, nonostante precedenti tentativi falliti. Resta da dirimere quale sia l’esame di scelta nel rapporto costobeneficio, tra ecografia addome, Rx torace, TC/RM total body, o scintigrafia (MIBG), ed il trattamento ottimale.
Background: la sindrome opsoclono-mioclono (OMS, o sindrome di Kinsbourne), è un disordine neurologico
autoimmune raro, con picco di esordio tra 6 e 36 mesi di età, associato nella metà dei casi alla presenza di neuroblastoma.
Scopo: Presentazione di 3 casi personali e discussione dell’ipotesi che l’OMS possa associarsi a neuroblastoma
strumentalmente non identificabile.
Pazienti e metodi: 2 femmine e 1 maschio (di 15, 24 e 23 mesi) ricoverati tra il 2002 e il 2008 presso l’UONPIA degli
Spedali Civili di Brescia, per atassia subacuta assiale e segmentaria, opsoclono e mioclono, hanno eseguito esami
ematochimici, sierologici, screening metabolico (AAgramma, ac. organici urinari, FT3-FT4-TSH, lattato, EAB, Cu+),
Ab-anticervelletto, ricerca di catecolamine e metaboliti nelle urine/24 ore, esame liquorale diretto, colturale e ricerca di
virus neurotropi, EEG, RM encefalo, Rx torace, ecografia addome. Effettuata una diagnosi clinica di OMS, hanno assunto
terapia con ACTH (attacco: 0.02 mg/kg/die IM).
Risultati: Tutti gli esami effettuati sono risultati nella norma. In particolare è stato escluso, alla diagnosi, un
neuroblastoma. Nel paziente 1 (F, 15 mesi), l’ACTH (iniziato a 18 giorni dall’esordio) ha permesso una completa
remissione sintomatologica dopo un mese, ed è stato sospeso dopo 1.5 anni; a 9 anni dalla diagnosi, la bambina è
neurologicamente e cognitivamente normale. Il paziente 2 (F, 24 mesi), iniziato ACTH a 7 giorni dall’esordio, ha
presentato risoluzione della sintomatologia dopo un mese, ma anche due recidive di atassia/mioclono (8 mesi e 2 anni
dopo la diagnosi, durante riduzione posologica della terapia, sospesa dopo 2.4 anni; a 9 anni dalla diagnosi, persistono
incoordinazione motoria e ritardo cognitivo medio-lieve. Il paziente 3 (M, 23 mesi), non responsivo a Desametasone ed
acyclovir, ha ottenuto pronta risposta all’ACTH iniziato a 4 settimane dall’esordio, ma ha poi presentato recidive di
malattia (a 3, 4 e 9 mesi dalla diagnosi), per cui ha iniziato in altra sede (Polonia, paese d’origine) l’infusione di IVIG (1
g/kg/mese). A 9 mesi dalla diagnosi, una scintigrafia-MIBG ha escluso la presenza di neuroblastoma; tuttavia 3 mesi
dopo una TC total-body ha identificato un neuroblastoma toracico di 3,5 cm, quindi asportato chirurgicamente. A 3 anni
dall’esordio, il bambino è ancora in terapia con ACTH-IVIG, è neurologicamente normale e non ha manifestato recidive
di malattia negli ultimi 8 mesi.
Discussione e conclusioni: Il ritardo diagnostico medio di 3 mesi riportato in letteratura a proposito dell’OMS (Tate et al,
2005) ritarda il trattamento mirato con ACTH. Sembrano in realtà inefficaci le terapie non mirate (nel sospetto di
cerebellite virale acuta) con steroidi ed antivirali (pur essendovi spesso infezioni virali e/o vaccinazioni nel mese
precedente l’esordio clinico; Cardesa-Salzmann et al, 2006), essendo la sindrome probabilmente autoimmune (Sottini et
al, 2007; Pranzatelli et al 2010) ma su base assai frequentemente paraneoplastica. In effetti l’OMS può precedere di
mesi/anni un tumore della cresta neurale, e quest’ultimo può dare un’escrezione urinaria di catecolamine normale , come
nel nostro paziente 3 (Aguilera et al, 2009); inoltre, a causa dell’alta incidenza di regressione spontanea del
neuroblastoma, il fatto di non aver trovato il tumore non significa che precedentemente non esistesse (Tate et al, 2005).
Tanto che da alcuni Autori “OMS idiopatica” è considerata sinonimo di “OMS da probabile tumore involuto”
(Rothenberg et al, 2009; Aguilera et al, 2009). La nostra esperienza concorda con la letteratura, e l’occorrenza di recidive
in corso di terapia potrebbe rappresentare un criterio di selezione dei pazienti sui quali continuare a ricercare un
neuroblastoma, nonostante precedenti tentativi falliti. Resta da dirimere quale sia l’esame di scelta nel rapporto costobeneficio, tra ecografia addome, Rx torace, TC/RM total body, o scintigrafia (MIBG), ed il trattamento ottimale.
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C7
C7
TRATTAMENTO SPERIMENTALE CON IGF1 IN 6 BAMBINE RETT.
TRATTAMENTO SPERIMENTALE CON IGF1 IN 6 BAMBINE RETT.
Giorgio Pini1, Daniela Tropea 2, Maria Flora Scusa1,, Beatrice Felloni1, Laura Congiu1,
Alberto Benincasa1, Rossella Frati1, Ilaria Bottiglioni1, Pietro Di Marco3, Paolo Borelli 3
Ubaldo Bonuccelli 3,4
1
Rett Centro si Riferimento per la Sindrome di Rett, della Regione Toscana, Ospedale Versilia,
Lido di Camaiore, 2 Massachusetts Institute of Technology, Picower Institute for Learning and
Memory, and Trinity College Dublin,3 UO Neurologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore,
4
Clinica Neurologica, Università di Pisa
Giorgio Pini1, Daniela Tropea 2, Maria Flora Scusa1,, Beatrice Felloni1, Laura Congiu1,
Alberto Benincasa1, Rossella Frati1, Ilaria Bottiglioni1, Pietro Di Marco3, Paolo Borelli 3
Ubaldo Bonuccelli 3,4
1
Rett Centro si Riferimento per la Sindrome di Rett, della Regione Toscana, Ospedale Versilia,
Lido di Camaiore, 2 Massachusetts Institute of Technology, Picower Institute for Learning and
Memory, and Trinity College Dublin,3 UO Neurologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore,
4
Clinica Neurologica, Università di Pisa
Contenuto: la sindrome di Rett è una malattia genetica rara, che colpisce quasi esclusivamente le femmine. Si caratterizza
per una peculiare progressione in stadi: dopo una periodo di normalità, avviene un arresto dello sviluppo con regressione
di abilità acquisite (comunicazione, linguaggio, motricità, prassie manuali), comparsa di crisi convulsive, tipiche
stereotipe manuali, disturbi respiratori e del sistema nervoso autonomo, digerente e scheletrico. Seguono un periodo di
pseudo stazionarietà e una regressione tardiva. Dalle iniziali ipotesi di tipo degenerativo, si è passati a configurarla come
un disturbo dello sviluppo neurologico. Grazie agli studi sperimentali sui topi di Guy et al. e di Giacometti et al. nel 2007
e quelli di Tropea et al. nel 2009 la malattia è risultata almeno teoricamente reversibile. Tropea in particolare ha
sperimentato nel topo Rett una sostanza, il peptide attivo dell’IGF1, che ha indotto una parziale reversibilità dei sintomi.
Studi successive in vitro (Tropea a Dublino) e nell’animale Rett (M.Sur al MIT) hanno confermato che l’IGF1 ed il suo
peptide attivo hanno lo stesso effetto.
L’IGF1 (insulin growth factor 1): è un farmaco utilizzato nel ritardo di crescita in bambini e adolescenti con deficit
primario severo del fattore di crescita insulino-simile.È una molecola espressa nel SNC nel corso del normale sviluppo e
che ha la funzione di promuovere la sopravvivenza neuronale, la maturazione sinaptica e favorire la plasticità corticale.
Obbiettivi: valutazione dell’effetto dell’IGF-1 sui sintomi clinici della RTT.
Materiale e metodo: nel nostro studio sperimentale abbiamo somministrato la Mecasermina (Increlex) su un gruppo di 6
bambine RTT, forma classica, in range di età compreso tra 4-11 anni.
Il protocollo prevede 2 iniezioni sottocutanee di IGF-1 al giorno per un periodo di 6 mesi. La dose iniziale è di 0,05
mg/Kg e la dose di mantenimento è di 0,1 mg/Kg. I possibili effetti collaterali potevano essere: ipoglicemia, ipertrofia
tonsillare, ipertensione endocranica ed in sede di iniezione: arrossamento, dolore.
Risultati: Effetti concomitanti - EPILESSIA: prima dell’inizio della terapia con IGF1 due bambine erano epilettiche. Una
bambina ha avuto esordio di crisi poco prima dell’inizio dell’IGF1 per cui è stato rinviato. Due bambine hanno presentato
crisi epilettiche durante il trattamento. Come noto in letteratura l’esordio della prima crisi epilettica nelle bambine Rett,
forma classica è compresa tra 4 e 7 anni; nel database del CRR per la Sindrome di Rett dell'Ospedale Versilia, l’età
media di esordio è 52 mesi. - IPOGLICEMIA: Valore normale nel sangue 60-110 mg/dl. Numerose misurazioni
plurigiornaliere, prima e dopo somministrazione dell’IGF1, a digiuno e postprandiali avevano sempre un valore superiore
al limite minimo con l’eccezione di un solo episodio ipoglicemico (55 mg/dl). - IPERPLASIA GHIANDOLARE
MAMMARIA: Comparsa in un caso di iperplasia, prima mono e poi bilaterale, regredita spontaneamente.
Reversibilità Sintomatologica: La valutazione dei risultati è ancora in corso: si attende che tutte le bambine abbiano
concluso il follow up e si possa procedere ad un valutazione in cieco con 6 controlli. Sul piano clinico si sono osservati
importanti miglioramenti in ambito motorio e cognitivo, testimoniati dall’esame clinico, dai video e dalle scale utilizzate.
I punteggi di gravità della scala ISS si sono ridotti rispetto al dato iniziale in 3/6 bambine, nonostante l' esordio
dell'epilessia.
I risultati della scala CGI, adattata alla sindrome di Rett e all’area psichica (attenzione, umore e presenza all'ambiente)
hanno evidenziato: nessuna modifica sostanziale in due bambine; miglioramenti lievi in altre due, grandi miglioramenti
nelle ultime due. I miglioramenti osservati di attenzione e partecipazione sociale permangono a distanza dalla
sospensione dell’IGF1.
La valutazione respiratoria ha messo in luce la riduzione netta delle apnee e l'incremento della frequenza respiratoria.
Sono ancora in corso le variazioni dell'emogasanalisi con particolare attenzione a PCO2 venosa e PH.
Sul piano auxologico si sono verificati incrementi dei parametri: peso, altezza.
La densitometria ossea, importante per valutare l'osteopenia e l'osteoporosi, così precoce e diffusa, ha mostrato
l'incremento della massa ossea in 4 casi su 5. Questo risultato avrebbe significato nella prevenzione delle frequenti
complicanze che si accompagnano in queste bambine alla fragilità ossea.
Conclusione:
Lo studio dimostra una ottima sicurezza del farmaco nella sindrome di Rett, incoraggianti risultati in ambito auxologico e
scheletrico ed un miglioramento di funzioni del SNC ed autonomo come la riduzione della frequenza delle apnee e
l'incremento dell'interazione sociale e dell'attenzione.
Contenuto: la sindrome di Rett è una malattia genetica rara, che colpisce quasi esclusivamente le femmine. Si caratterizza
per una peculiare progressione in stadi: dopo una periodo di normalità, avviene un arresto dello sviluppo con regressione
di abilità acquisite (comunicazione, linguaggio, motricità, prassie manuali), comparsa di crisi convulsive, tipiche
stereotipe manuali, disturbi respiratori e del sistema nervoso autonomo, digerente e scheletrico. Seguono un periodo di
pseudo stazionarietà e una regressione tardiva. Dalle iniziali ipotesi di tipo degenerativo, si è passati a configurarla come
un disturbo dello sviluppo neurologico. Grazie agli studi sperimentali sui topi di Guy et al. e di Giacometti et al. nel 2007
e quelli di Tropea et al. nel 2009 la malattia è risultata almeno teoricamente reversibile. Tropea in particolare ha
sperimentato nel topo Rett una sostanza, il peptide attivo dell’IGF1, che ha indotto una parziale reversibilità dei sintomi.
Studi successive in vitro (Tropea a Dublino) e nell’animale Rett (M.Sur al MIT) hanno confermato che l’IGF1 ed il suo
peptide attivo hanno lo stesso effetto.
L’IGF1 (insulin growth factor 1): è un farmaco utilizzato nel ritardo di crescita in bambini e adolescenti con deficit
primario severo del fattore di crescita insulino-simile.È una molecola espressa nel SNC nel corso del normale sviluppo e
che ha la funzione di promuovere la sopravvivenza neuronale, la maturazione sinaptica e favorire la plasticità corticale.
Obbiettivi: valutazione dell’effetto dell’IGF-1 sui sintomi clinici della RTT.
Materiale e metodo: nel nostro studio sperimentale abbiamo somministrato la Mecasermina (Increlex) su un gruppo di 6
bambine RTT, forma classica, in range di età compreso tra 4-11 anni.
Il protocollo prevede 2 iniezioni sottocutanee di IGF-1 al giorno per un periodo di 6 mesi. La dose iniziale è di 0,05
mg/Kg e la dose di mantenimento è di 0,1 mg/Kg. I possibili effetti collaterali potevano essere: ipoglicemia, ipertrofia
tonsillare, ipertensione endocranica ed in sede di iniezione: arrossamento, dolore.
Risultati: Effetti concomitanti - EPILESSIA: prima dell’inizio della terapia con IGF1 due bambine erano epilettiche. Una
bambina ha avuto esordio di crisi poco prima dell’inizio dell’IGF1 per cui è stato rinviato. Due bambine hanno presentato
crisi epilettiche durante il trattamento. Come noto in letteratura l’esordio della prima crisi epilettica nelle bambine Rett,
forma classica è compresa tra 4 e 7 anni; nel database del CRR per la Sindrome di Rett dell'Ospedale Versilia, l’età
media di esordio è 52 mesi. - IPOGLICEMIA: Valore normale nel sangue 60-110 mg/dl. Numerose misurazioni
plurigiornaliere, prima e dopo somministrazione dell’IGF1, a digiuno e postprandiali avevano sempre un valore superiore
al limite minimo con l’eccezione di un solo episodio ipoglicemico (55 mg/dl). - IPERPLASIA GHIANDOLARE
MAMMARIA: Comparsa in un caso di iperplasia, prima mono e poi bilaterale, regredita spontaneamente.
Reversibilità Sintomatologica: La valutazione dei risultati è ancora in corso: si attende che tutte le bambine abbiano
concluso il follow up e si possa procedere ad un valutazione in cieco con 6 controlli. Sul piano clinico si sono osservati
importanti miglioramenti in ambito motorio e cognitivo, testimoniati dall’esame clinico, dai video e dalle scale utilizzate.
I punteggi di gravità della scala ISS si sono ridotti rispetto al dato iniziale in 3/6 bambine, nonostante l' esordio
dell'epilessia.
I risultati della scala CGI, adattata alla sindrome di Rett e all’area psichica (attenzione, umore e presenza all'ambiente)
hanno evidenziato: nessuna modifica sostanziale in due bambine; miglioramenti lievi in altre due, grandi miglioramenti
nelle ultime due. I miglioramenti osservati di attenzione e partecipazione sociale permangono a distanza dalla
sospensione dell’IGF1.
La valutazione respiratoria ha messo in luce la riduzione netta delle apnee e l'incremento della frequenza respiratoria.
Sono ancora in corso le variazioni dell'emogasanalisi con particolare attenzione a PCO2 venosa e PH.
Sul piano auxologico si sono verificati incrementi dei parametri: peso, altezza.
La densitometria ossea, importante per valutare l'osteopenia e l'osteoporosi, così precoce e diffusa, ha mostrato
l'incremento della massa ossea in 4 casi su 5. Questo risultato avrebbe significato nella prevenzione delle frequenti
complicanze che si accompagnano in queste bambine alla fragilità ossea.
Conclusione:
Lo studio dimostra una ottima sicurezza del farmaco nella sindrome di Rett, incoraggianti risultati in ambito auxologico e
scheletrico ed un miglioramento di funzioni del SNC ed autonomo come la riduzione della frequenza delle apnee e
l'incremento dell'interazione sociale e dell'attenzione.
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C8
C8
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON IPOTERMIA GENERALIZZATA NEL
NEONATO CON ENCEFALOPATIA IPOSSICO-ISCHEMICA: 15 MESI DI FOLLOW-UP
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON IPOTERMIA GENERALIZZATA NEL
NEONATO CON ENCEFALOPATIA IPOSSICO-ISCHEMICA: 15 MESI DI FOLLOW-UP
Pisano T.1, Filippi L2.,Falchi M.1, Catarzi S.2, Tinelli F.3,Cioni G.3, Fiorini P.2, Guerrini R1.
1
Clinica di Neurologia Pediatrica, AOU Meyer, Firenze, 2 Terapia Intensiva neonatale, AOU
Meyer, Firenze, 3 Neurologia Pediatrica, IRCCS Stella Maris, Pisa
Pisano T.1, Filippi L2.,Falchi M.1, Catarzi S.2, Tinelli F.3,Cioni G.3, Fiorini P.2, Guerrini R1.
1
Clinica di Neurologia Pediatrica, AOU Meyer, Firenze, 2 Terapia Intensiva neonatale, AOU
Meyer, Firenze, 3 Neurologia Pediatrica, IRCCS Stella Maris, Pisa
Background: esiste una forte evidenza in letteratura che la ipotermia è in grado di ridurre i danni causati dall'encefalopatia
ipossico-ischemica.
Scopo: il nostro obiettivo è quello di dimostrare l'efficacia del trattamento con ipotermia generalizzata; piu' efficace
rispetto alla ipotermia cerebrale selettiva nei neonati con asfissia perinatale.
Metodologie e soggetti: abbiamo arruolato 14 neonati di EG = 36 settimane che afferiscono all' Ospedale Meyer da tutta
l'area vasta Fiorentina. Il criterio di inclusione prevede la combinazione di acidosi severa o basso indice di Apgar alla
nascita, con segni neurologici anomali (corrispondenti agli stadi 2 e 3 di Sarnat) e alterazioni elettroencefalografiche
durante le prime ore di vita. Il neonato con asfissia perinatale che soddisfa i criteri viene sottoposto a cure intensive
associate ad ipotermia generalizzata a 33.5°C per 72 ore. Sono esclusi i neonati che arrivano in TIN oltre le 6 ore di vita,
che presentano anomalie congenite maggiori o altre sindromi che includano malformazioni cerebrali, con peso alla
nascita <1800 g e se vi è palese sanguinamento. Tutti i neonati vengono sottoposti ad un percorso di follow-up clinico e
strumentale uniforme che comprende: valutazione neurologica, general movements, EEG, studio delle funzioni visive,
test di Dubowitz, Hammersmith, Bayley , Rm encefalo secondo tempi prestabiliti.
Risultiati e Conclusioni: abbiamo arruolato 14 pazienti (due deceduti), due presentano un'epilessia, quattro presentano
una disabilità neurologica maggiore. I primi risultati mostrano una riduzione della mortalità e una evoluzione positiva
dello sviluppo psicomotorio nei neonati che presentano lievi alterazioni EEG nel periodo di arruolamento e nelle ore
immediatamente successive. I primi dati suggeriscono l'utilizzo dell'ipotermia come metodo di prevenzione del danno
neurologico nell'encefalopatia ipossico-ischemica e l'importanza di utilizzare l'EEG come criterio di arruolamento in
associazione alle alterazioni dell'Apgar e in presenza di acidosi anche in assenza di una chiara clinica patologica.
Background: esiste una forte evidenza in letteratura che la ipotermia è in grado di ridurre i danni causati dall'encefalopatia
ipossico-ischemica.
Scopo: il nostro obiettivo è quello di dimostrare l'efficacia del trattamento con ipotermia generalizzata; piu' efficace
rispetto alla ipotermia cerebrale selettiva nei neonati con asfissia perinatale.
Metodologie e soggetti: abbiamo arruolato 14 neonati di EG = 36 settimane che afferiscono all' Ospedale Meyer da tutta
l'area vasta Fiorentina. Il criterio di inclusione prevede la combinazione di acidosi severa o basso indice di Apgar alla
nascita, con segni neurologici anomali (corrispondenti agli stadi 2 e 3 di Sarnat) e alterazioni elettroencefalografiche
durante le prime ore di vita. Il neonato con asfissia perinatale che soddisfa i criteri viene sottoposto a cure intensive
associate ad ipotermia generalizzata a 33.5°C per 72 ore. Sono esclusi i neonati che arrivano in TIN oltre le 6 ore di vita,
che presentano anomalie congenite maggiori o altre sindromi che includano malformazioni cerebrali, con peso alla
nascita <1800 g e se vi è palese sanguinamento. Tutti i neonati vengono sottoposti ad un percorso di follow-up clinico e
strumentale uniforme che comprende: valutazione neurologica, general movements, EEG, studio delle funzioni visive,
test di Dubowitz, Hammersmith, Bayley , Rm encefalo secondo tempi prestabiliti.
Risultiati e Conclusioni: abbiamo arruolato 14 pazienti (due deceduti), due presentano un'epilessia, quattro presentano
una disabilità neurologica maggiore. I primi risultati mostrano una riduzione della mortalità e una evoluzione positiva
dello sviluppo psicomotorio nei neonati che presentano lievi alterazioni EEG nel periodo di arruolamento e nelle ore
immediatamente successive. I primi dati suggeriscono l'utilizzo dell'ipotermia come metodo di prevenzione del danno
neurologico nell'encefalopatia ipossico-ischemica e l'importanza di utilizzare l'EEG come criterio di arruolamento in
associazione alle alterazioni dell'Apgar e in presenza di acidosi anche in assenza di una chiara clinica patologica.
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C9
C9
FARMACORESISTENZA E PREDITTIVITA' NELL’EPILESSIA IN ETA’
EVOLUTIVA
FARMACORESISTENZA E PREDITTIVITA' NELL’EPILESSIA IN ETA’
EVOLUTIVA
Russo A. ,Posar A., Conti S., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Russo A. ,Posar A., Conti S., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Background scientifico: La farmacoresistenza (FR) è stata definita in vari modi; dati recenti descrivono la FR come il
fallimento alla terapia con due farmaci antiepilettici (FAE) che siano appropriatamente scelti e tollerati.
Scopo: Il 20-30% dei pazienti con epilessia presenta crisi farmacoresistenti nonostante la mono o politerapia; ciò,
soprattutto in età evolutiva, si associa a problematiche di tipo cognitivo/comportamentale che influiscono negativamente
sulla qualità di vita del paziente. Lo scopo dello studio è quello di valutare i possibili fattori predittivi di FR in una
popolazione di soggetti con epilessia esordita in età evolutiva.
Metodi e soggetti: lo studio è retrospettivo. La casistica comprende 120 pazienti (62 M e 58 F), con diagnosi di epilessia
con crisi parziali o generalizzate. Sono stati esclusi i pazienti con sole convulsioni febbrili, quelli affetti da epilessia
idiopatica con parossismi rolandici o epilessia occipitale variante di Panayiotopoulos e quelli con follow-up < 2 anni.
L’età media alla prima osservazione è di 3 aa e 3 m, quella all’ultima di 9 aa e 10 m, il follow-up medio di osservazione è
di 6 aa e 7 m. La casistica è stata suddivisa in due gruppi: il primo composto da pazienti con epilessia farmacoresistente e
il secondo da pazienti con epilessia non farmacoresistente. Abbiamo definito FR il fallimento di almeno due FAE alle
massime dosi tollerate. Lo studio è stato articolato sulla valutazione della casistica in cinque differenti momenti del
follow-up: T0 (al momento d’esordio), T2, T5, T8 e T10, rispettivamente a 2, 5, 8 e 10 aa dall’esordio. Sono stati presi in
considerazione diversi parametri: sesso, familiarità per epilessia, prematurità, sofferenza perinatale, ritardo psicomotorio,
convulsioni neonatali, presenza di convulsioni febbrili (CF), età d’esordio (< o = 6 aa), esame obiettivo neurologico
(EON), QI, esame neuropsicologico (ENP), RM encefalo, EEG (presenza o meno di anomalie epilettiformi all’esordio),
tipo di crisi all’esordio, diagnosi eziologica, presenza di grappoli di crisi, frequenza delle crisi all’esordio, comorbidità
con disturbi pervasivi dello sviluppo o paralisi cerebrali infantili (PCI), tempo intercorso tra l’esordio delle crisi e il primo
FAE, terapia farmacologica all’esordio e risposta a quest’ultima, eventuale viraggio della diagnosi durante il follow-up e
andamento dell’epilessia dopo la sospensione della terapia fino a quel momento efficace.
Risultati e discussione: la casistica durante il follow-up si è ridotta a causa della fuoriuscita dallo studio di alcuni pazienti.
I casi farmacoresistenti al T2 erano 80/120, al T5 52/85, al T8 32/56,al T10 23/39. Abbiamo riscontrato quali fattori
predittivi principali di FR: diagnosi di sintomaticità/probabile sintomaticità, ritardo psicomotorio, grappoli di crisi, RM
encefalo, EEG all’esordio, EON e/o ENP alterati. Inoltre, abbiamo riscontrato quali fattori predittivi di FR: familiarità per
epilessia, sesso femminile, elevata frequenza delle crisi all’esordio, mancata risposta al primo FAE, crisi parziali, età
d’esordio < 6 anni, comorbidità con PCI, viraggio diagnostico durante il follow-up e lunga latenza tra esordio crisi e
primo FAE somministrato. Inoltre, emerge che il 9,1% dei soggetti è diventato farmacoresistente dopo la sospensione
della terapia fino a quel momento efficace. I nostri risultati sono sovrapponibili a quanto riferito in letteratura
relativamente ai fattori predittivi di FR. Questo studio verrà completato, con lo scopo di rinforzare i risultati ottenuti,
attraverso l’applicazione dell’analisi multivariata.
Background scientifico: La farmacoresistenza (FR) è stata definita in vari modi; dati recenti descrivono la FR come il
fallimento alla terapia con due farmaci antiepilettici (FAE) che siano appropriatamente scelti e tollerati.
Scopo: Il 20-30% dei pazienti con epilessia presenta crisi farmacoresistenti nonostante la mono o politerapia; ciò,
soprattutto in età evolutiva, si associa a problematiche di tipo cognitivo/comportamentale che influiscono negativamente
sulla qualità di vita del paziente. Lo scopo dello studio è quello di valutare i possibili fattori predittivi di FR in una
popolazione di soggetti con epilessia esordita in età evolutiva.
Metodi e soggetti: lo studio è retrospettivo. La casistica comprende 120 pazienti (62 M e 58 F), con diagnosi di epilessia
con crisi parziali o generalizzate. Sono stati esclusi i pazienti con sole convulsioni febbrili, quelli affetti da epilessia
idiopatica con parossismi rolandici o epilessia occipitale variante di Panayiotopoulos e quelli con follow-up < 2 anni.
L’età media alla prima osservazione è di 3 aa e 3 m, quella all’ultima di 9 aa e 10 m, il follow-up medio di osservazione è
di 6 aa e 7 m. La casistica è stata suddivisa in due gruppi: il primo composto da pazienti con epilessia farmacoresistente e
il secondo da pazienti con epilessia non farmacoresistente. Abbiamo definito FR il fallimento di almeno due FAE alle
massime dosi tollerate. Lo studio è stato articolato sulla valutazione della casistica in cinque differenti momenti del
follow-up: T0 (al momento d’esordio), T2, T5, T8 e T10, rispettivamente a 2, 5, 8 e 10 aa dall’esordio. Sono stati presi in
considerazione diversi parametri: sesso, familiarità per epilessia, prematurità, sofferenza perinatale, ritardo psicomotorio,
convulsioni neonatali, presenza di convulsioni febbrili (CF), età d’esordio (< o = 6 aa), esame obiettivo neurologico
(EON), QI, esame neuropsicologico (ENP), RM encefalo, EEG (presenza o meno di anomalie epilettiformi all’esordio),
tipo di crisi all’esordio, diagnosi eziologica, presenza di grappoli di crisi, frequenza delle crisi all’esordio, comorbidità
con disturbi pervasivi dello sviluppo o paralisi cerebrali infantili (PCI), tempo intercorso tra l’esordio delle crisi e il primo
FAE, terapia farmacologica all’esordio e risposta a quest’ultima, eventuale viraggio della diagnosi durante il follow-up e
andamento dell’epilessia dopo la sospensione della terapia fino a quel momento efficace.
Risultati e discussione: la casistica durante il follow-up si è ridotta a causa della fuoriuscita dallo studio di alcuni pazienti.
I casi farmacoresistenti al T2 erano 80/120, al T5 52/85, al T8 32/56,al T10 23/39. Abbiamo riscontrato quali fattori
predittivi principali di FR: diagnosi di sintomaticità/probabile sintomaticità, ritardo psicomotorio, grappoli di crisi, RM
encefalo, EEG all’esordio, EON e/o ENP alterati. Inoltre, abbiamo riscontrato quali fattori predittivi di FR: familiarità per
epilessia, sesso femminile, elevata frequenza delle crisi all’esordio, mancata risposta al primo FAE, crisi parziali, età
d’esordio < 6 anni, comorbidità con PCI, viraggio diagnostico durante il follow-up e lunga latenza tra esordio crisi e
primo FAE somministrato. Inoltre, emerge che il 9,1% dei soggetti è diventato farmacoresistente dopo la sospensione
della terapia fino a quel momento efficace. I nostri risultati sono sovrapponibili a quanto riferito in letteratura
relativamente ai fattori predittivi di FR. Questo studio verrà completato, con lo scopo di rinforzare i risultati ottenuti,
attraverso l’applicazione dell’analisi multivariata.
27
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C10
C10
MUTAZIONI DEL GENE MECP2 IN PAZIENTI CON DISTURBO PERVASIVO
DELLO SVILUPPO E/O RITARDO MENTALE
MUTAZIONI DEL GENE MECP2 IN PAZIENTI CON DISTURBO PERVASIVO
DELLO SVILUPPO E/O RITARDO MENTALE
Tedde M. R., Scaduto M.C., Posar A., Arbizzani A., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Tedde M. R., Scaduto M.C., Posar A., Arbizzani A., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Background scientifico: mutazioni a carico del gene MECP2 (methyl-CpG-binding protein 2) sono state identificate in
femmine affette da sindrome di Rett e in maschi con disturbi neuropsichiatrici molto eterogenei.
Scopo: il ruolo del gene MECP2 nella patogenesi dei disturbi pervasivi dello sviluppo (ad eccezione della sindrome di
Rett, in cui il ruolo etiopatogenetico è stato ampiamente documentato), e del ritardo mentale X-linked è controverso. In
passato alcuni Autori avevano riportato un’elevata percentuale di mutazioni a carico del MECP2 in soggetti affetti da
ritardo mentale; recentemente il ruolo del MECP2 nell’eziopatogenesi del ritardo mentale X-linked è stato notevolmente
ridimensionato.
Metodologie e soggetti: abbiamo ricercato mutazioni a carico del MECP2 in un campione di 99 pazienti affetti da disturbi
pervasivi dello sviluppo e/o ritardo mentale criptogenico.
Risultati e discussioni: sono state identificate 4 mutazioni, di cui 2 in pazienti affette da sindrome di Rett (R306C e
R294X, già descritte in letteratura) e 2 in femmine con ritardo mentale (di cui la V380M mai descritta, e la A140V già
nota). Nessuna mutazione di sicuro significato patologico è stata riscontrata nei soggetti di sesso maschile.
La paziente con mutazione A140V presenta un ritardo mentale di grado lieve con difficoltà nella coordinazione visuomotoria e nella motricità fine, oltre ad una scarsa tolleranza alle frustrazioni con impulsività. L’analisi del gene MECP2
nei genitori è risultata negativa, trattandosi quindi di una mutazione de novo. Abbiamo inoltre effettuato sul DNA della
paziente lo studio dell’inattivazione dell’X per identificare un eventuale sbilanciamento, che è stato escluso.
Appare importante, a nostro avviso, la descrizione di nuovi casi con mutazioni del gene MECP2, in considerazione
dell’ampia variabilità clinica con cui si possono manifestare, da quadri asintomatici a gravi disturbi neuropsichiatrici,
anche al fine di identificare il possibile meccanismo fisiopatologico alla base delle manifestazioni cliniche.
Background scientifico: mutazioni a carico del gene MECP2 (methyl-CpG-binding protein 2) sono state identificate in
femmine affette da sindrome di Rett e in maschi con disturbi neuropsichiatrici molto eterogenei.
Scopo: il ruolo del gene MECP2 nella patogenesi dei disturbi pervasivi dello sviluppo (ad eccezione della sindrome di
Rett, in cui il ruolo etiopatogenetico è stato ampiamente documentato), e del ritardo mentale X-linked è controverso. In
passato alcuni Autori avevano riportato un’elevata percentuale di mutazioni a carico del MECP2 in soggetti affetti da
ritardo mentale; recentemente il ruolo del MECP2 nell’eziopatogenesi del ritardo mentale X-linked è stato notevolmente
ridimensionato.
Metodologie e soggetti: abbiamo ricercato mutazioni a carico del MECP2 in un campione di 99 pazienti affetti da disturbi
pervasivi dello sviluppo e/o ritardo mentale criptogenico.
Risultati e discussioni: sono state identificate 4 mutazioni, di cui 2 in pazienti affette da sindrome di Rett (R306C e
R294X, già descritte in letteratura) e 2 in femmine con ritardo mentale (di cui la V380M mai descritta, e la A140V già
nota). Nessuna mutazione di sicuro significato patologico è stata riscontrata nei soggetti di sesso maschile.
La paziente con mutazione A140V presenta un ritardo mentale di grado lieve con difficoltà nella coordinazione visuomotoria e nella motricità fine, oltre ad una scarsa tolleranza alle frustrazioni con impulsività. L’analisi del gene MECP2
nei genitori è risultata negativa, trattandosi quindi di una mutazione de novo. Abbiamo inoltre effettuato sul DNA della
paziente lo studio dell’inattivazione dell’X per identificare un eventuale sbilanciamento, che è stato escluso.
Appare importante, a nostro avviso, la descrizione di nuovi casi con mutazioni del gene MECP2, in considerazione
dell’ampia variabilità clinica con cui si possono manifestare, da quadri asintomatici a gravi disturbi neuropsichiatrici,
anche al fine di identificare il possibile meccanismo fisiopatologico alla base delle manifestazioni cliniche.
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C11
C11
TERAPIA DELLE CEFALEE PRIMARIE IN ETÀ EVOLUTIVA: RISULTATI
PRELIMINARI DI UNO STUDIO MULTICENTRICO
TERAPIA DELLE CEFALEE PRIMARIE IN ETÀ EVOLUTIVA: RISULTATI
PRELIMINARI DI UNO STUDIO MULTICENTRICO
Toldo I.1, Bolzonella B.1, De Carlo D.1, Sartori S.1, Rossi L.2, Vecchio A.3, Simonati A.4,
Carotenuto M.5, Scalas C.6, Sciruicchio V.7, Raieli V.8, Mazzotta G.9, Battistella P.A.1
Toldo I.1, Bolzonella B.1, De Carlo D.1, Sartori S.1, Rossi L.2, Vecchio A.3, Simonati A.4,
Carotenuto M.5, Scalas C.6, Sciruicchio V.7, Raieli V.8, Mazzotta G.9, Battistella P.A.1
1
Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Padova;2 Istituto di Pediatria, Milano;3 Presidio Aiuto Materno
U.O.S. Cefalee e Neuroriabilitazione, Palermo; 4Ospedale Policlinico G.B. Rossi, Verona; 5Clinica di Neuropsichiatria
Infantile Seconda Università degli Studi di Napoli; 6Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze; 7Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico, Bari; 8Presidio Ospedaliero Casa del Sole, Palermo; 9UOC di Neuropsichiatria Infantile,
Università degli Studi di Perugia
1
Background: i dati relativi all’effettivo utilizzo delle diverse terapie nelle cefalee primarie (emicrania: E, cefalea tensiva:
CT) in età evolutiva sono carenti.
Scopo: valutare questo aspetto in un’ampia casistica nazionale. Metodologie e soggetti: Studio retrospettivo in 9 Centri
specialistici; criteri inclusione: 1) diagnosi di cefalea primaria (ICHD-II 2004); 2) pattern cefalalgico stabile (>6 mesi).
Risultati: 264 casi (137M, 127F) con età all'intervista di 11,2 + 3,2 anni (1-19). Diagnosi di cefalea di I° livello (N=264):
E 189 (71,6%), CT 53 (20,1%), E + CT 21 (8%), altro 1 (0,4%) e di II° livello (N=235): ESA 155 (66%), ECA 13 (5,5%),
E cronica 10 (4,3%), CTE infrequente 18 (7,7%), CTE frequente 27 (11,5%), CTC 7 (3%), altro 5 (2,1%). Età all’esordio
della cefalea: 7,8 + 3,3 a. (1-16), durata dall’esordio di 42,1 + 33,9 mesi (6-150). A) Terapia sintomatica (N= 254, 96,5%)
di cui 125 soggetti (49,2%) hanno usato solo un farmaco sintomatico specie paracetamolo (85%) vs FANS (15%) e
triptani (0,4%), con uso inferiore a 3 dosi/mese nel 57% e superiore a 15 dosi al mese nel 2%; efficacia buona-ottima nel
52,2,% e tollerabilità buona-ottima nel 89,2% dei casi. 100 soggetti (39,4%) hanno usato due farmaci sintomatici con
prevalenza di FANS (86%) vs triptani (4%) e 29 soggetti (11,4%) hanno usato un terzo sintomatico, specie FANS (62%)
vs triptani (24%). La terapia sintomatica è stata prescritta dal Pediatra o dal Neuropsichiatra infantile (43,6% e 44,4%),
con autoprescrizione limitata al 12% dei casi. B) Profilassi (N=139, 50%) di cui 81 soggetti (58,3%) hanno assunto un
farmaco di profilassi, specie integratori (N=75, 54%) per lo più magnesio, o melatonina, seguiti da flunarizina (29%),
pizotifene (9%) e antiepilettici (5%). La terapia è durata 1-3 mesi nel 66%, con efficacia buona-ottima (63%) o
insufficiente (28%), tollerabilità buona-ottima (78%) o insufficiente solo nel 9%. In 47 casi (17%) si è ricorso ad un
secondo farmaco di profilassi ed in 11 casi (4%) anche ad un terzo. La profilassi (N=133) è stata prescritta
prevalentemente dal Neuropsichiatra infantile (83%) rispetto al Pediatra (16%). C) Terapie non farmacologiche (N=23,
8,7%): rilassamento/training autogeno (26%), terapia cognitivo-comportamentale (26%), omeopatia (18%), trattamento
della malocclusione (13%), agopuntura (9%), biofeedback (4%) e psicoterapia (4%). D) Valutazione: terapia giudicata
più efficace: farmacologica sintomatica (51%) rispetto a profilassi (combinata alla sintomatica (23%) o da sola (13%)); la
terapia non farmacologica è risultata superiore a quella farmacologica solo in 3 casi (1%). Terapia meglio tollerata:
farmacologica sintomatica (54%), rispetto a profilassi (combinata alla sintomatica (21%) o da sola (14%)); la terapia non
farmacologica è risultata superiore a quella farmacologica solo in 7 casi (3%). Numero medio di terapie: 2,1 + 1,4,
(sintomatiche: 1,4 + 0,8). Aspettative del paziente (N=160) in ordine di importanza: efficacia sul dolore (58%), rapidità
d’azione (28%) e assenza di effetti collaterali (23%). Terapia preferita dal paziente (N=166): sintomatica, da sola (57%) o
combinata alla profilassi (18%), vs profilassi da sola (14%) o vs terapia non farmacologica (4%).
Discussione: la popolazione studiata è costituita in prevalenza da emicranici e la terapia più utilizzata e gradita è quella
sintomatica, specie paracetamolo o FANS, con limitato uso di triptani. Nella profilassi farmacologica sono prescritti
specie gli integratori, seguiti da flunarizina (29%), mentre gli antiepilettici sono utilizzati come seconda (13%) o terza
scelta (27%). La profilassi è risultata inefficace in un terzo dei casi, anche se spesso ben tollerata (78%). La terapia non
farmacologica è poco diffusa (8%) e di rado preferita dai pazienti (4%). Data l'elevata quota (fino a 50%) di "placeboresponders" in età evolutiva, sono necessari maggiori studi sia per le terapie farmacologiche, specie non tradizionali, sia
per quelle non farmacologiche.
Background: i dati relativi all’effettivo utilizzo delle diverse terapie nelle cefalee primarie (emicrania: E, cefalea tensiva:
CT) in età evolutiva sono carenti.
Scopo: valutare questo aspetto in un’ampia casistica nazionale. Metodologie e soggetti: Studio retrospettivo in 9 Centri
specialistici; criteri inclusione: 1) diagnosi di cefalea primaria (ICHD-II 2004); 2) pattern cefalalgico stabile (>6 mesi).
Risultati: 264 casi (137M, 127F) con età all'intervista di 11,2 + 3,2 anni (1-19). Diagnosi di cefalea di I° livello (N=264):
E 189 (71,6%), CT 53 (20,1%), E + CT 21 (8%), altro 1 (0,4%) e di II° livello (N=235): ESA 155 (66%), ECA 13 (5,5%),
E cronica 10 (4,3%), CTE infrequente 18 (7,7%), CTE frequente 27 (11,5%), CTC 7 (3%), altro 5 (2,1%). Età all’esordio
della cefalea: 7,8 + 3,3 a. (1-16), durata dall’esordio di 42,1 + 33,9 mesi (6-150). A) Terapia sintomatica (N= 254, 96,5%)
di cui 125 soggetti (49,2%) hanno usato solo un farmaco sintomatico specie paracetamolo (85%) vs FANS (15%) e
triptani (0,4%), con uso inferiore a 3 dosi/mese nel 57% e superiore a 15 dosi al mese nel 2%; efficacia buona-ottima nel
52,2,% e tollerabilità buona-ottima nel 89,2% dei casi. 100 soggetti (39,4%) hanno usato due farmaci sintomatici con
prevalenza di FANS (86%) vs triptani (4%) e 29 soggetti (11,4%) hanno usato un terzo sintomatico, specie FANS (62%)
vs triptani (24%). La terapia sintomatica è stata prescritta dal Pediatra o dal Neuropsichiatra infantile (43,6% e 44,4%),
con autoprescrizione limitata al 12% dei casi. B) Profilassi (N=139, 50%) di cui 81 soggetti (58,3%) hanno assunto un
farmaco di profilassi, specie integratori (N=75, 54%) per lo più magnesio, o melatonina, seguiti da flunarizina (29%),
pizotifene (9%) e antiepilettici (5%). La terapia è durata 1-3 mesi nel 66%, con efficacia buona-ottima (63%) o
insufficiente (28%), tollerabilità buona-ottima (78%) o insufficiente solo nel 9%. In 47 casi (17%) si è ricorso ad un
secondo farmaco di profilassi ed in 11 casi (4%) anche ad un terzo. La profilassi (N=133) è stata prescritta
prevalentemente dal Neuropsichiatra infantile (83%) rispetto al Pediatra (16%). C) Terapie non farmacologiche (N=23,
8,7%): rilassamento/training autogeno (26%), terapia cognitivo-comportamentale (26%), omeopatia (18%), trattamento
della malocclusione (13%), agopuntura (9%), biofeedback (4%) e psicoterapia (4%). D) Valutazione: terapia giudicata
più efficace: farmacologica sintomatica (51%) rispetto a profilassi (combinata alla sintomatica (23%) o da sola (13%)); la
terapia non farmacologica è risultata superiore a quella farmacologica solo in 3 casi (1%). Terapia meglio tollerata:
farmacologica sintomatica (54%), rispetto a profilassi (combinata alla sintomatica (21%) o da sola (14%)); la terapia non
farmacologica è risultata superiore a quella farmacologica solo in 7 casi (3%). Numero medio di terapie: 2,1 + 1,4,
(sintomatiche: 1,4 + 0,8). Aspettative del paziente (N=160) in ordine di importanza: efficacia sul dolore (58%), rapidità
d’azione (28%) e assenza di effetti collaterali (23%). Terapia preferita dal paziente (N=166): sintomatica, da sola (57%) o
combinata alla profilassi (18%), vs profilassi da sola (14%) o vs terapia non farmacologica (4%).
Discussione: la popolazione studiata è costituita in prevalenza da emicranici e la terapia più utilizzata e gradita è quella
sintomatica, specie paracetamolo o FANS, con limitato uso di triptani. Nella profilassi farmacologica sono prescritti
specie gli integratori, seguiti da flunarizina (29%), mentre gli antiepilettici sono utilizzati come seconda (13%) o terza
scelta (27%). La profilassi è risultata inefficace in un terzo dei casi, anche se spesso ben tollerata (78%). La terapia non
farmacologica è poco diffusa (8%) e di rado preferita dai pazienti (4%). Data l'elevata quota (fino a 50%) di "placeboresponders" in età evolutiva, sono necessari maggiori studi sia per le terapie farmacologiche, specie non tradizionali, sia
per quelle non farmacologiche.
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Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Padova;2 Istituto di Pediatria, Milano;3 Presidio Aiuto Materno
U.O.S. Cefalee e Neuroriabilitazione, Palermo; 4Ospedale Policlinico G.B. Rossi, Verona; 5Clinica di Neuropsichiatria
Infantile Seconda Università degli Studi di Napoli; 6Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze; 7Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico, Bari; 8Presidio Ospedaliero Casa del Sole, Palermo; 9UOC di Neuropsichiatria Infantile,
Università degli Studi di Perugia
PSICHIATRIA 1
PSICHIATRIA 1
C12
C12
ASPERGER SYNDROME AND THEIR PARENTS: ASSESSMENT OF SOCIAL,
EMOTIONAL AND COGNITIVE PROBLEMS
ASPERGER SYNDROME AND THEIR PARENTS: ASSESSMENT OF SOCIAL,
EMOTIONAL AND COGNITIVE PROBLEMS
Angelilli A.M., Nori M., Santamaria A., Leuzzi V.
Department of Child and Adolescent Neuropsychiatry, ‘Sapienza’ University of Rome.
Angelilli A.M., Nori M., Santamaria A., Leuzzi V.
Department of Child and Adolescent Neuropsychiatry, ‘Sapienza’ University of Rome.
The aim is to compare the emotional well-being, social functioning and cognitive-practical skills in a large group of
adolescent with High Functioning Autistic Disorder (HFAD) and their parents with a large group of Asperger Syndrome
(AS) adolescents and their parents.
Method: The study involved 100 males with Asperger Syndrome and their family and 100 males with High Functioning
Autistic Disorder and their parents. We performed a neuropsychological assessment using the Leiter R- Attention and
Memory, the Tower of London, a cognitive assessment using the WISC-III, a psychological assessment using the Back
Depression Inventory (BDI), the Yale Brown Obsessive Compulsive Scale (YBOCS), the State Trait Anxiety Inventory
Y (STAI Y), the social adaptive assessment using the Vineland Adaptive Behavioural Scale (VABS).
Results: Non significant difference was found between males with Autistic Disorder and Asperger syndrome, instead an
executive dysfunction was found in males with Autistic Disorders. 62 individuals with AS scored within the range of
depression and 24 of those, within ‘severe depression; Only 10 individuals with HFAD had a score above the cut-off for
depression. Similarly, 55 Asperger Syndrome adolescents were found above the cut-off the score for anxiety-status and
66 for anxiety- trait. The percentage was lower in the group of Autistic Adolescents. The impairment in the social and
communicative adaptive behaviour was found especially in the AS. The parents of the two groups of adolescents showed
similar scores to their offspring, in the same scales. The cognitive profile showed a correlation between the score in the
Performance Quotient of the WISC-III and emotional assessment: a lower score in PIQ was associated with higher scores
in YBOCS and STA-Y. Conclusions: the males with AS recognize themselves and how they are looked upon by their
parents. The agree with their parents concerns the social and emotional behavior. The BDI appeared to be a good
screening instrument for the detection of depression in AS. According to these results, males with AS are not unaware of
their problems and this fact should be considered when educational programs are tailed.
The aim is to compare the emotional well-being, social functioning and cognitive-practical skills in a large group of
adolescent with High Functioning Autistic Disorder (HFAD) and their parents with a large group of Asperger Syndrome
(AS) adolescents and their parents.
Method: The study involved 100 males with Asperger Syndrome and their family and 100 males with High Functioning
Autistic Disorder and their parents. We performed a neuropsychological assessment using the Leiter R- Attention and
Memory, the Tower of London, a cognitive assessment using the WISC-III, a psychological assessment using the Back
Depression Inventory (BDI), the Yale Brown Obsessive Compulsive Scale (YBOCS), the State Trait Anxiety Inventory
Y (STAI Y), the social adaptive assessment using the Vineland Adaptive Behavioural Scale (VABS).
Results: Non significant difference was found between males with Autistic Disorder and Asperger syndrome, instead an
executive dysfunction was found in males with Autistic Disorders. 62 individuals with AS scored within the range of
depression and 24 of those, within ‘severe depression; Only 10 individuals with HFAD had a score above the cut-off for
depression. Similarly, 55 Asperger Syndrome adolescents were found above the cut-off the score for anxiety-status and
66 for anxiety- trait. The percentage was lower in the group of Autistic Adolescents. The impairment in the social and
communicative adaptive behaviour was found especially in the AS. The parents of the two groups of adolescents showed
similar scores to their offspring, in the same scales. The cognitive profile showed a correlation between the score in the
Performance Quotient of the WISC-III and emotional assessment: a lower score in PIQ was associated with higher scores
in YBOCS and STA-Y. Conclusions: the males with AS recognize themselves and how they are looked upon by their
parents. The agree with their parents concerns the social and emotional behavior. The BDI appeared to be a good
screening instrument for the detection of depression in AS. According to these results, males with AS are not unaware of
their problems and this fact should be considered when educational programs are tailed.
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C13
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CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DEL DISTURBO AUTISTICO NEI SOGGETTI
DI SESSO FEMMINILE
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DEL DISTURBO AUTISTICO NEI SOGGETTI
DI SESSO FEMMINILE
Angelilli A.M., Leuzzi V.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Roma
Angelilli A.M., Leuzzi V.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Roma
Background scientifico: data la marcata prevalenza del disturbo autistico nei maschi, pochi, gli studi fino ad oggi condotti
per valutare se ed eventualmente in che modo il DA si differenzi nei due sessi
Scopo: valutare se ed in che modo il sesso di appartenenza sia un fattore strutturante nella differente espressione
fenotipica del disturbo autistico nei due sessi
Metodologie e soggetti : sono stati considerati 254 bambini, 55 bambine e 199 bambini con diagnosi di DA, di età
compresa, al momento della diagnosi, tra i 18 ed i 54 mesi. La caratterizzazione diagnostica si è avvalsa dei seguenti
strumenti: Autism Diagnostic Interview Revised (ADI-R) e Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) per la
definizione diagnostica; la Childhood Autism Rating Scale (CARS) per la definizione della severità della sintomatologia
autistica; lo studio del materiale Home video per valutare la presenza o meno di regressione; le Griffiths Mental
Developmental Scales per definire il livello intellettivo. I bambini sono stati stratificati per livello intellettivo.
Risultati e discussioni: Le femmine risultano essere, rispetto ai maschi: più compromesse nell’area dell’interazione
sociale e comunicativa (domini A e B ADI-R), mediamente più compromesse a livello intellettivo (Griffiths Scale),
presentare una sintomatologia autistica più severa (score alla CARS); non presentare il fenomeno della regressione
(analisi Home video). I maschi risultavano essere più compromessi nell’area degli interessi ristretti ( dominio C ADI-R).
Non ci sono differenze tra i due sessi nell’ADOS. L’analisi di varianza ha evidenziato come il sesso di appartenenza
condizioni l’età di diagnosi e il profilo ai domini A e B dell’ ADI-R e sia un determinante, ma non l’unico, della severità
della sintomatologia autistica e del livello intellettivo.
Background scientifico: data la marcata prevalenza del disturbo autistico nei maschi, pochi, gli studi fino ad oggi condotti
per valutare se ed eventualmente in che modo il DA si differenzi nei due sessi
Scopo: valutare se ed in che modo il sesso di appartenenza sia un fattore strutturante nella differente espressione
fenotipica del disturbo autistico nei due sessi
Metodologie e soggetti : sono stati considerati 254 bambini, 55 bambine e 199 bambini con diagnosi di DA, di età
compresa, al momento della diagnosi, tra i 18 ed i 54 mesi. La caratterizzazione diagnostica si è avvalsa dei seguenti
strumenti: Autism Diagnostic Interview Revised (ADI-R) e Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) per la
definizione diagnostica; la Childhood Autism Rating Scale (CARS) per la definizione della severità della sintomatologia
autistica; lo studio del materiale Home video per valutare la presenza o meno di regressione; le Griffiths Mental
Developmental Scales per definire il livello intellettivo. I bambini sono stati stratificati per livello intellettivo.
Risultati e discussioni: Le femmine risultano essere, rispetto ai maschi: più compromesse nell’area dell’interazione
sociale e comunicativa (domini A e B ADI-R), mediamente più compromesse a livello intellettivo (Griffiths Scale),
presentare una sintomatologia autistica più severa (score alla CARS); non presentare il fenomeno della regressione
(analisi Home video). I maschi risultavano essere più compromessi nell’area degli interessi ristretti ( dominio C ADI-R).
Non ci sono differenze tra i due sessi nell’ADOS. L’analisi di varianza ha evidenziato come il sesso di appartenenza
condizioni l’età di diagnosi e il profilo ai domini A e B dell’ ADI-R e sia un determinante, ma non l’unico, della severità
della sintomatologia autistica e del livello intellettivo.
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C14
C14
GRUPPO AD ORIENTAMENTO PSICODINAMICO PER GENITORI DI BAMBINI E
ADOLESCENTI CON S. DI TOURETTE.
GRUPPO AD ORIENTAMENTO PSICODINAMICO PER GENITORI DI BAMBINI E
ADOLESCENTI CON S. DI TOURETTE.
Anichini A., Tocchet A.
Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell'Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM- S. Anna-Torino
Anichini A., Tocchet A.
Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell'Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM- S. Anna-Torino
Background: il gruppo di sostegno a orientamento psicodinamico, applicato ai genitori di bambini e adolescenti con ST,
permette di favorire l’accesso al piano emotivo, con sviluppo del pensiero, raccogliendo la valenza comunicativa del
sintomo e consentendo la circolazione di informazioni sulla patologia dei figli, attraverso il coinvolgimento personale di
costruzione congiunta e di esperienze condivise.
Scopo del lavoro: scopo del presente lavoro è quello migliorare la qualità del rapporto con i figli e della vita famigliare e
l’alleanza con la struttura curante, prendendosi cura del bisogno dei genitori di questi bambini di “non sentirsi soli”,
facilitando il mutuo aiuto tra i membri del gruppo, aiutando i genitori ad acquisire maggior capacità di esprimere le
emozioni e condividerle, cercando di espandere la gamma delle risposte e delle “strategie di coping”. Gli obiettivi di tale
intervento consistono nel facilitare un percorso di crescita e di svincolo rispetto a condizionamenti, a ripetizioni non
evolutive connesse ad aspetti transgenerazionali, nel valorizzare gli aspetti positivi e le risorse di ognuno nel quotidiano,
favorendo una maggiore elaborazione dei sentimenti dei vissuti connessi alla malattia.
Metodi: il gruppo è stato rivolto a genitori di bambini e adolescenti che hanno ricevuto, presso la nostra struttura, diagnosi
di Sindrome di Tourette; è iniziato a Settembre 2006 ed è tuttora in corso. Gli incontri hanno una frequenza quindicinale,
da settembre a giugno, con calendario definito ad inizio anno; il gruppo è di tipo semi aperto (possibilità di ingressi due
volte/anno); la durata di ciascun incontro è di un’ora e mezza. Il gruppo è condotto da due neuropsichiatre infantili, di cui
una esperta in psicoterapia di gruppo. Il focus del gruppo è di affrontare le difficoltà concrete e relazionali nel rapporto
genitori e figli; il denominatore comune di partenza è stato il sintomo tic. Tutti i genitori hanno effettuato, prima
dell’ingresso nel gruppo, un ciclo di incontri di sostegno alla coppia genitoriale e nell’ambito dello stesso hanno ricevuto
le informazioni relative agli obiettivi e alle finalità del gruppo medesimo. Tutti i bambini, parallelamente, hanno
effettuato, stanno effettuando o devono iniziare un percorso di psicoterapia interno al nostro reparto oppure esterno: il
gruppo si configura quindi come un gruppo di sostegno alla funzione genitoriale contestualmente di sostegno al percorso
psicoterapeutico dei figli.
Risultati: il gruppo ha affrontato il tema del rapporto tra mente e corpo, è progressivamente diventato un punto di
riferimento per i genitori, consentendo quindi un miglioramento della qualità della vita di questi ultimi (crescita
personale, recupero del rapporto di coppia) e della relazione coi figli. Si è assistito all’ espandersi della capacità di
comprendere la complessità della cura e della patologia (con una maggiore accettazione dei tic); è stato possibile
contenere le richieste di interventi “urgenti” ed è stato infine operato un rinforzo della funzione genitoriale, con
miglioramento delle strategie di “coping” (risposte efficaci, capacità di affrontare le difficoltà). Dal punto di vista dei
ragazzi vi è stato altresì un miglioramento della qualità della vita, con riduzione dei sintomi, maggiore integrazione degli
stessi e una risposta positiva agli appuntamenti evolutivi: scuola, amicizie, terapie.
Conclusioni: la buona riuscita di questo gruppo di sostegno ai genitori è stata resa possibile grazie alla presenza di un
contenitore “istituzionale”, con la possibilità di occuparsi di tutti gli aspetti della persona con i suoi disturbi (neurologici e
psicologici), grazie alla attenta selezione dei partecipanti, ad una consolidata alleanza con i genitori e al loro contributo
attivo alla terapia.
Background: il gruppo di sostegno a orientamento psicodinamico, applicato ai genitori di bambini e adolescenti con ST,
permette di favorire l’accesso al piano emotivo, con sviluppo del pensiero, raccogliendo la valenza comunicativa del
sintomo e consentendo la circolazione di informazioni sulla patologia dei figli, attraverso il coinvolgimento personale di
costruzione congiunta e di esperienze condivise.
Scopo del lavoro: scopo del presente lavoro è quello migliorare la qualità del rapporto con i figli e della vita famigliare e
l’alleanza con la struttura curante, prendendosi cura del bisogno dei genitori di questi bambini di “non sentirsi soli”,
facilitando il mutuo aiuto tra i membri del gruppo, aiutando i genitori ad acquisire maggior capacità di esprimere le
emozioni e condividerle, cercando di espandere la gamma delle risposte e delle “strategie di coping”. Gli obiettivi di tale
intervento consistono nel facilitare un percorso di crescita e di svincolo rispetto a condizionamenti, a ripetizioni non
evolutive connesse ad aspetti transgenerazionali, nel valorizzare gli aspetti positivi e le risorse di ognuno nel quotidiano,
favorendo una maggiore elaborazione dei sentimenti dei vissuti connessi alla malattia.
Metodi: il gruppo è stato rivolto a genitori di bambini e adolescenti che hanno ricevuto, presso la nostra struttura, diagnosi
di Sindrome di Tourette; è iniziato a Settembre 2006 ed è tuttora in corso. Gli incontri hanno una frequenza quindicinale,
da settembre a giugno, con calendario definito ad inizio anno; il gruppo è di tipo semi aperto (possibilità di ingressi due
volte/anno); la durata di ciascun incontro è di un’ora e mezza. Il gruppo è condotto da due neuropsichiatre infantili, di cui
una esperta in psicoterapia di gruppo. Il focus del gruppo è di affrontare le difficoltà concrete e relazionali nel rapporto
genitori e figli; il denominatore comune di partenza è stato il sintomo tic. Tutti i genitori hanno effettuato, prima
dell’ingresso nel gruppo, un ciclo di incontri di sostegno alla coppia genitoriale e nell’ambito dello stesso hanno ricevuto
le informazioni relative agli obiettivi e alle finalità del gruppo medesimo. Tutti i bambini, parallelamente, hanno
effettuato, stanno effettuando o devono iniziare un percorso di psicoterapia interno al nostro reparto oppure esterno: il
gruppo si configura quindi come un gruppo di sostegno alla funzione genitoriale contestualmente di sostegno al percorso
psicoterapeutico dei figli.
Risultati: il gruppo ha affrontato il tema del rapporto tra mente e corpo, è progressivamente diventato un punto di
riferimento per i genitori, consentendo quindi un miglioramento della qualità della vita di questi ultimi (crescita
personale, recupero del rapporto di coppia) e della relazione coi figli. Si è assistito all’ espandersi della capacità di
comprendere la complessità della cura e della patologia (con una maggiore accettazione dei tic); è stato possibile
contenere le richieste di interventi “urgenti” ed è stato infine operato un rinforzo della funzione genitoriale, con
miglioramento delle strategie di “coping” (risposte efficaci, capacità di affrontare le difficoltà). Dal punto di vista dei
ragazzi vi è stato altresì un miglioramento della qualità della vita, con riduzione dei sintomi, maggiore integrazione degli
stessi e una risposta positiva agli appuntamenti evolutivi: scuola, amicizie, terapie.
Conclusioni: la buona riuscita di questo gruppo di sostegno ai genitori è stata resa possibile grazie alla presenza di un
contenitore “istituzionale”, con la possibilità di occuparsi di tutti gli aspetti della persona con i suoi disturbi (neurologici e
psicologici), grazie alla attenta selezione dei partecipanti, ad una consolidata alleanza con i genitori e al loro contributo
attivo alla terapia.
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REPORT CLINICO DI 146 PAZIENTI AFFETTI DA AUTISMO
REPORT CLINICO DI 146 PAZIENTI AFFETTI DA AUTISMO
Boscaini F., Zoccante L., Berlese B., Beozzo V., Battistella K., Dalla Bernardina B.
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
Boscaini F., Zoccante L., Berlese B., Beozzo V., Battistella K., Dalla Bernardina B.
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
Background Scientifico: i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo dello Spettro Autistico (DGS) rappresentano un gruppo
eterogeneo di condizioni la cui eziologia neurobiologica permane sconosciuta.
Scopo: lo scopo di questo studio è quello di identificare sottotipi clinici correlando i profili sintomatologici e
neuropsicologici con i risultati degli approfondimenti strumentali.
Medologie e soggetti: Abbiamo valutato 146 pazienti (122 maschi e 24 femmine) affetti da DGS che sono afferiti
all’U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti alle seguenti valutazioni: raccolta anamnestica, esame neurologico, somministrazione
ADI-ADOS, valutazione cognitiva, RMN encefalo, EEG in corso di veglia e sonno ed esami genetici (Cariotipo, XFragile).
Tale campione è stato suddiviso in due gruppi, A e B, secondo la presenza o meno di compromissione neurologica e/o
cognitiva (QI/QG < 40). Il gruppo A è composto da 64 soggetti (47 maschi e 17 femmine) con QI/QG inferiore a 40 e/o
con deficit neurologico, mentre il gruppo B è composto da 82 soggetti (75 maschi e 7 femmine) con QI/QG uguale o
maggiore di 40 e senza deficit neurologici. 31/146 pazienti appartenenti al gruppo A che presentano tratti dismorfici e
disabilità cognitiva di grado medio-grave sono stati sottoposti ad ulteriore valutazione genetica mediante tecnica
ARRAY-CGH.
Risultati: i risultati hanno evidenziato un profilo clinico diverso nei due gruppi. Le anomalie EEG sono presenti nel
60,9% del gruppo A rispetto al 15,9% del gruppo B, mentre l'Epilessia risulta presente nel 25% dei soggetti del gruppo A
contro il 2,4% del gruppo B. L'RMN ha evidenziato in entrambi i gruppi anomalie aspecifiche, in particolare nel 23,4%
del gruppo A e 35,4% del gruppo B. Cariotipo e ricerca X-Fragile sono risultati negativi in tutti i 146 soggetti.
L'approfondimento genetico mediante ARRAY-CGH in 31 soggetti del gruppo A ha evidenziato la presenza di anomalie
genetiche in 9 soggetti.
Discussione: I dati confermano una maggior correlazione tra DGS a basso funzionamento e anormalità neuroradiologiche,
EEG e genetiche, come riportato dalla letteratura.
Background Scientifico: i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo dello Spettro Autistico (DGS) rappresentano un gruppo
eterogeneo di condizioni la cui eziologia neurobiologica permane sconosciuta.
Scopo: lo scopo di questo studio è quello di identificare sottotipi clinici correlando i profili sintomatologici e
neuropsicologici con i risultati degli approfondimenti strumentali.
Medologie e soggetti: Abbiamo valutato 146 pazienti (122 maschi e 24 femmine) affetti da DGS che sono afferiti
all’U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti alle seguenti valutazioni: raccolta anamnestica, esame neurologico, somministrazione
ADI-ADOS, valutazione cognitiva, RMN encefalo, EEG in corso di veglia e sonno ed esami genetici (Cariotipo, XFragile).
Tale campione è stato suddiviso in due gruppi, A e B, secondo la presenza o meno di compromissione neurologica e/o
cognitiva (QI/QG < 40). Il gruppo A è composto da 64 soggetti (47 maschi e 17 femmine) con QI/QG inferiore a 40 e/o
con deficit neurologico, mentre il gruppo B è composto da 82 soggetti (75 maschi e 7 femmine) con QI/QG uguale o
maggiore di 40 e senza deficit neurologici. 31/146 pazienti appartenenti al gruppo A che presentano tratti dismorfici e
disabilità cognitiva di grado medio-grave sono stati sottoposti ad ulteriore valutazione genetica mediante tecnica
ARRAY-CGH.
Risultati: i risultati hanno evidenziato un profilo clinico diverso nei due gruppi. Le anomalie EEG sono presenti nel
60,9% del gruppo A rispetto al 15,9% del gruppo B, mentre l'Epilessia risulta presente nel 25% dei soggetti del gruppo A
contro il 2,4% del gruppo B. L'RMN ha evidenziato in entrambi i gruppi anomalie aspecifiche, in particolare nel 23,4%
del gruppo A e 35,4% del gruppo B. Cariotipo e ricerca X-Fragile sono risultati negativi in tutti i 146 soggetti.
L'approfondimento genetico mediante ARRAY-CGH in 31 soggetti del gruppo A ha evidenziato la presenza di anomalie
genetiche in 9 soggetti.
Discussione: I dati confermano una maggior correlazione tra DGS a basso funzionamento e anormalità neuroradiologiche,
EEG e genetiche, come riportato dalla letteratura.
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C16
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INDIVIDUAZIONE DI FATTORI DI RISCHIO NELLA RELAZIONE MADRE LATTANTE IN NATI A TERMINE SANI
INDIVIDUAZIONE DI FATTORI DI RISCHIO NELLA RELAZIONE MADRE LATTANTE IN NATI A TERMINE SANI
Brescianini B.1, Benedetti C.1, Gasparoni A.2, Martelli P.,3Merlini A.1, Tiberti A., 3
Zaccagnino M.1, Fazzi E.M. 1
1
Università degli Studi di Brescia, U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia, 2
U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Spedali Civili di Brescia,3 U.O. di
Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
Brescianini B.1, Benedetti C.1, Gasparoni A.2, Martelli P.,3Merlini A.1, Tiberti A., 3
Zaccagnino M.1, Fazzi E.M. 1
1
Università degli Studi di Brescia, U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia, 2
U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Spedali Civili di Brescia,3 U.O. di
Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
Scopo dello studio: in letteratura è dimostrato come la relazione precoce madre-bambino svolga una funzione strutturante
per la mente del neonato. Il presente lavoro si pone come studio pilota nella città di Brescia,con lo scopo di riconoscere
potenzialità e punti di criticità presenti nell’interazione,con l’obiettivo finale di individuare tempestivamente i fattori di
rischio evolutivo per il bambino. Il fine ultimo della ricerca è di elaborare una metodologia valutativa adeguata della
relazione primaria mamma-bambino, applicabile in futuro a realtà multiculturali o a popolazioni di neonati a rischio.
Metodologia e casistica: studio di coorte prospettico condotto su volontari sani,costituito da 42 diadi madre-bambino,
reclutate presso il Servizio di Ostetricia e Neonatologia degli Spedali Civili di Brescia da Giugno 2009 a Settembre 2010.
I criteri di inclusione sono:
-madri:età >18 anni,nazionalità italiana,gravidanza normodecorsa,parto a termine naturale o indotto,assenza di patologie
note;
-neonati:nati a termine,sani,peso adeguato per età gestazionale, IA ≥ 8 al 1’.
Il campione è composto da donne di età compresa tra 26 e 43 anni;il 61.9% sono primipare;il 52.4% laureate.I bambini
sono per il 54.8% femmine e per il 45.2% maschi. Il lavoro si articola in tre fasi:reclutamento e prima valutazione attuate
entro 48 ore dalla nascita presso il Nido;secondo e terzo tempo eseguiti al primo e al terzo mese di vita del bambino
presso ambulatori NPI. Gli strumenti utilizzati comprendono: -per la madre:schede e questionari per la rilevazione di dati
socio-demografici e di supporto ambientale percepito,Scala di Paykel,EPDS,STAIY1-2,AAI;
-per il neonato:NBAS;
-per la diade: osservazione videoregistrata dell’interazione spontanea, codificata con Scala ELO e Mother-Newborn
Coding System.
L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il programma SPSS 18.0 per Windows.
Risultati dall’elaborazione dei dati :
-le madri lamentano carenza di supporto ambientale nei mesi successivi al parto,sia da parte del partner che del personale
socio-sanitario
-le madri ad un mese sono più sensibili alla percezione dei vissuti stressanti(numero di eventi riferiti più
elevato,p<0,05,rispetto alle altre epoche)
-al primo mese si assiste ad un aumento della percentuale di madri depresse.La distribuzione della sintomatologia
depressiva si presenta nel 15% delle donne sicure,nel 55% delle insicure e nel 67% delle irrisolte(p< 0,05)
-al primo mese le madri riferiscono livelli d’ansia superiori rispetto alle altre epoche;la percezione d’ansia è maggiore in
donne con attaccamento insicuro( p<0,01)
-all’osservazione videoregistrata dell’interazione diadica si evidenzia:alla nascita correlazione significativa tra
sensibilità,responsività, handling, interazione visiva e vocalizzazioni materne con capacità del bambino di essere parte
attiva della comunicazione;al primo mese peggioramento della reciprocità degli scambi comunicativi;al terzo mese
performances interattive materne migliori in donne con attaccamento sicuro rispetto a insicuro e irrisolto(p<0,05)
-alla nascita le madri a rischio per depressione utilizzano modalità comunicative caratterizzate da intrusività e
direttività(p<0,05).
Conclusioni: alla luce dei dati preliminari si riconosce il primo trimestre post-partum quale finestra osservativa critica per
l’instaurarsi della relazione mamma-bambino: si evidenzia peggiore capacità di gestione dello stress,innalzamento degli
indici ansioso-depressivi,minore percezione di supporto ambientale. Tali dati sono particolarmente rilevanti in madri con
modalità di attaccamento insicuro e irrisolto per lutti e traumi. L’osservazione dell’interazione spontanea evidenzia che
donne con attaccamento sicuro presentano migliori qualità interattive,alle quali il bambino risponde con maggiore
attivazione e competenza,confermando la reciprocità del dialogo all’interno della relazione primaria.
Scopo dello studio: in letteratura è dimostrato come la relazione precoce madre-bambino svolga una funzione strutturante
per la mente del neonato. Il presente lavoro si pone come studio pilota nella città di Brescia,con lo scopo di riconoscere
potenzialità e punti di criticità presenti nell’interazione,con l’obiettivo finale di individuare tempestivamente i fattori di
rischio evolutivo per il bambino. Il fine ultimo della ricerca è di elaborare una metodologia valutativa adeguata della
relazione primaria mamma-bambino, applicabile in futuro a realtà multiculturali o a popolazioni di neonati a rischio.
Metodologia e casistica: studio di coorte prospettico condotto su volontari sani,costituito da 42 diadi madre-bambino,
reclutate presso il Servizio di Ostetricia e Neonatologia degli Spedali Civili di Brescia da Giugno 2009 a Settembre 2010.
I criteri di inclusione sono:
-madri:età >18 anni,nazionalità italiana,gravidanza normodecorsa,parto a termine naturale o indotto,assenza di patologie
note;
-neonati:nati a termine,sani,peso adeguato per età gestazionale, IA ≥ 8 al 1’.
Il campione è composto da donne di età compresa tra 26 e 43 anni;il 61.9% sono primipare;il 52.4% laureate.I bambini
sono per il 54.8% femmine e per il 45.2% maschi. Il lavoro si articola in tre fasi:reclutamento e prima valutazione attuate
entro 48 ore dalla nascita presso il Nido;secondo e terzo tempo eseguiti al primo e al terzo mese di vita del bambino
presso ambulatori NPI. Gli strumenti utilizzati comprendono: -per la madre:schede e questionari per la rilevazione di dati
socio-demografici e di supporto ambientale percepito,Scala di Paykel,EPDS,STAIY1-2,AAI;
-per il neonato:NBAS;
-per la diade: osservazione videoregistrata dell’interazione spontanea, codificata con Scala ELO e Mother-Newborn
Coding System.
L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il programma SPSS 18.0 per Windows.
Risultati dall’elaborazione dei dati :
-le madri lamentano carenza di supporto ambientale nei mesi successivi al parto,sia da parte del partner che del personale
socio-sanitario
-le madri ad un mese sono più sensibili alla percezione dei vissuti stressanti(numero di eventi riferiti più
elevato,p<0,05,rispetto alle altre epoche)
-al primo mese si assiste ad un aumento della percentuale di madri depresse.La distribuzione della sintomatologia
depressiva si presenta nel 15% delle donne sicure,nel 55% delle insicure e nel 67% delle irrisolte(p< 0,05)
-al primo mese le madri riferiscono livelli d’ansia superiori rispetto alle altre epoche;la percezione d’ansia è maggiore in
donne con attaccamento insicuro( p<0,01)
-all’osservazione videoregistrata dell’interazione diadica si evidenzia:alla nascita correlazione significativa tra
sensibilità,responsività, handling, interazione visiva e vocalizzazioni materne con capacità del bambino di essere parte
attiva della comunicazione;al primo mese peggioramento della reciprocità degli scambi comunicativi;al terzo mese
performances interattive materne migliori in donne con attaccamento sicuro rispetto a insicuro e irrisolto(p<0,05)
-alla nascita le madri a rischio per depressione utilizzano modalità comunicative caratterizzate da intrusività e
direttività(p<0,05).
Conclusioni: alla luce dei dati preliminari si riconosce il primo trimestre post-partum quale finestra osservativa critica per
l’instaurarsi della relazione mamma-bambino: si evidenzia peggiore capacità di gestione dello stress,innalzamento degli
indici ansioso-depressivi,minore percezione di supporto ambientale. Tali dati sono particolarmente rilevanti in madri con
modalità di attaccamento insicuro e irrisolto per lutti e traumi. L’osservazione dell’interazione spontanea evidenzia che
donne con attaccamento sicuro presentano migliori qualità interattive,alle quali il bambino risponde con maggiore
attivazione e competenza,confermando la reciprocità del dialogo all’interno della relazione primaria.
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C17
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EMPOWERMENT DEI PROGETTI ABILITATIVI AZIENDALI ATTRAVERSO LA
RETE DI RISORSE TERRITORIALI
EMPOWERMENT DEI PROGETTI ABILITATIVI AZIENDALI ATTRAVERSO LA
RETE DI RISORSE TERRITORIALI
Ceragioli E., Alessio Concetta ; Monti A.; Lauricella M.
Neuropsichiatria infantile- ASL11- Empoli
Ceragioli E., Alessio Concetta ; Monti A.; Lauricella M.
Neuropsichiatria infantile- ASL11- Empoli
Lo scopo dei progetti è stato quello di creare integrazione fra i servizi e le famiglie degli utenti della Neuropsichiatria
infantile, onde rispondere all’incremento delle richieste e alla crescente limitazione delle risorse del servizio pubblico.
Negli ultimi anni abbiamo avuto un notevole incremento delle richieste di terapia da parte di utenti con ritardo mentale,
disturbo emozionale dell’infanzia, disarmonia evolutiva e patologia neuromotoria, con successiva necessità di attivare
percorsi abilitativi in contesti ecologici, usufruendo di risorse extra-aziendali (Misericordia di Empoli, Associazione di
genitori Noi da Grandi, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Digital Futura Onlus). Gli interventi sono stati
prevalentemente di piccolo gruppo, in modo da creare interazioni emozionalmente significative, che facilitino l’emergere
di capacità funzionali come l’attenzione, l’intenzionalità, l’imitazione e la comunicazione, oltre alla stimolazione delle
abilità motorie complesse. Sono stati attuati 6 progetti che hanno riguardato un totale di 36 minori, distribuiti in tre fasce
di età (3-6 anni; 6-9; 14-18):“Progetto Autonomia”, per ragazzi tra i 14 e i 18 anni, finalizzato al miglioramento delle
abilità sociali, “Il corpo è mio e imparo a usarlo” per bambini dai 3 ai 6 anni, e dai 6 ai 9, per l’autonomia personale e in
particolare per le prassie motorie e di abbigliamento, “Gioco-Moto” Per bambini tra i 3 e i 6 anni, finalizzato al
miglioramento della coordinazione e della motricità globale e delle prassie fini, “ABComputeriamo” rivolto a bambini
con ritardo mentale e dell’apprendimento scolastico per migliorare le loro competenze attraverso l’uso del computer e di
programmi specifici, “Bricolando si impara” Attività di bricolage funzionale alla programmazione e all’attuazione delle
prassie gestuali e all’interazione e collaborazione reciproca, “Senti come parlo” Finalizzato al miglioramento e
all’implementazione delle competenze comunicative verbali.
Sottolineiamo che l’aspetto originale di questi progetti consiste nella forte e proficua integrazione fra famiglie, servizi
territoriali e associazioni.
L’analisi dei risultati ottenuti, sia attraverso verifiche in itinere, sia alla conclusione dei progetti, ha evidenziato, come
deducibile dalle tabelle che allegheremo, una maggior soddisfazione da parte delle famiglie e il raggiungimento degli
obiettivi proposti ad ogni singolo fruitore del progetto.
Lo scopo dei progetti è stato quello di creare integrazione fra i servizi e le famiglie degli utenti della Neuropsichiatria
infantile, onde rispondere all’incremento delle richieste e alla crescente limitazione delle risorse del servizio pubblico.
Negli ultimi anni abbiamo avuto un notevole incremento delle richieste di terapia da parte di utenti con ritardo mentale,
disturbo emozionale dell’infanzia, disarmonia evolutiva e patologia neuromotoria, con successiva necessità di attivare
percorsi abilitativi in contesti ecologici, usufruendo di risorse extra-aziendali (Misericordia di Empoli, Associazione di
genitori Noi da Grandi, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Digital Futura Onlus). Gli interventi sono stati
prevalentemente di piccolo gruppo, in modo da creare interazioni emozionalmente significative, che facilitino l’emergere
di capacità funzionali come l’attenzione, l’intenzionalità, l’imitazione e la comunicazione, oltre alla stimolazione delle
abilità motorie complesse. Sono stati attuati 6 progetti che hanno riguardato un totale di 36 minori, distribuiti in tre fasce
di età (3-6 anni; 6-9; 14-18):“Progetto Autonomia”, per ragazzi tra i 14 e i 18 anni, finalizzato al miglioramento delle
abilità sociali, “Il corpo è mio e imparo a usarlo” per bambini dai 3 ai 6 anni, e dai 6 ai 9, per l’autonomia personale e in
particolare per le prassie motorie e di abbigliamento, “Gioco-Moto” Per bambini tra i 3 e i 6 anni, finalizzato al
miglioramento della coordinazione e della motricità globale e delle prassie fini, “ABComputeriamo” rivolto a bambini
con ritardo mentale e dell’apprendimento scolastico per migliorare le loro competenze attraverso l’uso del computer e di
programmi specifici, “Bricolando si impara” Attività di bricolage funzionale alla programmazione e all’attuazione delle
prassie gestuali e all’interazione e collaborazione reciproca, “Senti come parlo” Finalizzato al miglioramento e
all’implementazione delle competenze comunicative verbali.
Sottolineiamo che l’aspetto originale di questi progetti consiste nella forte e proficua integrazione fra famiglie, servizi
territoriali e associazioni.
L’analisi dei risultati ottenuti, sia attraverso verifiche in itinere, sia alla conclusione dei progetti, ha evidenziato, come
deducibile dalle tabelle che allegheremo, una maggior soddisfazione da parte delle famiglie e il raggiungimento degli
obiettivi proposti ad ogni singolo fruitore del progetto.
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C18
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
PSICHIATRICI IN UN CENTRO DIURNO
DI
ADOLESCENTI
CON
DISTURBI
C18
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
PSICHIATRICI IN UN CENTRO DIURNO
DI
ADOLESCENTI
CON
DISTURBI
Cerrai M., Mannucci S., Monti A., Salvadori P., Zampoli E.
Fondazione Stella Maris, Centro Diurno "La Scala"
Cerrai M., Mannucci S., Monti A., Salvadori P., Zampoli E.
Fondazione Stella Maris, Centro Diurno "La Scala"
Il Centro Diurno “La Scala” (CD) è attivo da 7 anni nella presa in carico riabilitativa di adolescenti con patologia
psichiatrica, provenienti dal territorio della ASL 11 di Empoli. Nel tempo si è assistito ad un’evoluzione delle
caratteristiche cliniche di accesso dei pazienti al nostro servizio riabilitativo che necessariamente comporta una riflessione
sul modello. A partire dai dati anamnestici e clinici, derivanti dall’applicazione del protocollo di valutazione, vengono
avanzate alcune ipotesi, da confermare attraverso analisi su campioni maggiormente rappresentativi, in termini di
appropriatezza degli interventi e “prognosi riabilitativa”.
Il campione preso in esame è costituito da 22 adolescenti sui 46 inseriti. Vengono analizzate le variabili sociali,
psicopatologiche e funzionali attraverso i dati che emergono dalla somministrazione della BPRS e dell’ICF, confrontando
test e retest, per valutare il loro cambiamento nel tempo di permanenza al centro.
La BPRS è uno strumento di etero valutazione, mediante intervista semi-strutturata, che indaga un ampio spettro di
sintomi e fornisce un quadro di gravità della psicopatologia riferito ad alcuni fattori: ”Ansia-Depressione”, “Anergia”,
Disturbi del pensiero”, Eccitamento” e “Ostilità”. È presente inoltre un indicatore di gravità “Totale” della patologia.
L’ICF è uno strumento che permette di analizzare le variabili legate al funzionamento personale, sociale, scolasticolavorativo e familiare di un soggetto. Nella pratica clinica del centro è utilizzato relativamente alla componente “attività e
partecipazione” e fornisce indicazioni sulle modifiche ottenute nelle aree oggetto del trattamento riabilitativo.
Sulla base dell’evoluzione nel tempo delle diagnosi di accesso al CD, negli ultimi anni è maggiore la prevalenza di
disturbi esternalizzanti correlati a caratteristiche di disagio sociale nelle famiglie di provenienza, il campione è stato
suddiviso in due gruppi: “Disturbi Esternalizzanti” e “Disturbi Internalizzanti”.
Lo studio mostra evoluzioni diverse delle variabili cliniche (indagate attraverso la BPRS) mentre evidenzia modificazioni
più uniformi all’analisi del funzionamento (indagato attraverso l’ICF).
Alla BPRS il gruppo “Esternalizzanti” mostra un sensibile miglioramento al retest nei fattori “Ostilità” e “Eccitamento”,
al contrario il gruppo “Internalizzanti” mostra sensibili miglioramenti nei fattori “Ansia-Depressione”, “Anergia” e
“Disturbi del Pensiero”. Entrambi i gruppi mostrano un miglioramento nel fattore “Totale BPRS”, indice di riduzione
della gravità globale della sintomatologia. All’ICF, scala maggiormente indicativa rispetto all’esito del trattamento
riabilitativo, si assiste ad un miglioramento generalizzato e comune ad entrambi i gruppi, nelle aree relative alla
comunicazione e alla vita sociale. Tale dato conferma anche l’efficacia delle modifiche apportate al modello operativo
iniziale, caratterizzate da una più forte presa in carico delle famiglie, dall’attivazione di una “rete” col territorio (in modo
particolare con le scuole) e dalla strutturazione di gruppi maggiormente orientati alla gestione dell’impulsività,
dell’iperattività e della rabbia, conseguenti alle diverse necessità dell’utenza.
In sintesi i risultati si mostrano coerenti con le ipotesi avanzate: si evidenziano le differenze cliniche presenti nei due
gruppi indagati e si ottiene un riscontro positivo sul piano funzionale.
Il Centro Diurno “La Scala” (CD) è attivo da 7 anni nella presa in carico riabilitativa di adolescenti con patologia
psichiatrica, provenienti dal territorio della ASL 11 di Empoli. Nel tempo si è assistito ad un’evoluzione delle
caratteristiche cliniche di accesso dei pazienti al nostro servizio riabilitativo che necessariamente comporta una riflessione
sul modello. A partire dai dati anamnestici e clinici, derivanti dall’applicazione del protocollo di valutazione, vengono
avanzate alcune ipotesi, da confermare attraverso analisi su campioni maggiormente rappresentativi, in termini di
appropriatezza degli interventi e “prognosi riabilitativa”.
Il campione preso in esame è costituito da 22 adolescenti sui 46 inseriti. Vengono analizzate le variabili sociali,
psicopatologiche e funzionali attraverso i dati che emergono dalla somministrazione della BPRS e dell’ICF, confrontando
test e retest, per valutare il loro cambiamento nel tempo di permanenza al centro.
La BPRS è uno strumento di etero valutazione, mediante intervista semi-strutturata, che indaga un ampio spettro di
sintomi e fornisce un quadro di gravità della psicopatologia riferito ad alcuni fattori: ”Ansia-Depressione”, “Anergia”,
Disturbi del pensiero”, Eccitamento” e “Ostilità”. È presente inoltre un indicatore di gravità “Totale” della patologia.
L’ICF è uno strumento che permette di analizzare le variabili legate al funzionamento personale, sociale, scolasticolavorativo e familiare di un soggetto. Nella pratica clinica del centro è utilizzato relativamente alla componente “attività e
partecipazione” e fornisce indicazioni sulle modifiche ottenute nelle aree oggetto del trattamento riabilitativo.
Sulla base dell’evoluzione nel tempo delle diagnosi di accesso al CD, negli ultimi anni è maggiore la prevalenza di
disturbi esternalizzanti correlati a caratteristiche di disagio sociale nelle famiglie di provenienza, il campione è stato
suddiviso in due gruppi: “Disturbi Esternalizzanti” e “Disturbi Internalizzanti”.
Lo studio mostra evoluzioni diverse delle variabili cliniche (indagate attraverso la BPRS) mentre evidenzia modificazioni
più uniformi all’analisi del funzionamento (indagato attraverso l’ICF).
Alla BPRS il gruppo “Esternalizzanti” mostra un sensibile miglioramento al retest nei fattori “Ostilità” e “Eccitamento”,
al contrario il gruppo “Internalizzanti” mostra sensibili miglioramenti nei fattori “Ansia-Depressione”, “Anergia” e
“Disturbi del Pensiero”. Entrambi i gruppi mostrano un miglioramento nel fattore “Totale BPRS”, indice di riduzione
della gravità globale della sintomatologia. All’ICF, scala maggiormente indicativa rispetto all’esito del trattamento
riabilitativo, si assiste ad un miglioramento generalizzato e comune ad entrambi i gruppi, nelle aree relative alla
comunicazione e alla vita sociale. Tale dato conferma anche l’efficacia delle modifiche apportate al modello operativo
iniziale, caratterizzate da una più forte presa in carico delle famiglie, dall’attivazione di una “rete” col territorio (in modo
particolare con le scuole) e dalla strutturazione di gruppi maggiormente orientati alla gestione dell’impulsività,
dell’iperattività e della rabbia, conseguenti alle diverse necessità dell’utenza.
In sintesi i risultati si mostrano coerenti con le ipotesi avanzate: si evidenziano le differenze cliniche presenti nei due
gruppi indagati e si ottiene un riscontro positivo sul piano funzionale.
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PROTOCOLLO DIAGNOSTICO PER I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
DEL CENTRO PER L’AUTISMO DI BOLOGNA
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO PER I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
DEL CENTRO PER L’AUTISMO DI BOLOGNA
Duca M., Posar A.; Parmeggiani A.
Centro universitario per l’autismo, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna
Duca M., Posar A.; Parmeggiani A.
Centro universitario per l’autismo, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna
Background scientifico: molti autori hanno preso in considerazione l’utilità di un protocollo di ricerca clinica ed
eziologica per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), giungendo a risultati non univoci.
Scopo: si è inteso valutare, in un’ampia casistica di soggetti con DPS, l’applicazione di un protocollo diagnostico, teso ad
un corretto inquadramento nosografico ed all’identificazione delle possibili cause e patologie associate.
Metodologie e soggetti: lo studio ha riguardato 106 casi con DPS diagnosticato secondo i criteri del DSM-IV TR (2000),
selezionati tra i pazienti afferiti al Centro per l’Autismo dell’Università di Bologna dal Gennaio 1999 al Settembre 2009.
Tale campione è stato sottoposto ad un protocollo di indagini anamnestiche, cliniche, laboratoristiche e strumentali.
Sedici soggetti sono stati esclusi perché, a causa di una mancata compliance, non avevano svolto un numero sufficiente di
esami. La restante popolazione è stata divisa in due gruppi, composti rispettivamente da casi non sindromici (senza
risultati positivi alle indagini svolte ad eccezione di epilessia e/o convulsioni febbrili) e sindromici (con sindromi
genetiche o metaboliche, lesioni cerebrali e/o microcrania/macrocrania).
Risultati e discussioni: nel campione selezionato di 90 soggetti (età media 11 anni 1 mese, follow-up medio 3 anni 8
mesi) è stata posta diagnosi rispettivamente di disturbo autistico nel 55.5%, disturbo pervasivo dello sviluppo non
altrimenti specificato nel 38.9%, disturbo di Asperger nel 4.4%, disturbo di Rett nell’1.1%. Nella globalità della casistica
il rapporto maschi:femmine era pari a 3:1, una familiarità per patologie psichiatriche e/o neurologiche era presente nel
70.8% dei pazienti ed antecedenti organici pre-, peri- e postnatali sono stati ritrovati nel 27.8% dei soggetti. L’esame
obiettivo neurologico mostrava segni positivi, per lo più aspecifici, nell’83.3% dei casi e la RM encefalo ha evidenziato
reperti patologici nel 33.3% dei pazienti. E’ stata riscontrata un’alta percentuale di casi sindromici (46.7%); inoltre le
indagini genetiche hanno permesso di individuare una specifica patologia nell’11.1% del campione. I dismorfismi sono
stati osservati in una percentuale significativamente superiore nei casi sindromici (30.9%), ma anche nel 10.4% di quelli
non sindromici: la natura di tali reperti andrebbe ulteriormente indagata. Nonostante il ritardo mentale grave/profondo
prevalesse nel gruppo dei casi sindromici (42.9%), esso ricorreva in un’elevata percentuale anche tra i soggetti non
sindromici (29.2%). Epilessia o convulsioni febbrili erano presenti nel 30.0% dell’intero campione, senza differenze
significative tra i due gruppi.
L’applicazione di un protocollo diagnostico in un’ampia casistica ha evidenziato numerose patologie associate
all’autismo e per questo è stato una valida guida per discernere tra autismo non sindromico e sindromico. Tale
distinzione, sostenuta dalla letteratura, è fondamentale perché rende più agevole il calcolo del rischio di ricorrenza e
permette di fornire indicazioni valide sulla prognosi e sulla terapia sia del problema comportamentale sia delle patologie
associate. Ovviamente le indagini da svolgere all’interno del protocollo diagnostico devono essere condotte in maniera
mirata, sulla base dei dati anamnestici, clinici e presso centri dove vi è esperienza di tali disturbi, per evitare inutili disagi
ai pazienti ed ampliare al massimo la resa diagnostica.
Background scientifico: molti autori hanno preso in considerazione l’utilità di un protocollo di ricerca clinica ed
eziologica per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), giungendo a risultati non univoci.
Scopo: si è inteso valutare, in un’ampia casistica di soggetti con DPS, l’applicazione di un protocollo diagnostico, teso ad
un corretto inquadramento nosografico ed all’identificazione delle possibili cause e patologie associate.
Metodologie e soggetti: lo studio ha riguardato 106 casi con DPS diagnosticato secondo i criteri del DSM-IV TR (2000),
selezionati tra i pazienti afferiti al Centro per l’Autismo dell’Università di Bologna dal Gennaio 1999 al Settembre 2009.
Tale campione è stato sottoposto ad un protocollo di indagini anamnestiche, cliniche, laboratoristiche e strumentali.
Sedici soggetti sono stati esclusi perché, a causa di una mancata compliance, non avevano svolto un numero sufficiente di
esami. La restante popolazione è stata divisa in due gruppi, composti rispettivamente da casi non sindromici (senza
risultati positivi alle indagini svolte ad eccezione di epilessia e/o convulsioni febbrili) e sindromici (con sindromi
genetiche o metaboliche, lesioni cerebrali e/o microcrania/macrocrania).
Risultati e discussioni: nel campione selezionato di 90 soggetti (età media 11 anni 1 mese, follow-up medio 3 anni 8
mesi) è stata posta diagnosi rispettivamente di disturbo autistico nel 55.5%, disturbo pervasivo dello sviluppo non
altrimenti specificato nel 38.9%, disturbo di Asperger nel 4.4%, disturbo di Rett nell’1.1%. Nella globalità della casistica
il rapporto maschi:femmine era pari a 3:1, una familiarità per patologie psichiatriche e/o neurologiche era presente nel
70.8% dei pazienti ed antecedenti organici pre-, peri- e postnatali sono stati ritrovati nel 27.8% dei soggetti. L’esame
obiettivo neurologico mostrava segni positivi, per lo più aspecifici, nell’83.3% dei casi e la RM encefalo ha evidenziato
reperti patologici nel 33.3% dei pazienti. E’ stata riscontrata un’alta percentuale di casi sindromici (46.7%); inoltre le
indagini genetiche hanno permesso di individuare una specifica patologia nell’11.1% del campione. I dismorfismi sono
stati osservati in una percentuale significativamente superiore nei casi sindromici (30.9%), ma anche nel 10.4% di quelli
non sindromici: la natura di tali reperti andrebbe ulteriormente indagata. Nonostante il ritardo mentale grave/profondo
prevalesse nel gruppo dei casi sindromici (42.9%), esso ricorreva in un’elevata percentuale anche tra i soggetti non
sindromici (29.2%). Epilessia o convulsioni febbrili erano presenti nel 30.0% dell’intero campione, senza differenze
significative tra i due gruppi.
L’applicazione di un protocollo diagnostico in un’ampia casistica ha evidenziato numerose patologie associate
all’autismo e per questo è stato una valida guida per discernere tra autismo non sindromico e sindromico. Tale
distinzione, sostenuta dalla letteratura, è fondamentale perché rende più agevole il calcolo del rischio di ricorrenza e
permette di fornire indicazioni valide sulla prognosi e sulla terapia sia del problema comportamentale sia delle patologie
associate. Ovviamente le indagini da svolgere all’interno del protocollo diagnostico devono essere condotte in maniera
mirata, sulla base dei dati anamnestici, clinici e presso centri dove vi è esperienza di tali disturbi, per evitare inutili disagi
ai pazienti ed ampliare al massimo la resa diagnostica.
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C20
ADOLESCENTI CON AUTISMO E
INTERVENTO
COMPETENZE SOCIALI: UN MODELLO DI
C20
ADOLESCENTI CON AUTISMO E
INTERVENTO
COMPETENZE SOCIALI: UN MODELLO DI
Faggi F., Armellini M.
Faggi F., Armellini M.
OPERA SANTA RITA FONDAZIONE ONLUS- Azienda USL4 Prato
OPERA SANTA RITA FONDAZIONE ONLUS- Azienda USL4 Prato
Il passaggio all’età adolescenziale dei soggetti con autismo con un buon funzionamento richiede particolari attenzioni
terapeutiche (Cohen, Volkmar, 1997) . È un momento di transizione importante, cambiano le richieste di comportamento
da parte dei vari contesti educativi . La sfida è quella di offrire programmi e servizi flessibili e “cooperativi”.(Risley,
1995). Il Centro di riabilitazione per soggetti con autismo Silvio Politano ospita 16 soggetti adolescenti e giovani adulti .
Negli ultimi anni si è assistito a un incremento degli invii da parte del servizio di NPI del territorio di soggetti con un
buon funzionamento. All’interno del Centro questi soggetti hanno avuto una seria difficoltà di accettazione delle
condivisione degli spazi e delle attività con soggetti più gravi. La persona più compromessa ha attivato rifiuto da parte
sia dei soggetti che delle loro famiglie e nel corso di un anno si è osservato fenomeni di “drop out” per 4 soggetti. Si è
reso quindi necessario un ripensamento del servizio diurno, più aderente alle loro caratteristiche e ai loro bisogni.
Sono soggetti verbali con buone competenze cognitive (Leiter) ma con scarse competenze di adattamento sociale, che
presentano problemi comportamentali e necessitano di un accompagnamento per l’interpretazione della realtà e per
l’adeguamento del comportamento sociale e relazionale.
Viene quindi presentato il progetto attivato dalla Fondazione S. Rita e dalla Usl 4 di Prato per la presa in carico di 5
soggetti adolescenti con autismo a buon funzionamento. È stata effettuata una valutazione cognitiva e funzionale (Leiter Vineland) , rilevazioni della tipologia e della frequenza dei comportamenti problematici e anche una osservazione
diretta delle competenze sociali sulla base di una check list. Si riportano i dati delle valutazioni e osservazioni iniziali.
Viene presentato l’impianto del servizio, le modalità di coinvolgimento delle famiglie e le caratteristiche del lavoro
riabilitativo. Sono due i campi prioritari di intervento scelti: le competenze sociali in contesti esterni e le competenze prelavorative.
Risultati: la realizzazione di un luogo terapeutico su misura ha permesso un lavoro riabilitativo specifico. A quattro
mesi dall’impianto vengono osservati alcuni significativi cambiamenti (di cui vengono riportati i dati):
-Riduzione significativa dei comportamenti problematici (analisi dei risultati delle frequenza) .
-Riduzione del drop out (tre soggetti su 4 hanno ripreso la frequenza interrotta).
-Aumento di competenze sugli obiettivi di tipo sociale su cui è stato focalizzato l’intervento riabilitativo (dati della
seconda somministrazione dell’osservazione diretta)
Il passaggio all’età adolescenziale dei soggetti con autismo con un buon funzionamento richiede particolari attenzioni
terapeutiche (Cohen, Volkmar, 1997) . È un momento di transizione importante, cambiano le richieste di comportamento
da parte dei vari contesti educativi . La sfida è quella di offrire programmi e servizi flessibili e “cooperativi”.(Risley,
1995). Il Centro di riabilitazione per soggetti con autismo Silvio Politano ospita 16 soggetti adolescenti e giovani adulti .
Negli ultimi anni si è assistito a un incremento degli invii da parte del servizio di NPI del territorio di soggetti con un
buon funzionamento. All’interno del Centro questi soggetti hanno avuto una seria difficoltà di accettazione delle
condivisione degli spazi e delle attività con soggetti più gravi. La persona più compromessa ha attivato rifiuto da parte
sia dei soggetti che delle loro famiglie e nel corso di un anno si è osservato fenomeni di “drop out” per 4 soggetti. Si è
reso quindi necessario un ripensamento del servizio diurno, più aderente alle loro caratteristiche e ai loro bisogni.
Sono soggetti verbali con buone competenze cognitive (Leiter) ma con scarse competenze di adattamento sociale, che
presentano problemi comportamentali e necessitano di un accompagnamento per l’interpretazione della realtà e per
l’adeguamento del comportamento sociale e relazionale.
Viene quindi presentato il progetto attivato dalla Fondazione S. Rita e dalla Usl 4 di Prato per la presa in carico di 5
soggetti adolescenti con autismo a buon funzionamento. È stata effettuata una valutazione cognitiva e funzionale (Leiter Vineland) , rilevazioni della tipologia e della frequenza dei comportamenti problematici e anche una osservazione
diretta delle competenze sociali sulla base di una check list. Si riportano i dati delle valutazioni e osservazioni iniziali.
Viene presentato l’impianto del servizio, le modalità di coinvolgimento delle famiglie e le caratteristiche del lavoro
riabilitativo. Sono due i campi prioritari di intervento scelti: le competenze sociali in contesti esterni e le competenze prelavorative.
Risultati: la realizzazione di un luogo terapeutico su misura ha permesso un lavoro riabilitativo specifico. A quattro
mesi dall’impianto vengono osservati alcuni significativi cambiamenti (di cui vengono riportati i dati):
-Riduzione significativa dei comportamenti problematici (analisi dei risultati delle frequenza) .
-Riduzione del drop out (tre soggetti su 4 hanno ripreso la frequenza interrotta).
-Aumento di competenze sugli obiettivi di tipo sociale su cui è stato focalizzato l’intervento riabilitativo (dati della
seconda somministrazione dell’osservazione diretta)
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C21
C21
ERPs AD ALTA DENSITÀ IN RISPOSTA A VOLTI NEUTRI O EMOZIONALI IN
SOGGETTI AFFETTI DA DSA
ERPs AD ALTA DENSITÀ IN RISPOSTA A VOLTI NEUTRI O EMOZIONALI IN
SOGGETTI AFFETTI DA DSA
Federico R. R., Sicca F., Apicella F., Campatelli G., Muratori F.
Università di Pisa - Fondazione Stella Maris
Federico R. R., Sicca F., Apicella F., Campatelli G., Muratori F.
Università di Pisa - Fondazione Stella Maris
Background:la percezione e il processamento dei volti sono stati stati largamente investigati durante gli ultimi anni nei
soggetti affetti da Disturbi dello Spettro Autistico (DSA), sia con metodi neurofisiologici, di eye tracking, di
neuroimaging e comportamentali. Il ruolo peculiare dei volti nell'interazione umana fin dalle più precoci epoche dello
sviluppo, insieme con le evidenti difficoltà nel processamento dei volti e in particolare delle espressioni facciali nei
soggetti con DSA, rappresentano probabilmente le principali ragioni di un interesse così diffuso e duraturo.
Ciononostante numerose domande rimangono ancora aperte, probabilmente a causa della eterogeneità dei paradigmi
utilizzati e della scarsa collaborazione dei soggetti affetti da DSA, soprattutto in età evolutiva.
Obiettivi:il nostro scopo consiste nel caratterizzare le risposte ERP (N170, ppN170, P1) rispetto a stimoli costituiti da
volti neutri, volti esprimenti emozioni e stimoli non-volto in un campione di soggetti in età evolutiva affetti da DSA
utilizzando un paradigma costruito con l'intenzione di controllare la maggior parte delle variabili confondenti note o
sospette in questo tipo di studi, ed un sistema di EEG ad alta densità (dEEG). Questa metodica consente di ottenere una
alta risoluzione spaziale (128 elettrodi nel presente studio) utilizzando delle cuffie che risultano adatte alle indagini in
ambito pediatrico per l'elevato comfort e la velocità di applicazione.
Materiali e Metodi:il campione di studio è costituito da 10 soggetti in età evolutiva (6-13 anni) con diagnosi indipendente
di DSA. Altri criteri di inclusione sono: QI > 80, assenza di malattie neurologiche (in particolare epilessia) o malattie
genetiche note. Il gruppo di controllo è costituito da 10 soggetti a sviluppo neurotipico accoppiati per età. L'esperimento
consiste nella presentazione di 4 tipi di stimoli (volti neutrali, volti esprimenti allegria, volti esprimenti paura, stimoli
non-volto). Gli stimoli sono stati acquisiti da un database di espressioni standardizzate, e insieme agli stimoli non-volto
sono stati preprocessati al fine di controllare luminanza media e contrasto. Il task consiste nel premere un tasto alla
presentazione di uno stimolo (cartoni animati) utilizzato solo per mantenere l'attenzione focalizzata sullo schermo,
realizzando così un paradigma implicito di percezione degli stimoli volto. L'EEG a 128 canali è stato acquisito durante
l'intera durata dell'esperimento, filtrato e segmentato in epoche di 1 sec comprendenti 850 millisecondi di presentazione
dello stimolo e 150 millisecondi precedenti. Le forme d'onda individuali sono state ottenute collassando le epoche
secondo le classi di stimolo e riferendo i dati rispetto alla referenza media. Sono state stabilite delle finestre temporali
adeguate e sono state misurate latenze e ampiezze della N170 e del picco positivo precedente (P1). Infine è stata calcolata
una peak-to-peak N170 (ppN170) sottraendo per ogni forma d'onda e classe di stimolo i valori della P1 dalla N170.
Risultati e Discussione: sono state registrate differenze significative sia nelle ampiezza che nelle latenze tra i due gruppi a
carico della N170, ppN170 e della P1, sia considerando il confronto volti/non-volti, sia considerando il confronto volti
neutri/volti emozionali. In particolare la N170 è risultata slatentizzata per gli stimoli volto rispetto agli stimoli non-volto
nel gruppo DSA, dato riportato più volte in letteratura. Gli effetti dei volti esprimenti emozioni osservati sulla N170 e
sulla ppN170 appaiono differenti ma comunque congruenti, indicando che la procedura utilizzata per ottenere i valori
della ppN170 può essere considerata valida, come confermato da altri studi analoghi effettuati su soggetti a sviluppo
neurotipico in età evolutiva. Questi risultati supportano l'ipotesi di una compromissione precoce (primi 200 millisecondi)
nel processamento di volti neutri ed emozionali in bambini affetti da Disturbi dello Spettro Autistico.
Background:la percezione e il processamento dei volti sono stati stati largamente investigati durante gli ultimi anni nei
soggetti affetti da Disturbi dello Spettro Autistico (DSA), sia con metodi neurofisiologici, di eye tracking, di
neuroimaging e comportamentali. Il ruolo peculiare dei volti nell'interazione umana fin dalle più precoci epoche dello
sviluppo, insieme con le evidenti difficoltà nel processamento dei volti e in particolare delle espressioni facciali nei
soggetti con DSA, rappresentano probabilmente le principali ragioni di un interesse così diffuso e duraturo.
Ciononostante numerose domande rimangono ancora aperte, probabilmente a causa della eterogeneità dei paradigmi
utilizzati e della scarsa collaborazione dei soggetti affetti da DSA, soprattutto in età evolutiva.
Obiettivi:il nostro scopo consiste nel caratterizzare le risposte ERP (N170, ppN170, P1) rispetto a stimoli costituiti da
volti neutri, volti esprimenti emozioni e stimoli non-volto in un campione di soggetti in età evolutiva affetti da DSA
utilizzando un paradigma costruito con l'intenzione di controllare la maggior parte delle variabili confondenti note o
sospette in questo tipo di studi, ed un sistema di EEG ad alta densità (dEEG). Questa metodica consente di ottenere una
alta risoluzione spaziale (128 elettrodi nel presente studio) utilizzando delle cuffie che risultano adatte alle indagini in
ambito pediatrico per l'elevato comfort e la velocità di applicazione.
Materiali e Metodi:il campione di studio è costituito da 10 soggetti in età evolutiva (6-13 anni) con diagnosi indipendente
di DSA. Altri criteri di inclusione sono: QI > 80, assenza di malattie neurologiche (in particolare epilessia) o malattie
genetiche note. Il gruppo di controllo è costituito da 10 soggetti a sviluppo neurotipico accoppiati per età. L'esperimento
consiste nella presentazione di 4 tipi di stimoli (volti neutrali, volti esprimenti allegria, volti esprimenti paura, stimoli
non-volto). Gli stimoli sono stati acquisiti da un database di espressioni standardizzate, e insieme agli stimoli non-volto
sono stati preprocessati al fine di controllare luminanza media e contrasto. Il task consiste nel premere un tasto alla
presentazione di uno stimolo (cartoni animati) utilizzato solo per mantenere l'attenzione focalizzata sullo schermo,
realizzando così un paradigma implicito di percezione degli stimoli volto. L'EEG a 128 canali è stato acquisito durante
l'intera durata dell'esperimento, filtrato e segmentato in epoche di 1 sec comprendenti 850 millisecondi di presentazione
dello stimolo e 150 millisecondi precedenti. Le forme d'onda individuali sono state ottenute collassando le epoche
secondo le classi di stimolo e riferendo i dati rispetto alla referenza media. Sono state stabilite delle finestre temporali
adeguate e sono state misurate latenze e ampiezze della N170 e del picco positivo precedente (P1). Infine è stata calcolata
una peak-to-peak N170 (ppN170) sottraendo per ogni forma d'onda e classe di stimolo i valori della P1 dalla N170.
Risultati e Discussione: sono state registrate differenze significative sia nelle ampiezza che nelle latenze tra i due gruppi a
carico della N170, ppN170 e della P1, sia considerando il confronto volti/non-volti, sia considerando il confronto volti
neutri/volti emozionali. In particolare la N170 è risultata slatentizzata per gli stimoli volto rispetto agli stimoli non-volto
nel gruppo DSA, dato riportato più volte in letteratura. Gli effetti dei volti esprimenti emozioni osservati sulla N170 e
sulla ppN170 appaiono differenti ma comunque congruenti, indicando che la procedura utilizzata per ottenere i valori
della ppN170 può essere considerata valida, come confermato da altri studi analoghi effettuati su soggetti a sviluppo
neurotipico in età evolutiva. Questi risultati supportano l'ipotesi di una compromissione precoce (primi 200 millisecondi)
nel processamento di volti neutri ed emozionali in bambini affetti da Disturbi dello Spettro Autistico.
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PSICHIATRIA 2
PSICHIATRIA 2
C22
TOLLERABILITÀ DEI FARMACI PSICOTROPI IN
INFANTILE: DATI DI FARMACOVIGILANZA ATTIVA
NEUROPSICHIATRIA
C22
TOLLERABILITÀ DEI FARMACI PSICOTROPI IN
INFANTILE: DATI DI FARMACOVIGILANZA ATTIVA
NEUROPSICHIATRIA
Gagliano A.°, Magazù A.°, Gagliostro M. S.°, Masi G.^, Germanò E.°, Siracusano R.°,
Arcoraci V.°, Spina E.°
° UOC di Neuropsichiatria Infantile Policlinico Universitario di Messina, ^ UO di Psichiatria e
Psicofarmacologia dell’IRCSS di Pisa
Gagliano A.°, Magazù A.°, Gagliostro M. S.°, Masi G.^, Germanò E.°, Siracusano R.°,
Arcoraci V.°, Spina E.°
° UOC di Neuropsichiatria Infantile Policlinico Universitario di Messina, ^ UO di Psichiatria e
Psicofarmacologia dell’IRCSS di Pisa
Background: Valutare il profilo di tollerabilità dei farmaci psicotropi in soggetti in età evolutiva attraverso l’utilizzo di
una scheda di registrazione degli eventi avversi, rilevando parallelamente i dati di efficacia mediante la compilazione di
scale cliniche .
Metodi e soggetti :Sono stati arruolati bambini ed adolescenti consecutivamente afferiti all’UOC di NPI del Policlinico di
Messina e l’UO di Psichiatria e Psicofarmacologia dell’IRCSS di Pisa, nel periodo compreso tra Giugno 2009 e Dicembre
2010, per i quali, in regime ambulatoriale o di ricovero, è stato avviato un trattamento con farmaci psicotropi
(antipsicotici tipici e atipici, psicostimolanti, SSRI, stabilizzanti dell’umore, benzodiazepine). La raccolta dei dati relativi
alla visita basale e a quelle di follow-up è stata effettuata su un apposito database e mediante una scheda di registrazione
elaborata allo scopo. Sono stati annotati i dati anagrafici, le diagnosi, i farmaci, la posologia iniziale e le variazion i nel
corso del follow-up. Gli effetti avversi (ADR) sono stati registrati su una specifica scheda che, dal punto di vista della
struttura, rispecchia le indicazioni dell’AIFA. Per rilevare la presenza di effetti collaterali sono state applicate la scala
RUPP e AISM. Per valutare l’efficacia clinica del trattamento sono state utilizzate le seguenti scale: CGI Improvement,
CGI Severity, C-GAS, CPRS, BPRS.
Risultati e Discussione:Nel periodo giugno 2009-dicembre 2010, sono stati monitorati 97 pazienti (M 82%; F 18%; età
media al momento della visita basale: 12,6 anni per le femmine e 10,8 anni per i maschi). I pazienti reclutati avevano
ricevuto una diagnosi di disturbo psichiatrico, isolato o in comorbidità, in conformità con i criteri del DSM IV. Le
diagnosi più rappresentate erano: ADHD (35%), disturbo dell’umore (27%), disturbo ossessivo-compulsivo (26%),
disturbo pervasivo dello sviluppo (30%), disturbo oppositivo-provocatorio (17%), disturbo d’ansia (17%), disturbo
da tic (15%), ritardo mentale (12%). Le più frequenti reazioni avverse osservate sono state: aumento di peso,
sonnolenza, aumento dell’appetito, tremore, iperprolattinemia, irritabilità, ginecomastia e insonnia. Seppure in bassa
percentuale, sono stati registrati anche effetti cardiovascolari (soprattutto tachicardia e modificazione della PA) e sintomi
di natura extrapiramidale (prevalentemente tremore e acatisia). I farmaci responsabili in valore assoluto del maggior
numero di ADR sono stati: risperidone (33,6%), aripiprazolo (16,4%), sertralina (7,3%), metilfenidato (6,4%), acido
valproico (5,5%), atomoxetina (4,5%), lorazepam (4,4%), fluvoxamina (3,6%), olanzapina (3,5%) e quetiapina (3,3%). I
farmaci sono stati utilizzati prevalentemente in politerapia. Le ADR segnalate sono state classificate in tutti i casi come
“non gravi”; tra questi, nel 54% casi si è proceduto alla sospensione del farmaco mentre nel 46% dei casi la posologia del
farmaco è stata ridotta con scomp arsa dell’ADR.
Conclusioni :I dati emersi, pur essendo assolutamente preliminari, rilevano un frequenza elevata di reazioni avverse in
corso di psicofarmacoterapia in età evolutiva. Tuttavia le ADR, sui 97 pazienti monitorati, sono sempre state classificate
come “non gravi” e sono tempestivamente rientrate con la sospensione del farmaco o con la riduzione posologica. Nel
complesso la comparsa di effetti indesiderati appare ampiamente compatibile con l’uso di farmaci in questa fascia di età.
Background: Valutare il profilo di tollerabilità dei farmaci psicotropi in soggetti in età evolutiva attraverso l’utilizzo di
una scheda di registrazione degli eventi avversi, rilevando parallelamente i dati di efficacia mediante la compilazione di
scale cliniche .
Metodi e soggetti :Sono stati arruolati bambini ed adolescenti consecutivamente afferiti all’UOC di NPI del Policlinico di
Messina e l’UO di Psichiatria e Psicofarmacologia dell’IRCSS di Pisa, nel periodo compreso tra Giugno 2009 e Dicembre
2010, per i quali, in regime ambulatoriale o di ricovero, è stato avviato un trattamento con farmaci psicotropi
(antipsicotici tipici e atipici, psicostimolanti, SSRI, stabilizzanti dell’umore, benzodiazepine). La raccolta dei dati relativi
alla visita basale e a quelle di follow-up è stata effettuata su un apposito database e mediante una scheda di registrazione
elaborata allo scopo. Sono stati annotati i dati anagrafici, le diagnosi, i farmaci, la posologia iniziale e le variazion i nel
corso del follow-up. Gli effetti avversi (ADR) sono stati registrati su una specifica scheda che, dal punto di vista della
struttura, rispecchia le indicazioni dell’AIFA. Per rilevare la presenza di effetti collaterali sono state applicate la scala
RUPP e AISM. Per valutare l’efficacia clinica del trattamento sono state utilizzate le seguenti scale: CGI Improvement,
CGI Severity, C-GAS, CPRS, BPRS.
Risultati e Discussione:Nel periodo giugno 2009-dicembre 2010, sono stati monitorati 97 pazienti (M 82%; F 18%; età
media al momento della visita basale: 12,6 anni per le femmine e 10,8 anni per i maschi). I pazienti reclutati avevano
ricevuto una diagnosi di disturbo psichiatrico, isolato o in comorbidità, in conformità con i criteri del DSM IV. Le
diagnosi più rappresentate erano: ADHD (35%), disturbo dell’umore (27%), disturbo ossessivo-compulsivo (26%),
disturbo pervasivo dello sviluppo (30%), disturbo oppositivo-provocatorio (17%), disturbo d’ansia (17%), disturbo
da tic (15%), ritardo mentale (12%). Le più frequenti reazioni avverse osservate sono state: aumento di peso,
sonnolenza, aumento dell’appetito, tremore, iperprolattinemia, irritabilità, ginecomastia e insonnia. Seppure in bassa
percentuale, sono stati registrati anche effetti cardiovascolari (soprattutto tachicardia e modificazione della PA) e sintomi
di natura extrapiramidale (prevalentemente tremore e acatisia). I farmaci responsabili in valore assoluto del maggior
numero di ADR sono stati: risperidone (33,6%), aripiprazolo (16,4%), sertralina (7,3%), metilfenidato (6,4%), acido
valproico (5,5%), atomoxetina (4,5%), lorazepam (4,4%), fluvoxamina (3,6%), olanzapina (3,5%) e quetiapina (3,3%). I
farmaci sono stati utilizzati prevalentemente in politerapia. Le ADR segnalate sono state classificate in tutti i casi come
“non gravi”; tra questi, nel 54% casi si è proceduto alla sospensione del farmaco mentre nel 46% dei casi la posologia del
farmaco è stata ridotta con scomp arsa dell’ADR.
Conclusioni :I dati emersi, pur essendo assolutamente preliminari, rilevano un frequenza elevata di reazioni avverse in
corso di psicofarmacoterapia in età evolutiva. Tuttavia le ADR, sui 97 pazienti monitorati, sono sempre state classificate
come “non gravi” e sono tempestivamente rientrate con la sospensione del farmaco o con la riduzione posologica. Nel
complesso la comparsa di effetti indesiderati appare ampiamente compatibile con l’uso di farmaci in questa fascia di età.
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C23
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PROFILO CARDIOVASCOLARE DELL’ARIPIPRAZOLO E DELLA PIMOZIDE
NELLA SINDROME DI TOURETTE
PROFILO CARDIOVASCOLARE DELL’ARIPIPRAZOLO E DELLA PIMOZIDE
NELLA SINDROME DI TOURETTE
Gulisano M., Calì P.V., Pellico A., Alagna F., Rizzo R.
Dipartimento Materno Infantile e Scienze Radiologiche, Policlinico Universitario di Catania
Gulisano M., Calì P.V., Pellico A., Alagna F., Rizzo R.
Dipartimento Materno Infantile e Scienze Radiologiche, Policlinico Universitario di Catania
Background:Il trattamento farmacologico della TS è molto complesso ed i farmaci da utilizzare dipendono dal target di
sintomi bersaglio, inoltre i farmaci più utilizzati che sono certamente i neurolettici tipici (pimozide) ed atipici
(aripiprazolo) possono indurre numerosi effetti collaterali incluse anomalie elettrocardiografiche, quali allungamento del
QT e del QTc, potenzialmente letali ed ampiamente riportate in letteratura.
Scopo: Abbiamo effettuato uno studio per comparare un nuovo neurolettico atipico, l’aripiprazolo, con un neurolettico
tipico, la pimozide. Abbiamo valutato le modifiche dell’ ECG (QT, QTc,QRS), dell’ Ecocardio, della Frequenza cardiaca
e della pressione arteriosa.
Materiali e Metodi:Abbiamo studiato 50 pazienti affetti da TS di età compresa tra 6 e 18 anni afferiti all’Unità di
Neuropediatria del Policlinico di Catania. Ciascun paziente è stato trattato in maniera randomizzata con pimozide (25 pt:
21 M/4F; dose media 4.4 mg/die) o aripiprazolo (25 pt 22 M/3F; dose media 5.3 mg/die) per due anni.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visite cardiologiche, ecocardiogrammi ed ECG seriati (basale, 6,12,18 e 24 mesi).
Risultati:Il gruppo di pazienti trattati con aripiprazolo ha mostrato solo un lieve incremento dei valori di QT e QTc,
mentre ha mostrato un significativo incremento della pressione arteriosa che non ha richiesto, in nessun caso, la
sospensione del farmaco.
Il gruppo di pazienti trattati con pimozide ha mostrato un aumento statisticamente significativo sia del QT che del QTc
associato ad un significativo decremento della pressione arteriosa. In un paziente è stato necessario sospendere il
trattamento farmacologico per aumento del QTc oltre 460 ms.
Nessun paziente ha mostrato modifiche ecocardiografiche.
Conclusioni:In conclusione il nostro studio ha evidenziato che, a dosaggi equivalenti, l’aripiprazolo mostra un profilo
cardiovascolare più sicuro rispetto alla pimozide essendo associato solo a lievi allungamento del tratto QT.
Background:Il trattamento farmacologico della TS è molto complesso ed i farmaci da utilizzare dipendono dal target di
sintomi bersaglio, inoltre i farmaci più utilizzati che sono certamente i neurolettici tipici (pimozide) ed atipici
(aripiprazolo) possono indurre numerosi effetti collaterali incluse anomalie elettrocardiografiche, quali allungamento del
QT e del QTc, potenzialmente letali ed ampiamente riportate in letteratura.
Scopo: Abbiamo effettuato uno studio per comparare un nuovo neurolettico atipico, l’aripiprazolo, con un neurolettico
tipico, la pimozide. Abbiamo valutato le modifiche dell’ ECG (QT, QTc,QRS), dell’ Ecocardio, della Frequenza cardiaca
e della pressione arteriosa.
Materiali e Metodi:Abbiamo studiato 50 pazienti affetti da TS di età compresa tra 6 e 18 anni afferiti all’Unità di
Neuropediatria del Policlinico di Catania. Ciascun paziente è stato trattato in maniera randomizzata con pimozide (25 pt:
21 M/4F; dose media 4.4 mg/die) o aripiprazolo (25 pt 22 M/3F; dose media 5.3 mg/die) per due anni.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visite cardiologiche, ecocardiogrammi ed ECG seriati (basale, 6,12,18 e 24 mesi).
Risultati:Il gruppo di pazienti trattati con aripiprazolo ha mostrato solo un lieve incremento dei valori di QT e QTc,
mentre ha mostrato un significativo incremento della pressione arteriosa che non ha richiesto, in nessun caso, la
sospensione del farmaco.
Il gruppo di pazienti trattati con pimozide ha mostrato un aumento statisticamente significativo sia del QT che del QTc
associato ad un significativo decremento della pressione arteriosa. In un paziente è stato necessario sospendere il
trattamento farmacologico per aumento del QTc oltre 460 ms.
Nessun paziente ha mostrato modifiche ecocardiografiche.
Conclusioni:In conclusione il nostro studio ha evidenziato che, a dosaggi equivalenti, l’aripiprazolo mostra un profilo
cardiovascolare più sicuro rispetto alla pimozide essendo associato solo a lievi allungamento del tratto QT.
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C24
SIGNIFICATO DEI
DISSOCIAZIONE
SINTOMI
IN
UN
CASO
DI
MANIA
GIOVANILE
C24
E
SIGNIFICATO DEI
DISSOCIAZIONE
SINTOMI
IN
UN
CASO
DI
MANIA
GIOVANILE
E
Inverso A. M. (Didatta Società Italiana di Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale)
AUSL Valle D'Aosta
Inverso A. M. (Didatta Società Italiana di Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale)
AUSL Valle D'Aosta
Background: Lo studio qualitativo dei sintomi della Juvenile Mania (Leibenluft e coll. 2003) ,specificamente della
disforia e dell'irritabilità, come si realizza nel colloquio clinico psicoterapeuticamente orientato, consente una diagnosi
differenziale, altrimenti di difficile attuazione, con altri disturbi che con essa hanno vaste aree di sovrapposizione come
l'ADHD ed il Disturbo della Condotta (Masi e coll. 2007).
L’obbiettivo del presente lavoro è quello di fornire i correlati qualitativi e la dimensione soggettiva della sintomatologia
maniacale come emergono nel corso del trattamento cognitivo di un soggetto con diagnosi di Disturbo dell'umore a
decorso cronico con mania euforica.
Metodologia e Soggetti :Viene presentata la progressiva emersione di tematiche relative all’identità nel corso del
trattamento psicoterapeutico costruttivista di una bambina di sette anni, in cui il particolare posizionamento del terapeuta
permette la co- costruzione e il dispiegamento di significati affettivamente connotati, indispensabili alla lettura del
significato soggettivo di comportamenti e modalità relazionali
( Inverso e coll.2009).
Risultati e Conclusione: Nel corso del trattamento è emersa, nella bambina, una lettura della propria identità sfociata in
una duplice personalità, la prima cattiva e schifosa,progressivamente emarginata e rifiutata; la seconda adulta, iper matura
ed iper responsabile, esibita con compiacimento, benché evidentemente inadeguata.
La sua dimensione infantile era manifesta in una identità comportamentale ed emotiva - solo a tratti espressa - ed essa
sola avvertita come autentica dal terapeuta: tenera ed indifesa, non costruita sul piano della consapevolezza e della
narrazione.
I comportamenti aggressivi si manifestavano come parte dell’identità “cattiva”; l’irritabilità era strettamente connessa al
timore che la sua identità “adulta” venisse negata, lo stato euforico era esibito come parte di quest'ultima "personalità".
La tristezza ed il sentimento di fragilità potevano manifestarsi ma non essere dichiarati.
L'integrazione come parte di se della bambina cattiva e l'accettazione della propria fanciullezza, con la debolezza che ne
consegue, sono state decisive per il positivo esito del trattamento.
Background: Lo studio qualitativo dei sintomi della Juvenile Mania (Leibenluft e coll. 2003) ,specificamente della
disforia e dell'irritabilità, come si realizza nel colloquio clinico psicoterapeuticamente orientato, consente una diagnosi
differenziale, altrimenti di difficile attuazione, con altri disturbi che con essa hanno vaste aree di sovrapposizione come
l'ADHD ed il Disturbo della Condotta (Masi e coll. 2007).
L’obbiettivo del presente lavoro è quello di fornire i correlati qualitativi e la dimensione soggettiva della sintomatologia
maniacale come emergono nel corso del trattamento cognitivo di un soggetto con diagnosi di Disturbo dell'umore a
decorso cronico con mania euforica.
Metodologia e Soggetti :Viene presentata la progressiva emersione di tematiche relative all’identità nel corso del
trattamento psicoterapeutico costruttivista di una bambina di sette anni, in cui il particolare posizionamento del terapeuta
permette la co- costruzione e il dispiegamento di significati affettivamente connotati, indispensabili alla lettura del
significato soggettivo di comportamenti e modalità relazionali
( Inverso e coll.2009).
Risultati e Conclusione: Nel corso del trattamento è emersa, nella bambina, una lettura della propria identità sfociata in
una duplice personalità, la prima cattiva e schifosa,progressivamente emarginata e rifiutata; la seconda adulta, iper matura
ed iper responsabile, esibita con compiacimento, benché evidentemente inadeguata.
La sua dimensione infantile era manifesta in una identità comportamentale ed emotiva - solo a tratti espressa - ed essa
sola avvertita come autentica dal terapeuta: tenera ed indifesa, non costruita sul piano della consapevolezza e della
narrazione.
I comportamenti aggressivi si manifestavano come parte dell’identità “cattiva”; l’irritabilità era strettamente connessa al
timore che la sua identità “adulta” venisse negata, lo stato euforico era esibito come parte di quest'ultima "personalità".
La tristezza ed il sentimento di fragilità potevano manifestarsi ma non essere dichiarati.
L'integrazione come parte di se della bambina cattiva e l'accettazione della propria fanciullezza, con la debolezza che ne
consegue, sono state decisive per il positivo esito del trattamento.
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C25
C25
MONITORAGGIO DELLE FUNZIONI IN UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI IN
TRATTAMENTO TED
MONITORAGGIO DELLE FUNZIONI IN UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI IN
TRATTAMENTO TED
Monti A., Pieraccini C., Nardini C.
ASL 11 Empoli
Monti A., Pieraccini C., Nardini C.
ASL 11 Empoli
Background: Il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL 11 ha organizzato gli interventi per la patologia autistica
costruendo un percorso assistenziale chiaro e definito in termini di spazi, personale e organizzazione del lavoro in rete e
inserendo nell’offerta terapeutica programmi di intervento (evolutivi e cognitivo comportamentali) che rispondono ai
requisiti identificati dalla comunità scientifica internazionale come criteri di buona pratica nell’intervento sull’autismo
(National Research Council, 2001). Considerate le caratteristiche del disturbo autistico , che presenta una espressività
fenotipica estremamente eterogenea, è indispensabile garantire ai bambini autistici e alle loro famiglie una presa in
carico globale con interventi modellati in tempo reale sulle necessità dei soggetti, articolati per fasce di età e tipologia
delle strategie di apprendimento possibili.
Nell’ambito dell’offerta rivolta a bambini al di sotto dei 6 anni è stata inserita la TED (Le Lord et al 1978, Barthelèmy et
al 1995), approccio neuroevolutivo basato su una ipotesi neurofisiologica e psicofisiologica dell’autismo secondo la quale
i deficit di contatto e di comunicazione che caratterizzano questa patologia sarebbero la conseguenza di una
“insufficienza modulatrice cerebrale”. (Lelord 1990). Il razionale della terapia è rappresentato dai lavori di
neurofisiologia condotti da Le lord (1960-1995) sul condizionamento e l’acquisizione libera e dai numerosi studi
focalizzati sulle anomalie della risposta cerebrale agli stimoli.(Gomot et al 2008,2010; Jeste 2009 e AA Barthelemy
2009). Verrà descritto il monitoraggio delle funzioni socioemozionali e cognitive di un gruppo di bambini con diagnosi
di DSA in trattamento TED ,di età compresa tra 24 e 36 mesi (alla prima valutazione), in carico presso il Servizio di NPI
dell’ASL11. Gli strumenti utilizzati per il monitoraggio sono la BECS e la scala ECA. La seconda valutazione è stata
effettuata dopo un anno di trattamento.
L’analisi descrittiva della BECS mette in evidenza un miglioramento sia per quanto attiene al dominio socio-emozionale
che cognitivo, in linea con i principi TED che si pone l’obiettivo di mettere il bambino nelle condizioni di favorire
l’emergenza della reciprocita’ sociale . In letteratura viene inoltre sottolineato che il miglioramento dell’AC facilita il
linguaggio in comprensione (Adrien 2008), modulando gli effetti del trattamento sugli esiti relativi al linguaggio (Bono
et al, 2004). Anche il linguaggio comprensivo ha avuto nel campione descritto ,una discreta evoluzione.
I risultati ottenuti sono in linea con quanto descritto in letteratura relativamente all’impatto della TED sullo sviluppo
delle capacità socio-emozionali e cognitive dei bambini affetti da autismo (Barthélemy 1988; Adrien et al 1998; Blanc et
al 2003; Adrien et al 2008).
Background: Il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL 11 ha organizzato gli interventi per la patologia autistica
costruendo un percorso assistenziale chiaro e definito in termini di spazi, personale e organizzazione del lavoro in rete e
inserendo nell’offerta terapeutica programmi di intervento (evolutivi e cognitivo comportamentali) che rispondono ai
requisiti identificati dalla comunità scientifica internazionale come criteri di buona pratica nell’intervento sull’autismo
(National Research Council, 2001). Considerate le caratteristiche del disturbo autistico , che presenta una espressività
fenotipica estremamente eterogenea, è indispensabile garantire ai bambini autistici e alle loro famiglie una presa in
carico globale con interventi modellati in tempo reale sulle necessità dei soggetti, articolati per fasce di età e tipologia
delle strategie di apprendimento possibili.
Nell’ambito dell’offerta rivolta a bambini al di sotto dei 6 anni è stata inserita la TED (Le Lord et al 1978, Barthelèmy et
al 1995), approccio neuroevolutivo basato su una ipotesi neurofisiologica e psicofisiologica dell’autismo secondo la quale
i deficit di contatto e di comunicazione che caratterizzano questa patologia sarebbero la conseguenza di una
“insufficienza modulatrice cerebrale”. (Lelord 1990). Il razionale della terapia è rappresentato dai lavori di
neurofisiologia condotti da Le lord (1960-1995) sul condizionamento e l’acquisizione libera e dai numerosi studi
focalizzati sulle anomalie della risposta cerebrale agli stimoli.(Gomot et al 2008,2010; Jeste 2009 e AA Barthelemy
2009). Verrà descritto il monitoraggio delle funzioni socioemozionali e cognitive di un gruppo di bambini con diagnosi
di DSA in trattamento TED ,di età compresa tra 24 e 36 mesi (alla prima valutazione), in carico presso il Servizio di NPI
dell’ASL11. Gli strumenti utilizzati per il monitoraggio sono la BECS e la scala ECA. La seconda valutazione è stata
effettuata dopo un anno di trattamento.
L’analisi descrittiva della BECS mette in evidenza un miglioramento sia per quanto attiene al dominio socio-emozionale
che cognitivo, in linea con i principi TED che si pone l’obiettivo di mettere il bambino nelle condizioni di favorire
l’emergenza della reciprocita’ sociale . In letteratura viene inoltre sottolineato che il miglioramento dell’AC facilita il
linguaggio in comprensione (Adrien 2008), modulando gli effetti del trattamento sugli esiti relativi al linguaggio (Bono
et al, 2004). Anche il linguaggio comprensivo ha avuto nel campione descritto ,una discreta evoluzione.
I risultati ottenuti sono in linea con quanto descritto in letteratura relativamente all’impatto della TED sullo sviluppo
delle capacità socio-emozionali e cognitive dei bambini affetti da autismo (Barthélemy 1988; Adrien et al 1998; Blanc et
al 2003; Adrien et al 2008).
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C26
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CORRELATI CLINICI E BIOCHIMICI DELLE ALTERAZIONI VOLUMETRICHE
CEREBRALI IN ADOLESCENTI CON ANORESSIA
CORRELATI CLINICI E BIOCHIMICI DELLE ALTERAZIONI VOLUMETRICHE
CEREBRALI IN ADOLESCENTI CON ANORESSIA
Nacinovich R.°, Bomba M.^, Veggo F.^, Riva A.^, Grimaldi M.*, Neri F.^
°Clinica di Neuropsichiatria infantile, Università di Milano Bicocca, Monza, ^ Clinica di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Ospedale San Gerardo, Università di Milano
Bicocca, Monza, *Dipartimento di Radiologia, Ospedale San Gerardo, Università di Milano
Bicocca, Monza
Nacinovich R.°, Bomba M.^, Veggo F.^, Riva A.^, Grimaldi M.*, Neri F.^
°Clinica di Neuropsichiatria infantile, Università di Milano Bicocca, Monza, ^ Clinica di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Ospedale San Gerardo, Università di Milano
Bicocca, Monza, *Dipartimento di Radiologia, Ospedale San Gerardo, Università di Milano
Bicocca, Monza
Background: L’anoressia nervosa (AN) è una patologia psichiatrica con esordio tipico in adolescenza e si associa a gravi
comorbidità mediche tra cui anomalie volumetriche cerebrali documentabili con tecniche di neuroimmagini. I dati in
letteratura riguardanti la possibile reversibilità del quadro atrofico con la normalizzazione del peso sono controversi.
Scopi: Gli scopi del nostro studio sono stati quelli di confrontare i volumi cerebrali in un gruppo di adolescenti affette da
AN rispetto ad un gruppo controllo sano e di indagare possibili correlazioni tra quadro neuroradiologico e parametrici
clinici e biochimici.
Metodologie e soggetti: Il nostro campione comprendeva 8 adolescenti di età compresa tra 10 e 18 anni con diagnosi di
AN (secondo i criteri del DSM-IV-TR), afferite alla Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S.Gerardo di
Monza, e 8 controlli sani normopeso confrontabili per sesso ed età sintomatici per cefalea risultata poi idiopatica
all’esame neuroradiologico. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a RMN volumetrica encefalo ed alla definizione del BMI.
Nelle pazienti con AN sono stati inoltre misurati i livelli plasmatici di estradiolo, progesterone, TSH, fT3, fT4, GH e
cortisolo.
Risultati e discussioni: La RMN encefalo nel gruppo di pazienti con AN ha mostrato una significativa riduzione del
volume totale della sostanza grigia e bianca ed un aumento del compartimento liquorale rispetto ai controlli. Inoltre è
stato evidenziato che la riduzione della sostanza grigia è correlata direttamente con l’entità di riduzione del BMI (delta
BMI) ed inversamente con l’aumento del cortisolo plasmatico, in linea con quanto pubblicato in letteratura. Un’ulteriore
correlazione è stata invece evidenziata tra livelli di fT3 plasmatici, diminuzione del volume della sostanza grigia e
allargamento del compartimento liquorale. Tali risultati suggeriscono un possibile ruolo del fT3 sul trofismo della
sostanza grigia. E’ attualmente in corso la fase longitudinale dello studio con controlli a 12 mesi del campione affetto da
anoressia nervosa.
Background: L’anoressia nervosa (AN) è una patologia psichiatrica con esordio tipico in adolescenza e si associa a gravi
comorbidità mediche tra cui anomalie volumetriche cerebrali documentabili con tecniche di neuroimmagini. I dati in
letteratura riguardanti la possibile reversibilità del quadro atrofico con la normalizzazione del peso sono controversi.
Scopi: Gli scopi del nostro studio sono stati quelli di confrontare i volumi cerebrali in un gruppo di adolescenti affette da
AN rispetto ad un gruppo controllo sano e di indagare possibili correlazioni tra quadro neuroradiologico e parametrici
clinici e biochimici.
Metodologie e soggetti: Il nostro campione comprendeva 8 adolescenti di età compresa tra 10 e 18 anni con diagnosi di
AN (secondo i criteri del DSM-IV-TR), afferite alla Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S.Gerardo di
Monza, e 8 controlli sani normopeso confrontabili per sesso ed età sintomatici per cefalea risultata poi idiopatica
all’esame neuroradiologico. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a RMN volumetrica encefalo ed alla definizione del BMI.
Nelle pazienti con AN sono stati inoltre misurati i livelli plasmatici di estradiolo, progesterone, TSH, fT3, fT4, GH e
cortisolo.
Risultati e discussioni: La RMN encefalo nel gruppo di pazienti con AN ha mostrato una significativa riduzione del
volume totale della sostanza grigia e bianca ed un aumento del compartimento liquorale rispetto ai controlli. Inoltre è
stato evidenziato che la riduzione della sostanza grigia è correlata direttamente con l’entità di riduzione del BMI (delta
BMI) ed inversamente con l’aumento del cortisolo plasmatico, in linea con quanto pubblicato in letteratura. Un’ulteriore
correlazione è stata invece evidenziata tra livelli di fT3 plasmatici, diminuzione del volume della sostanza grigia e
allargamento del compartimento liquorale. Tali risultati suggeriscono un possibile ruolo del fT3 sul trofismo della
sostanza grigia. E’ attualmente in corso la fase longitudinale dello studio con controlli a 12 mesi del campione affetto da
anoressia nervosa.
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C27
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PREVALENZA E CARATTERISTICHE DELL’ALESSITIMIA IN BAMBINI CON
DIAGNOSI DI ADHD
PREVALENZA E CARATTERISTICHE DELL’ALESSITIMIA IN BAMBINI CON
DIAGNOSI DI ADHD
Paloscia C.*, Rosa C.°, Baglioni C.°, Pasini A.°
*Università di Roma "Tor Vergata" U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, Associazione "La
Nostra Famiglia" Centro di Neuroriabilitazione Brindisi e Lecce, ° Università di Roma "Tor
Vergata" U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
Paloscia C.*, Rosa C.°, Baglioni C.°, Pasini A.°
*Università di Roma "Tor Vergata" U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, Associazione "La
Nostra Famiglia" Centro di Neuroriabilitazione Brindisi e Lecce, ° Università di Roma "Tor
Vergata" U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
Background: L’alessitimia è un costrutto psicopatologico di tipo dimensionale caratterizzato dalla difficoltà di
identificare, descrivere e comunicare emozioni e sentimenti. Attualmente, l’alessitimia viene considerata un deficit di
elaborazione e regolazione delle emozioni. Nell’ADHD sono presenti alterazioni al livello emotivo e motivazionale oltre
che neuropsicologico (Williams et al., 2010).
Obiettivo: Il nostro lavoro si propone di valutare la presenza dell’alessitimia in un campione di bambini con ADHD.
Metodo: 48 bambini (9-13) con ADHD e 44 controlli sono stati sottoposti ad una batteria clinica: KSADS-PL, CPRS,
CTRS. Tutti i bambini hanno compilato l’Alexithymia Questionnaire for Children (Rieffe et al., 2006).
Risultati: Il 22.9% dei ragazzi con ADHD ed il 11.36% dei controlli poteva essere classificato come alessitimico. I
pazienti con diagnosi di ADHD ed il gruppo di controllo differivano significativamente sui livelli globali di alessitimia
(p<0,001). Le analisi univariate hanno mostrato che i pazienti con ADHD differivano solo sulle scale difficoltà a
identificare(p<0,001) e descrivere le emozioni (p<0,001).
Conclusioni: Questi risultati indicano che alcune dimensioni dell’alessitimia rappresentano una caratteristica rilevante
dell’ADHD, probabilmente in relazione alle alterazioni neurobiologiche presenti nel disturbo.
Bibliografia: Williams LM, Tsang TW, Clarke S, Kohn M. (2010). An 'integrative neuroscience' perspective on ADHD:
linking cognition, emotion, brain and genetic measures with implications for clinical support. Expert Rev Neurother.
10:1607-21. Rieffe C., Oosterveld P, Terwogt MM (2006) An alexithymia questionnaire for children: Factorial and
concurrent validation results. Personality and Individual Differences, 40 123-133.
Background: L’alessitimia è un costrutto psicopatologico di tipo dimensionale caratterizzato dalla difficoltà di
identificare, descrivere e comunicare emozioni e sentimenti. Attualmente, l’alessitimia viene considerata un deficit di
elaborazione e regolazione delle emozioni. Nell’ADHD sono presenti alterazioni al livello emotivo e motivazionale oltre
che neuropsicologico (Williams et al., 2010).
Obiettivo: Il nostro lavoro si propone di valutare la presenza dell’alessitimia in un campione di bambini con ADHD.
Metodo: 48 bambini (9-13) con ADHD e 44 controlli sono stati sottoposti ad una batteria clinica: KSADS-PL, CPRS,
CTRS. Tutti i bambini hanno compilato l’Alexithymia Questionnaire for Children (Rieffe et al., 2006).
Risultati: Il 22.9% dei ragazzi con ADHD ed il 11.36% dei controlli poteva essere classificato come alessitimico. I
pazienti con diagnosi di ADHD ed il gruppo di controllo differivano significativamente sui livelli globali di alessitimia
(p<0,001). Le analisi univariate hanno mostrato che i pazienti con ADHD differivano solo sulle scale difficoltà a
identificare(p<0,001) e descrivere le emozioni (p<0,001).
Conclusioni: Questi risultati indicano che alcune dimensioni dell’alessitimia rappresentano una caratteristica rilevante
dell’ADHD, probabilmente in relazione alle alterazioni neurobiologiche presenti nel disturbo.
Bibliografia: Williams LM, Tsang TW, Clarke S, Kohn M. (2010). An 'integrative neuroscience' perspective on ADHD:
linking cognition, emotion, brain and genetic measures with implications for clinical support. Expert Rev Neurother.
10:1607-21. Rieffe C., Oosterveld P, Terwogt MM (2006) An alexithymia questionnaire for children: Factorial and
concurrent validation results. Personality and Individual Differences, 40 123-133.
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C28
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PRODROMI DELL'ESORDIO PSICOTICO CATATONICO IN ADOLESCENZA
PRODROMI DELL'ESORDIO PSICOTICO CATATONICO IN ADOLESCENZA
Peloso A., Giuliani E., Licari V., Magnano L.,Marinaccio C., Arlunno A. C., Keller R.
Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Università di
Torino
Peloso A., Giuliani E., Licari V., Magnano L.,Marinaccio C., Arlunno A. C., Keller R.
Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Università di
Torino
In psichiatria dell’adolescenza l’esordio psicotico catatonico,raro e clinicamente rilevante per severità anche evolutiva,è
oggetto di un ridotto numero di studi in particolare rispetto ai prodromi. Scopo:descrivere le caratteristiche dei sintomi
prodromici dell’esordio psicotico catatonico in adolescenza. Metodologia:valutazione catatonia (DSM-IV-TR),
sintomatologia psicotica (PANSS),esordio acuto/insidioso,durata,severità,funzionamento generale all’ingresso e alle
dimissioni (CGAS,CGI-S),livello cognitivo post-acuzie (WISC-III-R),familiarità psichiatrica,composizione nucleo
familiare, livello socio-economico,origine italiana/straniera,sintomi prodromici quali deterioramento scolastico,
interruzione della scuola,alterazioni cognitive,cambiamento di interessi,accentuazione interessi per tematiche astratte,
tendenza all’isolamento,abulia,apatia/anergia,cambiamento nelle relazioni interpersonali,perdita della progettualità,
alterazioni quali/quantitative della comunicazione,affettività,socializzazione,aggressività,comportamenti impulsivi,
discontrollo degli impulsi,dubbi sull’identità sessuale,preoccupazioni somatiche in scala 0-4(assente, lieve, moderato,
severo,invalidante).I criteri di gravità sono relativi a frequenza ed effetti del sintomo su comportamento,livello di
performance,ambiente,funzionamento generale,compromissione di una/più aree di vita (scuola,tempo libero,relazioni con
adulti e pari).La valutazione dei prodromi è retrospettiva (desunta dalla storia clinica, dal lavoro terapeutico con
genitori/adolescente) a distanza di 12-6-3-1 mesi dall’esordio. Esami ematochimici, metabolici, elettrofisiologici,
neuroradiologici hanno escluso l’eziologia organica. Soggetti:6 adolescenti (5femmine,1maschio),età media 14,9 anni
±1,ricoverati negli ultimi tre anni presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e
dell’Adolescenza,Università di Torino per un primo episodio psicotico con manifestazioni catatoniche,successivamente
diagnosticato come disturbo psicotico (KSADS-P).Nessuno aveva fatto uso di sostanze,presentava ritardo mentale o
patologia neurologica. Risultati:esordio acuto(<10giorni):4soggetti;durata media sintomi catatonici:30gg±15;familiarità
psichiatrica positiva:3soggetti;livello cognitivo:nella norma;origine italiana:5soggetti;numero sintomi diagnostici (valore
medio):3,5±0,5;CGI-S all’ingresso (punteggio medio):6±1,alle dimissioni:2±1;C-GAS all’ingresso (punteggio
medio):15±5,alle dimissioni:49±4;PANSS (valori medi) P:17±3, N: 45 ±2,G:70±5.Sintomi prodromici:a 12-6-3 mesi
dall’esordio si evidenzia un profilo stabile con tendenza a isolamento, alterazioni quali/quantitative della
comunicazione,affettività e socializzazione che ottengono punteggi elevati (valutazione pari a moderato/severo) seguiti da
comportamenti bizzarri/disorganizzati,preoccupazioni somatiche,atipie nell’igiene/alimentazione e ridotta cura di sé
(valutazione pari a lieve/moderato).A 1 mese dall’esordio i punteggi di questi items raddoppiano (valutazione pari a
severo/invalidante),si aggiungono valori elevati di abulia, apatia/anergia, perdita della progettualità (valutazione pari a
moderato/severo),mentre deterioramento del rendimento,interruzione della scuola,alterazioni cognitive mantengono
punteggi ridotti (valutazione pari a lieve/moderato).Discussione:si descrive una modalità di esordio psicotico con
catatonia severa,insorta spesso acutamente nel passaggio tra prima e seconda adolescenza,associata a diagnosi stabile di
psicosi i cui prodromi sono importanti sintomi negativi con disinvestimento di sé e delle relazioni,stabile tendenza al
ritiro,isolamento,difetti emotivi e affettivi,ma modesto deterioramento cognitivo e del rendimento scolastico,espressione
di ancoraggio estremo alla realtà.Pur coi limiti dello studio l’esordio psicotico catatonico è pensabile come frattura
evolutiva nell’ambito di una fragilità caratterizzata da un pattern internalizzante.
In psichiatria dell’adolescenza l’esordio psicotico catatonico,raro e clinicamente rilevante per severità anche evolutiva,è
oggetto di un ridotto numero di studi in particolare rispetto ai prodromi. Scopo:descrivere le caratteristiche dei sintomi
prodromici dell’esordio psicotico catatonico in adolescenza. Metodologia:valutazione catatonia (DSM-IV-TR),
sintomatologia psicotica (PANSS),esordio acuto/insidioso,durata,severità,funzionamento generale all’ingresso e alle
dimissioni (CGAS,CGI-S),livello cognitivo post-acuzie (WISC-III-R),familiarità psichiatrica,composizione nucleo
familiare, livello socio-economico,origine italiana/straniera,sintomi prodromici quali deterioramento scolastico,
interruzione della scuola,alterazioni cognitive,cambiamento di interessi,accentuazione interessi per tematiche astratte,
tendenza all’isolamento,abulia,apatia/anergia,cambiamento nelle relazioni interpersonali,perdita della progettualità,
alterazioni quali/quantitative della comunicazione,affettività,socializzazione,aggressività,comportamenti impulsivi,
discontrollo degli impulsi,dubbi sull’identità sessuale,preoccupazioni somatiche in scala 0-4(assente, lieve, moderato,
severo,invalidante).I criteri di gravità sono relativi a frequenza ed effetti del sintomo su comportamento,livello di
performance,ambiente,funzionamento generale,compromissione di una/più aree di vita (scuola,tempo libero,relazioni con
adulti e pari).La valutazione dei prodromi è retrospettiva (desunta dalla storia clinica, dal lavoro terapeutico con
genitori/adolescente) a distanza di 12-6-3-1 mesi dall’esordio. Esami ematochimici, metabolici, elettrofisiologici,
neuroradiologici hanno escluso l’eziologia organica. Soggetti:6 adolescenti (5femmine,1maschio),età media 14,9 anni
±1,ricoverati negli ultimi tre anni presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e
dell’Adolescenza,Università di Torino per un primo episodio psicotico con manifestazioni catatoniche,successivamente
diagnosticato come disturbo psicotico (KSADS-P).Nessuno aveva fatto uso di sostanze,presentava ritardo mentale o
patologia neurologica. Risultati:esordio acuto(<10giorni):4soggetti;durata media sintomi catatonici:30gg±15;familiarità
psichiatrica positiva:3soggetti;livello cognitivo:nella norma;origine italiana:5soggetti;numero sintomi diagnostici (valore
medio):3,5±0,5;CGI-S all’ingresso (punteggio medio):6±1,alle dimissioni:2±1;C-GAS all’ingresso (punteggio
medio):15±5,alle dimissioni:49±4;PANSS (valori medi) P:17±3, N: 45 ±2,G:70±5.Sintomi prodromici:a 12-6-3 mesi
dall’esordio si evidenzia un profilo stabile con tendenza a isolamento, alterazioni quali/quantitative della
comunicazione,affettività e socializzazione che ottengono punteggi elevati (valutazione pari a moderato/severo) seguiti da
comportamenti bizzarri/disorganizzati,preoccupazioni somatiche,atipie nell’igiene/alimentazione e ridotta cura di sé
(valutazione pari a lieve/moderato).A 1 mese dall’esordio i punteggi di questi items raddoppiano (valutazione pari a
severo/invalidante),si aggiungono valori elevati di abulia, apatia/anergia, perdita della progettualità (valutazione pari a
moderato/severo),mentre deterioramento del rendimento,interruzione della scuola,alterazioni cognitive mantengono
punteggi ridotti (valutazione pari a lieve/moderato).Discussione:si descrive una modalità di esordio psicotico con
catatonia severa,insorta spesso acutamente nel passaggio tra prima e seconda adolescenza,associata a diagnosi stabile di
psicosi i cui prodromi sono importanti sintomi negativi con disinvestimento di sé e delle relazioni,stabile tendenza al
ritiro,isolamento,difetti emotivi e affettivi,ma modesto deterioramento cognitivo e del rendimento scolastico,espressione
di ancoraggio estremo alla realtà.Pur coi limiti dello studio l’esordio psicotico catatonico è pensabile come frattura
evolutiva nell’ambito di una fragilità caratterizzata da un pattern internalizzante.
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C29
C29
LA TERAPIA TED, UN TRATTAMENTO PER BAMBINI PICCOLI CON DISTURBO
DELLO SVILUPPO
LA TERAPIA TED, UN TRATTAMENTO PER BAMBINI PICCOLI CON DISTURBO
DELLO SVILUPPO
Pieraccini C., Masini S., Monti A.,Nardini C., Guerrieri C.
Neuropsichiatra Infantile Azienda Usl 11, Empoli
Pieraccini C., Masini S., Monti A.,Nardini C., Guerrieri C.
Neuropsichiatra Infantile Azienda Usl 11, Empoli
Background: La terapia TED, Terapia di Scambio e di Sviluppo (Barthelemy et coll. 1995) è una presa in carico rivolta ai
bambini che presentano gravi disturbi dello sviluppo. In questo approccio terapeutico che sottostà a principi
neufisiologici, l’Autismo è considerato come il prodotto di un disfunzionamento del sistema nervoso centrale, (definita da
Lelord, 1990 Insufficienza modulatrice cerebrale”) che si manifesta con turbe della regolazione delle attività sensoriali,
percettive e cognitive (Adrien, 1996). Messa a punto dal prof Lelord e la sua equipe presso C.H.U. di TOURS in Francia,
«la Terapia Ted e’ una cura realizzata da un terapeuta specializzato, che permette al bambino di sviluppare le sue
capacita’ di contatto all’altro, d’interazione e d’adattamento all’ambiente» (C. Barthelemy et coll., 2004). E' una
riabilitazione psicofisiologica centrata sullo scambio e sullo sviluppo cognitivo, affettivo ed emozionale. Essa consiste,
partendo da sequenze di gioco regolari, nell'esercitare le funzioni essenziali per la comunicazione (Barthelemy e al.
(1995) descrivono le funzioni primarie): attenzione, percezione, contatto, imitazione.L’ipotesi terapeutica è che la
rieducazione precoce delle funzioni deficitarie permetta al bambino di:migliorare le capacità di scambio e di
comunicazione ; avere uno sviluppo psicologico armonioso; un’interazione sociale autonoma.
La Ted attraverso la stimolazione delle funzioni deficitarie dovrebbe mobilizzare l’integrazione dei sistemi cerebrali di
modulazione, realizzando una sorta di “Abilitazione Funzionale”.All’interno del Percorso Autismo del U.O.C. di
Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda USL 11 di Empoli la TED è uno dei principali strumenti riabilitativi e viene usata
prevalentemente nei bambini piccoli nell’intento di riattivare funzioni deficitarie in un contesto di maggiore plasticità
cerebrale.
Nel presente lavoro intendiamo descrivere 7 casi in trattamento Ted e valutare lo sviluppo del bambino attraverso
l’utilizzo di due scale di valutazione: la scala Becs ed Ecart (due scale messe a punto dallo stesso gruppo di Tours) che
valutando rispettivamente lo sviluppo cognitivo-affettivo e le neurofunzioni ci fanno vedere la progressiva evoluzione
nel corso del trattamento.
Il nostro obiettivo è valutare come progredisce lo sviluppo cognitivo-emozionale di bambini in corso di trattamento e le
relazioni possibili all'interno del loro sviluppo e del loro comportamento.
I risultati ottenuti su questi 8 bambini dopo 6 mesi di trattamento mostrano miglioramenti nelle 11 funzioni, una
regolazione del comportamento e uno sviluppo più armonico.
Alla luce dei risultati ottenuti in questi casi e per la nostra esperienza riteniamo la Terapia Ted uno strumento molto
valido per il trattamento di questi bambini particolarmente indicato anche in un età precoce. La Terapia TED viene
utilizzata nel nostro servizio per la presa in carico dei bambini con Disturbo Multisistemico dello Sviluppo individuati
con l’M-Chat fatta dal pediatra al bilancio di salute dei 18 mesi.
Background: La terapia TED, Terapia di Scambio e di Sviluppo (Barthelemy et coll. 1995) è una presa in carico rivolta ai
bambini che presentano gravi disturbi dello sviluppo. In questo approccio terapeutico che sottostà a principi
neufisiologici, l’Autismo è considerato come il prodotto di un disfunzionamento del sistema nervoso centrale, (definita da
Lelord, 1990 Insufficienza modulatrice cerebrale”) che si manifesta con turbe della regolazione delle attività sensoriali,
percettive e cognitive (Adrien, 1996). Messa a punto dal prof Lelord e la sua equipe presso C.H.U. di TOURS in Francia,
«la Terapia Ted e’ una cura realizzata da un terapeuta specializzato, che permette al bambino di sviluppare le sue
capacita’ di contatto all’altro, d’interazione e d’adattamento all’ambiente» (C. Barthelemy et coll., 2004). E' una
riabilitazione psicofisiologica centrata sullo scambio e sullo sviluppo cognitivo, affettivo ed emozionale. Essa consiste,
partendo da sequenze di gioco regolari, nell'esercitare le funzioni essenziali per la comunicazione (Barthelemy e al.
(1995) descrivono le funzioni primarie): attenzione, percezione, contatto, imitazione.L’ipotesi terapeutica è che la
rieducazione precoce delle funzioni deficitarie permetta al bambino di:migliorare le capacità di scambio e di
comunicazione ; avere uno sviluppo psicologico armonioso; un’interazione sociale autonoma.
La Ted attraverso la stimolazione delle funzioni deficitarie dovrebbe mobilizzare l’integrazione dei sistemi cerebrali di
modulazione, realizzando una sorta di “Abilitazione Funzionale”.All’interno del Percorso Autismo del U.O.C. di
Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda USL 11 di Empoli la TED è uno dei principali strumenti riabilitativi e viene usata
prevalentemente nei bambini piccoli nell’intento di riattivare funzioni deficitarie in un contesto di maggiore plasticità
cerebrale.
Nel presente lavoro intendiamo descrivere 7 casi in trattamento Ted e valutare lo sviluppo del bambino attraverso
l’utilizzo di due scale di valutazione: la scala Becs ed Ecart (due scale messe a punto dallo stesso gruppo di Tours) che
valutando rispettivamente lo sviluppo cognitivo-affettivo e le neurofunzioni ci fanno vedere la progressiva evoluzione
nel corso del trattamento.
Il nostro obiettivo è valutare come progredisce lo sviluppo cognitivo-emozionale di bambini in corso di trattamento e le
relazioni possibili all'interno del loro sviluppo e del loro comportamento.
I risultati ottenuti su questi 8 bambini dopo 6 mesi di trattamento mostrano miglioramenti nelle 11 funzioni, una
regolazione del comportamento e uno sviluppo più armonico.
Alla luce dei risultati ottenuti in questi casi e per la nostra esperienza riteniamo la Terapia Ted uno strumento molto
valido per il trattamento di questi bambini particolarmente indicato anche in un età precoce. La Terapia TED viene
utilizzata nel nostro servizio per la presa in carico dei bambini con Disturbo Multisistemico dello Sviluppo individuati
con l’M-Chat fatta dal pediatra al bilancio di salute dei 18 mesi.
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C30
C30
AMBULATORIO 0-3. UN INTERVENTO PRECOCE E GLOBALE
AMBULATORIO 0-3. UN INTERVENTO PRECOCE E GLOBALE
Pieraccini C., Monti A., Masini S.
Neuropsichiatra Infantile Azienda Usl 11, Empoli
Pieraccini C., Monti A., Masini S.
Neuropsichiatra Infantile Azienda Usl 11, Empoli
Background: Da circa 10 l’U.O. di NPI dell’Azienda Usl 11 di Empoli ha attivato un Sevizio per la prevenzione precoce
della patologia competenza neuropsichiatrica nei bambini da 0 a 3 anni e i loro genitori (Emanuel, 2002). L'attenzione è
rivolta alla globalità del bambino, tenuto conto del legame indissolubile tra gli aspetti biologici, relazionali e ambientali
più marcato in epoca neonatale, con un'attenzione particolare agli aspetti della regolazione e della relazione.Tale servizio
è diretto e condotto della U.O.C di Neuropsichiatria Infantile con la collaborazione del reparto di Pediatria e l'U.O. di
Psicologia.Comprende 3 ambiti di intervento
• Follow up neonatologico
• Ambulatorio 0-3
• Prima Visita Assessment Disturbo Multisistemico dello Sviluppo
Il Follow Up si svolge in collaborazione con il servizio ospedaliero di Pediatria. E' rivolto ai bambini da 0 a 6 mesi
inviati dai pediatri del reparto per prematurità o problemi alla nascita (malformazioni, segni neurologici, neonati sotto
peso per l'età gestazionale) per la valutazione delle caratteristiche motorie (Precchtl H. F. R. (1990) e comportamentali
dopo la dimissione; l’obiettivo è l’individuazione precoce delle anomalie di sviluppo per poter realizzare precocemente
gli interventi riabilitativi più opportuni (Negri 1998). Dopo una prima valutazione clinica e strumentale (Eco
Transfontanellare e EEG etc) sono previsti controlli clinici programmati e monitoraggi strumentali fino al 6° mese di vita.
Prima visita Assessment disturbi multisistemici dello Sviluppo - Riguarda bambini 0-3 anni con sospetto di Dist.
Multisistemico inviati dai NPI del territorio. Bambini inviati dal pediatra per sospetta M-CHAT. Nel caso di conferma del
dubbio diagnostico per disturbo multisistemico il bambino viene inviato immediatamente allo specifico percorso di
valutazione.
Ambulatorio 0-3 E' rivolto a bambini di età compresa tra 0 e 3 anni, segnalati dal pediatra del territorio o del reparto
ospedaliero, da asili nido, etc..
Sono bambini che si rivolgono all'ambulatorio per problemi vari: neuromotori, linguistici e problemi riconducibili all'area
della relazione e/o della regolazione (Ritardi motori, crisi convulsive, disturbi dell’alimentazione, disturbi del sonno, del
comportamento etc).
Nel caso di situazioni con problematiche nella sfera affettiva con difficoltà di regolazione e di attaccamento la valutazione
può assumere il significato di “Terapia breve” avvalendosi di 4-5 incontri più ravvicinati (circa ogni 2 settimane) fino ad
una risoluzione o modifica del sintomo, altrimenti i bambini vengono indirizzati verso trattamenti più appropriati.
In altri casi, ritardi psicomotori, ritardi di linguaggio i bambini, dopo la valutazione, vengono indirizzati verso i
laboratori di riabilitazione e monitorati fino ai 3 anni. Dopo i 3 anni vengono indirizzati ai sevizi specifici sempre
all’interno dell’U.O. di NPI.
Abbiamo visto 120 bambini nel 2010 e 128 nel 2009.
Nel corso del 2010 17 bambini sono stati inviati in Fisioterapia su 10 è stata fatta una valutazione approfondita con Test
Specifici, compresa per alcuni di essi di un’osservazione logopedica e 15 hanno avuto bisogno di un sostegno psicologico
al bambino o alla coppia genitoriale.
Per concludere, l'intervento precoce nei casi più complessi permette la presa in carico tempestiva, evitando la
cronicizzazione dei sintomi. L’eventuale individuazione di alterazioni dello sviluppo consente di fornire le indicazioni
terapeutiche più opportune e tempestive Negli altri casi la funzione dell’intervento è quella di rimettere in movimento la
relazione genitori-bambino spostandola verso equilibri più vantaggiosi.
La presa in carico precoce e globale degli aspetti fisici e psico-affettici e relazionali sembra la modalità d’intervento più
adeguata per il bambino piccolo. La ricerca nel campo infantile ha messo in evidenza la centralità del corpo. Le forme di
vitalità di Stern, (2009)., in cui il movimento ha un’importanza centrale, mostrano un corpo che esprime con le sue
manifestazioni, emozioni e stati d’animo che si mettono in relazione con gli altri e che esprimono una conoscenza
implicita e più automatica e non riflessiva.
Background: Da circa 10 l’U.O. di NPI dell’Azienda Usl 11 di Empoli ha attivato un Sevizio per la prevenzione precoce
della patologia competenza neuropsichiatrica nei bambini da 0 a 3 anni e i loro genitori (Emanuel, 2002). L'attenzione è
rivolta alla globalità del bambino, tenuto conto del legame indissolubile tra gli aspetti biologici, relazionali e ambientali
più marcato in epoca neonatale, con un'attenzione particolare agli aspetti della regolazione e della relazione.Tale servizio
è diretto e condotto della U.O.C di Neuropsichiatria Infantile con la collaborazione del reparto di Pediatria e l'U.O. di
Psicologia.Comprende 3 ambiti di intervento
• Follow up neonatologico
• Ambulatorio 0-3
• Prima Visita Assessment Disturbo Multisistemico dello Sviluppo
Il Follow Up si svolge in collaborazione con il servizio ospedaliero di Pediatria. E' rivolto ai bambini da 0 a 6 mesi
inviati dai pediatri del reparto per prematurità o problemi alla nascita (malformazioni, segni neurologici, neonati sotto
peso per l'età gestazionale) per la valutazione delle caratteristiche motorie (Precchtl H. F. R. (1990) e comportamentali
dopo la dimissione; l’obiettivo è l’individuazione precoce delle anomalie di sviluppo per poter realizzare precocemente
gli interventi riabilitativi più opportuni (Negri 1998). Dopo una prima valutazione clinica e strumentale (Eco
Transfontanellare e EEG etc) sono previsti controlli clinici programmati e monitoraggi strumentali fino al 6° mese di vita.
Prima visita Assessment disturbi multisistemici dello Sviluppo - Riguarda bambini 0-3 anni con sospetto di Dist.
Multisistemico inviati dai NPI del territorio. Bambini inviati dal pediatra per sospetta M-CHAT. Nel caso di conferma del
dubbio diagnostico per disturbo multisistemico il bambino viene inviato immediatamente allo specifico percorso di
valutazione.
Ambulatorio 0-3 E' rivolto a bambini di età compresa tra 0 e 3 anni, segnalati dal pediatra del territorio o del reparto
ospedaliero, da asili nido, etc..
Sono bambini che si rivolgono all'ambulatorio per problemi vari: neuromotori, linguistici e problemi riconducibili all'area
della relazione e/o della regolazione (Ritardi motori, crisi convulsive, disturbi dell’alimentazione, disturbi del sonno, del
comportamento etc).
Nel caso di situazioni con problematiche nella sfera affettiva con difficoltà di regolazione e di attaccamento la valutazione
può assumere il significato di “Terapia breve” avvalendosi di 4-5 incontri più ravvicinati (circa ogni 2 settimane) fino ad
una risoluzione o modifica del sintomo, altrimenti i bambini vengono indirizzati verso trattamenti più appropriati.
In altri casi, ritardi psicomotori, ritardi di linguaggio i bambini, dopo la valutazione, vengono indirizzati verso i
laboratori di riabilitazione e monitorati fino ai 3 anni. Dopo i 3 anni vengono indirizzati ai sevizi specifici sempre
all’interno dell’U.O. di NPI.
Abbiamo visto 120 bambini nel 2010 e 128 nel 2009.
Nel corso del 2010 17 bambini sono stati inviati in Fisioterapia su 10 è stata fatta una valutazione approfondita con Test
Specifici, compresa per alcuni di essi di un’osservazione logopedica e 15 hanno avuto bisogno di un sostegno psicologico
al bambino o alla coppia genitoriale.
Per concludere, l'intervento precoce nei casi più complessi permette la presa in carico tempestiva, evitando la
cronicizzazione dei sintomi. L’eventuale individuazione di alterazioni dello sviluppo consente di fornire le indicazioni
terapeutiche più opportune e tempestive Negli altri casi la funzione dell’intervento è quella di rimettere in movimento la
relazione genitori-bambino spostandola verso equilibri più vantaggiosi.
La presa in carico precoce e globale degli aspetti fisici e psico-affettici e relazionali sembra la modalità d’intervento più
adeguata per il bambino piccolo. La ricerca nel campo infantile ha messo in evidenza la centralità del corpo. Le forme di
vitalità di Stern, (2009)., in cui il movimento ha un’importanza centrale, mostrano un corpo che esprime con le sue
manifestazioni, emozioni e stati d’animo che si mettono in relazione con gli altri e che esprimono una conoscenza
implicita e più automatica e non riflessiva.
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C31
C31
CORRELAZIONE TRA VOLUMETRIA PARIETALE (RMN) E COMPARSA DEL
LINGUAGGIO IN SOGGETTI AUTISTICI
CORRELAZIONE TRA VOLUMETRIA PARIETALE (RMN) E COMPARSA DEL
LINGUAGGIO IN SOGGETTI AUTISTICI
Zoccante L.°, Boscaini F.°, Marchi V.°, Viviani A.°, Beozzo V.°, Battistella K.°, Brambilla
P.*, Dalla Bernardina B.°
°U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona,
*IRCCS "E.Medea" Scientific Institute, Udine
Zoccante L.°, Boscaini F.°, Marchi V.°, Viviani A.°, Beozzo V.°, Battistella K.°, Brambilla
P.*, Dalla Bernardina B.°
°U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona,
*IRCCS "E.Medea" Scientific Institute, Udine
Background: Le basi neuronali dei deficit comunicativi nei DGS non sono ancora chiare.
Scopo: L’obiettivo di questo studio è quello di valutare il coinvolgimento del lobo parietale nello sviluppo della funzione
comunicativa nei soggetti con DGS.
Metodologie e Soggetti: 28 bambini Autistici, reclutati presso l’U.O.C. Neuropsichiatria Infantile dell’ Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, di età media di 5.75+/-3.90 anni.
Il campione è costituito da 25 maschi e 3 femmine con un QS/QI di 61.59+/-15.76.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un completo bilancio clinico oltre che a test neuropsicologici del linguaggio e
successivamente a studio neuroradiologico mediante RMN 1,5T. I dati imaging sono stati elaborati utilizzando il software
BRAINS2 creato presso l’Università dell’Iowa.
Il lobo parietale è stato tracciato manualmente in tutte le sezioni sagittali in accordo con il protocollo del Laboratory of
NeuroImaging (LONI) presso l’Università della California, Los Angeles.
Le analisi statistiche sono state condotte usando il SPSS per Windows, versione 11.0 (SPSS Inc., Chicago). Sono state
utilizzate le analisi di correlazione di Spearman per esaminare le associazioni di età e di variabili cliniche con il volume
parietale ed il volume totale intracranico.
Risultati: L’epoca di esordio della prima parola è significativamente e direttamente correlata con il volume della sostanza
grigia parietale sinistra (r=0.50, p=0.007). Inoltre l’età cronologica risulta significativamente correlata con il Volume
Intracranico (sostanza girgia: r=0.77, p<0.001; sostanza bianca: r=0.47, p=0.013) e con il volume parietale destro
(sostanza grigia: r=0.46, p=0.015; sostanza bianca: r=0.55, p=0.002) e sinistro (sostanza grigia: r=0.59, p=0.001; sostanza
bianca: r=0.56, p=0.002)
Discussione: Questo studio mette in evidenza una significativa e positiva correlazione tra il volume della sostanza grigia
parietale e l’età della prima parola, i.e. più grande è il lobo parietale e più lo sviluppo del linguaggio è compromesso. Tali
risultati suggeriscono che la corteccia parietale è significativamente implicata nello sviluppo del linguaggio nei soggetti
Autistici.
Background: Le basi neuronali dei deficit comunicativi nei DGS non sono ancora chiare.
Scopo: L’obiettivo di questo studio è quello di valutare il coinvolgimento del lobo parietale nello sviluppo della funzione
comunicativa nei soggetti con DGS.
Metodologie e Soggetti: 28 bambini Autistici, reclutati presso l’U.O.C. Neuropsichiatria Infantile dell’ Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, di età media di 5.75+/-3.90 anni.
Il campione è costituito da 25 maschi e 3 femmine con un QS/QI di 61.59+/-15.76.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un completo bilancio clinico oltre che a test neuropsicologici del linguaggio e
successivamente a studio neuroradiologico mediante RMN 1,5T. I dati imaging sono stati elaborati utilizzando il software
BRAINS2 creato presso l’Università dell’Iowa.
Il lobo parietale è stato tracciato manualmente in tutte le sezioni sagittali in accordo con il protocollo del Laboratory of
NeuroImaging (LONI) presso l’Università della California, Los Angeles.
Le analisi statistiche sono state condotte usando il SPSS per Windows, versione 11.0 (SPSS Inc., Chicago). Sono state
utilizzate le analisi di correlazione di Spearman per esaminare le associazioni di età e di variabili cliniche con il volume
parietale ed il volume totale intracranico.
Risultati: L’epoca di esordio della prima parola è significativamente e direttamente correlata con il volume della sostanza
grigia parietale sinistra (r=0.50, p=0.007). Inoltre l’età cronologica risulta significativamente correlata con il Volume
Intracranico (sostanza girgia: r=0.77, p<0.001; sostanza bianca: r=0.47, p=0.013) e con il volume parietale destro
(sostanza grigia: r=0.46, p=0.015; sostanza bianca: r=0.55, p=0.002) e sinistro (sostanza grigia: r=0.59, p=0.001; sostanza
bianca: r=0.56, p=0.002)
Discussione: Questo studio mette in evidenza una significativa e positiva correlazione tra il volume della sostanza grigia
parietale e l’età della prima parola, i.e. più grande è il lobo parietale e più lo sviluppo del linguaggio è compromesso. Tali
risultati suggeriscono che la corteccia parietale è significativamente implicata nello sviluppo del linguaggio nei soggetti
Autistici.
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NEUROPSICOLOGIA/RIABILITAZIONE/SERVIZI
NEUROPSICOLOGIA/RIABILITAZIONE/SERVIZI
C32
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DAL TEATRO ALLA RIABILITAZIONE: IL “TRAINING PSICOSOCIALE DI
GRUPPO” PER MINORI E CAREGIVERS
DAL TEATRO ALLA RIABILITAZIONE: IL “TRAINING PSICOSOCIALE DI
GRUPPO” PER MINORI E CAREGIVERS
Ammendola E.°, Pascotto A.°, Scuccimara G. *, Pragliola T^, De Rosa A.^, Travaglino
M.^, Vanore A.^, Della Ventura S.^, Grauso S.^
°Seconda Università di Napoli Reparto di Neuropsichiatria Infantile Dottorato di Ricerca in
Scienze del Comportamento e dei Processi dell’Apprendimento,* Centro Studi Istituto
Antoniano, Ercolano, Napoli,
^ Psicologi volontari del Dipartimento di Psichiatria,
Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria e Dermatovenereologia della SUN , Napoli
Ammendola E.°, Pascotto A.°, Scuccimara G. *, Pragliola T^, De Rosa A.^, Travaglino
M.^, Vanore A.^, Della Ventura S.^, Grauso S.^
°Seconda Università di Napoli Reparto di Neuropsichiatria Infantile Dottorato di Ricerca in
Scienze del Comportamento e dei Processi dell’Apprendimento,* Centro Studi Istituto
Antoniano, Ercolano, Napoli,
^ Psicologi volontari del Dipartimento di Psichiatria,
Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria e Dermatovenereologia della SUN , Napoli
Scopo: Divulgare e condividere tra gli addetti ai lavori le necessità e le caratteristiche di interventi clinici specializzati in
area psicosociale e in età evolutiva, e l’esistenza di un intervento riabilitativo psicosociale specifico, nelle tecniche e nella
concezione, integrativo di saperi e prassi diverse.
Riassunto: Il modello bio-psico-sociale di salute della W.H.O., pur proponendo strumenti diagnostici, non è precisato
negli interventi clinici specifici sulla componente sociale. Esistono figure, saperi e tecniche terapeutiche molto chiare di
pertinenza biologica e di pertinenza psicologica, ma non c’è ancora una cultura delle terapie del fattore sociale di salute.
Il reparto di neuropsichiatria infantile è a buon diritto una comunità, a rapido ricambio, ma che prevede per un tempo di
almeno alcuni giorni la convivenza di diadi problematiche. Ha quindi le sue specificità e le sue criticità nel contatto tra di
esse e nel contatto con l’equipe medica.
Abbiamo cercato di applicare a questa comunità le teorie e le prassi di riferimento, della Psichiatria Sociale (Basaglia,
Ciompi) e della Antropologia Teatrale (Grotowski, Barba), in modo evoluto, integrato e concreto.
Il ciclo base è di 2 sedute, settimanali (data la durata del ricovero), in cui gli obbiettivi di lavoro sono:
- la conoscenza e l’affidamento reciproco da parte dei degenti;
- la relativizzazione e la consapevolizzazione dei sintomi altrui;
- l’esperienza positiva delle proprie abilità in un contesto sociale;
- l’esperienza positiva delle abilità del proprio figlio in un contesto sociale;
- inoltre vi è un lavoro a livello diadico, con minimi obbiettivi di consapevolizzazione e arricchimento del repertorio
comunicativo reciproco.
Vengono esposte le seguenti tecniche di lavoro riabilitativo psicosociale, elaborate e strutturate nel Training di nostra
concezione:
- Osservazione video del proprio lavoro: obbiettivi e varianti tecniche;
- Gestione Prossemica dei posti: obbiettivi e varianti tecniche;
- Gestione Prossemica dello spazio libero: obbiettivi e varianti tecniche;
- Denominazione reciproca: obbiettivi e varianti tecniche;
- Contatto corporeo diadico: obbiettivi e varianti tecniche;
- Contatto corporeo di gruppo: obbiettivi e varianti tecniche;
- Narrazioni individuali in gruppo: obbiettivi e varianti tecniche;
- Drammatizzazione cooperativa da elaborati individuali: obbiettivi e varianti tecniche;
- Il Training Psicosociale di Gruppo è per ora oggetto di pubblicazioni nazionali e di una pubblicazione internazionale
breve. Per i livelli attuali di Evidence Based Medicine è a quello di “Studio clinico prospettico non controllato”.
Nelle pubblicazioni si è evidenziato un forte gradimento da parte degli utenti, ed effetti terapeutici sintomatici a breve
termine in molte patologie, spiccate nei DGS e nei DDCD. A medio termine ha evidenziato un impatto positivo su coping
genitoriale. Aumenta la percezione positiva del servizio sanitario ricevuto.
Si è rivelato per il reparto uno strumento diagnostico talvolta irrinunciabile per le attività e partecipazioni previste dalla
ICF - CY, per cui è stata stilata una modulistica interna ormai collaudata.
Scopo: Divulgare e condividere tra gli addetti ai lavori le necessità e le caratteristiche di interventi clinici specializzati in
area psicosociale e in età evolutiva, e l’esistenza di un intervento riabilitativo psicosociale specifico, nelle tecniche e nella
concezione, integrativo di saperi e prassi diverse.
Riassunto: Il modello bio-psico-sociale di salute della W.H.O., pur proponendo strumenti diagnostici, non è precisato
negli interventi clinici specifici sulla componente sociale. Esistono figure, saperi e tecniche terapeutiche molto chiare di
pertinenza biologica e di pertinenza psicologica, ma non c’è ancora una cultura delle terapie del fattore sociale di salute.
Il reparto di neuropsichiatria infantile è a buon diritto una comunità, a rapido ricambio, ma che prevede per un tempo di
almeno alcuni giorni la convivenza di diadi problematiche. Ha quindi le sue specificità e le sue criticità nel contatto tra di
esse e nel contatto con l’equipe medica.
Abbiamo cercato di applicare a questa comunità le teorie e le prassi di riferimento, della Psichiatria Sociale (Basaglia,
Ciompi) e della Antropologia Teatrale (Grotowski, Barba), in modo evoluto, integrato e concreto.
Il ciclo base è di 2 sedute, settimanali (data la durata del ricovero), in cui gli obbiettivi di lavoro sono:
- la conoscenza e l’affidamento reciproco da parte dei degenti;
- la relativizzazione e la consapevolizzazione dei sintomi altrui;
- l’esperienza positiva delle proprie abilità in un contesto sociale;
- l’esperienza positiva delle abilità del proprio figlio in un contesto sociale;
- inoltre vi è un lavoro a livello diadico, con minimi obbiettivi di consapevolizzazione e arricchimento del repertorio
comunicativo reciproco.
Vengono esposte le seguenti tecniche di lavoro riabilitativo psicosociale, elaborate e strutturate nel Training di nostra
concezione:
- Osservazione video del proprio lavoro: obbiettivi e varianti tecniche;
- Gestione Prossemica dei posti: obbiettivi e varianti tecniche;
- Gestione Prossemica dello spazio libero: obbiettivi e varianti tecniche;
- Denominazione reciproca: obbiettivi e varianti tecniche;
- Contatto corporeo diadico: obbiettivi e varianti tecniche;
- Contatto corporeo di gruppo: obbiettivi e varianti tecniche;
- Narrazioni individuali in gruppo: obbiettivi e varianti tecniche;
- Drammatizzazione cooperativa da elaborati individuali: obbiettivi e varianti tecniche;
- Il Training Psicosociale di Gruppo è per ora oggetto di pubblicazioni nazionali e di una pubblicazione internazionale
breve. Per i livelli attuali di Evidence Based Medicine è a quello di “Studio clinico prospettico non controllato”.
Nelle pubblicazioni si è evidenziato un forte gradimento da parte degli utenti, ed effetti terapeutici sintomatici a breve
termine in molte patologie, spiccate nei DGS e nei DDCD. A medio termine ha evidenziato un impatto positivo su coping
genitoriale. Aumenta la percezione positiva del servizio sanitario ricevuto.
Si è rivelato per il reparto uno strumento diagnostico talvolta irrinunciabile per le attività e partecipazioni previste dalla
ICF - CY, per cui è stata stilata una modulistica interna ormai collaudata.
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50
C33
DEFICIT DI CT1: PROFILO NEUROPSICOLOGICO
TRATTAMENTO CON ARGININA IN 5 PAZIENTI
E
RISPOSTA
AL
C33
DEFICIT DI CT1: PROFILO NEUROPSICOLOGICO
TRATTAMENTO CON ARGININA IN 5 PAZIENTI
E
RISPOSTA
AL
Chilosi A.*, Battini R.*, Casarano M.*, Comparini A.*, Moretti E.*, Battaglia F.°,
Alessandrì MG.^, Mancardi MM.^, Leuzzi V.^
*IRCCS Stella Maris, ° Istituto Gaslini, ^GisMet-Cr
Chilosi A.*, Battini R.*, Casarano M.*, Comparini A.*, Moretti E.*, Battaglia F.°,
Alessandrì MG.^, Mancardi MM.^, Leuzzi V.^
*IRCCS Stella Maris, ° Istituto Gaslini, ^GisMet-Cr
Background: Il deficit del trasportatore della creatina (CT1) è un errore congenito del metabolismo responsabile di ritardo
mentale, epilessia, disturbo del linguaggio e del comportamento. A differenza dei deficit di sintesi (AGAT e GAMT) non
esiste un parere concorde sul trattamento di tale disordine. Nella nostra esperienza la supplementazione con arginina,
precursore della creatina in grado di superare la barriera ematoencefalica, appare un potenziale trattamento per la cura di
questa patologia (Chilosi et al 2008).
Scopo: L’obiettivo del nostro studio è quello di verificare l’esistenza di un comune profilo neuropsicologico nel deficit di
CT1 e di valutare l’efficacia del trattamento con arginina per os.
Metodologia e soggetti: Riportiamo i risultati di uno studio longitudinale eseguito su 5 pazienti Italiani con Deficit di CT1
trattati con Arginina per os (300 mg/Kg/die) eseguiti in follow-up attraverso valutazioni cliniche neuropsicologiche e
strumentali attraverso la MRS. I pazienti hanno intrapreso il trattamento rispettivamente all’età di 5.5, 6.5, 8.6, 8.6, 17
anni. Tre di loro hanno completato tre anni di trattamento.
Risultati e discussione:I nostri pazienti presentano un profilo neuropsicologico simile che potrebbe essere utile
nell’identificazione di un deficit di Ct1. In tutti i pazienti, inoltre, è stato osservato un miglioramento delle funzioni
adattive e degli aspetti comportamentali durante trattamento con arginina per os.
Background: Il deficit del trasportatore della creatina (CT1) è un errore congenito del metabolismo responsabile di ritardo
mentale, epilessia, disturbo del linguaggio e del comportamento. A differenza dei deficit di sintesi (AGAT e GAMT) non
esiste un parere concorde sul trattamento di tale disordine. Nella nostra esperienza la supplementazione con arginina,
precursore della creatina in grado di superare la barriera ematoencefalica, appare un potenziale trattamento per la cura di
questa patologia (Chilosi et al 2008).
Scopo: L’obiettivo del nostro studio è quello di verificare l’esistenza di un comune profilo neuropsicologico nel deficit di
CT1 e di valutare l’efficacia del trattamento con arginina per os.
Metodologia e soggetti: Riportiamo i risultati di uno studio longitudinale eseguito su 5 pazienti Italiani con Deficit di CT1
trattati con Arginina per os (300 mg/Kg/die) eseguiti in follow-up attraverso valutazioni cliniche neuropsicologiche e
strumentali attraverso la MRS. I pazienti hanno intrapreso il trattamento rispettivamente all’età di 5.5, 6.5, 8.6, 8.6, 17
anni. Tre di loro hanno completato tre anni di trattamento.
Risultati e discussione:I nostri pazienti presentano un profilo neuropsicologico simile che potrebbe essere utile
nell’identificazione di un deficit di Ct1. In tutti i pazienti, inoltre, è stato osservato un miglioramento delle funzioni
adattive e degli aspetti comportamentali durante trattamento con arginina per os.
51
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C34
C34
UN PROGETTO SPERIMENTALE PER IL TRATTAMENTO RESIDENZIALE DEL
DISAGIO PSICHICO IN ETÀ MINORILE
UN PROGETTO SPERIMENTALE PER IL TRATTAMENTO RESIDENZIALE DEL
DISAGIO PSICHICO IN ETÀ MINORILE
D'Arcangelo G., Francardi M., Mannucci S., Monti A., Tatti P.
Struttura residenziale "Casa di Francesco e Chiara", S.Ansano, Vinci
D'Arcangelo G., Francardi M., Mannucci S., Monti A., Tatti P.
Struttura residenziale "Casa di Francesco e Chiara", S.Ansano, Vinci
Background:La cura e la riabilitazione delle gravi patologie psichiatriche in pre-adolescenza e adolescenza costituiscono
per i Servizi di Salute Mentale un impegno difficile e gravoso sia sul piano sanitario che economico e sociale. I dati
epidemiologici e la tipologia delle manifestazioni cliniche rendono necessaria l’attivazione di strategie terapeuticoriabilitative integrate che, in accordo con i dati della letteratura sulla cura e la riabilitazione dei gravi disturbi psichiatrici
adolescenziali individuano come trattamento d’elezione un approccio terapeutico psicofarmacologico, psicoterapeutico e
istituzionale al fine di prevenirne la drammatica evoluzione in età adulta verso quadri psichiatrici e/o sociali più gravi e
impegnativi.
In questo lavoro gli autori presentano il modello, i risultati e le difficoltà, relativi ad un progetto sperimentale di
riabilitazione per minori con disagio psichico. Il progetto nasce come risposta, seppur limitata, ad un’esigenza emersa dai
dati regionali, nazionali ed europei che evidenziano un considerevole aumento del numero dei ragazzi caratterizzati da
problemi psichici e comportamentali e un consequenziale incremento delle famiglie che si rivolgono ai servizi territoriali
di Neuropsichiatria Infantile.
Si tratta di una Comunità Terapeutica Residenziale, aperta un anno e mezzo fa, che ospita 9 ragazzi dai 12 ai 18 anni, sia
maschi che femmine, interessati da patologia psichiatrica in fase sub-acuta. Tutti gli ospiti beneficiano di un progetto
terapeutico individualizzato, rivalutato costantemente nel tempo di permanenza.
L’equipe di lavoro è multi disciplinare e adotta un modello d’intervento integrato che focalizza l’attenzione su aspetti
psicoterapeutici e socio educativi attraverso un approccio clinico attento agli elementi cognitivi, affettivi e relazionali.
Il campione è composto da 9 soggetti (6 maschi e 3 femmine) che rappresentano la parte degli ingressi in struttura che a
febbraio 2011 hanno avuto una permanenza di almeno 9 mesi. L’età media dei pazienti del campione è 15 anni e 6 mesi,
la media delle età al momento dell’inserimento è 14 anni e 7 mesi.
Come diagnosi di accesso 3 ragazzi presentano D. Bipolare, 3 D. della Condotta, 1 disturbo oppositivo-provocatorio, 1 D.
Distimico e 1 disturbo d’ansia generalizzato; in 4 pazienti è presente comorbilità con disturbo di personalità (3
Borderline, 1 Evitante).
Il tempo medio di permanenza in struttura è 11,8 mesi.
La valutazione dell’andamento clinico degli ospiti è stata effettuata attraverso la somministrazione della scala BPRS, il
monitoraggio degli eventi critici e il monitoraggio della frequenza scolastica e delle attività.
I primi dati clinici relativi all’andamento sintomatologico degli ospiti mostrano attraverso i parametri della BPRS
elementi confortanti. Si registrano infatti miglioramenti in tutte le scale con particolare riguardo a quella dell’ostilità.
Questo dato di miglioramento è confermato dalla marcata riduzione degli scompensi clinici degli ospiti nel tempo.
Il miglioramento dell’andamento clinico dei pazienti associato alla maggior tenuta e capacità di gestione degli operatori
ha determinato il raggiungimento di risultati più che soddisfacenti per la frequenza scolastica e risultati sufficienti per la
partecipazione alle attività interne.
In prospettiva si prevede di affinare il monitoraggio con l’elaborazione di nuovi parametri come la frequenza di
partecipazione alle attività esterne, la frequenza di ricorso alla terapia farmacologia al bisogno e le scale SCL90 e CGAS.
A questo proposito è in fase embrionale la creazione di un indice sintetico di andamento dell’ospite che rappresenti la
risultante di tutti i parametri individuali in nostro possesso.
Background:La cura e la riabilitazione delle gravi patologie psichiatriche in pre-adolescenza e adolescenza costituiscono
per i Servizi di Salute Mentale un impegno difficile e gravoso sia sul piano sanitario che economico e sociale. I dati
epidemiologici e la tipologia delle manifestazioni cliniche rendono necessaria l’attivazione di strategie terapeuticoriabilitative integrate che, in accordo con i dati della letteratura sulla cura e la riabilitazione dei gravi disturbi psichiatrici
adolescenziali individuano come trattamento d’elezione un approccio terapeutico psicofarmacologico, psicoterapeutico e
istituzionale al fine di prevenirne la drammatica evoluzione in età adulta verso quadri psichiatrici e/o sociali più gravi e
impegnativi.
In questo lavoro gli autori presentano il modello, i risultati e le difficoltà, relativi ad un progetto sperimentale di
riabilitazione per minori con disagio psichico. Il progetto nasce come risposta, seppur limitata, ad un’esigenza emersa dai
dati regionali, nazionali ed europei che evidenziano un considerevole aumento del numero dei ragazzi caratterizzati da
problemi psichici e comportamentali e un consequenziale incremento delle famiglie che si rivolgono ai servizi territoriali
di Neuropsichiatria Infantile.
Si tratta di una Comunità Terapeutica Residenziale, aperta un anno e mezzo fa, che ospita 9 ragazzi dai 12 ai 18 anni, sia
maschi che femmine, interessati da patologia psichiatrica in fase sub-acuta. Tutti gli ospiti beneficiano di un progetto
terapeutico individualizzato, rivalutato costantemente nel tempo di permanenza.
L’equipe di lavoro è multi disciplinare e adotta un modello d’intervento integrato che focalizza l’attenzione su aspetti
psicoterapeutici e socio educativi attraverso un approccio clinico attento agli elementi cognitivi, affettivi e relazionali.
Il campione è composto da 9 soggetti (6 maschi e 3 femmine) che rappresentano la parte degli ingressi in struttura che a
febbraio 2011 hanno avuto una permanenza di almeno 9 mesi. L’età media dei pazienti del campione è 15 anni e 6 mesi,
la media delle età al momento dell’inserimento è 14 anni e 7 mesi.
Come diagnosi di accesso 3 ragazzi presentano D. Bipolare, 3 D. della Condotta, 1 disturbo oppositivo-provocatorio, 1 D.
Distimico e 1 disturbo d’ansia generalizzato; in 4 pazienti è presente comorbilità con disturbo di personalità (3
Borderline, 1 Evitante).
Il tempo medio di permanenza in struttura è 11,8 mesi.
La valutazione dell’andamento clinico degli ospiti è stata effettuata attraverso la somministrazione della scala BPRS, il
monitoraggio degli eventi critici e il monitoraggio della frequenza scolastica e delle attività.
I primi dati clinici relativi all’andamento sintomatologico degli ospiti mostrano attraverso i parametri della BPRS
elementi confortanti. Si registrano infatti miglioramenti in tutte le scale con particolare riguardo a quella dell’ostilità.
Questo dato di miglioramento è confermato dalla marcata riduzione degli scompensi clinici degli ospiti nel tempo.
Il miglioramento dell’andamento clinico dei pazienti associato alla maggior tenuta e capacità di gestione degli operatori
ha determinato il raggiungimento di risultati più che soddisfacenti per la frequenza scolastica e risultati sufficienti per la
partecipazione alle attività interne.
In prospettiva si prevede di affinare il monitoraggio con l’elaborazione di nuovi parametri come la frequenza di
partecipazione alle attività esterne, la frequenza di ricorso alla terapia farmacologia al bisogno e le scale SCL90 e CGAS.
A questo proposito è in fase embrionale la creazione di un indice sintetico di andamento dell’ospite che rappresenti la
risultante di tutti i parametri individuali in nostro possesso.
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C35
C35
DISFUNZIONE ESECUTIVA E DISTURBO RESPIRATORIO DEL SONNO IN ETÀ
EVOLUTIVA
DISFUNZIONE ESECUTIVA E DISTURBO RESPIRATORIO DEL SONNO IN ETÀ
EVOLUTIVA
Esposito M.*, Antinolfi L.°, Precenzano F.°, Castaldo L.°, Carotenuto M.°
*Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, °Ambulatorio Specialistico per i Disturbi del sonno ed
Enuresi Notturna - Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria,
Dermatovenereologia - Seconda Università degli Studi di Napoli
Esposito M.*, Antinolfi L.°, Precenzano F.°, Castaldo L.°, Carotenuto M.°
*Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, °Ambulatorio Specialistico per i Disturbi del sonno ed
Enuresi Notturna - Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria,
Dermatovenereologia - Seconda Università degli Studi di Napoli
Background: È nota la relazione tra sonno e funzioni cognitive ed in particolare l’associazione tra i disordini respiratori
del sonno e la funzionalità delle strutture frontali nei soggetti adulti affetti da OSAS. Tuttavia pochi studi sono stati
condotti su tali associazioni in età evolutiva.
Scopo dello studio:Scopo del presente studio è valutare l’influenza dei disordini respiratori del sonno sulle funzioni
esecutive in una popolazione di soggetti in età scolare.
Metodologie e Soggetti:La popolazione in esame è costituita da 26 bambini (17 M) in età scolare (età media 10.11 ± 1.83)
affetti da Sindrome delle Apnee Ostruttive in sonno (OSAS) e da 39 bambini (25 M) sani (età media 9.69 ± 1.87).
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a polisonnografia notturna per la definizione dei seguenti parametri respiratori in
sonno: Indice di Apnea/Ipopnea (AHI), Indice di desaturazione di Ossigeno (ODI).
Per lo studio delle funzioni esecutive è stato somministrato a tutti i soggetti il Modified Card Sorting Test (MCST) nella
versione italiana e considerati per l’analisi i valori T corretti per età di ciascun indice derivato.
Per il confronto tra i due gruppi è stato utilizzato il t-Test, e ove appropriato il chi-quadro; è stata successivamente
calcolata la p secondo Bonferroni (p*). Per l’analisi delle correlazioni è stato effettuato il test di correlazione di Pearson.
È stato ritenuto statisticamente significativo un valore di p<= 0.05.I due gruppi risultano confrontabili per età (t=0.898;
p=0.372), e distribuzione tra i sessi (chi-quadro=0.025; p=0.874).
Risultati e Discussioni:Dal punto di vista polisonnografico, sia l’AHI che l’ODI risultano significativamente superiori nel
gruppo di soggetti OSAS rispetto ai controlli (p* <0.001). Sul piano della prestazione MCST, invece, i soggetti con
OSAS presentano una maggiore ricorrenza di errori totali (p* <0.01), errori totali/totale prove somministrate (p* <0.001),
errori di perseverazione (p* =0.04), errori di perseverazione/totale prove (p* =0.02), errori di perseverazione /errori totali
(p* =0.001), errori non perseverativi (p* =0.03), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p* =0.01).
Dall’esame delle correlazioni tra i parametri respiratori e le prestazioni al MCST eseguite su tutto il campione in esame si
evince una stretta relazione positiva tra l’AHI e il numero di errori totali (p<0.01), errori totali/totale prove somministrate
(p<0.001), errori di perseverazione (p<0.001), errori di perseverazione/totale prove (p<0.001), errori di perseverazione
/errori totali (p<0.001), errori non perseverativi (p<0.001), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p<0.001),
fallimenti di set (p=0.04), e tra l’ODI e errori totali/totale prove somministrate (p<0.03), errori di perseverazione
(p=0.09), errori di perseverazione/totale prove (p=0.15), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p =0.001).
Relazione significativamente negativa è stata invece riscontrata tra l’AHI e l’ODI e il numero di categorie completate
(p=0.001; p=0.037).
Nell’ambito della categoria dei soggetti affetti da OSAS, invece, è possibile riscontrare una relazione positiva tra AHI ed
errori non perseverativi/totale prove somministrate (p <0.015) ed una relazione significativamente negativa tra AHI e
indici di risposta positiva al test quali numero di categorie completate (p=0.010) e efficienza categoriale (p=0.022).
I nostri risultati sembrano suggerire la presenza di una stretta relazione tra la respirazione notturna e la efficienza
esecutiva dei lobi frontali, sottolineando la particolare riduzione di efficienza nei soggetti che presentino un alto AHI.
Tale dato, confermando la già nota interconnessione tra modalità di sonno e resa esecutiva, suggerisce la necessità di
ulteriori studi sulla funzionalità frontale nei soggetti con OSAS in età evolutiva.
Background: È nota la relazione tra sonno e funzioni cognitive ed in particolare l’associazione tra i disordini respiratori
del sonno e la funzionalità delle strutture frontali nei soggetti adulti affetti da OSAS. Tuttavia pochi studi sono stati
condotti su tali associazioni in età evolutiva.
Scopo dello studio:Scopo del presente studio è valutare l’influenza dei disordini respiratori del sonno sulle funzioni
esecutive in una popolazione di soggetti in età scolare.
Metodologie e Soggetti:La popolazione in esame è costituita da 26 bambini (17 M) in età scolare (età media 10.11 ± 1.83)
affetti da Sindrome delle Apnee Ostruttive in sonno (OSAS) e da 39 bambini (25 M) sani (età media 9.69 ± 1.87).
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a polisonnografia notturna per la definizione dei seguenti parametri respiratori in
sonno: Indice di Apnea/Ipopnea (AHI), Indice di desaturazione di Ossigeno (ODI).
Per lo studio delle funzioni esecutive è stato somministrato a tutti i soggetti il Modified Card Sorting Test (MCST) nella
versione italiana e considerati per l’analisi i valori T corretti per età di ciascun indice derivato.
Per il confronto tra i due gruppi è stato utilizzato il t-Test, e ove appropriato il chi-quadro; è stata successivamente
calcolata la p secondo Bonferroni (p*). Per l’analisi delle correlazioni è stato effettuato il test di correlazione di Pearson.
È stato ritenuto statisticamente significativo un valore di p<= 0.05.I due gruppi risultano confrontabili per età (t=0.898;
p=0.372), e distribuzione tra i sessi (chi-quadro=0.025; p=0.874).
Risultati e Discussioni:Dal punto di vista polisonnografico, sia l’AHI che l’ODI risultano significativamente superiori nel
gruppo di soggetti OSAS rispetto ai controlli (p* <0.001). Sul piano della prestazione MCST, invece, i soggetti con
OSAS presentano una maggiore ricorrenza di errori totali (p* <0.01), errori totali/totale prove somministrate (p* <0.001),
errori di perseverazione (p* =0.04), errori di perseverazione/totale prove (p* =0.02), errori di perseverazione /errori totali
(p* =0.001), errori non perseverativi (p* =0.03), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p* =0.01).
Dall’esame delle correlazioni tra i parametri respiratori e le prestazioni al MCST eseguite su tutto il campione in esame si
evince una stretta relazione positiva tra l’AHI e il numero di errori totali (p<0.01), errori totali/totale prove somministrate
(p<0.001), errori di perseverazione (p<0.001), errori di perseverazione/totale prove (p<0.001), errori di perseverazione
/errori totali (p<0.001), errori non perseverativi (p<0.001), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p<0.001),
fallimenti di set (p=0.04), e tra l’ODI e errori totali/totale prove somministrate (p<0.03), errori di perseverazione
(p=0.09), errori di perseverazione/totale prove (p=0.15), errori non perseverativi/totale prove somministrate (p =0.001).
Relazione significativamente negativa è stata invece riscontrata tra l’AHI e l’ODI e il numero di categorie completate
(p=0.001; p=0.037).
Nell’ambito della categoria dei soggetti affetti da OSAS, invece, è possibile riscontrare una relazione positiva tra AHI ed
errori non perseverativi/totale prove somministrate (p <0.015) ed una relazione significativamente negativa tra AHI e
indici di risposta positiva al test quali numero di categorie completate (p=0.010) e efficienza categoriale (p=0.022).
I nostri risultati sembrano suggerire la presenza di una stretta relazione tra la respirazione notturna e la efficienza
esecutiva dei lobi frontali, sottolineando la particolare riduzione di efficienza nei soggetti che presentino un alto AHI.
Tale dato, confermando la già nota interconnessione tra modalità di sonno e resa esecutiva, suggerisce la necessità di
ulteriori studi sulla funzionalità frontale nei soggetti con OSAS in età evolutiva.
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C36
C36
RICONOSCIMENTO DEL CORPO IN BAMBINI CON LESIONE CEREBRALE: UNA
DOPPIA DISSOCIAZIONE
RICONOSCIMENTO DEL CORPO IN BAMBINI CON LESIONE CEREBRALE: UNA
DOPPIA DISSOCIAZIONE
Fiori S.*, Frassinetti F.°, Cioni G.*, Brizzolara D.*, D’Angelo V.^, Guzzetta A.^
*Divisione Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa, IRCCS Stella Maris, ^ Dipartimento di
Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Stella Maris °Dipartimento di Psicologia, Università di
Bologna.
Fiori S.*, Frassinetti F.°, Cioni G.*, Brizzolara D.*, D’Angelo V.^, Guzzetta A.^
*Divisione Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa, IRCCS Stella Maris, ^ Dipartimento di
Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCS Stella Maris °Dipartimento di Psicologia, Università di
Bologna.
Background: Studi recenti hanno dimostrato un vantaggio nell’elaborazione implicita di immagini raffiguranti il proprio
corpo rispetto al corpo altrui (self-advantage, Frassinetti et al., 2008, 2010). Tale vantaggio è stato messo in evidenza in
soggetti adulti senza deficit neurologici sia quando gli stimoli raffigurano parti del volto che parti del corpo. Studi sui
pazienti adulti hanno mostrato che il self-advantage è preservato in pazienti con lesione cerebrale sinistra mentre è
compromesso nei pazienti con lesione cerebrale destra. Le analisi condotte sul sito lesionale suggeriscono un
coinvolgimento di un circuito fronto-parietale destro in questa funzione.
Scopo. Lo scopo del presente studio è quello di verificare l’esistenza del riconoscimento implicito del se-corporeo e la
lateralizzazione della funzione in età evolutiva.
Soggetti e metodi. Hanno partecipato allo studio 74 soggetti di età compresa tra 4 e 17 anni, 57 controlli sani e 17
bambini con lesione cerebrale unilaterale (5 con lesione cerebrale destra e 12 con lesione cerebrale sinistra). I
partecipanti sono stati sottoposti ad un compito di matching, in cui venivano mostrate fotografie di parti del corpo (mano
e piede) e del volto (occhi e bocca). In ciascun trial, tre immagini dello stesso tipo (es. mano) venivano presentate
allineate verticalmente al centro dello schermo. Ai soggetti era chiesto di identificare quale immagine, quella in alto o
quella in basso, era uguale allo stimolo centrale. Nella metà delle prove almeno uno dei 3 stimoli apparteneva al soggetto
sperimentale (condizione self) mentre nell’altra metà apparteneva ad un altro soggetto (condizione other).
Risultati e discussione. I controlli sani hanno mostrato un vantaggio (maggiore accuratezza) nell’esecuzione del compito
quando erano presenti stimoli che rappresentavano le loro parti del corpo rispetto a parti del corpo altrui (self-advantage).
Nel gruppo di pazienti con lesione cerebrale è emersa una duplice dissociazione: i pazienti con lesione cerebrale destra
hanno mostrato uno “svantaggio” (minore accuratezza) nell’elaborazione delle proprie parti del corpo rispetto al corpo
altrui mentre i pazienti con lesione sinistra hanno mostrato uno “svantaggio” nell’elaborazione delle parti del corpo altrui
rispetto alle proprie.
Questi dati dimostrano che il self-advantage è presente nei bambini, almeno a partire dai 4 anni. I risultati ottenuti dai
pazienti confermano che l’elaborazione delle proprie e delle altrui parti del corpo siano funzioni indipendenti, in quanto
ciascuna può essere selettivamente compromessa da una lesione cerebrale unilaterale. In particolare, l’emisfero destro
sembra essere coinvolto nel riconoscimento del se-corporeo mentre l’emisfero sinistro avrebbe un ruolo cruciale nel
riconoscimento del corpo altrui in età evolutiva.
Background: Studi recenti hanno dimostrato un vantaggio nell’elaborazione implicita di immagini raffiguranti il proprio
corpo rispetto al corpo altrui (self-advantage, Frassinetti et al., 2008, 2010). Tale vantaggio è stato messo in evidenza in
soggetti adulti senza deficit neurologici sia quando gli stimoli raffigurano parti del volto che parti del corpo. Studi sui
pazienti adulti hanno mostrato che il self-advantage è preservato in pazienti con lesione cerebrale sinistra mentre è
compromesso nei pazienti con lesione cerebrale destra. Le analisi condotte sul sito lesionale suggeriscono un
coinvolgimento di un circuito fronto-parietale destro in questa funzione.
Scopo. Lo scopo del presente studio è quello di verificare l’esistenza del riconoscimento implicito del se-corporeo e la
lateralizzazione della funzione in età evolutiva.
Soggetti e metodi. Hanno partecipato allo studio 74 soggetti di età compresa tra 4 e 17 anni, 57 controlli sani e 17
bambini con lesione cerebrale unilaterale (5 con lesione cerebrale destra e 12 con lesione cerebrale sinistra). I
partecipanti sono stati sottoposti ad un compito di matching, in cui venivano mostrate fotografie di parti del corpo (mano
e piede) e del volto (occhi e bocca). In ciascun trial, tre immagini dello stesso tipo (es. mano) venivano presentate
allineate verticalmente al centro dello schermo. Ai soggetti era chiesto di identificare quale immagine, quella in alto o
quella in basso, era uguale allo stimolo centrale. Nella metà delle prove almeno uno dei 3 stimoli apparteneva al soggetto
sperimentale (condizione self) mentre nell’altra metà apparteneva ad un altro soggetto (condizione other).
Risultati e discussione. I controlli sani hanno mostrato un vantaggio (maggiore accuratezza) nell’esecuzione del compito
quando erano presenti stimoli che rappresentavano le loro parti del corpo rispetto a parti del corpo altrui (self-advantage).
Nel gruppo di pazienti con lesione cerebrale è emersa una duplice dissociazione: i pazienti con lesione cerebrale destra
hanno mostrato uno “svantaggio” (minore accuratezza) nell’elaborazione delle proprie parti del corpo rispetto al corpo
altrui mentre i pazienti con lesione sinistra hanno mostrato uno “svantaggio” nell’elaborazione delle parti del corpo altrui
rispetto alle proprie.
Questi dati dimostrano che il self-advantage è presente nei bambini, almeno a partire dai 4 anni. I risultati ottenuti dai
pazienti confermano che l’elaborazione delle proprie e delle altrui parti del corpo siano funzioni indipendenti, in quanto
ciascuna può essere selettivamente compromessa da una lesione cerebrale unilaterale. In particolare, l’emisfero destro
sembra essere coinvolto nel riconoscimento del se-corporeo mentre l’emisfero sinistro avrebbe un ruolo cruciale nel
riconoscimento del corpo altrui in età evolutiva.
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LA RETE DEI SERVIZI DI NPI NELLA REGIONE PIEMONTE TRA PASSATO E
FUTURO
LA RETE DEI SERVIZI DI NPI NELLA REGIONE PIEMONTE TRA PASSATO E
FUTURO
Guccione F., Bondonio L.*, Peloso A.*, Rolando M.*, Mariani A.°
SINPIA regione Piemonte, *membro segreteria Sinpia Piemonte, ° Segretario Sinpia Piemonte
Guccione F., Bondonio L.*, Peloso A.*, Rolando M.*, Mariani A.°
SINPIA regione Piemonte, *membro segreteria Sinpia Piemonte, ° Segretario Sinpia Piemonte
Background: In Piemonte la NPIA è organizzata in strutture specialistiche collocate all’interno del Dipartimento Materno
Infantile questo ha consentito una risposta appropriata, globale ed uniforme al disagio ed alla patologia dei pazienti. La
sua collocazione nel DMI ha garantito, infatti, una specificità di intervento e presa in carico integrata ed in rete
nell’ambito neurologico-psichiatrico-neuropsicologico-riabilitativo di tutti i minori e delle loro famiglie.
La NPIA piemontese poi si è dotata, sin dal 2001, di un sistema di rilevazione epidemiologica “La rete di Assistenza
Neurologica, Psicologica, Psichiatrica, Riabilitativa per l’infanzia e l’adolescenza”, (NPI.net) unico su tutto il territorio
nazionale, che con report annuali ne evidenzia il governo clinico, l’analisi dei percorsi e degli indici per il monitoraggio
degli obiettivi regionali.
Nel corso degli ultimi anni inoltre la neuropsichiatria Infantile piemontese si è munita di strumenti operativi formalizzati,
linee guida e percorsi diagnostico-terapeutici per specifiche patologie che hanno consentito una adeguata funzionalità dei
servizi.
Nella regione è in via di definizione un nuovo piano sanitario regionale che determina una profonda riorganizzazione
delle aziende sanitarie locali. Tra i principali elementi previsti c'è lo scorporo della funzione ospedaliera e specialistica
(ASO) da quella territoriale (ASL) mediante la creazione di cluster ospedalieri che tengano conto dei flussi di mobilità,
dall'altro l’isituzione di aziende territoriali che sviluppino una funzione di programmazione-negoziazione delle attività
per acuti, specialistiche e post acuzie sul proprio territorio di riferimento e mantengano la funzione di produzione diretta
dei servizi territoriali e della prevenzione.
Alla luce di questa revisione, la segreteria piemontese della SINPIA si è attivata al fine di individuare e proporre un
percorso organizzativo per la rete dei servizi di NPI atto a garantire il mantenimento dell’identità della disciplina, nella
logica della continuità, con la stabilità degli interventi svolti, e l’integrazione tra servizi ospedalieri e territoriali
consentendo così l’erogazione di livelli di assistenza uniformi su tutto il territorio regionale.
Si propone qui un modello organizzativo della rete dei servizi di npi piemontese, proposto dalla segreteria sinpia
piemontese per il nuovo piano sanitario regionale, con lo scopo di far convergere ed integrare l’assetto operativo ed i
percorsi diagnostico-terapeutici storicamente presenti sul territorio con la revisione organizzattiva prevista per le aziende
sanitarie regionali.
Questo schema intende consentire il mantenimento dell’identità dei servizi di NPI presenti, nonché una forte integrazione
ospedale/territorio.
Background: In Piemonte la NPIA è organizzata in strutture specialistiche collocate all’interno del Dipartimento Materno
Infantile questo ha consentito una risposta appropriata, globale ed uniforme al disagio ed alla patologia dei pazienti. La
sua collocazione nel DMI ha garantito, infatti, una specificità di intervento e presa in carico integrata ed in rete
nell’ambito neurologico-psichiatrico-neuropsicologico-riabilitativo di tutti i minori e delle loro famiglie.
La NPIA piemontese poi si è dotata, sin dal 2001, di un sistema di rilevazione epidemiologica “La rete di Assistenza
Neurologica, Psicologica, Psichiatrica, Riabilitativa per l’infanzia e l’adolescenza”, (NPI.net) unico su tutto il territorio
nazionale, che con report annuali ne evidenzia il governo clinico, l’analisi dei percorsi e degli indici per il monitoraggio
degli obiettivi regionali.
Nel corso degli ultimi anni inoltre la neuropsichiatria Infantile piemontese si è munita di strumenti operativi formalizzati,
linee guida e percorsi diagnostico-terapeutici per specifiche patologie che hanno consentito una adeguata funzionalità dei
servizi.
Nella regione è in via di definizione un nuovo piano sanitario regionale che determina una profonda riorganizzazione
delle aziende sanitarie locali. Tra i principali elementi previsti c'è lo scorporo della funzione ospedaliera e specialistica
(ASO) da quella territoriale (ASL) mediante la creazione di cluster ospedalieri che tengano conto dei flussi di mobilità,
dall'altro l’isituzione di aziende territoriali che sviluppino una funzione di programmazione-negoziazione delle attività
per acuti, specialistiche e post acuzie sul proprio territorio di riferimento e mantengano la funzione di produzione diretta
dei servizi territoriali e della prevenzione.
Alla luce di questa revisione, la segreteria piemontese della SINPIA si è attivata al fine di individuare e proporre un
percorso organizzativo per la rete dei servizi di NPI atto a garantire il mantenimento dell’identità della disciplina, nella
logica della continuità, con la stabilità degli interventi svolti, e l’integrazione tra servizi ospedalieri e territoriali
consentendo così l’erogazione di livelli di assistenza uniformi su tutto il territorio regionale.
Si propone qui un modello organizzativo della rete dei servizi di npi piemontese, proposto dalla segreteria sinpia
piemontese per il nuovo piano sanitario regionale, con lo scopo di far convergere ed integrare l’assetto operativo ed i
percorsi diagnostico-terapeutici storicamente presenti sul territorio con la revisione organizzattiva prevista per le aziende
sanitarie regionali.
Questo schema intende consentire il mantenimento dell’identità dei servizi di NPI presenti, nonché una forte integrazione
ospedale/territorio.
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C38
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GLI ASPETTI NEUROPSICOLOGICI NELLA COMORBIDITÀ CEFALEA-EPILESSIA
IN ETÀ EVOLUTIVA
GLI ASPETTI NEUROPSICOLOGICI NELLA COMORBIDITÀ CEFALEA-EPILESSIA
IN ETÀ EVOLUTIVA
Matricardi S.*, Tozzi E.*, Verrotti A.°, Sechi E.*
*UOC Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di L'Aquila, °Clinica Pediatrica, Servizio
di Neurologia Pediatrica, Università degli Studi di Chieti.
Matricardi S.*, Tozzi E.*, Verrotti A.°, Sechi E.*
*UOC Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di L'Aquila, °Clinica Pediatrica, Servizio
di Neurologia Pediatrica, Università degli Studi di Chieti.
Background: Razionale ed Obbiettivi:La cefalea e l’epilessia sono patologie neurologiche a carattere cronico, con
manifestazioni critiche episodiche, di frequente riscontro nella pratica clinica.
In letteratura particolare attenzione è stata rivolta allo studio dell’epilessia benigna a punte centro-temporali,
frequentemente associata ad attacchi emicranici.
Il presente studio ha lo scopo di cercare di comprendere ulteriormente quale possa essere il significato delle anomalie
EEG, ed in particolare delle punte centro-temporali (CTS), di frequente riscontro nei pazienti con cefalea; inoltre, delinea
e definisce un profilo neuropsicologico correlato a tali anomalie nell’ambito di questa patologia.
Metodi:Sono stati selezionati 32 bambini (18 M e 14 F), di età compresa tra 6 e 16 anni, e suddivisi in 3 gruppi in base
alla diagnosi: soggetti (16) affetti da epilessia rolandica, soggetti (8) affetti da epilessia rolandica e cefalea, soggetti (8)
affetti da cefalea con CTS alla registrazione EEG.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad EON, esami ematochimici, EEG con prove di attivazione, valutazione cognitiva
(WISC III) e neuropsicologica (NEPSY II); alcuni di essi hanno, inoltre, eseguito indagini neuroradiologiche (RMN
encefalo).
Risultati: L’analisi statistica dei risultati ottenuti alla WISC III ha evidenziato una maggiore compromissione dello
sviluppo delle abilità linguistiche e comunicative nei pazienti affetti da epilessia rolandica ed in quelli affetti da epilessia
in comorbidità con la cefalea (p<0,05), rilevando una discrepanza significativa tra QIV e QIP a fronte di un QIT nella
norma o ai limiti inferiori della media.
Nei pazienti affetti da cefalea con CTS all’EEG il profilo verbale non ha presentato significative variazioni dalla norma,
ad eccezione della memoria verbale a breve termine che risulta borderline (M±DS: 7,75±2,87), ma non statisticamente
significativa; evidenziando, così, una buona integrazione interemisferica, indipendentemente dalla presenza e dalla sede
delle anomalie EEG.
Dall’analisi dei risultati alla NEPSY II emerge come nei soggetti con epilessia ed in quelli con epilessia e cefalea vi sia un
andamento pressoché parallelo con cadute significative (p<0,05) nella maggior parte delle aree dello sviluppo indagate;
nei soggetti con cefalea e CTS il profilo neuropsicologico risulta omogeneo e nella norma, ma si evidenziano cadute
statisticamente significative nelle prove di memoria verbale (p:0,01 e p:0,03).
Conclusioni:I risultati emersi concordano con i dati presenti in letteratura riguardo “l’impairment” neuropsicologico nei
soggetti affetti da epilessia rolandica; ma in particolare sottolineano come la cefalea, una condizione disabilitante di per
sé per le note implicazioni funzionali e psicopatologiche, soprattutto se associata ad anomalie EEG, possa determinare
un’alterazione della qualità di vita del bambino, con limitazioni nelle abilità di apprendimento e nelle capacità di risposta
alle svariate richieste ambientali sia all’interno che all’esterno dell’ambiente scolastico.
Bibliografia:1. Clarke T, Baskurt Z, Strug LJ, Pal DK. Evidence of shared genetic risk factors for migraine and rolandic
epilepsy. Epilepsia 2009;50:2428-2433; 2. Giordani B, Cavenev AF, Laughrin D, Huffman JL, Berent S, Sharma U, Giles
JM, Garofalo. Cognition and behavior in children with benign epilepsy wuth centrotemporal spikes (BECTS). Epilepsy
Res 2006;70:89-94. 3. O’Bryant SE, Marcus DA, Rains JC, Penzien DB. The neuropsychology of recurrent headache.
Headache 2006;46:1364-1376.
Background: Razionale ed Obbiettivi:La cefalea e l’epilessia sono patologie neurologiche a carattere cronico, con
manifestazioni critiche episodiche, di frequente riscontro nella pratica clinica.
In letteratura particolare attenzione è stata rivolta allo studio dell’epilessia benigna a punte centro-temporali,
frequentemente associata ad attacchi emicranici.
Il presente studio ha lo scopo di cercare di comprendere ulteriormente quale possa essere il significato delle anomalie
EEG, ed in particolare delle punte centro-temporali (CTS), di frequente riscontro nei pazienti con cefalea; inoltre, delinea
e definisce un profilo neuropsicologico correlato a tali anomalie nell’ambito di questa patologia.
Metodi:Sono stati selezionati 32 bambini (18 M e 14 F), di età compresa tra 6 e 16 anni, e suddivisi in 3 gruppi in base
alla diagnosi: soggetti (16) affetti da epilessia rolandica, soggetti (8) affetti da epilessia rolandica e cefalea, soggetti (8)
affetti da cefalea con CTS alla registrazione EEG.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad EON, esami ematochimici, EEG con prove di attivazione, valutazione cognitiva
(WISC III) e neuropsicologica (NEPSY II); alcuni di essi hanno, inoltre, eseguito indagini neuroradiologiche (RMN
encefalo).
Risultati: L’analisi statistica dei risultati ottenuti alla WISC III ha evidenziato una maggiore compromissione dello
sviluppo delle abilità linguistiche e comunicative nei pazienti affetti da epilessia rolandica ed in quelli affetti da epilessia
in comorbidità con la cefalea (p<0,05), rilevando una discrepanza significativa tra QIV e QIP a fronte di un QIT nella
norma o ai limiti inferiori della media.
Nei pazienti affetti da cefalea con CTS all’EEG il profilo verbale non ha presentato significative variazioni dalla norma,
ad eccezione della memoria verbale a breve termine che risulta borderline (M±DS: 7,75±2,87), ma non statisticamente
significativa; evidenziando, così, una buona integrazione interemisferica, indipendentemente dalla presenza e dalla sede
delle anomalie EEG.
Dall’analisi dei risultati alla NEPSY II emerge come nei soggetti con epilessia ed in quelli con epilessia e cefalea vi sia un
andamento pressoché parallelo con cadute significative (p<0,05) nella maggior parte delle aree dello sviluppo indagate;
nei soggetti con cefalea e CTS il profilo neuropsicologico risulta omogeneo e nella norma, ma si evidenziano cadute
statisticamente significative nelle prove di memoria verbale (p:0,01 e p:0,03).
Conclusioni:I risultati emersi concordano con i dati presenti in letteratura riguardo “l’impairment” neuropsicologico nei
soggetti affetti da epilessia rolandica; ma in particolare sottolineano come la cefalea, una condizione disabilitante di per
sé per le note implicazioni funzionali e psicopatologiche, soprattutto se associata ad anomalie EEG, possa determinare
un’alterazione della qualità di vita del bambino, con limitazioni nelle abilità di apprendimento e nelle capacità di risposta
alle svariate richieste ambientali sia all’interno che all’esterno dell’ambiente scolastico.
Bibliografia:1. Clarke T, Baskurt Z, Strug LJ, Pal DK. Evidence of shared genetic risk factors for migraine and rolandic
epilepsy. Epilepsia 2009;50:2428-2433; 2. Giordani B, Cavenev AF, Laughrin D, Huffman JL, Berent S, Sharma U, Giles
JM, Garofalo. Cognition and behavior in children with benign epilepsy wuth centrotemporal spikes (BECTS). Epilepsy
Res 2006;70:89-94. 3. O’Bryant SE, Marcus DA, Rains JC, Penzien DB. The neuropsychology of recurrent headache.
Headache 2006;46:1364-1376.
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EFFETTI DELL’OSSERVAZIONE DI AZIONI SULLA FUNZIONALITÀ DELL’ARTO
SUPERIORE IN PCI: DATI PRELIMINARI
EFFETTI DELL’OSSERVAZIONE DI AZIONI SULLA FUNZIONALITÀ DELL’ARTO
SUPERIORE IN PCI: DATI PRELIMINARI
Serotti L.*, Buccino G.°,Arisi D.^, Aprile D.^, Tiberti A.§, Fazzi E.§, Alessandrini A.#,
Bertelli M.**, Cantarini P.**, Corradetti R.**, Dotta L.**, Franchini E.**, Marsadri O.**,
Orlandini E.**, Pasotti B.**, Zoli N.**
*Università degli Studi di Brescia - Scuola di Specializzazione di Neuropsichiatria Infantile U.O. di Neuropsichiatria Infantile - Spedali Civili di Brescia, ° Dipartimento di Scienze Mediche,
Università Magna Graecia, Catanzaro, Italia, ^ Sezione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale di
Cremona, Cremona, Italia, § U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Brescia, #
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza - Spedali Civili - Università di Brescia, **
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza - Polo Territoriale - Brescia
Serotti L.*, Buccino G.°,Arisi D.^, Aprile D.^, Tiberti A.§, Fazzi E.§, Alessandrini A.#,
Bertelli M.**, Cantarini P.**, Corradetti R.**, Dotta L.**, Franchini E.**, Marsadri O.**,
Orlandini E.**, Pasotti B.**, Zoli N.**
*Università degli Studi di Brescia - Scuola di Specializzazione di Neuropsichiatria Infantile U.O. di Neuropsichiatria Infantile - Spedali Civili di Brescia, ° Dipartimento di Scienze Mediche,
Università Magna Graecia, Catanzaro, Italia, ^ Sezione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale di
Cremona, Cremona, Italia, § U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Brescia, #
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza - Spedali Civili - Università di Brescia, **
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza - Polo Territoriale - Brescia
Background: L’osservazione delle azioni, compiute da un altro individuo, determina l’attivazione delle stesse aree
corticali che sono coinvolte nello svolgimento delle azioni osservate: il substrato neurale che permette che ciò avvenga è
il sistema dei neuroni specchio.
Scopo: L'obiettivo principale di questo studio caso-controllo randomizzato è stato quello di valutare se la funzionalità
motoria degli arti superiori in bambini con paralisi cerebrale possa essere influenzata positivamente da un programma
abilitativo che preveda l’osservazione di azioni.
Metodologie e soggetti: Lo studio ha coinvolto 15 bambini, 7 femmine e 8 maschi, di età tra i 6 e 11 anni, selezionati
secondo i seguenti criteri: età dai 5 ai 12 anni, presenza di paralisi cerebrale infantile, QI> 70, integrità dei sistemi
sensoriali visivo e uditivo o la presenza di funzionalità sufficienti all’osservazione e alla comprensione dei filmati.
Ogni bambino è stato assegnato in modo casuale, o al gruppo sperimentale (n = 8) o al gruppo controllo (n = 7). Ai
bambini del gruppo sperimentale è stato chiesto di osservare video-clip che mostrano azioni quotidiane appropriate all'età,
e poi di imitarle. I bambini del gruppo controllo sono stati invitati ad osservare video-clip neutri (con nessun contenuto
motorio) e in seguito gli è stato chiesto di eseguire le stesse azioni del gruppo sperimentale, spiegate con una descrizione
verbale standardizzata.
Il trattamento, per ciascun bambino, è durato 14 giorni in 3 settimane, ed ha richiesto circa 45-60 minuti al giorno,
variabili a seconda del grado e della velocità di esecuzione del singolo bambino.
La valutazione dell’efficacia del trattamento è stata eseguita utilizzando la scala Melbourne. I bambini sono stati valutati
con questa scala funzionale due volte prima dell’inizio del trattamento (14 giorni prima e il giorno precedente l’inizio
della terapia dell’osservazione delle azioni), e alla fine del trattamento.
Risultati e discussione: La t-prova ha mostrato una differenza significativa = 2,518, [p = 0,026] a causa di un
miglioramento nei punteggi per il gruppo sperimentale.
I risultati attuali sono importanti per due motivi: da un lato forniscono informazioni indirette sulla ontogenesi del sistema
dei neuroni specchio,e dall'altro forniscono evidenze sperimentali che AOT può giocare un ruolo nel recupero delle
funzioni dell'arto superiore in PCI.
Finora mancano dati sulla ontogenesi del sistema dei neuroni specchio. Non è chiaro se sia innata o se si sviluppi in
parallelo con l'esperienza motoria e, in questo caso, a quale età questo sistema è completamente operativo. I risultati
attuali suggeriscono chiaramente che almeno per l'età della scuola primaria, il sistema potrebbe diventare il bersaglio di
AOT, quindi, indirettamente, suggerisce la sua maturità a questa età.
Inoltre, il presente studio dimostra un maggior miglioramento alla Scala Melbourne nei bambini del gruppo sperimentale
rispetto a quelli appartenenti al gruppo di controllo. I diversi risultati ottenuti nel gruppo sperimentale e nei controlli non
possono essere spiegati dalla l'attività motoria svolta, durante le sessioni di riabilitazione, perché in entrambi i gruppi è
stata programmata la stessa quantità di movimento. Dal momento che l'unica differenza tra i due gruppi era il tipo di
stimolazione visiva, la spiegazione più plausibile di questi risultati è che l'osservazione dell'azione ha portato ad una
attivazione specifica a livello centrale delle strutture neurali normalmente attive durante l'esecuzione dell'azione.
I risultati forniscono la prova preliminare dell'efficacia della AOT nella riabilitazione di bambini con PCI; è opportuno
sottolineare che essi sono stati raccolti da un piccolo gruppo di pazienti, per cui non possono essere considerati
conclusivi. Studi multicentrici più grandi sono effettivamente necessari per valutare pienamente il ruolo di AOT come
strumento di riabilitazione nei bambini con PCI.
Background: L’osservazione delle azioni, compiute da un altro individuo, determina l’attivazione delle stesse aree
corticali che sono coinvolte nello svolgimento delle azioni osservate: il substrato neurale che permette che ciò avvenga è
il sistema dei neuroni specchio.
Scopo: L'obiettivo principale di questo studio caso-controllo randomizzato è stato quello di valutare se la funzionalità
motoria degli arti superiori in bambini con paralisi cerebrale possa essere influenzata positivamente da un programma
abilitativo che preveda l’osservazione di azioni.
Metodologie e soggetti: Lo studio ha coinvolto 15 bambini, 7 femmine e 8 maschi, di età tra i 6 e 11 anni, selezionati
secondo i seguenti criteri: età dai 5 ai 12 anni, presenza di paralisi cerebrale infantile, QI> 70, integrità dei sistemi
sensoriali visivo e uditivo o la presenza di funzionalità sufficienti all’osservazione e alla comprensione dei filmati.
Ogni bambino è stato assegnato in modo casuale, o al gruppo sperimentale (n = 8) o al gruppo controllo (n = 7). Ai
bambini del gruppo sperimentale è stato chiesto di osservare video-clip che mostrano azioni quotidiane appropriate all'età,
e poi di imitarle. I bambini del gruppo controllo sono stati invitati ad osservare video-clip neutri (con nessun contenuto
motorio) e in seguito gli è stato chiesto di eseguire le stesse azioni del gruppo sperimentale, spiegate con una descrizione
verbale standardizzata.
Il trattamento, per ciascun bambino, è durato 14 giorni in 3 settimane, ed ha richiesto circa 45-60 minuti al giorno,
variabili a seconda del grado e della velocità di esecuzione del singolo bambino.
La valutazione dell’efficacia del trattamento è stata eseguita utilizzando la scala Melbourne. I bambini sono stati valutati
con questa scala funzionale due volte prima dell’inizio del trattamento (14 giorni prima e il giorno precedente l’inizio
della terapia dell’osservazione delle azioni), e alla fine del trattamento.
Risultati e discussione: La t-prova ha mostrato una differenza significativa = 2,518, [p = 0,026] a causa di un
miglioramento nei punteggi per il gruppo sperimentale.
I risultati attuali sono importanti per due motivi: da un lato forniscono informazioni indirette sulla ontogenesi del sistema
dei neuroni specchio,e dall'altro forniscono evidenze sperimentali che AOT può giocare un ruolo nel recupero delle
funzioni dell'arto superiore in PCI.
Finora mancano dati sulla ontogenesi del sistema dei neuroni specchio. Non è chiaro se sia innata o se si sviluppi in
parallelo con l'esperienza motoria e, in questo caso, a quale età questo sistema è completamente operativo. I risultati
attuali suggeriscono chiaramente che almeno per l'età della scuola primaria, il sistema potrebbe diventare il bersaglio di
AOT, quindi, indirettamente, suggerisce la sua maturità a questa età.
Inoltre, il presente studio dimostra un maggior miglioramento alla Scala Melbourne nei bambini del gruppo sperimentale
rispetto a quelli appartenenti al gruppo di controllo. I diversi risultati ottenuti nel gruppo sperimentale e nei controlli non
possono essere spiegati dalla l'attività motoria svolta, durante le sessioni di riabilitazione, perché in entrambi i gruppi è
stata programmata la stessa quantità di movimento. Dal momento che l'unica differenza tra i due gruppi era il tipo di
stimolazione visiva, la spiegazione più plausibile di questi risultati è che l'osservazione dell'azione ha portato ad una
attivazione specifica a livello centrale delle strutture neurali normalmente attive durante l'esecuzione dell'azione.
I risultati forniscono la prova preliminare dell'efficacia della AOT nella riabilitazione di bambini con PCI; è opportuno
sottolineare che essi sono stati raccolti da un piccolo gruppo di pazienti, per cui non possono essere considerati
conclusivi. Studi multicentrici più grandi sono effettivamente necessari per valutare pienamente il ruolo di AOT come
strumento di riabilitazione nei bambini con PCI.
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C40
C40
LO SVILUPPO DELLA LETTURA LUNGO L’ARCO DELLA SCUOLA PRIMARIA
LO SVILUPPO DELLA LETTURA LUNGO L’ARCO DELLA SCUOLA PRIMARIA
Termine C.*, Luoni C.^, Brembilla L.^, Balottin U.°
*Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi
dell’Insubria, Varese; I.R.I.D.E., ^ Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Medicina
Sperimentale, Università degli Studi dell’Insubria, Varese, ° Unità Complessa di
Neuropsichiatria Infantile, IRCCS C. Mondino, Università di Pavia
Termine C.*, Luoni C.^, Brembilla L.^, Balottin U.°
*Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi
dell’Insubria, Varese; I.R.I.D.E., ^ Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Medicina
Sperimentale, Università degli Studi dell’Insubria, Varese, ° Unità Complessa di
Neuropsichiatria Infantile, IRCCS C. Mondino, Università di Pavia
Background: La dislessia è una condizione con un’elevata prevalenza (3-8%), ma le informazioni sull’evoluzione nel
tempo delle caratteristiche del disturbo derivano da studi che, nella maggior parte dei casi, sono stati condotti su campioni
di lingua inglese. Considerate le differenze esistenti tra le diverse ortografie, sono necessari studi longitudinali in grado di
fornire informazioni relative all’evoluzione della lettura in una ortografia trasparente come quella italiana.
Scopo: Abbiamo studiato lo sviluppo delle abilità di lettura (rapidità, accuratezza, comprensione), nella popolazione
italiana, conducendo uno studio longitudinale, durato cinque anni, su una coorte non clinica di 435 soggetti, lungo l’arco
della scolarità primaria, dalla prima alla quinta classe (settembre 2004 - maggio 2009).
Metodologie e Soggetti: Al termine di ogni anno scolastico, i 435 soggetti in studio sono stati sottoposti a un’estesa
valutazione neuropsicologica al fine di valutare il livello intellettivo, la memoria a breve termine, il linguaggio recettivo
ed espressivo, le competenze metafonologiche, le abilità visuospaziali, la lettura, la scrittura, il calcolo, il comportamento
e gli aspetti emotivi. Genitori e insegnanti hanno compilato scale e questionari al fine di raccogliere dati anamnestici,
caratterizzare il livello socio-culturale e valutare gli aspetti emotivo-comportamentali.
Risultati: Al termine della seconda classe (T2) i bambini sono stati divisi, in base alle abilità di lettura (rapidità e
accuratezza) in tre gruppi: normolettori (prestazioni adeguate in tutte le prove), lettori scarsi (1 o 2 punteggi su 6 inferiori
a -1.5DS o al 5° percentile) e dislessici (almeno 3 punteggi su 6 inferiori a -1.5 DS o al 5° percentile).
Mentre i normolettori e la quasi totalità dei dislessici (94.7%) sono rimasti nei rispettivi gruppi fino al termine della
quinta classe, solo il 40.5% dei “lettori scarsi” continua ad avere prestazioni scarse di lettura per tutto l’arco della scuola
primaria; il 35.7% passa nel gruppo dei normolettori, mentre il 23.8% (10 bambini) riceve successivamente diagnosi di
dislessia. Verosimilmente i soggetti con difficoltà leggono meno, ampliando meno il vocabolario e amplificando quindi le
difficoltà nella lettura (effetto Matthew). Tra i 26 dislessici individuati a T2 non vi sono differenze in termini di
evoluzione indipendentemente dalla presenza o meno di discrepanza dal QI.
La velocità di lettura correla positivamente con il livello cognitivo nel primo biennio della scuola primaria, determinando
una velocità di acquisizione maggiore con il crescere del quoziente intellettivo. Una correlazione positiva con le abilità
attentive e l’accesso al lessico si mantiene invece durante tutto l’arco della scolarità primaria: prestazioni migliori in
questi ambiti si associano a un maggior incremento della velocità di lettura.
L’accuratezza di lettura correla principalmente con:
•competenze metafonologiche, soprattutto abilità di sintesi fonemica (rho=-0.520, p<0.001);
•abilità attentive (rho=0.607, p<0.001);
•abilità visuo-spaziali (rho=-0.464, p<0.001).
La comprensione correla maggiormente con:
•abilità attentive (rho=0.504, p<0.001);
•abilità visuo-spaziali (rho=-0.436, p<0.001);
•abilità di accesso al lessico (rho=0.477, p<0.001).
Le correlazioni con la velocità e l’accuratezza di lettura sono significative ad ogni rilevazione, ma tendono a diminuire
con l’aumentare della scolarizzazione.
Conclusioni: In presenza di un bambino che al termine della prima classe della scuola primaria manifesta un ritardo di
acquisizione della lettura in termini di rapidità e/o accuratezza andrà posta particolare attenzione, soprattutto se si
associano difficoltà attentive, visuospaziali, linguistiche ed emotivo-relazionali. Tali caratteristiche, infatti, aumentano
significativamente la probabilità che il bambino abbia un disturbo specifico dell’apprendimento e non un semplice ritardo
d’acquisizione.
Background: La dislessia è una condizione con un’elevata prevalenza (3-8%), ma le informazioni sull’evoluzione nel
tempo delle caratteristiche del disturbo derivano da studi che, nella maggior parte dei casi, sono stati condotti su campioni
di lingua inglese. Considerate le differenze esistenti tra le diverse ortografie, sono necessari studi longitudinali in grado di
fornire informazioni relative all’evoluzione della lettura in una ortografia trasparente come quella italiana.
Scopo: Abbiamo studiato lo sviluppo delle abilità di lettura (rapidità, accuratezza, comprensione), nella popolazione
italiana, conducendo uno studio longitudinale, durato cinque anni, su una coorte non clinica di 435 soggetti, lungo l’arco
della scolarità primaria, dalla prima alla quinta classe (settembre 2004 - maggio 2009).
Metodologie e Soggetti: Al termine di ogni anno scolastico, i 435 soggetti in studio sono stati sottoposti a un’estesa
valutazione neuropsicologica al fine di valutare il livello intellettivo, la memoria a breve termine, il linguaggio recettivo
ed espressivo, le competenze metafonologiche, le abilità visuospaziali, la lettura, la scrittura, il calcolo, il comportamento
e gli aspetti emotivi. Genitori e insegnanti hanno compilato scale e questionari al fine di raccogliere dati anamnestici,
caratterizzare il livello socio-culturale e valutare gli aspetti emotivo-comportamentali.
Risultati: Al termine della seconda classe (T2) i bambini sono stati divisi, in base alle abilità di lettura (rapidità e
accuratezza) in tre gruppi: normolettori (prestazioni adeguate in tutte le prove), lettori scarsi (1 o 2 punteggi su 6 inferiori
a -1.5DS o al 5° percentile) e dislessici (almeno 3 punteggi su 6 inferiori a -1.5 DS o al 5° percentile).
Mentre i normolettori e la quasi totalità dei dislessici (94.7%) sono rimasti nei rispettivi gruppi fino al termine della
quinta classe, solo il 40.5% dei “lettori scarsi” continua ad avere prestazioni scarse di lettura per tutto l’arco della scuola
primaria; il 35.7% passa nel gruppo dei normolettori, mentre il 23.8% (10 bambini) riceve successivamente diagnosi di
dislessia. Verosimilmente i soggetti con difficoltà leggono meno, ampliando meno il vocabolario e amplificando quindi le
difficoltà nella lettura (effetto Matthew). Tra i 26 dislessici individuati a T2 non vi sono differenze in termini di
evoluzione indipendentemente dalla presenza o meno di discrepanza dal QI.
La velocità di lettura correla positivamente con il livello cognitivo nel primo biennio della scuola primaria, determinando
una velocità di acquisizione maggiore con il crescere del quoziente intellettivo. Una correlazione positiva con le abilità
attentive e l’accesso al lessico si mantiene invece durante tutto l’arco della scolarità primaria: prestazioni migliori in
questi ambiti si associano a un maggior incremento della velocità di lettura.
L’accuratezza di lettura correla principalmente con:
•competenze metafonologiche, soprattutto abilità di sintesi fonemica (rho=-0.520, p<0.001);
•abilità attentive (rho=0.607, p<0.001);
•abilità visuo-spaziali (rho=-0.464, p<0.001).
La comprensione correla maggiormente con:
•abilità attentive (rho=0.504, p<0.001);
•abilità visuo-spaziali (rho=-0.436, p<0.001);
•abilità di accesso al lessico (rho=0.477, p<0.001).
Le correlazioni con la velocità e l’accuratezza di lettura sono significative ad ogni rilevazione, ma tendono a diminuire
con l’aumentare della scolarizzazione.
Conclusioni: In presenza di un bambino che al termine della prima classe della scuola primaria manifesta un ritardo di
acquisizione della lettura in termini di rapidità e/o accuratezza andrà posta particolare attenzione, soprattutto se si
associano difficoltà attentive, visuospaziali, linguistiche ed emotivo-relazionali. Tali caratteristiche, infatti, aumentano
significativamente la probabilità che il bambino abbia un disturbo specifico dell’apprendimento e non un semplice ritardo
d’acquisizione.
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C41
C41
PROGETTO DI FORMAZIONE ALLE AUTONOMIE E COMPETENZE SOCIALI PER
ADOLESCENTI CON DISABILITÀ
PROGETTO DI FORMAZIONE ALLE AUTONOMIE E COMPETENZE SOCIALI PER
ADOLESCENTI CON DISABILITÀ
Vannucci C., Melani A., Panizzon M., Rovaretti M., Orlando P., Pacini M., Tiscia C., Tosi
S., Braccini A.
Centro di Riabilitazine AIAS, Pistoia
Vannucci C., Melani A., Panizzon M., Rovaretti M., Orlando P., Pacini M., Tiscia C., Tosi
S., Braccini A.
Centro di Riabilitazine AIAS, Pistoia
Background: Il progetto è stato pensato per soggetti in età adolescenziale che frequentano le scuole medie e superiori.
L'adolescenza è una fase critica della vita in cui il ragazzo diversamente abile dopo un lungo percorso riabilitativo
specifico per l’età evolutiva (terapie per il linguaggio, potenziamento neuro-psicomotorio e cognitivo) necessita di
lavorare sullo sviluppo o mantenimento di autonomie per la gestione della vita quotidiana e delle competenze sociali,
attraverso un tipo di intervento che tenga in considerazione aspetti peculiari della fase adolescenziale.
Il progetto è rivolto ad un totale di 18 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 21 anni suddivisi in tre gruppi omogenei per
caratteristiche cliniche e funzionali. Le patologie coinvolte sono rappresentate da: 5 sogg. con ritardo cognitivo non
sindromico, 8 sogg. con Ritardo cognitivo sindromico; 1 sogg.con PCI, 1 sogg. con miotonia: 3DGS. L'attività si svolge
in 2 pomeriggi alla settimana per un totale di 4 ore. Gli operatori coinvolti sono: un NPI, psicologo, e 4 educatori.
Gli obiettivi sono stati diversificati in base al profilo funzionale dei soggetti: nel gruppo 1 sono stati inseriti soggetti con
maggior compromissione a livello cognitivo e delle abilità sociali, nel 3 soggetti con miglior prestazioni a livello
cognitivo, di autonomia personale e di orientamento sul territorio; nel 2 soggetti con caratteristiche intermedie.Gruppo
1:Acquisizione e accettazione delle semplici regole di convivenza;Contenimento dell’egocentrismo di ciascuno favorendo
la consapevolezza dell’esistenza dell’altro (primi passi verso la formazione di un gruppo);Sviluppo dei prerequisiti per le
relazioni sociali; Rafforzamento autonomie personali e domestiche; Incremento dell’autonomia negli spostamenti
all’interno della struttura e degli spazi conosciuti;Acquisizione dei prerequisiti necessari per muovere i primi passi verso
le autonomie esterne.Gruppo 2: Conoscenza e rispetto delle regole sociali; Sviluppo dell’interesse verso gli altri e del
senso di appartenenza al gruppo;Ampliamento del range esperienziale nell’ambito delle autonomie personali, domestiche
ed esterne;Sviluppo della capacità di scelta;Ampliamento della conoscenza e consapevolezza dei propri impulsi sessuali e
della loro gestione. Gruppo 3: Sviluppo della capacità di collaborazione per il raggiungimento di scopi comuni;Sviluppo
delle capacità organizzative del singolo e del gruppo per l’utilizzo delle risorse dell’ambiente; Rafforzamento capacità
decisionali e di scelta; Acquisizione delle capacità necessarie per poter portare a termine l’attività iniziata;Sviluppo di una
sufficiente capacità di gestione dei propri bisogni sessuali.
Modalità di intervento: Verrà dato un grosso peso alla motivazione come stimolo per ogni apprendimento nella
convinzione che ciò possa essere un ottimo motore per un insegnamento che parte e si colloca nel concreto. Il
coinvolgimento attivo nelle scelte e nella gestione delle attività punta ad incentivare l’agire correttamente,rendendo i
ragazzi sempre di più protagonisti delle varie attività.Spesso viene loro presentato un ruolo falsamente attivo in cui è
presente l'idea di dipendenza dall'adulto. Le attività proposte vengono scelte facendo attenzione a che il ruolo dei ragazzi
sia sempre il più centrale possibile anche come rinforzo verso l’acquisizione di ulteriori autonomie. E’ opportuno
mantenere nella conversazione un piano di realtà, aiutandoli a confrontarsi con fatti reali vissuti o vivibili. A questo stile
globale nella modalità d’intervento vanno messe in evidenza alcune differenze per ciascun gruppo, sia di attività proposte
che di intervento degli educatori.
Background: Il progetto è stato pensato per soggetti in età adolescenziale che frequentano le scuole medie e superiori.
L'adolescenza è una fase critica della vita in cui il ragazzo diversamente abile dopo un lungo percorso riabilitativo
specifico per l’età evolutiva (terapie per il linguaggio, potenziamento neuro-psicomotorio e cognitivo) necessita di
lavorare sullo sviluppo o mantenimento di autonomie per la gestione della vita quotidiana e delle competenze sociali,
attraverso un tipo di intervento che tenga in considerazione aspetti peculiari della fase adolescenziale.
Il progetto è rivolto ad un totale di 18 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 21 anni suddivisi in tre gruppi omogenei per
caratteristiche cliniche e funzionali. Le patologie coinvolte sono rappresentate da: 5 sogg. con ritardo cognitivo non
sindromico, 8 sogg. con Ritardo cognitivo sindromico; 1 sogg.con PCI, 1 sogg. con miotonia: 3DGS. L'attività si svolge
in 2 pomeriggi alla settimana per un totale di 4 ore. Gli operatori coinvolti sono: un NPI, psicologo, e 4 educatori.
Gli obiettivi sono stati diversificati in base al profilo funzionale dei soggetti: nel gruppo 1 sono stati inseriti soggetti con
maggior compromissione a livello cognitivo e delle abilità sociali, nel 3 soggetti con miglior prestazioni a livello
cognitivo, di autonomia personale e di orientamento sul territorio; nel 2 soggetti con caratteristiche intermedie.Gruppo
1:Acquisizione e accettazione delle semplici regole di convivenza;Contenimento dell’egocentrismo di ciascuno favorendo
la consapevolezza dell’esistenza dell’altro (primi passi verso la formazione di un gruppo);Sviluppo dei prerequisiti per le
relazioni sociali; Rafforzamento autonomie personali e domestiche; Incremento dell’autonomia negli spostamenti
all’interno della struttura e degli spazi conosciuti;Acquisizione dei prerequisiti necessari per muovere i primi passi verso
le autonomie esterne.Gruppo 2: Conoscenza e rispetto delle regole sociali; Sviluppo dell’interesse verso gli altri e del
senso di appartenenza al gruppo;Ampliamento del range esperienziale nell’ambito delle autonomie personali, domestiche
ed esterne;Sviluppo della capacità di scelta;Ampliamento della conoscenza e consapevolezza dei propri impulsi sessuali e
della loro gestione. Gruppo 3: Sviluppo della capacità di collaborazione per il raggiungimento di scopi comuni;Sviluppo
delle capacità organizzative del singolo e del gruppo per l’utilizzo delle risorse dell’ambiente; Rafforzamento capacità
decisionali e di scelta; Acquisizione delle capacità necessarie per poter portare a termine l’attività iniziata;Sviluppo di una
sufficiente capacità di gestione dei propri bisogni sessuali.
Modalità di intervento: Verrà dato un grosso peso alla motivazione come stimolo per ogni apprendimento nella
convinzione che ciò possa essere un ottimo motore per un insegnamento che parte e si colloca nel concreto. Il
coinvolgimento attivo nelle scelte e nella gestione delle attività punta ad incentivare l’agire correttamente,rendendo i
ragazzi sempre di più protagonisti delle varie attività.Spesso viene loro presentato un ruolo falsamente attivo in cui è
presente l'idea di dipendenza dall'adulto. Le attività proposte vengono scelte facendo attenzione a che il ruolo dei ragazzi
sia sempre il più centrale possibile anche come rinforzo verso l’acquisizione di ulteriori autonomie. E’ opportuno
mantenere nella conversazione un piano di realtà, aiutandoli a confrontarsi con fatti reali vissuti o vivibili. A questo stile
globale nella modalità d’intervento vanno messe in evidenza alcune differenze per ciascun gruppo, sia di attività proposte
che di intervento degli educatori.
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C42
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SINDROME FRONTALE ASSOCIATA A LESIONI CEREBRALI ATIPICHE IN UN
ADOLESCENTE : UNA SFIDA DIAGNOSTICA
SINDROME FRONTALE ASSOCIATA A LESIONI CEREBRALI ATIPICHE IN UN
ADOLESCENTE : UNA SFIDA DIAGNOSTICA
Vianello Dri V. * °, Manara R. ^, Bacci B.°, Battistella P. A.°, Ansermet F.*
*Università di Ginevra, Dip. Psichiatria, SPEA, °Università di Padova, Dip. Pediatria,
^Università di Padova, Dip. Neuroscienze
Vianello Dri V. * °, Manara R. ^, Bacci B.°, Battistella P. A.°, Ansermet F.*
*Università di Ginevra, Dip. Psichiatria, SPEA, °Università di Padova, Dip. Pediatria,
^Università di Padova, Dip. Neuroscienze
Background: La Sindrome Frontale (SF) è raramente descritta in età evolutiva (14 casi, 0-17 aa). La rarità dei casi
segnalati potrebbe però riflettere non tanto l’effettivo tasso di incidenza, (traumi cranici severi nella stessa fascia d’età :
da 219 a 345 /100.000/anno), ma il mancato riconoscimento del quadro sindromico. Infatti le caratteristiche cliniche in
età infantile sono polimorfe e differenti rispetto alle presentazioni tipiche dell’età adulta. Il ricorso alle tecniche di
neuroimaging si rivela dunque imprescindibile e offre un fondamentale contributo euristico.
Scopo dello studio è la descrizione clinica e neuroradiologica approfondita di un caso di SF in adolescenza, associato a
lesioni cerebrali atipiche.
Materiali e Metodi: 1 pz (14aa) con SF insorta in seguito a intervento neurochirurgico per rimozione di una lesione
espansiva localizzata a livello della regione pineale (germinoma misto).
Lo studio comprende :
1.descrizione clinica neurologica e psichiatrica
2. studio neuropsicologico (batteria ad hoc)
3. studio neuroradiologico cerebrale
-RMN morfologica
-RMN con tecnica DWI, anisotropia frazionata
-RMN con tecnica DTI, ricostruzione trattografica.
4. Indagini fMRI complementari.
Risultati e Discussione :Il quadro clinico neuropsichiatrico è dominato da disinibizione verbale e ideativa, instabilità
emotiva, comparsa di tratti fatui e scherzosi associati ad una estrema facilità al pianto incontrollato. Le alterazioni
neuropsicologiche sono caratterizzate da un marcato deficit delle Funzioni esecutive (FE) e deficit mnesici, con capacità
cognitive preservate, caratteristiche tipiche di una SF di Tipo Orbito-Mediale.
L’alterazione delle FE con Q.I. nella norma è il marker fondamentale della SF: tale alterazione è costantemente presente,
nonostante la l’eterogeneità delle presentazioni cliniche.
RMN morfologica : quadro caratterizzato prevalentemente da lesioni a carico di strutture sottocorticali di destra
(n.caudato e n.accumbens) e mediane (talamo mediale bilateralmente, fornice anteriore, corpi genicolati superiori e
contiguo grigio periacqueduttale). Il coinvolgimento della corteccia prefrontale omolaterale risulta in proporzione molto
ridotto.
RMN DWI : perdita dell’anisotropia frazionata corrispondente ad una alterazione della sostanza bianca sottocorticale
nelle regioni anteriori e mediane di destra.
RMN DTI : significativamente meno rappresentati i fasci associativi nelle regioni mediane ed anteriori di destra, rispetto
a quelle di sinistra.
Si tratta di una SF conclamata non giustificata, tuttavia, dalle lesioni minori a carico della corteccia prefrontale. Tali dati
hanno suggerito lo studio del ruolo delle lesioni sottocorticali nella determinazione della SF. La possibilità di completare
l’analisi morfologica delle lesioni cerebrali con RMN in DWI e DTI ha permesso di osservare l’alterazione di fasci
associativi di pertinenza frontale.
Recenti acquisizioni sperimentali nello studio delle componenti sottocorticali connesse ai sistemi frontali hanno
dimostrato diversi circuiti prefronto-basali-talamo-corticali che sostengono le attività precedentemente attribuite in toto
alla corteccia prefrontale.
La dimostrazione di uno specifico network cortico-sottocorticale orbito-mediale che coinvolge la corteccia orbitaria
fronto-mediale, il nucleo caudato ventromediale, il globus pallidus e il talamo (Cummings 2003, Draganski 2008)
permette di attribuire l’eziologia lesionale all’alterazione del network cortico-sottocorticale, nella sua componente
sottocorticale.
Conclusioni: Questo studio oltre a rappresentare la descrizione di uno dei pochi casi documentati di SF in età evolutiva,
ha permesso di arricchire e discutere i patterns lesionali critici nel determinismo della SF sia in età evolutiva che nell’età
adulta. Grazie alle tecniche di indagine neuroradiologica, abbiamo dimostrato come le componenti sottocorticali implicate
nei circuiti neurofunzionali frontali siano determinanti per l’integrità (e per la patologia) di questi sistemi.
Background: La Sindrome Frontale (SF) è raramente descritta in età evolutiva (14 casi, 0-17 aa). La rarità dei casi
segnalati potrebbe però riflettere non tanto l’effettivo tasso di incidenza, (traumi cranici severi nella stessa fascia d’età :
da 219 a 345 /100.000/anno), ma il mancato riconoscimento del quadro sindromico. Infatti le caratteristiche cliniche in
età infantile sono polimorfe e differenti rispetto alle presentazioni tipiche dell’età adulta. Il ricorso alle tecniche di
neuroimaging si rivela dunque imprescindibile e offre un fondamentale contributo euristico.
Scopo dello studio è la descrizione clinica e neuroradiologica approfondita di un caso di SF in adolescenza, associato a
lesioni cerebrali atipiche.
Materiali e Metodi: 1 pz (14aa) con SF insorta in seguito a intervento neurochirurgico per rimozione di una lesione
espansiva localizzata a livello della regione pineale (germinoma misto).
Lo studio comprende :
1.descrizione clinica neurologica e psichiatrica
2. studio neuropsicologico (batteria ad hoc)
3. studio neuroradiologico cerebrale
-RMN morfologica
-RMN con tecnica DWI, anisotropia frazionata
-RMN con tecnica DTI, ricostruzione trattografica.
4. Indagini fMRI complementari.
Risultati e Discussione :Il quadro clinico neuropsichiatrico è dominato da disinibizione verbale e ideativa, instabilità
emotiva, comparsa di tratti fatui e scherzosi associati ad una estrema facilità al pianto incontrollato. Le alterazioni
neuropsicologiche sono caratterizzate da un marcato deficit delle Funzioni esecutive (FE) e deficit mnesici, con capacità
cognitive preservate, caratteristiche tipiche di una SF di Tipo Orbito-Mediale.
L’alterazione delle FE con Q.I. nella norma è il marker fondamentale della SF: tale alterazione è costantemente presente,
nonostante la l’eterogeneità delle presentazioni cliniche.
RMN morfologica : quadro caratterizzato prevalentemente da lesioni a carico di strutture sottocorticali di destra
(n.caudato e n.accumbens) e mediane (talamo mediale bilateralmente, fornice anteriore, corpi genicolati superiori e
contiguo grigio periacqueduttale). Il coinvolgimento della corteccia prefrontale omolaterale risulta in proporzione molto
ridotto.
RMN DWI : perdita dell’anisotropia frazionata corrispondente ad una alterazione della sostanza bianca sottocorticale
nelle regioni anteriori e mediane di destra.
RMN DTI : significativamente meno rappresentati i fasci associativi nelle regioni mediane ed anteriori di destra, rispetto
a quelle di sinistra.
Si tratta di una SF conclamata non giustificata, tuttavia, dalle lesioni minori a carico della corteccia prefrontale. Tali dati
hanno suggerito lo studio del ruolo delle lesioni sottocorticali nella determinazione della SF. La possibilità di completare
l’analisi morfologica delle lesioni cerebrali con RMN in DWI e DTI ha permesso di osservare l’alterazione di fasci
associativi di pertinenza frontale.
Recenti acquisizioni sperimentali nello studio delle componenti sottocorticali connesse ai sistemi frontali hanno
dimostrato diversi circuiti prefronto-basali-talamo-corticali che sostengono le attività precedentemente attribuite in toto
alla corteccia prefrontale.
La dimostrazione di uno specifico network cortico-sottocorticale orbito-mediale che coinvolge la corteccia orbitaria
fronto-mediale, il nucleo caudato ventromediale, il globus pallidus e il talamo (Cummings 2003, Draganski 2008)
permette di attribuire l’eziologia lesionale all’alterazione del network cortico-sottocorticale, nella sua componente
sottocorticale.
Conclusioni: Questo studio oltre a rappresentare la descrizione di uno dei pochi casi documentati di SF in età evolutiva,
ha permesso di arricchire e discutere i patterns lesionali critici nel determinismo della SF sia in età evolutiva che nell’età
adulta. Grazie alle tecniche di indagine neuroradiologica, abbiamo dimostrato come le componenti sottocorticali implicate
nei circuiti neurofunzionali frontali siano determinanti per l’integrità (e per la patologia) di questi sistemi.
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POSTER
POSTER
GIOVEDÌ 12 MAGGIO 12.45 – 14.00
GIOVEDÌ 12 MAGGIO 12.45 – 14.00
VENERDI’ 13 MAGGIO 16.00 – 17.00
VENERDI’ 13 MAGGIO 16.00 – 17.00
NEUROLOGIA
NEUROLOGIA
P1
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NEUROFIBROMATOSI 1: UNA CASISTICA PEDIATRICA E PROPOSTA DI UN
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-ASSISTENZIALE
NEUROFIBROMATOSI 1: UNA CASISTICA PEDIATRICA E PROPOSTA DI UN
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-ASSISTENZIALE
Aldrovandi A., Leonardi S., Cecconi I., Franzoni E.
U.O. Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera Sant'Orsola-Malpighi Bologna
Aldrovandi A., Leonardi S., Cecconi I., Franzoni E.
U.O. Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera Sant'Orsola-Malpighi Bologna
Introduzione: la Neurofibromatosi tipo 1 (NF1) è una sindrome neurocutanea autosomica dominante con fenotipo
estremamente variabile ed età-dipendente, con un’incidenza nella popolazione generale di 1/2500-3000.
Scopo: descrivere la casistica di un centro di riferimento regionale per la diagnosi e il follow-up delle Neurofibromatosi
confrontando i dati epidemiologici e clinici con quelli della letteratura e proporre un protocollo diagnostico-assistenziale
per la NF1.
Pazienti e metodi: 112 pazienti affetti da NF1, di cui 53 maschi e 59 femmine, con età media 10 anni. Per ognuno sono
state analizzate retrospettivamente le caratteristiche anamnestiche, cliniche, neuropsicologiche, le indagini genetiche,
radiologiche, di neuroimaging ed EEGrafiche eseguite al momento della prima osservazione e durante il follow up
secondo il nostro protocollo. Sono stati valutati la frequenza di ciascun segno clinico, il primo comparso, quello che ha
permesso di porre diagnosi di certezza secondo i criteri della National Health Institute Consensus Conference del 1987,
revisionati nel 1997, e l’età alla diagnosi. Abbiamo, inoltre, indagato la correlazione tra i disturbi dell’apprendimento e la
presenza di UBOs alla RM encefalo e la prevalenza, l’evoluzione e la necessità di eventuale trattamento nei gliomi del
nervo ottico.
Risultati: la frequenza dei vari segni clinico-strumentali della malattia è risultata complessivamente sovrapponibile ai dati
presenti in letteratura. Tuttavia la nostra casistica presenta una percentuale minore di disturbi dell’apprendimento (25%) e
una maggiore di gliomi delle vie ottiche (27.7%). Il 93% dei pazienti con disturbi dell’apprendimento presenta anche
UBOs alla RMN cerebrale, in proporzione maggiore rispetto a quella della casistica generale (69.6%). Il primo segno
della patologia sono le macchie caffè latte nel 99% dei casi; i criteri che permettono di porre la diagnosi sono soprattutto
il freckling (61.6%) e la familiarità (26.8%). L’età media alla diagnosi è di 3 anni e 3 mesi.
Discussione: i disturbi dell’apprendimento rappresentano la complicanza più frequente nei pazienti affetti da NF1 e l’aver
riscontrato una minor percentuale di tale problematica nella nostra casistica sottolinea la necessità di elaborare protocolli
neuropsicologici più specifici e mirati per la diagnosi di questi disturbi e l’importanza di eseguire in età scolare
un’accurata valutazione neuropsichiatrica in tutti i bambini affetti. Inoltre, sebbene abbiamo riscontrato un maggior
numero di gliomi delle vie ottiche nei nostri pazienti, solo in un caso è stato necessario l’intervento chirurgico in epoca
precoce ed in nessuno è stata eseguita chemioterapia. Questo dato riconferma la natura “benigna” e il decorso indolente di
tale complicanza in associazione alla NF1 e l’importanza di eseguire controlli oculistici completi e seriati nel tempo, oltre
alla sorveglianza mediante neuroimaging.
Conclusioni: il protocollo assistenziale attuato nella nostra Unità Operativa si è dimostrato valido nel diagnosticare
tempestivamente la patologia, nel rilevarne i segni clinico-strumentali caratteristici, nella individuazione precoce e nella
sorveglianza delle complicanze della malattia.
Introduzione: la Neurofibromatosi tipo 1 (NF1) è una sindrome neurocutanea autosomica dominante con fenotipo
estremamente variabile ed età-dipendente, con un’incidenza nella popolazione generale di 1/2500-3000.
Scopo: descrivere la casistica di un centro di riferimento regionale per la diagnosi e il follow-up delle Neurofibromatosi
confrontando i dati epidemiologici e clinici con quelli della letteratura e proporre un protocollo diagnostico-assistenziale
per la NF1.
Pazienti e metodi: 112 pazienti affetti da NF1, di cui 53 maschi e 59 femmine, con età media 10 anni. Per ognuno sono
state analizzate retrospettivamente le caratteristiche anamnestiche, cliniche, neuropsicologiche, le indagini genetiche,
radiologiche, di neuroimaging ed EEGrafiche eseguite al momento della prima osservazione e durante il follow up
secondo il nostro protocollo. Sono stati valutati la frequenza di ciascun segno clinico, il primo comparso, quello che ha
permesso di porre diagnosi di certezza secondo i criteri della National Health Institute Consensus Conference del 1987,
revisionati nel 1997, e l’età alla diagnosi. Abbiamo, inoltre, indagato la correlazione tra i disturbi dell’apprendimento e la
presenza di UBOs alla RM encefalo e la prevalenza, l’evoluzione e la necessità di eventuale trattamento nei gliomi del
nervo ottico.
Risultati: la frequenza dei vari segni clinico-strumentali della malattia è risultata complessivamente sovrapponibile ai dati
presenti in letteratura. Tuttavia la nostra casistica presenta una percentuale minore di disturbi dell’apprendimento (25%) e
una maggiore di gliomi delle vie ottiche (27.7%). Il 93% dei pazienti con disturbi dell’apprendimento presenta anche
UBOs alla RMN cerebrale, in proporzione maggiore rispetto a quella della casistica generale (69.6%). Il primo segno
della patologia sono le macchie caffè latte nel 99% dei casi; i criteri che permettono di porre la diagnosi sono soprattutto
il freckling (61.6%) e la familiarità (26.8%). L’età media alla diagnosi è di 3 anni e 3 mesi.
Discussione: i disturbi dell’apprendimento rappresentano la complicanza più frequente nei pazienti affetti da NF1 e l’aver
riscontrato una minor percentuale di tale problematica nella nostra casistica sottolinea la necessità di elaborare protocolli
neuropsicologici più specifici e mirati per la diagnosi di questi disturbi e l’importanza di eseguire in età scolare
un’accurata valutazione neuropsichiatrica in tutti i bambini affetti. Inoltre, sebbene abbiamo riscontrato un maggior
numero di gliomi delle vie ottiche nei nostri pazienti, solo in un caso è stato necessario l’intervento chirurgico in epoca
precoce ed in nessuno è stata eseguita chemioterapia. Questo dato riconferma la natura “benigna” e il decorso indolente di
tale complicanza in associazione alla NF1 e l’importanza di eseguire controlli oculistici completi e seriati nel tempo, oltre
alla sorveglianza mediante neuroimaging.
Conclusioni: il protocollo assistenziale attuato nella nostra Unità Operativa si è dimostrato valido nel diagnosticare
tempestivamente la patologia, nel rilevarne i segni clinico-strumentali caratteristici, nella individuazione precoce e nella
sorveglianza delle complicanze della malattia.
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STROKE ISCHEMICO ARTERIOSO: FOLLOW UP NEUROPSICHIATRICO IN UNA
CASISTICA IN ETA’ PEDIATRICA
STROKE ISCHEMICO ARTERIOSO: FOLLOW UP NEUROPSICHIATRICO IN UNA
CASISTICA IN ETA’ PEDIATRICA
Bassi B., Vittorini R., Tornetta L., Marinaccio C., Licari V., Pagana L., Burdino E.,
Martielli M., Viano V., Tocchet A.
S.C.D.U. Neuropsichiatria Infantile-Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’AdolescenzaUniversità degli Studi di Torino- Azienda Ospedaliera OIRM- Sant’Anna
Bassi B., Vittorini R., Tornetta L., Marinaccio C., Licari V., Pagana L., Burdino E.,
Martielli M., Viano V., Tocchet A.
S.C.D.U. Neuropsichiatria Infantile-Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’AdolescenzaUniversità degli Studi di Torino- Azienda Ospedaliera OIRM- Sant’Anna
Background scientifico: lo stroke è una sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di un deficit neurologico riferibile
al territorio di perfusione di un’arteria cerebrale e dall’evidenza neuroradiologica di una lesione ischemica. Incidenza
in’età pediatrica (esclusi i neonati): 2-6 / 100.000 bambini/anno. I fattori di rischio differiscono significativamente da
quelli dell’adulto, sono età dipendenti, spesso multipli o assenti (20-25% stroke criptogenetico). Secondo lo schema
classificatorio di Wraige modificato, fra i fattori di rischio vi sono: malattie cardiache, interventi di cateterismo,
vasculopatie, disordini ematologici, disordini metabolici, malattie infettive e uso di alcuni farmaci. I sintomi all’esordio
sono deficit motori di lato (emiparesi), convulsioni, afasia, deficit sensibilità e alterazione coscienza. L’esito neurologico
è il più frequente, seguito da nessun esito (30%), epilessia, deficit del linguaggio, recidiva e decesso.
Scopo: con il lavoro in oggetto intendiamo descrivere le caratteristiche cliniche d’esordio e gli esiti neurologici e
cognitivi a distanza.
Metodologia e soggetti: sono stati inclusi casi di stroke in età pediatrica (2° mese-18° anno) giunti in follow up presso la
S.C.D.U. di Neuropsichiatria Infantile/OIRM Torino negli anni 2005/2010: la casistica comprende 17 pazienti, 9 maschi e
8 femmine. L’entità dei sintomi all’esordio e alla dimissione è stata quantificata secondo lo schema PSOM (Paediatric
Stroke Outcome Measure) secondo l’International Paediatric Stroke Study. Il follow up prevede un protocollo complesso
con valutazioni neuropsichiatriche seriate (1° m., 3° m., 6°m., annuali, dall’evento): visita neurologica di controllo,
valutazione di sviluppo o cognitiva (Griffiths Developmental Scale, Wechsler Intelligence Scales), valutazioni
neuropsicomotoria, logopedica, comportamentale, accertamenti ematologici, strumentali, visite specialistiche, verifica e
quantificazione certificazioni di handicap.
Risultati: età media all’evento: 5,17 anni ± 4,73 DS, range: 52 giorni- 15 anni. Timing del follow up: 1 mese- 7 anni dall’
evento (media ± DS: 2,0 a ± 2,47). Principale area cerebrale coinvolta: emisfero sinistro 8/17 (47,1%) emisfero destro
5/17 (29,4%), bilaterale 2/17 (11,2%), cerebellare 2/17 (11.2%). L’outcome neurologico dei 17 pazienti è il seguente: 6
(35,3%) paralisi cerebrale tipo emiplegia; 2 (11.2%) emiplegia e disturbo del linguaggio; 1 (5.9%) emiplegia e disturbo
attentivo; 1 (5.9%) tetraplegia con R.M. e epilessia; 1 (5.9%) segni cerebellari e disartria lieve; 1 (5.9%) emiplegia
cerebellare con disturbo emozionale; 1 (5.9%) con epilessia senza altri disturbi associati; 1 (5.9%) nessun esito; 3 (17,5%)
con sviluppo neuromotorio deficitario. Dall’analisi dei risultati relativi all’outcome cognitivo risulta che le prestazioni
medie nel campione si collocano entro la norma in 10/17 casi ( 58,9%) della popolazione; 3/17 (17,6%) presenta ritardo
cognitivo di grado lieve, 1 (5.9 %) ritardo cognitivo di grado moderato; 3 (17,6%) ritardo cognitivo di grado severo,
associato in 1 caso a tetraplegia spastica con epilessia, in 2 a sindrome di Down. Negli 8 casi in età prescolare/scolare
l’analisi del pattern QIV-QIP mette in evidenza un vantaggio consistente e costante in 7 soggetti a favore delle abilità
verbali; solo 1 paziente con disfasia presenta QP>QV.
Discussione: dalla disamina della letteratura e dall’analisi di questo campione emerge l’importanza clinica di proseguire
per tutta l’età dello sviluppo i controlli neurologici e neuropsicologici seriati, considerando epoca, età, sede lesionale
dell’evento acuto. E’ necessaria la valutazione nel tempo della modificazione degli esiti neuropsichiatrici anche ai fini
degli inserimenti scolastici e sociali e della prevenzione di disturbi della sfera emotivo/comportamentale a distanza.
Background scientifico: lo stroke è una sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di un deficit neurologico riferibile
al territorio di perfusione di un’arteria cerebrale e dall’evidenza neuroradiologica di una lesione ischemica. Incidenza
in’età pediatrica (esclusi i neonati): 2-6 / 100.000 bambini/anno. I fattori di rischio differiscono significativamente da
quelli dell’adulto, sono età dipendenti, spesso multipli o assenti (20-25% stroke criptogenetico). Secondo lo schema
classificatorio di Wraige modificato, fra i fattori di rischio vi sono: malattie cardiache, interventi di cateterismo,
vasculopatie, disordini ematologici, disordini metabolici, malattie infettive e uso di alcuni farmaci. I sintomi all’esordio
sono deficit motori di lato (emiparesi), convulsioni, afasia, deficit sensibilità e alterazione coscienza. L’esito neurologico
è il più frequente, seguito da nessun esito (30%), epilessia, deficit del linguaggio, recidiva e decesso.
Scopo: con il lavoro in oggetto intendiamo descrivere le caratteristiche cliniche d’esordio e gli esiti neurologici e
cognitivi a distanza.
Metodologia e soggetti: sono stati inclusi casi di stroke in età pediatrica (2° mese-18° anno) giunti in follow up presso la
S.C.D.U. di Neuropsichiatria Infantile/OIRM Torino negli anni 2005/2010: la casistica comprende 17 pazienti, 9 maschi e
8 femmine. L’entità dei sintomi all’esordio e alla dimissione è stata quantificata secondo lo schema PSOM (Paediatric
Stroke Outcome Measure) secondo l’International Paediatric Stroke Study. Il follow up prevede un protocollo complesso
con valutazioni neuropsichiatriche seriate (1° m., 3° m., 6°m., annuali, dall’evento): visita neurologica di controllo,
valutazione di sviluppo o cognitiva (Griffiths Developmental Scale, Wechsler Intelligence Scales), valutazioni
neuropsicomotoria, logopedica, comportamentale, accertamenti ematologici, strumentali, visite specialistiche, verifica e
quantificazione certificazioni di handicap.
Risultati: età media all’evento: 5,17 anni ± 4,73 DS, range: 52 giorni- 15 anni. Timing del follow up: 1 mese- 7 anni dall’
evento (media ± DS: 2,0 a ± 2,47). Principale area cerebrale coinvolta: emisfero sinistro 8/17 (47,1%) emisfero destro
5/17 (29,4%), bilaterale 2/17 (11,2%), cerebellare 2/17 (11.2%). L’outcome neurologico dei 17 pazienti è il seguente: 6
(35,3%) paralisi cerebrale tipo emiplegia; 2 (11.2%) emiplegia e disturbo del linguaggio; 1 (5.9%) emiplegia e disturbo
attentivo; 1 (5.9%) tetraplegia con R.M. e epilessia; 1 (5.9%) segni cerebellari e disartria lieve; 1 (5.9%) emiplegia
cerebellare con disturbo emozionale; 1 (5.9%) con epilessia senza altri disturbi associati; 1 (5.9%) nessun esito; 3 (17,5%)
con sviluppo neuromotorio deficitario. Dall’analisi dei risultati relativi all’outcome cognitivo risulta che le prestazioni
medie nel campione si collocano entro la norma in 10/17 casi ( 58,9%) della popolazione; 3/17 (17,6%) presenta ritardo
cognitivo di grado lieve, 1 (5.9 %) ritardo cognitivo di grado moderato; 3 (17,6%) ritardo cognitivo di grado severo,
associato in 1 caso a tetraplegia spastica con epilessia, in 2 a sindrome di Down. Negli 8 casi in età prescolare/scolare
l’analisi del pattern QIV-QIP mette in evidenza un vantaggio consistente e costante in 7 soggetti a favore delle abilità
verbali; solo 1 paziente con disfasia presenta QP>QV.
Discussione: dalla disamina della letteratura e dall’analisi di questo campione emerge l’importanza clinica di proseguire
per tutta l’età dello sviluppo i controlli neurologici e neuropsicologici seriati, considerando epoca, età, sede lesionale
dell’evento acuto. E’ necessaria la valutazione nel tempo della modificazione degli esiti neuropsichiatrici anche ai fini
degli inserimenti scolastici e sociali e della prevenzione di disturbi della sfera emotivo/comportamentale a distanza.
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IPERGLICINEMIA NON CHETOTICA: DESCRIZIONE DI 2 CASI A DIFFERENTE
ETA’ DI ESORDIO
IPERGLICINEMIA NON CHETOTICA: DESCRIZIONE DI 2 CASI A DIFFERENTE
ETA’ DI ESORDIO
Boella A., Caronia M. S., Gaudino M. L., Tocchet A., Gandione M., Capizzi G.
Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Azienda
Ospedaliera OIRM-Sant’Anna
Boella A., Caronia M. S., Gaudino M. L., Tocchet A., Gandione M., Capizzi G.
Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Azienda
Ospedaliera OIRM-Sant’Anna
Background scientifico: l’iperglicinemia non chetotica (NKH) è una rara malattia genetica neurometabolica causata da un
difetto nella degradazione della glicina, che provoca un accumulo di glicina in tutti i tessuti, in particolare nel sistema
nervoso centrale, causando una grave encefalopatia; in base alla presentazione clinica si possono distinguere una forma
tipica ad esordio neonatale ed una forma atipica ad esordio infantile.
Scopo: con il lavoro in oggetto intendiamo descrivere due casi di iperglicinemia non chetotica. Ne analizziamo e
confrontiamo le diverse caratteristiche cliniche, il percorso diagnostico e l’impostazione terapeutica.
Metodologia e soggetti: i due casi presi in considerazione sono giunti presso il Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile
dell’Ospedale Infantile Regina Margherita tra il 2007 e il 2010: consistono in una forma di NKH ad esordio neonatale e
una forma ad esordio infantile.
Discussione e conclusioni: la descrizione dei nostri casi è in accordo con la letteratura inerente. Il primo caso (forma
classica) è caratterizzato da esordio neonatale con stato soporoso fino al coma, grave ipotonia, episodi di apnea con
necessità di ventilazione assistita, difficoltà di suzione e crisi miocloniche. Il secondo caso (forma atipica) ha presentato
un ritardo psicomotorio lieve-moderato associato a problemi comportamentali, dopo un normale sviluppo per i primi 6
mesi di vita; il quadro clinico è stato complicato da atassia e coreoatetosi. Le crisi epilettiche sono state facilmente
controllate con opportuna terapia. In accordo con i dati di letteratura, nella forma tipica l’EEG ha mostrato un quadro
iniziale tipo burst-suppression con evoluzione in ipsaritmia ed anomalie multifocali. La diagnosi è stata effettuata tramite
l’analisi del rapporto tra glicina nel liquor e nel plasma (valore normale <0.02), in particolare abbiamo osservato un
rapporto superiore a 0.08 nella forma classica e inferiore nella forma atipica. In base alla letteratura non esistono terapie
risolutive. Il trattamento si è basato su dieta con ridotto apporto di glicina e sodio benzoato in entrambi i casi, associato a
destrometorfano nella forma tipica.
Background scientifico: l’iperglicinemia non chetotica (NKH) è una rara malattia genetica neurometabolica causata da un
difetto nella degradazione della glicina, che provoca un accumulo di glicina in tutti i tessuti, in particolare nel sistema
nervoso centrale, causando una grave encefalopatia; in base alla presentazione clinica si possono distinguere una forma
tipica ad esordio neonatale ed una forma atipica ad esordio infantile.
Scopo: con il lavoro in oggetto intendiamo descrivere due casi di iperglicinemia non chetotica. Ne analizziamo e
confrontiamo le diverse caratteristiche cliniche, il percorso diagnostico e l’impostazione terapeutica.
Metodologia e soggetti: i due casi presi in considerazione sono giunti presso il Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile
dell’Ospedale Infantile Regina Margherita tra il 2007 e il 2010: consistono in una forma di NKH ad esordio neonatale e
una forma ad esordio infantile.
Discussione e conclusioni: la descrizione dei nostri casi è in accordo con la letteratura inerente. Il primo caso (forma
classica) è caratterizzato da esordio neonatale con stato soporoso fino al coma, grave ipotonia, episodi di apnea con
necessità di ventilazione assistita, difficoltà di suzione e crisi miocloniche. Il secondo caso (forma atipica) ha presentato
un ritardo psicomotorio lieve-moderato associato a problemi comportamentali, dopo un normale sviluppo per i primi 6
mesi di vita; il quadro clinico è stato complicato da atassia e coreoatetosi. Le crisi epilettiche sono state facilmente
controllate con opportuna terapia. In accordo con i dati di letteratura, nella forma tipica l’EEG ha mostrato un quadro
iniziale tipo burst-suppression con evoluzione in ipsaritmia ed anomalie multifocali. La diagnosi è stata effettuata tramite
l’analisi del rapporto tra glicina nel liquor e nel plasma (valore normale <0.02), in particolare abbiamo osservato un
rapporto superiore a 0.08 nella forma classica e inferiore nella forma atipica. In base alla letteratura non esistono terapie
risolutive. Il trattamento si è basato su dieta con ridotto apporto di glicina e sodio benzoato in entrambi i casi, associato a
destrometorfano nella forma tipica.
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ENCEFALOPATIA IPOSSICO-ISCHEMICA NEONATALE ED IPOTERMIA: STUDIO
NEUROFISIOLOGICO E NEURORADIOLOGICO
ENCEFALOPATIA IPOSSICO-ISCHEMICA NEONATALE ED IPOTERMIA: STUDIO
NEUROFISIOLOGICO E NEURORADIOLOGICO
Cappellari A.*, Festa I.*, Traverso A.*, De Carlo D.*, De Palma L.*, Cainelli E.*,
Calderone M.**, Manara R.**, Battistella P. A.*, Suppiej A.*
*Dipartimento di Pediatria "Salus Pueri", Università degli Studi di Padova, ** Unità di
Neuroradiologia, Azienda Ospedaliera di Padova
Cappellari A.*, Festa I.*, Traverso A.*, De Carlo D.*, De Palma L.*, Cainelli E.*,
Calderone M.**, Manara R.**, Battistella P. A.*, Suppiej A.*
*Dipartimento di Pediatria "Salus Pueri", Università degli Studi di Padova, ** Unità di
Neuroradiologia, Azienda Ospedaliera di Padova
Premesse: nel neonato l'Encefalopatia Ipossico Ischemica (EII) è l'espressione del danno cerebrale che consegue
all'asfissia pre-intra-post partum, ha un'incidenza di 3-4 casi per 1000 nati vivi a termine ed è un evento acuto con
drammatici esiti neurologici. Nel neonato a termine affetto da EII di grado moderato-severo l'applicazione dell'ipotermia
terapeutica comporta una riduzione di mortalità o disabilità maggiore a 18 mesi di vita.
Scopi: valutare il ruolo di una valutazione neurofisiologica e neuroradiologica integrata nel neonato affetto da EII
sottoposto a trattamento ipotermico.
Materiali e metodi: sono stati studiati 18 neonati con diagnosi di asfissia perinatale trattati con ipotermia secondo il
protocollo utilizzato presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell'Azienda Ospedaliera-Universitaria di Padova. Il
protocollo prevedeva: età gestazionale > 36 settimane, inizio del trattamento ipotermico entro le 6 ore di vita, presenza di
almeno uno dei seguenti indicatori di asfissia: Apgar Score < 5 a 10', necessità di proseguire la rianimazione oltre 10', pH
arterioso o venoso entro la prima ora di vita < 7,00, EB > 16 mmol/L, un quadro neurologico di EII moderata o severa
(Sarnat Score 2 o 3). I criteri di esclusione sono stati: età gestazionale < 36 settimane, trattamento iniziabile dopo le 6 ore
di vita, malformazioni maggiori e malattie metaboliche. E' stato richiesto il consenso informato da parte dei genitori.
Il protocollo prevedeva inoltre che i pazienti venissero sottoposti a registrazione CFM (Cerebral Function Monitoring)
dall'inizio e per l'intera durata del trattamento ipotermico, EEG tradizionale appena possibile e ripetuto durante il
trattamento, al termine del riscaldamento e alla fine della prima settimana di vita; Potenziali Evocati Somatosensoriali
(PES) entro 2 settimane di vita, ripetuti se patologici a 1 mese di età ; RMN cerebrale a 4-7 giorni dall'insulto ipossico;
reclutamento per follow up neuro-evolutivo da protrarsi fino all'età scolare. I dati clinici neonatali (sesso, ph, eccesso
basi, indice di Apgar al 5° e 10° minuto, Sarnat Score, presenza di crisi), i punteggi delle valutazioni neurofisiologiche
(1°EEG, CFM durante ipotermia, CFM e/o EEG in normotermia, EEG dopo una settimana di vita, PES) e lo score
neuroradiologico sono stati correlati con l'outcome.
Risultati Il monitoraggio integrato EEG-CFM ha documentato pattern critici in 8/9 pazienti, consentendo il trattamento
tempestivo. 12/18 sono stati sottoposti a PES e 16/18 sono stati sottoposti a RMN cerebrale di cui 9 entro la prima
settimana di vita. Tutti i neonati (tranne un drop out) sono stati seguiti con follow up di durata media 10,3 mesi (DS +/6,5 con range 3 -21 mesi); 4 pazienti sono deceduti entro la prima settimana di vita, 4 hanno sviluppato un quadro
neuromotorio di paralisi cerebrale infantile con follow-up medio di 9,5 mesi (range 3 -15 mesi).
Dall'analisi statistica si è osservato che i seguenti parametri correlano con l'outcome neurologico: Apgar al 5°
(χ2=967;2=3,87, p=0,04), Apgar al 10° (χ2=967;2=4,74, p=0,02), Sarnat Score (χ2=967;2=10,81, p=0,001), prima
registrazione EEG (χ2=967;2=7,19, p=0,02), EEG eseguito dopo la prima settimana di vita (χ2=967;2=8,17, p=0,04) e
RMN cerebrale (χ2=967;2=10,8 p=0.012).
Conclusioni: le metodiche neurofisiologiche sono in grado di monitorare l'attività dell' encefalo in corso di trattamento
ipotermico, documentando in vivo lo stato neuro-funzionale cerebrale del neonato, risultando, quindi, complementari allo
studio con RMN . Il monitoraggio integrato EEG-CFM si è rilevato utile nella gestione delle crisi epilettiche, mentre sono
necessari maggiori dati per valutare il ruolo prognostico dei potenziali evocati. I risultati di questo protocollo terapeutico
richiedono, inoltre, una conferma dopo un follow up a 18 mesi per tutti i pazienti reclutati.
Premesse: nel neonato l'Encefalopatia Ipossico Ischemica (EII) è l'espressione del danno cerebrale che consegue
all'asfissia pre-intra-post partum, ha un'incidenza di 3-4 casi per 1000 nati vivi a termine ed è un evento acuto con
drammatici esiti neurologici. Nel neonato a termine affetto da EII di grado moderato-severo l'applicazione dell'ipotermia
terapeutica comporta una riduzione di mortalità o disabilità maggiore a 18 mesi di vita.
Scopi: valutare il ruolo di una valutazione neurofisiologica e neuroradiologica integrata nel neonato affetto da EII
sottoposto a trattamento ipotermico.
Materiali e metodi: sono stati studiati 18 neonati con diagnosi di asfissia perinatale trattati con ipotermia secondo il
protocollo utilizzato presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell'Azienda Ospedaliera-Universitaria di Padova. Il
protocollo prevedeva: età gestazionale > 36 settimane, inizio del trattamento ipotermico entro le 6 ore di vita, presenza di
almeno uno dei seguenti indicatori di asfissia: Apgar Score < 5 a 10', necessità di proseguire la rianimazione oltre 10', pH
arterioso o venoso entro la prima ora di vita < 7,00, EB > 16 mmol/L, un quadro neurologico di EII moderata o severa
(Sarnat Score 2 o 3). I criteri di esclusione sono stati: età gestazionale < 36 settimane, trattamento iniziabile dopo le 6 ore
di vita, malformazioni maggiori e malattie metaboliche. E' stato richiesto il consenso informato da parte dei genitori.
Il protocollo prevedeva inoltre che i pazienti venissero sottoposti a registrazione CFM (Cerebral Function Monitoring)
dall'inizio e per l'intera durata del trattamento ipotermico, EEG tradizionale appena possibile e ripetuto durante il
trattamento, al termine del riscaldamento e alla fine della prima settimana di vita; Potenziali Evocati Somatosensoriali
(PES) entro 2 settimane di vita, ripetuti se patologici a 1 mese di età ; RMN cerebrale a 4-7 giorni dall'insulto ipossico;
reclutamento per follow up neuro-evolutivo da protrarsi fino all'età scolare. I dati clinici neonatali (sesso, ph, eccesso
basi, indice di Apgar al 5° e 10° minuto, Sarnat Score, presenza di crisi), i punteggi delle valutazioni neurofisiologiche
(1°EEG, CFM durante ipotermia, CFM e/o EEG in normotermia, EEG dopo una settimana di vita, PES) e lo score
neuroradiologico sono stati correlati con l'outcome.
Risultati Il monitoraggio integrato EEG-CFM ha documentato pattern critici in 8/9 pazienti, consentendo il trattamento
tempestivo. 12/18 sono stati sottoposti a PES e 16/18 sono stati sottoposti a RMN cerebrale di cui 9 entro la prima
settimana di vita. Tutti i neonati (tranne un drop out) sono stati seguiti con follow up di durata media 10,3 mesi (DS +/6,5 con range 3 -21 mesi); 4 pazienti sono deceduti entro la prima settimana di vita, 4 hanno sviluppato un quadro
neuromotorio di paralisi cerebrale infantile con follow-up medio di 9,5 mesi (range 3 -15 mesi).
Dall'analisi statistica si è osservato che i seguenti parametri correlano con l'outcome neurologico: Apgar al 5°
(χ2=967;2=3,87, p=0,04), Apgar al 10° (χ2=967;2=4,74, p=0,02), Sarnat Score (χ2=967;2=10,81, p=0,001), prima
registrazione EEG (χ2=967;2=7,19, p=0,02), EEG eseguito dopo la prima settimana di vita (χ2=967;2=8,17, p=0,04) e
RMN cerebrale (χ2=967;2=10,8 p=0.012).
Conclusioni: le metodiche neurofisiologiche sono in grado di monitorare l'attività dell' encefalo in corso di trattamento
ipotermico, documentando in vivo lo stato neuro-funzionale cerebrale del neonato, risultando, quindi, complementari allo
studio con RMN . Il monitoraggio integrato EEG-CFM si è rilevato utile nella gestione delle crisi epilettiche, mentre sono
necessari maggiori dati per valutare il ruolo prognostico dei potenziali evocati. I risultati di questo protocollo terapeutico
richiedono, inoltre, una conferma dopo un follow up a 18 mesi per tutti i pazienti reclutati.
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P5
FOLLOW-UP
SPETTROSCOPICO
DI
SUPPLEMENTAZIONE CON ARGININA
5
PAZIENTI
CT1
DURANTE
P5
FOLLOW-UP
SPETTROSCOPICO
DI
SUPPLEMENTAZIONE CON ARGININA
5
PAZIENTI
CT1
DURANTE
Casarano M.1, Battini R.1, Tosetti M.1, Leuzzi V.2, Cioni G.1, and Italian Study Group of
Metabolism and Transport of Creatine (GISMet-creatina)
1-IRCCS Stella Maris (Calambrone-Pisa); Università di Pisa, 2-Università La Sapienza-Roma
Casarano M.1, Battini R.1, Tosetti M.1, Leuzzi V.2, Cioni G.1, and Italian Study Group of
Metabolism and Transport of Creatine (GISMet-creatina)
1-IRCCS Stella Maris (Calambrone-Pisa); Università di Pisa, 2-Università La Sapienza-Roma
Background: i deficit di creatina (Cr) costituiscono un gruppo di errori congeniti del metabolismo di recente
individuazione. Sia per il Deficit di AGAT che per il Deficit di GAMT sono stati messi a punto protocolli terapeutici
dimostratisi efficaci non solo nella riduzione della sintomatologia clinica, ma anche nella prevenzione della comparsa del
corteo sintomatologico. Per il Deficit del Trasportatore (CT1) non esiste invece ancora un parere concorde sulla tipologia
di trattamento. Nella nostra esperienza la supplementazione con arginina, precursore della creatina, appare un potenziale
trattamento per la cura di questa patologia (Chilosi et al 2008).
Scopo: obiettivo del nostro studio è quello di valutare la risposta al trattamento con arginina per os alla dose di
300mg/Kg/die in 5 pazienti Italiani seguiti attraverso seriati controlli in spettroscopia.
Metodologia e soggetti: i pazienti hanno intrapreso il trattamento con arginina rispettivamente all’età di 5.5, 6.5, 8.6, 8.6,
17 anni e sono stati periodicamente sottoposti a 1H-MRS e 31P-MRS.
Risultati: durante il trattamento con arginina per os abbiamo riscontrato un aumento dei livelli di Cr e di PCr cerebrale,
sebbene questi valori restino ancora al di sotto dei valori normali. L’analisi dei risultati ottenuti in spettroscopia ha
permesso, inoltre, di individuare un trend caratterizzato da un iniziale aumento dei valori di tCr e PCr seguito da una fase
di plateau a distanza di un tempo variabile dall’inizio del trattamento.
Background: i deficit di creatina (Cr) costituiscono un gruppo di errori congeniti del metabolismo di recente
individuazione. Sia per il Deficit di AGAT che per il Deficit di GAMT sono stati messi a punto protocolli terapeutici
dimostratisi efficaci non solo nella riduzione della sintomatologia clinica, ma anche nella prevenzione della comparsa del
corteo sintomatologico. Per il Deficit del Trasportatore (CT1) non esiste invece ancora un parere concorde sulla tipologia
di trattamento. Nella nostra esperienza la supplementazione con arginina, precursore della creatina, appare un potenziale
trattamento per la cura di questa patologia (Chilosi et al 2008).
Scopo: obiettivo del nostro studio è quello di valutare la risposta al trattamento con arginina per os alla dose di
300mg/Kg/die in 5 pazienti Italiani seguiti attraverso seriati controlli in spettroscopia.
Metodologia e soggetti: i pazienti hanno intrapreso il trattamento con arginina rispettivamente all’età di 5.5, 6.5, 8.6, 8.6,
17 anni e sono stati periodicamente sottoposti a 1H-MRS e 31P-MRS.
Risultati: durante il trattamento con arginina per os abbiamo riscontrato un aumento dei livelli di Cr e di PCr cerebrale,
sebbene questi valori restino ancora al di sotto dei valori normali. L’analisi dei risultati ottenuti in spettroscopia ha
permesso, inoltre, di individuare un trend caratterizzato da un iniziale aumento dei valori di tCr e PCr seguito da una fase
di plateau a distanza di un tempo variabile dall’inizio del trattamento.
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RICERCA DI MUTAZIONI NEL GENE RYR1 IN PAZIENTI ITALIANI CON
MIOPATIA CONGENITA
RICERCA DI MUTAZIONI NEL GENE RYR1 IN PAZIENTI ITALIANI CON
MIOPATIA CONGENITA
Cassandrini D.1, Trovato R.1, Pane M. 2, D’Amico A.3, Comi G.4, Battini R.1, Fiorillo C.1,
Santorelli F. M.1, Minetti C.5, Bruno C.5 and the Italian Network for Congenital
Myopathies
1
IRCCS Stella Maris, Pisa, 2Neuropsichiatria Infantile, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma, 3IRCCS Bambin Gesù, Roma, 4Policlinico Maggiore, Milano, 5IRCCS G. Gaslini, Genova
Cassandrini D.1, Trovato R.1, Pane M. 2, D’Amico A.3, Comi G.4, Battini R.1, Fiorillo C.1,
Santorelli F. M.1, Minetti C.5, Bruno C.5 and the Italian Network for Congenital
Myopathies
1
IRCCS Stella Maris, Pisa, 2Neuropsichiatria Infantile, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma, 3IRCCS Bambin Gesù, Roma, 4Policlinico Maggiore, Milano, 5IRCCS G. Gaslini, Genova
Il gene RYR1, sul cromosoma 19q13.1, è costituito da 106 esoni e codifica per l’isoforma scheletrica del recettore della
rianodina muscolare la cui funzione è fondamentale per l'accoppiamento eccitazione-contrazione e l’omeostasi del calcio
nel muscolo scheletrico.
Mutazioni in RYR1 sono state associate all'ipertermia maligna (MH), alla miopatia centro nucleare (CCD) e alla miopatia
multiminicore (MMC).
La CCD è caratterizzata dalla presenza di aree centrali (“central cores”) con disorganizzazione della struttura miofibrillare
e assenza di mitocondri, in particolare nelle fibre muscolari di tipo I.
L'ereditarietà è di solito autosomica dominante, anche se ci sono alcuni casi di trasmissione autosomica recessiva. Dal
punto di vista clinico, con l’eccezione delle forme ad esordio molto precoce, l’evoluzione è abbastanza benigna. La forma
classica è caratterizzata da ritardo nell’inizio della deambulazione, ipotonia e debolezza dei muscoli prossimali. La
funzione respiratoria è solitamente ben conservata. La forma neonatale può avere un quadro clinico più severo, con
insufficienza respiratoria precoce. Alcuni pazienti, infine, presentano solo una suscettibilità all’MH e un aumento dei
livelli di CK sierici.
La MMC è caratterizzata da molteplici piccole aree con disorganizzazione della struttura miofibrillare e assenza di
mitocondri. L'ereditarietà è autosomica recessiva. Questa forma si presenta clinicamente con ritardo motorio, lassità
legamentosa, scoliosi e debolezza muscolare prossimale.
Per ottenere una caratterizzazione molecolare più completa delle CCD e MMC, abbiamo analizzato il gene RYR1
mediante sequenziamento diretto, tecniche DHPLC e MLPA, in 15 pazienti italiani con diagnosi clinica ed istologica di
miopatia congenita. Sono state identificate 13 varianti non descritte in precedenza. Tutte le mutazioni identificate
rispettano i criteri di patogenicità.
Il nostro studio espande lo spettro di mutazioni del gene RYR1 e rileva l'importanza di un'analisi completa del gene nella
popolazione italiana.
Il gene RYR1, sul cromosoma 19q13.1, è costituito da 106 esoni e codifica per l’isoforma scheletrica del recettore della
rianodina muscolare la cui funzione è fondamentale per l'accoppiamento eccitazione-contrazione e l’omeostasi del calcio
nel muscolo scheletrico.
Mutazioni in RYR1 sono state associate all'ipertermia maligna (MH), alla miopatia centro nucleare (CCD) e alla miopatia
multiminicore (MMC).
La CCD è caratterizzata dalla presenza di aree centrali (“central cores”) con disorganizzazione della struttura miofibrillare
e assenza di mitocondri, in particolare nelle fibre muscolari di tipo I.
L'ereditarietà è di solito autosomica dominante, anche se ci sono alcuni casi di trasmissione autosomica recessiva. Dal
punto di vista clinico, con l’eccezione delle forme ad esordio molto precoce, l’evoluzione è abbastanza benigna. La forma
classica è caratterizzata da ritardo nell’inizio della deambulazione, ipotonia e debolezza dei muscoli prossimali. La
funzione respiratoria è solitamente ben conservata. La forma neonatale può avere un quadro clinico più severo, con
insufficienza respiratoria precoce. Alcuni pazienti, infine, presentano solo una suscettibilità all’MH e un aumento dei
livelli di CK sierici.
La MMC è caratterizzata da molteplici piccole aree con disorganizzazione della struttura miofibrillare e assenza di
mitocondri. L'ereditarietà è autosomica recessiva. Questa forma si presenta clinicamente con ritardo motorio, lassità
legamentosa, scoliosi e debolezza muscolare prossimale.
Per ottenere una caratterizzazione molecolare più completa delle CCD e MMC, abbiamo analizzato il gene RYR1
mediante sequenziamento diretto, tecniche DHPLC e MLPA, in 15 pazienti italiani con diagnosi clinica ed istologica di
miopatia congenita. Sono state identificate 13 varianti non descritte in precedenza. Tutte le mutazioni identificate
rispettano i criteri di patogenicità.
Il nostro studio espande lo spettro di mutazioni del gene RYR1 e rileva l'importanza di un'analisi completa del gene nella
popolazione italiana.
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L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO SCRITTO IN BAMBINI CON DANNO
CEREBRALE FOCALE UNILATERALE CONGENITO
L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO SCRITTO IN BAMBINI CON DANNO
CEREBRALE FOCALE UNILATERALE CONGENITO
Chilosi A., Lenzi S., Cristofani P., Brovedani P., Pecini C., Cioni G.
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa
Chilosi A., Lenzi S., Cristofani P., Brovedani P., Pecini C., Cioni G.
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa
Background scientifico: e’ stato ampiamente dimostrato che, nel caso di lesioni cerebrali focali unilaterali congenite,
grazie ai meccanismi di plasticità cerebrale, le conseguenze sullo sviluppo cognitivo e linguistico precoce appaiono molto
più lievi rispetto a quanto avviene nel caso di lesioni acquisite in età successive. Tuttavia, sono ancora scarsi in letteratura
i dati relativi all’apprendimento della lingua scritta in questa popolazione di soggetti.
Scopo: gli obiettivi che lo studio si è proposto sono stati pertanto i seguenti: individuare la prevalenza delle difficoltà di
apprendimento del linguaggio scritto in bambini con lesione cerebrale focale congenita; rilevare le eventuali differenze tra
i soggetti con lesione cerebrale sinistra (LS) e quelli con lesione cerebrale destra (LD); studiare, infine, la relazione tra le
difficoltà di apprendimento del linguaggio scritto ed alcuni fattori, sia legati al tipo di lesione (il tipo, il timing, la sede e
l’estensione della lesione), sia alla presenza di epilessia o di anomalie elettroencefalografiche.
Metodi e soggetti: il campione preso in esame è costituito da 28 soggetti (età media al momento della valutazione
dell’apprendimento del linguaggio scritto 9,27 anni; range 7-13 anni) con danno focale unilaterale congenito (16 LS e 12
LD), selezionati sulla base dei seguenti criteri di inclusione: disponibilità di RM encefalo e di dati relativi alla valutazione
cognitiva e alla valutazione dell’apprendimento del linguaggio scritto, assenza di un deficit cognitivo (QIV o QIP > 70),
di epilessia farmaco-resistente, di deficit sensoriali e disturbi psichiatrici.
Risultati e discussione: il campione dei soggetti analizzati presenta un rischio di sviluppare problemi di apprendimento
superiore rispetto alla popolazione normale: il 50% dei soggetti, infatti, ha mostrato una difficoltà nell’apprendimento del
linguaggio scritto. Nonostante LS e LD siano risultati omogenei per quanto riguarda il profilo cognitivo e l’età della
valutazione dell’apprendimento, si sono riscontrate prestazioni significativamente inferiori nei LD rispetto ai LS. Dal
nostro lavoro, è emerso, inoltre, che la presenza di epilessia rappresenta il fattore principale in grado di influenzare
l’acquisizione di capacità linguistiche complesse, soprattutto nell’ambito della comprensione del testo scritto.
Background scientifico: e’ stato ampiamente dimostrato che, nel caso di lesioni cerebrali focali unilaterali congenite,
grazie ai meccanismi di plasticità cerebrale, le conseguenze sullo sviluppo cognitivo e linguistico precoce appaiono molto
più lievi rispetto a quanto avviene nel caso di lesioni acquisite in età successive. Tuttavia, sono ancora scarsi in letteratura
i dati relativi all’apprendimento della lingua scritta in questa popolazione di soggetti.
Scopo: gli obiettivi che lo studio si è proposto sono stati pertanto i seguenti: individuare la prevalenza delle difficoltà di
apprendimento del linguaggio scritto in bambini con lesione cerebrale focale congenita; rilevare le eventuali differenze tra
i soggetti con lesione cerebrale sinistra (LS) e quelli con lesione cerebrale destra (LD); studiare, infine, la relazione tra le
difficoltà di apprendimento del linguaggio scritto ed alcuni fattori, sia legati al tipo di lesione (il tipo, il timing, la sede e
l’estensione della lesione), sia alla presenza di epilessia o di anomalie elettroencefalografiche.
Metodi e soggetti: il campione preso in esame è costituito da 28 soggetti (età media al momento della valutazione
dell’apprendimento del linguaggio scritto 9,27 anni; range 7-13 anni) con danno focale unilaterale congenito (16 LS e 12
LD), selezionati sulla base dei seguenti criteri di inclusione: disponibilità di RM encefalo e di dati relativi alla valutazione
cognitiva e alla valutazione dell’apprendimento del linguaggio scritto, assenza di un deficit cognitivo (QIV o QIP > 70),
di epilessia farmaco-resistente, di deficit sensoriali e disturbi psichiatrici.
Risultati e discussione: il campione dei soggetti analizzati presenta un rischio di sviluppare problemi di apprendimento
superiore rispetto alla popolazione normale: il 50% dei soggetti, infatti, ha mostrato una difficoltà nell’apprendimento del
linguaggio scritto. Nonostante LS e LD siano risultati omogenei per quanto riguarda il profilo cognitivo e l’età della
valutazione dell’apprendimento, si sono riscontrate prestazioni significativamente inferiori nei LD rispetto ai LS. Dal
nostro lavoro, è emerso, inoltre, che la presenza di epilessia rappresenta il fattore principale in grado di influenzare
l’acquisizione di capacità linguistiche complesse, soprattutto nell’ambito della comprensione del testo scritto.
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DOLORABILITÀ ALLA PRESSIONE SU ARTERIE DELLO SCALPO IN BAMBINI E
ADOLESCENTI AFFETTI DA EMICRANIA
DOLORABILITÀ ALLA PRESSIONE SU ARTERIE DELLO SCALPO IN BAMBINI E
ADOLESCENTI AFFETTI DA EMICRANIA
Cianchetti C., Serci M. C., Madeddu F., Cossu S., Ledda M.G.
Clinica di Neuropsichiatria Inf., Azienda Ospedaliera-Universitaria di Cagliari
Cianchetti C., Serci M. C., Madeddu F., Cossu S., Ledda M.G.
Clinica di Neuropsichiatria Inf., Azienda Ospedaliera-Universitaria di Cagliari
In nostri precedenti studi abbiamo segnalato il ruolo delle strutture neurovascolari dello scalpo in una buona percentuale
di pazienti con emicrania (Cianchetti et al. J Neurol 2009;256:1109-1113). Questi dati sono stati corroborati da ulteriori
nostri studi in cui abbiamo segnalato la presenza di arterie dello scalpo dolenti alla pressione in un significativo numero di
adulti con emicrania (Cianchetti et al. J Neurol 2010;257:1642-1648). Con questo studio ci siamo proposti di verificare se
anche in bambini e adolescenti poteva essere riscontrata presenza di punti dolorosi a carico di arterie dello scalpo.
Materiali e metodi: sono stati indagati 130 bambini (6-12 anni; n=64) ed adolescenti (13-18 anni; n=66) affetti da
emicrania, di cui 89 femmine (F) e 41 maschi (M), di età compresa tra i 6 e i 18 anni. Di questi, 109 (73 F) erano affetti
da emicrania senz’aura e 21 (16 F) con aura. Sono stati esaminati in presenza di dolore da emicrania 54 pazienti e in
periodo interictale 76 pazienti. Sono state esaminate, bilateralmente, le seguenti arterie: temporale superficiale, suo ramo
frontale, zigomatico-orbitale, occipitale e auricolare posteriore. La pressione sulle arterie avveniva con 1-3 dita, dopo aver
valutato con accuratezza di essere sopra l’arteria tramite la percezione della sua pulsazione.
Risultati: in fase interictale, cioè in assenza di dolore emicranico, 54 su 76 (71,0%) pazienti presentavano almeno un
punto arterioso dolente, di questi, 23/37(62,2%) erano sotto i 13 anni e 31/39 (79,5%) erano adolescenti, senza una
differenza significativa tra i due gruppi. Tra i 35 controlli, 8 presentavano punti dolorosi, con una differenza significativa
(p<.001). Durante una crisi emicranica, presentavano almeno un punto doloroso 43 pazienti su 54 (79.6%), di cui 21/27
(77,8%) bambini e 22/27 (81,5%) adolescenti. Il numero medio di punti dolorosi fuori accesso era di 3,9; durante
l’accesso 4,4. Le arterie più frequentemente dolenti erano le occipitali e le temporali superficiali con i loro rami frontali.
Discussione: questo studio evidenzia che anche in emicranici in età evolutiva sono presenti punti dolorosi arteriosi in
buona percentuale di soggetti, sia durante e fuori accesso emicranico. Questo suggerisce la presenza di fibre periarteriose
algogene ipersensibili e indica che le strutture neurovascolari dello scalpo hanno un ruolo in una buona percentuale di
emicranici. Questo apre nuove prospettive anche per bambini e adolescenti per una terapia con farmaci attivi per via
percutanea, come già verificato con l’uso di capsaicina (Cianchetti, Int J Clin Pract 2010;64:457-459).
In nostri precedenti studi abbiamo segnalato il ruolo delle strutture neurovascolari dello scalpo in una buona percentuale
di pazienti con emicrania (Cianchetti et al. J Neurol 2009;256:1109-1113). Questi dati sono stati corroborati da ulteriori
nostri studi in cui abbiamo segnalato la presenza di arterie dello scalpo dolenti alla pressione in un significativo numero di
adulti con emicrania (Cianchetti et al. J Neurol 2010;257:1642-1648). Con questo studio ci siamo proposti di verificare se
anche in bambini e adolescenti poteva essere riscontrata presenza di punti dolorosi a carico di arterie dello scalpo.
Materiali e metodi: sono stati indagati 130 bambini (6-12 anni; n=64) ed adolescenti (13-18 anni; n=66) affetti da
emicrania, di cui 89 femmine (F) e 41 maschi (M), di età compresa tra i 6 e i 18 anni. Di questi, 109 (73 F) erano affetti
da emicrania senz’aura e 21 (16 F) con aura. Sono stati esaminati in presenza di dolore da emicrania 54 pazienti e in
periodo interictale 76 pazienti. Sono state esaminate, bilateralmente, le seguenti arterie: temporale superficiale, suo ramo
frontale, zigomatico-orbitale, occipitale e auricolare posteriore. La pressione sulle arterie avveniva con 1-3 dita, dopo aver
valutato con accuratezza di essere sopra l’arteria tramite la percezione della sua pulsazione.
Risultati: in fase interictale, cioè in assenza di dolore emicranico, 54 su 76 (71,0%) pazienti presentavano almeno un
punto arterioso dolente, di questi, 23/37(62,2%) erano sotto i 13 anni e 31/39 (79,5%) erano adolescenti, senza una
differenza significativa tra i due gruppi. Tra i 35 controlli, 8 presentavano punti dolorosi, con una differenza significativa
(p<.001). Durante una crisi emicranica, presentavano almeno un punto doloroso 43 pazienti su 54 (79.6%), di cui 21/27
(77,8%) bambini e 22/27 (81,5%) adolescenti. Il numero medio di punti dolorosi fuori accesso era di 3,9; durante
l’accesso 4,4. Le arterie più frequentemente dolenti erano le occipitali e le temporali superficiali con i loro rami frontali.
Discussione: questo studio evidenzia che anche in emicranici in età evolutiva sono presenti punti dolorosi arteriosi in
buona percentuale di soggetti, sia durante e fuori accesso emicranico. Questo suggerisce la presenza di fibre periarteriose
algogene ipersensibili e indica che le strutture neurovascolari dello scalpo hanno un ruolo in una buona percentuale di
emicranici. Questo apre nuove prospettive anche per bambini e adolescenti per una terapia con farmaci attivi per via
percutanea, come già verificato con l’uso di capsaicina (Cianchetti, Int J Clin Pract 2010;64:457-459).
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SINDROME DA DEFICIT DELL’ATTENZIONE SECONDARIO A LESIONE CISTICA
DEI NUCLEI DELLA BASE
SINDROME DA DEFICIT DELL’ATTENZIONE SECONDARIO A LESIONE CISTICA
DEI NUCLEI DELLA BASE
Cirulli L., Mazzotta G., Trinari E., Sposato M.
U.O.C. di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza ASL 04 TERNI
Cirulli L., Mazzotta G., Trinari E., Sposato M.
U.O.C. di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza ASL 04 TERNI
Si descrive il quadro clinico di un bambino di 9 anni giunto alla nostra osservazione per estreme difficoltà attentive e di
memoria. In anamnesi patologica remota è descritta ischemia cerebrale all’età di tre anni in seguito ad episodio febbrile
che è esitata in una sfumata emiparesi. Il bambino è affetto da favismo.
Dalle Risonanze Magnetiche di controllo si evidenzia una lesione cistica a livello della porzione anteriore del nucleo
lenticolare.
È stata effettuata valutazione neuropsicologica che mostrava alterazione della memoria e dell’attenzione e conseguente
diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione organico per compromissione dei circuiti attentivi che coinvolgono i
Nuclei della Base.
Gli autori descrivono il quadro alla luce delle moderne conoscenze che indicano nei nuclei delle base la disfunzionalità
dei sistemi attentivi e mnesici .
Si descrive il quadro clinico di un bambino di 9 anni giunto alla nostra osservazione per estreme difficoltà attentive e di
memoria. In anamnesi patologica remota è descritta ischemia cerebrale all’età di tre anni in seguito ad episodio febbrile
che è esitata in una sfumata emiparesi. Il bambino è affetto da favismo.
Dalle Risonanze Magnetiche di controllo si evidenzia una lesione cistica a livello della porzione anteriore del nucleo
lenticolare.
È stata effettuata valutazione neuropsicologica che mostrava alterazione della memoria e dell’attenzione e conseguente
diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione organico per compromissione dei circuiti attentivi che coinvolgono i
Nuclei della Base.
Gli autori descrivono il quadro alla luce delle moderne conoscenze che indicano nei nuclei delle base la disfunzionalità
dei sistemi attentivi e mnesici .
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L’INFLUENZA DEL WEB SULL’ESPERIENZA EMOTIVA DEI GENITORI ALLA
DIAGNOSI DI MALATTIA RARA
L’INFLUENZA DEL WEB SULL’ESPERIENZA EMOTIVA DEI GENITORI ALLA
DIAGNOSI DI MALATTIA RARA
Compagni C., Giuliani E., Bechis D., Massaglia P.
Sezione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell'Adolescenza,
Università di Torino
Compagni C., Giuliani E., Bechis D., Massaglia P.
Sezione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell'Adolescenza,
Università di Torino
L’affinamento dei test genetici consente da alcuni anni di diagnosticare nei primi mesi di vita diverse malattie rare con
interessamento neuropsichiatrico. La diagnosi precoce, preziosa per una presa in carico tempestiva, risulta in genere
“traumatica” per i genitori perché sostanzialmente inattesa e posta nel delicato momento dell’incontro iniziale con il
figlio. In questi casi, una modalità adeguata di comunicazione della diagnosi costituisce già un modo di prendersi cura del
problema di salute e della sofferenza mentale, che ad esso si associa, perché non si sancisce tanto una condanna, quanto
piuttosto si prospetta un percorso, da affrontare il più possibile insieme. Tuttavia, di fronte alle caratteristiche particolari
del bambino e ai possibili problemi futuri, i genitori vivono un profondo disorientamento, che li porta ad intraprendere
ricerche personali, non tanto e non solo all’interno della loro rete relazionale quanto e piuttosto nella rete virtuale.
Considerato il possibile accesso al web, talora al minimo accenno di sospetto (quindi prima di un colloquio dettagliato al
riguardo), nell’ambito della collaborazione, avviata dal 2006, con il Centro Pediatrico di Riferimento Regionale per la
Sindrome di Prader Willi dell'OIRM di Torino, sono stati valutati:
1.il ricorso ad internet dei genitori alla diagnosi e il conseguente impatto emotivo, attraverso colloqui semistrutturati,
svolti nel periodo immediatamente successivo alla diagnosi in 8 casi (nati dal 2006) e a distanza in 14 casi (diagnosticati
tra il 1994 e il 2005);
2.la quantità e la qualità delle informazioni sulla PWS disponibili sul web, attraverso ricerca (digitando “sindrome di
Prader Willi” e “Prader Willi”) e analisi di 12 siti su google, 454 immagini su google immagini; 40 video su youtube e
oltre 100 gruppi su facebook.
Relativamente al punto 1. la ricerca ha evidenziato come in passato internet fosse poco utilizzato come fonte di
informazione sanitaria: infatti solo 2 su 14 famiglie dei pazienti diagnosticati prima del 2006 vi hanno fatto ricorso,
mentre 6 su 8 famiglie con diagnosi dal 2006 hanno effettuato ricerche di siti, immagini e video. Solo in 2 casi i genitori
riferiscono di aver trovato utile il ricorso ad internet, dove sui siti medici ufficiali o su quelli delle associazioni hanno
ottenuto notizie analoghe a quelle fornite dagli specialisti. In 6 casi hanno invece espresso un giudizio molto negativo sul
web, riferendo di aver provato angosce profonde di fronte a notizie poco modulate, non aggiornate o corrispondenti a
quadri molto gravi. Diversi genitori hanno inoltre segnalato lo shock causato sia da slogan pubblicitari per la raccolta
fondi sia da foto e video di soggetti gravemente obesi.
Relativamente al punto 2. dall’analisi condotta sul web è emerso quanto segue:
-i siti relativi alla sindrome presentano notizie per lo più corrette;
-le campagne fondi promosse dalle associazioni propongono in genere messaggi (immagini e slogan) shock;
-il 20% delle immagini mostra soggetti con obesità e/o problematiche mediche molto gravi;
-il 52% dei video presenta aspetti potenzialmente traumatici per i neogenitori (per es. morte, obesità gravissima, ricerca di
cibo nella spazzatura...) ed il 14% dei video ha contenuti denigratori;
-i gruppi presenti su facebook realizzano uno spazio di condivisione di storie e problemi soprattutto tra familiari.
In prospettiva, data la presenza sul web di messaggi potenzialmente perturbanti, che aggravano nei genitori sia la
sofferenza emotiva sia il rifiuto del figlio, si prevede di fornire ai genitori stessi al momento della diagnosi una lista di siti
consigliati e di sensibilizzare i responsabili delle associazioni rispetto al costo psicologico delle pubblicità “forti”, pagato
proprio dalle famiglie con il problema. Viene mantenuta l’offerta di colloqui regolari in modo che i genitori possano
sentirsi introdotti e accompagnati nella nuova realtà da operatori competenti e disponibili, capaci di prendersi cura.
L’affinamento dei test genetici consente da alcuni anni di diagnosticare nei primi mesi di vita diverse malattie rare con
interessamento neuropsichiatrico. La diagnosi precoce, preziosa per una presa in carico tempestiva, risulta in genere
“traumatica” per i genitori perché sostanzialmente inattesa e posta nel delicato momento dell’incontro iniziale con il
figlio. In questi casi, una modalità adeguata di comunicazione della diagnosi costituisce già un modo di prendersi cura del
problema di salute e della sofferenza mentale, che ad esso si associa, perché non si sancisce tanto una condanna, quanto
piuttosto si prospetta un percorso, da affrontare il più possibile insieme. Tuttavia, di fronte alle caratteristiche particolari
del bambino e ai possibili problemi futuri, i genitori vivono un profondo disorientamento, che li porta ad intraprendere
ricerche personali, non tanto e non solo all’interno della loro rete relazionale quanto e piuttosto nella rete virtuale.
Considerato il possibile accesso al web, talora al minimo accenno di sospetto (quindi prima di un colloquio dettagliato al
riguardo), nell’ambito della collaborazione, avviata dal 2006, con il Centro Pediatrico di Riferimento Regionale per la
Sindrome di Prader Willi dell'OIRM di Torino, sono stati valutati:
1.il ricorso ad internet dei genitori alla diagnosi e il conseguente impatto emotivo, attraverso colloqui semistrutturati,
svolti nel periodo immediatamente successivo alla diagnosi in 8 casi (nati dal 2006) e a distanza in 14 casi (diagnosticati
tra il 1994 e il 2005);
2.la quantità e la qualità delle informazioni sulla PWS disponibili sul web, attraverso ricerca (digitando “sindrome di
Prader Willi” e “Prader Willi”) e analisi di 12 siti su google, 454 immagini su google immagini; 40 video su youtube e
oltre 100 gruppi su facebook.
Relativamente al punto 1. la ricerca ha evidenziato come in passato internet fosse poco utilizzato come fonte di
informazione sanitaria: infatti solo 2 su 14 famiglie dei pazienti diagnosticati prima del 2006 vi hanno fatto ricorso,
mentre 6 su 8 famiglie con diagnosi dal 2006 hanno effettuato ricerche di siti, immagini e video. Solo in 2 casi i genitori
riferiscono di aver trovato utile il ricorso ad internet, dove sui siti medici ufficiali o su quelli delle associazioni hanno
ottenuto notizie analoghe a quelle fornite dagli specialisti. In 6 casi hanno invece espresso un giudizio molto negativo sul
web, riferendo di aver provato angosce profonde di fronte a notizie poco modulate, non aggiornate o corrispondenti a
quadri molto gravi. Diversi genitori hanno inoltre segnalato lo shock causato sia da slogan pubblicitari per la raccolta
fondi sia da foto e video di soggetti gravemente obesi.
Relativamente al punto 2. dall’analisi condotta sul web è emerso quanto segue:
-i siti relativi alla sindrome presentano notizie per lo più corrette;
-le campagne fondi promosse dalle associazioni propongono in genere messaggi (immagini e slogan) shock;
-il 20% delle immagini mostra soggetti con obesità e/o problematiche mediche molto gravi;
-il 52% dei video presenta aspetti potenzialmente traumatici per i neogenitori (per es. morte, obesità gravissima, ricerca di
cibo nella spazzatura...) ed il 14% dei video ha contenuti denigratori;
-i gruppi presenti su facebook realizzano uno spazio di condivisione di storie e problemi soprattutto tra familiari.
In prospettiva, data la presenza sul web di messaggi potenzialmente perturbanti, che aggravano nei genitori sia la
sofferenza emotiva sia il rifiuto del figlio, si prevede di fornire ai genitori stessi al momento della diagnosi una lista di siti
consigliati e di sensibilizzare i responsabili delle associazioni rispetto al costo psicologico delle pubblicità “forti”, pagato
proprio dalle famiglie con il problema. Viene mantenuta l’offerta di colloqui regolari in modo che i genitori possano
sentirsi introdotti e accompagnati nella nuova realtà da operatori competenti e disponibili, capaci di prendersi cura.
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RUOLO DELLE PTERINE URINARIE NELLA MALATTIA DI SEGAWA
RUOLO DELLE PTERINE URINARIE NELLA MALATTIA DI SEGAWA
D’Agnano D.1, D'Agostini Costa C.1, Giannini M. T.1, Carducci Claudia2, Antonozzi I.2,
Carducci Carla2, Leuzzi V.1
¹Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria, ²Medicina Sperimentale, Università “Sapienza” di
Roma
D’Agnano D.1, D'Agostini Costa C.1, Giannini M. T.1, Carducci Claudia2, Antonozzi I.2,
Carducci Carla2, Leuzzi V.1
¹Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria, ²Medicina Sperimentale, Università “Sapienza” di
Roma
Background: il deficit di GTP-cicloidrolasi (GTP-CH1) determina, nella sua forma autosomica dominante, una distonia
Dopa-responsiva (DYT5) che si presenta con un ampio spettro di disturbi del movimento ed una penetranza incompleta
correlata al sesso. La diagnosi è spesso confermata dall'analisi molecolare del gene GCH1, mentre in quasi tutti i casi le
neopterine e le biopterine nel liquor sono basse.
Scopo: essendo le pterine urinarie generalmente considerate normali in questa condizione, lo scopo di questo lavoro è
quello di valutare se l'escrezione delle pterine nelle urine possano essere un valido strumento per la diagnosi nella
malattia di Segawa.
Metodologie e soggetti: riportiamo il fenotipo ed il genotipo clinico e biochimico in due nuove famiglie con GTP-CH1.
Ogni membro di entrambe le famiglie è stato sottoposto all'analisi molecolare del gene GCH1, allo studio delle pterine
nel liquor e nelle urine. Famiglia 1: il probando è una ragazza, la gravidanza è normodecorsa, con sviluppo psicomotorio
normale. Genitori non consanguinei entrambi italiani. Il padre ha sofferto sin dall'adolescenza di faticabilità esacerbata
durante la sera. A tre anni la ragazza ha sofferto di crisi atoniche interpretate come crisi comiziali. A nove anni compare
faticabilità ed instabilità alla deambulazione con fluttuazioni diurne. Alla nostra osservazione, all'età di 11 anni,
presentava un disturbo del movimento caratterizzato da coreo-atetosi del tronco e degli arti con evidente accentuazione
nelle ore serali ed esacerbata dall’esercizio fisico. Famiglia 2: il probando è una ragazza con gravidanza normodecorsa.
Genitori non consanguinei, origini svedesi e italiana. La madre lamentava, nell'infanzia, notevole faticabilità, scomparsa
negli anni. A tredici mesi è presente una instabilità alla deambulazione. A tre anni le viene diagnosticata una paraparesi di
ndd. Successivamente si evidenzia un peggioramento della sintomatologia con fluttuazione diurna. Alla nostra
osservazione, all'età di sette anni, si evidenziano ipo e bradicinesia, andatura similemiplegica e pseudoparaparesi spastica,
il tutto con fluttuazione diurna.
Risultati e discussioni: famiglia 1: nello studio liquorale si evidenziano normali livelli di 5HIAA e HVA, e riduzione
della Neopterina. Le pterine urinarie sono ridotte. L’analisi molecolare del gene GCH1 rivelava nella ragazza e nel padre,
una mutazione frameshift nell’esone 6. Inoltre, nel padre, le pterine urinarie sono ridotte. Sorprendentemente nella madre
e nel fratello viene identificata una mutazione missense patogena, sempre nell’esone 6, al momento asintomatica. Il
trattamento con L-Dopa/Carbidopa sia nella ragazza sia nel padre determina la completa risoluzione del disturbo del
movimento. Famiglia 2: nello studio liquorale si evidenziano normali livelli delle amine biogene e delle biopterine, con
riduzione della Neopterina. Le neopterine urinarie si trovavano nei limiti bassi della normalità. L'analisi molecolare ha
evidenziato una delezione nell'esone 6 del gene GCH1 oltre che nella ragazza, nel fratello, nella madre e nella nonna di
origine svedese. Tutti i membri della famiglia con la delezione, presentavano bassi livelli, nei limiti della norma, delle
neopterine urinarie. Il trattamento con L-Dopa/Carbidopa nella ragazza ha determinato un miglioramento della
sintomatologia. In entrambe le famiglie il pattern di escrezione delle pterine urinarie è alterato, suggerendo che questo
esame non invasivo è un potenziale strumento per la diagnosi di questo disturbo.
Background: il deficit di GTP-cicloidrolasi (GTP-CH1) determina, nella sua forma autosomica dominante, una distonia
Dopa-responsiva (DYT5) che si presenta con un ampio spettro di disturbi del movimento ed una penetranza incompleta
correlata al sesso. La diagnosi è spesso confermata dall'analisi molecolare del gene GCH1, mentre in quasi tutti i casi le
neopterine e le biopterine nel liquor sono basse.
Scopo: essendo le pterine urinarie generalmente considerate normali in questa condizione, lo scopo di questo lavoro è
quello di valutare se l'escrezione delle pterine nelle urine possano essere un valido strumento per la diagnosi nella
malattia di Segawa.
Metodologie e soggetti: riportiamo il fenotipo ed il genotipo clinico e biochimico in due nuove famiglie con GTP-CH1.
Ogni membro di entrambe le famiglie è stato sottoposto all'analisi molecolare del gene GCH1, allo studio delle pterine
nel liquor e nelle urine. Famiglia 1: il probando è una ragazza, la gravidanza è normodecorsa, con sviluppo psicomotorio
normale. Genitori non consanguinei entrambi italiani. Il padre ha sofferto sin dall'adolescenza di faticabilità esacerbata
durante la sera. A tre anni la ragazza ha sofferto di crisi atoniche interpretate come crisi comiziali. A nove anni compare
faticabilità ed instabilità alla deambulazione con fluttuazioni diurne. Alla nostra osservazione, all'età di 11 anni,
presentava un disturbo del movimento caratterizzato da coreo-atetosi del tronco e degli arti con evidente accentuazione
nelle ore serali ed esacerbata dall’esercizio fisico. Famiglia 2: il probando è una ragazza con gravidanza normodecorsa.
Genitori non consanguinei, origini svedesi e italiana. La madre lamentava, nell'infanzia, notevole faticabilità, scomparsa
negli anni. A tredici mesi è presente una instabilità alla deambulazione. A tre anni le viene diagnosticata una paraparesi di
ndd. Successivamente si evidenzia un peggioramento della sintomatologia con fluttuazione diurna. Alla nostra
osservazione, all'età di sette anni, si evidenziano ipo e bradicinesia, andatura similemiplegica e pseudoparaparesi spastica,
il tutto con fluttuazione diurna.
Risultati e discussioni: famiglia 1: nello studio liquorale si evidenziano normali livelli di 5HIAA e HVA, e riduzione
della Neopterina. Le pterine urinarie sono ridotte. L’analisi molecolare del gene GCH1 rivelava nella ragazza e nel padre,
una mutazione frameshift nell’esone 6. Inoltre, nel padre, le pterine urinarie sono ridotte. Sorprendentemente nella madre
e nel fratello viene identificata una mutazione missense patogena, sempre nell’esone 6, al momento asintomatica. Il
trattamento con L-Dopa/Carbidopa sia nella ragazza sia nel padre determina la completa risoluzione del disturbo del
movimento. Famiglia 2: nello studio liquorale si evidenziano normali livelli delle amine biogene e delle biopterine, con
riduzione della Neopterina. Le neopterine urinarie si trovavano nei limiti bassi della normalità. L'analisi molecolare ha
evidenziato una delezione nell'esone 6 del gene GCH1 oltre che nella ragazza, nel fratello, nella madre e nella nonna di
origine svedese. Tutti i membri della famiglia con la delezione, presentavano bassi livelli, nei limiti della norma, delle
neopterine urinarie. Il trattamento con L-Dopa/Carbidopa nella ragazza ha determinato un miglioramento della
sintomatologia. In entrambe le famiglie il pattern di escrezione delle pterine urinarie è alterato, suggerendo che questo
esame non invasivo è un potenziale strumento per la diagnosi di questo disturbo.
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PRECURSORI
EVOLUTIVA
EMICRANICI:
UNO
STUDIO
MULTICENTRICO
IN
ETA’
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PRECURSORI
EVOLUTIVA
EMICRANICI:
UNO
STUDIO
MULTICENTRICO
IN
ETA’
Dal Zotto L.1, De Carlo D.1, Perissinotto E.2, Zanchin G. 3, Balottin U.4, Mazzotta G.5,
Moscato D.6, Raieli V.7, Rossi L. N.8, Sangermani R.9, Soriani S.10, Termine C.11, Tozzi E.12,
Vecchio A. 13, Gatta M.1, Toldo I. 1, Sartori S.1, Battistella P. A. 1
1-Centro Cefalee dell’ Età Evolutiva, Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza, Dipartimento di Pediatria, Università di Padova; 2-Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova; 3-Centro Cefalee, Dipartimento di
Neuroscienze, Università di Padova; 4-Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Università di
Pavia, “IRCCS Fondazione Istituto Neurologico C.Mondino”, Pavia; 5-UOC di Neuropsichiatria
Infantile e dell’ Eta’ Evolutiva, ASL 4 Terni; 6-Centro Cefalee, Ospedale San Carlo di Nancy,
IDI, Roma; 7-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale G.F. Ingrassia, A.U.S.L. n°6,
Palermo; 8-Clinica Pediatrica 2ª Università di Milano; 9Divisione di Pediatria, Ospedale San
Carlo Borromeo, Milano; 10-Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di
Ferrara; 11-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Cliniche e
Biologiche, Varese; 12-Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di L’Aquila; 13Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Università di Palermo
Dal Zotto L.1, De Carlo D.1, Perissinotto E.2, Zanchin G. 3, Balottin U.4, Mazzotta G.5,
Moscato D.6, Raieli V.7, Rossi L. N.8, Sangermani R.9, Soriani S.10, Termine C.11, Tozzi E.12,
Vecchio A. 13, Gatta M.1, Toldo I. 1, Sartori S.1, Battistella P. A. 1
1-Centro Cefalee dell’ Età Evolutiva, Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza, Dipartimento di Pediatria, Università di Padova; 2-Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova; 3-Centro Cefalee, Dipartimento di
Neuroscienze, Università di Padova; 4-Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Università di
Pavia, “IRCCS Fondazione Istituto Neurologico C.Mondino”, Pavia; 5-UOC di Neuropsichiatria
Infantile e dell’ Eta’ Evolutiva, ASL 4 Terni; 6-Centro Cefalee, Ospedale San Carlo di Nancy,
IDI, Roma; 7-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale G.F. Ingrassia, A.U.S.L. n°6,
Palermo; 8-Clinica Pediatrica 2ª Università di Milano; 9Divisione di Pediatria, Ospedale San
Carlo Borromeo, Milano; 10-Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di
Ferrara; 11-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Cliniche e
Biologiche, Varese; 12-Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di L’Aquila; 13Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Università di Palermo
Introduzione: le Sindromi Periodiche dell’Infanzia (SP), riportate al punto 1.3 della Classificazione ICHD-II (2004) [1]
quali possibili precursori comuni dell’emicrania (E), comprendono il Vomito Ciclico (VC), l’Emicrania Addominale
(EA) e la Vertigine Parossistica Benigna dell’infanzia (VPB); in Appendice (punto 1.3.5), viene riportato anche il
Torcicollo Ciclico Parossistico dell’infanzia (TCP). Nella vasta letteratura precedente [2], la SP comprende anche i Dolori
Ricorrenti agli arti (DR) e la Cinetosi (C), definiti Precursori Emicranici (PE).
Scopo: valutare come i 6 sintomi sopra elencati si correlino con la diagnosi di E in un campione di numerosità statisticamente
significativa di pazienti pediatrici affetti da cefalea primaria.
Materiale e Metodi: nel periodo 2005 - 2007, abbiamo condotto uno studio multicentrico su 950 pazienti (462 maschi e 488 femmine;
età media = 11.1 ± 2.8 anni, range 4.0 - 17.9 anni), afferiti presso 10 Centri Italiani specializzati nella diagnosi e terapia della cefalea in
età evolutiva. Il campione selezionato è stato esaminato attraverso la somministrazione di un questionario semistrutturato.
Risultati: in accordo con l’ICHD II, il 65,5% (622/950) dei pazienti risulta affetto da E e il 34,5% (328/950) da Cefalea di tipo Tensivo
(CT). La prevalenza dei 6 PE analizzati nello studio è così distribuita: VC 4.1% (39 pazienti), EA 9.4% (89 pazienti), VPB 0,9% (9
pazienti), TCP 0,4% (4 pazienti), DR 14,7% (140 pazienti) e C 31,5% (299 pazienti). Presi singolarmente solo i DR risultano
significativamente correlati con la diagnosi di E (112/140 pari al 80%; p<.0001); non si è invece osservata alcuna associazione fra la
diagnosi di E e VC (76.9%; p=0.12), EA (73.0%; p=0.11), VPB (55.6%; p=0.53), TPB (50%; p=0.61) o C (67.9%; p=0.29). Per quel
che riguarda l’associazione fra la SP e gli altri PE, essa risulta significativa sia con la C che con i DR (p<.0001). Nessuno dei 6 disturbi
dimostra una differenza fra i 2 sessi o una particolare distribuzione per età. La familiarità per E risulta statisticamente significativa solo
per l’EA (11.1%; p=0.02) e per i DR (18.2%; p=0.006). Infine, si rileva che la presenza di almeno un disturbo facente parte della SP
può essere di aiuto per la diagnosi di E, in quanto aumenta la probabilità che il soggetto sia emicranico dal 65.5% (probabilità a priori)
al 70.7%. Considerando anche i PE, la probabilità a posteriori di porre correttamente diagnosi di E aumenta al 73.5% se si considera
anche la C, al 77.7% con i DR e al 78% se sono presenti la SP ed i 2 PE.
Discussione e conclusioni: da questa analisi, eseguita su un campione di rilevante numerosità, i 4 sintomi descritti nella
classificazione ICHD-II come SP non risultano significamene associati con la diagnosi di E; al contrario essa avvalora il
ruolo dei DR come PE, in quanto sono gli unici a dimostrare un'associazione statisticamente significativa con la diagnosi
di E e con la familiarità per E (rispettivamente p<.0001 e p=0.006). Lo studio è in accordo con i più recenti dati della
letteratura che riconoscono la scarsa specificità della SP per la diagnosi di E e confermano il ruolo dei DR nella diagnosi
di E [3].
Introduzione: le Sindromi Periodiche dell’Infanzia (SP), riportate al punto 1.3 della Classificazione ICHD-II (2004) [1]
quali possibili precursori comuni dell’emicrania (E), comprendono il Vomito Ciclico (VC), l’Emicrania Addominale
(EA) e la Vertigine Parossistica Benigna dell’infanzia (VPB); in Appendice (punto 1.3.5), viene riportato anche il
Torcicollo Ciclico Parossistico dell’infanzia (TCP). Nella vasta letteratura precedente [2], la SP comprende anche i Dolori
Ricorrenti agli arti (DR) e la Cinetosi (C), definiti Precursori Emicranici (PE).
Scopo: valutare come i 6 sintomi sopra elencati si correlino con la diagnosi di E in un campione di numerosità statisticamente
significativa di pazienti pediatrici affetti da cefalea primaria.
Materiale e Metodi: nel periodo 2005 - 2007, abbiamo condotto uno studio multicentrico su 950 pazienti (462 maschi e 488 femmine;
età media = 11.1 ± 2.8 anni, range 4.0 - 17.9 anni), afferiti presso 10 Centri Italiani specializzati nella diagnosi e terapia della cefalea in
età evolutiva. Il campione selezionato è stato esaminato attraverso la somministrazione di un questionario semistrutturato.
Risultati: in accordo con l’ICHD II, il 65,5% (622/950) dei pazienti risulta affetto da E e il 34,5% (328/950) da Cefalea di tipo Tensivo
(CT). La prevalenza dei 6 PE analizzati nello studio è così distribuita: VC 4.1% (39 pazienti), EA 9.4% (89 pazienti), VPB 0,9% (9
pazienti), TCP 0,4% (4 pazienti), DR 14,7% (140 pazienti) e C 31,5% (299 pazienti). Presi singolarmente solo i DR risultano
significativamente correlati con la diagnosi di E (112/140 pari al 80%; p<.0001); non si è invece osservata alcuna associazione fra la
diagnosi di E e VC (76.9%; p=0.12), EA (73.0%; p=0.11), VPB (55.6%; p=0.53), TPB (50%; p=0.61) o C (67.9%; p=0.29). Per quel
che riguarda l’associazione fra la SP e gli altri PE, essa risulta significativa sia con la C che con i DR (p<.0001). Nessuno dei 6 disturbi
dimostra una differenza fra i 2 sessi o una particolare distribuzione per età. La familiarità per E risulta statisticamente significativa solo
per l’EA (11.1%; p=0.02) e per i DR (18.2%; p=0.006). Infine, si rileva che la presenza di almeno un disturbo facente parte della SP
può essere di aiuto per la diagnosi di E, in quanto aumenta la probabilità che il soggetto sia emicranico dal 65.5% (probabilità a priori)
al 70.7%. Considerando anche i PE, la probabilità a posteriori di porre correttamente diagnosi di E aumenta al 73.5% se si considera
anche la C, al 77.7% con i DR e al 78% se sono presenti la SP ed i 2 PE.
Discussione e conclusioni: da questa analisi, eseguita su un campione di rilevante numerosità, i 4 sintomi descritti nella
classificazione ICHD-II come SP non risultano significamene associati con la diagnosi di E; al contrario essa avvalora il
ruolo dei DR come PE, in quanto sono gli unici a dimostrare un'associazione statisticamente significativa con la diagnosi
di E e con la familiarità per E (rispettivamente p<.0001 e p=0.006). Lo studio è in accordo con i più recenti dati della
letteratura che riconoscono la scarsa specificità della SP per la diagnosi di E e confermano il ruolo dei DR nella diagnosi
di E [3].
Bibliografia
1. Headache Classification Committee of International Headache Society (2004): Classification and Diagnostic Criteria
for Headache Disorders, Cranial Neuralgias and Facial Pain. 2nd ed. Cephalalgia; 24 (Suppl. 1): 9-160.
2. Cuvellier JC, Lépine A: Childhood Periodic Syndromes. Pediatr Neurol 2010; 42: 1-11.
3. Arruda MA, Guidetti V et al: Childhood periodic syndromes: a population-based study. Pediatr Neurol 2010; 43: 420424.
Bibliografia
1. Headache Classification Committee of International Headache Society (2004): Classification and Diagnostic Criteria
for Headache Disorders, Cranial Neuralgias and Facial Pain. 2nd ed. Cephalalgia; 24 (Suppl. 1): 9-160.
2. Cuvellier JC, Lépine A: Childhood Periodic Syndromes. Pediatr Neurol 2010; 42: 1-11.
3. Arruda MA, Guidetti V et al: Childhood periodic syndromes: a population-based study. Pediatr Neurol 2010; 43: 420424.
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SINDROME HaNDL. REPORT DI UN CASO DI ETÀ PEDIATRICA
SINDROME HaNDL. REPORT DI UN CASO DI ETÀ PEDIATRICA
Darra F., Offredi F., Cavallin M., Mastella L., Segata J., Santagiuliana A., Dalla
Bernardina B.
UOC di Neuropsichiatria Infantile -AOUI Verona, Università degli Studi di Verona
Darra F., Offredi F., Cavallin M., Mastella L., Segata J., Santagiuliana A., Dalla
Bernardina B.
UOC di Neuropsichiatria Infantile -AOUI Verona, Università degli Studi di Verona
Background scientifico: la sindrome emicrania con deficits neurologici transitori e pleiocitosi liquorale (HaNDL),
descritta per la prima volta nel 1981 da Bartleson è una sindrome rara, rientrata nella seconda edizione della
Classificazione Internazionale delle Sindromi Emicraniche.
Scopo: i criteri diagnostici sono: episodi di cefalea da moderata a severa di durata di ore, accompagnata da deficits
neurologici transitori, a risoluzione completa entro 3 mesi, pleiocitosi liquorale, in assenza di alterazioni
neuroradiologiche. Tale condizione risulta particolarmente rara in età pediatrica. Riteniamo interessante riportare il caso
di un ragazzino dell’età di 12 anni.
Metodologia e soggetti: l’anamnesi familiare è positiva per emicrania (fratello maggiore e mamma). Sviluppo
psicomotorio e linguaggio nella norma. Non patologie di rilievo. In benessere il ragazzino presenta cefalea frontale
intensa, resistente al trattamento, associata a vomito ripetuto, per cui viene ricoverato. Nel sospetto di
meningite/encefalite virale, nonostante TAC negativa, esami ematochimici nella norma, viene effettuata PL che evidenzia
marcata pleiocitosi liquorale. Nel corso dell’accesso vengono segnalati stato confusionale, disturbo visivo e deficit
stenico transitorio all’emisoma sx (durata 2 giorni circa). RMN encefalo negativa. All’EEG marcato rallentamento
dell’attività elettrica cerebrale prevalente a carico dell’emisfero dx. La sintomatologia presenta andamento fluttuante con
ripresa di adeguato orientamento spazio-temporale, eloquio regolare seguiti da improvvisa riacutizzazione del dolore,
tendenza all’assopimento, disorientamento, agitazione psicomotoria e quindi comparsa di deficits neurologici (afasia,
disartria, paralisi del facciale, isolata od associata a emiplegia dx e sx) di durata variabile da minuti ad ore. Compare in 5°
giornata bradicardia per cui il bambino viene trasferito presso la TIP. Vengono ripetute: RMN encefalo con gadolinio,
diffusione ed Angio RMN che si confermano negative, PL che conferma il dato della pleiocitosi. Sierologia e PCR per
virus neurotropi negative. In decima giornata il ragazzino giunge alla nostra osservazione, in terapia con Paracetamolo e
Morfina. Nonostante terapia con Ketoprofene persistono accessi di cefalea associati a stati di agitazione e confusionali,
disfasia, afasia e/o disartria, talora con deficit neurologici focali, cui corrisponde rallentamento EEG con comparsa di
onde delta di ampio voltaggio, pseudoritmiche ad alterna predominanza emisferica, congrua con il lato del deficit. La
terapia con Acetazolamide, Flunarizina ed Indometacina ha portato a miglioramento progressivo con scomparsa degli
accessi, di cefalea e dei deficits e normalizzazione EEG.
Risultati e discussioni: alla luce del quadro clinico gli AA discutono gli aspetti di diagnosi differenziale, di
inquadramento nosologico e dell’approccio terapeutico di tale sindrome che, soprattutto in età pediatrica rischia di restare
misconosciuta.
Background scientifico: la sindrome emicrania con deficits neurologici transitori e pleiocitosi liquorale (HaNDL),
descritta per la prima volta nel 1981 da Bartleson è una sindrome rara, rientrata nella seconda edizione della
Classificazione Internazionale delle Sindromi Emicraniche.
Scopo: i criteri diagnostici sono: episodi di cefalea da moderata a severa di durata di ore, accompagnata da deficits
neurologici transitori, a risoluzione completa entro 3 mesi, pleiocitosi liquorale, in assenza di alterazioni
neuroradiologiche. Tale condizione risulta particolarmente rara in età pediatrica. Riteniamo interessante riportare il caso
di un ragazzino dell’età di 12 anni.
Metodologia e soggetti: l’anamnesi familiare è positiva per emicrania (fratello maggiore e mamma). Sviluppo
psicomotorio e linguaggio nella norma. Non patologie di rilievo. In benessere il ragazzino presenta cefalea frontale
intensa, resistente al trattamento, associata a vomito ripetuto, per cui viene ricoverato. Nel sospetto di
meningite/encefalite virale, nonostante TAC negativa, esami ematochimici nella norma, viene effettuata PL che evidenzia
marcata pleiocitosi liquorale. Nel corso dell’accesso vengono segnalati stato confusionale, disturbo visivo e deficit
stenico transitorio all’emisoma sx (durata 2 giorni circa). RMN encefalo negativa. All’EEG marcato rallentamento
dell’attività elettrica cerebrale prevalente a carico dell’emisfero dx. La sintomatologia presenta andamento fluttuante con
ripresa di adeguato orientamento spazio-temporale, eloquio regolare seguiti da improvvisa riacutizzazione del dolore,
tendenza all’assopimento, disorientamento, agitazione psicomotoria e quindi comparsa di deficits neurologici (afasia,
disartria, paralisi del facciale, isolata od associata a emiplegia dx e sx) di durata variabile da minuti ad ore. Compare in 5°
giornata bradicardia per cui il bambino viene trasferito presso la TIP. Vengono ripetute: RMN encefalo con gadolinio,
diffusione ed Angio RMN che si confermano negative, PL che conferma il dato della pleiocitosi. Sierologia e PCR per
virus neurotropi negative. In decima giornata il ragazzino giunge alla nostra osservazione, in terapia con Paracetamolo e
Morfina. Nonostante terapia con Ketoprofene persistono accessi di cefalea associati a stati di agitazione e confusionali,
disfasia, afasia e/o disartria, talora con deficit neurologici focali, cui corrisponde rallentamento EEG con comparsa di
onde delta di ampio voltaggio, pseudoritmiche ad alterna predominanza emisferica, congrua con il lato del deficit. La
terapia con Acetazolamide, Flunarizina ed Indometacina ha portato a miglioramento progressivo con scomparsa degli
accessi, di cefalea e dei deficits e normalizzazione EEG.
Risultati e discussioni: alla luce del quadro clinico gli AA discutono gli aspetti di diagnosi differenziale, di
inquadramento nosologico e dell’approccio terapeutico di tale sindrome che, soprattutto in età pediatrica rischia di restare
misconosciuta.
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OSMOFOBIA: MARKER SPECIFICO DI EMICRANIA
OSMOFOBIA: MARKER SPECIFICO DI EMICRANIA
De Carlo D.1, Dal Zotto L.1, Perissinotto E.2, Zanchin G.3, Balottin U.4, Mazzotta G.5,
Moscato D.6, Raieli V.7, Rossi L. N. 8, Sangermani R.9, Soriani S. 10, Termine C. 11, Tozzi
E.12, Vecchio A.13, Gatta M. 1, Toldo I. 1, Sartori S.1, Battistella P. A.1
De Carlo D.1, Dal Zotto L.1, Perissinotto E.2, Zanchin G.3, Balottin U.4, Mazzotta G.5,
Moscato D.6, Raieli V.7, Rossi L. N. 8, Sangermani R.9, Soriani S. 10, Termine C. 11, Tozzi
E.12, Vecchio A.13, Gatta M. 1, Toldo I. 1, Sartori S.1, Battistella P. A.1
1-Centro Cefalee dell’ Età Evolutiva, Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Pediatria, Università di Padova; 2-Dipartimento di Igiene e Sanità Pubblica, Università di
Padova; 3-Centro Cefalee, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova; 4-Dipartimento di
Neuropsichiatria Infantile, Università di Pavia, “IRCCS Fondazione Istituto Neurologico C.Mondino”,
Pavia; 5-UOC di Neuropsichiatria Infantile e dell’ Età Evolutiva, ASL 4 Terni; 6-Centro Cefalee, Ospedale
San Carlo di Nancy, IDI, Roma; 7-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale G.F. Ingrassia,
A.U.S.L. n°6, Palermo; 8-Clinica Pediatrica 2ª Università di Milano; 9-Divisione di Pediatria, Ospedale San
Carlo Borromeo, Milano; 10-Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Ferrara; 11Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Varese; 12Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di L’Aquila; 13-Divisione di Neuropsichiatria Infantile,
Università di Palermo
1-Centro Cefalee dell’ Età Evolutiva, Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Pediatria, Università di Padova; 2-Dipartimento di Igiene e Sanità Pubblica, Università di
Padova; 3-Centro Cefalee, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova; 4-Dipartimento di
Neuropsichiatria Infantile, Università di Pavia, “IRCCS Fondazione Istituto Neurologico C.Mondino”,
Pavia; 5-UOC di Neuropsichiatria Infantile e dell’ Età Evolutiva, ASL 4 Terni; 6-Centro Cefalee, Ospedale
San Carlo di Nancy, IDI, Roma; 7-Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale G.F. Ingrassia,
A.U.S.L. n°6, Palermo; 8-Clinica Pediatrica 2ª Università di Milano; 9-Divisione di Pediatria, Ospedale San
Carlo Borromeo, Milano; 10-Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Ferrara; 11Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Varese; 12Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di L’Aquila; 13-Divisione di Neuropsichiatria Infantile,
Università di Palermo
Background scientifico: l’Osmofobia (Osm), sintomo di accompagnamento presentato nell’Appendice della
Classificazione ICHD-II, 2004 (A 1.1) nella diagnosi di Emicrania Senza Aura (ESA) [1], necessita di studi per la validazione e
l’applicabilità pratica, soprattutto in età evolutiva.
Scopo: analisi del sintomo Osm come marker nella diagnosi di Emicrania (E) in età evolutiva.
Metodologie e soggetti: studio multicentrico retrospettivo condotto su 950 pazienti (462 maschi e 488 femmine; età media=
11.1±2.8 anni, range 4-18 anni), afferiti consecutivamente presso 10 Centri specialistici italiani per le cefalee in età evolutiva, nel
periodo 2005-2007. Criteri di inclusione: a) età: 4-18 anni; b) diagnosi di cefalea primaria: ESA, Emicrania con aura (ECA),
Emicrania Cronica (EC), Cefalea Tensiva Episodica (CTE), Cefalea Tensiva Cronica (CTC), cefalea non classificata altrove
(NC); c) assenza di terapia profilattica in atto; d) capacità cognitive adeguate alla comprensione delle domande. A tutti i pazienti è
stato somministrato un questionario semistrutturato e standardizzato volto a valutare le caratteristiche del campione e dell’Osm.
Nel 2010, inoltre, è stata selezionata nel campione una coorte di 90 pazienti affetti da CT [47 maschi e 43 femmine, con età media
di 14.6, range 5.2 -20.3 anni, al termine del follow-up] ai quali è stato somministrato un secondo questionario semistrutturato
volto a valutare, in ambito prospettico, il ruolo prognostico del sintomo Osm. La durata media del follow-up è risultata di 3.12
anni.
Risultati: la prevalenza dell’Osm è risultata del 27.6%, maggiore ma non esclusiva dei pazienti affetti da E rispetto a CT (34.6%
vs 14.3%). Osm risulta statisticamente associata alla familiarità positiva per E e agli altri sintomi di accompagnamento necessari
per la diagnosi di E (p<0.005) [2]. Applicando gli odierni criteri classificativi ICHD-II [1], i pazienti risultano affetti E in 622 casi
(61,0%) (497 ESA, 57 ECA e 68 EC), CT in 328 (32,2%) (263 CTE e 65 CTC) mentre 70 pazienti sono NC (6.8%) [2]. Il
confronto con l’applicazione dell’A1.1 dimostra un’elevata concordanza delle diagnosi delle 2 principali forme di cefalea
primaria: 96.2% per ESA e 84.4% per CTE. Inoltre si osserva che, utilizzando l’Appendice, nel gruppo dei 70 pazienti con
cefalea NC, ben il 54.3% (38/70 casi) diventano correttamente classificabili come cefalee primarie (36 ESA e 2 CTE) [2]. Al
termine del follow-up [T1], il confronto fra il Gruppo A (37 casi di CT con Osm) e il Gruppo B (53 soggetti CT senza Osm) ha
dimostrato una maggiore trasformazione in E nel Gruppo A (62.2% Vs 22.6%, p< 0.005). Inoltre la probabilità individuale che un
bambino diventi E, al follow-up di 3 anni, passa del 39% al 63% se questo presenta Osm.
Discussione: il sintomo Osm in età evolutiva è altamente specifico, ma non esclusivo per la diagnosi di E, come invece dimostrato in
età adulta [3]. L’elevata concordanza per la diagnosi di ESA (96.2%), utilizzando il criterio classificativo aggiuntivo dell’Osm, è in
accordo con l’unico studio che analizza la validazione dell’A1.1 nell’età adulta [4], dal quale risulta che il 98.2% dei pazienti
emicranici viene correttamente riclassificato come ESA. La presenza di Osm nei pazienti affetti da CT correla con una maggiore
probabilità (OR= 5.6) di evoluzione in E rispetto ai pazienti CT senza osmofobia (p=0.001), dimostrando la predittività del sintomo
nella diagnosi di E. I nuovi criteri proposti nell’A 1.1 [1] per l’ESA rappresentano quindi, anche in età evolutiva, un’efficace
alternativa ai criteri diagnostici attuali; inoltre, il sintomo Osm può essere considerato un marker precoce di sviluppo di E.
Bibliografia
1.Headache Classification Committee of the International Headache Society: The International Classification of
Headache Disorders. Second Edition. Cephalalgia 2004; 24, Suppl 1: 1-160.
2.De Carlo D, Dal Zotto L, Perissinotto E et al. “Osmophobia in migraine classification: a multicentre study in juvenile
patients”. Cephalalgia. 2010; 30(12):1486-94
3.Zanchin G, Dainese F, Trucco M, Mainardi F, Mampreso E, Maggioni F. “Osmophobia in migraine and tension-type
headache and its clinical features in patients with migraine.” Cephalalgia 2007; 27: 1061-1068
4.Kelman L. “Validation of the classification of migraine without aura (IHS A1.1) proposed in ICHD-2.” Headache 2005;
45: 1339-1344
Background scientifico: l’Osmofobia (Osm), sintomo di accompagnamento presentato nell’Appendice della
Classificazione ICHD-II, 2004 (A 1.1) nella diagnosi di Emicrania Senza Aura (ESA) [1], necessita di studi per la validazione e
l’applicabilità pratica, soprattutto in età evolutiva.
Scopo: analisi del sintomo Osm come marker nella diagnosi di Emicrania (E) in età evolutiva.
Metodologie e soggetti: studio multicentrico retrospettivo condotto su 950 pazienti (462 maschi e 488 femmine; età media=
11.1±2.8 anni, range 4-18 anni), afferiti consecutivamente presso 10 Centri specialistici italiani per le cefalee in età evolutiva, nel
periodo 2005-2007. Criteri di inclusione: a) età: 4-18 anni; b) diagnosi di cefalea primaria: ESA, Emicrania con aura (ECA),
Emicrania Cronica (EC), Cefalea Tensiva Episodica (CTE), Cefalea Tensiva Cronica (CTC), cefalea non classificata altrove
(NC); c) assenza di terapia profilattica in atto; d) capacità cognitive adeguate alla comprensione delle domande. A tutti i pazienti è
stato somministrato un questionario semistrutturato e standardizzato volto a valutare le caratteristiche del campione e dell’Osm.
Nel 2010, inoltre, è stata selezionata nel campione una coorte di 90 pazienti affetti da CT [47 maschi e 43 femmine, con età media
di 14.6, range 5.2 -20.3 anni, al termine del follow-up] ai quali è stato somministrato un secondo questionario semistrutturato
volto a valutare, in ambito prospettico, il ruolo prognostico del sintomo Osm. La durata media del follow-up è risultata di 3.12
anni.
Risultati: la prevalenza dell’Osm è risultata del 27.6%, maggiore ma non esclusiva dei pazienti affetti da E rispetto a CT (34.6%
vs 14.3%). Osm risulta statisticamente associata alla familiarità positiva per E e agli altri sintomi di accompagnamento necessari
per la diagnosi di E (p<0.005) [2]. Applicando gli odierni criteri classificativi ICHD-II [1], i pazienti risultano affetti E in 622 casi
(61,0%) (497 ESA, 57 ECA e 68 EC), CT in 328 (32,2%) (263 CTE e 65 CTC) mentre 70 pazienti sono NC (6.8%) [2]. Il
confronto con l’applicazione dell’A1.1 dimostra un’elevata concordanza delle diagnosi delle 2 principali forme di cefalea
primaria: 96.2% per ESA e 84.4% per CTE. Inoltre si osserva che, utilizzando l’Appendice, nel gruppo dei 70 pazienti con
cefalea NC, ben il 54.3% (38/70 casi) diventano correttamente classificabili come cefalee primarie (36 ESA e 2 CTE) [2]. Al
termine del follow-up [T1], il confronto fra il Gruppo A (37 casi di CT con Osm) e il Gruppo B (53 soggetti CT senza Osm) ha
dimostrato una maggiore trasformazione in E nel Gruppo A (62.2% Vs 22.6%, p< 0.005). Inoltre la probabilità individuale che un
bambino diventi E, al follow-up di 3 anni, passa del 39% al 63% se questo presenta Osm.
Discussione: il sintomo Osm in età evolutiva è altamente specifico, ma non esclusivo per la diagnosi di E, come invece dimostrato in
età adulta [3]. L’elevata concordanza per la diagnosi di ESA (96.2%), utilizzando il criterio classificativo aggiuntivo dell’Osm, è in
accordo con l’unico studio che analizza la validazione dell’A1.1 nell’età adulta [4], dal quale risulta che il 98.2% dei pazienti
emicranici viene correttamente riclassificato come ESA. La presenza di Osm nei pazienti affetti da CT correla con una maggiore
probabilità (OR= 5.6) di evoluzione in E rispetto ai pazienti CT senza osmofobia (p=0.001), dimostrando la predittività del sintomo
nella diagnosi di E. I nuovi criteri proposti nell’A 1.1 [1] per l’ESA rappresentano quindi, anche in età evolutiva, un’efficace
alternativa ai criteri diagnostici attuali; inoltre, il sintomo Osm può essere considerato un marker precoce di sviluppo di E.
Bibliografia
1.Headache Classification Committee of the International Headache Society: The International Classification of
Headache Disorders. Second Edition. Cephalalgia 2004; 24, Suppl 1: 1-160.
2.De Carlo D, Dal Zotto L, Perissinotto E et al. “Osmophobia in migraine classification: a multicentre study in juvenile
patients”. Cephalalgia. 2010; 30(12):1486-94
3.Zanchin G, Dainese F, Trucco M, Mainardi F, Mampreso E, Maggioni F. “Osmophobia in migraine and tension-type
headache and its clinical features in patients with migraine.” Cephalalgia 2007; 27: 1061-1068
4.Kelman L. “Validation of the classification of migraine without aura (IHS A1.1) proposed in ICHD-2.” Headache 2005;
45: 1339-1344
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IPOTESI CLINICA E NEURORADIOLOGICA DI SOD PLUS IN GEMELLO
PRETERMINE
IPOTESI CLINICA E NEURORADIOLOGICA DI SOD PLUS IN GEMELLO
PRETERMINE
De Liso P., Danti F. R., Santoro F., Stanca M., Allemand A., Allemand F.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Università Sapienza di Roma
De Liso P., Danti F. R., Santoro F., Stanca M., Allemand A., Allemand F.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Università Sapienza di Roma
Background scientifico: la Displasia setto-ottica (SOD) è una rara condizione congenita (1/10.000 nati vivi)
diagnosticabile clinicamente con almeno due elementi della triade classica: ipoplasia del nervo ottico, deficit degli ormoni
ipofisari e difetti delle strutture della linea mediana, che se associati ad altre malformazioni cerebrali (schizencefalia,
ipoplasia cerebellare, cavo del setto pellucido, aplasia del fornice) definiscono la SOD plus. La maggior parte dei casi
sono sporadici ma sono stati descritti anche casi familiari (<1%) da mutazioni del gene HESX1 (3p21.2-p21.1) e
mutazioni de novo a carico di SOX2 (3q26.3-q27), SOX3 (Xq26.3), OTX2 (14q21-q22).
Scopo: vengono discusse le caratteristiche cliniche e neuroradiologiche di un quadro neuropatologico raro.
Metodologie e soggetti: il paziente è nato alla 26° settimana di età gestazionale da TC d’emergenza per PROM >24h,
febbre materna e sofferenza fetale (peso 940 g; lunghezza: 37 cm; CC: 24cm; Apgar 4 al 1’e 6 al 5’). È il secondo
gemello di gravidanza bigemina indotta con metodica FIVET in madre con storia di poliabortività, decorsa con minacce
d’aborto dal 4° mese e cerchiaggio alla 16° settimana. Alla nascita il paziente ha presentato grave RDS e successiva
broncodisplasia; emorragia intraventricolare di III grado a dx e IV grado a sn, evidenziata ecograficamente dalla 2°
giornata, complicata in idrocefalo post-emorragico a due settimane di vita, stabilizzato con quattro punture
transfontanellari; alterazioni metaboliche (ipo/iperglicemia, ipokaliemia, iposodiemia) e grave acidosi metabolica; anemia
acuta, ittero, PDA e ROP di 3°grado. L’esame neurologico alla nascita rilevava ipotono diffuso (soprattutto nucale),
motilità spontanea povera, iporeattività e pianto ipovalido. Episodio convulsivo in 2° giornata e clonie “erratiche” nei
giorni successivi (in assenza di chiaro corrispettivo EEG) trattate con fenobarbital fino alla 18° giornata. Il follow-up
neurologico successivo alla dimissione metteva in evidenza ipotono assiale e ROT ipoelicitabili, incapacità ad agganciare
e seguire con lo sguardo, segno del “sole calante” e movimenti oculari erratici, esotropia, nistagmo e riflessi pupillari
torpidi, FOO con papilla pallida a limiti netti, iporeattività agli stimoli visivi e acustici, assenza di sorriso sociale, motilità
spontanea scarsa con continui movimenti afinalistici; veniva iniziata terapia riabilitativa plurisettimanale. Proseguiva
anche regolare follow-up ecografico che mostrava megaventricoli con assottigliamento del parenchima cerebrale
(soprattutto posteriore) e ectasia della cisterna magna, corpo calloso scarsamente visualizzabile; e EEGgrafico durante il
sonno, risultato sempre nei limiti per l’età. Al 5° mese di età (EC 1,5) eseguiva RMN encefalo che rilevava ipoplasia
globale del cervelletto e del tratto bulbo-pontino, con agenesia del corpo calloso, ventricolomegalia e marcata ectasia
della cisterna magna; descritti anche ridotto spessore della sostanza bianca, ipoplasia ipofisaria, aspetto sottile del
peduncolo e del chiasma ottico, oltre che residui emosiderinici in sede vermiana e nel ventricolo laterale dx. All’8° mese
(EC 4,5) effettuava PEV, nella norma per l’età; ABR, che mostravano assenza bilaterale di risposte alla massima
intensità di stimolo efficace, e Otoemissioni acustiche, assenti bilateralmente; si consigliava pertanto protesizzazione
acustica e presa in carico logopedica. L’ultimo controllo clinico all’età di 11 mesi (EC 8,5) ha evidenziato un importante
ritardo globale delle acquisizioni neuromotorie e della capacità attentiva, deficit della statica del capo e del tronco, ROT
normoelicitabili, lallazione continua; sostanzialmente invariato il resto del quadro neurologico. Il tracciato EEG ha
mostrato asimmetria e asincronia interemisferica con eccesso di frequenze lente posteriori, in assenza comunque di
elementi parossistici. Gli esami laboratoristici eseguiti per indagare la funzionalità ipofisaria hanno mostrato un basso
valore di LH 0.6 mUI/ml (I.R. 1.5-5.0). È stata effettuata consulenza genetica e inviato campione di sangue per l’esame
del cariotipo, in vista di approfondimento molecolare.
Risultati e discussioni: sulla base dei dati clinici, laboratoristici e strumentali acquisiti finora, tale malformazione
cerebrale complessa risulta essere compatibile con un quadro di SOD plus. Viene presentata una revisione critica della
letteratura concernente tale sindrome e delle possibili diagnosi differenziali.
Background scientifico: la Displasia setto-ottica (SOD) è una rara condizione congenita (1/10.000 nati vivi)
diagnosticabile clinicamente con almeno due elementi della triade classica: ipoplasia del nervo ottico, deficit degli ormoni
ipofisari e difetti delle strutture della linea mediana, che se associati ad altre malformazioni cerebrali (schizencefalia,
ipoplasia cerebellare, cavo del setto pellucido, aplasia del fornice) definiscono la SOD plus. La maggior parte dei casi
sono sporadici ma sono stati descritti anche casi familiari (<1%) da mutazioni del gene HESX1 (3p21.2-p21.1) e
mutazioni de novo a carico di SOX2 (3q26.3-q27), SOX3 (Xq26.3), OTX2 (14q21-q22).
Scopo: vengono discusse le caratteristiche cliniche e neuroradiologiche di un quadro neuropatologico raro.
Metodologie e soggetti: il paziente è nato alla 26° settimana di età gestazionale da TC d’emergenza per PROM >24h,
febbre materna e sofferenza fetale (peso 940 g; lunghezza: 37 cm; CC: 24cm; Apgar 4 al 1’e 6 al 5’). È il secondo
gemello di gravidanza bigemina indotta con metodica FIVET in madre con storia di poliabortività, decorsa con minacce
d’aborto dal 4° mese e cerchiaggio alla 16° settimana. Alla nascita il paziente ha presentato grave RDS e successiva
broncodisplasia; emorragia intraventricolare di III grado a dx e IV grado a sn, evidenziata ecograficamente dalla 2°
giornata, complicata in idrocefalo post-emorragico a due settimane di vita, stabilizzato con quattro punture
transfontanellari; alterazioni metaboliche (ipo/iperglicemia, ipokaliemia, iposodiemia) e grave acidosi metabolica; anemia
acuta, ittero, PDA e ROP di 3°grado. L’esame neurologico alla nascita rilevava ipotono diffuso (soprattutto nucale),
motilità spontanea povera, iporeattività e pianto ipovalido. Episodio convulsivo in 2° giornata e clonie “erratiche” nei
giorni successivi (in assenza di chiaro corrispettivo EEG) trattate con fenobarbital fino alla 18° giornata. Il follow-up
neurologico successivo alla dimissione metteva in evidenza ipotono assiale e ROT ipoelicitabili, incapacità ad agganciare
e seguire con lo sguardo, segno del “sole calante” e movimenti oculari erratici, esotropia, nistagmo e riflessi pupillari
torpidi, FOO con papilla pallida a limiti netti, iporeattività agli stimoli visivi e acustici, assenza di sorriso sociale, motilità
spontanea scarsa con continui movimenti afinalistici; veniva iniziata terapia riabilitativa plurisettimanale. Proseguiva
anche regolare follow-up ecografico che mostrava megaventricoli con assottigliamento del parenchima cerebrale
(soprattutto posteriore) e ectasia della cisterna magna, corpo calloso scarsamente visualizzabile; e EEGgrafico durante il
sonno, risultato sempre nei limiti per l’età. Al 5° mese di età (EC 1,5) eseguiva RMN encefalo che rilevava ipoplasia
globale del cervelletto e del tratto bulbo-pontino, con agenesia del corpo calloso, ventricolomegalia e marcata ectasia
della cisterna magna; descritti anche ridotto spessore della sostanza bianca, ipoplasia ipofisaria, aspetto sottile del
peduncolo e del chiasma ottico, oltre che residui emosiderinici in sede vermiana e nel ventricolo laterale dx. All’8° mese
(EC 4,5) effettuava PEV, nella norma per l’età; ABR, che mostravano assenza bilaterale di risposte alla massima
intensità di stimolo efficace, e Otoemissioni acustiche, assenti bilateralmente; si consigliava pertanto protesizzazione
acustica e presa in carico logopedica. L’ultimo controllo clinico all’età di 11 mesi (EC 8,5) ha evidenziato un importante
ritardo globale delle acquisizioni neuromotorie e della capacità attentiva, deficit della statica del capo e del tronco, ROT
normoelicitabili, lallazione continua; sostanzialmente invariato il resto del quadro neurologico. Il tracciato EEG ha
mostrato asimmetria e asincronia interemisferica con eccesso di frequenze lente posteriori, in assenza comunque di
elementi parossistici. Gli esami laboratoristici eseguiti per indagare la funzionalità ipofisaria hanno mostrato un basso
valore di LH 0.6 mUI/ml (I.R. 1.5-5.0). È stata effettuata consulenza genetica e inviato campione di sangue per l’esame
del cariotipo, in vista di approfondimento molecolare.
Risultati e discussioni: sulla base dei dati clinici, laboratoristici e strumentali acquisiti finora, tale malformazione
cerebrale complessa risulta essere compatibile con un quadro di SOD plus. Viene presentata una revisione critica della
letteratura concernente tale sindrome e delle possibili diagnosi differenziali.
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I DISTURBI DEL SONNO IN ETA' EVOLUTIVA: L’ESPERIENZA AMBULATORIALE
CAMPANA
I DISTURBI DEL SONNO IN ETA' EVOLUTIVA: L’ESPERIENZA AMBULATORIALE
CAMPANA
Faraldo M. A., Esposito M., Castaldo L., Matrone R., Carotenuto M.
Ambulatorio Specialistico per i Disturbi del Sonno ed Enuresi Notturna, Cattedra di
Neuropsichiatria Infantile- Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria, Dermatovenereologia- Seconda Università degli Studi di Napoli
Faraldo M. A., Esposito M., Castaldo L., Matrone R., Carotenuto M.
Ambulatorio Specialistico per i Disturbi del Sonno ed Enuresi Notturna, Cattedra di
Neuropsichiatria Infantile- Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria, Dermatovenereologia- Seconda Università degli Studi di Napoli
Background: i disturbi del sonno rappresentano un problema di frequente consultazione specialistica in età evolutiva,
infatti circa il 25 % dei bambini soffre di un problema di sonno durante l'infanzia. Il quadro sintomatologico di tali
disturbi è variabile e consente di evidenziare problemi transitori (riluttanza e resistenza ad andare a dormire, ansia
all’addormentamento) e altri disturbi definiti e stabili (ipersonnie, disturbi respiratori etc). In generale, si stima che fino al
50% dei bambini in età prescolare, il 30% in età scolare e circa il 40% degli adolescenti presentino un problema inerente
il sonno. L’attuale classificazione internazionale (ICSD-2) li distingue in: insonnia, disordini respiratori del sonno,
ipersonnie di origine centrale, disordini del ritmo circadiano, parasonnie (disordini dell’arousal, parasonnie della fase
REM, “altre parasonnie”), disturbi del movimento in sonno.
Scopo dello studio: scopo dello studio è valutare la frequenza dei disturbi del sonno di soggetti afferiti a un ambulatorio
specialistico campano.
Metodologie e Soggetti: la popolazione in esame consta di 142 soggetti (97 maschi e 45 femmine), di età tra i 2 e i 15
anni (media 7.4, DS 3.8) riferiti consecutivamente all' Ambulatorio per i Disturbi del Sonno ed Enuresi notturna in età
evolutiva della Clinica di Neuropsichiatria Infantile della Seconda Università degli Studi di Napoli. Tutti i soggetti sono
stati sottoposti a valutazione clinico-anamnestica al fine di rilevare la presenza di specifici disturbi del sonno.
Risultati e Discussioni: la distribuzione dei disturbi registrata è la seguente: Insonnia (14.79%), Parasonnie (35.91%),
Disturbi respiratori in sonno (18.3%), Disturbi della transizione veglia-sonno (26.76%), Ipersonnie (11.26%). La
distribuzione dei diversi disturbi tra i sessi risulta pressoché omogenea, eccezion fatta per l’insonnia che sembra
interessare maggiormente le femmine in età adolescenziale (23.9% vs 11.5%) e le parasonnie che invece sembrano
interessare principalmente i soggetti di sesso maschile (31.7% vs 16.9%). Appare inoltre interessante rilevare come circa
il 73% dei casi valutati in regime ambulatoriale abbiano poi richiesto un approfondimento diagnostico-strumentale di tipo
polisonnografico che nel 35% dei casi ha condotto ad una modifica della definizione diagnostica iniziale, con particolare
riferimento alle diagnosi di Ipersonnia che in molti casi (79%) sono apparse spia di un sottostante Disturbo Respiratorio
in sonno.
Background: i disturbi del sonno rappresentano un problema di frequente consultazione specialistica in età evolutiva,
infatti circa il 25 % dei bambini soffre di un problema di sonno durante l'infanzia. Il quadro sintomatologico di tali
disturbi è variabile e consente di evidenziare problemi transitori (riluttanza e resistenza ad andare a dormire, ansia
all’addormentamento) e altri disturbi definiti e stabili (ipersonnie, disturbi respiratori etc). In generale, si stima che fino al
50% dei bambini in età prescolare, il 30% in età scolare e circa il 40% degli adolescenti presentino un problema inerente
il sonno. L’attuale classificazione internazionale (ICSD-2) li distingue in: insonnia, disordini respiratori del sonno,
ipersonnie di origine centrale, disordini del ritmo circadiano, parasonnie (disordini dell’arousal, parasonnie della fase
REM, “altre parasonnie”), disturbi del movimento in sonno.
Scopo dello studio: scopo dello studio è valutare la frequenza dei disturbi del sonno di soggetti afferiti a un ambulatorio
specialistico campano.
Metodologie e Soggetti: la popolazione in esame consta di 142 soggetti (97 maschi e 45 femmine), di età tra i 2 e i 15
anni (media 7.4, DS 3.8) riferiti consecutivamente all' Ambulatorio per i Disturbi del Sonno ed Enuresi notturna in età
evolutiva della Clinica di Neuropsichiatria Infantile della Seconda Università degli Studi di Napoli. Tutti i soggetti sono
stati sottoposti a valutazione clinico-anamnestica al fine di rilevare la presenza di specifici disturbi del sonno.
Risultati e Discussioni: la distribuzione dei disturbi registrata è la seguente: Insonnia (14.79%), Parasonnie (35.91%),
Disturbi respiratori in sonno (18.3%), Disturbi della transizione veglia-sonno (26.76%), Ipersonnie (11.26%). La
distribuzione dei diversi disturbi tra i sessi risulta pressoché omogenea, eccezion fatta per l’insonnia che sembra
interessare maggiormente le femmine in età adolescenziale (23.9% vs 11.5%) e le parasonnie che invece sembrano
interessare principalmente i soggetti di sesso maschile (31.7% vs 16.9%). Appare inoltre interessante rilevare come circa
il 73% dei casi valutati in regime ambulatoriale abbiano poi richiesto un approfondimento diagnostico-strumentale di tipo
polisonnografico che nel 35% dei casi ha condotto ad una modifica della definizione diagnostica iniziale, con particolare
riferimento alle diagnosi di Ipersonnia che in molti casi (79%) sono apparse spia di un sottostante Disturbo Respiratorio
in sonno.
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CARATTERISTICHE ELETTROENCEFALOGRAFICHE
ASSENZE DURANTE IL SONNO
E
CLINICHE
DELLE
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CARATTERISTICHE ELETTROENCEFALOGRAFICHE
ASSENZE DURANTE IL SONNO
E
CLINICHE
DELLE
Iodice A.*, Galli J.*, Accorsi P.†, Milito G.*, Fazzi E. M.*, Giordano L.†
* Università degli Studi di Brescia, U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
† U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
Iodice A.*, Galli J.*, Accorsi P.†, Milito G.*, Fazzi E. M.*, Giordano L.†
* Università degli Studi di Brescia, U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
† U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Spedali Civili di Brescia
Le assenze sono caratterizzate da arresto motorio, perdita di coscienza, staring, mioclonie palpebrali e automatismi
corrispondenti sul piano elettroencefalografico a Punte-onda generalizzate tra i 2-3 Hz; pur avendo un pattern elettrico e
clinico ben definito in veglia, poco ancora si conosce su come queste caratteristiche possano modificarsi in funzione dello
stato di vigilanza.
Scopo: analizzare come si modificano le caratteristiche elettroencefalografiche e cliniche dei soggetti con assenze in base
allo stato di sonno-veglia. Valutare eventuali differenze nei pattern EEG in sonno e veglia, in grado di offrire
informazioni prognostiche.
Metodologie e soggetti: sono stati studiati, attraverso registrazioni video-EEG in veglia e sonno prolungato, 21 pazienti
che hanno presentato crisi di assenza in età compresa tra i 3 ed 11 anni, prima di introdurre terapia antiepilettica.
Risultati: in veglia tutti i pazienti presentavano crisi per lo più pluriquotidiane caratterizzate da arresto psicomotorio,
talvolta accompagnato da blinking oculare o mioclonie (9/21- 43%). Dal punto di vista elettroencefalografico durante la
veglia 19/21 (90%) presentavano scariche diffuse di Punte-Onda tra i 2-3 Hz, mentre 4/21 (19%) avevano una partenza
delle scariche dalle regioni anteriori con successiva diffusione. Venivano registrate in addormentamento scariche di
complessi Punte-Onda con caratteristiche EEG e durata analoghe a quelle in veglia. In tutti i pazienti durante il sonno
NREM ed in particolare negli stadi I e II si registravano scariche Punte-Onda meno organizzate con tendenza alla
frammentazione. Sul piano clinico, durante il sonno NREM in un solo paziente si sono registrate 2 scariche diffuse di
Punte-Onda correlate a lieve aumento della frequenza respiratoria, apertura degli occhi, fissità di sguardo e mioclonie
palpebrali. Il completo controllo delle crisi è stato raggiunto in tutti i pazienti entro 2 anni dalla diagnosi. Nei controlli
effettuati ad un anno di distanza in 8/10 (80%) il tracciato si normalizzava sia in veglia che in sonno, compatibilmente
con il controllo clinico delle crisi. In 2 pazienti (20%) il mancato controllo delle crisi dopo un anno di terapia coincideva
con la presenza in sonno di alterazioni parossistiche focali. Al momento della diagnosi, entrambi i soggetti presentavano
scariche di Punte-Onda generalizzate di durata superiore ai 10 secondi in veglia, addormentamento e sonno; mentre nei
restanti soggetti, durante il sonno NREM, la durata delle scariche Punta-Onda generalizzate non superava i 5 secondi.
Discussione: le caratteristiche EEG delle assenze sono strettamente correlate con lo stato di vigilanza. Il riconoscimento
di assenze cliniche durante il sonno non può limitarsi ad una sincronia degli eventi (scarica generalizzata - movimento).
Nei pazienti con assenze non è possibile ottenere dati prognostici basandosi solo sulle differenze tra i pattern EEG in
sonno e veglia, tuttavia appare utile eseguire controlli elettroencefalografici in sonno nel follow-up di pazienti con più
difficile controllo delle crisi.
Le assenze sono caratterizzate da arresto motorio, perdita di coscienza, staring, mioclonie palpebrali e automatismi
corrispondenti sul piano elettroencefalografico a Punte-onda generalizzate tra i 2-3 Hz; pur avendo un pattern elettrico e
clinico ben definito in veglia, poco ancora si conosce su come queste caratteristiche possano modificarsi in funzione dello
stato di vigilanza.
Scopo: analizzare come si modificano le caratteristiche elettroencefalografiche e cliniche dei soggetti con assenze in base
allo stato di sonno-veglia. Valutare eventuali differenze nei pattern EEG in sonno e veglia, in grado di offrire
informazioni prognostiche.
Metodologie e soggetti: sono stati studiati, attraverso registrazioni video-EEG in veglia e sonno prolungato, 21 pazienti
che hanno presentato crisi di assenza in età compresa tra i 3 ed 11 anni, prima di introdurre terapia antiepilettica.
Risultati: in veglia tutti i pazienti presentavano crisi per lo più pluriquotidiane caratterizzate da arresto psicomotorio,
talvolta accompagnato da blinking oculare o mioclonie (9/21- 43%). Dal punto di vista elettroencefalografico durante la
veglia 19/21 (90%) presentavano scariche diffuse di Punte-Onda tra i 2-3 Hz, mentre 4/21 (19%) avevano una partenza
delle scariche dalle regioni anteriori con successiva diffusione. Venivano registrate in addormentamento scariche di
complessi Punte-Onda con caratteristiche EEG e durata analoghe a quelle in veglia. In tutti i pazienti durante il sonno
NREM ed in particolare negli stadi I e II si registravano scariche Punte-Onda meno organizzate con tendenza alla
frammentazione. Sul piano clinico, durante il sonno NREM in un solo paziente si sono registrate 2 scariche diffuse di
Punte-Onda correlate a lieve aumento della frequenza respiratoria, apertura degli occhi, fissità di sguardo e mioclonie
palpebrali. Il completo controllo delle crisi è stato raggiunto in tutti i pazienti entro 2 anni dalla diagnosi. Nei controlli
effettuati ad un anno di distanza in 8/10 (80%) il tracciato si normalizzava sia in veglia che in sonno, compatibilmente
con il controllo clinico delle crisi. In 2 pazienti (20%) il mancato controllo delle crisi dopo un anno di terapia coincideva
con la presenza in sonno di alterazioni parossistiche focali. Al momento della diagnosi, entrambi i soggetti presentavano
scariche di Punte-Onda generalizzate di durata superiore ai 10 secondi in veglia, addormentamento e sonno; mentre nei
restanti soggetti, durante il sonno NREM, la durata delle scariche Punta-Onda generalizzate non superava i 5 secondi.
Discussione: le caratteristiche EEG delle assenze sono strettamente correlate con lo stato di vigilanza. Il riconoscimento
di assenze cliniche durante il sonno non può limitarsi ad una sincronia degli eventi (scarica generalizzata - movimento).
Nei pazienti con assenze non è possibile ottenere dati prognostici basandosi solo sulle differenze tra i pattern EEG in
sonno e veglia, tuttavia appare utile eseguire controlli elettroencefalografici in sonno nel follow-up di pazienti con più
difficile controllo delle crisi.
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EFFETTI DEL METRONIDAZOLO E DELL’ ACETILCISTEINA
NELL’ENCEFALOPATIA ETILMALONICA: UN CASO CLINICO
EFFETTI DEL METRONIDAZOLO E DELL’ ACETILCISTEINA
NELL’ENCEFALOPATIA ETILMALONICA: UN CASO CLINICO
Letizia N., Mastrangelo M., Giannini M. T., Papetti L., Spalice A., Leuzzi V.
Divisione di neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria InfantileSapienza Università di Roma
Letizia N., Mastrangelo M., Giannini M. T., Papetti L., Spalice A., Leuzzi V.
Divisione di neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria InfantileSapienza Università di Roma
Background scientifico: l’Encefalopatia Etilmalonica (EE) è una malattia metabolica a trasmissione autosomica recessiva,
causata da una mutazione a carico del gene ETHE1; la patologia è caratterizzata da encefalopatia ad insorgenza precoce,
microangiopatia con petecchie ricorrenti e acrocianosi ortostatica, diarrea cronica e morte nei primi anni di vita. La
patogenesi dell’EE è legata all’ accumulo di solfiti conseguenti al deficit dell’ attività della proteina codificata dal gene
ETHE1 e alla loro azione tossica su diversi sistemi enzimatici cellulari; i marcatori biochimici più comuni dell’EE sono
l’aciduria etilmalonica e metilsuccinica ed alterazioni del profilo ematico delle acilcarinitine (aumento di C4 e C5).
Scopo: scopo del lavoro è discutere del grado di correlazione tra dati biochimici, fenotipo clinico e mancata risposta alla
terapia in un caso di encefalopatia etilmalonica. Presentiamo il caso clinico di una bambina con diagnosi di EE formulata
all’età di 4 mesi, sottoposta a terapia farmacologica sperimentale con metronidazolo, acetilcisteina e ubidecarenone e
deceduta all’ età di 9 mesi.
Metodologie e soggetti: bambina, nata a termine con parto eutocico da genitori non consanguinei. Periodo neonatale nella
norma. Giungeva alla nostra osservazione all’età di 4 mesi per una sintomatologia caratterizzata da clusters di spasmi in
flessione simmetrici con frequenza di 5-10 episodi al giorno. All’ esame neurologico si evidenziava: quadro di ipotono
assiale, lesioni petecchiali sulla superficie estensoria degli arti superiori, acrocianosi arti superiori ed inferiori che si
accentuava in sospensione. L’esame elettroencefalografico era caratterizzato da fasi di burst suppression, prevalenti in
emisfero Dx. Alla spettroscopia si evidenziava un sensibile aumento del picco della colina, una lieve riduzione del picco
dell’NAA (senza alterazione del rapporto CHO/NAA) e la presenza del picco dei lattati. Alla Electrospray Spettrometria
Tandem Mass (ESI-MS/MS), si osservava un aumento della escrezione della C4carnitina e della C5 carnitina. Il profilo
degli acidi organici urinari, analizzati tramite gas cromatografia/spettrometria di massa (GC/MS), si caratterizzava per un
lieve aumento dell’ escrezione urinaria di acido lattico, piruvico, metilsuccinico, adipico, suberico ed un discreto aumento
dell’ acido alfa chetoglutarico oltre ad un modesto aumento dell’escrezione di acido etilmalonico, un lievissimo aumento
dell’escrezione della N-isovaleril-glicina. Si poneva su tali basi diagnosi di EE. L’analisi del gene ETHE1 permetteva di
identificare tre mutazioni in eterozigosi: C.340°>T (P.11 14F) nell’ esone 3, C.488g>A (P.R163Q) nell’esone 4, C.622624 delGAG (p.Q208 del) nell’esone 6. Ad esclusione della mutazione P.R163 Q che era già stata descritta in letteratura,
le altre due mutazioni riscontrate non erano mai state segnalate in precedenza ed il loro ruolo patogenetico rimane
controverso. La bambina veniva pertanto sottoposta a terapia con Acetilcisteina, Metronidazolo e Ubidecarenone. Il
quadro clinico evolveva verso un progressivo peggioramento con aumento della frequenza degli episodi critici
precedentemente descritti ed exitus all’età di 9 mesi in seguito a grave scompenso metabolico acuto.
Risultati e discussioni: in letteratura è stata recentemente segnalata l’efficacia del trattamento con metronidazolo e
acetilcisteina nel rallentare la progressione dell’EE. Tale trattamento fonda il suo razionale sull’inibizione dell’accumulo
di solfiti da parte del metronidazolo che agirebbe sulla flora batterica intestinale che li produce. Nella nostra paziente tale
trattamento ha avuto un’ efficacia relativamente modesta per cause ancora da definire. Una possibile spiegazione
potrebbe risiedere nella mancanza di effetti sulla rapida evoluzione della patologia in occasione di scompensi metabolici
acuti che possono conseguire a vari possibili triggers (come aggravamento delle crisi epilettiche).
Background scientifico: l’Encefalopatia Etilmalonica (EE) è una malattia metabolica a trasmissione autosomica recessiva,
causata da una mutazione a carico del gene ETHE1; la patologia è caratterizzata da encefalopatia ad insorgenza precoce,
microangiopatia con petecchie ricorrenti e acrocianosi ortostatica, diarrea cronica e morte nei primi anni di vita. La
patogenesi dell’EE è legata all’ accumulo di solfiti conseguenti al deficit dell’ attività della proteina codificata dal gene
ETHE1 e alla loro azione tossica su diversi sistemi enzimatici cellulari; i marcatori biochimici più comuni dell’EE sono
l’aciduria etilmalonica e metilsuccinica ed alterazioni del profilo ematico delle acilcarinitine (aumento di C4 e C5).
Scopo: scopo del lavoro è discutere del grado di correlazione tra dati biochimici, fenotipo clinico e mancata risposta alla
terapia in un caso di encefalopatia etilmalonica. Presentiamo il caso clinico di una bambina con diagnosi di EE formulata
all’età di 4 mesi, sottoposta a terapia farmacologica sperimentale con metronidazolo, acetilcisteina e ubidecarenone e
deceduta all’ età di 9 mesi.
Metodologie e soggetti: bambina, nata a termine con parto eutocico da genitori non consanguinei. Periodo neonatale nella
norma. Giungeva alla nostra osservazione all’età di 4 mesi per una sintomatologia caratterizzata da clusters di spasmi in
flessione simmetrici con frequenza di 5-10 episodi al giorno. All’ esame neurologico si evidenziava: quadro di ipotono
assiale, lesioni petecchiali sulla superficie estensoria degli arti superiori, acrocianosi arti superiori ed inferiori che si
accentuava in sospensione. L’esame elettroencefalografico era caratterizzato da fasi di burst suppression, prevalenti in
emisfero Dx. Alla spettroscopia si evidenziava un sensibile aumento del picco della colina, una lieve riduzione del picco
dell’NAA (senza alterazione del rapporto CHO/NAA) e la presenza del picco dei lattati. Alla Electrospray Spettrometria
Tandem Mass (ESI-MS/MS), si osservava un aumento della escrezione della C4carnitina e della C5 carnitina. Il profilo
degli acidi organici urinari, analizzati tramite gas cromatografia/spettrometria di massa (GC/MS), si caratterizzava per un
lieve aumento dell’ escrezione urinaria di acido lattico, piruvico, metilsuccinico, adipico, suberico ed un discreto aumento
dell’ acido alfa chetoglutarico oltre ad un modesto aumento dell’escrezione di acido etilmalonico, un lievissimo aumento
dell’escrezione della N-isovaleril-glicina. Si poneva su tali basi diagnosi di EE. L’analisi del gene ETHE1 permetteva di
identificare tre mutazioni in eterozigosi: C.340°>T (P.11 14F) nell’ esone 3, C.488g>A (P.R163Q) nell’esone 4, C.622624 delGAG (p.Q208 del) nell’esone 6. Ad esclusione della mutazione P.R163 Q che era già stata descritta in letteratura,
le altre due mutazioni riscontrate non erano mai state segnalate in precedenza ed il loro ruolo patogenetico rimane
controverso. La bambina veniva pertanto sottoposta a terapia con Acetilcisteina, Metronidazolo e Ubidecarenone. Il
quadro clinico evolveva verso un progressivo peggioramento con aumento della frequenza degli episodi critici
precedentemente descritti ed exitus all’età di 9 mesi in seguito a grave scompenso metabolico acuto.
Risultati e discussioni: in letteratura è stata recentemente segnalata l’efficacia del trattamento con metronidazolo e
acetilcisteina nel rallentare la progressione dell’EE. Tale trattamento fonda il suo razionale sull’inibizione dell’accumulo
di solfiti da parte del metronidazolo che agirebbe sulla flora batterica intestinale che li produce. Nella nostra paziente tale
trattamento ha avuto un’ efficacia relativamente modesta per cause ancora da definire. Una possibile spiegazione
potrebbe risiedere nella mancanza di effetti sulla rapida evoluzione della patologia in occasione di scompensi metabolici
acuti che possono conseguire a vari possibili triggers (come aggravamento delle crisi epilettiche).
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NUOVE MUTAZIONI IN DUE FRATELLI CON ENCEFALOMIOPATIA
MITOCONDRIALE NEUROGASTROINTESTINALE (MNGIE)
NUOVE MUTAZIONI IN DUE FRATELLI CON ENCEFALOMIOPATIA
MITOCONDRIALE NEUROGASTROINTESTINALE (MNGIE)
Libernini L.1, Lupis C.1 , Mastrangelo M.1 , Santorelli F. M.2 , Ferrara M.1, Donati M. A.3 ,
Inghilleri M.4 , Leuzzi V.1 .
1 - Divisione di Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile“Sapienza” Università di Roma, 2 - Dipartimento di Medicina molecolare - Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù – Roma, 3 - Dipartimento di Malattie metaboliche ereditarie e neuromuscolariOspedale Pediatrico Meyer - Firenze, 4 - Dipartimento di Neurologia - “ Sapienza” - Università
di Roma
Libernini L.1, Lupis C.1 , Mastrangelo M.1 , Santorelli F. M.2 , Ferrara M.1, Donati M. A.3 ,
Inghilleri M.4 , Leuzzi V.1 .
1 - Divisione di Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile“Sapienza” Università di Roma, 2 - Dipartimento di Medicina molecolare - Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù – Roma, 3 - Dipartimento di Malattie metaboliche ereditarie e neuromuscolariOspedale Pediatrico Meyer - Firenze, 4 - Dipartimento di Neurologia - “ Sapienza” - Università
di Roma
Background: l’encefalomiopatia mitocondriale neurogastrointestinale (MNGIE) è una rara patologia a trasmissione
autosomica recessiva dovuta a mutazioni del gene TYMP/ECGF1 e caratterizzata da dismotilità gastrointestinale,
cachessia, ptosi o oftalmoparesi, neuropatia periferica e leucoencefalopatia.
Scopo: descriviamo una nuova mutazione nel gene TYMP/ECGF1 in due fratelli con encefalomiopatia mitocondriale
neurogastrointestinale (MNGIE).
Caso clinico: il fratello maggiore presentava, all’ età di 15 anni, iporessia, calo ponderale (Peso Kg 39, altezza 170 cm,
BMI 13,4 Kg/m2) e vomiti ricorrenti. La gastroscopia e la colonscopia mostravano ipotonia duodeno ileale e
diverticolosi. L’ esame neurologico evidenziava ipotrofia muscolare, iporeflessia osteotendinea, piede cavo e normale
sviluppo psicomotorio. Il fratello minore di 13 anni esordiva con ipoacusia neurosensoriale e scarso accrescimento (Peso
40,400 kg, altezza 162 cm, BMI 15,4 kg/m2). In entrambi I fratelli alla RM dell’ encefalo si osservavano aree iperintense
nella sostanza bianca sottocorticale periventricolare bilateralmente mentre l’ elettroneurografia e i potenziali evocati
motori deponevano per una neuropatia demielinizzante periferica. La timidina e la desossiuridina urinaria risultavano
aumentate in entrambi i pazienti. L’ analisi molecolare del gene TYMP/ECGF1 identificava un’ eterozigosi composta per
due nuove mutazioni patogenetiche (c.215-1del13ins4 / c.1159+2T>A). Tali mutazioni segregavano nei due genitori
asintomatici mentre non si riscontravano nei cromosomi di 100 soggetti sani. Il fratello di 17 anni moriva per un edema
polmonare acuto dopo un drammatico peggioramento delle sue condizioni generali. Due trials basati su trasfusioni
piastriniche in terapia intensiva, secondo il protocollo suggerito da Lara et al, risultavano inefficaci. Il fratello minore è
stato reclutato per effettuare un trapianto allogenico di cellule staminali (HSCT).
Discussione: i due fratelli da noi descritti presentavano due nuove mutazioni patogenetiche del gene codificante per la
timidina fosforilasi che è un enzima cruciale per l’ omeostasi dei nucleotidi intramitocondriale. Sebbene essi
presentassero lo stesso genotipo, il loro fenotipo ed il loro decorso clinico è stato profondamente diverso. Tale aspetto
evidenzia come il tentativo di stabilire una relazione fenotipo-genotipo nei pazienti con MNGIE sia in genere non
fruttuoso poichè vari fattori ambientali e familiari possono influenzarne la variabilità.
Background: l’encefalomiopatia mitocondriale neurogastrointestinale (MNGIE) è una rara patologia a trasmissione
autosomica recessiva dovuta a mutazioni del gene TYMP/ECGF1 e caratterizzata da dismotilità gastrointestinale,
cachessia, ptosi o oftalmoparesi, neuropatia periferica e leucoencefalopatia.
Scopo: descriviamo una nuova mutazione nel gene TYMP/ECGF1 in due fratelli con encefalomiopatia mitocondriale
neurogastrointestinale (MNGIE).
Caso clinico: il fratello maggiore presentava, all’ età di 15 anni, iporessia, calo ponderale (Peso Kg 39, altezza 170 cm,
BMI 13,4 Kg/m2) e vomiti ricorrenti. La gastroscopia e la colonscopia mostravano ipotonia duodeno ileale e
diverticolosi. L’ esame neurologico evidenziava ipotrofia muscolare, iporeflessia osteotendinea, piede cavo e normale
sviluppo psicomotorio. Il fratello minore di 13 anni esordiva con ipoacusia neurosensoriale e scarso accrescimento (Peso
40,400 kg, altezza 162 cm, BMI 15,4 kg/m2). In entrambi I fratelli alla RM dell’ encefalo si osservavano aree iperintense
nella sostanza bianca sottocorticale periventricolare bilateralmente mentre l’ elettroneurografia e i potenziali evocati
motori deponevano per una neuropatia demielinizzante periferica. La timidina e la desossiuridina urinaria risultavano
aumentate in entrambi i pazienti. L’ analisi molecolare del gene TYMP/ECGF1 identificava un’ eterozigosi composta per
due nuove mutazioni patogenetiche (c.215-1del13ins4 / c.1159+2T>A). Tali mutazioni segregavano nei due genitori
asintomatici mentre non si riscontravano nei cromosomi di 100 soggetti sani. Il fratello di 17 anni moriva per un edema
polmonare acuto dopo un drammatico peggioramento delle sue condizioni generali. Due trials basati su trasfusioni
piastriniche in terapia intensiva, secondo il protocollo suggerito da Lara et al, risultavano inefficaci. Il fratello minore è
stato reclutato per effettuare un trapianto allogenico di cellule staminali (HSCT).
Discussione: i due fratelli da noi descritti presentavano due nuove mutazioni patogenetiche del gene codificante per la
timidina fosforilasi che è un enzima cruciale per l’ omeostasi dei nucleotidi intramitocondriale. Sebbene essi
presentassero lo stesso genotipo, il loro fenotipo ed il loro decorso clinico è stato profondamente diverso. Tale aspetto
evidenzia come il tentativo di stabilire una relazione fenotipo-genotipo nei pazienti con MNGIE sia in genere non
fruttuoso poichè vari fattori ambientali e familiari possono influenzarne la variabilità.
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ANTICORPI ANTI-ALFA GLIADINA E ANTI-PEPTIDI DELLA GLIADINA
DEAMIDATA IN PAZIENTI AFFETTI DA AUTISMO
Maiorano A., Maresca R., Picardi A.1, Iardino P.1, De Magistris L.1, Pascotto A.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatria e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli, 1-Gastroenterologia - Dipartimento Magrassi-Lanzara, Seconda
Università degli studi di Napoli
ANTICORPI ANTI-ALFA GLIADINA E ANTI-PEPTIDI DELLA GLIADINA
DEAMIDATA IN PAZIENTI AFFETTI DA AUTISMO
Maiorano A., Maresca R., Picardi A.1, Iardino P.1, De Magistris L.1, Pascotto A.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatria e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli, 1-Gastroenterologia - Dipartimento Magrassi-Lanzara, Seconda
Università degli studi di Napoli
Background scientifico: e’ stato evidenziato un aumento della permeabilità intestinale (IPT) “leaky gut” in una
percentuale di soggetti con disturbo autistico non celiaci che sembra essere influenzato dalla dieta senza glutine, per cui si
ipotizza che i pazienti autistici (DPS) sono glutine-sensitive, così come è stato descritto in altre patologie psichiatriche,
come la schizofrenia.
Scopo: valutare la prevalenza degli anticorpi anti-gliadina (AGA), anti-transglutaminasi (tTG), anti-peptidi della gliadina
deamidata (DPG), anti-endomisio (EMA) in un gruppo di pazienti autistici con sintomi gastrointestinali e/o alterata
permeabilità intestinale. I pazienti reclutati seguono un regolare regime alimentare o una dieta senza glutine.
Metodologie e soggetti: sono stati valutati 70 pazienti affetti da DPS, afferiti presso la nostra struttura che hanno ricevuto
diagnosi secondo i criteri diagnostici del DSM-IV, facendo uso di strumenti diagnostici standardizzati (CARS, ADI-R,
ADOS). I soggetti così reclutati sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione, costituito da: questionari
standardizzati, con lo scopo di definire il profilo funzionale nell’ambito del temperamento, soglia di reattività agli stimoli,
livello congitivo, livello comunicativo-linguistico, modulazione degli stati emotivi, livello adattivo generale e
un’anamnesi gastroenterologica dettagliata per ogni singolo bambino. Dall’anamnesi si evince che 54 pazienti seguono un
regolare regime alimentare e 16 sono a dieta senza glutine. Per ciascun paziente è stato effettuato prelievo ematico per la
valutazione dei livelli sierici di IgA sieriche totali, anti-gliadina IgA/IgG, anti-peptidi gliadina deamidata IgA/IgG, antitransglutaminasi IgA/IgG, anti endomisio IgA/IgG mediante tecnica immunoenzimatica ELISA e analisi dell’aplotipo
HLA mediante Kit specifico Eurospital Eu-DQ.
Risultati e discussioni: in tutti i pazienti sono stati trovati livelli normali di IgA sieriche e livelli sierici elevati di anti t-Tg,
EMA (IgA-IgG). Una piccola prevalenza pari a 1/69 (1.40%) bambini mostravano elevati livelli sierici di AGA-IgA
diversamente ai 22/70 (31.40%) aventi AGA-IgG elevati; su questi ultimi pazienti soltanto 5 (7.10%) mostravano IgG
peptidi gliadina deamidata. Inoltre, di 22 pazienti AGA-IgG elevati, 50 (11%) sono HLA negativi. E’ particolarmente
interessante notare che tra i pazienti a regolare regime alimentare 38,90% (21/54) mostravano AGA-IgG elevati, rispetto
al 6,30% (1/16) che erano pazienti a dieta senza glutine. Questi risultati hanno dimostrato che un sottogruppo di bambini
autistici sono glutine-sensitive e che la loro funzione di barriera migliorerà durante la dieta priva di glutine. Tali risultati
potrebbero avere potenziali implicazioni per nuove strategie terapeutiche per soggetti affetti da disturbo autistico e
mediante l’introduzione di una dieta senza glutine si potrebbero ottenere miglioramenti della sintomatologia.
Background scientifico: e’ stato evidenziato un aumento della permeabilità intestinale (IPT) “leaky gut” in una
percentuale di soggetti con disturbo autistico non celiaci che sembra essere influenzato dalla dieta senza glutine, per cui si
ipotizza che i pazienti autistici (DPS) sono glutine-sensitive, così come è stato descritto in altre patologie psichiatriche,
come la schizofrenia.
Scopo: valutare la prevalenza degli anticorpi anti-gliadina (AGA), anti-transglutaminasi (tTG), anti-peptidi della gliadina
deamidata (DPG), anti-endomisio (EMA) in un gruppo di pazienti autistici con sintomi gastrointestinali e/o alterata
permeabilità intestinale. I pazienti reclutati seguono un regolare regime alimentare o una dieta senza glutine.
Metodologie e soggetti: sono stati valutati 70 pazienti affetti da DPS, afferiti presso la nostra struttura che hanno ricevuto
diagnosi secondo i criteri diagnostici del DSM-IV, facendo uso di strumenti diagnostici standardizzati (CARS, ADI-R,
ADOS). I soggetti così reclutati sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione, costituito da: questionari
standardizzati, con lo scopo di definire il profilo funzionale nell’ambito del temperamento, soglia di reattività agli stimoli,
livello congitivo, livello comunicativo-linguistico, modulazione degli stati emotivi, livello adattivo generale e
un’anamnesi gastroenterologica dettagliata per ogni singolo bambino. Dall’anamnesi si evince che 54 pazienti seguono un
regolare regime alimentare e 16 sono a dieta senza glutine. Per ciascun paziente è stato effettuato prelievo ematico per la
valutazione dei livelli sierici di IgA sieriche totali, anti-gliadina IgA/IgG, anti-peptidi gliadina deamidata IgA/IgG, antitransglutaminasi IgA/IgG, anti endomisio IgA/IgG mediante tecnica immunoenzimatica ELISA e analisi dell’aplotipo
HLA mediante Kit specifico Eurospital Eu-DQ.
Risultati e discussioni: in tutti i pazienti sono stati trovati livelli normali di IgA sieriche e livelli sierici elevati di anti t-Tg,
EMA (IgA-IgG). Una piccola prevalenza pari a 1/69 (1.40%) bambini mostravano elevati livelli sierici di AGA-IgA
diversamente ai 22/70 (31.40%) aventi AGA-IgG elevati; su questi ultimi pazienti soltanto 5 (7.10%) mostravano IgG
peptidi gliadina deamidata. Inoltre, di 22 pazienti AGA-IgG elevati, 50 (11%) sono HLA negativi. E’ particolarmente
interessante notare che tra i pazienti a regolare regime alimentare 38,90% (21/54) mostravano AGA-IgG elevati, rispetto
al 6,30% (1/16) che erano pazienti a dieta senza glutine. Questi risultati hanno dimostrato che un sottogruppo di bambini
autistici sono glutine-sensitive e che la loro funzione di barriera migliorerà durante la dieta priva di glutine. Tali risultati
potrebbero avere potenziali implicazioni per nuove strategie terapeutiche per soggetti affetti da disturbo autistico e
mediante l’introduzione di una dieta senza glutine si potrebbero ottenere miglioramenti della sintomatologia.
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ROTIGOTINA COME TRATTAMENTO ADIUVANTE NELLA TERAPIA DEL
DEFICIT DI TIROSINA IDROSSILASI
Mastrangelo M., Mitola C., Celato A., Guerriero F., Giannini M. T., Leuzzi V.
Divisione di Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile“Sapienza”- Università di Roma
ROTIGOTINA COME TRATTAMENTO ADIUVANTE NELLA TERAPIA DEL
DEFICIT DI TIROSINA IDROSSILASI
Mastrangelo M., Mitola C., Celato A., Guerriero F., Giannini M. T., Leuzzi V.
Divisione di Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile“Sapienza”- Università di Roma
Background: il deficit di tirosina idrossilasi (THD-OMIM 191290) è una rara disfunzione, a trasmissione autosomica
recessiva, del metabolismo delle catecolamine. Può presentarsi con due possibili fenotipi clinici: una forma ad esordio
infantile con sindrome rigida-ipocinetica progressiva ed una forma neonatale con encefalopatia complessa.
Scopo: la rotigotina è un nuovo dopamino-agonista somministrato per via transdermica nelle 24 ore attraverso uno
specifico cerotto a rilascio controllato (Neupro ®). Scopo della nostra esperienza è quello di verificare l’efficacia della
rotigotina nel trattamento del deficit di tirosina idrossilasi.
Metodologia e soggetti: abbiamo somministrato, previo consenso informato scritto dei genitori, la rotigotina per via
transdermica in un ragazzo di 15 anni con THD affetto da coreoatetosi e ricorrenti fenomeni on-off quotidiani.
La diagnosi di THD era stata posta all’ età di 18 mesi quando era stato riscontrato nel liquor una riduzione dell’acido
omovanillico e del rapporto acido omovanillico-acido 5 idrossi-indoloacetico. L’indagine molecolare aveva evidenziato
un’ omozigosi per la mutazione G1076T nell’ esone 10 del gene TH (11p15.5). Il paziente è stato negli anni seguenti
trattato con tutti i principali trattamenti farmacologici disponibili con scarso beneficio. Ha camminato senza sostegno all’
età di 11 anni mentre è residuato un grave ritardo mentale. Dall’età di 6 anni i suoi livelli sierici di prolattina sono stati
riscontrati come costantemente elevati (range 42-95 ng/ml; valori di riferimento 1-17.5 ng/ml). Prima di introdurre la
rotigotina il paziente era in trattamento con L-Dopa/Carbidopa (5/1.25 mg/kg/die), Selegilina (0.3 mg/kg/ die), e
Tolcapone (10 mg/kg/die) e presentava numerose discinesie indotte dal L-Dopa.
Risultati: la rotigotina è stata progressivamente aumentata da una dose iniziale di 0,66 mg/24 h fino a una dose di 6
mg/24h in un periodo di circa 6 mesi con progressiva scomparsa delle discinesie indotte dal L-Dopa e senza effetti
collaterali attribuibili alla rotigotina. I livelli di prolattina in questo periodo sono risultati normali (range 2,5-4,6ng/ml;
valori di riferimento 1-17,5ng/ml). In una prima fase è stato possibile rimuovere la selegilina e il tolcapone mentre non è
stato possibile sospendere la L-Dopa per la comparsa di irritabilità, sonnolenza e acinesia quando questo è stato tentato.
Dopo circa 8 mesi di trattamento con rotigotina e L-Dopa, tuttavia, tali manifestazioni si sono manifestate nuovamente
rendendo necessario sospendere la rotigotina e reintrodurre la selegilina ed il tolcapone.
Discussione: i potenziali vantaggi della rotigotina per via transdermica nei pazienti con THD derivano dalla sua capacità
di inibire le tipiche fluttuazioni nella risposta giornaliera alla L-Dopa e le discinesie indotte dalla L-Dopa attraverso una
stimolazione continuativa dei recettori dopaminergici.
La nostra esperienza suggerisce che a) la rotigotina può produrre effetti promettenti, seppur transitori sui sintomi e sulla
qualità della vita dei pazienti con THD, e b) la prolattinemia è un utile marker periferico per monitorare il ripristino del
tono dopaminergico centrale da parte dei farmaci dopamino-mimetici.
Background: il deficit di tirosina idrossilasi (THD-OMIM 191290) è una rara disfunzione, a trasmissione autosomica
recessiva, del metabolismo delle catecolamine. Può presentarsi con due possibili fenotipi clinici: una forma ad esordio
infantile con sindrome rigida-ipocinetica progressiva ed una forma neonatale con encefalopatia complessa.
Scopo: la rotigotina è un nuovo dopamino-agonista somministrato per via transdermica nelle 24 ore attraverso uno
specifico cerotto a rilascio controllato (Neupro ®). Scopo della nostra esperienza è quello di verificare l’efficacia della
rotigotina nel trattamento del deficit di tirosina idrossilasi.
Metodologia e soggetti: abbiamo somministrato, previo consenso informato scritto dei genitori, la rotigotina per via
transdermica in un ragazzo di 15 anni con THD affetto da coreoatetosi e ricorrenti fenomeni on-off quotidiani.
La diagnosi di THD era stata posta all’ età di 18 mesi quando era stato riscontrato nel liquor una riduzione dell’acido
omovanillico e del rapporto acido omovanillico-acido 5 idrossi-indoloacetico. L’indagine molecolare aveva evidenziato
un’ omozigosi per la mutazione G1076T nell’ esone 10 del gene TH (11p15.5). Il paziente è stato negli anni seguenti
trattato con tutti i principali trattamenti farmacologici disponibili con scarso beneficio. Ha camminato senza sostegno all’
età di 11 anni mentre è residuato un grave ritardo mentale. Dall’età di 6 anni i suoi livelli sierici di prolattina sono stati
riscontrati come costantemente elevati (range 42-95 ng/ml; valori di riferimento 1-17.5 ng/ml). Prima di introdurre la
rotigotina il paziente era in trattamento con L-Dopa/Carbidopa (5/1.25 mg/kg/die), Selegilina (0.3 mg/kg/ die), e
Tolcapone (10 mg/kg/die) e presentava numerose discinesie indotte dal L-Dopa.
Risultati: la rotigotina è stata progressivamente aumentata da una dose iniziale di 0,66 mg/24 h fino a una dose di 6
mg/24h in un periodo di circa 6 mesi con progressiva scomparsa delle discinesie indotte dal L-Dopa e senza effetti
collaterali attribuibili alla rotigotina. I livelli di prolattina in questo periodo sono risultati normali (range 2,5-4,6ng/ml;
valori di riferimento 1-17,5ng/ml). In una prima fase è stato possibile rimuovere la selegilina e il tolcapone mentre non è
stato possibile sospendere la L-Dopa per la comparsa di irritabilità, sonnolenza e acinesia quando questo è stato tentato.
Dopo circa 8 mesi di trattamento con rotigotina e L-Dopa, tuttavia, tali manifestazioni si sono manifestate nuovamente
rendendo necessario sospendere la rotigotina e reintrodurre la selegilina ed il tolcapone.
Discussione: i potenziali vantaggi della rotigotina per via transdermica nei pazienti con THD derivano dalla sua capacità
di inibire le tipiche fluttuazioni nella risposta giornaliera alla L-Dopa e le discinesie indotte dalla L-Dopa attraverso una
stimolazione continuativa dei recettori dopaminergici.
La nostra esperienza suggerisce che a) la rotigotina può produrre effetti promettenti, seppur transitori sui sintomi e sulla
qualità della vita dei pazienti con THD, e b) la prolattinemia è un utile marker periferico per monitorare il ripristino del
tono dopaminergico centrale da parte dei farmaci dopamino-mimetici.
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RISCHIO TROMBOFILICO E TROMBOSI DEI SENI V. CEREBRALI
RISCHIO TROMBOFILICO E TROMBOSI DEI SENI V. CEREBRALI
Mitola C.², Perla F. M.¹, Di Biasi C.³, Verdecchia P.²
¹UOC di Oncoematologia pediatrica Policlinico Umberto I, ²DAI Pediatria Generale e
Specialistica e Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Umberto I, ³UOC di Radiologia d’Urgenza,
Policlinico Umberto I-Università di Roma “La Sapienza”
Mitola C.², Perla F. M.¹, Di Biasi C.³, Verdecchia P.²
¹UOC di Oncoematologia pediatrica Policlinico Umberto I, ²DAI Pediatria Generale e
Specialistica e Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Umberto I, ³UOC di Radiologia d’Urgenza,
Policlinico Umberto I-Università di Roma “La Sapienza”
Background scientifico: la trombosi dei seni venosi cerebrali è una condizione rara che si presenta nella maggior parte dei
casi come complicanza dell’otite media ed uno stato di ipercoagulabilità, ereditario o acquisito, costituisce un importante
fattore di rischio. Nel caso si sospetti un estensione del processo infettivo, le tecniche di neuroimaging, ed in particolare
la RM, sono fondamentali per la diagnosi. L’approccio terapeutico è controverso: Attualmente, quello ritenuto più valido,
consiste nella chirurgia conservativa (mastoidectomia) associata alla terapia antibiotica, mentre è ancora discusso l’uso
della terapia anticoagulante. Verrà di seguito descritto il caso di una bambina che ha presentato trombosi dei seni
sigmoide e trasverso in seguito a oto-mastoidite, nella quale è stata dimostrata la presenza di uno stato trombofilico
(omozigosi dell’MTHFR 667C>T ed eterozigosi del Fattore II 20210G>A).
Scopo: attraverso questo caso, gli autori si propongono di effettuare una revisione della letteratura sulla gestione e il
trattamento della trombosi dei seni venosi cerebrali. In particolare, si intende:
-Sottolineare l’importanza dello screening trombofilico, anche nei casi di trombosi dei seni venosi cerebrali ad eziologia
chiaramente infettiva.
-Il ruolo della terapia anticoagulante.
-Il ruolo delle tecniche di neuroimaging.
Metodologie e soggetti: bambina di quattro anni, giunta presso il DEA del suo comune di residenza per una
sintomatologia caratterizzata da cefalea retronucale in assenza di febbre da circa tre giorni, diplopia ingravescente e
strabismo convergente occhio destro. Quindici giorni prima era stata fatta diagnosi di otite acuta, trattata con amoxicillina
ed acido clavulanico. Esegue TAC senza m.d.c. che evidenzia sospetta emorragia cerebrale a livello del tentorio
cerebellare di destra. Viene trasferita presso il DEA del nostro nosocomio dove esegue:
-RMN encefalo con mdc e angio-RM venosa: estesa colata trombotica a carico del seno trasverso e sigmoideo con
associata ipoplasia dei seni contro laterali. Concomitante flogosi cronica della cassa timpanica con estensione alla
mastoide destra.
-Esami ematici: aumento degli indici di flogosi.
In regime di ricovero vengono eseguite:
-terapia antibiotica per 15 giorni con teicoplanina (200 mg per due e.v.) e meropenem (800 mg e.v. per tre).
-Screening trombofilico in quarta giornata: omozigosi dell’MTHFR 667C>T ed eterozigosi del Fattore II 20210G>A.
-Terapia con eparina non frazionata ad alto peso molecolare (75 Ul/kg in mezz’ora) per 10 giorni, monitorizzata con
controlli seriati del PTT secondo l’ACCP (Conference on Antithrombotic and Thrombolytic Therapy).
-RMN di controllo: quasi totale risoluzione della colata trombotica con persistenza di un minimo residuo infiammatorio a
livello delle celle mastoidee di destra.
Le condizioni cliniche della paziente sono migliorate nel corso del ricovero con rapida risoluzione dello strabismo e della
diplopia. Attualmente la bambina è in un buona salute e non ha presentato né esiti neurologici né ipoacusia.
Risultati e discussione: la trombosi venosa dei seni cerebrali è una patologia multifattoriale. La presenza di uno stato di
ipercoagulabilità è un importante fattore di rischio ed è pertanto essenziale eseguire lo screening trombofilico nei casi di
TVSC. Qualora sia positivo, la terapia anticoagulante è d’obbligo. Le tecniche di neuroimaging sono essenziali per la
diagnosi: la RM ha una maggior risoluzione della TAC per evidenziare la presenza del trombo e l’occlusione del vaso,
mentre l’angio-RM è utile nei casi dubbi.
Background scientifico: la trombosi dei seni venosi cerebrali è una condizione rara che si presenta nella maggior parte dei
casi come complicanza dell’otite media ed uno stato di ipercoagulabilità, ereditario o acquisito, costituisce un importante
fattore di rischio. Nel caso si sospetti un estensione del processo infettivo, le tecniche di neuroimaging, ed in particolare
la RM, sono fondamentali per la diagnosi. L’approccio terapeutico è controverso: Attualmente, quello ritenuto più valido,
consiste nella chirurgia conservativa (mastoidectomia) associata alla terapia antibiotica, mentre è ancora discusso l’uso
della terapia anticoagulante. Verrà di seguito descritto il caso di una bambina che ha presentato trombosi dei seni
sigmoide e trasverso in seguito a oto-mastoidite, nella quale è stata dimostrata la presenza di uno stato trombofilico
(omozigosi dell’MTHFR 667C>T ed eterozigosi del Fattore II 20210G>A).
Scopo: attraverso questo caso, gli autori si propongono di effettuare una revisione della letteratura sulla gestione e il
trattamento della trombosi dei seni venosi cerebrali. In particolare, si intende:
-Sottolineare l’importanza dello screening trombofilico, anche nei casi di trombosi dei seni venosi cerebrali ad eziologia
chiaramente infettiva.
-Il ruolo della terapia anticoagulante.
-Il ruolo delle tecniche di neuroimaging.
Metodologie e soggetti: bambina di quattro anni, giunta presso il DEA del suo comune di residenza per una
sintomatologia caratterizzata da cefalea retronucale in assenza di febbre da circa tre giorni, diplopia ingravescente e
strabismo convergente occhio destro. Quindici giorni prima era stata fatta diagnosi di otite acuta, trattata con amoxicillina
ed acido clavulanico. Esegue TAC senza m.d.c. che evidenzia sospetta emorragia cerebrale a livello del tentorio
cerebellare di destra. Viene trasferita presso il DEA del nostro nosocomio dove esegue:
-RMN encefalo con mdc e angio-RM venosa: estesa colata trombotica a carico del seno trasverso e sigmoideo con
associata ipoplasia dei seni contro laterali. Concomitante flogosi cronica della cassa timpanica con estensione alla
mastoide destra.
-Esami ematici: aumento degli indici di flogosi.
In regime di ricovero vengono eseguite:
-terapia antibiotica per 15 giorni con teicoplanina (200 mg per due e.v.) e meropenem (800 mg e.v. per tre).
-Screening trombofilico in quarta giornata: omozigosi dell’MTHFR 667C>T ed eterozigosi del Fattore II 20210G>A.
-Terapia con eparina non frazionata ad alto peso molecolare (75 Ul/kg in mezz’ora) per 10 giorni, monitorizzata con
controlli seriati del PTT secondo l’ACCP (Conference on Antithrombotic and Thrombolytic Therapy).
-RMN di controllo: quasi totale risoluzione della colata trombotica con persistenza di un minimo residuo infiammatorio a
livello delle celle mastoidee di destra.
Le condizioni cliniche della paziente sono migliorate nel corso del ricovero con rapida risoluzione dello strabismo e della
diplopia. Attualmente la bambina è in un buona salute e non ha presentato né esiti neurologici né ipoacusia.
Risultati e discussione: la trombosi venosa dei seni cerebrali è una patologia multifattoriale. La presenza di uno stato di
ipercoagulabilità è un importante fattore di rischio ed è pertanto essenziale eseguire lo screening trombofilico nei casi di
TVSC. Qualora sia positivo, la terapia anticoagulante è d’obbligo. Le tecniche di neuroimaging sono essenziali per la
diagnosi: la RM ha una maggior risoluzione della TAC per evidenziare la presenza del trombo e l’occlusione del vaso,
mentre l’angio-RM è utile nei casi dubbi.
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SHOCK CARDIOGENO ALL'ESORDIO DI SCLEROSI MULTIPLA IN MASCHIO DI
13 ANNI
SHOCK CARDIOGENO ALL'ESORDIO DI SCLEROSI MULTIPLA IN MASCHIO DI
13 ANNI
Molinaro A.*, Zonno G.*, Milesi G.°, Cordioli C.', Micheli R.*, Fazzi E.^*
*UONPIA - A.O. Spedali Civili, Brescia, ° Cattedra di Cardiologia - Spedali Civili, Brescia,
'Centro Regionale Sclerosi Multipla-Spedali Civili, Brescia, ^ Dipartimento Materno-Infantile,
Università degli Studi di Brescia
Molinaro A.*, Zonno G.*, Milesi G.°, Cordioli C.', Micheli R.*, Fazzi E.^*
*UONPIA - A.O. Spedali Civili, Brescia, ° Cattedra di Cardiologia - Spedali Civili, Brescia,
'Centro Regionale Sclerosi Multipla-Spedali Civili, Brescia, ^ Dipartimento Materno-Infantile,
Università degli Studi di Brescia
Background: la Sclerosi Multipla (SM) è rara in età pediatrica e, nonostante in letteratura siano già stati riportati numerosi
casi di pazienti adulti con SM e disfunzione ventricolare sinistra, a nostra conoscenza non è mai stata riportata la
comparsa di shock cardiogeno all'esordio di SM in età pediatrica.
Obiettivo: presentazione di un caso personale e discussione della possibile correlazione tra cardiopatia acuta e SM.
Caso clinico: maschio di 13 anni altrimenti sano, ricoverato il 27/5/09 c/o Rianimazione Pediatrica A.O. Spedali Civili di
Brescia per improvvisa cefalea, letargia e tachidispnea. 1 e 3 settimane prima aveva presentato 2 episodi di vertigine,
vomito e cefalea trattati con beneficio con betaistina (Microser). Al ricovero: progressiva instabilizzazione del compenso
emodinamico con ipotensione marcata e sviluppo di quadro di shock cardiogeno. trattato con inotropi, amiodarone,
steroidi, antibiotici e ventilazione meccanica. All’ecocardiogramma Doppler riscontro di severa disfunzione sistolica e
diastolica ventricolare sinistra e insufficienza valvolare mitralica funzionale associata. TC encefalo (27/5): nella norma.
RM encefalo (30/5; eseguita per comparsa di nistagmo, diplopia, cefalea e vertigini): multiple lesioni demielinizzanti
compatibili con SM. Esame del liquor diretto e colturale nella norma; PCR per virus neurotropi negativa; indice di Link
0.6; isoelettrofocusing: presenza di discreto numero di bande oligoclonali. Sierologia negativa per Herpesvirus,
Enterovirus, Coxsackievirus, Echovirus, Clamidia, Micoplasma e Borrelia. PEV, PESS e BAEP nei limiti di norma.
Durante il decorso progressivo miglioramento del compenso emodinamico con rapida normalizzazione della funzione
sisto-diastolica del ventricolo sinistro e completa risoluzione dell’insufficienza valvolare mitralica. In settima giornata
l’obiettività cardiologica, neurologica e la valutazione neuropsicologica erano normali. Da luglio 2009 iniziato interferone
beta-1a (Avonex 30 mcg i.m./settimana), fisicamente ben tollerato ma sospeso per rifiuto psicologico 10 mesi dopo. Il
quadro neurologico e di RM encefalo-midollo è stabile ai controlli a 6-12-18 mesi dall'esordio. La funzionalità cardiaca è
sempre rimasta nella norma.
Discussione e conclusioni: nonostante in letteratura siano già stati riportati pazienti adulti con disfunzione ventricolare
sinistra acuta durante poussées di SM o a seguito di terapia con mitoxantrone, non è a noi nota la descrizione di un quadro
di shock cardiogeno rapidamente reversibile all'esordio di SM in età pediatrica. La correlazione tra insorgenza di SM ed
episodi di insufficienza cardiaca acuta non è nota. Un'infezione virale è già stata proposta come possibile trigger sia per la
patogenesi della SM (e altre malattie demielinizzanti) sia come causa di miocardite esitante in una disfunzione sistolica
ventricolare sinistra. E’ stato inoltre ipotizzato che lo sviluppo di disfunzione ventricolare sinistra sia cronica che acuta
possa essere correlato ad una alterazione dell’equilibrio simpato-vagale. In effetti, il ricontro di disfunzione autonomica è
stata ampiamente descritta nei pazienti con SM (Thomaides et al, 1993; Linden et al, 1995; Beer et al, 2001; Olindo et al,
2002; Haensch et al, 2006), tanto da spingere ad utilizzare con cautela farmaci immunosoppressori, come il mitoxantrone,
potenzialmente cardiotossici.
Background: la Sclerosi Multipla (SM) è rara in età pediatrica e, nonostante in letteratura siano già stati riportati numerosi
casi di pazienti adulti con SM e disfunzione ventricolare sinistra, a nostra conoscenza non è mai stata riportata la
comparsa di shock cardiogeno all'esordio di SM in età pediatrica.
Obiettivo: presentazione di un caso personale e discussione della possibile correlazione tra cardiopatia acuta e SM.
Caso clinico: maschio di 13 anni altrimenti sano, ricoverato il 27/5/09 c/o Rianimazione Pediatrica A.O. Spedali Civili di
Brescia per improvvisa cefalea, letargia e tachidispnea. 1 e 3 settimane prima aveva presentato 2 episodi di vertigine,
vomito e cefalea trattati con beneficio con betaistina (Microser). Al ricovero: progressiva instabilizzazione del compenso
emodinamico con ipotensione marcata e sviluppo di quadro di shock cardiogeno. trattato con inotropi, amiodarone,
steroidi, antibiotici e ventilazione meccanica. All’ecocardiogramma Doppler riscontro di severa disfunzione sistolica e
diastolica ventricolare sinistra e insufficienza valvolare mitralica funzionale associata. TC encefalo (27/5): nella norma.
RM encefalo (30/5; eseguita per comparsa di nistagmo, diplopia, cefalea e vertigini): multiple lesioni demielinizzanti
compatibili con SM. Esame del liquor diretto e colturale nella norma; PCR per virus neurotropi negativa; indice di Link
0.6; isoelettrofocusing: presenza di discreto numero di bande oligoclonali. Sierologia negativa per Herpesvirus,
Enterovirus, Coxsackievirus, Echovirus, Clamidia, Micoplasma e Borrelia. PEV, PESS e BAEP nei limiti di norma.
Durante il decorso progressivo miglioramento del compenso emodinamico con rapida normalizzazione della funzione
sisto-diastolica del ventricolo sinistro e completa risoluzione dell’insufficienza valvolare mitralica. In settima giornata
l’obiettività cardiologica, neurologica e la valutazione neuropsicologica erano normali. Da luglio 2009 iniziato interferone
beta-1a (Avonex 30 mcg i.m./settimana), fisicamente ben tollerato ma sospeso per rifiuto psicologico 10 mesi dopo. Il
quadro neurologico e di RM encefalo-midollo è stabile ai controlli a 6-12-18 mesi dall'esordio. La funzionalità cardiaca è
sempre rimasta nella norma.
Discussione e conclusioni: nonostante in letteratura siano già stati riportati pazienti adulti con disfunzione ventricolare
sinistra acuta durante poussées di SM o a seguito di terapia con mitoxantrone, non è a noi nota la descrizione di un quadro
di shock cardiogeno rapidamente reversibile all'esordio di SM in età pediatrica. La correlazione tra insorgenza di SM ed
episodi di insufficienza cardiaca acuta non è nota. Un'infezione virale è già stata proposta come possibile trigger sia per la
patogenesi della SM (e altre malattie demielinizzanti) sia come causa di miocardite esitante in una disfunzione sistolica
ventricolare sinistra. E’ stato inoltre ipotizzato che lo sviluppo di disfunzione ventricolare sinistra sia cronica che acuta
possa essere correlato ad una alterazione dell’equilibrio simpato-vagale. In effetti, il ricontro di disfunzione autonomica è
stata ampiamente descritta nei pazienti con SM (Thomaides et al, 1993; Linden et al, 1995; Beer et al, 2001; Olindo et al,
2002; Haensch et al, 2006), tanto da spingere ad utilizzare con cautela farmaci immunosoppressori, come il mitoxantrone,
potenzialmente cardiotossici.
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CARATTERIZZAZIONE FUNZIONALE DI UNA NUOVA MUTAZIONE NEL GENE
TRPV4 IN UNA PAZIENTE CON SMA DISTALE CONGENITA E PARALISI DELLE
CORDE VOCALI
CARATTERIZZAZIONE FUNZIONALE DI UNA NUOVA MUTAZIONE NEL GENE
TRPV4 IN UNA PAZIENTE CON SMA DISTALE CONGENITA E PARALISI DELLE
CORDE VOCALI
Moro F.1, Fiorillo C.1, Astrea G.1, Battini R.1, Guelly C.2, Auer-Grumbach M.2, Bruno C.1,
Santorelli F. M.1
1
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa; 2Center for Medical Research, Università di Graz, Austria
Moro F.1, Fiorillo C.1, Astrea G.1, Battini R.1, Guelly C.2, Auer-Grumbach M.2, Bruno C.1,
Santorelli F. M.1
1
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa; 2Center for Medical Research, Università di Graz, Austria
Il gene TRPV4 (Transient receptor potential vanilloid 4) (cr. 12q23-q24.1) codifica per un canale di membrana cationico
che media l’entrata degli ioni calcio all’interno della cellula in risposta a stimoli fisici e chimici. Recentemente, sono state
descritte mutazioni in TRPV4 in famiglie con atrofia muscolare spinale (SMA) distale congenita, SMA scapoloperoneale
e neuropatia ereditaria tipo 2C. Il nostro gruppo presenta dati clinici e genetici di una bambina con diagnosi di SMA
distale congenita e paralisi delle corde vocali, in cui abbiamo individuato una nuova mutazione missenso di TRPV4. La
mutazione è inaspettatamente localizzata a livello amino-terminale a monte del dominio delle anchirine dove sono state
identificate la maggior parte delle mutazioni note. Il dosaggio del calcio citoplasmatico e gli studi delle correnti mediante
metodica patch-clamp in linee cellulari hanno evidenziato una significativa perdita di funzione del canale mutato rispetto
al controllo. L’espressione della proteina TRPV4 testata mediante immunofluorescenza su campioni di biopsia muscolare
e sulla linea di fibroblasti della paziente non sembra essere alterata, sebbene l’analisi della biopsia di cute della paziente
con microscopia elettronica evidenzia una totale assenza di espressione della proteina mutata a livello dei cheratinociti
rispetto al controllo. L’analisi molecolare di TRPV4 condotta in altri 4 pazienti con SMA distale congenita senza paralisi
delle corde vocali è risultata negativa. I nostri risultati contribuiscono a confermare l’eterogeneità fenotipica associata alle
mutazioni TRPV4.
Il gene TRPV4 (Transient receptor potential vanilloid 4) (cr. 12q23-q24.1) codifica per un canale di membrana cationico
che media l’entrata degli ioni calcio all’interno della cellula in risposta a stimoli fisici e chimici. Recentemente, sono state
descritte mutazioni in TRPV4 in famiglie con atrofia muscolare spinale (SMA) distale congenita, SMA scapoloperoneale
e neuropatia ereditaria tipo 2C. Il nostro gruppo presenta dati clinici e genetici di una bambina con diagnosi di SMA
distale congenita e paralisi delle corde vocali, in cui abbiamo individuato una nuova mutazione missenso di TRPV4. La
mutazione è inaspettatamente localizzata a livello amino-terminale a monte del dominio delle anchirine dove sono state
identificate la maggior parte delle mutazioni note. Il dosaggio del calcio citoplasmatico e gli studi delle correnti mediante
metodica patch-clamp in linee cellulari hanno evidenziato una significativa perdita di funzione del canale mutato rispetto
al controllo. L’espressione della proteina TRPV4 testata mediante immunofluorescenza su campioni di biopsia muscolare
e sulla linea di fibroblasti della paziente non sembra essere alterata, sebbene l’analisi della biopsia di cute della paziente
con microscopia elettronica evidenzia una totale assenza di espressione della proteina mutata a livello dei cheratinociti
rispetto al controllo. L’analisi molecolare di TRPV4 condotta in altri 4 pazienti con SMA distale congenita senza paralisi
delle corde vocali è risultata negativa. I nostri risultati contribuiscono a confermare l’eterogeneità fenotipica associata alle
mutazioni TRPV4.
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ATTACCAMENTO ED EPILESSIA
ATTACCAMENTO ED EPILESSIA
Olivito C., Deodato C., Bruccini G., Spanò M., Sgro D.L., Tortorella G.
U.O.C. NPI-policlinico universitario Messina
Olivito C., Deodato C., Bruccini G., Spanò M., Sgro D.L., Tortorella G.
U.O.C. NPI-policlinico universitario Messina
L’epilessia in età evolutiva rappresenta un fattore di rischio “biologico” sia di disturbi comportamentali nel bambino che
di difficoltà di adattamento dell’intero nucleo familiare.
Lo scopo dello studio è di esaminare il legame di attaccamento, classificato secondo i criteri della Ainsworth, in bambini
epilettici di età compresa tra i 4 e i 9 anni, valutando 1) se esistano o meno delle differenze tra la distribuzione dei vari
pattern di attaccamento nel campione epilettico rispetto a una popolazione sana e 2) in che misura il temperamento del
bambino e lo stress genitoriale incidano nel determinare le specifiche modalità di interazione madre-bambino.
Il campione clinico è costituito da 18 bambini affetti da epilessia, di età compresa tra i 4 e i 9 anni e dalle rispettive madri;
un livello intellettivo medio-basso o superiore alla media (QI>70) è stato richiesto per l’inclusione nello studio. Il gruppo
controllo, costituito da bambini sani, è stato comparato per età, sesso e caratteristiche sociodemografiche al campione
clinico.
Per quanto riguarda le variabili correlate all’epilessia, il 50% del campione è affetto da epilessia parziale, il 17% da
epilessia tipo assenza, il 15% da epilessia con crisi tonico-cloniche generalizzate, il rimanente 18% ha una diagnosi di
epilessia rolandica, convulsioni febbrili complesse o epilessia mioclonica benigna. L’età media di esordio degli episodi
critici è di 34 mesi: all’epoca del primo episodio critico, il pattern EEG risultava nella norma nel 55% del campione
clinico, il 35% presentava anomalie focali e il restante 10% anomalie generalizzate. L’80% del campione clinico è stato
sottoposto a RMN encefalo, risultata nella norma tranne che in un bambino (displasia a livello dell’ippocampo di
sinistra). Il 65% dei bambini epilettici è in monoterapia (farmaco più frequentemente usato: acido valproico); il 18% è in
trattamento con due farmaci, mentre il rimanente 17% non assume alcuna terapia. Tutti i bambini epilettici hanno
raggiunto un buon controllo della sintomatologia critica (frequenza media degli episodi critici<1 episodio ogni sei mesi).
Per valutare il legame di attaccamento si è utilizzato il Separation Anxiety Test, per valutare lo stress genitoriale il
Parenting Stress Index e infine il temperamento del bambino è stato esaminato mediante i Questionari Italiani del
Temperamento.
Dai dati ottenuti emerge che esiste una differenza nella distribuzione dei pattern di attaccamento tra il campione clinico e
il gruppo controllo; nel campione clinico infatti prevale il pattern di attaccamento insicuro rispetto a quello sicuro.
Le madri dei bambini epilettici, più frequentemente rispetto alle madri dei bambini sani, presentano livelli elevati di stress
genitoriale con punteggi significativi in tutte le sottoscale del Parenting Stress Index.
I bambini epilettici tendono a presentare più frequentemente rispetto ai bambini sani un temperamento difficile, con
punteggi bassi di Emozionalità positiva oppure punteggi elevati di Emozionalità negativa.
Infine lo stress genitoriale, ma non le caratteristiche temperamentali difficili del bambino, si correlano con un pattern di
attaccamento insicuro, sia nel campione clinico che nel gruppo controllo.
In conclusione, lo stato di salute del bambino può influenzare la modalità di interazione di quest’ultimo con la rispettiva
figura di riferimento; nel caso di una malattia cronica come l’epilessia, se la madre di un bambino epilettico non elabora il
lutto per la perdita del figlio “perfetto”, ovvero sano, il suo comportamento risulterà poco responsivo nei confronti dei
segnali del bambino. L’impatto della figura materna sulla relazione madre-bambino è maggiore rispetto a quello del
temperamento infantile; la madre è la principale “determinante” del pattern di attaccamento, in grado anche di superare
quelle caratteristiche temperamentali difficili del bambino che impedirebbero l’instaurarsi di una relazione genitorebambino ottimale.
L’epilessia in età evolutiva rappresenta un fattore di rischio “biologico” sia di disturbi comportamentali nel bambino che
di difficoltà di adattamento dell’intero nucleo familiare.
Lo scopo dello studio è di esaminare il legame di attaccamento, classificato secondo i criteri della Ainsworth, in bambini
epilettici di età compresa tra i 4 e i 9 anni, valutando 1) se esistano o meno delle differenze tra la distribuzione dei vari
pattern di attaccamento nel campione epilettico rispetto a una popolazione sana e 2) in che misura il temperamento del
bambino e lo stress genitoriale incidano nel determinare le specifiche modalità di interazione madre-bambino.
Il campione clinico è costituito da 18 bambini affetti da epilessia, di età compresa tra i 4 e i 9 anni e dalle rispettive madri;
un livello intellettivo medio-basso o superiore alla media (QI>70) è stato richiesto per l’inclusione nello studio. Il gruppo
controllo, costituito da bambini sani, è stato comparato per età, sesso e caratteristiche sociodemografiche al campione
clinico.
Per quanto riguarda le variabili correlate all’epilessia, il 50% del campione è affetto da epilessia parziale, il 17% da
epilessia tipo assenza, il 15% da epilessia con crisi tonico-cloniche generalizzate, il rimanente 18% ha una diagnosi di
epilessia rolandica, convulsioni febbrili complesse o epilessia mioclonica benigna. L’età media di esordio degli episodi
critici è di 34 mesi: all’epoca del primo episodio critico, il pattern EEG risultava nella norma nel 55% del campione
clinico, il 35% presentava anomalie focali e il restante 10% anomalie generalizzate. L’80% del campione clinico è stato
sottoposto a RMN encefalo, risultata nella norma tranne che in un bambino (displasia a livello dell’ippocampo di
sinistra). Il 65% dei bambini epilettici è in monoterapia (farmaco più frequentemente usato: acido valproico); il 18% è in
trattamento con due farmaci, mentre il rimanente 17% non assume alcuna terapia. Tutti i bambini epilettici hanno
raggiunto un buon controllo della sintomatologia critica (frequenza media degli episodi critici<1 episodio ogni sei mesi).
Per valutare il legame di attaccamento si è utilizzato il Separation Anxiety Test, per valutare lo stress genitoriale il
Parenting Stress Index e infine il temperamento del bambino è stato esaminato mediante i Questionari Italiani del
Temperamento.
Dai dati ottenuti emerge che esiste una differenza nella distribuzione dei pattern di attaccamento tra il campione clinico e
il gruppo controllo; nel campione clinico infatti prevale il pattern di attaccamento insicuro rispetto a quello sicuro.
Le madri dei bambini epilettici, più frequentemente rispetto alle madri dei bambini sani, presentano livelli elevati di stress
genitoriale con punteggi significativi in tutte le sottoscale del Parenting Stress Index.
I bambini epilettici tendono a presentare più frequentemente rispetto ai bambini sani un temperamento difficile, con
punteggi bassi di Emozionalità positiva oppure punteggi elevati di Emozionalità negativa.
Infine lo stress genitoriale, ma non le caratteristiche temperamentali difficili del bambino, si correlano con un pattern di
attaccamento insicuro, sia nel campione clinico che nel gruppo controllo.
In conclusione, lo stato di salute del bambino può influenzare la modalità di interazione di quest’ultimo con la rispettiva
figura di riferimento; nel caso di una malattia cronica come l’epilessia, se la madre di un bambino epilettico non elabora il
lutto per la perdita del figlio “perfetto”, ovvero sano, il suo comportamento risulterà poco responsivo nei confronti dei
segnali del bambino. L’impatto della figura materna sulla relazione madre-bambino è maggiore rispetto a quello del
temperamento infantile; la madre è la principale “determinante” del pattern di attaccamento, in grado anche di superare
quelle caratteristiche temperamentali difficili del bambino che impedirebbero l’instaurarsi di una relazione genitorebambino ottimale.
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LIPODISTROFIA GENERALIZZATA ED EPILESSIA MIOCLONICA PROGRESSIVA:
STUDIO ELETTROCLINICO DI 3 SOGGETTI
LIPODISTROFIA GENERALIZZATA ED EPILESSIA MIOCLONICA PROGRESSIVA:
STUDIO ELETTROCLINICO DI 3 SOGGETTI
Opri R., Darra F., Fontana E., Beggiato A., Beozzo V., Mingarelli A., Dalla Bernardina B.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, AOUI Verona, Università degli Studi di Verona
Opri R., Darra F., Fontana E., Beggiato A., Beozzo V., Mingarelli A., Dalla Bernardina B.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, AOUI Verona, Università degli Studi di Verona
Background scientifico: la lipodistrofia generalizzata congenita (S. Berardinelli-Seip) è una rara patologia AR
genotipicamente eterogenea (geni AGPAT2, BSCL2, CAV1) caratterizzata da un’assenza diffusa di tessuto adiposo sin
dai primi mesi di vita, ipertrigliceridemia severa e precoce e dalla seconda decade insulinoresistenza e diabete. Il
coinvolgimento del sistema nervoso centrale, raro per mutazioni dei geni AGPAT2 e CAV1, si esprime nell’80% dei
soggetti portatori di mutazione BSCL2 con solo ritardo mentale lieve. In un unico caso è riportata in letteratura
l’associazione di LGC ed Epilessia Mioclonica Progressiva Lafora-like, in assenza tuttavia di mutazioni interessanti i geni
EPM2A e EPM2B.
Scopo: nel presente lavoro descriveremo l’evoluzione del quadro elettroclinico in 3 pazienti seguiti presso il nostro
Servizio per Epilessia Mioclonica Progressiva nel contesto di Sindrome di Berardinelli.
Metodologie e soggetti: i 3 pazienti presentano sin dai primi mesi di vita l’aspetto distrofico ed i tratti tipici della LGC,
venendo pertanto precocemente e continuativamente trattati con un appropriato regime dietetico. Tutti i pazienti
presentano un ritardo globale dello sviluppo psicomotorio, raggiungendo pur tuttavia la deambulazione autonoma entro i
20m, il controllo sfinterico ed una produzione verbale discreta entro i 3aa. In un’età variabile tra i 12m e i 5aa2m (età
media 3aa6m), si manifesta nei nostri pz un’epilessia generalizzata con crisi a tipo d’assenza mioclonica e fenomeni
mioclono-inibitori. Il quadro EEG appare caratterizzato in questa fase da una buona organizzazione dell’attività elettrica
cerebrale, con parossismi a tipo di P-PPO ampia, degradata, predominanti sulle regioni fronto-centrali e del vertice, isolati
o in brevi bouffees diffuse, con correlato clinico di assenza mioclonica o fenomeno mioclono-inibitorio. Dopo un
variabile intervallo di tempo l’epilessia diviene farmacoresistente, con “stati mioclonici” frequenti ed elicitati dagli eventi
infettivi intercorrenti. In questa seconda fase si osserva all’EEG una predominanza di componenti theta sulle regioni
rolandiche, con correlato EMG di mioclonie subcontinue. A fronte di un adeguato compenso metabolico, all’età di 6aa6m
si apprezza in tutti i pazienti un repentino decadimento cognitivo sino alla demenza, mentre si realizza sul versante
neuromotorio un quadro di tetraparesi spastica con mioclono continuo degli arti e del distretto orofaringeo. Negli stadi più
avanzati di malattia l’attività elettrica cerebrale appare scarsamente organizzata con attività dominante theta monomorfa
diffusa, rari parossismi a carico delle regioni rolandiche e comparsa di fotosensibilità infraclinica alle basse frequenze di
stimolazione. Il follow-up neuroradiologico documenta nelle fasi precoci di malattia un’iperintensità di segnale T2 e
FLAIR a carico della sostanza bianca peritrigonale e successivamente un’atrofia cortico-sottocorticale progressiva. Le
indagini metaboliche di screening e di secondo livello, la biopsia di cute, il cariotipo e lo studio CGH-Array sono
negativi. In un paziente è stata ricercata la mutazione a carico del gene BSCL2, con reperto di stato di eterozigote
composto; il genotipo degli altri due pazienti è stato ricavato indirettamente tramite analisi dei genitori con reperto di
omozigote con assenza di proteina funzionale.
Risultati e discussioni: la S. di Berardinelli è secondo la letteratura raramente associata a deficits neurologici importanti.
Tuttavia la nostra casistica suggerisce che, almeno in una piccola percentuale di casi e verosimilmente per mutazioni a
carico del gene BSCL2, il quadro dismetabolico potrebbe associarsi ad una forma di Epilessia Mioclonica con esordio
precoce e caratteristiche di evolutività indipendentemente dal rapido raggiungimento di un adeguato compenso
metabolico.
Background scientifico: la lipodistrofia generalizzata congenita (S. Berardinelli-Seip) è una rara patologia AR
genotipicamente eterogenea (geni AGPAT2, BSCL2, CAV1) caratterizzata da un’assenza diffusa di tessuto adiposo sin
dai primi mesi di vita, ipertrigliceridemia severa e precoce e dalla seconda decade insulinoresistenza e diabete. Il
coinvolgimento del sistema nervoso centrale, raro per mutazioni dei geni AGPAT2 e CAV1, si esprime nell’80% dei
soggetti portatori di mutazione BSCL2 con solo ritardo mentale lieve. In un unico caso è riportata in letteratura
l’associazione di LGC ed Epilessia Mioclonica Progressiva Lafora-like, in assenza tuttavia di mutazioni interessanti i geni
EPM2A e EPM2B.
Scopo: nel presente lavoro descriveremo l’evoluzione del quadro elettroclinico in 3 pazienti seguiti presso il nostro
Servizio per Epilessia Mioclonica Progressiva nel contesto di Sindrome di Berardinelli.
Metodologie e soggetti: i 3 pazienti presentano sin dai primi mesi di vita l’aspetto distrofico ed i tratti tipici della LGC,
venendo pertanto precocemente e continuativamente trattati con un appropriato regime dietetico. Tutti i pazienti
presentano un ritardo globale dello sviluppo psicomotorio, raggiungendo pur tuttavia la deambulazione autonoma entro i
20m, il controllo sfinterico ed una produzione verbale discreta entro i 3aa. In un’età variabile tra i 12m e i 5aa2m (età
media 3aa6m), si manifesta nei nostri pz un’epilessia generalizzata con crisi a tipo d’assenza mioclonica e fenomeni
mioclono-inibitori. Il quadro EEG appare caratterizzato in questa fase da una buona organizzazione dell’attività elettrica
cerebrale, con parossismi a tipo di P-PPO ampia, degradata, predominanti sulle regioni fronto-centrali e del vertice, isolati
o in brevi bouffees diffuse, con correlato clinico di assenza mioclonica o fenomeno mioclono-inibitorio. Dopo un
variabile intervallo di tempo l’epilessia diviene farmacoresistente, con “stati mioclonici” frequenti ed elicitati dagli eventi
infettivi intercorrenti. In questa seconda fase si osserva all’EEG una predominanza di componenti theta sulle regioni
rolandiche, con correlato EMG di mioclonie subcontinue. A fronte di un adeguato compenso metabolico, all’età di 6aa6m
si apprezza in tutti i pazienti un repentino decadimento cognitivo sino alla demenza, mentre si realizza sul versante
neuromotorio un quadro di tetraparesi spastica con mioclono continuo degli arti e del distretto orofaringeo. Negli stadi più
avanzati di malattia l’attività elettrica cerebrale appare scarsamente organizzata con attività dominante theta monomorfa
diffusa, rari parossismi a carico delle regioni rolandiche e comparsa di fotosensibilità infraclinica alle basse frequenze di
stimolazione. Il follow-up neuroradiologico documenta nelle fasi precoci di malattia un’iperintensità di segnale T2 e
FLAIR a carico della sostanza bianca peritrigonale e successivamente un’atrofia cortico-sottocorticale progressiva. Le
indagini metaboliche di screening e di secondo livello, la biopsia di cute, il cariotipo e lo studio CGH-Array sono
negativi. In un paziente è stata ricercata la mutazione a carico del gene BSCL2, con reperto di stato di eterozigote
composto; il genotipo degli altri due pazienti è stato ricavato indirettamente tramite analisi dei genitori con reperto di
omozigote con assenza di proteina funzionale.
Risultati e discussioni: la S. di Berardinelli è secondo la letteratura raramente associata a deficits neurologici importanti.
Tuttavia la nostra casistica suggerisce che, almeno in una piccola percentuale di casi e verosimilmente per mutazioni a
carico del gene BSCL2, il quadro dismetabolico potrebbe associarsi ad una forma di Epilessia Mioclonica con esordio
precoce e caratteristiche di evolutività indipendentemente dal rapido raggiungimento di un adeguato compenso
metabolico.
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SINDROME 4H: CRITERI DIAGNOSTICI E DESCRIZIONE DI QUATTRO NUOVI
CASI
SINDROME 4H: CRITERI DIAGNOSTICI E DESCRIZIONE DI QUATTRO NUOVI
CASI
Orivoli S.1, Parmeggiani A.1, Rodriguez D.2
1-Servizio di Neuropsichiatria infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna, 2-Service de Neuropédiatrie, Hôpital Armand Trousseau, Université Pierre et Marie
Curie Paris 6
Orivoli S.1, Parmeggiani A.1, Rodriguez D.2
1-Servizio di Neuropsichiatria infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna, 2-Service de Neuropédiatrie, Hôpital Armand Trousseau, Université Pierre et Marie
Curie Paris 6
Background scientifico: la sindrome 4H (Leukodystrophy, Hypomyelinating, with Hypodontia and Hypogonadotropic
Hypogonadism; OMIM: Leukodystrophy, Hypomyelinating, 7) è una leucodistrofia di recente identificazione ed è
caratterizzata dall’associazione di ipomielinizzazione, ipodonzia (anomalie nel processo di dentizione e/o agenesia
dentale) ed ipogonadismo ipogonadotropo, la cui origine molecolare è attualmente sconosciuta.
Scopo dello studio: attraverso l’analisi degli aspetti clinici, radiologici ed endocrinologici presentati dai pazienti affetti da
Sindrome 4H descritti finora in letteratura, abbiamo cercato di precisare i criteri diagnostici di questa sindrome, al fine di
identificare eventuali nuovi casi. L’individuazione di questi criteri ha inoltre permesso la selezione dei candidati per uno
studio genetico di linkage, finalizzato all’identificazione del difetto molecolare che è alla base della patologia.
Metodologie e soggetti: abbiamo quindi eseguito uno studio retrospettivo su una popolazione di pazienti affetti da
leucodistrofia ipomielinizzante di eziologia ignota, afferiti al reparto di Neuropediatria dell’ospedale Armand Trousseau
di Parigi dall’anno 1975 all’anno 2009, per i quali sono stati raccolti i dati relativi alla clinica, alle esplorazioni
radiodiagnostiche, alle esplorazioni neurofisiologiche, agli esami biochimici e metabolici, alle indagini genetiche.
Risultati e discussioni: in seguito all’analisi dei casi di Sindrome 4H precedentemente descritti, vengono proposti i
seguenti criteri diagnostici: ipodonzia (anomalie nel processo di dentizione e/o assenza di denti decidui e/o definitivi);
ipogonadismo ipogonadotropo (clinico e/o biologico e/o riscontrato all’ecografia pelvica); regressione motoria
caratterizzata dall’apparizione di una sindrome cerebellare, dopo l’acquisizione della marcia; atrofia cerebellare; presenza
di uno o più fratelli/sorelle affetti dalla stessa malattia (e che presentano l’ipodonzia). I criteri sono stati inoltre ponderati
al fine di ottenere uno score diagnostico. In conseguenza all’applicazione dei criteri diagnostici proposti alla casistica
dello studio, abbiamo potuto identificare 4 nuovi pazienti che risultano compatibili con una diagnosi di Sindrome 4H. Su
questi pazienti è stata inoltre eseguita un’analisi degli aspetti neurofisiologici, che ha permesso di mettere in evidenza la
presenza di elementi caratteristici (potenziali evocati normali o moderatamente alterati; Elettroretinogramma alterato).
Riteniamo che l’analisi condotta nel corso di questo studio abbia determinato un ampliamento delle attuali conoscenze
sulla Sindrome 4H e, attraverso la definizione di criteri diagnostici, possa permettere un’identificazione più precoce dei
soggetti potenzialmente affetti, nei quali possono poi essere approfondite le esplorazioni.
Background scientifico: la sindrome 4H (Leukodystrophy, Hypomyelinating, with Hypodontia and Hypogonadotropic
Hypogonadism; OMIM: Leukodystrophy, Hypomyelinating, 7) è una leucodistrofia di recente identificazione ed è
caratterizzata dall’associazione di ipomielinizzazione, ipodonzia (anomalie nel processo di dentizione e/o agenesia
dentale) ed ipogonadismo ipogonadotropo, la cui origine molecolare è attualmente sconosciuta.
Scopo dello studio: attraverso l’analisi degli aspetti clinici, radiologici ed endocrinologici presentati dai pazienti affetti da
Sindrome 4H descritti finora in letteratura, abbiamo cercato di precisare i criteri diagnostici di questa sindrome, al fine di
identificare eventuali nuovi casi. L’individuazione di questi criteri ha inoltre permesso la selezione dei candidati per uno
studio genetico di linkage, finalizzato all’identificazione del difetto molecolare che è alla base della patologia.
Metodologie e soggetti: abbiamo quindi eseguito uno studio retrospettivo su una popolazione di pazienti affetti da
leucodistrofia ipomielinizzante di eziologia ignota, afferiti al reparto di Neuropediatria dell’ospedale Armand Trousseau
di Parigi dall’anno 1975 all’anno 2009, per i quali sono stati raccolti i dati relativi alla clinica, alle esplorazioni
radiodiagnostiche, alle esplorazioni neurofisiologiche, agli esami biochimici e metabolici, alle indagini genetiche.
Risultati e discussioni: in seguito all’analisi dei casi di Sindrome 4H precedentemente descritti, vengono proposti i
seguenti criteri diagnostici: ipodonzia (anomalie nel processo di dentizione e/o assenza di denti decidui e/o definitivi);
ipogonadismo ipogonadotropo (clinico e/o biologico e/o riscontrato all’ecografia pelvica); regressione motoria
caratterizzata dall’apparizione di una sindrome cerebellare, dopo l’acquisizione della marcia; atrofia cerebellare; presenza
di uno o più fratelli/sorelle affetti dalla stessa malattia (e che presentano l’ipodonzia). I criteri sono stati inoltre ponderati
al fine di ottenere uno score diagnostico. In conseguenza all’applicazione dei criteri diagnostici proposti alla casistica
dello studio, abbiamo potuto identificare 4 nuovi pazienti che risultano compatibili con una diagnosi di Sindrome 4H. Su
questi pazienti è stata inoltre eseguita un’analisi degli aspetti neurofisiologici, che ha permesso di mettere in evidenza la
presenza di elementi caratteristici (potenziali evocati normali o moderatamente alterati; Elettroretinogramma alterato).
Riteniamo che l’analisi condotta nel corso di questo studio abbia determinato un ampliamento delle attuali conoscenze
sulla Sindrome 4H e, attraverso la definizione di criteri diagnostici, possa permettere un’identificazione più precoce dei
soggetti potenzialmente affetti, nei quali possono poi essere approfondite le esplorazioni.
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GLUT1-DS: POSSIBILE EZIOLOGIA DI FENOTIPI NON SPIEGATI. DISCUSSIONE
SU UN CASO A DIAGNOSI TARDIVA
GLUT1-DS: POSSIBILE EZIOLOGIA DI FENOTIPI NON SPIEGATI. DISCUSSIONE
SU UN CASO A DIAGNOSI TARDIVA
Pellicciari A.1, Santucci M.1, Mei D.2, Guerrini R.2, Marini C.2
1-Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna, 2Servizio di Neurologia Pediatrica, Ospedale pediatrico Meyer, Università di Firenze
Pellicciari A.1, Santucci M.1, Mei D.2, Guerrini R.2, Marini C.2
1-Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna, 2Servizio di Neurologia Pediatrica, Ospedale pediatrico Meyer, Università di Firenze
Background: la Sindrome da deficit di GLUT1 (OMIM 606777) (GLUT1-DS) è un disturbo del metabolismo energetico
cerebrale con un alterato trasporto del glucosio nel cervello, causato da difetto dal trasportatore GLUT 1, codificato da
gene SLC2A1. Classicamente il quadro si manifesta con epilessia precoce, ritardo di sviluppo, microcefalia acquisita,
disabilità intellettiva e vari gradi di spasticità, atassia e distonia. A partire dalle prime descrizioni di casi all’inizio degli
anni ’90, sono stati identificati altri fenotipi associati a GLUT1-DS, con estrema variabilità del fenotipo.
Scopo: descriviamo il caso di una paziente diagnosticata in età adulta per valutare quali elementi clinici potevano
orientare alla diagnosi più precoce e valutare il lungo follow-up.
Caso clinico: femmina, 32 anni. Familiarità positiva per epilessia e dislessia. Non elementi di sofferenza pre-peripostnatale. Ritardo globale dello sviluppo, con da sempre difficoltà motorie. Prima crisi epilettica, parziale motoria dx, a
sei mesi. Dai 3 aa circa episodi parossistici di aggravamento dell’atassia, incoordinazione, rallentamento ed ipotonia di
durata variabile (ore), con graduale recupero, favoriti da stanchezza, digiuno, stagioni calde. Dai 6 mesi ai 2 aa poi dai 10
anni episodi parossistici di breve durata, con diversa semeiologia interpretati come crisi epilettiche. Tutti gli eventi
parossistici si sono ridotti dalla pubertà, fino a cessare nella III decade, quando appare maggiore difficoltà nella motricità
grossolana, sempre comunque ad intensità altalenante. EON: fin dalla prima osservazione in età scolare, cc ai limiti
inferiori della norma; segni piramidali e cerebellari, associati a discinesie. Ritardo mentale di grado moderato-grave. Non
grossolane modificazioni nell’evoluzione. Nel corso del follow-up eseguiti numerosi esami di laboratorio, tra cui indagini
per malattie metaboliche (in particolare mitocondriopatie ) e di neuroimaging, risultate negative. A 32 aa eseguita analisi
del gene SLC2A1, che ha mostrato una mutazione de novo. Una successiva PL ha evidenziato ipoglicorrachia. L’inizio di
dieta chetogena, ha portato benefici nella motricità.
Discussione: la letteratura degli ultimi anni ha messo in evidenza l’eterogeneità fenotipica della GLUT1-DS che va dal
quadro classico con epilessia severa, ritardo psicomotorio e microcefalia acquisita a quadri caratterizzati solo da disturbo
del movimento e/o epilessia, in particolare epilessia mioclono-astatica ed assenze. Una diagnosi precoce è importante per
iniziare tempestivamente la dieta ketogena e per counselling genetico. La diagnosi di GLUT1-DS nella nostra paziente è
stata fatta in età adulta ed il lungo follow-up mostra le conseguenze di una diagnosi tardiva. L’introduzione della dieta
ketogena ha comunque portato benefici motori e cognitivi anche in età adulta. Il caso presentato pertanto sottolinea
l’importanza di eseguire le indagini per GLUT1-DS di fronte a quadri caratterizzati da crisi epilettiche e disturbi del
movimento, in assenza di chiara eziologia.
Background: la Sindrome da deficit di GLUT1 (OMIM 606777) (GLUT1-DS) è un disturbo del metabolismo energetico
cerebrale con un alterato trasporto del glucosio nel cervello, causato da difetto dal trasportatore GLUT 1, codificato da
gene SLC2A1. Classicamente il quadro si manifesta con epilessia precoce, ritardo di sviluppo, microcefalia acquisita,
disabilità intellettiva e vari gradi di spasticità, atassia e distonia. A partire dalle prime descrizioni di casi all’inizio degli
anni ’90, sono stati identificati altri fenotipi associati a GLUT1-DS, con estrema variabilità del fenotipo.
Scopo: descriviamo il caso di una paziente diagnosticata in età adulta per valutare quali elementi clinici potevano
orientare alla diagnosi più precoce e valutare il lungo follow-up.
Caso clinico: femmina, 32 anni. Familiarità positiva per epilessia e dislessia. Non elementi di sofferenza pre-peripostnatale. Ritardo globale dello sviluppo, con da sempre difficoltà motorie. Prima crisi epilettica, parziale motoria dx, a
sei mesi. Dai 3 aa circa episodi parossistici di aggravamento dell’atassia, incoordinazione, rallentamento ed ipotonia di
durata variabile (ore), con graduale recupero, favoriti da stanchezza, digiuno, stagioni calde. Dai 6 mesi ai 2 aa poi dai 10
anni episodi parossistici di breve durata, con diversa semeiologia interpretati come crisi epilettiche. Tutti gli eventi
parossistici si sono ridotti dalla pubertà, fino a cessare nella III decade, quando appare maggiore difficoltà nella motricità
grossolana, sempre comunque ad intensità altalenante. EON: fin dalla prima osservazione in età scolare, cc ai limiti
inferiori della norma; segni piramidali e cerebellari, associati a discinesie. Ritardo mentale di grado moderato-grave. Non
grossolane modificazioni nell’evoluzione. Nel corso del follow-up eseguiti numerosi esami di laboratorio, tra cui indagini
per malattie metaboliche (in particolare mitocondriopatie ) e di neuroimaging, risultate negative. A 32 aa eseguita analisi
del gene SLC2A1, che ha mostrato una mutazione de novo. Una successiva PL ha evidenziato ipoglicorrachia. L’inizio di
dieta chetogena, ha portato benefici nella motricità.
Discussione: la letteratura degli ultimi anni ha messo in evidenza l’eterogeneità fenotipica della GLUT1-DS che va dal
quadro classico con epilessia severa, ritardo psicomotorio e microcefalia acquisita a quadri caratterizzati solo da disturbo
del movimento e/o epilessia, in particolare epilessia mioclono-astatica ed assenze. Una diagnosi precoce è importante per
iniziare tempestivamente la dieta ketogena e per counselling genetico. La diagnosi di GLUT1-DS nella nostra paziente è
stata fatta in età adulta ed il lungo follow-up mostra le conseguenze di una diagnosi tardiva. L’introduzione della dieta
ketogena ha comunque portato benefici motori e cognitivi anche in età adulta. Il caso presentato pertanto sottolinea
l’importanza di eseguire le indagini per GLUT1-DS di fronte a quadri caratterizzati da crisi epilettiche e disturbi del
movimento, in assenza di chiara eziologia.
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CDKL5, VALUTAZIONE DI 8 PAZIENTI ITALIANE E DESCRIZIONE DEL
FENOTIPO CLINICO
CDKL5, VALUTAZIONE DI 8 PAZIENTI ITALIANE E DESCRIZIONE DEL
FENOTIPO CLINICO
Pini G.1, Scusa M. F.1, Bigoni S.2, Felloni B.1, Di Marco P.1, Congiu L.1, Bottiglioni I.1, Frati
R.1, OO Julu P.3, Witt Engerström I.4, Hansen S.5, Apartopoulos F.5, Engerström B.4,
Delamont R. S.6, Smeets E. E. J7, Curfs L.7, Battini R.8, Casarano M.8, Romanelli A.9 ,
Bianchi F.9 , Zappella M.1
Pini G.1, Scusa M. F.1, Bigoni S.2, Felloni B.1, Di Marco P.1, Congiu L.1, Bottiglioni I.1, Frati
R.1, OO Julu P.3, Witt Engerström I.4, Hansen S.5, Apartopoulos F.5, Engerström B.4,
Delamont R. S.6, Smeets E. E. J7, Curfs L.7, Battini R.8, Casarano M.8, Romanelli A.9 ,
Bianchi F.9 , Zappella M.1
1
Rett Center of the Tuscany, Versilia Hospital, Lido di Camaiore, Italy, 2 Medical Genetic Section,
University Hospital of Ferrara, Italy, 3 Wingate Institute of Neurogastroenterology, Queen Mary School of
Medicine and Dentistry, Whitechapel, London, UK, 4, Swedish Rett Centre, Ostersund, Sweden, 5 Institute
of Neurological Sciences, South Glasgow University Hospitals, Glasgow, UK, 6 Department of Clinical
Neuroscience, Institute of Psychiatry, King's College London, London, UK, 7 Department of Clinical
Genetics, Academic Hospital Maastricht, Maastricht, The Netherlands, 8 IRCCS Stella Maris, Pisa, Italy, 9
CNR- Italian National Research Council, Pisa, Italy
1
Rett Center of the Tuscany, Versilia Hospital, Lido di Camaiore, Italy, 2 Medical Genetic Section,
University Hospital of Ferrara, Italy, 3 Wingate Institute of Neurogastroenterology, Queen Mary School of
Medicine and Dentistry, Whitechapel, London, UK, 4, Swedish Rett Centre, Ostersund, Sweden, 5 Institute
of Neurological Sciences, South Glasgow University Hospitals, Glasgow, UK, 6 Department of Clinical
Neuroscience, Institute of Psychiatry, King's College London, London, UK, 7 Department of Clinical
Genetics, Academic Hospital Maastricht, Maastricht, The Netherlands, 8 IRCCS Stella Maris, Pisa, Italy, 9
CNR- Italian National Research Council, Pisa, Italy
Background: La sindrome di Rett (RTT) è un grave disturbo dello sviluppo neurologico che interessa quasi esclusivamente le
femmine. La variante di Hanefeld caratterizzata da esordio precoce delle crisi, denominata anche “early-onset variant”, è stata
associata con mutazione del gene X-linked cyclin-dependent kinase-like 5, noto anche come CDKL5 o STK9 .
Obiettivi: in anni recenti più di 60 pazienti con mutazioni del gene CDKL5 sono stati descritte in letteratura, ma mai è stato
studiato il fenotipo cardiorespiratorio. Il questo studio ci proponiamo di descrivere il nostro campione da un punto di vista clinico,
comportamentale e autonomico.
Metodi: il nostro campione è costituito da 8 bambine con caratteristiche cliniche della variante di Hanefeld giunte
all’osservazione dal 19.4.2004 al 29.12.2010 al Centro di Riferimento Regionale per la Sindrome di Rett (CRR Rett), presso l’
Ospedale Versilia. Per ogni bambina sono stati raccolti dati anamnestici, auxologici, clinici ed è stata compilata la scala
“International Scoring System”. Il sistema nervoso autonomo è stato analizzato mediante il Neuroscopio.
Risultati: tutti i soggetti del campione sono di sesso femminile e presentano una mutazione del gene CDKL5: “missenso” (2 casi),
mutazione “frameshift” (3 casi), mutazione “non senso”(1caso) e delezione (2 casi). L’età media del campione alla valutazione
clinico-strumentale è di 11 anni (Range 2-26). Alla nascita 6 pazienti presentavano una circonferenza cranica nel range della
norma, una bambina aveva un valore maggiore del 95° percentile, (un valore non è disponibile). Nella metà dei casi la crescita
della circonferenza cranica è progredita regolarmente, mentre l’altra metà ha presentato una decelerazione della crescita, sin dal
primo anno. Tutte le pazienti hanno presentato un grave ritardo dello sviluppo psicomotorio. La deambulazione autonoma è stata
acquisita in 3 casi ed era di tipo atassico; negli altri casi non è stata acquisita. Lo sviluppo cognitivo, valutato attraverso
l’osservazione clinica diretta, risultava gravemente compromesso in tutti i casi ma, secondo la valutazione della Kerr per la
sindrome di Rett rientrava in una entità medio-grave (ISS nel range 14-19). Il linguaggio era assente in tutti i casi. Dal punto di
vista comportamentale sono state identificate caratteristiche comuni quali evitamento dello sguardo, stereotipie manuali
(stereotipie di lavaggio, mano-bocca, applauso) ed in aggiunta, nel 50% dei casi, movimenti ripetitivi del capo. Tutti i soggetti
hanno presentato una diagnosi di epilessia in epoca precoce: l’esordio delle crisi è avvenuto in media entro il terzo mese di vita.
Le manifestazioni epilettiche all’esordio erano rappresentate da: crisi generalizzate tonico-cloniche (1 caso), spasmi infantili (1
caso), crisi parziali di tipo clonico (5 casi). L’evoluzione successiva risultava polimorfica: spasmi in flessione, crisi generalizzate
tonico-cloniche, crisi parziali di cui in un caso di tipo tonico-versive. Una farmacoresistenza era riscontrata in 5 casi; in 3 casi
l’epilessia risultava sufficientemente controllata dalla terapia farmacologica. Il pattern elettroencefalografico evidenziava
anomalie diffuse ed in 2 casi a prevalente localizzazione fronto-temporale mentre in un altro occipitale; in un caso non erano
presenti anomalie significative. Il quadro di RMN encefalo mostrava in 2 casi un aumento aspecifico delle cavità ventricolari e
degli spazi liquorali in sede frontotemporale, in 3 casi una lieve asimmetria del corno occipitale mentre in 3 casi non era evidente
alcuna alterazione. La valutazione autonomica completa delle pazienti ha mostrato un fenotipo cardiorespiratorio di tipo forzato in
7 casi (87,5%) ed 1 di tipo apneustico (12,5%) percentuali in eccesso rispetto alla nostra casistica generale in cui le 117 ragazze
Rett analizzate presentavano tutti i fenotipi cardiorespiratori: forzato (47%), flebile (44,6%) ed apneustico (3,6%). Le anomalie
respiratorie più frequenti risultavano: tachipnea (11,7%), breath holding (3,36%), manovra di Valsalva (0,79%) e apnea (0,62%).
Il tono vagale cardiaco, registrato in stato di quiete, risultava in media di 5,2 con un range compreso tra 2,2-7,6 (lvs: 6-19); il tono
vagale cardiaco massimo era in media di 26,7 con range di 7-40.
Conclusioni: sebbene noi crediamo che la variante di Hanefeld appartenga a tutti gli effetti allo spettro Rett (stessa base
dei sintomi, eccetto l’insorgenza precoce dell’ epilessia e simile disfunzione del DNA dovuta a mutazioni sia del MeCP2
che del CDKL5), il nostro studio contribuisce a delineare il fenotipo comportamentale e cardiorespiratorio. In particolare
a fronte dell’ assenza nella casistica del fenotipo flebile (in cui generalmente prevalgono le apnee) abbiamo riscontrato un
eccesso dei fenotipi forzato ed apneustico rispetto a quanto atteso.
Background: La sindrome di Rett (RTT) è un grave disturbo dello sviluppo neurologico che interessa quasi esclusivamente le
femmine. La variante di Hanefeld caratterizzata da esordio precoce delle crisi, denominata anche “early-onset variant”, è stata
associata con mutazione del gene X-linked cyclin-dependent kinase-like 5, noto anche come CDKL5 o STK9 .
Obiettivi: in anni recenti più di 60 pazienti con mutazioni del gene CDKL5 sono stati descritte in letteratura, ma mai è stato
studiato il fenotipo cardiorespiratorio. Il questo studio ci proponiamo di descrivere il nostro campione da un punto di vista clinico,
comportamentale e autonomico.
Metodi: il nostro campione è costituito da 8 bambine con caratteristiche cliniche della variante di Hanefeld giunte
all’osservazione dal 19.4.2004 al 29.12.2010 al Centro di Riferimento Regionale per la Sindrome di Rett (CRR Rett), presso l’
Ospedale Versilia. Per ogni bambina sono stati raccolti dati anamnestici, auxologici, clinici ed è stata compilata la scala
“International Scoring System”. Il sistema nervoso autonomo è stato analizzato mediante il Neuroscopio.
Risultati: tutti i soggetti del campione sono di sesso femminile e presentano una mutazione del gene CDKL5: “missenso” (2 casi),
mutazione “frameshift” (3 casi), mutazione “non senso”(1caso) e delezione (2 casi). L’età media del campione alla valutazione
clinico-strumentale è di 11 anni (Range 2-26). Alla nascita 6 pazienti presentavano una circonferenza cranica nel range della
norma, una bambina aveva un valore maggiore del 95° percentile, (un valore non è disponibile). Nella metà dei casi la crescita
della circonferenza cranica è progredita regolarmente, mentre l’altra metà ha presentato una decelerazione della crescita, sin dal
primo anno. Tutte le pazienti hanno presentato un grave ritardo dello sviluppo psicomotorio. La deambulazione autonoma è stata
acquisita in 3 casi ed era di tipo atassico; negli altri casi non è stata acquisita. Lo sviluppo cognitivo, valutato attraverso
l’osservazione clinica diretta, risultava gravemente compromesso in tutti i casi ma, secondo la valutazione della Kerr per la
sindrome di Rett rientrava in una entità medio-grave (ISS nel range 14-19). Il linguaggio era assente in tutti i casi. Dal punto di
vista comportamentale sono state identificate caratteristiche comuni quali evitamento dello sguardo, stereotipie manuali
(stereotipie di lavaggio, mano-bocca, applauso) ed in aggiunta, nel 50% dei casi, movimenti ripetitivi del capo. Tutti i soggetti
hanno presentato una diagnosi di epilessia in epoca precoce: l’esordio delle crisi è avvenuto in media entro il terzo mese di vita.
Le manifestazioni epilettiche all’esordio erano rappresentate da: crisi generalizzate tonico-cloniche (1 caso), spasmi infantili (1
caso), crisi parziali di tipo clonico (5 casi). L’evoluzione successiva risultava polimorfica: spasmi in flessione, crisi generalizzate
tonico-cloniche, crisi parziali di cui in un caso di tipo tonico-versive. Una farmacoresistenza era riscontrata in 5 casi; in 3 casi
l’epilessia risultava sufficientemente controllata dalla terapia farmacologica. Il pattern elettroencefalografico evidenziava
anomalie diffuse ed in 2 casi a prevalente localizzazione fronto-temporale mentre in un altro occipitale; in un caso non erano
presenti anomalie significative. Il quadro di RMN encefalo mostrava in 2 casi un aumento aspecifico delle cavità ventricolari e
degli spazi liquorali in sede frontotemporale, in 3 casi una lieve asimmetria del corno occipitale mentre in 3 casi non era evidente
alcuna alterazione. La valutazione autonomica completa delle pazienti ha mostrato un fenotipo cardiorespiratorio di tipo forzato in
7 casi (87,5%) ed 1 di tipo apneustico (12,5%) percentuali in eccesso rispetto alla nostra casistica generale in cui le 117 ragazze
Rett analizzate presentavano tutti i fenotipi cardiorespiratori: forzato (47%), flebile (44,6%) ed apneustico (3,6%). Le anomalie
respiratorie più frequenti risultavano: tachipnea (11,7%), breath holding (3,36%), manovra di Valsalva (0,79%) e apnea (0,62%).
Il tono vagale cardiaco, registrato in stato di quiete, risultava in media di 5,2 con un range compreso tra 2,2-7,6 (lvs: 6-19); il tono
vagale cardiaco massimo era in media di 26,7 con range di 7-40.
Conclusioni: sebbene noi crediamo che la variante di Hanefeld appartenga a tutti gli effetti allo spettro Rett (stessa base
dei sintomi, eccetto l’insorgenza precoce dell’ epilessia e simile disfunzione del DNA dovuta a mutazioni sia del MeCP2
che del CDKL5), il nostro studio contribuisce a delineare il fenotipo comportamentale e cardiorespiratorio. In particolare
a fronte dell’ assenza nella casistica del fenotipo flebile (in cui generalmente prevalgono le apnee) abbiamo riscontrato un
eccesso dei fenotipi forzato ed apneustico rispetto a quanto atteso.
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L’AUTISMO SINDROMICO: CONTRIBUTO ALLA DEFINIZIONE
ETIOPATOGENETICA PER MEZZO DELL’ARRAY-CGH
L’AUTISMO SINDROMICO: CONTRIBUTO ALLA DEFINIZIONE
ETIOPATOGENETICA PER MEZZO DELL’ARRAY-CGH
Pusceddu S., Perria C., Soddu P., Dessì V., Serra G.
Istituto di Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria Sassari
Pusceddu S., Perria C., Soddu P., Dessì V., Serra G.
Istituto di Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria Sassari
Sul piano nosografico per Autismo Sindromico si intende un quadro clinico in cui al Disturbo Generalizzato dello
Sviluppo si associano una o più anomalie congenite e/o segni clinici (MCA) (D. Cohen et al. J of Autism and Dev
Disorders 2005).
Scopo del nostro studio è stato quello di dare un contributo alla definizione etiopatogenetica dell’Autismo Sindromico
mediante l’impiego di tecniche di citogenetica molecolare quale l’array-CGH.
Metodo: dal database clinico del settore “Sindromi e Malattie Rare” dell’ Istituto di Neuropsichiatria Infantile - A.O.U. di
Sassari-, sono stati selezionati i pazienti afferiti dal 2008 al 2010, per un totale di 407 pazienti affetti da Ritardo dello
Sviluppo Psicomotorio e/o Ritardo Mentale (RM) e/o Disturbo della Relazione e Comunicazione associati a MCA. I
criteri di inclusione del campione in studio sono stati la diagnosi di disturbo dello spettro autistico (Disturbo Autistico,
Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, Sindrome di Rett, PDD NAS, Disturbo di Asperger) e la presenza di anomalie
congenite maggiori o minori.
Risultati: 93 pz, rappresentanti il 22,8 % della casistica totale, rispondevano ai criteri di inclusione. In 34 casi (36,5 % del
campione) è stato possibile individuare l’eziopatogenesi della sindrome mediante criteri clinici e/o cariotipo ad alta
risoluzione, indagine molecolare per FMR1 o indagini di citogenetica o molecolari specifiche per sindromi conosciute.
Dei 59 pazienti (63,5 %), la cui diagnosi etiopatogenetica rimaneva misconosciuta, 39 sono stati sottoposti ad esame di
array-CGH. Il 25.6 %, ovvero 10 pazienti su 39, risultava positivo per microriarrangiamenti cromosomici
(microduplicazioni o microdelezioni). Il totale dei pazienti con Autismo Sindromico in cui è stata formulata una precisa
diagnosi etiopatogenetica costituisce il 47.3 % del campione.
Discussione: l’utilizzo dell’ array-CGH, che fino ad oggi non è stato incluso nei protocolli diagnostici dei Disturbi
Generalizzati dello Sviluppo, ci ha permesso di potenziare in termini etiopatogenetici la diagnosi dell’Autismo
Sindromico. I nostri casi contribuiscono alla descrizione fenotipica delle nuove sindromi associate ad Autismo scoperte
con l’array-CGH. Avendo inoltre riscontrato riarrangiamenti submicroscopici noti in letteratura per la loro associazione a
MCA/RM, ma non a Disturbi Autistici, il nostro lavoro contribuisce ad incrementare il numero delle nuove Sindromi con
Autismo da microriarrangiamenti (A.M. Slavotinek Hum Genet 2008). In ultimo sottolineiamo che l’utilizzo di metodiche
diagnostiche comprendenti non solo la citogenetica classica e le analisi molecolari, ma anche la “nuova” citogenetica, ci
ha permesso di raggiungere la diagnosi etiopatogenetica in quasi la metà del nostro campione, dato superiore a quanto
riscontrato in letteratura (R.Muhle et al Pediatrics 2004).
Conclusioni: sulla base dei risultati conseguiti, riteniamo opportuno che l’array-CGH entri a far parte del protocollo di
inquadramento etiopatogenetico dell’Autismo.
Sul piano nosografico per Autismo Sindromico si intende un quadro clinico in cui al Disturbo Generalizzato dello
Sviluppo si associano una o più anomalie congenite e/o segni clinici (MCA) (D. Cohen et al. J of Autism and Dev
Disorders 2005).
Scopo del nostro studio è stato quello di dare un contributo alla definizione etiopatogenetica dell’Autismo Sindromico
mediante l’impiego di tecniche di citogenetica molecolare quale l’array-CGH.
Metodo: dal database clinico del settore “Sindromi e Malattie Rare” dell’ Istituto di Neuropsichiatria Infantile - A.O.U. di
Sassari-, sono stati selezionati i pazienti afferiti dal 2008 al 2010, per un totale di 407 pazienti affetti da Ritardo dello
Sviluppo Psicomotorio e/o Ritardo Mentale (RM) e/o Disturbo della Relazione e Comunicazione associati a MCA. I
criteri di inclusione del campione in studio sono stati la diagnosi di disturbo dello spettro autistico (Disturbo Autistico,
Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, Sindrome di Rett, PDD NAS, Disturbo di Asperger) e la presenza di anomalie
congenite maggiori o minori.
Risultati: 93 pz, rappresentanti il 22,8 % della casistica totale, rispondevano ai criteri di inclusione. In 34 casi (36,5 % del
campione) è stato possibile individuare l’eziopatogenesi della sindrome mediante criteri clinici e/o cariotipo ad alta
risoluzione, indagine molecolare per FMR1 o indagini di citogenetica o molecolari specifiche per sindromi conosciute.
Dei 59 pazienti (63,5 %), la cui diagnosi etiopatogenetica rimaneva misconosciuta, 39 sono stati sottoposti ad esame di
array-CGH. Il 25.6 %, ovvero 10 pazienti su 39, risultava positivo per microriarrangiamenti cromosomici
(microduplicazioni o microdelezioni). Il totale dei pazienti con Autismo Sindromico in cui è stata formulata una precisa
diagnosi etiopatogenetica costituisce il 47.3 % del campione.
Discussione: l’utilizzo dell’ array-CGH, che fino ad oggi non è stato incluso nei protocolli diagnostici dei Disturbi
Generalizzati dello Sviluppo, ci ha permesso di potenziare in termini etiopatogenetici la diagnosi dell’Autismo
Sindromico. I nostri casi contribuiscono alla descrizione fenotipica delle nuove sindromi associate ad Autismo scoperte
con l’array-CGH. Avendo inoltre riscontrato riarrangiamenti submicroscopici noti in letteratura per la loro associazione a
MCA/RM, ma non a Disturbi Autistici, il nostro lavoro contribuisce ad incrementare il numero delle nuove Sindromi con
Autismo da microriarrangiamenti (A.M. Slavotinek Hum Genet 2008). In ultimo sottolineiamo che l’utilizzo di metodiche
diagnostiche comprendenti non solo la citogenetica classica e le analisi molecolari, ma anche la “nuova” citogenetica, ci
ha permesso di raggiungere la diagnosi etiopatogenetica in quasi la metà del nostro campione, dato superiore a quanto
riscontrato in letteratura (R.Muhle et al Pediatrics 2004).
Conclusioni: sulla base dei risultati conseguiti, riteniamo opportuno che l’array-CGH entri a far parte del protocollo di
inquadramento etiopatogenetico dell’Autismo.
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ETEROTOPIA NODULARE PERIVENTRICOLARE E CRISI AUTOINDOTTE IN UN
BAMBINO AFFETTO DA SINDROME DI DRAVET
ETEROTOPIA NODULARE PERIVENTRICOLARE E CRISI AUTOINDOTTE IN UN
BAMBINO AFFETTO DA SINDROME DI DRAVET
Rizzi R., Posar A., Conti S., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Rizzi R., Posar A., Conti S., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Razionale: la sindrome di Dravet (SD) rappresenta la forma epilettica più grave di uno spettro fenotipico particolarmente
ampio. Le mutazioni del gene SCN1A vengono rilevate in oltre il 70% dei pazienti con SD; tuttavia, un semplice
meccanismo di loss-of-function del canale non sembra sufficiente a spiegare la particolare variabilità clinica di questa
sindrome. Descriviamo il caso di un bambino affetto da SD con una mutazione di SCN1A mai descritta, crisi atipiche e
malformazione cerebrale.
Caso Clinico: maschio, 6 anni, gravidanza decorsa con minaccia di aborto al 2° mese e conclusa con taglio cesareo alla
33ª settimana per ritardo di crescita intrauterina. A 5 mesi insorgevano i primi episodi di crisi emicloniche a destra o a
sinistra, talora con secondaria generalizzazione, a frequenza variabile. Tali eventi si verificavano spesso in presenza di
rialzi febbrili. Nel corso degli anni si associavano altre crisi a semeiologia polimorfa. Le crisi si sono dimostrate resistenti
ai vari farmaci impiegati. In molteplici occasioni si sono verificate crisi prolungate che talora sfociavano in uno stato di
male convulsivo. A partire dai 2 anni comparivano assai frequenti episodi di perdita di contatto e mioclonie palpebrali in
concomitanza con la chiusura degli occhi o la visione di pattern strutturati (mattonelle, termosifoni, griglie...). Queste
situazioni venivano ricercate incessantemente dal bambino costituendo così un meccanismo di autostimolazione che, se
non interrotto, poteva esitare in una crisi maggiore. Lo sviluppo psicomotorio ha subito un brusco rallentamento in
seguito all’esordio delle crisi, in modo particolare sul versante linguistico. L’EON evidenziava ipotonia, iperlassità
diffusa, microcrania, e lievi tratti dismorfici. L’EEG intercritico ha mostrato anomalie a tipo punte-onda e polipunta-onda
diffuse e molto frequenti oltre ad un complessivo rallentamento dell’attività di fondo; durante gli episodi di
autostimolazione le anomalie parossistiche si intensificavano fino a diventare subentranti. La RM encefalo evidenziava un
quadro di eterotopia nodulare periventricolare (ENP) e una scarsa rappresentazione della sostanza bianca a livello
occipito-parietale bilateralmente. La ricerca di mutazioni del gene FLNA, effettuata sulla base del quadro RM di ENP, ha
dato esito negativo. Il sequenziamento diretto del gene SCN1A, invece, ha rivelato una mutazione (c.373-3C>G) a livello
del sito accettore di splicing sull’introne 2.
Conclusioni: la mutazione da noi riscontrata non è mai stata descritta in letteratura ed è verosimilmente responsabile di
una perdita di funzione del canale Nav1.1. Il nostro caso, tuttavia, mostra elementi peculiari rispetto ai canoni tradizionali
della SD: non ci risultano altri casi di pazienti con SD in cui siano state segnalate crisi autoindotte dalla visione di pattern
o la presenza di ENP. Il rapporto tra SCN1A, ENP e crisi autoindotte da pattern visivo rimane, ad oggi, una questione
aperta.
Razionale: la sindrome di Dravet (SD) rappresenta la forma epilettica più grave di uno spettro fenotipico particolarmente
ampio. Le mutazioni del gene SCN1A vengono rilevate in oltre il 70% dei pazienti con SD; tuttavia, un semplice
meccanismo di loss-of-function del canale non sembra sufficiente a spiegare la particolare variabilità clinica di questa
sindrome. Descriviamo il caso di un bambino affetto da SD con una mutazione di SCN1A mai descritta, crisi atipiche e
malformazione cerebrale.
Caso Clinico: maschio, 6 anni, gravidanza decorsa con minaccia di aborto al 2° mese e conclusa con taglio cesareo alla
33ª settimana per ritardo di crescita intrauterina. A 5 mesi insorgevano i primi episodi di crisi emicloniche a destra o a
sinistra, talora con secondaria generalizzazione, a frequenza variabile. Tali eventi si verificavano spesso in presenza di
rialzi febbrili. Nel corso degli anni si associavano altre crisi a semeiologia polimorfa. Le crisi si sono dimostrate resistenti
ai vari farmaci impiegati. In molteplici occasioni si sono verificate crisi prolungate che talora sfociavano in uno stato di
male convulsivo. A partire dai 2 anni comparivano assai frequenti episodi di perdita di contatto e mioclonie palpebrali in
concomitanza con la chiusura degli occhi o la visione di pattern strutturati (mattonelle, termosifoni, griglie...). Queste
situazioni venivano ricercate incessantemente dal bambino costituendo così un meccanismo di autostimolazione che, se
non interrotto, poteva esitare in una crisi maggiore. Lo sviluppo psicomotorio ha subito un brusco rallentamento in
seguito all’esordio delle crisi, in modo particolare sul versante linguistico. L’EON evidenziava ipotonia, iperlassità
diffusa, microcrania, e lievi tratti dismorfici. L’EEG intercritico ha mostrato anomalie a tipo punte-onda e polipunta-onda
diffuse e molto frequenti oltre ad un complessivo rallentamento dell’attività di fondo; durante gli episodi di
autostimolazione le anomalie parossistiche si intensificavano fino a diventare subentranti. La RM encefalo evidenziava un
quadro di eterotopia nodulare periventricolare (ENP) e una scarsa rappresentazione della sostanza bianca a livello
occipito-parietale bilateralmente. La ricerca di mutazioni del gene FLNA, effettuata sulla base del quadro RM di ENP, ha
dato esito negativo. Il sequenziamento diretto del gene SCN1A, invece, ha rivelato una mutazione (c.373-3C>G) a livello
del sito accettore di splicing sull’introne 2.
Conclusioni: la mutazione da noi riscontrata non è mai stata descritta in letteratura ed è verosimilmente responsabile di
una perdita di funzione del canale Nav1.1. Il nostro caso, tuttavia, mostra elementi peculiari rispetto ai canoni tradizionali
della SD: non ci risultano altri casi di pazienti con SD in cui siano state segnalate crisi autoindotte dalla visione di pattern
o la presenza di ENP. Il rapporto tra SCN1A, ENP e crisi autoindotte da pattern visivo rimane, ad oggi, una questione
aperta.
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ENCEFALOPATIA DI HASHIMOTO: UNA DIAGNOSI DIFFICILE IN ETA’
EVOLUTIVA
ENCEFALOPATIA DI HASHIMOTO: UNA DIAGNOSI DIFFICILE IN ETA’
EVOLUTIVA
Salerno G. G., Posar A., Scaduto M. C., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Salerno G. G., Posar A., Scaduto M. C., Parmeggiani A.
Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di
Bologna
Background: i disturbi neurologici e/o psichiatrici associati a tiroidite autoimmune sono identificati in una patologia ad
eziologia sconosciuta e con un quadro clinico molto eterogeneo, definita encefalopatia di Hashimoto (EH), descritta
finora in circa 27 casi in età pediatrica.
Scopo: e’ importante prendere in considerazione l’EH in ogni paziente con sintomi di encefalopatia acuta o subacuta
inspiegata. Pertanto è necessario, al fine di porre la diagnosi di EH, eseguire il dosaggio degli anticorpi antitiroidei anche
quando la funzionalità tiroidea standard è normale.
Metodologia e soggetti: presentiamo 4 casi in età evolutiva, 3 femmine e 1 maschio, il cui quadro neurologico e/o
psichiatrico potrebbe essere attribuito a EH. Ai pazienti sono stati effettuati: screening bioumorale generale, funzionalità
tiroidea; titolazione degli anticorpi antitiroidei sierici; screening autoimmunità; indagini genetiche; ecografia tiroidea;
EEG e RM encefalo; valutazione neuropsicologica (cognitiva, psicodiagnostica, apprendimento). Due pazienti hanno
effettuato anche indagini metaboliche.
Risultati e discussione: l’età di esordio della sintomatologia neuropsichiatrica era compresa tra 7 e 14 anni. Tutti e 4 i
pazienti presentavano familiarità per distiroidismo ed un quadro laboratoristico-strumentale compatibile con tiroidite
autoimmune. Clinicamente era presente rispettivamente: una sindrome coreo-atetosica con un disturbo
dell’apprendimento; psicosi con deterioramento cognitivo; deterioramento cognitivo; deterioramento motorio, epilessia:
in quest’ultimo caso erano presenti anomalie EEG multifocali e diffuse subcontinue nel sonno ed una lesione ischemica al
nucleo caudato; 2 casi su 4 sono stati posti in trattamento con levotiroxina. Un paziente ha effettuato esame del liquor
risultato negativo. Tre pazienti hanno presentato un miglioramento del quadro clinico: 1 dopo trattamento con
aloperidolo, 1 dopo trattamento con aloperidolo e corticosteroidi ed 1 dopo trattamento con levotiroxina. Il quadro clinico
e strumentale dei 4 pazienti descritti è suggestivo per una EH, che costituisce un’importante diagnosi differenziale nei
pazienti con encefalopatia; tale patologia in età evolutiva è rara, probabilmente sottostimata all’esordio e dovrebbe essere
presa in considerazione in ogni paziente con sintomi neurologici e/o psichiatrici senza eziologia nota.
Background: i disturbi neurologici e/o psichiatrici associati a tiroidite autoimmune sono identificati in una patologia ad
eziologia sconosciuta e con un quadro clinico molto eterogeneo, definita encefalopatia di Hashimoto (EH), descritta
finora in circa 27 casi in età pediatrica.
Scopo: e’ importante prendere in considerazione l’EH in ogni paziente con sintomi di encefalopatia acuta o subacuta
inspiegata. Pertanto è necessario, al fine di porre la diagnosi di EH, eseguire il dosaggio degli anticorpi antitiroidei anche
quando la funzionalità tiroidea standard è normale.
Metodologia e soggetti: presentiamo 4 casi in età evolutiva, 3 femmine e 1 maschio, il cui quadro neurologico e/o
psichiatrico potrebbe essere attribuito a EH. Ai pazienti sono stati effettuati: screening bioumorale generale, funzionalità
tiroidea; titolazione degli anticorpi antitiroidei sierici; screening autoimmunità; indagini genetiche; ecografia tiroidea;
EEG e RM encefalo; valutazione neuropsicologica (cognitiva, psicodiagnostica, apprendimento). Due pazienti hanno
effettuato anche indagini metaboliche.
Risultati e discussione: l’età di esordio della sintomatologia neuropsichiatrica era compresa tra 7 e 14 anni. Tutti e 4 i
pazienti presentavano familiarità per distiroidismo ed un quadro laboratoristico-strumentale compatibile con tiroidite
autoimmune. Clinicamente era presente rispettivamente: una sindrome coreo-atetosica con un disturbo
dell’apprendimento; psicosi con deterioramento cognitivo; deterioramento cognitivo; deterioramento motorio, epilessia:
in quest’ultimo caso erano presenti anomalie EEG multifocali e diffuse subcontinue nel sonno ed una lesione ischemica al
nucleo caudato; 2 casi su 4 sono stati posti in trattamento con levotiroxina. Un paziente ha effettuato esame del liquor
risultato negativo. Tre pazienti hanno presentato un miglioramento del quadro clinico: 1 dopo trattamento con
aloperidolo, 1 dopo trattamento con aloperidolo e corticosteroidi ed 1 dopo trattamento con levotiroxina. Il quadro clinico
e strumentale dei 4 pazienti descritti è suggestivo per una EH, che costituisce un’importante diagnosi differenziale nei
pazienti con encefalopatia; tale patologia in età evolutiva è rara, probabilmente sottostimata all’esordio e dovrebbe essere
presa in considerazione in ogni paziente con sintomi neurologici e/o psichiatrici senza eziologia nota.
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DISTURBO DEL RESPIRO IN PAZIENTE ADOLESCENTE CON SINDROME DI
JOUBERT
DISTURBO DEL RESPIRO IN PAZIENTE ADOLESCENTE CON SINDROME DI
JOUBERT
Santucci M., Fabbri M., Vetrugno R., Scaduto M. C., Provini F.
Dipartimento di Scienze Neurologiche-Università di Bologna
Santucci M., Fabbri M., Vetrugno R., Scaduto M. C., Provini F.
Dipartimento di Scienze Neurologiche-Università di Bologna
Background:la Sindrome di Joubert è una malattia autosomica recessiva caratterizzata da malformazione cerebellare e del
tronco, ritardo di sviluppo, disturbo del respiro e/o alterazione dei movimenti oculari. I disturbi del respiro sono spesso
descritti nei neonati e nei bambini piccoli, mentre vi sono pochi dati su adolescenti o giovani adulti.
Scopo: descriviamo il caso di una ragazza con Sindrome di Joubert giunta alla nostra osservazione per un disturbo del
respiro descritto come “fame d’aria”, in cui è stato documentato un particolare pattern respiratorio
Metodo: è stata eseguita una valutazione neurologica e neuropsicologica, EEG di routine, visita oculistica, RM cerebrale
e polisonnografia dinamica (24 ore).
Risultati: la paziente,16 aa, presentava ritardo mentale, disfonia, instabilità della marcia ed incoordinazione. La RM
cerebrale mostrava il segno del “dente molare”, agenesia del verme cerebellare e allargamento del IV ventricolo. La
polisonnografia ha evidenziato una normale strutturazione del sonno ed un pattern respiratorio alterato, caratterizzato da
episodi di tachipnea, seguiti da apnea centrale, senza significativa riduzione della Sat O2 (a parte la prolungata apnea
post-iperpnea). Questi episodi comparivano sia in veglia che in tutte le fasi del sonno.
Dicussione: la paziente descritta, che rispetta i criteri clinici e radiologici per Sindrome di Joubert, è giunta alla nostra
attenzione in età adolescenziale per un disturbo del respiro. La polisonnografia ha mostrato un pattern respiratorio
disorganizzato, che possiamo definire “respiro atassico".
Background:la Sindrome di Joubert è una malattia autosomica recessiva caratterizzata da malformazione cerebellare e del
tronco, ritardo di sviluppo, disturbo del respiro e/o alterazione dei movimenti oculari. I disturbi del respiro sono spesso
descritti nei neonati e nei bambini piccoli, mentre vi sono pochi dati su adolescenti o giovani adulti.
Scopo: descriviamo il caso di una ragazza con Sindrome di Joubert giunta alla nostra osservazione per un disturbo del
respiro descritto come “fame d’aria”, in cui è stato documentato un particolare pattern respiratorio
Metodo: è stata eseguita una valutazione neurologica e neuropsicologica, EEG di routine, visita oculistica, RM cerebrale
e polisonnografia dinamica (24 ore).
Risultati: la paziente,16 aa, presentava ritardo mentale, disfonia, instabilità della marcia ed incoordinazione. La RM
cerebrale mostrava il segno del “dente molare”, agenesia del verme cerebellare e allargamento del IV ventricolo. La
polisonnografia ha evidenziato una normale strutturazione del sonno ed un pattern respiratorio alterato, caratterizzato da
episodi di tachipnea, seguiti da apnea centrale, senza significativa riduzione della Sat O2 (a parte la prolungata apnea
post-iperpnea). Questi episodi comparivano sia in veglia che in tutte le fasi del sonno.
Dicussione: la paziente descritta, che rispetta i criteri clinici e radiologici per Sindrome di Joubert, è giunta alla nostra
attenzione in età adolescenziale per un disturbo del respiro. La polisonnografia ha mostrato un pattern respiratorio
disorganizzato, che possiamo definire “respiro atassico".
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ASSENZE E CRISI FOCALI: CONTINUUM? UN CASO DI EPILESSIA-ASSENZA
ASSOCIATO A CRISI PARZIALI SEMPLICI
ASSENZE E CRISI FOCALI: CONTINUUM? UN CASO DI EPILESSIA-ASSENZA
ASSOCIATO A CRISI PARZIALI SEMPLICI
Serino D.1, Mazzotta G.1,2
1-Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile- Università degli Studi di Perugia, 2U.O.C. Neuropsichiatria Infantile e dell'Età Evolutiva (ASL - 04 Terni)
Serino D.1, Mazzotta G.1,2
1-Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile- Università degli Studi di Perugia, 2U.O.C. Neuropsichiatria Infantile e dell'Età Evolutiva (ASL - 04 Terni)
Le assenze tipiche sono per definizione considerate come crisi generalizzate prototipiche, implicando un coinvolgimento
diffuso delle strutture sottocorticali e corticali e compromissione della coscienza. Tuttavia, recenti dati sperimentali e
clinici danno credito all’ipotesi che le assenze tipiche abbiano origine da specifici focus corticali, costanti e paziente
specifici, che danno in seguito luogo ad attivazioni sia cortico-talamiche che cortico-corticali. Diventano sempre più
frequenti in letteratura i riferimenti a casi di associazione fra epilessia-assenza dell’infanzia e crisi parziali semplici, in cui
si avvalora l'ipotesi di tale possibile interazione cortico-corticale fra le strutture coinvolte. Presentiamo il caso clinico di
un paziente di 7 anni con epilessia-assenza associata ad un tracciato EEG tipico caratterizzato da complessi punta-onda a
3Hz generalizzati, che presenta anche crisi con semeiologia clinica di tipo focale somato-sensitiva e motoria con
coscienza preservata e crisi notturne di tipo tonico-cloniche generalizzate. Il trattamento iniziale con Acido Valproico ha
permesso il controllo delle crisi tipo assenza per circa un anno. A seguito della comparsa di crisi tipo “drop attack” con
preservazione della coscienza ed al mancato riscontro di alterazioni patologiche alla risonanza magnetica, si è passati ad
una monoterapia con Etosuccimide. Il farmaco ha portato ad un controllo di entrambi i tipi crisi, tuttavia dopo poche
settimane dall’inizio della nuova terapia, si assiste alla comparsa di crisi di tipo tonico-cloniche generalizzate e di effetti
farmacologici avversi quali cefalea intensa, nausea, vomito ed instabilità del tono dell’umore. La successiva introduzione
di Levetiracetam in monoterapia ha permesso il controllo delle crisi in circa una settimana.
Il caso presentato pone in risalto le conseguenze diagnostiche e terapeutiche delle nuove scoperte sul meccanismo
patogenetico dell'epilessia-assenza dell'infanzia, sia da un punto di vista elettroclinico, sia riguardo il ruolo che i farmaci
antiepilettici di nuova generazione possono avere nei confronti di questa entità nosografica.
Le assenze tipiche sono per definizione considerate come crisi generalizzate prototipiche, implicando un coinvolgimento
diffuso delle strutture sottocorticali e corticali e compromissione della coscienza. Tuttavia, recenti dati sperimentali e
clinici danno credito all’ipotesi che le assenze tipiche abbiano origine da specifici focus corticali, costanti e paziente
specifici, che danno in seguito luogo ad attivazioni sia cortico-talamiche che cortico-corticali. Diventano sempre più
frequenti in letteratura i riferimenti a casi di associazione fra epilessia-assenza dell’infanzia e crisi parziali semplici, in cui
si avvalora l'ipotesi di tale possibile interazione cortico-corticale fra le strutture coinvolte. Presentiamo il caso clinico di
un paziente di 7 anni con epilessia-assenza associata ad un tracciato EEG tipico caratterizzato da complessi punta-onda a
3Hz generalizzati, che presenta anche crisi con semeiologia clinica di tipo focale somato-sensitiva e motoria con
coscienza preservata e crisi notturne di tipo tonico-cloniche generalizzate. Il trattamento iniziale con Acido Valproico ha
permesso il controllo delle crisi tipo assenza per circa un anno. A seguito della comparsa di crisi tipo “drop attack” con
preservazione della coscienza ed al mancato riscontro di alterazioni patologiche alla risonanza magnetica, si è passati ad
una monoterapia con Etosuccimide. Il farmaco ha portato ad un controllo di entrambi i tipi crisi, tuttavia dopo poche
settimane dall’inizio della nuova terapia, si assiste alla comparsa di crisi di tipo tonico-cloniche generalizzate e di effetti
farmacologici avversi quali cefalea intensa, nausea, vomito ed instabilità del tono dell’umore. La successiva introduzione
di Levetiracetam in monoterapia ha permesso il controllo delle crisi in circa una settimana.
Il caso presentato pone in risalto le conseguenze diagnostiche e terapeutiche delle nuove scoperte sul meccanismo
patogenetico dell'epilessia-assenza dell'infanzia, sia da un punto di vista elettroclinico, sia riguardo il ruolo che i farmaci
antiepilettici di nuova generazione possono avere nei confronti di questa entità nosografica.
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EPILESSIA, AUTISMO E PATOLOGIA GASTROENTERICA: DESCRIZIONE DI UNA
CASISTICA
EPILESSIA, AUTISMO E PATOLOGIA GASTROENTERICA: DESCRIZIONE DI UNA
CASISTICA
Torta F. °, Davico C.*, Vittorini R.*, Spagna N.*, Rainò E.*, Balzola F.‡, Gandione M.*,
Capizzi G.§
° Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile-Ospedale Infantile Regina Margherita Torino, *
Dipartimento di Neuropsichiatria e Psicologia, S.C.D.U. Neuropsichiatria Infantile ASO OIRM
Sant’Anna, Torino, § Dipartimento di Neuropsichiatria e Psicologia, S.C.D.U. Neurologia ASO
OIRM Sant’Anna, Torino, ‡ U.A.O.D.U. Gastroepatologia ASO S. Giovanni Battista, Torino
Torta F. °, Davico C.*, Vittorini R.*, Spagna N.*, Rainò E.*, Balzola F.‡, Gandione M.*,
Capizzi G.§
° Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile-Ospedale Infantile Regina Margherita Torino, *
Dipartimento di Neuropsichiatria e Psicologia, S.C.D.U. Neuropsichiatria Infantile ASO OIRM
Sant’Anna, Torino, § Dipartimento di Neuropsichiatria e Psicologia, S.C.D.U. Neurologia ASO
OIRM Sant’Anna, Torino, ‡ U.A.O.D.U. Gastroepatologia ASO S. Giovanni Battista, Torino
Background: da tempo è nota l’associazione fra la presenza di disturbi gastroenterologici (GEL) ed epilessia (E),tuttavia è
solo negli ultimi anni che sta emergendo in ambito scientifico l’interesse per l’associazione tra la presenza di un
sintomatologia GEL e i disturbi pervasivi di sviluppo (DPS),i quali possono accompagnarsi in alcuni casi alla presenza di
epilessia.
Scopo del lavoro: valutare la tipologia dei disturbi GEL in una popolazione di pazienti con i DPS e/o con E al fine di
comprendere maggiormente le caratteristiche di tali associazioni tra i diversi quadri clinici analizzati.
Metodi: i pazienti sono stati selezionati dal database dell’ambulatorio dedicato alle patologie GEL nei DPS,in
collaborazione tra l’U.O.A.D.U. di Gastroepatologia dell’Ospedale Molinette e l’S.C.D.U. di NPI dell’OIRM,e dal
database del S.C.D.U. di Neurologia dell’OIRM a seconda che presentassero diagnosi di E o di DPS in associazione a
disturbi GEL. Di essi sono stati analizzati i dati relativi alla diagnosi di DPS, di E, al quadro GEL presentato,alla terapia
antiepilettica (AED) e GEL effettuata e alla possibile influenza sulla sintomatologia neuropsichiatrica degli interventi
terapeutici effettuati. Rispetto alla patologia GEL, abbiamo considerato la presenza di Morbo Celiaco(MC),Morbo di
Crohn(CR) e altre sindromi da malassorbimento o infiammazione gastrointestinale non classificabili in un quadro
specifico. Il campione selezionato è stato suddiviso in tre gruppi a seconda che presentassero solo E o solo DPS (A) o
l’associazione tra i due quadri (A+E). I gruppi sono stati confrontati tra loro per le caratteristiche cliniche
neuropsichiatriche, gastroenterologiche e di risposta alle terapie effettuate.
Risultati: il campione studiato è costituito da 193 soggetti,150 maschi e 43 femmine con un’età media ± DS di 14.6 ± 7.4
anni (range:2-40.4). I tre gruppi sono così ripartiti: gruppo A 140/193 (72.5%), gruppo E 25/193 (13%) e gruppo A+E
28/193 (14.5%). Tutti presentavano sintomatologia GEL, così rappresentata in varie associazioni: segni clinici di
malassorbimento 72,5%, dolore addominale 72.5%, stipsi 39%, diarrea 27,5%, alvo alterno 24%, reflusso gastroesofageo
17%, distensione addominale 11%. Di tutto il gruppo dei 193 pazienti, 80 soggetti presentano MC (41.5%) prevalente nei
soggetti con E, 5 CR(2.5%) e 108(56%) presentano un quadro infiammatorio ad interessamento variabile pan-intestinale
non classificabile in quadri specifici. I quadri istologici più frequenti sono: iperplasia nodulare linfoide nell’ileo terminale
(72/193, 37,3%), quadro di malassorbimento tipo Marsh (80/193,41.5%), colite cronica (145/193, 75%), colite eosinofila
(46/193, 23.8%). Dalla revisione delle cartelle cliniche, dopo l’ inizio della terapia GEL e/o della dieta specifica, il dato
più rilevante è che nel gruppo A viene segnalato un miglioramento della sintomatologia GEL e comportamentale
rispettivamente in 135 e 126 soggetti su 140. Dei 53 pazienti con E, inclusi quelli con DPS, in 10 è stato riscontrato un
miglioramento del controllo delle crisi con una dieta specifica, in associazione alla terapia AED.
Conclusioni: dal presente studio si è potuta osservare l’associazione tra i DPS e l’epilessia e i disturbi GEL in accordo
con la letteratura dagli anni 70’ a oggi. Abbiamo riscontrato nel gruppo A un miglioramento comportamentale con la
terapia GEL e la dieta specifica in 126/140 casi. Il presente studio, con i limiti legati al lavoro di tipo descrittivo
retrospettico, intende porre l’attenzione sulla trasversalità della patologia GEL tra diversi disturbi neuropsichiatrici, che
non configura un quadro intestinale specifico, ma che va tenuta in considerazione per i possibili risvolti positivi sulla
sintomatologia neuropsichiatrica di una terapia specifica, verosimile conseguenza del miglioramento GEL e che può
consentire una maggiore possibilità di convivenza con patologie complesse da parte delle famiglie e un miglior impatto
positivo dei trattamenti riabilitativi o AED proposti.
Background: da tempo è nota l’associazione fra la presenza di disturbi gastroenterologici (GEL) ed epilessia (E),tuttavia è
solo negli ultimi anni che sta emergendo in ambito scientifico l’interesse per l’associazione tra la presenza di un
sintomatologia GEL e i disturbi pervasivi di sviluppo (DPS),i quali possono accompagnarsi in alcuni casi alla presenza di
epilessia.
Scopo del lavoro: valutare la tipologia dei disturbi GEL in una popolazione di pazienti con i DPS e/o con E al fine di
comprendere maggiormente le caratteristiche di tali associazioni tra i diversi quadri clinici analizzati.
Metodi: i pazienti sono stati selezionati dal database dell’ambulatorio dedicato alle patologie GEL nei DPS,in
collaborazione tra l’U.O.A.D.U. di Gastroepatologia dell’Ospedale Molinette e l’S.C.D.U. di NPI dell’OIRM,e dal
database del S.C.D.U. di Neurologia dell’OIRM a seconda che presentassero diagnosi di E o di DPS in associazione a
disturbi GEL. Di essi sono stati analizzati i dati relativi alla diagnosi di DPS, di E, al quadro GEL presentato,alla terapia
antiepilettica (AED) e GEL effettuata e alla possibile influenza sulla sintomatologia neuropsichiatrica degli interventi
terapeutici effettuati. Rispetto alla patologia GEL, abbiamo considerato la presenza di Morbo Celiaco(MC),Morbo di
Crohn(CR) e altre sindromi da malassorbimento o infiammazione gastrointestinale non classificabili in un quadro
specifico. Il campione selezionato è stato suddiviso in tre gruppi a seconda che presentassero solo E o solo DPS (A) o
l’associazione tra i due quadri (A+E). I gruppi sono stati confrontati tra loro per le caratteristiche cliniche
neuropsichiatriche, gastroenterologiche e di risposta alle terapie effettuate.
Risultati: il campione studiato è costituito da 193 soggetti,150 maschi e 43 femmine con un’età media ± DS di 14.6 ± 7.4
anni (range:2-40.4). I tre gruppi sono così ripartiti: gruppo A 140/193 (72.5%), gruppo E 25/193 (13%) e gruppo A+E
28/193 (14.5%). Tutti presentavano sintomatologia GEL, così rappresentata in varie associazioni: segni clinici di
malassorbimento 72,5%, dolore addominale 72.5%, stipsi 39%, diarrea 27,5%, alvo alterno 24%, reflusso gastroesofageo
17%, distensione addominale 11%. Di tutto il gruppo dei 193 pazienti, 80 soggetti presentano MC (41.5%) prevalente nei
soggetti con E, 5 CR(2.5%) e 108(56%) presentano un quadro infiammatorio ad interessamento variabile pan-intestinale
non classificabile in quadri specifici. I quadri istologici più frequenti sono: iperplasia nodulare linfoide nell’ileo terminale
(72/193, 37,3%), quadro di malassorbimento tipo Marsh (80/193,41.5%), colite cronica (145/193, 75%), colite eosinofila
(46/193, 23.8%). Dalla revisione delle cartelle cliniche, dopo l’ inizio della terapia GEL e/o della dieta specifica, il dato
più rilevante è che nel gruppo A viene segnalato un miglioramento della sintomatologia GEL e comportamentale
rispettivamente in 135 e 126 soggetti su 140. Dei 53 pazienti con E, inclusi quelli con DPS, in 10 è stato riscontrato un
miglioramento del controllo delle crisi con una dieta specifica, in associazione alla terapia AED.
Conclusioni: dal presente studio si è potuta osservare l’associazione tra i DPS e l’epilessia e i disturbi GEL in accordo
con la letteratura dagli anni 70’ a oggi. Abbiamo riscontrato nel gruppo A un miglioramento comportamentale con la
terapia GEL e la dieta specifica in 126/140 casi. Il presente studio, con i limiti legati al lavoro di tipo descrittivo
retrospettico, intende porre l’attenzione sulla trasversalità della patologia GEL tra diversi disturbi neuropsichiatrici, che
non configura un quadro intestinale specifico, ma che va tenuta in considerazione per i possibili risvolti positivi sulla
sintomatologia neuropsichiatrica di una terapia specifica, verosimile conseguenza del miglioramento GEL e che può
consentire una maggiore possibilità di convivenza con patologie complesse da parte delle famiglie e un miglior impatto
positivo dei trattamenti riabilitativi o AED proposti.
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TRISOMIA PARZIALE 18Q (DUP18Q12.2-Q21.32) E REGIONE CRITICA PER LA
SINDROME DI EDWARDS
TRISOMIA PARZIALE 18Q (DUP18Q12.2-Q21.32) E REGIONE CRITICA PER LA
SINDROME DI EDWARDS
Vitiello G.1, Mastrangelo M.2, Reale F.2, Galosi S.2, Bernardin L.2, Novelli A.1, Brancati F.1,
Leuzzi V.2
1-“IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza-Istituto Mendel - Roma”, 2-Divisione di
Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile - “Sapienza”
Università di Roma
Vitiello G.1, Mastrangelo M.2, Reale F.2, Galosi S.2, Bernardin L.2, Novelli A.1, Brancati F.1,
Leuzzi V.2
1-“IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza-Istituto Mendel - Roma”, 2-Divisione di
Neurologia Pediatrica - Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile - “Sapienza”
Università di Roma
Background: duplicazioni parziali di diverse regioni del cromosoma 18 sono state riportate in rari pazienti che non
presentano un fenotipo sovrapponibile alla sindrome di Edwards (ES), associata a trisomia 18 libera. Tuttavia non è
ancora chiaro quale sia la porzione di cromosoma 18 critica per lo sviluppo del fenotipo ES.
Scopo: scopo del nostro studio è, da un lato descrivere il fenotipo associato ad un estesa duplicazione del cromosoma 18q,
dall’altro contribuire alla definizione della regione critica per la ES. Inoltre, i rari pazienti descritti in precedenza con
duplicazioni parziali 18p non sono stati caratterizzati in dettaglio mediante tecniche di citogenetica molecolare ma con
bandeggio tradizionale e quindi limitata risoluzione.
Metodologia e soggetto: descriviamo il caso di una paziente di 13 anni, secondogenita di una coppia di genitori non
consanguinei di nazionalità diverse (Tunisia e Marocco), giunta alla nostra osservazione per la prima volta all’età di 9
mesi per ritardo psicomotorio e alterazione del cariotipo, che mostrava estesa duplicazione de novo del braccio lungo del
cromosoma 18. Nata a termine da taglio cesareo in elezione, la bambina aveva un peso alla nascita di 3.450 Kg e
punteggio Apgar 71 85. L’anamnesi familiare era negativa per patologie genetiche e neurologiche. La paziente aveva un
quadro clinico caratterizzato da iposomia armonica (peso, altezza e circonferenza cranica <3°ptc), con normale età ossea,
associato a ritardo mentale severo, assenza di linguaggio e stereotipie. All’età di 12 anni la bambina cominciava a
presentare crisi epilettiche generalizzate polimorfiche (tipo assenza e tonico-cloniche) parzialmente controllate
dall’associazione di acido valproico e clobazam. La consulenza genetica rilevava note dismorfiche lievi, caratterizzate da
camptodattilia del V dito di entrambe le mani ed alluci tozzi e retratti. La paziente non presentava anomalie genitali. La
bambina, inoltre, presentava all’esordio delle crisi, uno stato cachettico severo con innalzamento di transaminasi, LDH,
CPK, ipoprotidemia ed ipoalbuminemia . La pHmetria risultava positiva per RGE mentre alla EGDS veniva evidenziato
esofagite da reflusso che richiedeva l’inizio di una terapia con lansoprazolo. L’ecografia dell’addome completo
evidenziava un fegato di dimensioni lievemente aumentate, ad ecostruttura finemente disomogenea e iper-riflettente. Per
lo stato di grave denutrizione e per le difficoltà nell’alimentazione veniva somministrata nutrizione enterale mediante
sondino naso-gastrico. L’ECG era nella norma, l’eco-cardio mostrava una lieve insufficienza della valvola tricuspide.
Alla RMN encefalo si evidenziava una dilatazione cistica della cisterna magna. La caratterizzazione del segmento
duplicato è stata eseguita mediante SNP-array (GeneChip 6.0; Affymetrix) e i dati sono stati analizzati mediante il
software Genotyping Console 3.0.2 (Affymetrix), con potere risolutivo dell’analisi di 75 Kb.
Risultati e discussione: l’analisi di SNP-array ha messo in evidenza una duplicazione di circa 22,7 Mb del braccio lungo
del cromosoma 18, che si estende da 35,541,344 a 58,260,771 bp, nella regione 18q12.2-q21.32 (release: GRCh37/hg19).
Questa estesa regione di duplicazione è quindi causativa di una sindrome con ritardo mentale e di crescita, epilessia,
associati ad altre anomalie minori ma distinta dalla ES. Queste informazioni sono utili ai fini delle correlazioni genotipofenotipo e in particolare al fine di una corretta consulenza genetica in epoca prenatale. Per quanto riguarda la regione
critica della ES, possiamo quindi affermare che questa si colloca al di fuori della regione duplicata nella nostra paziente e
che si localizza, sulla base del confronto con altri pazienti con duplicazioni parziali 18q, nella regione più centromerica
del cromosoma 18.
Background: duplicazioni parziali di diverse regioni del cromosoma 18 sono state riportate in rari pazienti che non
presentano un fenotipo sovrapponibile alla sindrome di Edwards (ES), associata a trisomia 18 libera. Tuttavia non è
ancora chiaro quale sia la porzione di cromosoma 18 critica per lo sviluppo del fenotipo ES.
Scopo: scopo del nostro studio è, da un lato descrivere il fenotipo associato ad un estesa duplicazione del cromosoma 18q,
dall’altro contribuire alla definizione della regione critica per la ES. Inoltre, i rari pazienti descritti in precedenza con
duplicazioni parziali 18p non sono stati caratterizzati in dettaglio mediante tecniche di citogenetica molecolare ma con
bandeggio tradizionale e quindi limitata risoluzione.
Metodologia e soggetto: descriviamo il caso di una paziente di 13 anni, secondogenita di una coppia di genitori non
consanguinei di nazionalità diverse (Tunisia e Marocco), giunta alla nostra osservazione per la prima volta all’età di 9
mesi per ritardo psicomotorio e alterazione del cariotipo, che mostrava estesa duplicazione de novo del braccio lungo del
cromosoma 18. Nata a termine da taglio cesareo in elezione, la bambina aveva un peso alla nascita di 3.450 Kg e
punteggio Apgar 71 85. L’anamnesi familiare era negativa per patologie genetiche e neurologiche. La paziente aveva un
quadro clinico caratterizzato da iposomia armonica (peso, altezza e circonferenza cranica <3°ptc), con normale età ossea,
associato a ritardo mentale severo, assenza di linguaggio e stereotipie. All’età di 12 anni la bambina cominciava a
presentare crisi epilettiche generalizzate polimorfiche (tipo assenza e tonico-cloniche) parzialmente controllate
dall’associazione di acido valproico e clobazam. La consulenza genetica rilevava note dismorfiche lievi, caratterizzate da
camptodattilia del V dito di entrambe le mani ed alluci tozzi e retratti. La paziente non presentava anomalie genitali. La
bambina, inoltre, presentava all’esordio delle crisi, uno stato cachettico severo con innalzamento di transaminasi, LDH,
CPK, ipoprotidemia ed ipoalbuminemia . La pHmetria risultava positiva per RGE mentre alla EGDS veniva evidenziato
esofagite da reflusso che richiedeva l’inizio di una terapia con lansoprazolo. L’ecografia dell’addome completo
evidenziava un fegato di dimensioni lievemente aumentate, ad ecostruttura finemente disomogenea e iper-riflettente. Per
lo stato di grave denutrizione e per le difficoltà nell’alimentazione veniva somministrata nutrizione enterale mediante
sondino naso-gastrico. L’ECG era nella norma, l’eco-cardio mostrava una lieve insufficienza della valvola tricuspide.
Alla RMN encefalo si evidenziava una dilatazione cistica della cisterna magna. La caratterizzazione del segmento
duplicato è stata eseguita mediante SNP-array (GeneChip 6.0; Affymetrix) e i dati sono stati analizzati mediante il
software Genotyping Console 3.0.2 (Affymetrix), con potere risolutivo dell’analisi di 75 Kb.
Risultati e discussione: l’analisi di SNP-array ha messo in evidenza una duplicazione di circa 22,7 Mb del braccio lungo
del cromosoma 18, che si estende da 35,541,344 a 58,260,771 bp, nella regione 18q12.2-q21.32 (release: GRCh37/hg19).
Questa estesa regione di duplicazione è quindi causativa di una sindrome con ritardo mentale e di crescita, epilessia,
associati ad altre anomalie minori ma distinta dalla ES. Queste informazioni sono utili ai fini delle correlazioni genotipofenotipo e in particolare al fine di una corretta consulenza genetica in epoca prenatale. Per quanto riguarda la regione
critica della ES, possiamo quindi affermare che questa si colloca al di fuori della regione duplicata nella nostra paziente e
che si localizza, sulla base del confronto con altri pazienti con duplicazioni parziali 18q, nella regione più centromerica
del cromosoma 18.
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GLI UBOs SONO SEMPRE ASINTOMATICI?
GLI UBOs SONO SEMPRE ASINTOMATICI?
Zonno G.*, Molinaro A.*, Pinelli L.^, Micheli R.*, Fazzi E.*°
*UONPIA A.O. Spedali Civili di Brescia, ^Neuroradiologia A.O. Spedali Civili di Brescia,
*°Dipartimento Materno-Infantile, Università degli Studi di Brescia
Zonno G.*, Molinaro A.*, Pinelli L.^, Micheli R.*, Fazzi E.*°
*UONPIA A.O. Spedali Civili di Brescia, ^Neuroradiologia A.O. Spedali Civili di Brescia,
*°Dipartimento Materno-Infantile, Università degli Studi di Brescia
Background: gli UBOs (Unidentified Bright Objects), sono reperti neuroradiologici di frequente riscontro (fino al 70%
dei casi) alla RM encefalo di pazienti affetti da Neurofibromatosi tipo 1 (NF1), tanto da essere stati proposti come criterio
diagnostico per NF1 (Lopes Ferraz Filho 2008; DeBella 2000), gli UBOs non sono mai stati considerati in letteratura
causa di disturbi motori o neurologici focali (Van Engelen 2008; Ruggieri 2008; Kraut 2004).
Obiettivo: una nostra paziente-NF1 presenta da 14 anni un’emiparesi sostenuta da una lesione del ginocchio della capsula
interna controlaterale dalle caratteristiche radiologiche ed evolutive degli UBOs. Discussione della possibile diagnosi
differenziale tra UBO “sintomatico”, lesione transizionale e lesione neoplastica non evolutiva.
Pazienti e metodi: 147 pazienti-NF1 pediatrici (età alla diagnosi tra i 3 mesi e i 12.5 anni; media 4.3 anni) studiati
annualmente con follow-up clinico-strumentale tra il 1992 e il 2010 (valutazione NPI, auxologica, oculistica,
dermatologica, ortopedica) con follow-up medio di 5.2 anni; 80 di essi hanno eseguito RM encefalo (sistematica fino al
2000, solo su indicazione clinica dopo).
Risultati: il 72,5% (58/80) dei pazienti sottoposti a RM presenta UBOs, tutti come atteso asintomatici eccetto una
paziente con NF1 familiare, con comparsa di chiazze caffelatte a 3 mesi e di freckling ascellare a 9 mesi; all’età di 9 mesi
è stata riscontrata alla RM encefalo (eseguita come da protocollo diagnostico) una lesione a livello del ginocchio della
capsula interna sinistra, iperintensa in T2, ipointensa in T1, priva di contrast-enhancement, interpretata per le
caratteristiche morfologiche, di segnale e di sede come UBO. All’età di 10 mesi osservato minor utilizzo dell’arto
superiore destro e, a 18 mesi con la deambulazione, evidenza di emiparesi destra attualmente, all’età di 15 anni, di grado
medio con marcia falciante ed utilizzo di tutori diurni. Ai controlli seriati di RM encefalo la lesione descritta non ha mai
mostrato evolutività radiologica (eccetto diminuzione del volume tra gli 8 e i 10 anni) e in considerazione della sede
profonda non è stato possibile effettuare alcuna terapia chirurgica né è parso etico eseguire una biopsia diagnostica.
Discussione: le sedi di più frequente riscontro degli UBOs sono cervelletto, nuclei della base, tronco encefalico (Lopez
Ferraz Filho 2008; DeBella 2000). Alla RM tali lesioni sono iperintense in T2 e ipointense in T1, senza contrastenhancement (Jett 2010); sono lesioni ben circoscritte, ovaleggianti, che non producono effetto massa né sintomi
neurologici (Ruggieri 2008), normalmente non espansive anche se in letteratura non c’è chiarezza nei criteri di diagnosi
differenziale tra lesione neoplastica e UBOs (Raininko 2001). L’evoluzione nel tempo mostra un andamento caratteristico
con comparsa nella prima decade di vita, scomparsa tra i 7 e i 12 anni e comparsa di nuove lesioni durante l’adolescenza
(Micheli 2006; Kraut 2004). Le caratteristiche di segnale RM della lesione, la sua sede anatomica e il quadro clinico di
emiparesi descritto nella nostra paziente pongono in realtà il dubbio tra UBO, lesione transizionale e lesione neoplastica
(Norfray 1999). Una possibile diagnosi differenziale sarebbe consentita con un esame di Spettroscopia RM (Gohen 1999),
tuttavia le esigue dimensioni della lesione rispetto ai voxel non hanno permesso tale diagnosi differenziale nella nostra
paziente. La possibilità che si tratti di una neoplasia indolente è da contemplare per le caratteristiche neuroradiologiche
(sebbene non vi sia mai stato contrast-enhancement), tuttavia la non evolutività (ed anzi la parziale riduzione spontanea di
volume) nell’arco di 14 anni, pur essendo ben nota riguardo ai gliomi di basso grado opto-chiasmatici e tronco encefalici
in NF1, non è mai stata descritta in letteratura a livello di talamo/capsula interna. Dunque, gli UBOs sono sempre
asintomatici?
Background: gli UBOs (Unidentified Bright Objects), sono reperti neuroradiologici di frequente riscontro (fino al 70%
dei casi) alla RM encefalo di pazienti affetti da Neurofibromatosi tipo 1 (NF1), tanto da essere stati proposti come criterio
diagnostico per NF1 (Lopes Ferraz Filho 2008; DeBella 2000), gli UBOs non sono mai stati considerati in letteratura
causa di disturbi motori o neurologici focali (Van Engelen 2008; Ruggieri 2008; Kraut 2004).
Obiettivo: una nostra paziente-NF1 presenta da 14 anni un’emiparesi sostenuta da una lesione del ginocchio della capsula
interna controlaterale dalle caratteristiche radiologiche ed evolutive degli UBOs. Discussione della possibile diagnosi
differenziale tra UBO “sintomatico”, lesione transizionale e lesione neoplastica non evolutiva.
Pazienti e metodi: 147 pazienti-NF1 pediatrici (età alla diagnosi tra i 3 mesi e i 12.5 anni; media 4.3 anni) studiati
annualmente con follow-up clinico-strumentale tra il 1992 e il 2010 (valutazione NPI, auxologica, oculistica,
dermatologica, ortopedica) con follow-up medio di 5.2 anni; 80 di essi hanno eseguito RM encefalo (sistematica fino al
2000, solo su indicazione clinica dopo).
Risultati: il 72,5% (58/80) dei pazienti sottoposti a RM presenta UBOs, tutti come atteso asintomatici eccetto una
paziente con NF1 familiare, con comparsa di chiazze caffelatte a 3 mesi e di freckling ascellare a 9 mesi; all’età di 9 mesi
è stata riscontrata alla RM encefalo (eseguita come da protocollo diagnostico) una lesione a livello del ginocchio della
capsula interna sinistra, iperintensa in T2, ipointensa in T1, priva di contrast-enhancement, interpretata per le
caratteristiche morfologiche, di segnale e di sede come UBO. All’età di 10 mesi osservato minor utilizzo dell’arto
superiore destro e, a 18 mesi con la deambulazione, evidenza di emiparesi destra attualmente, all’età di 15 anni, di grado
medio con marcia falciante ed utilizzo di tutori diurni. Ai controlli seriati di RM encefalo la lesione descritta non ha mai
mostrato evolutività radiologica (eccetto diminuzione del volume tra gli 8 e i 10 anni) e in considerazione della sede
profonda non è stato possibile effettuare alcuna terapia chirurgica né è parso etico eseguire una biopsia diagnostica.
Discussione: le sedi di più frequente riscontro degli UBOs sono cervelletto, nuclei della base, tronco encefalico (Lopez
Ferraz Filho 2008; DeBella 2000). Alla RM tali lesioni sono iperintense in T2 e ipointense in T1, senza contrastenhancement (Jett 2010); sono lesioni ben circoscritte, ovaleggianti, che non producono effetto massa né sintomi
neurologici (Ruggieri 2008), normalmente non espansive anche se in letteratura non c’è chiarezza nei criteri di diagnosi
differenziale tra lesione neoplastica e UBOs (Raininko 2001). L’evoluzione nel tempo mostra un andamento caratteristico
con comparsa nella prima decade di vita, scomparsa tra i 7 e i 12 anni e comparsa di nuove lesioni durante l’adolescenza
(Micheli 2006; Kraut 2004). Le caratteristiche di segnale RM della lesione, la sua sede anatomica e il quadro clinico di
emiparesi descritto nella nostra paziente pongono in realtà il dubbio tra UBO, lesione transizionale e lesione neoplastica
(Norfray 1999). Una possibile diagnosi differenziale sarebbe consentita con un esame di Spettroscopia RM (Gohen 1999),
tuttavia le esigue dimensioni della lesione rispetto ai voxel non hanno permesso tale diagnosi differenziale nella nostra
paziente. La possibilità che si tratti di una neoplasia indolente è da contemplare per le caratteristiche neuroradiologiche
(sebbene non vi sia mai stato contrast-enhancement), tuttavia la non evolutività (ed anzi la parziale riduzione spontanea di
volume) nell’arco di 14 anni, pur essendo ben nota riguardo ai gliomi di basso grado opto-chiasmatici e tronco encefalici
in NF1, non è mai stata descritta in letteratura a livello di talamo/capsula interna. Dunque, gli UBOs sono sempre
asintomatici?
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PSICHIATRIA
PSICHIATRIA
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PERCORSO UFSMIA USL 4 PRATO PER I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE IN ETA’ EVOLUTIVA
PERCORSO UFSMIA USL 4 PRATO PER I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE IN ETA’ EVOLUTIVA
Armellini M., Setteforti G., Vocino V., Corsano A., Campus I., Iacopino C.
UFSMIA ASL 4, Prato
Armellini M., Setteforti G., Vocino V., Corsano A., Campus I., Iacopino C.
UFSMIA ASL 4, Prato
Dall'aprile 2006 presso l’UFSMIA USL4 di Prato è stato costituito un servizio integrato multidisciplinare per i DCA
nell'età evolutiva, attenendosi al PSR ed alle Linee Guida della Regione Toscana (DLG 16/02/2005) e successivo Atto di
indirizzo (aprile 2006).
Il percorso attuato si colloca, all’interno dei livelli di cura ( APA Practice Guideline for the treatment of patients with ED,
1993; 2000; 2007), al livello 1 - ambulatoriale-, privilegiando il coinvolgimento e il supporto di chi ha cura quotidiana
del paziente (in età evolutiva soprattutto i familiari), con una presa in carico integrata basata non unicamente sul sintomo
ma anche sulla sofferenza psichica.
Tale modello tiene pertanto conto della continuità della presa in carico, della multidimensionalità dell’ intervento e della
formazione specifica dei diversi professionisti, rivolta all’ acquisizione della competenza, alla collaborazione e alla
personalizzazione del trattamento sul paziente.
Il livello preventivo, il trattamento precoce e intensivo, la costituzione di una rete integrata in senso longitudinale e
trasversale dei servizi, sono considerati gli obiettivi primari del percorso. Dall’ aprile 2006 al dicembre 2010 sono stati
presi in carico, con diagnosi di DCA, 80 pazienti, con prevalenza di femmine di età compresa tra i 4 e i 17 anni, per i
quali non si è verificato drop out . L’assessment ( secondo le linee del consensus document, Cuzzolaro 2010) è finalizzato
alla definizione della diagnosi psichiatrica e di DCA e alla individuazione di un percorso terapeutico con il
coinvolgimento dei professionisti che operano negli ambiti dietetico e medico- specialistico. Viene svolto secondo il
seguente protocollo:
-valutazione psicologica-psichiatrica del paziente e della famiglia: due colloqui psicodiagnostici con i genitori ; tre
colloqui con il paziente (variabili per età); valutazione testistica.
-Valutazione medica: BMI, funzionalità cardiaca, idratazione, esami ematici.
-Counseling nutrizionale e valutazione dietetica.
-Discussione nel gruppo integrato: individuazione del percorso terapeutico (paziente e famiglia)
-Colloquio di restituzione: riconsegna dell’ approfondimento diagnostico e del progetto terapeutico ( sempre effettuata
con genitori e paziente).
-Attivazione delle risorse e interfaccia con i servizi territoriali.
L’ accesso al servizio avviene attraverso il CUP telefonico dell’ UFSMIA o segnalazione del medico curante, con
compilazione di scheda infermieristica che rileva sintomi e parametri tipici dei DCA.
La presa in carico del paziente e della famiglia a livello terapeutico viene effettuata nei seguenti ambiti: Psicoterapia
familiare, Psicoterapia individuale, Riabilitazione nutrizionale, Interventi educativi, Intervento con fisioterapista.
La valutazione diagnostica effettuata sia a livello iniziale ( BUT; EDI 2; MMPI-A; SAFA; K-SADS-PL), che in fase
intermedia della presa in carico/trattamento e in dimissione, permette un confronto fra gli indicatori specifici della
sintomatologia DCA e la diagnosi psichiatrica e psicologica riferita ai modelli di organizzazione dell’ Io. Tale confronto
permette di rilevare, nei pazienti in dimissione, una remissione/riduzione della condotta specifica del DCA (40%), delle
caratteristiche psicopatologiche (Autosvalutazione, Perfezionismo, Dispercezione dell’ immagine corporea, Impulsività
etc) e del disagio nelle relazioni interpersonali. In comorbidità si rileva una diminuizione sintomatologia nei DOC e DAP
e nella depressione.
Dall'aprile 2006 presso l’UFSMIA USL4 di Prato è stato costituito un servizio integrato multidisciplinare per i DCA
nell'età evolutiva, attenendosi al PSR ed alle Linee Guida della Regione Toscana (DLG 16/02/2005) e successivo Atto di
indirizzo (aprile 2006).
Il percorso attuato si colloca, all’interno dei livelli di cura ( APA Practice Guideline for the treatment of patients with ED,
1993; 2000; 2007), al livello 1 - ambulatoriale-, privilegiando il coinvolgimento e il supporto di chi ha cura quotidiana
del paziente (in età evolutiva soprattutto i familiari), con una presa in carico integrata basata non unicamente sul sintomo
ma anche sulla sofferenza psichica.
Tale modello tiene pertanto conto della continuità della presa in carico, della multidimensionalità dell’ intervento e della
formazione specifica dei diversi professionisti, rivolta all’ acquisizione della competenza, alla collaborazione e alla
personalizzazione del trattamento sul paziente.
Il livello preventivo, il trattamento precoce e intensivo, la costituzione di una rete integrata in senso longitudinale e
trasversale dei servizi, sono considerati gli obiettivi primari del percorso. Dall’ aprile 2006 al dicembre 2010 sono stati
presi in carico, con diagnosi di DCA, 80 pazienti, con prevalenza di femmine di età compresa tra i 4 e i 17 anni, per i
quali non si è verificato drop out . L’assessment ( secondo le linee del consensus document, Cuzzolaro 2010) è finalizzato
alla definizione della diagnosi psichiatrica e di DCA e alla individuazione di un percorso terapeutico con il
coinvolgimento dei professionisti che operano negli ambiti dietetico e medico- specialistico. Viene svolto secondo il
seguente protocollo:
-valutazione psicologica-psichiatrica del paziente e della famiglia: due colloqui psicodiagnostici con i genitori ; tre
colloqui con il paziente (variabili per età); valutazione testistica.
-Valutazione medica: BMI, funzionalità cardiaca, idratazione, esami ematici.
-Counseling nutrizionale e valutazione dietetica.
-Discussione nel gruppo integrato: individuazione del percorso terapeutico (paziente e famiglia)
-Colloquio di restituzione: riconsegna dell’ approfondimento diagnostico e del progetto terapeutico ( sempre effettuata
con genitori e paziente).
-Attivazione delle risorse e interfaccia con i servizi territoriali.
L’ accesso al servizio avviene attraverso il CUP telefonico dell’ UFSMIA o segnalazione del medico curante, con
compilazione di scheda infermieristica che rileva sintomi e parametri tipici dei DCA.
La presa in carico del paziente e della famiglia a livello terapeutico viene effettuata nei seguenti ambiti: Psicoterapia
familiare, Psicoterapia individuale, Riabilitazione nutrizionale, Interventi educativi, Intervento con fisioterapista.
La valutazione diagnostica effettuata sia a livello iniziale ( BUT; EDI 2; MMPI-A; SAFA; K-SADS-PL), che in fase
intermedia della presa in carico/trattamento e in dimissione, permette un confronto fra gli indicatori specifici della
sintomatologia DCA e la diagnosi psichiatrica e psicologica riferita ai modelli di organizzazione dell’ Io. Tale confronto
permette di rilevare, nei pazienti in dimissione, una remissione/riduzione della condotta specifica del DCA (40%), delle
caratteristiche psicopatologiche (Autosvalutazione, Perfezionismo, Dispercezione dell’ immagine corporea, Impulsività
etc) e del disagio nelle relazioni interpersonali. In comorbidità si rileva una diminuizione sintomatologia nei DOC e DAP
e nella depressione.
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LA TRACCIA GRAFICA COME INDICATORE DI PROGNOSI POSITIVA IN
RIABILITAZIONE DELL’AUTISMO ATIPICO
LA TRACCIA GRAFICA COME INDICATORE DI PROGNOSI POSITIVA IN
RIABILITAZIONE DELL’AUTISMO ATIPICO
Aroffo A. M.
Unità di Neuropsichiatria Infantile ASL 8 Distretto Sociosanitario 1 Cagliari Area Vasta
Aroffo A. M.
Unità di Neuropsichiatria Infantile ASL 8 Distretto Sociosanitario 1 Cagliari Area Vasta
Soggetti,Materiale e metodi: analisi della produzione grafica di 8 casi di Autismo Atipico( diagnosticati entro i 3 anni)
dalla nascita della traccia grafica denominata al disegno della figura umana,famiglia e albero, emozioni.
Si parte dal presupposto che lo sviluppo del grafismo è strettamente legato alla acquisizione di attenzione ed emozione
congiunta, allo sviluppo del sé, alla capacità di entrare in relazione con gli altri, alla nascita del gioco simbolico.
L'evoluzione della capacità grafica è strettamente legata alla nascita della struttura narrativa facilitata da un supporto
visivo. Il loro sviluppo è supportato dalle figure genitoriali che vivono i progressi del loro piccolo come una nuova
nascita che a tratti li rende gioiosi della relazione vissuta col figlio a tratti li spaventa quando è presente una "pausa o
regressione" del processo di sviluppo.
Discussione e risultati: seguiti in psicoterapia congiunta genitori e figli riescono a comunicare prima con la nascita del
gioco di scambio, poi del pre-simbolico e infine del simbolico. L'esperienza grafica permette al piccolo di comunicare il
suo vissuto emozionale ai genitori e in terapia.
Soggetti,Materiale e metodi: analisi della produzione grafica di 8 casi di Autismo Atipico( diagnosticati entro i 3 anni)
dalla nascita della traccia grafica denominata al disegno della figura umana,famiglia e albero, emozioni.
Si parte dal presupposto che lo sviluppo del grafismo è strettamente legato alla acquisizione di attenzione ed emozione
congiunta, allo sviluppo del sé, alla capacità di entrare in relazione con gli altri, alla nascita del gioco simbolico.
L'evoluzione della capacità grafica è strettamente legata alla nascita della struttura narrativa facilitata da un supporto
visivo. Il loro sviluppo è supportato dalle figure genitoriali che vivono i progressi del loro piccolo come una nuova
nascita che a tratti li rende gioiosi della relazione vissuta col figlio a tratti li spaventa quando è presente una "pausa o
regressione" del processo di sviluppo.
Discussione e risultati: seguiti in psicoterapia congiunta genitori e figli riescono a comunicare prima con la nascita del
gioco di scambio, poi del pre-simbolico e infine del simbolico. L'esperienza grafica permette al piccolo di comunicare il
suo vissuto emozionale ai genitori e in terapia.
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I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE AD INSORGENZA IN
BAMBINI CON ETA' INFERIORE A 11 ANNI.
I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE AD INSORGENZA IN
BAMBINI CON ETA' INFERIORE A 11 ANNI.
Bechis D., Gandione M., Vittorini R.
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di Torino
Bechis D., Gandione M., Vittorini R.
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di Torino
Da studi effettuati attraverso i quattro continenti è emerso come il Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) sia un
problema in netto aumento nei bambini con tendenza a mantenersi costante durante tutta l’infanzia fino all’adolescenza.
(Halmi, Meyer, Gast). Nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2002 ed il 28 febbraio 2011 presso il Reparto Degenza della
Sezione di Neuropsichiatria Infantile del Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza dell’Università degli
Studi di Torino, sono stati ricoverati 61 bambini con diagnosi di DCA con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni.
Attualmente sono ricoverate in reparto 3 bambine di età scolare, i cui dati non sono stati presi in considerazioni in quanto
ancora incompleti. A fronte di un continuo aumento del DCA ad esordio precoce, l’obiettivo dello studio è di analizzare
le caratteristiche anamnestiche, cliniche e socio-familiari al fine di ricavare elementi utili all’approccio diagnosticoterapeutico. E’ emerso come il Disturbo Alimentare presenti caratteristiche differenti se insorge in bambini in età prescolare o in età scolare, pertanto il campione è stato suddiviso in due sottogruppi in base all’età del ricovero. Il campione
di bambini con età pre-scolare è risultato composto da 19 pazienti (31,14% del campione totale): 10 maschi (52,63%), 9
femmine (47,36%). I pazienti sono in prevalenza maschi, unicogeniti, appartenenti ad una famiglia di livello socioculturale medio, in genere con nucleo familiare regolare e senza familiarità per patologia psichiatrica. Le condizioni alla
nascita sono talvolta a rischio; lo sviluppo neuro-psicomotorio e del linguaggio presenta una maggiore incidenza di
ritardo; lo svezzamento è riferito talvolta con difficoltà. Spesso sono segnalati disturbi della sfera bio-istintuale. Si
riscontra suzione scarsa e tendenza all’addormentamento durante il pasto. Il disturbo assume caratteristiche di cronicità.
Sono risultati fattori predisponenti: sviluppo neuro-psicomotorio in ritardo; familiarità per patologia psichiatrica;
problematiche all’allattamento ed allo svezzamento; preoccupazione per le condizioni di salute ed insorgenza di altre
patologie nel primo anno di vita. Le problematiche all’allattamento ed allo svezzamento sembrano già essere una precoce
manifestazione della patologia.
Il disturbo che insorge con la caratteristica del vomito presenta andamento più grave nel sesso maschile, con prognosi
peggiore rispetto ai disturbi con caratteristica restrittiva. Il campione di bambini con età scolare risulta composto da 42
pazienti (68,85% del campione totale): 6 maschi (14,82%), 36 femmine (85,71%). I pazienti sono in prevalenza femmine,
primogenite appartenenti alla classe sociale medio-alta e con un nucleo familiare talvolta disgregato, nel quale è stata
segnalata spesso familiarità per patologia psichiatrica o un pregresso DCA nei genitori. Si tratta di bambini “sani” che
non destano preoccupazione nelle figure genitoriali. Il disturbo può presentarsi acutamente oppure cronicamente. I maschi
presentano caratteristiche che li rendono più simili ai pazienti in età pre-scolare (la patologia alimentare, seppur rara,
insorge più precocemente e con caratteristiche di maggiore gravità), le femmine si propongono con caratteristiche che
richiamano il disturbo alimentare tipico dell’età adolescenziale (accanto a situazioni in cui il sintomo sembra “reattivo” si
riscontrano casi di maggior gravità). Il Disturbo Alimentare si associa con maggiore frequenza ad alterazioni del tono
dell’umore ed a disturbi del sonno. In entrambi i gruppi per la diagnosi devono essere effettuati accertamenti, differenziati
in base all’età, volti sia ad escludere una patologia organica, sia a mettere in evidenza la psicopatologia potenzialmente
sottese dal sintomo. La terapia deve prevedere un approccio multidisciplinare che preveda un intervento farmacologico,
associato a psicoterapia individuale ed ad un intervento di sostegno psicologico ai genitori.
Da studi effettuati attraverso i quattro continenti è emerso come il Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) sia un
problema in netto aumento nei bambini con tendenza a mantenersi costante durante tutta l’infanzia fino all’adolescenza.
(Halmi, Meyer, Gast). Nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2002 ed il 28 febbraio 2011 presso il Reparto Degenza della
Sezione di Neuropsichiatria Infantile del Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza dell’Università degli
Studi di Torino, sono stati ricoverati 61 bambini con diagnosi di DCA con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni.
Attualmente sono ricoverate in reparto 3 bambine di età scolare, i cui dati non sono stati presi in considerazioni in quanto
ancora incompleti. A fronte di un continuo aumento del DCA ad esordio precoce, l’obiettivo dello studio è di analizzare
le caratteristiche anamnestiche, cliniche e socio-familiari al fine di ricavare elementi utili all’approccio diagnosticoterapeutico. E’ emerso come il Disturbo Alimentare presenti caratteristiche differenti se insorge in bambini in età prescolare o in età scolare, pertanto il campione è stato suddiviso in due sottogruppi in base all’età del ricovero. Il campione
di bambini con età pre-scolare è risultato composto da 19 pazienti (31,14% del campione totale): 10 maschi (52,63%), 9
femmine (47,36%). I pazienti sono in prevalenza maschi, unicogeniti, appartenenti ad una famiglia di livello socioculturale medio, in genere con nucleo familiare regolare e senza familiarità per patologia psichiatrica. Le condizioni alla
nascita sono talvolta a rischio; lo sviluppo neuro-psicomotorio e del linguaggio presenta una maggiore incidenza di
ritardo; lo svezzamento è riferito talvolta con difficoltà. Spesso sono segnalati disturbi della sfera bio-istintuale. Si
riscontra suzione scarsa e tendenza all’addormentamento durante il pasto. Il disturbo assume caratteristiche di cronicità.
Sono risultati fattori predisponenti: sviluppo neuro-psicomotorio in ritardo; familiarità per patologia psichiatrica;
problematiche all’allattamento ed allo svezzamento; preoccupazione per le condizioni di salute ed insorgenza di altre
patologie nel primo anno di vita. Le problematiche all’allattamento ed allo svezzamento sembrano già essere una precoce
manifestazione della patologia.
Il disturbo che insorge con la caratteristica del vomito presenta andamento più grave nel sesso maschile, con prognosi
peggiore rispetto ai disturbi con caratteristica restrittiva. Il campione di bambini con età scolare risulta composto da 42
pazienti (68,85% del campione totale): 6 maschi (14,82%), 36 femmine (85,71%). I pazienti sono in prevalenza femmine,
primogenite appartenenti alla classe sociale medio-alta e con un nucleo familiare talvolta disgregato, nel quale è stata
segnalata spesso familiarità per patologia psichiatrica o un pregresso DCA nei genitori. Si tratta di bambini “sani” che
non destano preoccupazione nelle figure genitoriali. Il disturbo può presentarsi acutamente oppure cronicamente. I maschi
presentano caratteristiche che li rendono più simili ai pazienti in età pre-scolare (la patologia alimentare, seppur rara,
insorge più precocemente e con caratteristiche di maggiore gravità), le femmine si propongono con caratteristiche che
richiamano il disturbo alimentare tipico dell’età adolescenziale (accanto a situazioni in cui il sintomo sembra “reattivo” si
riscontrano casi di maggior gravità). Il Disturbo Alimentare si associa con maggiore frequenza ad alterazioni del tono
dell’umore ed a disturbi del sonno. In entrambi i gruppi per la diagnosi devono essere effettuati accertamenti, differenziati
in base all’età, volti sia ad escludere una patologia organica, sia a mettere in evidenza la psicopatologia potenzialmente
sottese dal sintomo. La terapia deve prevedere un approccio multidisciplinare che preveda un intervento farmacologico,
associato a psicoterapia individuale ed ad un intervento di sostegno psicologico ai genitori.
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UNO STUDIO DI VOXEL-BASED MORPHOMETRY IN BAMBINE CON DISTURBO
DELLO SPETTRO AUTISTICO
UNO STUDIO DI VOXEL-BASED MORPHOMETRY IN BAMBINE CON DISTURBO
DELLO SPETTRO AUTISTICO
Calderoni S., Retico A.°, Biagi L., Tancredi R., Muratori F., Tosetti M.
IRCCS – Fondazione Stella Maris
°National Institute of Nuclear Physics, Pisa
Calderoni S., Retico A.°, Biagi L., Tancredi R., Muratori F., Tosetti M.
IRCCS – Fondazione Stella Maris
°National Institute of Nuclear Physics, Pisa
Background scientifico: I numerosi, ma contraddittori studi di risonanza magnetica strutturale in bambini con disturbo
dello spettro autistico (DSA) hanno preso in considerazione campioni costituiti prevalentemente o interamente da maschi.
Dal momento che le differenze di genere nella struttura cerebrale sono osservabili fin dall’infanzia, i dati neuroanatomici
ottenuti nei maschi non possono essere estesi anche alle femmine. Il fenotipo neuroanatomico delle bambine con DSA
rappresenta pertanto un’area della ricerca ancora da indagare.
Scopo: Tramite risonanza magnetica, analizzare la struttura anatomica cerebrale di un campione interamente costituito da
bambine con DSA, utilizzando la metodica mass-univariate e un approccio di classificazione dei dati (pattern
classification approach).
Metodologie e soggetti: Il campione è costituito da 38 bambine con DSA (DSAf) tra i 25 e gli 88 mesi (2-7 anni;
media=53 mesi; DS=18) e 38 bambine di controllo tra i 22 e gli 89 mesi (media=53 mesi; DS=19) accuratamente
selezionate per essere il più possibile accoppiate per età e QI non-verbale (QINV) alle pazienti DSAf. I due gruppi di
bambine sono confrontati tramite voxel-based morphometry (VBM) con un algoritmo di registrazione recentemente
sviluppato (Diffeomorphic Anatomical Registration Exponentiated Lie algebra, DARTEL) e classificando i dati con una
Support Vector Machine (SVM). Come complemento all'analisi VBM, è stata implementata una procedura indipendente
basata sulla SVM e sull'eliminazione ricorsiva delle caratteristiche (recursive feature elimination, RFE) per identificare i
voxel di sostanza grigia (SG) e di sostanza bianca (SB) più importanti per la discriminazione dei pazienti dai controlli.
Risultati e discussioni: Rispetto al gruppo di controllo, i soggetti DSAf mostrano in maniera significativa un volume
maggiore di SG nel giro frontale superiore (GFS; coordinate MNI: -19 44 23). L’alterazione di volume corticale regionale
messa in luce dall’analisi SVM-RFE risulta estremamente coerente con la regione del giro frontale superiore identificata
dall’analisi VBM. Inoltre, la mappa di SVM-RFE ottenuta dall’insieme di voxel che hanno un alto potere di discriminare
i pazienti dai controlli, rivela un circuito maggiormente complesso di incremento di SG nelle DSAf, composto dal giro
frontale superiore bilaterale e dalla giunzione temporo-parietale (GTP) destra. I risultati indicano la presenza di anomalie
strutturali corticali nelle bambine DSA e che le alterazioni nel GFS e nel GTP potrebbero ricoprire un ruolo cruciale nella
patofisiologia delle pazienti DSAf.
Background scientifico: I numerosi, ma contraddittori studi di risonanza magnetica strutturale in bambini con disturbo
dello spettro autistico (DSA) hanno preso in considerazione campioni costituiti prevalentemente o interamente da maschi.
Dal momento che le differenze di genere nella struttura cerebrale sono osservabili fin dall’infanzia, i dati neuroanatomici
ottenuti nei maschi non possono essere estesi anche alle femmine. Il fenotipo neuroanatomico delle bambine con DSA
rappresenta pertanto un’area della ricerca ancora da indagare.
Scopo: Tramite risonanza magnetica, analizzare la struttura anatomica cerebrale di un campione interamente costituito da
bambine con DSA, utilizzando la metodica mass-univariate e un approccio di classificazione dei dati (pattern
classification approach).
Metodologie e soggetti: Il campione è costituito da 38 bambine con DSA (DSAf) tra i 25 e gli 88 mesi (2-7 anni;
media=53 mesi; DS=18) e 38 bambine di controllo tra i 22 e gli 89 mesi (media=53 mesi; DS=19) accuratamente
selezionate per essere il più possibile accoppiate per età e QI non-verbale (QINV) alle pazienti DSAf. I due gruppi di
bambine sono confrontati tramite voxel-based morphometry (VBM) con un algoritmo di registrazione recentemente
sviluppato (Diffeomorphic Anatomical Registration Exponentiated Lie algebra, DARTEL) e classificando i dati con una
Support Vector Machine (SVM). Come complemento all'analisi VBM, è stata implementata una procedura indipendente
basata sulla SVM e sull'eliminazione ricorsiva delle caratteristiche (recursive feature elimination, RFE) per identificare i
voxel di sostanza grigia (SG) e di sostanza bianca (SB) più importanti per la discriminazione dei pazienti dai controlli.
Risultati e discussioni: Rispetto al gruppo di controllo, i soggetti DSAf mostrano in maniera significativa un volume
maggiore di SG nel giro frontale superiore (GFS; coordinate MNI: -19 44 23). L’alterazione di volume corticale regionale
messa in luce dall’analisi SVM-RFE risulta estremamente coerente con la regione del giro frontale superiore identificata
dall’analisi VBM. Inoltre, la mappa di SVM-RFE ottenuta dall’insieme di voxel che hanno un alto potere di discriminare
i pazienti dai controlli, rivela un circuito maggiormente complesso di incremento di SG nelle DSAf, composto dal giro
frontale superiore bilaterale e dalla giunzione temporo-parietale (GTP) destra. I risultati indicano la presenza di anomalie
strutturali corticali nelle bambine DSA e che le alterazioni nel GFS e nel GTP potrebbero ricoprire un ruolo cruciale nella
patofisiologia delle pazienti DSAf.
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UNO STUDIO DI IMAGING DEL TENSORE DI DIFFUSIONE IN BAMBINI CON
DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
UNO STUDIO DI IMAGING DEL TENSORE DI DIFFUSIONE IN BAMBINI CON
DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
Calderoni S., Billeci L.*, Biagi L., Tosetti M., Catani M.**, Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris
* Institute of Clinical Physiology, CNR, Pisa, Italy
** NatBrainLab, Institute of Psychiatry, King’s College London
Calderoni S., Billeci L.*, Biagi L., Tosetti M., Catani M.**, Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris
* Institute of Clinical Physiology, CNR, Pisa, Italy
** NatBrainLab, Institute of Psychiatry, King’s College London
Background scientifico: L’imaging del tensore di diffusione (DTI) è una recente metodica di risonanza magnetica (RM)
che fornisce informazioni sull’organizzazione dei fasci di sostanza bianca basandosi sulla diffusione delle molecole di
acqua nei tessuti cerebrali. I disturbi dello spettro autistico (DSA) sono patologie del neurosviluppo caratterizzate da
un’anomala connettività cerebrale che può essere messa in luce dagli studi che utilizzano la tecnica DTI.
Scopo: Tramite DTI, confrontare la struttura della sostanza bianca nei bambini con DSA rispetto a bambini senza
sintomatologia riconducibile a un DSA ed un QI > 70 (noRitM).
Metodologie e soggetti: sono stati analizzati 22 bambini con un DSA (età media e DS: 5.54+2.03) e 10 bambini con
noRitM (età media e DS: 5.25+2.46). I pazienti e i controlli sono stati sottoposti a RM all’IRCSS Stella Maris (sistema
GE: 1.5 T con sequenza di acquisizione EPI e gradienti di diffusione in 25 direzioni). I controlli sono stati selezionati tra i
soggetti che hanno effettuato una RM per varie ragioni (incluse cefalea, vertigine parossistica ricorrente, cataratta, trauma
cerebrale) e che avevano una valutazione standardizzata delle abilità cognitive e informazioni cliniche sufficienti per
escludere la presenza di disturbi neurologici, psichiatrici e dello sviluppo. Alcuni bambini con DSA e con noRitM non
hanno una dominanza manuale definita, i bambini con una chiara lateralizzazione sono destri.
Risultati e discussioni: L'elaborazione delle immagini DTI usando la tecnica Tract-Based Spatial Statistic (TBSS)
evidenzia nei pazienti DSA un aumento significativo dell’anisotropia frazionaria (AF) in diverse aree cerebrali come il
corpo calloso, il cingolo, il fascicolo arcuato, la capsula interna ed esterna. L’analisi trattografica condotta sul cingolo e
sul fascicolo arcuato mostra una differenza significativa per quanto riguarda a) la lunghezza delle streamlines nel cingolo
bilateralmente (ASD> noRitM); b) la diffusività media del cingolo sinistro e del fascicolo arcuato destro. Queste due
strutture di sostanza bianca partecipano a funzioni frequentemente compromesse nei pazienti DSA: mentre il cingolo è
una struttura coinvolta nei processi cognitivi più evoluti, il fascicolo arcuato è più specificatamente associato al
linguaggio.
Background scientifico: L’imaging del tensore di diffusione (DTI) è una recente metodica di risonanza magnetica (RM)
che fornisce informazioni sull’organizzazione dei fasci di sostanza bianca basandosi sulla diffusione delle molecole di
acqua nei tessuti cerebrali. I disturbi dello spettro autistico (DSA) sono patologie del neurosviluppo caratterizzate da
un’anomala connettività cerebrale che può essere messa in luce dagli studi che utilizzano la tecnica DTI.
Scopo: Tramite DTI, confrontare la struttura della sostanza bianca nei bambini con DSA rispetto a bambini senza
sintomatologia riconducibile a un DSA ed un QI > 70 (noRitM).
Metodologie e soggetti: sono stati analizzati 22 bambini con un DSA (età media e DS: 5.54+2.03) e 10 bambini con
noRitM (età media e DS: 5.25+2.46). I pazienti e i controlli sono stati sottoposti a RM all’IRCSS Stella Maris (sistema
GE: 1.5 T con sequenza di acquisizione EPI e gradienti di diffusione in 25 direzioni). I controlli sono stati selezionati tra i
soggetti che hanno effettuato una RM per varie ragioni (incluse cefalea, vertigine parossistica ricorrente, cataratta, trauma
cerebrale) e che avevano una valutazione standardizzata delle abilità cognitive e informazioni cliniche sufficienti per
escludere la presenza di disturbi neurologici, psichiatrici e dello sviluppo. Alcuni bambini con DSA e con noRitM non
hanno una dominanza manuale definita, i bambini con una chiara lateralizzazione sono destri.
Risultati e discussioni: L'elaborazione delle immagini DTI usando la tecnica Tract-Based Spatial Statistic (TBSS)
evidenzia nei pazienti DSA un aumento significativo dell’anisotropia frazionaria (AF) in diverse aree cerebrali come il
corpo calloso, il cingolo, il fascicolo arcuato, la capsula interna ed esterna. L’analisi trattografica condotta sul cingolo e
sul fascicolo arcuato mostra una differenza significativa per quanto riguarda a) la lunghezza delle streamlines nel cingolo
bilateralmente (ASD> noRitM); b) la diffusività media del cingolo sinistro e del fascicolo arcuato destro. Queste due
strutture di sostanza bianca partecipano a funzioni frequentemente compromesse nei pazienti DSA: mentre il cingolo è
una struttura coinvolta nei processi cognitivi più evoluti, il fascicolo arcuato è più specificatamente associato al
linguaggio.
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PERSONALITA’ MATERNA E OBESITA’ INFANTILE: STUDIO CASO-CONTROLLO
PERSONALITA’ MATERNA E OBESITA’ INFANTILE: STUDIO CASO-CONTROLLO
Carotenuto M., Esposito M., Castaldo L., Di Dona A., Di Sessa A.*, Falco P.*, Miraglia Del
Giudice E.*
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile - Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria, Dermatovenereologia - Seconda Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria “Francesco Fede” Seconda Università degli Studi di Napoli
Carotenuto M., Esposito M., Castaldo L., Di Dona A., Di Sessa A.*, Falco P.*, Miraglia Del
Giudice E.*
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile - Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria, Dermatovenereologia - Seconda Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria “Francesco Fede” Seconda Università degli Studi di Napoli
Background: la stretta relazione tra abitudini alimentari e aspetti relazionali della diade madre-figlio.
Scopo dello studio: scopo del presente studio è valutare la presenza di tratti di personalità caratteristici in un gruppo di
madri di bambini obesi, confrontati a quelli di un gruppo di madri di bambini magri.
Metodologie e Soggetti: Per il presente studio sono state arruolate 258 madri presso il Centro Endocrinologico di Terzo
livello per l’obesità infantile afferente al Dipartimento di Pediatria della Seconda Università degli Studi di Napoli. A tutte
le madri è stato somministrato il Minnesota Multiphasic Personality Inventory - Second Edition (MMPI-2) al fine di
identificare i tratti di personalità di ciascuna partecipante. Il t-Test è stato utilizzato per confrontare l’età, il BMI e i
risultati delle scale di base e di contenuto dell’ MMPI-2 tra le madri dei bambini obesi e le madri di controllo. E’ stato
ritenuto statisticamente significativo un valore di p < 0.05. Il gruppo di studio è composto da 126 madri di bambini obesi
(BMI >95 centile; BMI-SDS, media: 2.95 + 0.9) e 132 madri di bambini magri (BMI <85 centile; BMI-SDS, media:0.19
+ 0.2); i due gruppi risultano confrontabili per età (37.09 ± 6.86 vs. 36.67 ± 4.23; p=0.539), BMI (22.08 ± 1.723 vs. 22.89
± 1.052; p=0.284) e scolarità (11.34 ± 4.42 vs. 10.89 ± 3.79; p=0.37).
Risultati e Discussioni: nell’ambito delle Scale di Base, le madri dei bambini obesi mostrano punteggi significativamente
maggiori nelle sottoscale Depressione (D) (p<0.0001), Isteria (Hy) (p<0.0001), Psicastenia (Pt) (p<0.0001), Ipomania
(Ma) (p=0.0193), Introversione Sociale (Si) (p<0.0001), Ipocondria (Hs) (p<0.0001), Paranoia (Pa) (p<0.0001) e
Schizofrenia (Sc) (p<0.0001) rispetto alle madri di bambini non obesi. Nell’ambito delle Scale di Contenuto, le madri dei
bambini obesi non mostrano valori patologici in nessuna sottoscala pur presentando dei valori mediamente maggiori nelle
sottoscale Ansia (ANX) (p<0.0001), Paure (FRS) (p<0.0001), Ossessività (OBS) (p=0.0082), Depressione (DEP)
(p<0.0001), Preoccupazioni per la salute (HEA) (p<0.0001), Ideazioni bizzarre (BIZ) (p<0.0001), Bassa autostima (LSE)
(p<0.0001), Difficoltà sociali (SOD) (p=0.0106), Problemi familiari (FAM) (p=0.0002), Interferenza col lavoro (WRK)
(p<0.0001), Indicatore negativo per il trattamento (TRT) (p<0.0001) rispetto alle madri del gruppo di controllo. I nostri
risultati mostrano, quindi, che le madri dei bambini obesi presentano un peculiare profilo di personalità dominato dalla
presenza di alti livelli alle sottoscale Paranoia, Schizofrenia ed Ipocondria, supportando l’idea che aspetti personologici
delle madri potrebbero rivestire un ruolo chiave nello sviluppo dell’obesità nei bambini.
Background: la stretta relazione tra abitudini alimentari e aspetti relazionali della diade madre-figlio.
Scopo dello studio: scopo del presente studio è valutare la presenza di tratti di personalità caratteristici in un gruppo di
madri di bambini obesi, confrontati a quelli di un gruppo di madri di bambini magri.
Metodologie e Soggetti: Per il presente studio sono state arruolate 258 madri presso il Centro Endocrinologico di Terzo
livello per l’obesità infantile afferente al Dipartimento di Pediatria della Seconda Università degli Studi di Napoli. A tutte
le madri è stato somministrato il Minnesota Multiphasic Personality Inventory - Second Edition (MMPI-2) al fine di
identificare i tratti di personalità di ciascuna partecipante. Il t-Test è stato utilizzato per confrontare l’età, il BMI e i
risultati delle scale di base e di contenuto dell’ MMPI-2 tra le madri dei bambini obesi e le madri di controllo. E’ stato
ritenuto statisticamente significativo un valore di p < 0.05. Il gruppo di studio è composto da 126 madri di bambini obesi
(BMI >95 centile; BMI-SDS, media: 2.95 + 0.9) e 132 madri di bambini magri (BMI <85 centile; BMI-SDS, media:0.19
+ 0.2); i due gruppi risultano confrontabili per età (37.09 ± 6.86 vs. 36.67 ± 4.23; p=0.539), BMI (22.08 ± 1.723 vs. 22.89
± 1.052; p=0.284) e scolarità (11.34 ± 4.42 vs. 10.89 ± 3.79; p=0.37).
Risultati e Discussioni: nell’ambito delle Scale di Base, le madri dei bambini obesi mostrano punteggi significativamente
maggiori nelle sottoscale Depressione (D) (p<0.0001), Isteria (Hy) (p<0.0001), Psicastenia (Pt) (p<0.0001), Ipomania
(Ma) (p=0.0193), Introversione Sociale (Si) (p<0.0001), Ipocondria (Hs) (p<0.0001), Paranoia (Pa) (p<0.0001) e
Schizofrenia (Sc) (p<0.0001) rispetto alle madri di bambini non obesi. Nell’ambito delle Scale di Contenuto, le madri dei
bambini obesi non mostrano valori patologici in nessuna sottoscala pur presentando dei valori mediamente maggiori nelle
sottoscale Ansia (ANX) (p<0.0001), Paure (FRS) (p<0.0001), Ossessività (OBS) (p=0.0082), Depressione (DEP)
(p<0.0001), Preoccupazioni per la salute (HEA) (p<0.0001), Ideazioni bizzarre (BIZ) (p<0.0001), Bassa autostima (LSE)
(p<0.0001), Difficoltà sociali (SOD) (p=0.0106), Problemi familiari (FAM) (p=0.0002), Interferenza col lavoro (WRK)
(p<0.0001), Indicatore negativo per il trattamento (TRT) (p<0.0001) rispetto alle madri del gruppo di controllo. I nostri
risultati mostrano, quindi, che le madri dei bambini obesi presentano un peculiare profilo di personalità dominato dalla
presenza di alti livelli alle sottoscale Paranoia, Schizofrenia ed Ipocondria, supportando l’idea che aspetti personologici
delle madri potrebbero rivestire un ruolo chiave nello sviluppo dell’obesità nei bambini.
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FATTORI PREDITTIVI DI DECORSO DEL DISTURBO BIPOLARE IN ETA’
EVOLUTIVA: 24 MESI DI FOLLOW-UP
FATTORI PREDITTIVI DI DECORSO DEL DISTURBO BIPOLARE IN ETA’
EVOLUTIVA: 24 MESI DI FOLLOW-UP
Carucci S., Atzori P., Balia C.*, Melis G., Danjou F.**, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – Clinica di
Neuropsichiatria Infantile – Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari
*Sez. Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Neuroscienze
**Dip. Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Cagliari
Carucci S., Atzori P., Balia C.*, Melis G., Danjou F.**, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – Clinica di
Neuropsichiatria Infantile – Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari
*Sez. Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Neuroscienze
**Dip. Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Cagliari
Introduzione: Il disturbo bipolare (DB) ad esordio in età evolutiva ha ricevuto, negli ultimi anni, sempre maggiore
attenzione e riconoscimento. [1]. In età pre-puberale, il DB raramente risponde ai criteri del DSM-IV e l’inquadramento
dell’irritabilità non episodica come Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (BD-NAS) o Severa Disregolazione del
tono dell’Umore (SMD) continua ad essere argomento di un acceso dibattito [2]. Una migliore comprensione della
presentazione clinica e del decorso del disturbo bipolare pediatrico appare essenziale al fine di migliorare le procedure di
diagnosi precoce e promuovere appropriate strategie di trattamento.
Obiettivi: Analizzare, tramite uno studio naturalistico retrospettivo, le caratteristiche demografiche, cliniche e di decorso
di pazienti con Disturbo Bipolare I, II e NAS ed esplorare la possibile influenza della comorbidità con ADHD sulla
risposta ai farmaci e il decorso clinico dopo 24 mesi dal ricovero iniziale nei tre diversi gruppi.
Metodi: Sono state valutati 71 pazienti ricoverati, di età compresa tra 6 e 18 anni, rispondenti ai criteri diagnostici del
DSM-IV per DB-I (n=45), DB-II (n=10) e DB-NAS (n=16). Le diagnosi sono state formulate in base alla valutazione
clinica di un neuropsichiatra infantile e confermate sulla base dell’intervista semi-strutturata K-SADS-PL. I pazienti sono
stati monitorati per 24 mesi e il decorso longitudinale del disturbo è stato valutato all’esordio e dopo 6, 12 e 24 mesi
attraverso la Children Global Assessment Scale (C-GAS).
Analisi dei dati: I dati categoriali sono stati analizzati mediante test del Chi quadro; le variabili continue attraverso test
univariati standard parametrici e non parametrici a seconda delle caratteristiche di distribuzione. Le differenze nel
funzionamento globale dei tre gruppi ai diversi tempi sono state valutate tramite l’analisi della varianza “ANOVA ad una
via”. Il test “ANOVA a una via per misure ripetute”, è stato infine utilizzato per elaborare i modelli predittivi.
Risultati: I soggetti affetti da disturbo Bipolare NAS presentavano un’età media d’esordio del primo episodio affettivo
significativamente più bassa (11.2±3.3) rispetto ai Bipolari I (15.2±2; p=0.000), e più alti tassi di comorbidità con ADHD
e con il Disturbo Oppositivo Provocatorio (p=0.001 e p=0.03 rispettivamente). Il gruppo NAS ha inoltre presentato una
minore severità dei sintomi all’esordio rispetto agli altri due gruppi (i DB-I sintomi maniacali e psicotici più severi,
p<0,005; i DB-II sintomi depressivi più gravi, p<0,05). Non sono state riscontrate differenze significative in relazione al
QI, storia familiare e polarità del primo episodio affettivo (prevalenti gli episodi misti in tutti i gruppi). La maggior parte
dei DB-II e dei DB-NAS ha ricevuto una monoterapia con stabilizzanti dell'umore, mentre oltre il 50% dei DB-I ha
ricevuto una terapia combinata con stabilizzanti e antipsicotici (p=0.04). Il decorso, valutato tramite C-GAS, è risultato
peggiore per i DB-NAS dopo 24 mesi (p=0,010). I modelli predittivi hanno evidenziato un basso QI (p=0.006) e il genere
femminile (p=0.026) quali fattori predittivi di peggior outcome. Inoltre la comorbidità con ADHD è risultata predittiva
di una peggiore evoluzione del disturbo all’interno dei pazienti con normale livello cognitivo (p=0.003).
Conclusioni: I risultati del presente studio mostrano come anche in età evolutiva sia possibile formulare con accuratezza
la diagnosi di disturbo bipolare e suggeriscono l’urgente necessità di effettuare una più accurata tipizzazione dei
sottogruppi ancora meno studiati (DB-II e DB-NAS) e definire delle sottopopolazioni più omogenee, al fine di
individuare efficaci strategie terapeutiche mirate, indispensabili per prevenire e ridurre la significativa morbidità
psicosociale.
References:
[1] Leibenluft E., Rich B.A. Pediatric Bipolar Disorder. Annu Rev Clin Psychol 4, 163-87, 2008
[2] Stringaris A., Santosh P., Leibenluft E., Goodman R. Youth meeting symptom and impairment criteria for mania-like
episodes lasting less than four days: an epidemiological enquiry. J. Child Psychol Psychiatry 51: 31-38, 2010.
Introduzione: Il disturbo bipolare (DB) ad esordio in età evolutiva ha ricevuto, negli ultimi anni, sempre maggiore
attenzione e riconoscimento. [1]. In età pre-puberale, il DB raramente risponde ai criteri del DSM-IV e l’inquadramento
dell’irritabilità non episodica come Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (BD-NAS) o Severa Disregolazione del
tono dell’Umore (SMD) continua ad essere argomento di un acceso dibattito [2]. Una migliore comprensione della
presentazione clinica e del decorso del disturbo bipolare pediatrico appare essenziale al fine di migliorare le procedure di
diagnosi precoce e promuovere appropriate strategie di trattamento.
Obiettivi: Analizzare, tramite uno studio naturalistico retrospettivo, le caratteristiche demografiche, cliniche e di decorso
di pazienti con Disturbo Bipolare I, II e NAS ed esplorare la possibile influenza della comorbidità con ADHD sulla
risposta ai farmaci e il decorso clinico dopo 24 mesi dal ricovero iniziale nei tre diversi gruppi.
Metodi: Sono state valutati 71 pazienti ricoverati, di età compresa tra 6 e 18 anni, rispondenti ai criteri diagnostici del
DSM-IV per DB-I (n=45), DB-II (n=10) e DB-NAS (n=16). Le diagnosi sono state formulate in base alla valutazione
clinica di un neuropsichiatra infantile e confermate sulla base dell’intervista semi-strutturata K-SADS-PL. I pazienti sono
stati monitorati per 24 mesi e il decorso longitudinale del disturbo è stato valutato all’esordio e dopo 6, 12 e 24 mesi
attraverso la Children Global Assessment Scale (C-GAS).
Analisi dei dati: I dati categoriali sono stati analizzati mediante test del Chi quadro; le variabili continue attraverso test
univariati standard parametrici e non parametrici a seconda delle caratteristiche di distribuzione. Le differenze nel
funzionamento globale dei tre gruppi ai diversi tempi sono state valutate tramite l’analisi della varianza “ANOVA ad una
via”. Il test “ANOVA a una via per misure ripetute”, è stato infine utilizzato per elaborare i modelli predittivi.
Risultati: I soggetti affetti da disturbo Bipolare NAS presentavano un’età media d’esordio del primo episodio affettivo
significativamente più bassa (11.2±3.3) rispetto ai Bipolari I (15.2±2; p=0.000), e più alti tassi di comorbidità con ADHD
e con il Disturbo Oppositivo Provocatorio (p=0.001 e p=0.03 rispettivamente). Il gruppo NAS ha inoltre presentato una
minore severità dei sintomi all’esordio rispetto agli altri due gruppi (i DB-I sintomi maniacali e psicotici più severi,
p<0,005; i DB-II sintomi depressivi più gravi, p<0,05). Non sono state riscontrate differenze significative in relazione al
QI, storia familiare e polarità del primo episodio affettivo (prevalenti gli episodi misti in tutti i gruppi). La maggior parte
dei DB-II e dei DB-NAS ha ricevuto una monoterapia con stabilizzanti dell'umore, mentre oltre il 50% dei DB-I ha
ricevuto una terapia combinata con stabilizzanti e antipsicotici (p=0.04). Il decorso, valutato tramite C-GAS, è risultato
peggiore per i DB-NAS dopo 24 mesi (p=0,010). I modelli predittivi hanno evidenziato un basso QI (p=0.006) e il genere
femminile (p=0.026) quali fattori predittivi di peggior outcome. Inoltre la comorbidità con ADHD è risultata predittiva
di una peggiore evoluzione del disturbo all’interno dei pazienti con normale livello cognitivo (p=0.003).
Conclusioni: I risultati del presente studio mostrano come anche in età evolutiva sia possibile formulare con accuratezza
la diagnosi di disturbo bipolare e suggeriscono l’urgente necessità di effettuare una più accurata tipizzazione dei
sottogruppi ancora meno studiati (DB-II e DB-NAS) e definire delle sottopopolazioni più omogenee, al fine di
individuare efficaci strategie terapeutiche mirate, indispensabili per prevenire e ridurre la significativa morbidità
psicosociale.
References:
[1] Leibenluft E., Rich B.A. Pediatric Bipolar Disorder. Annu Rev Clin Psychol 4, 163-87, 2008
[2] Stringaris A., Santosh P., Leibenluft E., Goodman R. Youth meeting symptom and impairment criteria for mania-like
episodes lasting less than four days: an epidemiological enquiry. J. Child Psychol Psychiatry 51: 31-38, 2010.
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COSTRUZIONE DI UNA CARTELLA CLINICA INFORMATIZZATA
DISTURBI ALIMENTARI NELLA REGIONE TOSCANA.
PER
I
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COSTRUZIONE DI UNA CARTELLA CLINICA INFORMATIZZATA
DISTURBI ALIMENTARI NELLA REGIONE TOSCANA.
PER
I
Caselli M., Stefanini M. C., Dirindelli P., Troiani M. R., Martinetti M. G.
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche,
Università di Firenze
Caselli M., Stefanini M. C., Dirindelli P., Troiani M. R., Martinetti M. G.
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche,
Università di Firenze
Background scientifico: Nell’ambito della cura dei Disturbi Alimentari (DA), un percorso multidisciplinare integrato
risulta essere quello più adatto a rispondere alla complessità della patologia (coinvolgimento di aspetti psicopatologici e
somatici), alla tipologia dell’utenza (aumento dei casi precoci e tardivi) e alla gravità della patologia in termini di durata,
comorbidità, mortalità e cronicizzazione.
Scopo: Costruzione e diffusione di una cartella clinica informatizzata destinata a tutti i servizi territoriali e ospedalieri che
si occupano a diversi livelli di prevenzione e cura dei DA nella Regione Toscana, che favorisca l’integrazione tra i
differenti servizi e professionisti coinvolti nell’area della salute mentale (psichiatri, neuropsichiatri infantili, psicologi),
medico/pediatrica/specialistica e dietetico/nutrizionale.
Metodologie e soggetti: Nel 2006 la Regione Toscana ha approvato le “Linee Guida per la realizzazione di una rete
integrata di servizi per la prevenzione e cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare nella Regione Toscana”,
nell’intento di superare in questo ambito di cura la frammentazione delle azioni e di fornire un quadro di riferimento
chiaro e articolato per lo sviluppo di interventi integrati, coordinati e professionalmente qualificati. Da qui è nato un
progetto di ricerca dal titolo “Monitoraggio dell’attuazione della rete integrata di servizi per la prevenzione e cura dei
DCA nella Regione Toscana (Area Vasta Centro di Empoli, Firenze, Pistoia, Prato)”, condotto negli anni 2006-2011 dalla
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile (Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Studi di
Firenze) e finanziato dalla Regione Toscana. Tale progetto ha coinvolto circa venti servizi preposti alla prevenzione e alla
cura dei DA nel territorio dell’Area vasta Centro, ed ha permesso di superare le difficoltà metodologiche, ampiamente
descritte in letteratura, legate alle differenti metodologie e modalità di raccolta dei dati, che limitano l’interpretabilità e la
comparabilità dei risultati, attraverso la costruzione di strumenti condivisi che guidano nella raccolta e nella
sistematizzazione dei dati, da quelli anagrafici a quelli biologici, psicologici, socio-ambientali e dietetico/nutrizionali. Il
percorso di costruzione e sperimentazione di tale strumento, in una prima fase cartaceo, ha infatti permesso di verificare
la validità di un modello di intervento integrato che preveda una comunicazione efficace tra i diversi servizi e le diverse
professionalità che si occupano di prevenzione e cura dei DCA, attraverso la progressiva costruzione di un linguaggio
comune tra professionalità e modi di lavorare eterogenei, stimolando una verifica dei processi e degli esiti delle risposte
assistenziali esistenti in relazione alle linee di indirizzo regionali.
Risultati e discussioni: Partendo dalla cartella clinica cartacea già sperimentata nel territorio dell’Area vasta Centro siamo
arrivati ad un prodotto multimediale informativo destinato a tutti i servizi delle tre Aree Vaste della Regione Toscana, che
permetterà attività di ricerca continua, finalizzata ad accrescere la capacità di comprendere la domanda di cura e poter
mettere a punto risposte sempre più adeguate, effettuare valutazioni rispetto agli standard di efficienza ed efficacia degli
interventi, ricerche di esito, studi quantitativi e qualitativi dei drop-out e degli insuccessi terapeutici, progettare interventi
correttivi e migliorativi.
Background scientifico: Nell’ambito della cura dei Disturbi Alimentari (DA), un percorso multidisciplinare integrato
risulta essere quello più adatto a rispondere alla complessità della patologia (coinvolgimento di aspetti psicopatologici e
somatici), alla tipologia dell’utenza (aumento dei casi precoci e tardivi) e alla gravità della patologia in termini di durata,
comorbidità, mortalità e cronicizzazione.
Scopo: Costruzione e diffusione di una cartella clinica informatizzata destinata a tutti i servizi territoriali e ospedalieri che
si occupano a diversi livelli di prevenzione e cura dei DA nella Regione Toscana, che favorisca l’integrazione tra i
differenti servizi e professionisti coinvolti nell’area della salute mentale (psichiatri, neuropsichiatri infantili, psicologi),
medico/pediatrica/specialistica e dietetico/nutrizionale.
Metodologie e soggetti: Nel 2006 la Regione Toscana ha approvato le “Linee Guida per la realizzazione di una rete
integrata di servizi per la prevenzione e cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare nella Regione Toscana”,
nell’intento di superare in questo ambito di cura la frammentazione delle azioni e di fornire un quadro di riferimento
chiaro e articolato per lo sviluppo di interventi integrati, coordinati e professionalmente qualificati. Da qui è nato un
progetto di ricerca dal titolo “Monitoraggio dell’attuazione della rete integrata di servizi per la prevenzione e cura dei
DCA nella Regione Toscana (Area Vasta Centro di Empoli, Firenze, Pistoia, Prato)”, condotto negli anni 2006-2011 dalla
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile (Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Studi di
Firenze) e finanziato dalla Regione Toscana. Tale progetto ha coinvolto circa venti servizi preposti alla prevenzione e alla
cura dei DA nel territorio dell’Area vasta Centro, ed ha permesso di superare le difficoltà metodologiche, ampiamente
descritte in letteratura, legate alle differenti metodologie e modalità di raccolta dei dati, che limitano l’interpretabilità e la
comparabilità dei risultati, attraverso la costruzione di strumenti condivisi che guidano nella raccolta e nella
sistematizzazione dei dati, da quelli anagrafici a quelli biologici, psicologici, socio-ambientali e dietetico/nutrizionali. Il
percorso di costruzione e sperimentazione di tale strumento, in una prima fase cartaceo, ha infatti permesso di verificare
la validità di un modello di intervento integrato che preveda una comunicazione efficace tra i diversi servizi e le diverse
professionalità che si occupano di prevenzione e cura dei DCA, attraverso la progressiva costruzione di un linguaggio
comune tra professionalità e modi di lavorare eterogenei, stimolando una verifica dei processi e degli esiti delle risposte
assistenziali esistenti in relazione alle linee di indirizzo regionali.
Risultati e discussioni: Partendo dalla cartella clinica cartacea già sperimentata nel territorio dell’Area vasta Centro siamo
arrivati ad un prodotto multimediale informativo destinato a tutti i servizi delle tre Aree Vaste della Regione Toscana, che
permetterà attività di ricerca continua, finalizzata ad accrescere la capacità di comprendere la domanda di cura e poter
mettere a punto risposte sempre più adeguate, effettuare valutazioni rispetto agli standard di efficienza ed efficacia degli
interventi, ricerche di esito, studi quantitativi e qualitativi dei drop-out e degli insuccessi terapeutici, progettare interventi
correttivi e migliorativi.
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CONTINUITA’ TRA QUALITA’ DI ESPERIENZE PREMORBOSE E CONTENUTO
DEL PENSIERO NEI DISTURBI PSICOTICI
CONTINUITA’ TRA QUALITA’ DI ESPERIENZE PREMORBOSE E CONTENUTO
DEL PENSIERO NEI DISTURBI PSICOTICI
Catone G.°, Gritti A.*, Coppola G.°, Pascotto A.°, Salerno F.°, Bernardo P.°, Pisano S.°
°Neuropsichiatria Infantile SUN
*Università Suor Orsola Benincasa Napoli
Catone G.°, Gritti A.*, Coppola G.°, Pascotto A.°, Salerno F.°, Bernardo P.°, Pisano S.°
°Neuropsichiatria Infantile SUN
*Università Suor Orsola Benincasa Napoli
Background: I disturbi del pensiero sono un segno distintivo di patologie dello spettro psicotico e di particolari disturbi
affettivi con manifestazioni psicotiche. I disturbi del contenuto del pensiero attraversano vari livelli di gravità dall’ idea
prevalente al delirio manifesto. E’ opinione corrente che essi siano presenti anche nei prodromi di malattia. Si comprende
quindi l’interesse sui fattori precoci che influenzano le varie dimensioni del delirio e che possano giocare un ruolo
fondamentale nel trattamento. La ricerca attuale assume la prospettiva che i deliri non siano persistenti, ma reagiscono
alle condizioni ambientali ed emozionali.
Scopi dello studio: Lo studio -ancora in corso di svolgimento- si propone, di verificare l'ipotesi che nei disturbi del
contenuto del pensiero di diverse patologie, i vissuti abnormi esperiti e raccontati, possano essere in relazione con tracce
di esperienze infantili presenti nella memoria del soggetto, investiti da una particolare carica affettiva.
Materiali e Metodi: Sono stati selezionati per lo studio i pazienti ricoverati presso la nostra struttura nel trienno 20082010 con diagnosi di dimissione di Psicosi (schizofrenica e NAS), disturbo schizoaffettivo e disturbo dell’umore con
sintomi psicotici. Sono stati esclusi pazienti con ritardo mentale e disturbo pervasivo dello sviluppo pregressi. Il
campione è quindi costituito da dieci pazienti (età media 12 aa 9 m, 4 M e 6 F), dei quali sei con diagnosi di psicosi, due
con diagnosi di disturbo schizoaffettivo e due con diagnosi di disturbo dell’umore con sintomi psicotici. La valutazione è
stata effettuata per via ricostruttiva attraverso la revisione del lavoro clinico effettuato (anamnesi, colloqui con pazienti e
genitori, test proiettivi), confrontando le tematiche dei disturbi del pensiero con resoconti di esperienze premorbose.
Risultati: Nei dieci pazienti esaminati è stato possibile osservare la ricorrente coerenza tra una significativa esperienza
pregressa e lo sviluppo di tematiche abnormi del pensiero in corso di patologia attuale. Sono stati individuati alcuni
pattern di progressione specifica che sono cosi sintetizzati. La presenza di disturbi del pensiero a tema
persecutorio/paranoideo in SS con esperienze pregresse di difficoltà relazionali e/o esposizione a rifiuto sociale ed
isolamento (sei SS). Disturbi a tema erotico e/o sessuale in SS con recente comparsa del ciclo mestruale (due SS). Delirio
di controllo sulla perdita di peli e capelli associato a delirio ipocondriaco, in un paziente esposto durante l’infanzia ad una
grave alopecia, nonchè al lutto paterno per malattia. Idea prevalente attuale di solitudine ed abbandono dopo l’esperienza
della separazione dei genitori (un SS).
Conclusioni: Dai dati esaminati emergono le seguenti riflessioni: a) continuità tra le tematiche di deliri ed idee prevalenti
in disturbi dello spettro psicotico ed affettivi con manifestazioni psicotiche e la tipologia di esperienze fisiche, psichiche e
sociali premorbose con valenza emotiva significativa sul bambino/adolescente, b) importanza della fase dello sviluppo
nella quale avvengono determinati eventi psichici o ambientali che si associano a successivi disturbi del pensiero, c)
elevata ricorrenza di difficoltà relazionali nei soggetti esaminati, che suggerisce che esse possano rappresentare una prima
espressione di un substrato psicoaffettivo alterato. I dati, pur limitati, orientano a sostenere l'ipotesi alla base dello studio:
i contenuti abnormi del pensiero e i vissuti esperiti in gravi disturbi psicotici potrebbero essere in relazione con tracce di
esperienze infantili registrate dalla memoria. Suggeriamo che successivamente, in corso di malattia, le tracce mnesiche di
tali esperienze potrebbero perdere il legame con le altre funzioni psichiche ed entrare all’interno di circuiti riverberanti
che causano, sul versante fenomenologico, sia il debole giudizio di realtà sia la ricorrenza nonchè la perseveranza di tali
costrutti.
Background: I disturbi del pensiero sono un segno distintivo di patologie dello spettro psicotico e di particolari disturbi
affettivi con manifestazioni psicotiche. I disturbi del contenuto del pensiero attraversano vari livelli di gravità dall’ idea
prevalente al delirio manifesto. E’ opinione corrente che essi siano presenti anche nei prodromi di malattia. Si comprende
quindi l’interesse sui fattori precoci che influenzano le varie dimensioni del delirio e che possano giocare un ruolo
fondamentale nel trattamento. La ricerca attuale assume la prospettiva che i deliri non siano persistenti, ma reagiscono
alle condizioni ambientali ed emozionali.
Scopi dello studio: Lo studio -ancora in corso di svolgimento- si propone, di verificare l'ipotesi che nei disturbi del
contenuto del pensiero di diverse patologie, i vissuti abnormi esperiti e raccontati, possano essere in relazione con tracce
di esperienze infantili presenti nella memoria del soggetto, investiti da una particolare carica affettiva.
Materiali e Metodi: Sono stati selezionati per lo studio i pazienti ricoverati presso la nostra struttura nel trienno 20082010 con diagnosi di dimissione di Psicosi (schizofrenica e NAS), disturbo schizoaffettivo e disturbo dell’umore con
sintomi psicotici. Sono stati esclusi pazienti con ritardo mentale e disturbo pervasivo dello sviluppo pregressi. Il
campione è quindi costituito da dieci pazienti (età media 12 aa 9 m, 4 M e 6 F), dei quali sei con diagnosi di psicosi, due
con diagnosi di disturbo schizoaffettivo e due con diagnosi di disturbo dell’umore con sintomi psicotici. La valutazione è
stata effettuata per via ricostruttiva attraverso la revisione del lavoro clinico effettuato (anamnesi, colloqui con pazienti e
genitori, test proiettivi), confrontando le tematiche dei disturbi del pensiero con resoconti di esperienze premorbose.
Risultati: Nei dieci pazienti esaminati è stato possibile osservare la ricorrente coerenza tra una significativa esperienza
pregressa e lo sviluppo di tematiche abnormi del pensiero in corso di patologia attuale. Sono stati individuati alcuni
pattern di progressione specifica che sono cosi sintetizzati. La presenza di disturbi del pensiero a tema
persecutorio/paranoideo in SS con esperienze pregresse di difficoltà relazionali e/o esposizione a rifiuto sociale ed
isolamento (sei SS). Disturbi a tema erotico e/o sessuale in SS con recente comparsa del ciclo mestruale (due SS). Delirio
di controllo sulla perdita di peli e capelli associato a delirio ipocondriaco, in un paziente esposto durante l’infanzia ad una
grave alopecia, nonchè al lutto paterno per malattia. Idea prevalente attuale di solitudine ed abbandono dopo l’esperienza
della separazione dei genitori (un SS).
Conclusioni: Dai dati esaminati emergono le seguenti riflessioni: a) continuità tra le tematiche di deliri ed idee prevalenti
in disturbi dello spettro psicotico ed affettivi con manifestazioni psicotiche e la tipologia di esperienze fisiche, psichiche e
sociali premorbose con valenza emotiva significativa sul bambino/adolescente, b) importanza della fase dello sviluppo
nella quale avvengono determinati eventi psichici o ambientali che si associano a successivi disturbi del pensiero, c)
elevata ricorrenza di difficoltà relazionali nei soggetti esaminati, che suggerisce che esse possano rappresentare una prima
espressione di un substrato psicoaffettivo alterato. I dati, pur limitati, orientano a sostenere l'ipotesi alla base dello studio:
i contenuti abnormi del pensiero e i vissuti esperiti in gravi disturbi psicotici potrebbero essere in relazione con tracce di
esperienze infantili registrate dalla memoria. Suggeriamo che successivamente, in corso di malattia, le tracce mnesiche di
tali esperienze potrebbero perdere il legame con le altre funzioni psichiche ed entrare all’interno di circuiti riverberanti
che causano, sul versante fenomenologico, sia il debole giudizio di realtà sia la ricorrenza nonchè la perseveranza di tali
costrutti.
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PROGETTO SPERIMENTALE PER LA PRESA IN CARICO PRECOCE DI DISTURBI
COMUNICATIVO-RELAZIONALI
PROGETTO SPERIMENTALE PER LA PRESA IN CARICO PRECOCE DI DISTURBI
COMUNICATIVO-RELAZIONALI
Cerbo R., Angelozzi L., Di Giovanni C., Ianni N., Nardone A., Tripaldi S., Vitaliani B.
ASL n.1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila
Centro di Riferimento Regionale Autismo – P.O.S. Salvatore L’Aquila
Cerbo R., Angelozzi L., Di Giovanni C., Ianni N., Nardone A., Tripaldi S., Vitaliani B.
ASL n.1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila
Centro di Riferimento Regionale Autismo – P.O.S. Salvatore L’Aquila
Background scientifico: Nell’ambito del trattamento dei disturbi dello spettro autistico le ricerche scientifiche recenti
hanno dimostrato che l’identificazione e l’intervento educativo precoce ottimizzano la prognosi a lungo termine (Filipeck
et al. 1999), producendo miglioramenti significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale, con accelerazione in tutte le
aree dello sviluppo, miglioramento linguistico con raggiungimento del linguaggio funzionale nel 75% dei casi,
miglioramento del comportamento sociale e diminuzione dei comportamenti disadattivi (Lord, 1995, Rogers, 1996,
1998).
Scopo: L’obiettivo nel nostro lavoro, pertanto, è stato duplice: da una parte migliorare le procedure di screening
favorendo l’individuazione sempre più precoce di bambini a rischio e, dall’altra, attivare un servizio di intervento precoce
per i casi individuati nella prima infanzia permettendo alle famiglie di effettuare azioni educative efficaci per aiutare il
bambino. Negli ultimi anni nella Regione Abruzzo, grazie ad un opera di sensibilizzazione del problema effettuata dal
CRRA e rivolta ai pediatri, è stato possibile introdurre l’utilizzo della CHAT che ha permesso una riduzione dell’età di
prima diagnosi dai circa 60 mesi agli attuali 36 mesi. Recentemente è iniziata la progressiva introduzione della M-CHAT
(Modified Checklist for Autism in Toddlers, 2001) per la sua maggiore specificità e, soprattutto, sensibilità rispetto alla
CHAT.
Metodologia e soggetti: Tutti i bambini afferiti al nostro servizio sono stati sottoposti ad una valutazione su più assi
(medico, sintomatologico, emotivo-affettivo, cognitivo, adattivo, sistemico, psicomotorio e sociale) per consentire
un’accurata disamina dei casi segnalati e delle eventuali necessità terapeutiche ed assistenziali del paziente e della sua
famiglia. I bambini sono stati sottoposti a: visita neuro pediatrica, osservazione del bambino secondo una griglia
appositamente strutturata (Cerbo e coll. 2003), CARS, M-CHAT, questionari Prizant e Wetherby, ADOS, BECS, scale di
sviluppo Griffith, valutazione neuro psicomotoria e linguistica, valutazione risorse genitoriali, Vineland, EEG sonno e
potenziali uditivi.
Nell’ambito del nostro progetto sono stati individuati e presi in carico 6 casi di bambini, 4 maschi e 2 femmine, tra i 22 e
i 35 mesi con diagnosi di disturbo comunicativo-relazionale e le loro famiglie.
Il progetto si svolge in 4 fasi:
- Sostegno allo sviluppo globale dei bambini con disturbo comunicativo-relazionale, focalizzando l’intervento precoce
sullo sviluppo delle capacità di relazione del bambino; il modello scelto per tale intervento è il Denver Model (Rogers S.,
2006);
- Aiuto alle famiglie attraverso un servizio di parent-training con 10 incontri a cadenza settimanale per 3-6 mesi, in cui
sono stati affrontati in successione: la comprensione del problema, la preparazione dei genitori al cambiamento,
l’approccio alla complessità del problema, la comunicazione del bambino, l’interazione sociale, le autonomie personali, le
modalità sensoriali peculiari del bambino, il comportamento sociale, le scelte educative che favoriscono l’autoregolazione
e l’acquisizione di tecniche educative comportamentali;
- Invio a servizi territoriali di riabilitazione;
- Visite di controllo ogni 3 mesi per verifica dello sviluppo globale.
Risultati e discussione: Durante tale percorso si sono osservati significativi miglioramenti del quadro clinico dei bambini
valutati alla CARS, test di Griffith e Vineland. Peraltro le diagnosi sono state confermate per un disturbo comunicativorelazionale per cui 4 bambini sono stati inviati a servizi territoriali per un trattamento specifico per DGS, gli altri 2
bambini sono stati inviati in trattamento per disturbo multisistemico di sviluppo. In ogni caso tutti i genitori hanno
mostrato una maggiore consapevolezza del disturbo e delle necessità di trattamento, sia abilitativo che educativo,
specifico per i disturbi della comunicazione e interazione sociale, con conseguente riduzione significativa del grado di
stress percepito e di carico familiare.
Background scientifico: Nell’ambito del trattamento dei disturbi dello spettro autistico le ricerche scientifiche recenti
hanno dimostrato che l’identificazione e l’intervento educativo precoce ottimizzano la prognosi a lungo termine (Filipeck
et al. 1999), producendo miglioramenti significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale, con accelerazione in tutte le
aree dello sviluppo, miglioramento linguistico con raggiungimento del linguaggio funzionale nel 75% dei casi,
miglioramento del comportamento sociale e diminuzione dei comportamenti disadattivi (Lord, 1995, Rogers, 1996,
1998).
Scopo: L’obiettivo nel nostro lavoro, pertanto, è stato duplice: da una parte migliorare le procedure di screening
favorendo l’individuazione sempre più precoce di bambini a rischio e, dall’altra, attivare un servizio di intervento precoce
per i casi individuati nella prima infanzia permettendo alle famiglie di effettuare azioni educative efficaci per aiutare il
bambino. Negli ultimi anni nella Regione Abruzzo, grazie ad un opera di sensibilizzazione del problema effettuata dal
CRRA e rivolta ai pediatri, è stato possibile introdurre l’utilizzo della CHAT che ha permesso una riduzione dell’età di
prima diagnosi dai circa 60 mesi agli attuali 36 mesi. Recentemente è iniziata la progressiva introduzione della M-CHAT
(Modified Checklist for Autism in Toddlers, 2001) per la sua maggiore specificità e, soprattutto, sensibilità rispetto alla
CHAT.
Metodologia e soggetti: Tutti i bambini afferiti al nostro servizio sono stati sottoposti ad una valutazione su più assi
(medico, sintomatologico, emotivo-affettivo, cognitivo, adattivo, sistemico, psicomotorio e sociale) per consentire
un’accurata disamina dei casi segnalati e delle eventuali necessità terapeutiche ed assistenziali del paziente e della sua
famiglia. I bambini sono stati sottoposti a: visita neuro pediatrica, osservazione del bambino secondo una griglia
appositamente strutturata (Cerbo e coll. 2003), CARS, M-CHAT, questionari Prizant e Wetherby, ADOS, BECS, scale di
sviluppo Griffith, valutazione neuro psicomotoria e linguistica, valutazione risorse genitoriali, Vineland, EEG sonno e
potenziali uditivi.
Nell’ambito del nostro progetto sono stati individuati e presi in carico 6 casi di bambini, 4 maschi e 2 femmine, tra i 22 e
i 35 mesi con diagnosi di disturbo comunicativo-relazionale e le loro famiglie.
Il progetto si svolge in 4 fasi:
- Sostegno allo sviluppo globale dei bambini con disturbo comunicativo-relazionale, focalizzando l’intervento precoce
sullo sviluppo delle capacità di relazione del bambino; il modello scelto per tale intervento è il Denver Model (Rogers S.,
2006);
- Aiuto alle famiglie attraverso un servizio di parent-training con 10 incontri a cadenza settimanale per 3-6 mesi, in cui
sono stati affrontati in successione: la comprensione del problema, la preparazione dei genitori al cambiamento,
l’approccio alla complessità del problema, la comunicazione del bambino, l’interazione sociale, le autonomie personali, le
modalità sensoriali peculiari del bambino, il comportamento sociale, le scelte educative che favoriscono l’autoregolazione
e l’acquisizione di tecniche educative comportamentali;
- Invio a servizi territoriali di riabilitazione;
- Visite di controllo ogni 3 mesi per verifica dello sviluppo globale.
Risultati e discussione: Durante tale percorso si sono osservati significativi miglioramenti del quadro clinico dei bambini
valutati alla CARS, test di Griffith e Vineland. Peraltro le diagnosi sono state confermate per un disturbo comunicativorelazionale per cui 4 bambini sono stati inviati a servizi territoriali per un trattamento specifico per DGS, gli altri 2
bambini sono stati inviati in trattamento per disturbo multisistemico di sviluppo. In ogni caso tutti i genitori hanno
mostrato una maggiore consapevolezza del disturbo e delle necessità di trattamento, sia abilitativo che educativo,
specifico per i disturbi della comunicazione e interazione sociale, con conseguente riduzione significativa del grado di
stress percepito e di carico familiare.
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DISTURBI
PRECOCI
DELLO
SVILUPPO:
ATTRAVERSO IL FIRST YEAR INVENTORY
STUDIO
RETROSPETTIVO
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DISTURBI
PRECOCI
DELLO
SVILUPPO:
ATTRAVERSO IL FIRST YEAR INVENTORY
STUDIO
RETROSPETTIVO
Narzisi A., Conti E., Apicella F., Muratori F.
IRCCS Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuriscienze dell’Età Evolutiva
Narzisi A., Conti E., Apicella F., Muratori F.
IRCCS Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuriscienze dell’Età Evolutiva
Il First Year Inventory è un questionario compilato dai genitori di bambini di 12 mesi di età finalizzato all’individuazione
di comportamenti a rischio di autismo. Lo scopo del nostro studio è quello di replicare il lavoro di Watson (2007),
applicando la forma retrospettiva del FYI ad una popolazione italiana di bambini con sviluppo tipico, con autismo e con
altri problemi di sviluppo. Il FYI è costituito da 60 item raggruppati in due domini: ‘Dominio Socio- Comunicativo’
(comprendente i costrutti ‘Orientamento sociale e Comunicazione recettiva’, ‘Coinvolgimento socioaffettivo’,
‘Imitazione’ e ‘Comunicazione espressiva’) e il ‘Dominio delle Funzioni Senso- Regolatorie’ (comprendente i costrutti
‘Processamento sensoriale’, ‘Pattern di Regolazione’, ‘Reattività’ e ‘Comportamento ripetitivo’). Il FYI è stato
somministrato ai genitori di tre gruppi di bambini omogenei per età e distribuzione di sesso: 57 bambini con diagnosi di
autismo; 26 bambini con diagnosi di ritardo mentale;
67 bambini con sviluppo tipico. Dalle analisi statistiche (ANOVA e Post Hoc) effettuate si evince la capacità dello
strumento di differenziare i bambini con disturbi dello sviluppo (bambini con autismo e con ritardo mentale) dai bambini
con sviluppo tipico. Bambini con autismo e bambini con ritardo mentale differiscono significativamente tra loro
solamente al costrutto ‘Orientamento Sociale e Comunicazione recettiva’, confermando la maggior compromissione
sociale dei bambini con autismo rispetto ai bambini con ritardo mentale ma senza autismo. L’unico costrutto che non
differenzia significativamente bambini con ritardo mentale da bambini con sviluppo tipico è ‘Coinvolgimento socioaffettivo’ suggerendo l’integrità dei processi di attaccamento ad un anno di età nei bambini con ritardo mentale. Le analisi
ROC confermano un maggiore potere discriminatorio del Dominio Socio-Comunicativo rispetto al Dominio delle
Funzioni Senso- Regolatorie nell'individuare i soggetti a rischio di atipie di sviluppo.
Il First Year Inventory è un questionario compilato dai genitori di bambini di 12 mesi di età finalizzato all’individuazione
di comportamenti a rischio di autismo. Lo scopo del nostro studio è quello di replicare il lavoro di Watson (2007),
applicando la forma retrospettiva del FYI ad una popolazione italiana di bambini con sviluppo tipico, con autismo e con
altri problemi di sviluppo. Il FYI è costituito da 60 item raggruppati in due domini: ‘Dominio Socio- Comunicativo’
(comprendente i costrutti ‘Orientamento sociale e Comunicazione recettiva’, ‘Coinvolgimento socioaffettivo’,
‘Imitazione’ e ‘Comunicazione espressiva’) e il ‘Dominio delle Funzioni Senso- Regolatorie’ (comprendente i costrutti
‘Processamento sensoriale’, ‘Pattern di Regolazione’, ‘Reattività’ e ‘Comportamento ripetitivo’). Il FYI è stato
somministrato ai genitori di tre gruppi di bambini omogenei per età e distribuzione di sesso: 57 bambini con diagnosi di
autismo; 26 bambini con diagnosi di ritardo mentale;
67 bambini con sviluppo tipico. Dalle analisi statistiche (ANOVA e Post Hoc) effettuate si evince la capacità dello
strumento di differenziare i bambini con disturbi dello sviluppo (bambini con autismo e con ritardo mentale) dai bambini
con sviluppo tipico. Bambini con autismo e bambini con ritardo mentale differiscono significativamente tra loro
solamente al costrutto ‘Orientamento Sociale e Comunicazione recettiva’, confermando la maggior compromissione
sociale dei bambini con autismo rispetto ai bambini con ritardo mentale ma senza autismo. L’unico costrutto che non
differenzia significativamente bambini con ritardo mentale da bambini con sviluppo tipico è ‘Coinvolgimento socioaffettivo’ suggerendo l’integrità dei processi di attaccamento ad un anno di età nei bambini con ritardo mentale. Le analisi
ROC confermano un maggiore potere discriminatorio del Dominio Socio-Comunicativo rispetto al Dominio delle
Funzioni Senso- Regolatorie nell'individuare i soggetti a rischio di atipie di sviluppo.
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IL FOCUS GROUP NELLA PREVENZIONE DEL CONSUMO DI SOSTANZE
ALCOLICHE IN ADOLESCENZA
IL FOCUS GROUP NELLA PREVENZIONE DEL CONSUMO DI SOSTANZE
ALCOLICHE IN ADOLESCENZA
Dal Zotto L.*, Ferruzza E.°, Salis M.*, Svanellini L.*, Gatto C.*, Lai J.*, Schiff S.**,
Zanato S.*, Tomadini P.*, Battistella P.A.*, Gatta M.*
*UOC di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 di Padova
°Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di
Padova
**Clinica Medica V, Azienda Ospedale – Università di Padova
Dal Zotto L.*, Ferruzza E.°, Salis M.*, Svanellini L.*, Gatto C.*, Lai J.*, Schiff S.**,
Zanato S.*, Tomadini P.*, Battistella P.A.*, Gatta M.*
*UOC di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 di Padova
°Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di
Padova
**Clinica Medica V, Azienda Ospedale – Università di Padova
Background. Numerose evidenze epidemiologiche dimostrano che l’alcol rappresenta la droga di consumo ed abuso più
diffusa tra gli adolescenti, responsabile di conseguenze drammatiche per la salute, sia a breve che a lungo termine. Dal
2006, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado di Padova e provincia, è attivo il progetto multidisciplinare di
prevenzione-azione denominato ‘Che piacere!- Educazione alla salute e prevenzione del consumo precoce di alcolici
negli adolescenti e nei pre-adolescenti’, finalizzato a ridurre il consumo di alcol tra i giovani ed abbassare l’età del primo
contatto.
Scopo dello studio. Il presente studio si propone di valutare l’efficacia dell’intervento attivatore di Focus Group nel
modificare le abitudini di consumo di sostanze alcoliche nei ragazzi del primo biennio delle scuole secondarie, età in cui
si assiste al massimo incremento nel consumo di alcol.
Materiali e metodi. Un campione di 661 studenti appartenenti a 27 Istituti Superiori di Padova e Provincia è stato
casualmente suddiviso in un gruppo sperimentale (447 ragazzi), che ha partecipato a 4 interventi di Focus Group, e in un
gruppo controllo (214 ragazzi), sottoposto ad un unico breve intervento di tipo informativo. Prima dell’inizio degli
interventi e dopo il termine degli stessi, sono stati somministrati il QASS (Questionario Adolescenti Sabato Sera) e lo
YSR 11-18 (Youth Self Report di Achenbach, 2001) al fine di rilevare, rispettivamente, l’entità del consumo alcolico e la
presenza di vulnerabilità psicopatologica.
Risultati. Il presente studio ha confermato i dati della letteratura sulle dimensioni del problema, evidenziando come il
52,4% dei ragazzi del I biennio delle Scuole Superiori consumino bevande alcoliche il sabato sera. Tale consumo
aumenta con l’età, è maggiore nei maschi, si associa alla frequentazione di locali in contesti di gruppo, è correlato all’ora
tarda di ritorno a casa e ad una maggiore disponibilità di denaro; inoltre, si associa ad una maggiore presenza di
problematiche di tipo esternalizzante, in particolar modo il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio e
l’ADHD. L’intervento di Focus Group si è dimostrato efficace nel ridurre l’incremento, che normalmente si osserva con
l’età, sia della frequenza di assunzione sia del quantitativo di sostanze alcoliche consumate, nei ragazzi di II superiore,
mentre nei ragazzi di I superiore si è osservata una riduzione della sola frequenza di consumo.
Il presente lavoro si propone come studio pilota capace di fornire risultati che potranno essere usati come guida per la
realizzazione di più ampi interventi di prevenzione in età adolescenziale, che siano utili e sicuri, nonchè di un più vasto
lavoro di ricerca.
Background. Numerose evidenze epidemiologiche dimostrano che l’alcol rappresenta la droga di consumo ed abuso più
diffusa tra gli adolescenti, responsabile di conseguenze drammatiche per la salute, sia a breve che a lungo termine. Dal
2006, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado di Padova e provincia, è attivo il progetto multidisciplinare di
prevenzione-azione denominato ‘Che piacere!- Educazione alla salute e prevenzione del consumo precoce di alcolici
negli adolescenti e nei pre-adolescenti’, finalizzato a ridurre il consumo di alcol tra i giovani ed abbassare l’età del primo
contatto.
Scopo dello studio. Il presente studio si propone di valutare l’efficacia dell’intervento attivatore di Focus Group nel
modificare le abitudini di consumo di sostanze alcoliche nei ragazzi del primo biennio delle scuole secondarie, età in cui
si assiste al massimo incremento nel consumo di alcol.
Materiali e metodi. Un campione di 661 studenti appartenenti a 27 Istituti Superiori di Padova e Provincia è stato
casualmente suddiviso in un gruppo sperimentale (447 ragazzi), che ha partecipato a 4 interventi di Focus Group, e in un
gruppo controllo (214 ragazzi), sottoposto ad un unico breve intervento di tipo informativo. Prima dell’inizio degli
interventi e dopo il termine degli stessi, sono stati somministrati il QASS (Questionario Adolescenti Sabato Sera) e lo
YSR 11-18 (Youth Self Report di Achenbach, 2001) al fine di rilevare, rispettivamente, l’entità del consumo alcolico e la
presenza di vulnerabilità psicopatologica.
Risultati. Il presente studio ha confermato i dati della letteratura sulle dimensioni del problema, evidenziando come il
52,4% dei ragazzi del I biennio delle Scuole Superiori consumino bevande alcoliche il sabato sera. Tale consumo
aumenta con l’età, è maggiore nei maschi, si associa alla frequentazione di locali in contesti di gruppo, è correlato all’ora
tarda di ritorno a casa e ad una maggiore disponibilità di denaro; inoltre, si associa ad una maggiore presenza di
problematiche di tipo esternalizzante, in particolar modo il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio e
l’ADHD. L’intervento di Focus Group si è dimostrato efficace nel ridurre l’incremento, che normalmente si osserva con
l’età, sia della frequenza di assunzione sia del quantitativo di sostanze alcoliche consumate, nei ragazzi di II superiore,
mentre nei ragazzi di I superiore si è osservata una riduzione della sola frequenza di consumo.
Il presente lavoro si propone come studio pilota capace di fornire risultati che potranno essere usati come guida per la
realizzazione di più ampi interventi di prevenzione in età adolescenziale, che siano utili e sicuri, nonchè di un più vasto
lavoro di ricerca.
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LE “CONDOTTE A RISCHIO” NEI SOGGETTI CON SINDROME DI TOURETTE
PLUS IN ETA’ EVOLUTIVA
LE “CONDOTTE A RISCHIO” NEI SOGGETTI CON SINDROME DI TOURETTE
PLUS IN ETA’ EVOLUTIVA
Davico C., Toscano S., Ruffino C., Osello E., Lasorsa C., Anichini A.
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino
Davico C., Toscano S., Ruffino C., Osello E., Lasorsa C., Anichini A.
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino
BACKGROUND: La Sindrome di Tourette (ST) è un disturbo psichiatrico complesso, di origine multifattoriale a
carattere cronico con notevole impatto sulla qualità di vita del soggetto, con una elevata frequenza di patologie
psichiatriche in comorbidità, con richiesta di presa in carico urgente.
SCOPO DEL LAVORO: Valutare le differenze psicopatologiche ed indagare la presenza di ‘condotte a rischio’ tra i
soggetti con Sindrome di Tourette associata a ADHD e\o DOC e i soggetti con Sindrome di Tourette senza ADHD e/o
DOC.
METODI: I soggetti sono stati selezionati tra i pazienti afferiti al Dipartimento di Scienze Pediatriche e
Dell’Adolescenza, Sezione di NPI, con diagnosi di ST secondo il DSM-IV TR e il ‘The Tourette Sindrome Classification
Study Group’ (TSCSG, 1993) e ST plus, ST complessa e sintomatica (Packer, 1997; Rizzo, 2006). I soggetti sono poi
stati suddivisi in due gruppi a seconda che presentassero diagnosi di ADHD e/o DOC secondo il DSM-IV TR o che non
presentassero questa comorbidità. E’ stata quindi valutata la presenza di ‘condotte a rischio’, quali indicatori clinici da noi
intesi come condotte che mettono a rischio l’incolumità fisica dell’individuo e delle persone intorno a lui,
compromettendo lo sviluppo psicopatologico e le capacità di adattamento del soggetto che le mette in atto. Esse
costituiscono un indicatore che facilita l’orientamento del clinico nella modalità di presa in carico e nel trattamento,
infatti a seconda del livello di gravità, possono presentare carattere d’urgenza e richiedere un tempestivo intervento. Esse
sono state distinte in condotte auto lesive (Self Injurious Behaviour -SIB) lievi, moderate e severe (Robertson, 1989;
Mathews, 2004), problemi disciplinari (Discipline Problems -PD), comportamenti di rabbia e violenza (Anger and
Violence -AV), valutati con un grado di severità da 0 a 3 (Comings, 1985). Sono stati esclusi i soggetti con SIB lievi, in
quanto non rappresentano un’emergenza clinica, e sono stati inclusi nel gruppo SIB severe, per gravità ed intensità del
gesto, i soggetti che avevano praticato un tentativo anticonservativo. Il campione è stato poi suddiviso a seconda dell’età
alla prima visita, utilizzando come cut-off gli 11 anni. Abbiamo poi valutato il numero di condotte a rischio presentate dal
singolo soggetto (PD, SIB, AV e tentativo anticonservativo).
RISULTATI: Il campione è costituito da 43 soggetti, 8 femmine (19%) e 35 maschi (81%), età media alla prima visita:
11.1 ± 3,1 anni (range: 4 - 17 anni). Sono presenti 17 soggetti (40%) con meno di 11 anni e 26 (60%) con 11 o più anni.
39 soggetti (91%) hanno ricevuto una diagnosi di ST Plus, 0 una diagnosi di ST pura, 2 (4.5%) una diagnosi di ST
Complessa Plus, 2 (4.5%) di ST Sintomatica Plus. Analizzando le comorbidità principali, 11 soggetti presentano anche
DOC (26%), 3 (6%) soggetti presentano anche ADHD e 5 (12%) presentano sia ADHD che DOC. 24 soggetti (56%)
presentano solo ST. I soggetti con ST e DOC (ADHD e DOC o solo DOC) presentano più AV rispetto ai soggetti con
sola ST, con p<0.01. I soggetti con ST e ADHD (ADHD sola o ADHD e DOC) presentano più DP rispetto ai soggetti
senza comorbidità ADHD (p<0.05 con il metodo dei residui standardizzati corretti). Inoltre i soggetti con età >/=11 anni
presentano più condotte a rischio rispetto ai soggetti <11 anni (p<0.05 per SIB, PD e AV). Considerando il numero medio
di condotte a rischio presentato dal singolo soggetto si è osservato che vi è una differenza tra il gruppo <11anni (media
numero condotte a rischio 0.41) e il gruppo >/=11 anni (1.42) con p<0.005.
CONCLUSIONI Nonostante lo studio sia caratterizzato da alcuni limiti (la mancanza di un gruppo di controllo e la bassa
numerosità campionaria) si può comunque affermare che le ‘condotte a rischio’ sono maggiormente appannaggio dei
soggetti che presentano comorbidità con ADHD e/o DOC e dei soggetti in età puberale. ‘Comorbidità’ e ‘pubertà’ sono i
due campanelli d’allarme per i clinici di fronte a un soggetto con ST.
BACKGROUND: La Sindrome di Tourette (ST) è un disturbo psichiatrico complesso, di origine multifattoriale a
carattere cronico con notevole impatto sulla qualità di vita del soggetto, con una elevata frequenza di patologie
psichiatriche in comorbidità, con richiesta di presa in carico urgente.
SCOPO DEL LAVORO: Valutare le differenze psicopatologiche ed indagare la presenza di ‘condotte a rischio’ tra i
soggetti con Sindrome di Tourette associata a ADHD e\o DOC e i soggetti con Sindrome di Tourette senza ADHD e/o
DOC.
METODI: I soggetti sono stati selezionati tra i pazienti afferiti al Dipartimento di Scienze Pediatriche e
Dell’Adolescenza, Sezione di NPI, con diagnosi di ST secondo il DSM-IV TR e il ‘The Tourette Sindrome Classification
Study Group’ (TSCSG, 1993) e ST plus, ST complessa e sintomatica (Packer, 1997; Rizzo, 2006). I soggetti sono poi
stati suddivisi in due gruppi a seconda che presentassero diagnosi di ADHD e/o DOC secondo il DSM-IV TR o che non
presentassero questa comorbidità. E’ stata quindi valutata la presenza di ‘condotte a rischio’, quali indicatori clinici da noi
intesi come condotte che mettono a rischio l’incolumità fisica dell’individuo e delle persone intorno a lui,
compromettendo lo sviluppo psicopatologico e le capacità di adattamento del soggetto che le mette in atto. Esse
costituiscono un indicatore che facilita l’orientamento del clinico nella modalità di presa in carico e nel trattamento,
infatti a seconda del livello di gravità, possono presentare carattere d’urgenza e richiedere un tempestivo intervento. Esse
sono state distinte in condotte auto lesive (Self Injurious Behaviour -SIB) lievi, moderate e severe (Robertson, 1989;
Mathews, 2004), problemi disciplinari (Discipline Problems -PD), comportamenti di rabbia e violenza (Anger and
Violence -AV), valutati con un grado di severità da 0 a 3 (Comings, 1985). Sono stati esclusi i soggetti con SIB lievi, in
quanto non rappresentano un’emergenza clinica, e sono stati inclusi nel gruppo SIB severe, per gravità ed intensità del
gesto, i soggetti che avevano praticato un tentativo anticonservativo. Il campione è stato poi suddiviso a seconda dell’età
alla prima visita, utilizzando come cut-off gli 11 anni. Abbiamo poi valutato il numero di condotte a rischio presentate dal
singolo soggetto (PD, SIB, AV e tentativo anticonservativo).
RISULTATI: Il campione è costituito da 43 soggetti, 8 femmine (19%) e 35 maschi (81%), età media alla prima visita:
11.1 ± 3,1 anni (range: 4 - 17 anni). Sono presenti 17 soggetti (40%) con meno di 11 anni e 26 (60%) con 11 o più anni.
39 soggetti (91%) hanno ricevuto una diagnosi di ST Plus, 0 una diagnosi di ST pura, 2 (4.5%) una diagnosi di ST
Complessa Plus, 2 (4.5%) di ST Sintomatica Plus. Analizzando le comorbidità principali, 11 soggetti presentano anche
DOC (26%), 3 (6%) soggetti presentano anche ADHD e 5 (12%) presentano sia ADHD che DOC. 24 soggetti (56%)
presentano solo ST. I soggetti con ST e DOC (ADHD e DOC o solo DOC) presentano più AV rispetto ai soggetti con
sola ST, con p<0.01. I soggetti con ST e ADHD (ADHD sola o ADHD e DOC) presentano più DP rispetto ai soggetti
senza comorbidità ADHD (p<0.05 con il metodo dei residui standardizzati corretti). Inoltre i soggetti con età >/=11 anni
presentano più condotte a rischio rispetto ai soggetti <11 anni (p<0.05 per SIB, PD e AV). Considerando il numero medio
di condotte a rischio presentato dal singolo soggetto si è osservato che vi è una differenza tra il gruppo <11anni (media
numero condotte a rischio 0.41) e il gruppo >/=11 anni (1.42) con p<0.005.
CONCLUSIONI Nonostante lo studio sia caratterizzato da alcuni limiti (la mancanza di un gruppo di controllo e la bassa
numerosità campionaria) si può comunque affermare che le ‘condotte a rischio’ sono maggiormente appannaggio dei
soggetti che presentano comorbidità con ADHD e/o DOC e dei soggetti in età puberale. ‘Comorbidità’ e ‘pubertà’ sono i
due campanelli d’allarme per i clinici di fronte a un soggetto con ST.
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COMORBIDITA’ TRA DIABETE
COMPORTAMENTO ALIMENTARE
MELLITO
TIPO
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E
DISTURBI
DEL
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COMORBIDITA’ TRA DIABETE
COMPORTAMENTO ALIMENTARE
MELLITO
TIPO
1
E
DISTURBI
DEL
Di Pietro E., Moscano F., Iero L., Gualandi P., Pellicciari A., Franzoni E.
UO Neuropsichiatria Infantile Policlinico S. Orsola Malpighi Bologna Centro a valenza regionale
per i DCA “Annarosa Andreoli”
Di Pietro E., Moscano F., Iero L., Gualandi P., Pellicciari A., Franzoni E.
UO Neuropsichiatria Infantile Policlinico S. Orsola Malpighi Bologna Centro a valenza regionale
per i DCA “Annarosa Andreoli”
In letteratura si attesta la prevalenza di DCA in adolescenti con T1DM intorno all’8-30%. L’associazione riguarda più
frequentemente la Bulimia Nervosa ed il Binge Eating Disorder, mentre più raramente interessa l’Anoressia Nervosa.
Nell’intento di istituire un protocollo d’indagine di una tale associazione nella popolazione afferente al Centro regionale
dei DCA ‘Annarosa Andreoli’ del Policlinico S.Orsola Malpighi abbiamo intrapreso una review della letteratura ed una
presentazione di un caso clinico.
Dalla review emerge che spesso l’esordio clinico del diabete si manifesta con la perdita di peso, che viene solitamente
recuperato con l’inizio della terapia insulinica. Tale incremento ponderale può determinare insoddisfazione corporea che
può portare alla mancata assunzione di insulina, quale strumento per il controllo del peso corporeo (Diabulimia). Questo
fenomeno si attesta al 15-40% in adolescenti con T1DM.
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di un Disturbo dell’Alimentazione in pazienti diabetici, si annoverano: sesso
femminile, età adolescenziale, incremento del peso corporeo (parzialmente attribuito alla terapia con insulina), costante
preoccupazione per il cibo a causa del diabete, familiarità per DCA, presenza di comorbidità psichiatrica, problematiche
relazionali familiari.
In presenza, dunque, di tali fattori occorre tener presente la possibilità della comorbidità tra DCA e T1DM e l’eventuale
invio ad un centro specializzato.
In letteratura si attesta la prevalenza di DCA in adolescenti con T1DM intorno all’8-30%. L’associazione riguarda più
frequentemente la Bulimia Nervosa ed il Binge Eating Disorder, mentre più raramente interessa l’Anoressia Nervosa.
Nell’intento di istituire un protocollo d’indagine di una tale associazione nella popolazione afferente al Centro regionale
dei DCA ‘Annarosa Andreoli’ del Policlinico S.Orsola Malpighi abbiamo intrapreso una review della letteratura ed una
presentazione di un caso clinico.
Dalla review emerge che spesso l’esordio clinico del diabete si manifesta con la perdita di peso, che viene solitamente
recuperato con l’inizio della terapia insulinica. Tale incremento ponderale può determinare insoddisfazione corporea che
può portare alla mancata assunzione di insulina, quale strumento per il controllo del peso corporeo (Diabulimia). Questo
fenomeno si attesta al 15-40% in adolescenti con T1DM.
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di un Disturbo dell’Alimentazione in pazienti diabetici, si annoverano: sesso
femminile, età adolescenziale, incremento del peso corporeo (parzialmente attribuito alla terapia con insulina), costante
preoccupazione per il cibo a causa del diabete, familiarità per DCA, presenza di comorbidità psichiatrica, problematiche
relazionali familiari.
In presenza, dunque, di tali fattori occorre tener presente la possibilità della comorbidità tra DCA e T1DM e l’eventuale
invio ad un centro specializzato.
Bibliografia
- Dahan A. et al. A Proposed Role for Psychiatrist in the Treatment of Adolescents with Type I Diabetes. Psychiatr Q
(2009) 80: 75-85
- Hasken J. et al. Diabulimia and the role of School Health Personnel. Journal of School Health vol. 80 n.10 (October
2010) 465-469
- Kakles K. et al. Psychosocial problems in adolescents with type 1 diabetes mellitus. Diebetes & Metabolism 35 (2009)
339-350
- Markowitz J.T. et al. Self reported history of overweight and its relationship to disordered eating in adolescent girls with
Type 1 diabetes. Diabet Med 2010 26 (11): 1165-1171.
Bibliografia
- Dahan A. et al. A Proposed Role for Psychiatrist in the Treatment of Adolescents with Type I Diabetes. Psychiatr Q
(2009) 80: 75-85
- Hasken J. et al. Diabulimia and the role of School Health Personnel. Journal of School Health vol. 80 n.10 (October
2010) 465-469
- Kakles K. et al. Psychosocial problems in adolescents with type 1 diabetes mellitus. Diebetes & Metabolism 35 (2009)
339-350
- Markowitz J.T. et al. Self reported history of overweight and its relationship to disordered eating in adolescent girls with
Type 1 diabetes. Diabet Med 2010 26 (11): 1165-1171.
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RICERCA MULTICENTRICA SUI DISTURBI PSICHIATRICI IN ETA’ EVOLUTIVA:
DATI CLINICI PRELIMINARI
RICERCA MULTICENTRICA SUI DISTURBI PSICHIATRICI IN ETA’ EVOLUTIVA:
DATI CLINICI PRELIMINARI
Farrugia R., Bartolomeo S.*, Di Lelio A.*, Liguori A.*, Ancona E.**
ASL Roma A
*Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, ASL Latina
**Centro Diurno Terapeutico ASL Roma C
Farrugia R., Bartolomeo S.*, Di Lelio A.*, Liguori A.*, Ancona E.**
ASL Roma A
*Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, ASL Latina
**Centro Diurno Terapeutico ASL Roma C
Background Scientifico: Il fenomeno della gestione dell’emergenza psichiatrica in età evolutiva ha assunto caratteristiche
di crisi per il SSN per la necessità di garantire la presenza in ‘rete’ di più luoghi di cura e presa in carico che tengano
conto sia della sofferenza psichica sia dei compiti evolutivi di preadolescenti e adolescenti con gravi disturbi
psicopatologici.
Scopo: La ricerca multicentrica sui Disturbi Psichiatrici in età evolutiva nella Regione Lazio si prefigge i seguenti
obiettivi :
a. la individuazione di criteri di appropriatezza clinico-organizzativa per il trattamento dei disturbi psicopatologici che
emergono in adolescenza ;
b. la individuazione di quei segnali precoci , evidenziabili già in preadolescenza, che impongono una presa in carico
intensiva ;
c. un coordinamento della ‘rete’ dei Servizi per l’emergenza psichiatrica in età evolutiva volti a garantire la continuità dei
percorsi terapeutici.
Metodologia e soggetti: I dati clinici preliminari si riferiscono ad un campione di n. 66 soggetti in età evolutiva (n. 23
soggetti di età inferiore a 13 anni e n. 43 di età compresa tra 13 e 17 anni) in trattamento terapeutico-riabilitativo c/o tre
Servizi della Regione Lazio (Centro Diurno Terapeutico per adolescenti ASL RM A, Centro Diurno Terapeutico per
adolescenti ASL RM C, DH Psichiatrico del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile della ASL LT) nel corso
dell’anno 2010 .
Del campione sono stati analizzati : a. i Servizi invianti; b. i motivi principali di accesso; c. gli elementi anamnestici ed
ambientali; d. la sintomatologia e le diagnosi prevalenti.
Risultati e discussioni: I dati clinici significativi del campione sono rappresentati da : a. una significativa prevalenza (
68 % del campione totale ) di ‘fragilità familiare’ (patologia psichiatrica dei genitori e patologia familiare) ; b. il 67 %
della sintomatologia prevalente è rappresentata da isolamento sociale (44,5 %) e abbandono scolastico (22,5 %) ; c. una
alta percentuale - 86 % - di gravi disturbi psicopatologici (74 % di disturbi di Personalità e 12 % di esordi psicotici) nel
campione di soggetti in età adolescenziale.
I dati clinici preliminari indicano che i Servizi di Salute Mentale per l’Età Evolutiva debbono proseguire nella ricerca di
modelli organizzativi in cui la ‘fliera degli interventi’ (Bartolomeo S. , Farruggia R. , Levi. G. , 2010) non lasci scoperte
fasce d’età e tipologie cliniche che rischiano di perdersi nell’area dei non interventi , per poi riemergere, come una sorta
di fiume carsico, con sintomi e patologie strutturate.
Background Scientifico: Il fenomeno della gestione dell’emergenza psichiatrica in età evolutiva ha assunto caratteristiche
di crisi per il SSN per la necessità di garantire la presenza in ‘rete’ di più luoghi di cura e presa in carico che tengano
conto sia della sofferenza psichica sia dei compiti evolutivi di preadolescenti e adolescenti con gravi disturbi
psicopatologici.
Scopo: La ricerca multicentrica sui Disturbi Psichiatrici in età evolutiva nella Regione Lazio si prefigge i seguenti
obiettivi :
a. la individuazione di criteri di appropriatezza clinico-organizzativa per il trattamento dei disturbi psicopatologici che
emergono in adolescenza ;
b. la individuazione di quei segnali precoci , evidenziabili già in preadolescenza, che impongono una presa in carico
intensiva ;
c. un coordinamento della ‘rete’ dei Servizi per l’emergenza psichiatrica in età evolutiva volti a garantire la continuità dei
percorsi terapeutici.
Metodologia e soggetti: I dati clinici preliminari si riferiscono ad un campione di n. 66 soggetti in età evolutiva (n. 23
soggetti di età inferiore a 13 anni e n. 43 di età compresa tra 13 e 17 anni) in trattamento terapeutico-riabilitativo c/o tre
Servizi della Regione Lazio (Centro Diurno Terapeutico per adolescenti ASL RM A, Centro Diurno Terapeutico per
adolescenti ASL RM C, DH Psichiatrico del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile della ASL LT) nel corso
dell’anno 2010 .
Del campione sono stati analizzati : a. i Servizi invianti; b. i motivi principali di accesso; c. gli elementi anamnestici ed
ambientali; d. la sintomatologia e le diagnosi prevalenti.
Risultati e discussioni: I dati clinici significativi del campione sono rappresentati da : a. una significativa prevalenza (
68 % del campione totale ) di ‘fragilità familiare’ (patologia psichiatrica dei genitori e patologia familiare) ; b. il 67 %
della sintomatologia prevalente è rappresentata da isolamento sociale (44,5 %) e abbandono scolastico (22,5 %) ; c. una
alta percentuale - 86 % - di gravi disturbi psicopatologici (74 % di disturbi di Personalità e 12 % di esordi psicotici) nel
campione di soggetti in età adolescenziale.
I dati clinici preliminari indicano che i Servizi di Salute Mentale per l’Età Evolutiva debbono proseguire nella ricerca di
modelli organizzativi in cui la ‘fliera degli interventi’ (Bartolomeo S. , Farruggia R. , Levi. G. , 2010) non lasci scoperte
fasce d’età e tipologie cliniche che rischiano di perdersi nell’area dei non interventi , per poi riemergere, come una sorta
di fiume carsico, con sintomi e patologie strutturate.
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COMORBIDITA’ TRA DAMP E DISTURBO DA TIC: DESCRIZIONE DI UN CASO
CLINICO
COMORBIDITA’ TRA DAMP E DISTURBO DA TIC: DESCRIZIONE DI UN CASO
CLINICO
Grelloni C., Troianello M., Maroscia E., Bagnolo V., Terribili M., Curatolo P.
U.O. Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Tor Vergata Roma
Grelloni C., Troianello M., Maroscia E., Bagnolo V., Terribili M., Curatolo P.
U.O. Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Tor Vergata Roma
BACKGROUND: il termine DAMP è un acronimo inglese che sta ad indicare un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato
da deficit di attenzione, deficit del controllo motorio e deficit della percezione, e di solito si verifica in associazione con l’
ADHD, con il quale condivide le alterazioni anatomico-funzionali alla base della eziopatogenesi, che coinvolgono il
circuito frontostriatale, i gangli della base e il corpo calloso; tali alterazioni sembrano essere coinvolte anche
nell’eziopatogenesi dei Disturbi da Tic, che sono invece caratterizzati da movimenti involontari rapidi e improvvisi, senza
finalità che tendono a ripetersi con un ritmo irregolare.
SCOPO: il lavoro si propone di descrivere un caso clinico in cui si è riscontrata l’associazione tra il DAMP e i Disturbi da
Tic. Verrà quindi delineato il profilo neuropsicologico, mai descritto in precedenza, alla ricerca di una comune base
eziopatogenetica tra i due disturbi.
METODOLOGIE E SOGGETTI: valutazione neuropsicologica di un bambino di 8 anni di età giunto alla nostra
attenzione per deficit di coordinazione e lateralizzazione, inattenzione, impulsività e tic motori. Il paziente dopo un primo
esame clinico è stato sottoposto ad un approfondimento diagnostico attraverso indagini strumentali, quali EEG e RMN e
ad una valutazione neuropsicologica. Tale valutazione ha previsto un approfondimento degli aspetti cognitivi, la
valutazione del linguaggio e delle capacità di apprendimento, la valutazione dello sviluppo della Gestalt visuo-motoria e
delle funzioni esecutive con particolare interesse nei confronti delle capacità attentive, e l’approfondimento degli aspetti
psicopatologici.
RISULTATI E DISCUSSIONI: il profilo neuropsicologico, delineatosi dalla valutazione, ha permesso di effettuare una
diagnosi di DAMP in associazione ad un Disturbo da Tic. Lo studio di neuroimaging effettuato attraverso la RMN ha
individuato un’ ipoplasia del corpo calloso, che supponiamo essere alla base del comune substrato neurobiologico delle
eziopatogenesi dei due disturbi.
BACKGROUND: il termine DAMP è un acronimo inglese che sta ad indicare un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato
da deficit di attenzione, deficit del controllo motorio e deficit della percezione, e di solito si verifica in associazione con l’
ADHD, con il quale condivide le alterazioni anatomico-funzionali alla base della eziopatogenesi, che coinvolgono il
circuito frontostriatale, i gangli della base e il corpo calloso; tali alterazioni sembrano essere coinvolte anche
nell’eziopatogenesi dei Disturbi da Tic, che sono invece caratterizzati da movimenti involontari rapidi e improvvisi, senza
finalità che tendono a ripetersi con un ritmo irregolare.
SCOPO: il lavoro si propone di descrivere un caso clinico in cui si è riscontrata l’associazione tra il DAMP e i Disturbi da
Tic. Verrà quindi delineato il profilo neuropsicologico, mai descritto in precedenza, alla ricerca di una comune base
eziopatogenetica tra i due disturbi.
METODOLOGIE E SOGGETTI: valutazione neuropsicologica di un bambino di 8 anni di età giunto alla nostra
attenzione per deficit di coordinazione e lateralizzazione, inattenzione, impulsività e tic motori. Il paziente dopo un primo
esame clinico è stato sottoposto ad un approfondimento diagnostico attraverso indagini strumentali, quali EEG e RMN e
ad una valutazione neuropsicologica. Tale valutazione ha previsto un approfondimento degli aspetti cognitivi, la
valutazione del linguaggio e delle capacità di apprendimento, la valutazione dello sviluppo della Gestalt visuo-motoria e
delle funzioni esecutive con particolare interesse nei confronti delle capacità attentive, e l’approfondimento degli aspetti
psicopatologici.
RISULTATI E DISCUSSIONI: il profilo neuropsicologico, delineatosi dalla valutazione, ha permesso di effettuare una
diagnosi di DAMP in associazione ad un Disturbo da Tic. Lo studio di neuroimaging effettuato attraverso la RMN ha
individuato un’ ipoplasia del corpo calloso, che supponiamo essere alla base del comune substrato neurobiologico delle
eziopatogenesi dei due disturbi.
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QUALITA’ DELLA VITA IN UN GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA S. DI
TOURETTE
QUALITA’ DELLA VITA IN UN GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA S. DI
TOURETTE
Gulisano M., Calì P.V., Pellico A., Alagna F., Rizzo R.
Dipartimento Materno Infantile e Scienze Radiologiche, Policlinico Universitario di Catania
Gulisano M., Calì P.V., Pellico A., Alagna F., Rizzo R.
Dipartimento Materno Infantile e Scienze Radiologiche, Policlinico Universitario di Catania
Background scientifico: La Sindrome di Tourette (TS) è un disturbo neurocomportamentale caratterizzato dalla presenza
di tic motori e da uno o più tic fonici presenti da almeno un anno; numerosi studi riportano che i pazienti affetti da TS,
spesso, presentano una Qualità della Vita (QoL) peggiore rispetto alla popolazione generale.
Scopo: Abbiamo condotto uno studio per analizzare la QoL in un gruppo di 50 adolescenti (44 maschi/6 femmine) di età
media 13.26 anni, affetti da TS. Per ciascun paziente sono stati messi in correlazione la gravità dei sintomi ticcosi e dei
delle patologie eventualmente presenti in comorbidità con la QoL.
Materiali e Metodi: L’assessment neuropsicologico dei pazienti è stato effettuato utilizzando la Youth Quality of Life
Instrument-Research Version (Y-QoL) , la Yale Global Tic Severity Rating Scale (YGTSS), la Yale-Brown Obsessive
Compulsive Scale (YBOCS), la Child Depression Inventory (CDI), la Multidimensional Anxiety Scale for Children
(MASC). Le scale Conners’ ed i criteri del DSM-IV-TR sono stati somministrati ai genitori.
I dati ottenuti sono stati analizzati, mediante SPSS, mettendo in relazione il punteggio della Y-QoL con i punteggi
ottenuti nelle altre scale psicodiagnostiche.
Risultati: E’ stata evidenziata una correlazione negativa, statisticamente significativa tra: Y-QoL, YBOCS, MASC, CDI e
CBCL. In particolare la Y-QoL mostra valori più bassi all’aumentare della YBOC e della CBCL; MASC e CDI si
modificano seguendo, in maniera lineare, l’andamento della Y-QoL.
Al contrario, il punteggio della Y-QoL subisce solo lievi abbassamenti sia all’aumentare della YGTSS che delle scale
Conners’.
In conclusione il nostro studio evidenzia che il DOC, se presente in associazione alla TS, determina grave impairment e
conseguentemente peggioramento della QoL tanto da essere più invalidante dei tic stessi e che, a parità di sintomatologia,
la scarsa accettazione della famiglia provoca un ulteriore peggioramento della QoL.
Background scientifico: La Sindrome di Tourette (TS) è un disturbo neurocomportamentale caratterizzato dalla presenza
di tic motori e da uno o più tic fonici presenti da almeno un anno; numerosi studi riportano che i pazienti affetti da TS,
spesso, presentano una Qualità della Vita (QoL) peggiore rispetto alla popolazione generale.
Scopo: Abbiamo condotto uno studio per analizzare la QoL in un gruppo di 50 adolescenti (44 maschi/6 femmine) di età
media 13.26 anni, affetti da TS. Per ciascun paziente sono stati messi in correlazione la gravità dei sintomi ticcosi e dei
delle patologie eventualmente presenti in comorbidità con la QoL.
Materiali e Metodi: L’assessment neuropsicologico dei pazienti è stato effettuato utilizzando la Youth Quality of Life
Instrument-Research Version (Y-QoL) , la Yale Global Tic Severity Rating Scale (YGTSS), la Yale-Brown Obsessive
Compulsive Scale (YBOCS), la Child Depression Inventory (CDI), la Multidimensional Anxiety Scale for Children
(MASC). Le scale Conners’ ed i criteri del DSM-IV-TR sono stati somministrati ai genitori.
I dati ottenuti sono stati analizzati, mediante SPSS, mettendo in relazione il punteggio della Y-QoL con i punteggi
ottenuti nelle altre scale psicodiagnostiche.
Risultati: E’ stata evidenziata una correlazione negativa, statisticamente significativa tra: Y-QoL, YBOCS, MASC, CDI e
CBCL. In particolare la Y-QoL mostra valori più bassi all’aumentare della YBOC e della CBCL; MASC e CDI si
modificano seguendo, in maniera lineare, l’andamento della Y-QoL.
Al contrario, il punteggio della Y-QoL subisce solo lievi abbassamenti sia all’aumentare della YGTSS che delle scale
Conners’.
In conclusione il nostro studio evidenzia che il DOC, se presente in associazione alla TS, determina grave impairment e
conseguentemente peggioramento della QoL tanto da essere più invalidante dei tic stessi e che, a parità di sintomatologia,
la scarsa accettazione della famiglia provoca un ulteriore peggioramento della QoL.
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FACE (FACIAL AUTOMATON FOR CONVEYING EMOTIONS) E AUTISMO: UNO
STUDIO CLINICO E FISIOLOGICO
FACE (FACIAL AUTOMATON FOR CONVEYING EMOTIONS) E AUTISMO: UNO
STUDIO CLINICO E FISIOLOGICO
Igliozzi R., Mazzei D.*, Lazzeri N.*, Stoppa F., Mancini A., Ahluwalia A.*, Tancredi R., De
Rossi D.* Muratori F
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
*Interdepartmental Center of Research “E. Piaggio” Faculty of Engineering Pisa
Igliozzi R., Mazzei D.*, Lazzeri N.*, Stoppa F., Mancini A., Ahluwalia A.*, Tancredi R., De
Rossi D.* Muratori F
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
*Interdepartmental Center of Research “E. Piaggio” Faculty of Engineering Pisa
Background. Studi precedenti hanno dimostrato che i soggetti con DSA (Disturbi dello Spettro Autistico) hanno difficoltà
nel riconoscimento e nell’interpretazione delle emozioni, competenze sociali fondamentali per stabilire relazioni
interpersonali (Hobson 1986, Bolte & Poustka 2003, Smith et al., 2010).
Scopo. I sistemi robotici si pensa possano essere utilizzati per aumentare la capacità imitativa ed il riconoscimento di
espressioni facciali in soggetti con DSA, in quanto tali strumenti possono risultare più prevedibili, riproducibili,
modulabili e semplici da interpretare rispetto alla complessità del volto umano e di tutti gli altri canali comunicativi
(gestuale, verbale, mimico) che vengono utilizzati in un’interazione sociale.
Lo studio ha l’obiettivo di valutare le modalità di interazione tra soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico e un
androide capace di esprimere alcune emozioni.
Metodologia e soggetti. Lo studio ha impiegato FACE (Facial Automaton for Conveying Emotions), un androide che
grazie al suo volto siliconico attivato da 32 motori è capace di riprodurre espressioni facciali ed è quindi in grado di
esprimere le sei emozioni di base definite da Ekman ed altre a partire da queste.
La seduta osservativa avviene in un ambiente strutturato chiamato FACET (FACE Therapy). FACET è una piattaforma
multi sensoriale che permette di acquisire numerosi parametri relativi al soggetto (ECG, conduttanza dermica e frequenza
respiratoria), al robot (posizione della testa, punto di mira, espressione facciale eseguita e frasi pronunciate) ed
all’interazione fra i due (registrazione della seduta mediante telecamere motorizzate e microfoni ambientali). Tutti i dati
acquisiti mediante FACET sono salvati in un apposito repository e la loro sincronia è garantita dall’architettura della
piattaforma stessa. Questo permette una facile elaborazione dei dati post seduta e facilita così l’estrazione di numerosi
parametri che possono essere utilizzati al fine di individuare eventuali correlazioni fra stati di attivazione fisiologica
(studio dell’Heart Rate Variability, dell’aritmia sinusale e della conduttanza dermica) e fasi della seduta.
In questo studio, è stata studiata in particolare l’HRV mediante analisi nel dominio del tempo e delle frequenze ed è stato
così ricavato il rapporto LF/HF che può essere interpretato come specchio dell’equilibrio simpatico/vagale.
Il campione è composto da 4 soggetti con DSA ad Alto Funzionamento e 4 soggetti di controllo con sviluppo tipico.
Risultati e discussione. Dalla valutazione clinica delle sedute e dall’interpretazione dei parametri fisiologici rilevati, in
particolare del rapporto LF/HF, si notano alcune differenze tra il gruppo DSA e il gruppo di controllo:
- i soggetti DSA, a differenza dei controlli, interagiscono con FACE cercando di intraprendere con l’androide una vera e
propria conversazione;
-i soggetti DSA riportano una maggiore attivazione simpatica, rispetto ai controlli, durante alcune delle fasi del protocollo
di osservazione (i soggetti DSA appaiono più attivati dalla ‘novità’: FACE è qualcosa che non li annoia ma li attiva
‘simpaticamente’);
In conclusione possiamo dire che l’utilizzo della piattaforma FACET è promettente nello studio del sistema nervoso
autonomo di soggetti con DSA, aiutandoci ad esplorare il loro stato emotivo. Inoltre l’androide sembra un efficace ‘ponte
sociale’ per i nostri pazienti suscitando in loro una maggiore attenzione verso le componenti emotive.
Background. Studi precedenti hanno dimostrato che i soggetti con DSA (Disturbi dello Spettro Autistico) hanno difficoltà
nel riconoscimento e nell’interpretazione delle emozioni, competenze sociali fondamentali per stabilire relazioni
interpersonali (Hobson 1986, Bolte & Poustka 2003, Smith et al., 2010).
Scopo. I sistemi robotici si pensa possano essere utilizzati per aumentare la capacità imitativa ed il riconoscimento di
espressioni facciali in soggetti con DSA, in quanto tali strumenti possono risultare più prevedibili, riproducibili,
modulabili e semplici da interpretare rispetto alla complessità del volto umano e di tutti gli altri canali comunicativi
(gestuale, verbale, mimico) che vengono utilizzati in un’interazione sociale.
Lo studio ha l’obiettivo di valutare le modalità di interazione tra soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico e un
androide capace di esprimere alcune emozioni.
Metodologia e soggetti. Lo studio ha impiegato FACE (Facial Automaton for Conveying Emotions), un androide che
grazie al suo volto siliconico attivato da 32 motori è capace di riprodurre espressioni facciali ed è quindi in grado di
esprimere le sei emozioni di base definite da Ekman ed altre a partire da queste.
La seduta osservativa avviene in un ambiente strutturato chiamato FACET (FACE Therapy). FACET è una piattaforma
multi sensoriale che permette di acquisire numerosi parametri relativi al soggetto (ECG, conduttanza dermica e frequenza
respiratoria), al robot (posizione della testa, punto di mira, espressione facciale eseguita e frasi pronunciate) ed
all’interazione fra i due (registrazione della seduta mediante telecamere motorizzate e microfoni ambientali). Tutti i dati
acquisiti mediante FACET sono salvati in un apposito repository e la loro sincronia è garantita dall’architettura della
piattaforma stessa. Questo permette una facile elaborazione dei dati post seduta e facilita così l’estrazione di numerosi
parametri che possono essere utilizzati al fine di individuare eventuali correlazioni fra stati di attivazione fisiologica
(studio dell’Heart Rate Variability, dell’aritmia sinusale e della conduttanza dermica) e fasi della seduta.
In questo studio, è stata studiata in particolare l’HRV mediante analisi nel dominio del tempo e delle frequenze ed è stato
così ricavato il rapporto LF/HF che può essere interpretato come specchio dell’equilibrio simpatico/vagale.
Il campione è composto da 4 soggetti con DSA ad Alto Funzionamento e 4 soggetti di controllo con sviluppo tipico.
Risultati e discussione. Dalla valutazione clinica delle sedute e dall’interpretazione dei parametri fisiologici rilevati, in
particolare del rapporto LF/HF, si notano alcune differenze tra il gruppo DSA e il gruppo di controllo:
- i soggetti DSA, a differenza dei controlli, interagiscono con FACE cercando di intraprendere con l’androide una vera e
propria conversazione;
-i soggetti DSA riportano una maggiore attivazione simpatica, rispetto ai controlli, durante alcune delle fasi del protocollo
di osservazione (i soggetti DSA appaiono più attivati dalla ‘novità’: FACE è qualcosa che non li annoia ma li attiva
‘simpaticamente’);
In conclusione possiamo dire che l’utilizzo della piattaforma FACET è promettente nello studio del sistema nervoso
autonomo di soggetti con DSA, aiutandoci ad esplorare il loro stato emotivo. Inoltre l’androide sembra un efficace ‘ponte
sociale’ per i nostri pazienti suscitando in loro una maggiore attenzione verso le componenti emotive.
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ACUZIE E PERCORSO DI CURA NEL DISAGIO PSICHICO ADOLESCENZIALE: IL
LAVORO DI RETE FRA OSPEDALE E STRUTTURE TERRITORIALI
ACUZIE E PERCORSO DI CURA NEL DISAGIO PSICHICO ADOLESCENZIALE: IL
LAVORO DI RETE FRA OSPEDALE E STRUTTURE TERRITORIALI
Innocenti E., Caselli M.*, Dirindelli P.*, Landi M.°, Landi N.°, Leonetti R.°, Lo Parrino
R.°, Stefanini M. C.*, Troiani M. R.*, Martinetti M. G.*
*Neuropsichiatria Infantile Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università
degli Studi di Firenze
°UFSMIA Firenze Centro, ASL 10 Firenze
Innocenti E., Caselli M.*, Dirindelli P.*, Landi M.°, Landi N.°, Leonetti R.°, Lo Parrino
R.°, Stefanini M. C.*, Troiani M. R.*, Martinetti M. G.*
*Neuropsichiatria Infantile Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università
degli Studi di Firenze
°UFSMIA Firenze Centro, ASL 10 Firenze
Background: Necessità di formulare dei criteri di inquadramento diagnostico dell’acuzie psichiatrica all’interno del
dibattito presente in letteratura fra approccio categoriale (DSM-IV e ICD-10) e dimensionale (PDM) che permetta la
definizione di linee di intervento specifiche.
Obiettivi: Attuazione di un modello di intervento integrato in rete fra Ambulatorio Intensivo Adolescenti dell’AOU
Meyer (AIA), SODc di Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Careggi e servizio UFSMIA dell’ASL 10 di Firenze per
l’acuzie psichiatrica in età evolutiva.
Metodologie, soggetti e risultati: Nel polimorfismo sintomatico dell’acuzie psichica in adolescenza (suicidalità,
autolesionismo, condotte aggressive, stati di agitazione più o meno legati a disturbi del pensiero, attacchi di panico e crisi
d’ansia, episodi depressivi, gravi disturbi dell’alimentazione) si osserva una compromissione del funzionamento mentale
(PDM) e delle capacità di mentalizzazione (Fonagy e Allen) che risultano trasversali e specifiche delle situazioni di
scompenso (Laufer & Laufer, Fonagy).
Dal 2007 è attivo presso l’AOU Meyer l’ambulatorio NPI AIA (proiezione della NPI dell’AOU Careggi) per la gestione
dei casi di acuzie psichiatrica che si articola con altri livelli di cura: consulenza presso DEA o reparti dell’AOU Meyer (in
particolare presso la Neurologia Pediatrica), intervento della SODc di Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Careggi
(ricovero ordinario e un servizio di Day Hospital), collaborazione con le strutture territoriali (Martinetti et al, in stampa).
Questo tipo di articolazione, a partire dal 2011, viene arricchito dal lavoro di rete con l’ambulatorio integrato per
situazioni acute di disagio psichico adolescenziale presso l’UFSMIA dell’ASL 10 di Firenze.
Negli anni 2007-2010 sono giunti all’AIA 444 pazienti (256 F, 57,7%; 188 M, 42,3, età media 12 anni, provenienti
prevalentemente dall’Area Vasta Centro (238, 75%). Invianti il DEA (25%), i reparti specialistici dell’AOU Meyer
(47%) e l’UFSMIA di zona (9%). I livelli di cura utilizzati in questi percorsi, oltre a quello ambulatoriale (211 casi,
47,5%) sono stati: day hospital (40, 9%) o ricovero ordinario presso l’NPI dell’AOUC (18, 4%). Maggiormente
rappresentati come diagnosi in uscita i disturbi d’ansia (26%) e i disturbi dell’umore (19,6%). E’ prioritaria in tutti questi
percorsi la tempestività e intensità di cura, ma nella maggior parte dei casi la presa in carico non si è orientata a un
‘setting’ contenitivo di tipo ospedaliero, ma al mantenimento della continuità dell’ambiente di vita del soggetto attraverso
l’intervento ambulatoriale intensivo. In quest’ottica risulta necessaria la stretta collaborazione con le strutture
sociosanitarie di zona: UFSMIA (276, 62%) e servizio sociale (46, 10%).
Il percorso terapeutico si realizza quindi all’interno dei vari format attraverso un intervento diagnostico/terapeutico focale
intensivo ed estensivo (allargato alla famiglia) multidisciplinare (neuropsichiatra, psicoterapeuta, educatore) volto a
rispondere tempestivamente al bisogno emergente, utilizzando il modello dei trattamenti psicoterapici basati sulla
mentalizzazione (Fonagy, 2010; Menninger 2010). Attraverso l’utilizzo di metodi e strumenti condivisi nella continuità
del percorso, si verificherà l’efficacia dei trattamenti e l’esito a lungo termine. A tale scopo si è deciso di condividere a
livello interaziendale strumenti per l’assessment psicopatologico (CBCL e SAFA), per l’assessment di personalità
(SWAP-A), identificando come obiettivi del percorso di cura, oltre al miglioramento del profilo psicopatologico e del
funzionamento globale (C-GAS, CGI), la valutazione delle modificazioni del funzionamento di personalità (come
codificato dall’asse MCA del Manuale Diagnostico Psicodinamico). Questo getta le basi per verificare l’efficacia di un
intervento volto al rafforzamento delle capacità di mentalizzazione in un’ottica che tenga conto delle istanze evolutive
presenti.
Background: Necessità di formulare dei criteri di inquadramento diagnostico dell’acuzie psichiatrica all’interno del
dibattito presente in letteratura fra approccio categoriale (DSM-IV e ICD-10) e dimensionale (PDM) che permetta la
definizione di linee di intervento specifiche.
Obiettivi: Attuazione di un modello di intervento integrato in rete fra Ambulatorio Intensivo Adolescenti dell’AOU
Meyer (AIA), SODc di Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Careggi e servizio UFSMIA dell’ASL 10 di Firenze per
l’acuzie psichiatrica in età evolutiva.
Metodologie, soggetti e risultati: Nel polimorfismo sintomatico dell’acuzie psichica in adolescenza (suicidalità,
autolesionismo, condotte aggressive, stati di agitazione più o meno legati a disturbi del pensiero, attacchi di panico e crisi
d’ansia, episodi depressivi, gravi disturbi dell’alimentazione) si osserva una compromissione del funzionamento mentale
(PDM) e delle capacità di mentalizzazione (Fonagy e Allen) che risultano trasversali e specifiche delle situazioni di
scompenso (Laufer & Laufer, Fonagy).
Dal 2007 è attivo presso l’AOU Meyer l’ambulatorio NPI AIA (proiezione della NPI dell’AOU Careggi) per la gestione
dei casi di acuzie psichiatrica che si articola con altri livelli di cura: consulenza presso DEA o reparti dell’AOU Meyer (in
particolare presso la Neurologia Pediatrica), intervento della SODc di Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Careggi
(ricovero ordinario e un servizio di Day Hospital), collaborazione con le strutture territoriali (Martinetti et al, in stampa).
Questo tipo di articolazione, a partire dal 2011, viene arricchito dal lavoro di rete con l’ambulatorio integrato per
situazioni acute di disagio psichico adolescenziale presso l’UFSMIA dell’ASL 10 di Firenze.
Negli anni 2007-2010 sono giunti all’AIA 444 pazienti (256 F, 57,7%; 188 M, 42,3, età media 12 anni, provenienti
prevalentemente dall’Area Vasta Centro (238, 75%). Invianti il DEA (25%), i reparti specialistici dell’AOU Meyer
(47%) e l’UFSMIA di zona (9%). I livelli di cura utilizzati in questi percorsi, oltre a quello ambulatoriale (211 casi,
47,5%) sono stati: day hospital (40, 9%) o ricovero ordinario presso l’NPI dell’AOUC (18, 4%). Maggiormente
rappresentati come diagnosi in uscita i disturbi d’ansia (26%) e i disturbi dell’umore (19,6%). E’ prioritaria in tutti questi
percorsi la tempestività e intensità di cura, ma nella maggior parte dei casi la presa in carico non si è orientata a un
‘setting’ contenitivo di tipo ospedaliero, ma al mantenimento della continuità dell’ambiente di vita del soggetto attraverso
l’intervento ambulatoriale intensivo. In quest’ottica risulta necessaria la stretta collaborazione con le strutture
sociosanitarie di zona: UFSMIA (276, 62%) e servizio sociale (46, 10%).
Il percorso terapeutico si realizza quindi all’interno dei vari format attraverso un intervento diagnostico/terapeutico focale
intensivo ed estensivo (allargato alla famiglia) multidisciplinare (neuropsichiatra, psicoterapeuta, educatore) volto a
rispondere tempestivamente al bisogno emergente, utilizzando il modello dei trattamenti psicoterapici basati sulla
mentalizzazione (Fonagy, 2010; Menninger 2010). Attraverso l’utilizzo di metodi e strumenti condivisi nella continuità
del percorso, si verificherà l’efficacia dei trattamenti e l’esito a lungo termine. A tale scopo si è deciso di condividere a
livello interaziendale strumenti per l’assessment psicopatologico (CBCL e SAFA), per l’assessment di personalità
(SWAP-A), identificando come obiettivi del percorso di cura, oltre al miglioramento del profilo psicopatologico e del
funzionamento globale (C-GAS, CGI), la valutazione delle modificazioni del funzionamento di personalità (come
codificato dall’asse MCA del Manuale Diagnostico Psicodinamico). Questo getta le basi per verificare l’efficacia di un
intervento volto al rafforzamento delle capacità di mentalizzazione in un’ottica che tenga conto delle istanze evolutive
presenti.
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IL FENOTIPO ALLARGATO NELLO SPETTRO AUTISTICO, STUDIO DI UNA
CASISTICA
Lafortezza M., De Giacomo A., Pinto F., Lecce P. A., Lamanna A. L., Passeri G., Gioia F.,
Margari L.
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile – Policlinico di Bari
IL FENOTIPO ALLARGATO NELLO SPETTRO AUTISTICO, STUDIO DI UNA
CASISTICA
Lafortezza M., De Giacomo A., Pinto F., Lecce P. A., Lamanna A. L., Passeri G., Gioia F.,
Margari L.
U.O.C. Neuropsichiatria Infantile – Policlinico di Bari
OBIETTIVO: L’obiettivo di tale studio è verificare la presenza di tratti psichici e di personalità, comuni nei genitori,
come possibile caratteristica del fenotipo allargato (‘Broader Autism Phenotype’) nel disturbo pervasivo dello sviluppo.
METODO: Il gruppo sperimentale comprende 41 coppie di genitori di bambini con disturbo dello spettro autistico,
afferiti presso l’U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi di Bari. Il campione è rappresentato da 35
maschi e 6 femmine. L’età media dei bambini è compresa tra 2 e 14 anni. Secondo i criteri del DSM-IV-TR, 7 bambini
presentavano disturbo autistico, 31 PDD NAS e 3 disturbo di Asperger. Il gruppo di controllo è omogeneo al gruppo
sperimentale per età e sesso.
Lo strumento utilizzato per la valutazione delle caratteristiche psichiche e di personalità è stato l’intervista semi
strutturata SCID I e II, somministrata dal clinico a tutti i genitori.
RISULTATI: Il gruppo di genitori con figli PDS, rispetto al gruppo controllo, presenta una maggiore frequenza di Ansia
e Depressione nell’Asse I e di tratti di Personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline nell’Asse II.
La prevalenza dei disturbi psichiatrici nel campione sperimentale risulta del 57,3%: 30,5% disturbi d'ansia, 19,5%
disturbi depressivi, 3,7% disturbi di condotta, 2,4% disturbo bipolare e l’1,2% psicosi. Nel campione di controllo, solo
l’8,6% dei soggetti presenta una diagnosi di disturbi psichiatrici: 4,9% disturbi d’ansia, 3,7% i disturbi depressivi. In
particolare, tra i due gruppi, esiste una differenza significativa per ansia e depressione. La percentuale di genitori PDS con
tratti di disturbo di personalità è 26,8% e del 2,4% nei soggetti del campione di controllo. Dall’analisi statistica sono
emerse differenze significative nei tratti di personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline. Nel sottogruppo
delle madri del campione sperimentale si rilevano differenze significative nel disturbo d’ansia generalizzata e nel disturbo
depressivo.
CONCLUSIONI: I risultati ottenuti evidenziano le ripercussioni che le patologie dei figli esercitano sul benessere
psichico genitoriale e come specifici quadri psichici dei genitori potrebbero appartenere ad un fenotipo allargato ed
incidere sullo sviluppo dei propri figli. Le diagnosi psichiatriche e l’elevata presenza di tratti di disturbi di personalità nei
genitori possono essere associate ad un maggiore rischio di autismo nei figli. Per patologie come la depressione e l’ansia,
l'associazione positiva tra disturbi psichiatrici e autismo infantile è emersa soprattutto nelle madri.
Lo stress di essere genitori di un bambino con autismo non spiega gli elevati livelli di ansia e depressione; infatti una
percentuale importante di genitori con disturbi d’ansia o disturbi depressivi hanno avuto l’esordio della sintomatologia
prima della nascita del bambino autistico. Questa analisi temporale può indicare un aumento della probabilità di diagnosi
d’autismo in bambini i cui genitori presentavano già disturbi psichiatrici.
Tali risultati sostengono l'ipotesi che c'è una predisposizione familiare, forse genetica, che per emergere dovrebbe essere
associata ad una costellazione di altri fattori genetici o ambientali. Non è da sottovalutare che il disturbo del figlio
potrebbe contribuire al mantenimento del disturbo genitoriale, soprattutto sulla madre.
Rispetto alla personalità in nessun caso si è fatta diagnosi di disturbo di personalità. Tuttavia sono emersi con maggiore
frequenza nel gruppo sperimentale tratti di personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline.
I nostri dati confermano l’idea che l’autismo ha una eziopatogenesi multifattoriale in cui fattori sociali e genetici
interagiscono nel determinare il disturbo.
OBIETTIVO: L’obiettivo di tale studio è verificare la presenza di tratti psichici e di personalità, comuni nei genitori,
come possibile caratteristica del fenotipo allargato (‘Broader Autism Phenotype’) nel disturbo pervasivo dello sviluppo.
METODO: Il gruppo sperimentale comprende 41 coppie di genitori di bambini con disturbo dello spettro autistico,
afferiti presso l’U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi di Bari. Il campione è rappresentato da 35
maschi e 6 femmine. L’età media dei bambini è compresa tra 2 e 14 anni. Secondo i criteri del DSM-IV-TR, 7 bambini
presentavano disturbo autistico, 31 PDD NAS e 3 disturbo di Asperger. Il gruppo di controllo è omogeneo al gruppo
sperimentale per età e sesso.
Lo strumento utilizzato per la valutazione delle caratteristiche psichiche e di personalità è stato l’intervista semi
strutturata SCID I e II, somministrata dal clinico a tutti i genitori.
RISULTATI: Il gruppo di genitori con figli PDS, rispetto al gruppo controllo, presenta una maggiore frequenza di Ansia
e Depressione nell’Asse I e di tratti di Personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline nell’Asse II.
La prevalenza dei disturbi psichiatrici nel campione sperimentale risulta del 57,3%: 30,5% disturbi d'ansia, 19,5%
disturbi depressivi, 3,7% disturbi di condotta, 2,4% disturbo bipolare e l’1,2% psicosi. Nel campione di controllo, solo
l’8,6% dei soggetti presenta una diagnosi di disturbi psichiatrici: 4,9% disturbi d’ansia, 3,7% i disturbi depressivi. In
particolare, tra i due gruppi, esiste una differenza significativa per ansia e depressione. La percentuale di genitori PDS con
tratti di disturbo di personalità è 26,8% e del 2,4% nei soggetti del campione di controllo. Dall’analisi statistica sono
emerse differenze significative nei tratti di personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline. Nel sottogruppo
delle madri del campione sperimentale si rilevano differenze significative nel disturbo d’ansia generalizzata e nel disturbo
depressivo.
CONCLUSIONI: I risultati ottenuti evidenziano le ripercussioni che le patologie dei figli esercitano sul benessere
psichico genitoriale e come specifici quadri psichici dei genitori potrebbero appartenere ad un fenotipo allargato ed
incidere sullo sviluppo dei propri figli. Le diagnosi psichiatriche e l’elevata presenza di tratti di disturbi di personalità nei
genitori possono essere associate ad un maggiore rischio di autismo nei figli. Per patologie come la depressione e l’ansia,
l'associazione positiva tra disturbi psichiatrici e autismo infantile è emersa soprattutto nelle madri.
Lo stress di essere genitori di un bambino con autismo non spiega gli elevati livelli di ansia e depressione; infatti una
percentuale importante di genitori con disturbi d’ansia o disturbi depressivi hanno avuto l’esordio della sintomatologia
prima della nascita del bambino autistico. Questa analisi temporale può indicare un aumento della probabilità di diagnosi
d’autismo in bambini i cui genitori presentavano già disturbi psichiatrici.
Tali risultati sostengono l'ipotesi che c'è una predisposizione familiare, forse genetica, che per emergere dovrebbe essere
associata ad una costellazione di altri fattori genetici o ambientali. Non è da sottovalutare che il disturbo del figlio
potrebbe contribuire al mantenimento del disturbo genitoriale, soprattutto sulla madre.
Rispetto alla personalità in nessun caso si è fatta diagnosi di disturbo di personalità. Tuttavia sono emersi con maggiore
frequenza nel gruppo sperimentale tratti di personalità Narcisistica, Passivo/Aggressiva e Borderline.
I nostri dati confermano l’idea che l’autismo ha una eziopatogenesi multifattoriale in cui fattori sociali e genetici
interagiscono nel determinare il disturbo.
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ANOMALIE COMUNICATIVE IN PDD NAS AD ALTO FUNZIONAMENTO
INTELLETTIVO
Lamanna A. L., De Giambattista C., Matera E., Lafortezza M. E., De Giacomo A.
Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, U.O.
Neuropsichiatria Infantile
ANOMALIE COMUNICATIVE IN PDD NAS AD ALTO FUNZIONAMENTO
INTELLETTIVO
Lamanna A. L., De Giambattista C., Matera E., Lafortezza M. E., De Giacomo A.
Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, U.O.
Neuropsichiatria Infantile
INTRODUZIONE Le anomalie quantitative e qualitative del linguaggio rappresentano una delle caratteristiche dei
pazienti con disturbi dello spettro autistico.
OBIETTIVI L’ obiettivo del nostro studio è individuare, nei pazienti con disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti
specificato (NAS) con normodotazione intellettiva, eventuali anomalie specifiche di comunicazione che possano essere
utilizzate come marker precoci di questa categoria diagnostica; inoltre, eventualmente, individuare tra queste anomalie
quelle più frequenti nei primi tre anni di vita.
MATERIALI E METODI Il campione è costituito da 37 bambini (n=37) con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS
diagnosticato secondo i criteri del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) e normodotazione
intellettiva, che sono stati valutati presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile del Dipartimento di Scienze
Neurologiche e Psichiatriche dell’Università degli Studi di Bari. Il 91% del campione è costituito da maschi, con un’età
media di 4 anni e 9 mesi. L’assessment prevedeva test di livello intellettivo (Leiter-R, WPPSI, WISC-III), sedute di
osservazione semistrutturata ADOS (Autism Diagnostic Observation Schedule) e interviste ADI-R (Autism Diagnostic
Interview-Revised). Sono stati selezionati gli items relativi alle abilità comunicative dell’ADOS e dell’ADI-R e sono state
confrontate le medie calcolate dai punteggi ottenuti per ciascun item selezionato. All’interno degli stessi items si è cercata
una significatività in rapporto alla frequenza ed alla gravità. L’analisi statistica è stata condotta mediante un test
parametrico (Test T di Student). Un valore p<0.05 è stato considerato statisticamente significativo. L’analisi statistica ha
previsto l’utilizzo del software SPSS (v.11.0.4 for MAC-OS-X 10.4.8).
RISULTATI Dall’analisi statistica risulta che l’ecolalia immediata (p=0.0347) e la compromissione dell’ apertura sociale
(p=0.0029) sono sintomi rilevanti per frequenza e per gravità sia rispetto ai deficit della gestualità, sia rispetto all’ecolalia
differita, alle stereotipie verbali ed alle inversioni pronominali (p=0.0000).
Nei primi tre anni di vita si presentano più frequentemente e con maggiore gravità i deficit riguardanti i gesti
convenzionali e strumentali (p=0.0239) e la capacità di annuire (p=0.0005).
CONCLUSIONI E’ possibile individuare, nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati ad alto
funzionamento intellettivo, le anomalie del linguaggio verbale e non verbale più frequenti e più gravi, oltre a quelle più
precoci, che potrebbero essere utilizzate per prevedere l’evoluzione di malattia.
INTRODUZIONE Le anomalie quantitative e qualitative del linguaggio rappresentano una delle caratteristiche dei
pazienti con disturbi dello spettro autistico.
OBIETTIVI L’ obiettivo del nostro studio è individuare, nei pazienti con disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti
specificato (NAS) con normodotazione intellettiva, eventuali anomalie specifiche di comunicazione che possano essere
utilizzate come marker precoci di questa categoria diagnostica; inoltre, eventualmente, individuare tra queste anomalie
quelle più frequenti nei primi tre anni di vita.
MATERIALI E METODI Il campione è costituito da 37 bambini (n=37) con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS
diagnosticato secondo i criteri del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) e normodotazione
intellettiva, che sono stati valutati presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile del Dipartimento di Scienze
Neurologiche e Psichiatriche dell’Università degli Studi di Bari. Il 91% del campione è costituito da maschi, con un’età
media di 4 anni e 9 mesi. L’assessment prevedeva test di livello intellettivo (Leiter-R, WPPSI, WISC-III), sedute di
osservazione semistrutturata ADOS (Autism Diagnostic Observation Schedule) e interviste ADI-R (Autism Diagnostic
Interview-Revised). Sono stati selezionati gli items relativi alle abilità comunicative dell’ADOS e dell’ADI-R e sono state
confrontate le medie calcolate dai punteggi ottenuti per ciascun item selezionato. All’interno degli stessi items si è cercata
una significatività in rapporto alla frequenza ed alla gravità. L’analisi statistica è stata condotta mediante un test
parametrico (Test T di Student). Un valore p<0.05 è stato considerato statisticamente significativo. L’analisi statistica ha
previsto l’utilizzo del software SPSS (v.11.0.4 for MAC-OS-X 10.4.8).
RISULTATI Dall’analisi statistica risulta che l’ecolalia immediata (p=0.0347) e la compromissione dell’ apertura sociale
(p=0.0029) sono sintomi rilevanti per frequenza e per gravità sia rispetto ai deficit della gestualità, sia rispetto all’ecolalia
differita, alle stereotipie verbali ed alle inversioni pronominali (p=0.0000).
Nei primi tre anni di vita si presentano più frequentemente e con maggiore gravità i deficit riguardanti i gesti
convenzionali e strumentali (p=0.0239) e la capacità di annuire (p=0.0005).
CONCLUSIONI E’ possibile individuare, nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati ad alto
funzionamento intellettivo, le anomalie del linguaggio verbale e non verbale più frequenti e più gravi, oltre a quelle più
precoci, che potrebbero essere utilizzate per prevedere l’evoluzione di malattia.
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NUOVE DIMENSIONI PATERNE IN GRAVIDANZA : IL PROGETTO “ANCHE I
PADRI ASPETTANO UN FIGLIO”
Landi M., Dirindelli P., Bulli F., Cenerini M., Fanzone T., Lino G., Stefanini M. C. ,
Santini M.
Centro Nascita La Margherita AOU Careggi Firenze
NUOVE DIMENSIONI PATERNE IN GRAVIDANZA : IL PROGETTO “ANCHE I
PADRI ASPETTANO UN FIGLIO”
Landi M., Dirindelli P., Bulli F., Cenerini M., Fanzone T., Lino G., Stefanini M. C. ,
Santini M.
Centro Nascita La Margherita AOU Careggi Firenze
Background: La presa di coscienza dei benefici del coinvolgimento dei padri nell’educazione e nella crescita del figlio ha
portato ad un maggiore riconoscimento dei bisogni durante il passaggio alla paternità e a un crescente interesse nei
confronti di un processo che ha caratteristiche proprie e diverse rispetto a quello materno; ciò sta portando a una
ridefinizione del ruolo sia a livello culturale sia a livello scientifico.
Scopo: Descrivere i vissuti e le rappresentazioni paterne in gravidanza.
Metodi e risultati: Un questionario con 16 domande a scelta multipla e 2 domande aperte, parte dell’IRPAG di Ammaniti,
è stato proposto ai padri che hanno frequentato il percorso di preparazione alla nascita del Centro Nascita “La
Margherita” dell’AOU Careggi nel periodo 2007-2010.
Il campione è composto di 96 futuri padri, con età media di 36 anni. La quasi totalità del campione (95,8%) era in attesa
del primo figlio e, al momento della compilazione, si trovava in media alla 30esima settimana di gravidanza (range 8-38).
Nel 60% dei casi la gravidanza era stata programmata. Rispetto alla notizia della gravidanza, oltre il 70% dei futuri padri
ha dichiarato di essersi sentito felice, mentre il 20% ha espresso sentimenti di confusione. La totalità del campione
riferisce che la partner rende partecipi i futuri padri degli avvenimenti che caratterizzano la gravidanza e solo il 16.7% di
loro parla “poco” o “per niente” con la partner del figlio che sta per nascere. Oltre la metà dei futuri padri (59.4%)
riferisce un cambiamento di vita durante la gravidanza, mentre il cambiamento nel rapporto di coppia è riportato da una
percentuale inferiore (45,6%). La maggior parte dei padri riconosce l’insostituibilità delle cure materne nei primi tre mesi
del figlio e sottolinea l’importanza degli affetti e dell’accudimento, anche materiale. Minore importanza è attribuita al
clima sereno in famiglia (27%) e all’armonia di coppia (7.3%). Rispetto ai compiti del padre nei primi tre mesi, il 75%
dei futuri padri considera prioritario il sostegno alla partner e circa uno su tre fa riferimento al prendersi cura del figlio
direttamente.
Il 90% del campione di futuri padri vuole essere presente in sala parto e, nel 20% dei casi, tale scelta è funzione
dell’importanza attribuita alla sua presenza da parte della partner. La maggior parte dei futuri padri teme di impressionarsi
(60%) e di essere impreparato (70%) rispetto alla situazione.
Discussione: I dati emersi dai questionari e l’esperienza maturata nei gruppi ci permette di affermare che i padri che
partecipano volontariamente ai corsi di preparazione alla nascita mostrano di aver creato uno spazio mentale per
accogliere il figlio in arrivo. Si tratta di padri che si confrontano con la loro partner relativamente alle tematiche della
gravidanza e che vedono cambiare positivamente le loro vite con l’attesa di un figlio. Sono consapevoli della loro
importanza nel sostegno alla diade madre-bambino sia in sala parto sia nei primi mesi dopo la nascita. In sintesi, i futuri
padri del nostro campione sono padri consapevoli della scelta fatta ed esprimono vissuti e attese positive rispetto alla
paternità.
Background: La presa di coscienza dei benefici del coinvolgimento dei padri nell’educazione e nella crescita del figlio ha
portato ad un maggiore riconoscimento dei bisogni durante il passaggio alla paternità e a un crescente interesse nei
confronti di un processo che ha caratteristiche proprie e diverse rispetto a quello materno; ciò sta portando a una
ridefinizione del ruolo sia a livello culturale sia a livello scientifico.
Scopo: Descrivere i vissuti e le rappresentazioni paterne in gravidanza.
Metodi e risultati: Un questionario con 16 domande a scelta multipla e 2 domande aperte, parte dell’IRPAG di Ammaniti,
è stato proposto ai padri che hanno frequentato il percorso di preparazione alla nascita del Centro Nascita “La
Margherita” dell’AOU Careggi nel periodo 2007-2010.
Il campione è composto di 96 futuri padri, con età media di 36 anni. La quasi totalità del campione (95,8%) era in attesa
del primo figlio e, al momento della compilazione, si trovava in media alla 30esima settimana di gravidanza (range 8-38).
Nel 60% dei casi la gravidanza era stata programmata. Rispetto alla notizia della gravidanza, oltre il 70% dei futuri padri
ha dichiarato di essersi sentito felice, mentre il 20% ha espresso sentimenti di confusione. La totalità del campione
riferisce che la partner rende partecipi i futuri padri degli avvenimenti che caratterizzano la gravidanza e solo il 16.7% di
loro parla “poco” o “per niente” con la partner del figlio che sta per nascere. Oltre la metà dei futuri padri (59.4%)
riferisce un cambiamento di vita durante la gravidanza, mentre il cambiamento nel rapporto di coppia è riportato da una
percentuale inferiore (45,6%). La maggior parte dei padri riconosce l’insostituibilità delle cure materne nei primi tre mesi
del figlio e sottolinea l’importanza degli affetti e dell’accudimento, anche materiale. Minore importanza è attribuita al
clima sereno in famiglia (27%) e all’armonia di coppia (7.3%). Rispetto ai compiti del padre nei primi tre mesi, il 75%
dei futuri padri considera prioritario il sostegno alla partner e circa uno su tre fa riferimento al prendersi cura del figlio
direttamente.
Il 90% del campione di futuri padri vuole essere presente in sala parto e, nel 20% dei casi, tale scelta è funzione
dell’importanza attribuita alla sua presenza da parte della partner. La maggior parte dei futuri padri teme di impressionarsi
(60%) e di essere impreparato (70%) rispetto alla situazione.
Discussione: I dati emersi dai questionari e l’esperienza maturata nei gruppi ci permette di affermare che i padri che
partecipano volontariamente ai corsi di preparazione alla nascita mostrano di aver creato uno spazio mentale per
accogliere il figlio in arrivo. Si tratta di padri che si confrontano con la loro partner relativamente alle tematiche della
gravidanza e che vedono cambiare positivamente le loro vite con l’attesa di un figlio. Sono consapevoli della loro
importanza nel sostegno alla diade madre-bambino sia in sala parto sia nei primi mesi dopo la nascita. In sintesi, i futuri
padri del nostro campione sono padri consapevoli della scelta fatta ed esprimono vissuti e attese positive rispetto alla
paternità.
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DISTURBO
DEPRESSIVO
IN
UN
RAGAZZO
CON
EPILESSIA
FARMACORESISTENTE
Leo I., Gentile V., Cordelli D. M., Barbieri A., Di Pisa V., Marchiani V., Franzoni E.
U.O. Neuropsichiatria Infantile e Disturbi del Comportamento Alimentare
Policlinico S. Orsola – Malpighi Bologna
DISTURBO
DEPRESSIVO
IN
UN
RAGAZZO
CON
EPILESSIA
FARMACORESISTENTE
Leo I., Gentile V., Cordelli D. M., Barbieri A., Di Pisa V., Marchiani V., Franzoni E.
U.O. Neuropsichiatria Infantile e Disturbi del Comportamento Alimentare
Policlinico S. Orsola – Malpighi Bologna
Contenuto: Differenti studi clinici dimostrano l’esistenza di una comorbidità tra epilessia e disturbi depressivi, soprattutto
nelle forme temporali e frontali.
Qui viene riportato una caso di comorbidità tra epilessia parziale secondariamente generalizzata farmaco resistente e
disturbo depressivo con associati sintomi simil-psicotici.
Ragazzo di 15 aa affetto da ‘Epilessia Generalizzata’ farmaco resistente con crisi tipo assenza e presenza di
fotosensibilità, giunto alla nostra osservazione all’età di 14 aa per il persistere di crisi, ricorrenti episodi di
‘disorientamento’ ed importante rallentamento psicomotorio al risveglio. Esordio all’età di 9 aa con crisi tipo assenza,
riferite rare crisi tonico cloniche generalizzate, parzialmente controllate dall’acido valproico.
Sono stati eseguiti esami di laboratorio, EEG poligrafico in veglia e sonno, RM cerebrale, PET, valutazione
neuropsicologica e psicodiagnostica ripetuta a distanza di un anno (WISC-III, Digit Span Test, Corsi Block Test,
Memoria di prosa a lungo termine, Test delle Campanelle Rivisto, Trail Making Test, Figura di Rey, VMI, CDI, MMPIA, CBCL, e colloquio clinico).
Risultati: l’EEG poligrafico mostrava scariche parossistiche diffuse molto frequenti di polipunta-onda maggiormente
attivate alla chiusura degli occhi e scariche diffuse di punte e polipunte a prevalenza sulle regioni posteriori durante la
stimolazione luminosa intermittente; la RM cerebrale era nella norma. La PET cerebrale mostrava un’ipofissazione del
radio farmaco in regione occipitale sinistra. Durante un EEG in sonno al risveglio il paziente ha presentato una crisi
parziale a partenza anteriore destra, caratterizzata da deviazione del capo e degli occhi a sinistra e successiva
generalizzazione. La prima valutazione psicodiagnostica mostrava un QI Globale nella norma (105) con un’omogeneità
interscala (QIV:101; QIP:107) ma un generale rallentamento nell’elaborazione degli stimoli (QDFVE:85), lievi difficoltà
di memoria verbale, significative problematiche nell’analisi visuo-spaziale e nel trail making. Il comportamento
intercritico era caratterizzato da un’importante inibizione dell’espressività emotiva, alessitimia e modalità stereotipate di
comportamento, alternate ad improvvise esplosioni di aggressività. Il punteggio al CDI era positivo per un disturbo
depressivo (P:27).
La seconda valutazione confermava i risultati ottenuti ed evidenziava, tramite MMPI-A, un lieve grado di paranoia con
un’alta vulnerabilità alla frustrazione (Pa:61) e tendenza alla repressione della rabbia; alienazione (Aln:60); rischio di
acting out antisociale (Pd:46,Mf:34,Pa:61), difficoltà di socializzazione (Sod:70) e pensiero bizzarro (Biz:67). La CBCL
compilata dalla madre confermava quanto trovato con l’MMPI.
Discussione: La registrazione dell’episodio critico al risveglio ed i dati emersi dagli esami strumentali, oltre al cattivo
andamento clinico, facevano porre diagnosi di Epilessia parziale secondariamente generalizzata probabilmente
sintomatica. I nostri risultati inoltre, suggeriscono la presenza di una relazione tra eventi parossistici, disturbo depressivo
e profilo neuropsicologico. I sintomi depressivi sembrano essere maggiormente presenti durante il periodo intercritico ed
incrementare con una lunga esposizione a crisi ripetute incontrollate. Alcuni fattori endogeni ed esogeni sembrano infine
favorire un viraggio sintomatologico verso un disagio con caratteristiche simil-psicotiche.
Referenze: Pizzi A.M., Chapin J.S. "Comparison of personality traits in patients with frontal and temporal lobe epilepsy".
Epilepsy Behav. 2009. Jun;15(2):225-9. Epub 2009 Apr 17.
Austin JK, Caplan R. "Behavioral and psychiatric comrbidities in paediatric epilepsy: toward an integrative model".
Epilepsia 2007 Sep;48(9):1639-51. Epub 2007 Jun 12.
Contenuto: Differenti studi clinici dimostrano l’esistenza di una comorbidità tra epilessia e disturbi depressivi, soprattutto
nelle forme temporali e frontali.
Qui viene riportato una caso di comorbidità tra epilessia parziale secondariamente generalizzata farmaco resistente e
disturbo depressivo con associati sintomi simil-psicotici.
Ragazzo di 15 aa affetto da ‘Epilessia Generalizzata’ farmaco resistente con crisi tipo assenza e presenza di
fotosensibilità, giunto alla nostra osservazione all’età di 14 aa per il persistere di crisi, ricorrenti episodi di
‘disorientamento’ ed importante rallentamento psicomotorio al risveglio. Esordio all’età di 9 aa con crisi tipo assenza,
riferite rare crisi tonico cloniche generalizzate, parzialmente controllate dall’acido valproico.
Sono stati eseguiti esami di laboratorio, EEG poligrafico in veglia e sonno, RM cerebrale, PET, valutazione
neuropsicologica e psicodiagnostica ripetuta a distanza di un anno (WISC-III, Digit Span Test, Corsi Block Test,
Memoria di prosa a lungo termine, Test delle Campanelle Rivisto, Trail Making Test, Figura di Rey, VMI, CDI, MMPIA, CBCL, e colloquio clinico).
Risultati: l’EEG poligrafico mostrava scariche parossistiche diffuse molto frequenti di polipunta-onda maggiormente
attivate alla chiusura degli occhi e scariche diffuse di punte e polipunte a prevalenza sulle regioni posteriori durante la
stimolazione luminosa intermittente; la RM cerebrale era nella norma. La PET cerebrale mostrava un’ipofissazione del
radio farmaco in regione occipitale sinistra. Durante un EEG in sonno al risveglio il paziente ha presentato una crisi
parziale a partenza anteriore destra, caratterizzata da deviazione del capo e degli occhi a sinistra e successiva
generalizzazione. La prima valutazione psicodiagnostica mostrava un QI Globale nella norma (105) con un’omogeneità
interscala (QIV:101; QIP:107) ma un generale rallentamento nell’elaborazione degli stimoli (QDFVE:85), lievi difficoltà
di memoria verbale, significative problematiche nell’analisi visuo-spaziale e nel trail making. Il comportamento
intercritico era caratterizzato da un’importante inibizione dell’espressività emotiva, alessitimia e modalità stereotipate di
comportamento, alternate ad improvvise esplosioni di aggressività. Il punteggio al CDI era positivo per un disturbo
depressivo (P:27).
La seconda valutazione confermava i risultati ottenuti ed evidenziava, tramite MMPI-A, un lieve grado di paranoia con
un’alta vulnerabilità alla frustrazione (Pa:61) e tendenza alla repressione della rabbia; alienazione (Aln:60); rischio di
acting out antisociale (Pd:46,Mf:34,Pa:61), difficoltà di socializzazione (Sod:70) e pensiero bizzarro (Biz:67). La CBCL
compilata dalla madre confermava quanto trovato con l’MMPI.
Discussione: La registrazione dell’episodio critico al risveglio ed i dati emersi dagli esami strumentali, oltre al cattivo
andamento clinico, facevano porre diagnosi di Epilessia parziale secondariamente generalizzata probabilmente
sintomatica. I nostri risultati inoltre, suggeriscono la presenza di una relazione tra eventi parossistici, disturbo depressivo
e profilo neuropsicologico. I sintomi depressivi sembrano essere maggiormente presenti durante il periodo intercritico ed
incrementare con una lunga esposizione a crisi ripetute incontrollate. Alcuni fattori endogeni ed esogeni sembrano infine
favorire un viraggio sintomatologico verso un disagio con caratteristiche simil-psicotiche.
Referenze: Pizzi A.M., Chapin J.S. "Comparison of personality traits in patients with frontal and temporal lobe epilepsy".
Epilepsy Behav. 2009. Jun;15(2):225-9. Epub 2009 Apr 17.
Austin JK, Caplan R. "Behavioral and psychiatric comrbidities in paediatric epilepsy: toward an integrative model".
Epilepsia 2007 Sep;48(9):1639-51. Epub 2007 Jun 12.
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STABILITA’ DIAGNOSTICA INTERNA AI DISTURBI
AUTISTICO: STUDIO PROSPETTICO DI UN ANNO
Manzi B., Terribili M., Benvenuto A., Battan B., Curatolo P.
Università di Tor Vergata Roma
DELLO
SPETTRO
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STABILITA’ DIAGNOSTICA INTERNA AI DISTURBI
AUTISTICO: STUDIO PROSPETTICO DI UN ANNO
Manzi B., Terribili M., Benvenuto A., Battan B., Curatolo P.
Università di Tor Vergata Roma
DELLO
SPETTRO
Background scientifico: Sebbene i disturbi dello spettro autistico siano considerati una delle patologie neuropsichiatriche
con la maggior stabilità diagnostica, un’analisi più specifica delle classi diagnostiche incluse sotto il termine di disturbi
dello spettro autistico ha permesso di evidenziare come tale stabilità diagnostica differisca notevolmente a seconda della
categoria di appartenenza, mostrando una maggiore ricorrenza per la diagnosi di Autismo rispetto a quella di Disturbo
Pervasivo Non Altrimenti Specificato (DPS-NAS).
Scopo: L’obiettivo primario del presente studio è quello di verificare l’evoluzione clinica e la stabilità diagnostica in un
gruppo di pazienti con disturbo dello spettro autistico differenziati per categoria diagnostica (DPS-NAS verso autistici)
tramite la valutazione prospettica effettuata a distanza di un anno con misure standardizzate. Un secondo obiettivo del
presente studio risulta essere quello di individuare possibili fattori predittivi di un outcome migliore nei due gruppi di
pazienti.
Metodologia e soggetti: Per la realizzazione dello studio, sono stati arruolati due gruppi di pazienti, seguiti in maniera
prospettica per un anno. Sono stati arruolati 14 bambini con diagnosi di Autismo, di cui 10 maschi e 4 femmine; e 15
bambini con diagnosi di DPS-NAS , di cui 14 di sesso maschile e 1 di sesso femminile. La valutazione clinica è stata
effettuata mediante somministrazione della scala PEP-3, l’intervista Vineland e il Calibrated Severity Score elaborato a
partire dagli score del test sintomatologico ADOS (modulo 1 o 2 a seconda del livello di linguaggio espressivo).
Risultati e discussione: I pazienti con DPS-NAS mostravano al tempo 1 un QS medio (0,67) più alto dei bambini con
diagnosi di autismo (media 0,42). A distanza di un anno entrambi i gruppi presentano un miglioramento del QS, che
tuttavia risulta essere statisticamente significativo (p<0.01) esclusivamente nel gruppo di pazienti con diagnosi iniziale di
DPS-NAS. I pazienti con diagnosi di DPS-NAS presentano un Calibrated Severity Score al tempo 1 inferiore rispetto al
gruppo con diagnosi di autismo, evidenziando quindi un quadro sintomatologico più lieve. A distanza di un anno
entrambi i gruppi presentano un miglioramento del quadro sintomatologico, più evidente nel gruppo di pazienti con DPSNAS (p<0.01). Secondo quanto codificato dalla diagnosi ADOS nel gruppo di pazienti con autismo, non sono stati
rilevati cambiamenti di categoria diagnostica; al contrario nel gruppo di pazienti con DPS-NAS 7 pazienti su 15 (46%) ha
perso la diagnosi ADOS di disturbo dello spettro autistico a distanza di un anno. Sono state inoltre analizzate alcune
caratteristiche cliniche pre-esistenti all’interno del campione di pazienti DPS-NAS (livello di linguaggio espressivo,
livello di linguaggio recettivo e capacità imitative) per verificarne la predittività sull’outcome. Il linguaggio espressivo e
recettivo sono risultati fattori predittivi positivi. I risultati del presente studio mettono in evidenza in maniera significativa
la presenza di un’evoluzione clinica migliore del gruppo di pazienti con diagnosi di DPS NAS rispetto ai pazienti con
diagnosi di Autismo, sia in termini di profili di sviluppo che di gravità sintomatologica. Le ragioni di tale tendenza
evolutiva sono attualmente oggetto di studio. In definitiva, un’adeguata caratterizzazione del sottotipo DPS-NAS
potrebbe permettere l’identificazione precoce di un sottogruppo di pazienti con caratteristiche cliniche, decorso e
prognosi differenti, che implicano di conseguenza una maggiore attenzione alle possibili evoluzioni diagnostiche
attraverso un attento follow up, al fine di individuare precocemente un’eventuale modificazione del profilo
sintomatologico e poter impostare un corretto programma terapeutico individualizzato sulle caratteristiche di ogni singolo
paziente.
Background scientifico: Sebbene i disturbi dello spettro autistico siano considerati una delle patologie neuropsichiatriche
con la maggior stabilità diagnostica, un’analisi più specifica delle classi diagnostiche incluse sotto il termine di disturbi
dello spettro autistico ha permesso di evidenziare come tale stabilità diagnostica differisca notevolmente a seconda della
categoria di appartenenza, mostrando una maggiore ricorrenza per la diagnosi di Autismo rispetto a quella di Disturbo
Pervasivo Non Altrimenti Specificato (DPS-NAS).
Scopo: L’obiettivo primario del presente studio è quello di verificare l’evoluzione clinica e la stabilità diagnostica in un
gruppo di pazienti con disturbo dello spettro autistico differenziati per categoria diagnostica (DPS-NAS verso autistici)
tramite la valutazione prospettica effettuata a distanza di un anno con misure standardizzate. Un secondo obiettivo del
presente studio risulta essere quello di individuare possibili fattori predittivi di un outcome migliore nei due gruppi di
pazienti.
Metodologia e soggetti: Per la realizzazione dello studio, sono stati arruolati due gruppi di pazienti, seguiti in maniera
prospettica per un anno. Sono stati arruolati 14 bambini con diagnosi di Autismo, di cui 10 maschi e 4 femmine; e 15
bambini con diagnosi di DPS-NAS , di cui 14 di sesso maschile e 1 di sesso femminile. La valutazione clinica è stata
effettuata mediante somministrazione della scala PEP-3, l’intervista Vineland e il Calibrated Severity Score elaborato a
partire dagli score del test sintomatologico ADOS (modulo 1 o 2 a seconda del livello di linguaggio espressivo).
Risultati e discussione: I pazienti con DPS-NAS mostravano al tempo 1 un QS medio (0,67) più alto dei bambini con
diagnosi di autismo (media 0,42). A distanza di un anno entrambi i gruppi presentano un miglioramento del QS, che
tuttavia risulta essere statisticamente significativo (p<0.01) esclusivamente nel gruppo di pazienti con diagnosi iniziale di
DPS-NAS. I pazienti con diagnosi di DPS-NAS presentano un Calibrated Severity Score al tempo 1 inferiore rispetto al
gruppo con diagnosi di autismo, evidenziando quindi un quadro sintomatologico più lieve. A distanza di un anno
entrambi i gruppi presentano un miglioramento del quadro sintomatologico, più evidente nel gruppo di pazienti con DPSNAS (p<0.01). Secondo quanto codificato dalla diagnosi ADOS nel gruppo di pazienti con autismo, non sono stati
rilevati cambiamenti di categoria diagnostica; al contrario nel gruppo di pazienti con DPS-NAS 7 pazienti su 15 (46%) ha
perso la diagnosi ADOS di disturbo dello spettro autistico a distanza di un anno. Sono state inoltre analizzate alcune
caratteristiche cliniche pre-esistenti all’interno del campione di pazienti DPS-NAS (livello di linguaggio espressivo,
livello di linguaggio recettivo e capacità imitative) per verificarne la predittività sull’outcome. Il linguaggio espressivo e
recettivo sono risultati fattori predittivi positivi. I risultati del presente studio mettono in evidenza in maniera significativa
la presenza di un’evoluzione clinica migliore del gruppo di pazienti con diagnosi di DPS NAS rispetto ai pazienti con
diagnosi di Autismo, sia in termini di profili di sviluppo che di gravità sintomatologica. Le ragioni di tale tendenza
evolutiva sono attualmente oggetto di studio. In definitiva, un’adeguata caratterizzazione del sottotipo DPS-NAS
potrebbe permettere l’identificazione precoce di un sottogruppo di pazienti con caratteristiche cliniche, decorso e
prognosi differenti, che implicano di conseguenza una maggiore attenzione alle possibili evoluzioni diagnostiche
attraverso un attento follow up, al fine di individuare precocemente un’eventuale modificazione del profilo
sintomatologico e poter impostare un corretto programma terapeutico individualizzato sulle caratteristiche di ogni singolo
paziente.
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TRATTAMENTO FARMACOLOGICO ADHD: GESTIONE DEGLI EVENTI AVVERSI
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO ADHD: GESTIONE DEGLI EVENTI AVVERSI
Margari L., Ventura P., Gadaleta D., Fanizza I., Matera E., Presicci A., Rutigliano F.
Università degli Studi di Bari U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
Margari L., Ventura P., Gadaleta D., Fanizza I., Matera E., Presicci A., Rutigliano F.
Università degli Studi di Bari U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
Introduzione. Il trattamento farmacologico autorizzato in Italia per il disturbo da deficit di attenzione con iperattività per
soggetti di età compresa tra 6 e 18 anni prevede l’utilizzo di Metilfenidato Cloridrato (Ritalin) e dell’Atomoxetina
(Strattera). Pur in presenza di una vasta letteratura circa l’utilizzo di tali farmaci, i dati circa la tollerabilità e la sicurezza
nell’utilizzo di tali farmaci è a tutt’oggi oggetto di dibattito scientifico.
Soggetti e Metodi. Sono stati analizzati i dati di pazienti afferiti c/o l’U.O.C. di NPI del Policlinico Bari da luglio 2007 a
Febbraio 2011, dimessi con diagnosi di ADHD, trattati con terapia farmacologica e pertanto arruolati nel Registro
Nazionale. Su un totale di 62 pazienti (3 femmine, 59 maschi), 37 hanno assunto esclusivamente atomoxetina, 14
esclusivamente metilfenidato, 9 hanno assunto inizialmente metilfenidato e successivamente atomoxetina, 2 hanno
assunto inizialmente atomoxetina, poi metilfenidato, poi nuovamente atomoxetina.
Risultati. Dei 48 pazienti trattati con atomoxetina, 28 (58.3%) hanno presentato almeno 1 evento avverso di qualsiasi
gravità; dei 25 pazienti trattati con metilfenidato, 12 (48%) hanno presentato almeno 1 evento avverso di qualsiasi gravità.
Nella maggior parte dei casi si è trattato di aventi attesi, non gravi e facilmente gestibili. L’evento avverso più comune
con entrambi i farmaci è stato l’inappetenza.
Su un totale di 62 pazienti trattati, 9 (14.5%) hanno presentato eventi avversi tali da richiedere segnalazione al sistema di
farmacovigilanza, di cui 7 (11.2%) hanno sospeso il trattamento. Tali eventi sono stati comunque di gravità lievemoderata e facilmente gestibili (in regime ambulatoriale/Day Hospital; solo 1 caso ha necessitato di ricovero in relazione
a comparsa di reazione orticariode comunque non grave e reversibile). Tutti gli eventi sono risultati completamente
reversibili alla sospensione del farmaco.
Conclusioni. Dai dati relativi alla nostra esperienza si conferma il buon profilo di sicurezza dei farmaci autorizzati in
Italia per il trattamento dell’ ADHD. L’esperienza clinica nel corso di questi 3 anni di trattamento farmacologico
dell’ADHD, supportatata dalle evidenze scientifiche nazionali ed internazionali, ha permesso una rivalutazione critica e,
pertanto, una ottimizzazione delle nostre modalità operative nell’utilizzo dei farmaci. In relazione all’importante rischio
evolutivo psicopatologico dei pazienti ADHD non trattati adeguatemente, la ‘paura’ degli eventi avversi non deve
paralizzare le condotte terapeutiche; deve altresÏ trasformarsi in ‘conoscenza’ degli eventi e ‘gestione sicura’ degli stessi.
I requisiti per ottenere questo passaggio sono il supporto scientifico, il confronto culturale e l’esperienza clinica
personale.
Introduzione. Il trattamento farmacologico autorizzato in Italia per il disturbo da deficit di attenzione con iperattività per
soggetti di età compresa tra 6 e 18 anni prevede l’utilizzo di Metilfenidato Cloridrato (Ritalin) e dell’Atomoxetina
(Strattera). Pur in presenza di una vasta letteratura circa l’utilizzo di tali farmaci, i dati circa la tollerabilità e la sicurezza
nell’utilizzo di tali farmaci è a tutt’oggi oggetto di dibattito scientifico.
Soggetti e Metodi. Sono stati analizzati i dati di pazienti afferiti c/o l’U.O.C. di NPI del Policlinico Bari da luglio 2007 a
Febbraio 2011, dimessi con diagnosi di ADHD, trattati con terapia farmacologica e pertanto arruolati nel Registro
Nazionale. Su un totale di 62 pazienti (3 femmine, 59 maschi), 37 hanno assunto esclusivamente atomoxetina, 14
esclusivamente metilfenidato, 9 hanno assunto inizialmente metilfenidato e successivamente atomoxetina, 2 hanno
assunto inizialmente atomoxetina, poi metilfenidato, poi nuovamente atomoxetina.
Risultati. Dei 48 pazienti trattati con atomoxetina, 28 (58.3%) hanno presentato almeno 1 evento avverso di qualsiasi
gravità; dei 25 pazienti trattati con metilfenidato, 12 (48%) hanno presentato almeno 1 evento avverso di qualsiasi gravità.
Nella maggior parte dei casi si è trattato di aventi attesi, non gravi e facilmente gestibili. L’evento avverso più comune
con entrambi i farmaci è stato l’inappetenza.
Su un totale di 62 pazienti trattati, 9 (14.5%) hanno presentato eventi avversi tali da richiedere segnalazione al sistema di
farmacovigilanza, di cui 7 (11.2%) hanno sospeso il trattamento. Tali eventi sono stati comunque di gravità lievemoderata e facilmente gestibili (in regime ambulatoriale/Day Hospital; solo 1 caso ha necessitato di ricovero in relazione
a comparsa di reazione orticariode comunque non grave e reversibile). Tutti gli eventi sono risultati completamente
reversibili alla sospensione del farmaco.
Conclusioni. Dai dati relativi alla nostra esperienza si conferma il buon profilo di sicurezza dei farmaci autorizzati in
Italia per il trattamento dell’ ADHD. L’esperienza clinica nel corso di questi 3 anni di trattamento farmacologico
dell’ADHD, supportatata dalle evidenze scientifiche nazionali ed internazionali, ha permesso una rivalutazione critica e,
pertanto, una ottimizzazione delle nostre modalità operative nell’utilizzo dei farmaci. In relazione all’importante rischio
evolutivo psicopatologico dei pazienti ADHD non trattati adeguatemente, la ‘paura’ degli eventi avversi non deve
paralizzare le condotte terapeutiche; deve altresÏ trasformarsi in ‘conoscenza’ degli eventi e ‘gestione sicura’ degli stessi.
I requisiti per ottenere questo passaggio sono il supporto scientifico, il confronto culturale e l’esperienza clinica
personale.
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PROFILO EVOLUTIVO PSICOPATOLOGICO IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI CON
EOS E VEOS
Margari L., Petruzzelli M.G., De Lucia S., Pisani M., Gioia F., Legrottaglie A. R.,
Buttiglione M., Rutigliano F.
Università degli Studi di Bari U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
PROFILO EVOLUTIVO PSICOPATOLOGICO IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI CON
EOS E VEOS
Margari L., Petruzzelli M.G., De Lucia S., Pisani M., Gioia F., Legrottaglie A. R.,
Buttiglione M., Rutigliano F.
Università degli Studi di Bari U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile
Background: La schizofrenia ad esordio in età infantile e adolescenziale sembra essere caratterizzata da un più severo
decorso clinico, da una maggiore presenza di alterazioni premorbose, da un peggiore funzionamento psicosociale e da più
importanti alterazioni dello sviluppo cerebrale. (1,2)
Scopo: obiettivo dello studio è quello di effettuare una valutazione retrospettiva di markers clinici e neurobiologici
indicativi di alterazione del neurosviluppo, in un campione di pazienti con schizofrenia ad esordio precoce e molto
precoce (EOS e VEOS).
Metodologie e soggetti: sono stati arruolati 30 pazienti di entrambi i sessi, con diagnosi di EOS e VEOS,
consecutivamente ricoverati c/o l’U.O. di Neuropsichiatria Infantile dell’ Università degli Studi di Bari, in un periodo di
tempo di quattro anni. I pazienti sono stati sottoposti ad assessment clinico-strumentale, K-SADS, CBCL, WISC-III, DS
modificata, PAS modificata.
Risultati: il campione è composto per il 60% da maschi e per il 40% da femmine, per il 63% da VEOS e per il 37% EOS;
l’età media al momento dell’osservazione è di 13 anni. Il 75% dei pazienti mostra compromissione nell’acquisizione delle
fasi precoci dello sviluppo psicomotorio, che interessa con maggiore frequenza lo sviluppo di competenze relazionali
precoci (39,3%) e gli apprendimenti precoci (39,3%). Il 55,2% dei pazienti mostra una compromissione del QI. Il 90%
dei pazienti riferisce un esordio graduale, con sintomatologia premorbosa caratterizzata da sintomi ansioso-depressivi
(53,3%), sintomi somatici (50%), problematiche comportamentali (50%), isolamento (66,7%), sintomi psicotici
sottosoglia (56,7%). L’adattamento sociale premorboso corrisponde ad un valore medio alla PAS di 0,48. L’esordio
psicotico conclamato è caratterizzato nel 76,7% dei casi da sintomi negativi, nel 56,7% da deliri, nel 44,8% da
comportamento disorganizzato, nel 36,7% da allucinazioni, nel 36,7 % da eloquio disorganizzato.
Discussioni: i dati presentati nello studio mostrano che i sintomi negativi rappresentano il nucleo psicopatologico che
caratterizza maggiormente l’espressività clinica delle forme di EOS e VEOS. In linea con questo dato l’intero percorso
evolutivo di tali pazienti risulta compromesso proprio nello sviluppo delle competenze relazionali, delle abilità sociali,
delle performance cognitive, con un profilo di funzionamento globale che appare deficitario già prima dell’esordio
psicotico conclamato e che verosimilmente rende ragione del peggiore outcome.
Background: La schizofrenia ad esordio in età infantile e adolescenziale sembra essere caratterizzata da un più severo
decorso clinico, da una maggiore presenza di alterazioni premorbose, da un peggiore funzionamento psicosociale e da più
importanti alterazioni dello sviluppo cerebrale. (1,2)
Scopo: obiettivo dello studio è quello di effettuare una valutazione retrospettiva di markers clinici e neurobiologici
indicativi di alterazione del neurosviluppo, in un campione di pazienti con schizofrenia ad esordio precoce e molto
precoce (EOS e VEOS).
Metodologie e soggetti: sono stati arruolati 30 pazienti di entrambi i sessi, con diagnosi di EOS e VEOS,
consecutivamente ricoverati c/o l’U.O. di Neuropsichiatria Infantile dell’ Università degli Studi di Bari, in un periodo di
tempo di quattro anni. I pazienti sono stati sottoposti ad assessment clinico-strumentale, K-SADS, CBCL, WISC-III, DS
modificata, PAS modificata.
Risultati: il campione è composto per il 60% da maschi e per il 40% da femmine, per il 63% da VEOS e per il 37% EOS;
l’età media al momento dell’osservazione è di 13 anni. Il 75% dei pazienti mostra compromissione nell’acquisizione delle
fasi precoci dello sviluppo psicomotorio, che interessa con maggiore frequenza lo sviluppo di competenze relazionali
precoci (39,3%) e gli apprendimenti precoci (39,3%). Il 55,2% dei pazienti mostra una compromissione del QI. Il 90%
dei pazienti riferisce un esordio graduale, con sintomatologia premorbosa caratterizzata da sintomi ansioso-depressivi
(53,3%), sintomi somatici (50%), problematiche comportamentali (50%), isolamento (66,7%), sintomi psicotici
sottosoglia (56,7%). L’adattamento sociale premorboso corrisponde ad un valore medio alla PAS di 0,48. L’esordio
psicotico conclamato è caratterizzato nel 76,7% dei casi da sintomi negativi, nel 56,7% da deliri, nel 44,8% da
comportamento disorganizzato, nel 36,7% da allucinazioni, nel 36,7 % da eloquio disorganizzato.
Discussioni: i dati presentati nello studio mostrano che i sintomi negativi rappresentano il nucleo psicopatologico che
caratterizza maggiormente l’espressività clinica delle forme di EOS e VEOS. In linea con questo dato l’intero percorso
evolutivo di tali pazienti risulta compromesso proprio nello sviluppo delle competenze relazionali, delle abilità sociali,
delle performance cognitive, con un profilo di funzionamento globale che appare deficitario già prima dell’esordio
psicotico conclamato e che verosimilmente rende ragione del peggiore outcome.
1.
Vourdas A, Pipe R, Corrigall R, Frangou S: ‘Increased developmental deviance and premorbid dysfunction in early
onset schizophrenia’. Schizophr Res. 2003, 62:13-22.
2.
Vyas N.S, Patel N. H, Puri B. K.: ‘Neurobiology and phenotypic expression in early onset schizophrenia’. Early
Intervention in Psychiatry. 2011, 5:3-14.
1.
Vourdas A, Pipe R, Corrigall R, Frangou S: ‘Increased developmental deviance and premorbid dysfunction in early
onset schizophrenia’. Schizophr Res. 2003, 62:13-22.
2.
Vyas N.S, Patel N. H, Puri B. K.: ‘Neurobiology and phenotypic expression in early onset schizophrenia’. Early
Intervention in Psychiatry. 2011, 5:3-14.
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RISPOSTA AGLI OMEGA3-OMEGA6 IN SOGGETTI IN ETA’ PRESCOLARE CON
DISTURBO IPERCINETICO DELLA CONDOTTA
Marino M., Polizzi M. , Borriello G., Leone G., Riccio M.P., Bravaccio C.*
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatria e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
RISPOSTA AGLI OMEGA3-OMEGA6 IN SOGGETTI IN ETA’ PRESCOLARE CON
DISTURBO IPERCINETICO DELLA CONDOTTA
Marino M., Polizzi M. , Borriello G., Leone G., Riccio M.P., Bravaccio C.*
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatria e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
Background scientifico: acidi grassi a lunga catena tipo omega-3 svolgono un ruolo importante nel sistema nervoso
centrale, essendo essenziali per un adeguato funzionamento cerebrale, in particolare per quanto concerne la capacità del
mantenimento di attenzione e altre competenze neuropsicologiche.
Scopo: valutare la risposta clinica di pazienti affetti da Disturbo Ipercinetico della Condotta in età prescolare a seguito di
trattamento con integratori Omega3-Omega6.
Metodologie e soggetti: 5 pazienti, di età compresa tra 3 anni e 4 anni e 6 mesi, seguiti periodicamente presso la nostra
struttura dato un quadro clinico caratterizzato da Disturbo Ipercinetico della Condotta, diagnosi posta mediante
l’applicazione delle linee guida della SINPIA. Alla somministrazione dei questionari diagnostici a tempo zero si
evidenziavano in media i seguenti risultati: CPR-S 42.6; CTR-S 52.4 ; ADHD-RS 51.11. Al controllo clinico a distanza di
dodici mesi dall’inizio di un intervento psicoeducativo (psicoterapia individuale ad indirizzo cognitivo-comportamentale
e parent training) non evidenza di miglioramento significativo della sintomatologia clinica. Si è proceduto pertanto alla
prescrizione di integratori Omega3-Omega6 in dosaggio di 15 ml suddivisi in tre somministrazioni al giorno per un
periodo di tre mesi.
Il decorso clinico è stato monitorato mediante somministrazione delle scale CPR-S, CTR-S, ADHD-RS, prima (T1) e
dopo (T2) terapia con Omega3-Omega6
Risultati e discussioni: i valori ottenuti alla somministrazione delle scale mostrano un miglioramento del quadro clinico di
circa il 30% a tre mesi dall’ introduzione di terapia con Omega3-Omega6 in 3 casi su 5, come indicato dalle medie dei
total-score di seguito riportati confrontati con i risultati della somministrazione delle scale a T1: CPR-S (T2 34.3 vs T1
40.4) ; CTR-S (T2 32.4 vs T1 50.4) ; ADHD-RS (T2 23.15 vs T1 50.3). Nei restanti due casi non si evidenziavano
variazioni significative rispetto ai punteggi ottenuti alle scale tra prima e dopo il trattamento. In tutti i casi il
funzionamento sociale dei bambini è apparso notevolmente migliorato, l’integrazione nel gruppo dei pari che prima
risultava difficoltosa attualmente appare adeguata per l’età.
L’associazione di trattamento psicoeducativo ed Omega3-Omega6, pertanto, ha fatto riscontrare un miglioramento della
sintomatologia clinica in soggetti con Disturbo Ipercinetico della Condotta in età prescolare, con particolare riferimento
alle competenze sociali ed adattive.
Background scientifico: acidi grassi a lunga catena tipo omega-3 svolgono un ruolo importante nel sistema nervoso
centrale, essendo essenziali per un adeguato funzionamento cerebrale, in particolare per quanto concerne la capacità del
mantenimento di attenzione e altre competenze neuropsicologiche.
Scopo: valutare la risposta clinica di pazienti affetti da Disturbo Ipercinetico della Condotta in età prescolare a seguito di
trattamento con integratori Omega3-Omega6.
Metodologie e soggetti: 5 pazienti, di età compresa tra 3 anni e 4 anni e 6 mesi, seguiti periodicamente presso la nostra
struttura dato un quadro clinico caratterizzato da Disturbo Ipercinetico della Condotta, diagnosi posta mediante
l’applicazione delle linee guida della SINPIA. Alla somministrazione dei questionari diagnostici a tempo zero si
evidenziavano in media i seguenti risultati: CPR-S 42.6; CTR-S 52.4 ; ADHD-RS 51.11. Al controllo clinico a distanza di
dodici mesi dall’inizio di un intervento psicoeducativo (psicoterapia individuale ad indirizzo cognitivo-comportamentale
e parent training) non evidenza di miglioramento significativo della sintomatologia clinica. Si è proceduto pertanto alla
prescrizione di integratori Omega3-Omega6 in dosaggio di 15 ml suddivisi in tre somministrazioni al giorno per un
periodo di tre mesi.
Il decorso clinico è stato monitorato mediante somministrazione delle scale CPR-S, CTR-S, ADHD-RS, prima (T1) e
dopo (T2) terapia con Omega3-Omega6
Risultati e discussioni: i valori ottenuti alla somministrazione delle scale mostrano un miglioramento del quadro clinico di
circa il 30% a tre mesi dall’ introduzione di terapia con Omega3-Omega6 in 3 casi su 5, come indicato dalle medie dei
total-score di seguito riportati confrontati con i risultati della somministrazione delle scale a T1: CPR-S (T2 34.3 vs T1
40.4) ; CTR-S (T2 32.4 vs T1 50.4) ; ADHD-RS (T2 23.15 vs T1 50.3). Nei restanti due casi non si evidenziavano
variazioni significative rispetto ai punteggi ottenuti alle scale tra prima e dopo il trattamento. In tutti i casi il
funzionamento sociale dei bambini è apparso notevolmente migliorato, l’integrazione nel gruppo dei pari che prima
risultava difficoltosa attualmente appare adeguata per l’età.
L’associazione di trattamento psicoeducativo ed Omega3-Omega6, pertanto, ha fatto riscontrare un miglioramento della
sintomatologia clinica in soggetti con Disturbo Ipercinetico della Condotta in età prescolare, con particolare riferimento
alle competenze sociali ed adattive.
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USO DI SOSTANZE E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA: IL MODELLO DI
TRATTAMENTO IN SITUAZIONI DI CRISI
Monti M., Costa S., Martelli M.
UO Psichiatria Psicoterapia dell’Età Evolutiva – Area NPIA, DSM-DP Ausl di Bologna
USO DI SOSTANZE E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA: IL MODELLO DI
TRATTAMENTO IN SITUAZIONI DI CRISI
Monti M., Costa S., Martelli M.
UO Psichiatria Psicoterapia dell’Età Evolutiva – Area NPIA, DSM-DP Ausl di Bologna
BACKGROUND SCIENTIFICO L’uso di sostanze in adolescenza in Italia, come in molti altri Paesi, è ormai ritenuto un
fenomeno tanto diffuso da essere considerato, soprattutto fra i ragazzi, ‘normale’.
Secondo Jeammet (1992) le condotte dipendenti, come tutte le condotte agite, riflettono l’instabilità dell’organizzazione
psichica soggiacente. Fra i fattori di rischio gli studi di letteratura segnalano l’importanza dell’aspetto evolutivo, ad
esempio la sensazione, comune in adolescenza, di ritenersi invulnerabili, ricercare l’autonomia ed essere influenzati dai
coetanei; è stata dimostrata inoltre una elevata presenza di abuso e maltrattamento nelle storie anamnestiche di
adolescenti con abuso di sostanze inalanti, una elevata frequenza dell’uso di sostanze nei giovani detenuti e l’associazione
con un basso rendimento scolastico.
I dati relativi alle modalità di trattamento per i minori con uso di sostanze sono scarsi e forniscono indicazioni piuttosto
generali.
SCOPO Obiettivo di questo studio è analizzare gli aspetti patogenetici e i fattori di rischio dell’intreccio fra
psicopatologia ed uso di sostanze in adolescenza per ricavare delle indicazioni per un trattamento efficace.
METODOLOGIE E SOGGETTI Il Day Hospital di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva è l’unica struttura sul
territorio della città e della provincia di Bologna, tranne il comune di Imola, deputata ad accogliere i casi urgenti di
psichiatria in età evolutiva. Nel nostro modello di trattamento sono utilizzati diversi tipi di intervento: colloqui
psicoterapici con il ragazzo, con i genitori o con l’intero nucleo familiare; interventi farmacologici, educativi e sociali,
realizzando così un intervento integrato. Grande importanza va allo spazio educativo, concepito come luogo accogliente,
informale, non giudicante, di sostegno e non prescrittivo.
Abbiamo voluto analizzare la casistica dei ragazzi afferiti al Day Hospital nel corso del 2010, confrontando quelli che
usano sostanze rispetto alla casistica generale, in relazione a diverse variabili come l’accesso, la sintomatologia clinica ed
alcuni elementi anamnestici.
RISULTATI E DISCUSSIONE Su un totale di 210 pazienti, 27, pari al 12,7% presentano un uso di sostanze non
occasionale (negli anni 2003-2004, la percentuale era del 6%). L’età media è di 16,4 anni. Dal confronto delle variabili
emerge una concordanza assoluta di tutti gli indici, che mostrano una maggiore gravità dei pazienti che usano sostanze
rispetto a quelli della casistica generale. Nonostante questo, è interessante notare come la valutazione del funzionamento
sociale, attuata mediante scala CGAS, non solo non mostri una maggiore compromissione nei ragazzi che usano sostanze,
ma addirittura sembri indicare in loro un migliore esito.
Dall’analisi dei dati di casistica emerge quindi come nei giovani pazienti che usano sostanze, vi sia una stretta
interconnessione fra elementi psicopatologici individuali e fattori di rischio socio-ambientali, attestata in letteratura.
L’apparente incongruenza della elevata percentuale di esito positivo, nonostante la gravità clinica, può essere motivata dal
fatto che molti dei quadri dei pazienti con uso di sostanze si presentano in fase acuta, cioè in situazione di crisi: è
possibile che una corretta impostazione di trattamento, che sappia cogliere e valorizzare gli aspetti comunicativi e positivi
insiti nella crisi, porti ad un tasso elevato di ripresa del normale percorso evolutivo. La nostra esperienza mostra come il
lavoro terapeutico risulti particolarmente efficace quando interviene in modo focale su due fattori: creazione di una
relazione di fiducia e graduale ricostruzione di un percorso evolutivo e di autonomizzazione.
BACKGROUND SCIENTIFICO L’uso di sostanze in adolescenza in Italia, come in molti altri Paesi, è ormai ritenuto un
fenomeno tanto diffuso da essere considerato, soprattutto fra i ragazzi, ‘normale’.
Secondo Jeammet (1992) le condotte dipendenti, come tutte le condotte agite, riflettono l’instabilità dell’organizzazione
psichica soggiacente. Fra i fattori di rischio gli studi di letteratura segnalano l’importanza dell’aspetto evolutivo, ad
esempio la sensazione, comune in adolescenza, di ritenersi invulnerabili, ricercare l’autonomia ed essere influenzati dai
coetanei; è stata dimostrata inoltre una elevata presenza di abuso e maltrattamento nelle storie anamnestiche di
adolescenti con abuso di sostanze inalanti, una elevata frequenza dell’uso di sostanze nei giovani detenuti e l’associazione
con un basso rendimento scolastico.
I dati relativi alle modalità di trattamento per i minori con uso di sostanze sono scarsi e forniscono indicazioni piuttosto
generali.
SCOPO Obiettivo di questo studio è analizzare gli aspetti patogenetici e i fattori di rischio dell’intreccio fra
psicopatologia ed uso di sostanze in adolescenza per ricavare delle indicazioni per un trattamento efficace.
METODOLOGIE E SOGGETTI Il Day Hospital di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva è l’unica struttura sul
territorio della città e della provincia di Bologna, tranne il comune di Imola, deputata ad accogliere i casi urgenti di
psichiatria in età evolutiva. Nel nostro modello di trattamento sono utilizzati diversi tipi di intervento: colloqui
psicoterapici con il ragazzo, con i genitori o con l’intero nucleo familiare; interventi farmacologici, educativi e sociali,
realizzando così un intervento integrato. Grande importanza va allo spazio educativo, concepito come luogo accogliente,
informale, non giudicante, di sostegno e non prescrittivo.
Abbiamo voluto analizzare la casistica dei ragazzi afferiti al Day Hospital nel corso del 2010, confrontando quelli che
usano sostanze rispetto alla casistica generale, in relazione a diverse variabili come l’accesso, la sintomatologia clinica ed
alcuni elementi anamnestici.
RISULTATI E DISCUSSIONE Su un totale di 210 pazienti, 27, pari al 12,7% presentano un uso di sostanze non
occasionale (negli anni 2003-2004, la percentuale era del 6%). L’età media è di 16,4 anni. Dal confronto delle variabili
emerge una concordanza assoluta di tutti gli indici, che mostrano una maggiore gravità dei pazienti che usano sostanze
rispetto a quelli della casistica generale. Nonostante questo, è interessante notare come la valutazione del funzionamento
sociale, attuata mediante scala CGAS, non solo non mostri una maggiore compromissione nei ragazzi che usano sostanze,
ma addirittura sembri indicare in loro un migliore esito.
Dall’analisi dei dati di casistica emerge quindi come nei giovani pazienti che usano sostanze, vi sia una stretta
interconnessione fra elementi psicopatologici individuali e fattori di rischio socio-ambientali, attestata in letteratura.
L’apparente incongruenza della elevata percentuale di esito positivo, nonostante la gravità clinica, può essere motivata dal
fatto che molti dei quadri dei pazienti con uso di sostanze si presentano in fase acuta, cioè in situazione di crisi: è
possibile che una corretta impostazione di trattamento, che sappia cogliere e valorizzare gli aspetti comunicativi e positivi
insiti nella crisi, porti ad un tasso elevato di ripresa del normale percorso evolutivo. La nostra esperienza mostra come il
lavoro terapeutico risulti particolarmente efficace quando interviene in modo focale su due fattori: creazione di una
relazione di fiducia e graduale ricostruzione di un percorso evolutivo e di autonomizzazione.
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PROCESSAZIONE SENSORIALE NEL DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO
Narzisi A., Calderoni S., D’Angelo R., Conti E., Apicella F., Igliozzi R., Cosenza A.,
Tancredi R., Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
PROCESSAZIONE SENSORIALE NEL DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO
Narzisi A., Calderoni S., D’Angelo R., Conti E., Apicella F., Igliozzi R., Cosenza A.,
Tancredi R., Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Rassegne della letteratura clinica ed autobiografica indicano che la disfunzione nella processazione sensoriale
nell’autismo sia globale e colpisca le principali modalità dei sistemi di processazione.
L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di utilizzare il questionario Sensory Profile (Dunn 1999) per studiare i profili
sensoriali di un campione di bambini prescolari costituito da 40 bambini con diagnosi di disturbo pervasivo dello
sviluppo a confronto con un campione di 38 bambini a sviluppo tipico. Sono state inoltre valutate le correlazioni tra
Fattori e Sezioni del Sensory Profile e i punteggi delle diverse aree della scala ADOS.
Il Sensory Profile 3-10 anni è uno strumento di indagine rivolto ai genitori composto da 125 item raggruppati in 14
Sezioni che a loro volta vanno a costituire tre costrutti: 1) Processazione Sensoriale; 2) Modulazione; 3) Comportamento
e Risposte Emotive.
Dalle analisi statistiche effettuate è emerso che i bambini con DPS mostrano un globale profilo sensoriale diverso da
quello dei bambini con sviluppo tipico con valori sempre spostati verso un funzionamento atipico. Le sezioni
‘Processazione Uditiva’ ‘Processazione Tattile’ e ‘Processazione Multisensoriale’sono risultate maggiormente coinvolte
nella differenziazione dei due campioni. Per quanto riguarda i Fattori, invece,differenze significative sono presenti in:
‘Reattività Emotiva'; 'Disattenzione/Distraibilità' e 'Sensibilità Fine-Motoria'.
Esistono correlazioni significative positive tra l’algoritmo dell’ ADOS-G e alcune Sezioni e Fattori del Sensory Profile. In
particolare il fattore ‘Sensibilità Sensoriale’ è l’unico che, seppure non differenzi in modo significativo i DPS vs ST,
correla con tutte e tre le aree dell’algoritmo dell’ADOS. Non sono state rilevate invece correlazioni con le aree 'Gioco' e
'Comportamenti stereotipati ed interessi ripetitivi.
I risultati dello studio confermano la presenza di anomalie sensoriali nei bambini con autismo. Possiamo quindi affermare
che il questionario Sensory Profile è uno strumento valido per studiare i profili sensoriali perchè ci fornisce una
valutazione globale delle diverse aree di processamento sensoriale e delle risposte comportamentali conseguenti a queste.
Rassegne della letteratura clinica ed autobiografica indicano che la disfunzione nella processazione sensoriale
nell’autismo sia globale e colpisca le principali modalità dei sistemi di processazione.
L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di utilizzare il questionario Sensory Profile (Dunn 1999) per studiare i profili
sensoriali di un campione di bambini prescolari costituito da 40 bambini con diagnosi di disturbo pervasivo dello
sviluppo a confronto con un campione di 38 bambini a sviluppo tipico. Sono state inoltre valutate le correlazioni tra
Fattori e Sezioni del Sensory Profile e i punteggi delle diverse aree della scala ADOS.
Il Sensory Profile 3-10 anni è uno strumento di indagine rivolto ai genitori composto da 125 item raggruppati in 14
Sezioni che a loro volta vanno a costituire tre costrutti: 1) Processazione Sensoriale; 2) Modulazione; 3) Comportamento
e Risposte Emotive.
Dalle analisi statistiche effettuate è emerso che i bambini con DPS mostrano un globale profilo sensoriale diverso da
quello dei bambini con sviluppo tipico con valori sempre spostati verso un funzionamento atipico. Le sezioni
‘Processazione Uditiva’ ‘Processazione Tattile’ e ‘Processazione Multisensoriale’sono risultate maggiormente coinvolte
nella differenziazione dei due campioni. Per quanto riguarda i Fattori, invece,differenze significative sono presenti in:
‘Reattività Emotiva'; 'Disattenzione/Distraibilità' e 'Sensibilità Fine-Motoria'.
Esistono correlazioni significative positive tra l’algoritmo dell’ ADOS-G e alcune Sezioni e Fattori del Sensory Profile. In
particolare il fattore ‘Sensibilità Sensoriale’ è l’unico che, seppure non differenzi in modo significativo i DPS vs ST,
correla con tutte e tre le aree dell’algoritmo dell’ADOS. Non sono state rilevate invece correlazioni con le aree 'Gioco' e
'Comportamenti stereotipati ed interessi ripetitivi.
I risultati dello studio confermano la presenza di anomalie sensoriali nei bambini con autismo. Possiamo quindi affermare
che il questionario Sensory Profile è uno strumento valido per studiare i profili sensoriali perchè ci fornisce una
valutazione globale delle diverse aree di processamento sensoriale e delle risposte comportamentali conseguenti a queste.
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RISPERIDONE IN BAMBINI CON DISTURBO AUTISTICO: EFFICACIA E
TOLLERABILITA’
Nori M., Angelilli A. M., Santamaria Palombo A., Leuzzi V.
Dipartimento di Scienze Neurologiche Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva, Università
La Sapienza, Roma
RISPERIDONE IN BAMBINI CON DISTURBO AUTISTICO: EFFICACIA E
TOLLERABILITA’
Nori M., Angelilli A. M., Santamaria Palombo A., Leuzzi V.
Dipartimento di Scienze Neurologiche Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva, Università
La Sapienza, Roma
Background scientifico: Il Risperidone, il neurolettico atipico più studiato nell’autismo, è risultato avere maggiore
efficacia sui comportamenti disadattivi.
Scopo: Verificare l’efficacia del trattamento con Risperidone sui sintomi comportamentali in soggetti di età pediatrica
affetti da Disturbo Autistico (DA) ; valutare se e come l’effetto influenzi anche i sintomi ‘core’ del DA.
Metodologie e soggetti : Nel nostro studio abbiamo seguito e monitorato 17 soggetti di età compresa tra i 5 e i 15 anni
con diagnosi di DA associato a sintomi comportamentali (stereotipie, aggressività, tantrums, autolesionismo, irritabilità).
I soggetti sono stati suddivisi in base al livello intellettivo ed è stata valutata per un periodo di 6 mesi l’efficacia del
Risperidone (range di posologia 0.5-2.5 mg/die) tramite l’utilizzo della Clinical Global Impression - Improvement (CGII).
Risultati e discussioni: Dai dati analizzati è emerso un miglioramento della sintomatologia in 15 pazienti. 7 di loro hanno
presentato i seguenti effetti avversi: sonnolenza, aumento ponderale, enuresi, diarrea, iperpiressia. In 4 soggetti è stato
rilevato un miglioramento dei sintomi ‘core’ della comunicazione e della interazione sociale. La risposta farmacologica
non sembra essere associata
al livello intellettivo. Rispetto alla CGI-I abbiamo ottenuto punteggi corrispondenti a
risposte comprese fra l’assenza di effetto (2 pazienti) e una buona risposta (10 pazienti) . Nessuno ha avuto una
risoluzione completa dei sintomi comportamentali. Un ulteriore dato rilevato è stato un miglioramento dei tempi di
attenzione in 9 soggetti che hanno risposto positivamente al trattamento farmacologico.I dati confermano l’efficacia del
Risperidone nel ridurre i sintomi comportamentali disadattivi ma anche la scarsa influenza del farmaco sui sintomi ‘core’.
Non è stato rilevato un fattore clinico predittivo della risposta farmacologica. Gli effetti indesiderati sono stati di lieve
entità dimostrando una buona tollerabilità del farmaco in età pediatrica.
Background scientifico: Il Risperidone, il neurolettico atipico più studiato nell’autismo, è risultato avere maggiore
efficacia sui comportamenti disadattivi.
Scopo: Verificare l’efficacia del trattamento con Risperidone sui sintomi comportamentali in soggetti di età pediatrica
affetti da Disturbo Autistico (DA) ; valutare se e come l’effetto influenzi anche i sintomi ‘core’ del DA.
Metodologie e soggetti : Nel nostro studio abbiamo seguito e monitorato 17 soggetti di età compresa tra i 5 e i 15 anni
con diagnosi di DA associato a sintomi comportamentali (stereotipie, aggressività, tantrums, autolesionismo, irritabilità).
I soggetti sono stati suddivisi in base al livello intellettivo ed è stata valutata per un periodo di 6 mesi l’efficacia del
Risperidone (range di posologia 0.5-2.5 mg/die) tramite l’utilizzo della Clinical Global Impression - Improvement (CGII).
Risultati e discussioni: Dai dati analizzati è emerso un miglioramento della sintomatologia in 15 pazienti. 7 di loro hanno
presentato i seguenti effetti avversi: sonnolenza, aumento ponderale, enuresi, diarrea, iperpiressia. In 4 soggetti è stato
rilevato un miglioramento dei sintomi ‘core’ della comunicazione e della interazione sociale. La risposta farmacologica
non sembra essere associata
al livello intellettivo. Rispetto alla CGI-I abbiamo ottenuto punteggi corrispondenti a
risposte comprese fra l’assenza di effetto (2 pazienti) e una buona risposta (10 pazienti) . Nessuno ha avuto una
risoluzione completa dei sintomi comportamentali. Un ulteriore dato rilevato è stato un miglioramento dei tempi di
attenzione in 9 soggetti che hanno risposto positivamente al trattamento farmacologico.I dati confermano l’efficacia del
Risperidone nel ridurre i sintomi comportamentali disadattivi ma anche la scarsa influenza del farmaco sui sintomi ‘core’.
Non è stato rilevato un fattore clinico predittivo della risposta farmacologica. Gli effetti indesiderati sono stati di lieve
entità dimostrando una buona tollerabilità del farmaco in età pediatrica.
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ASSESMENT PSICODIAGNOSTICO ED OUTCOME NEI PAZIENTI CON SINDROME
DI TOURETTE: UTILIZZO DI CBCL E YSR
Osello E., Davico C., Ruffino C., Bechon E., Anichini A.
Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM – S. Anna
ASSESMENT PSICODIAGNOSTICO ED OUTCOME NEI PAZIENTI CON SINDROME
DI TOURETTE: UTILIZZO DI CBCL E YSR
Osello E., Davico C., Ruffino C., Bechon E., Anichini A.
Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM – S. Anna
BACKGROUND SCIENTIFICO: La Sindrome di Tourette (ST) è una patologia che si situa a cavallo tra Neurologia e
Psichiatria e, soprattutto nell’età evolutiva, ha caratteristiche molto sfumate. E’ un disturbo psichiatrico complesso, di
origine multifattoriale e rappresenta una condizione cronica che, nella maggior parte dei casi, ha un notevole impatto
sulla vita del soggetto; a ciò si aggiunge, peggiorando la situazione, l’elevata frequenza di patologie psichiatriche che si
associano ad essa in comorbidità. La definizione delle comorbidità nella sindrome di Tourette è essenziale per un corretto
inquadramento diagnostico, prognostico e per la programmazione di un adeguato trattamento terapeutico.
SCOPO: Scopo dello studio È stato quello di suddividere il campione in due gruppi, pazienti con Sindrome di Tourette
con ADHD e/o DOC versus pazienti con Sindrome di Tourette senza ADHD e/o DOC e somministrare CBCL e YSR a
T0 (prima visita) e T12 (dopo un anno) al fine di:
- valutare se vi fossero differenze psicopatologiche tra i due sottogruppi in studio;
- valutare l'efficacia delle terapie utilizzate;
- valutare se vi fossero discrepanze tra CBCL ed YSR;
- approfondire l’ambito di utilizzo di CBCL e YSR nella specificità dell’assessment e del follow up dei pazienti con
Tourette.
METODOLOGIA: I soggetti inclusi nello studio sono tutti i pazienti afferiti al Dipartimento di Scienze Pediatriche e
Dell’Adolescenza, Sezione di Neuropsichiatria Infantile, che hanno ricevuto diagnosi di Sindrome di Tourette secondo i
criteri del DSM-IV TR e dal ‘The Tourette Sindrome Classification Study Group’ (TSCSG) e che hanno dato il consenso
per il percorso diagnostico e di follow up previsto dal nostro protocollo di presa in carico.
La diagnosi psicopatologica e l’esplorazione delle comorbidità avviene mediante colloqui e somministrazione di tests. In
particolare in questo lavoro ci siamo concentrati sulle scale CBCL e YSR somministrati nella prima visita (T0) e al
follow-up a un anno (T12).
RISULTATI E DISCUSSIONE: Per quanto la diagnosi della Sindrome di Tourette sia clinica, abbiamo visto che CBCL
e YSR sono strumenti utili ed utilizzabili per la valutazione psicopatologica, per la definizione dei sottogruppi clinici, per
il follow up e per la valutazione della risposta terapeutica. Sono un buon strumento di valutazione che, tuttavia, non può
prescindere dalla clinica e dalla somministrazione di interviste semistrutturate complementari.
Limiti dello studio:
- mancanza di un gruppo di controllo;
- bassa numerosità campionaria;
- discreto numero di T-score normali, in disaccordo col giudizio clinico, spesso per difficoltà, da parte dei genitori del
soggetto affetto e del soggetto stesso, di riconoscere le problematiche associate ai tic.
Studi futuri dovrebbero, pertanto:
- provvedere all’istituzione di un gruppo di controllo;
- estendere la numerosità campionaria;
- prevedere la compilazione della CBCL o di scale simile da parte del clinico.
CONCLUSIONI: dai risultati a T12 emerge una maggior concordanza nelle risposte ottenute alla CBCL e alla YSR con
una maggior consapevolezza delle comorbidità psichiatriche e un miglioramento della clinica.
BACKGROUND SCIENTIFICO: La Sindrome di Tourette (ST) è una patologia che si situa a cavallo tra Neurologia e
Psichiatria e, soprattutto nell’età evolutiva, ha caratteristiche molto sfumate. E’ un disturbo psichiatrico complesso, di
origine multifattoriale e rappresenta una condizione cronica che, nella maggior parte dei casi, ha un notevole impatto
sulla vita del soggetto; a ciò si aggiunge, peggiorando la situazione, l’elevata frequenza di patologie psichiatriche che si
associano ad essa in comorbidità. La definizione delle comorbidità nella sindrome di Tourette è essenziale per un corretto
inquadramento diagnostico, prognostico e per la programmazione di un adeguato trattamento terapeutico.
SCOPO: Scopo dello studio È stato quello di suddividere il campione in due gruppi, pazienti con Sindrome di Tourette
con ADHD e/o DOC versus pazienti con Sindrome di Tourette senza ADHD e/o DOC e somministrare CBCL e YSR a
T0 (prima visita) e T12 (dopo un anno) al fine di:
- valutare se vi fossero differenze psicopatologiche tra i due sottogruppi in studio;
- valutare l'efficacia delle terapie utilizzate;
- valutare se vi fossero discrepanze tra CBCL ed YSR;
- approfondire l’ambito di utilizzo di CBCL e YSR nella specificità dell’assessment e del follow up dei pazienti con
Tourette.
METODOLOGIA: I soggetti inclusi nello studio sono tutti i pazienti afferiti al Dipartimento di Scienze Pediatriche e
Dell’Adolescenza, Sezione di Neuropsichiatria Infantile, che hanno ricevuto diagnosi di Sindrome di Tourette secondo i
criteri del DSM-IV TR e dal ‘The Tourette Sindrome Classification Study Group’ (TSCSG) e che hanno dato il consenso
per il percorso diagnostico e di follow up previsto dal nostro protocollo di presa in carico.
La diagnosi psicopatologica e l’esplorazione delle comorbidità avviene mediante colloqui e somministrazione di tests. In
particolare in questo lavoro ci siamo concentrati sulle scale CBCL e YSR somministrati nella prima visita (T0) e al
follow-up a un anno (T12).
RISULTATI E DISCUSSIONE: Per quanto la diagnosi della Sindrome di Tourette sia clinica, abbiamo visto che CBCL
e YSR sono strumenti utili ed utilizzabili per la valutazione psicopatologica, per la definizione dei sottogruppi clinici, per
il follow up e per la valutazione della risposta terapeutica. Sono un buon strumento di valutazione che, tuttavia, non può
prescindere dalla clinica e dalla somministrazione di interviste semistrutturate complementari.
Limiti dello studio:
- mancanza di un gruppo di controllo;
- bassa numerosità campionaria;
- discreto numero di T-score normali, in disaccordo col giudizio clinico, spesso per difficoltà, da parte dei genitori del
soggetto affetto e del soggetto stesso, di riconoscere le problematiche associate ai tic.
Studi futuri dovrebbero, pertanto:
- provvedere all’istituzione di un gruppo di controllo;
- estendere la numerosità campionaria;
- prevedere la compilazione della CBCL o di scale simile da parte del clinico.
CONCLUSIONI: dai risultati a T12 emerge una maggior concordanza nelle risposte ottenute alla CBCL e alla YSR con
una maggior consapevolezza delle comorbidità psichiatriche e un miglioramento della clinica.
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SINDROME DI TOURETTE, PANDAS IN ETA’ EVOLUTIVA: PROTOCOLLO
SPERIMENTALE PER DIAGNOSI E FOLLOW UP
SINDROME DI TOURETTE, PANDAS IN ETA’ EVOLUTIVA: PROTOCOLLO
SPERIMENTALE PER DIAGNOSI E FOLLOW UP
Osello E., Davico C., Ruffino C., Toscano S., Anichini A.
Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM – S. Anna
Osello E., Davico C., Ruffino C., Toscano S., Anichini A.
Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza
Sezione di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera OIRM – S. Anna
BACKGROUND SCIENTIFICO: La Sindrome di Tourette (ST) e i PANDAS rappresentano categorie nosologiche
caratterizzate da importanti incertezze eziopatogenetiche, sottotipi differenti, frequenti comorbidità e da un andamento
fluttuante della sintomatologia.
SCOPO: sperimentare un percorso diagnostico e di ricerca per la diagnosi e il follow up di pazienti con Sindrome di
Tourette (ST), PANDAS, che consenta di:
-affinare la diagnosi di ST/PANDAS individuando i possibili sottotipi;
-di approfondire la ricerca clinica ed eziopatogenetica mediante la programmazione e definizione dei follow-up a cadenza
prestabilita;
-di impostare e monitorare il percorso terapeutico.
METODOLOGIA: il protocollo consiste in un percorso flessibile, tarato sulle necessità individuali e sulla compliance
delle famiglie, articolato in spazi di accoglienza ambulatoriali e di Day Hospital.
1° step: prima consultazione.
2° step: -diagnosi psicopatologica ed esplorazione delle comorbidità, mediante colloqui e somministrazione di tests
(YGTSS, CYBOCS, CBCL, YSR, CONNERS RATING SCALE, K-SADS);
-diagnosi differenziale ed esclusione delle cause organiche (indagini cliniche e strumentali con effettuazione di esami
ematologici, EEG, ECG, tampone faringeo, esami neuroradiologici ecc.).
3° step: -assessment psicodiagnostico mediante colloqui e tests proiettivi (Rorschach, TAT e CAT)
-valutazione cognitiva (WISC R, WIPPSI, matrici di Raven e Test delle Campanelle).
4° step: colloquio di restituzione.
5° step: follow up, che comprende colloqui di aggiornamento anamnestico con valutazione dell’andamento di malattia e
delle comorbidità, anche mediante il confronto dei profili dei tests eseguiti nel primo step e colloqui di restituzione. La
cadenza dei follow up è semestrale per i primi 2 anni; successivi e/o ulteriori controlli vengono programmati in base al
dato clinico.
6° step: incontro conclusivo e relazione finale.
RISULTATI E DISCUSSIONE: Il protocollo in uso nella nostra struttura dal 2006, applicato a 98 pazienti con disturbi da
tic di cui 46 con ST e/o PANDAS,ha consentito di diagnosticare i disturbi principali con le rispettive comorbidità; ha
permesso di fare il focus sugli aspetti relazionali problematici che sostengono e rinforzano i sintomi (tic e manifestazioni
compulsive); ha consentito di escludere le cause organiche, di effettuare un primo screening, distinguendo tra livelli di
gravità e complessità diversi e di offrire un contenimento ai piccoli pazienti e alle loro famiglie: a fronte di informazioni
confusive, relative alla patologia in esame, spesso legate a ricerche personali, si è attuato un orientamento con una prima
chiarificazione e una distinzione tra aspetti di realtà e fantasie/angosce; a fronte di incertezza rispetto all’andamento di
malattia si è offerto un percorso di aiuto che ha permesso di costruire una buona alleanza terapeutica. La possibilità
offerta, di differire all’occorrenza l’assessment psicodiagnostico, lungo il percorso di follow up, si è rivelata una risorsa,
nell’ottica di riuscire a contare su un’adeguata compliance dei ragazzi e delle loro famiglie.
Un punto di forza della nostra esperienza, nella presa in carico di questa complessa patologia neuro-psichiatrica, è dato
dalla possibilità di esplorare e tenere insieme (soprattutto tenere in mente!) aspetti biologici, psicologici e psichiatrici,
nell’ottica di favorire, accanto al miglioramento dei sintomi, una migliore integrazione nello sviluppo dei bambini e
adolescenti che sono stati seguiti.
CONCLUSIONI: l’applicazione del protocollo ha contribuito a scongiurare una ripetizione di passaggi in pronto soccorso
e il ricorso a ricoveri impropri, anche attraverso la prevenzione e la precoce individuazione delle condotte a rischio,
frequenti negli adolescenti con ST. Si segnala infine che tutti i genitori hanno accettato il percorso di follow up, pochi i
drop out, per tutti è stata una preziosa opportunità di chiarificazione che ha sostenuto l’ adesione alle cure proposte.
BACKGROUND SCIENTIFICO: La Sindrome di Tourette (ST) e i PANDAS rappresentano categorie nosologiche
caratterizzate da importanti incertezze eziopatogenetiche, sottotipi differenti, frequenti comorbidità e da un andamento
fluttuante della sintomatologia.
SCOPO: sperimentare un percorso diagnostico e di ricerca per la diagnosi e il follow up di pazienti con Sindrome di
Tourette (ST), PANDAS, che consenta di:
-affinare la diagnosi di ST/PANDAS individuando i possibili sottotipi;
-di approfondire la ricerca clinica ed eziopatogenetica mediante la programmazione e definizione dei follow-up a cadenza
prestabilita;
-di impostare e monitorare il percorso terapeutico.
METODOLOGIA: il protocollo consiste in un percorso flessibile, tarato sulle necessità individuali e sulla compliance
delle famiglie, articolato in spazi di accoglienza ambulatoriali e di Day Hospital.
1° step: prima consultazione.
2° step: -diagnosi psicopatologica ed esplorazione delle comorbidità, mediante colloqui e somministrazione di tests
(YGTSS, CYBOCS, CBCL, YSR, CONNERS RATING SCALE, K-SADS);
-diagnosi differenziale ed esclusione delle cause organiche (indagini cliniche e strumentali con effettuazione di esami
ematologici, EEG, ECG, tampone faringeo, esami neuroradiologici ecc.).
3° step: -assessment psicodiagnostico mediante colloqui e tests proiettivi (Rorschach, TAT e CAT)
-valutazione cognitiva (WISC R, WIPPSI, matrici di Raven e Test delle Campanelle).
4° step: colloquio di restituzione.
5° step: follow up, che comprende colloqui di aggiornamento anamnestico con valutazione dell’andamento di malattia e
delle comorbidità, anche mediante il confronto dei profili dei tests eseguiti nel primo step e colloqui di restituzione. La
cadenza dei follow up è semestrale per i primi 2 anni; successivi e/o ulteriori controlli vengono programmati in base al
dato clinico.
6° step: incontro conclusivo e relazione finale.
RISULTATI E DISCUSSIONE: Il protocollo in uso nella nostra struttura dal 2006, applicato a 98 pazienti con disturbi da
tic di cui 46 con ST e/o PANDAS,ha consentito di diagnosticare i disturbi principali con le rispettive comorbidità; ha
permesso di fare il focus sugli aspetti relazionali problematici che sostengono e rinforzano i sintomi (tic e manifestazioni
compulsive); ha consentito di escludere le cause organiche, di effettuare un primo screening, distinguendo tra livelli di
gravità e complessità diversi e di offrire un contenimento ai piccoli pazienti e alle loro famiglie: a fronte di informazioni
confusive, relative alla patologia in esame, spesso legate a ricerche personali, si è attuato un orientamento con una prima
chiarificazione e una distinzione tra aspetti di realtà e fantasie/angosce; a fronte di incertezza rispetto all’andamento di
malattia si è offerto un percorso di aiuto che ha permesso di costruire una buona alleanza terapeutica. La possibilità
offerta, di differire all’occorrenza l’assessment psicodiagnostico, lungo il percorso di follow up, si è rivelata una risorsa,
nell’ottica di riuscire a contare su un’adeguata compliance dei ragazzi e delle loro famiglie.
Un punto di forza della nostra esperienza, nella presa in carico di questa complessa patologia neuro-psichiatrica, è dato
dalla possibilità di esplorare e tenere insieme (soprattutto tenere in mente!) aspetti biologici, psicologici e psichiatrici,
nell’ottica di favorire, accanto al miglioramento dei sintomi, una migliore integrazione nello sviluppo dei bambini e
adolescenti che sono stati seguiti.
CONCLUSIONI: l’applicazione del protocollo ha contribuito a scongiurare una ripetizione di passaggi in pronto soccorso
e il ricorso a ricoveri impropri, anche attraverso la prevenzione e la precoce individuazione delle condotte a rischio,
frequenti negli adolescenti con ST. Si segnala infine che tutti i genitori hanno accettato il percorso di follow up, pochi i
drop out, per tutti è stata una preziosa opportunità di chiarificazione che ha sostenuto l’ adesione alle cure proposte.
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VALIDAZIONE ITALIANA DEL JUNIOR TEMPERAMENT AND CHARACTER
INVENTORY- REVISED: DATI PRELIMINARI
VALIDAZIONE ITALIANA DEL JUNIOR TEMPERAMENT AND CHARACTER
INVENTORY- REVISED: DATI PRELIMINARI
Paloscia C., Rosa C., Alessandrelli R., Pasini A.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile Università di Roma “Tor Vergata”, Ass. “La Nostra
Famiglia” Centro di Neuroriabilitazione Brindisi e Lecce.
Paloscia C., Rosa C., Alessandrelli R., Pasini A.
U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile Università di Roma “Tor Vergata”, Ass. “La Nostra
Famiglia” Centro di Neuroriabilitazione Brindisi e Lecce.
Background: L’alessitimia è un costrutto psicopatologico che identifica una dimensione della personalità caratterizzata
dalla difficoltà di identificare e descrivere le emozioni. L’alessitimia viene considerata un importante fattore di rischio
che può predisporre tramite la disregolazione affettiva a numerosi disturbi psichiatrici. Obiettivo: Il nostro lavoro si è
proposto di tradurre, adattare e validare due strumenti per valutare l’alessitimia e la consapevolezza emotiva in un
campione di bambini italiani. Metodo: 290 bambini (9-14 anni) sono stati sottoposti ad una batteria psicopatologia per
validare l’Alexithymia Questionnaire for Children (Rieffe et al., 2006) e l’Emotion Awareness Questionnaire (Rieffe et
al., 2007). La batteria includeva il Somatic Complaint List (SCL), la Child Behavior Check-List e la Children Depression
Inventory. Risultati: Entrambi gli strumenti hanno dimostrato una buona validità. L’AQC mostrava una struttura a tre
fattori come la TAS 20 e la versione olandese del questionario e, come in queste 2 scale, il terzo fattore (pensiero
orientato esternamente) presentava una scarsa attendibilità. I primi 2 fattori (difficoltà ad identificare i sentimenti e a
descriverli) correlavano positivamente con i punteggi ottenuti sulla SCL. L’analisi fattoriale esploratoria ha evidenziato la
presenza di 6 scale nell’EAQ, ma solo 5 con caratteristiche psicometriche valide: Differentiating Emotions, Bodily
Awareness, Verbal Sharing of Emotions, Analyses of Emotions, Attending to Others’ Emotions. Alcune di queste scale
hanno mostrato anche una buona validità predittiva. Conclusioni: Entrambi i questionari hanno mostrato valide
caratteristiche psicometriche che li rendono utilizzabili nel contesto italiano.
Background: L’alessitimia è un costrutto psicopatologico che identifica una dimensione della personalità caratterizzata
dalla difficoltà di identificare e descrivere le emozioni. L’alessitimia viene considerata un importante fattore di rischio
che può predisporre tramite la disregolazione affettiva a numerosi disturbi psichiatrici. Obiettivo: Il nostro lavoro si è
proposto di tradurre, adattare e validare due strumenti per valutare l’alessitimia e la consapevolezza emotiva in un
campione di bambini italiani. Metodo: 290 bambini (9-14 anni) sono stati sottoposti ad una batteria psicopatologia per
validare l’Alexithymia Questionnaire for Children (Rieffe et al., 2006) e l’Emotion Awareness Questionnaire (Rieffe et
al., 2007). La batteria includeva il Somatic Complaint List (SCL), la Child Behavior Check-List e la Children Depression
Inventory. Risultati: Entrambi gli strumenti hanno dimostrato una buona validità. L’AQC mostrava una struttura a tre
fattori come la TAS 20 e la versione olandese del questionario e, come in queste 2 scale, il terzo fattore (pensiero
orientato esternamente) presentava una scarsa attendibilità. I primi 2 fattori (difficoltà ad identificare i sentimenti e a
descriverli) correlavano positivamente con i punteggi ottenuti sulla SCL. L’analisi fattoriale esploratoria ha evidenziato la
presenza di 6 scale nell’EAQ, ma solo 5 con caratteristiche psicometriche valide: Differentiating Emotions, Bodily
Awareness, Verbal Sharing of Emotions, Analyses of Emotions, Attending to Others’ Emotions. Alcune di queste scale
hanno mostrato anche una buona validità predittiva. Conclusioni: Entrambi i questionari hanno mostrato valide
caratteristiche psicometriche che li rendono utilizzabili nel contesto italiano.
Bibliografia
Rieffe C., Oosterveld P, Terwogt MM (2006) An alexithymia questionnaire for children: Factorial and concurrent
validation results. Personality and Individual Differences, 40 123-133
Rieffe C, Meerum Terwogt M, Petrides KV, Cowan R, Miers AC, Tolland A. (2007). Psychometric properties of the
Emotion Awareness Questionnaire for children Personality and Individual Differences 43 95-105.
Bibliografia
Rieffe C., Oosterveld P, Terwogt MM (2006) An alexithymia questionnaire for children: Factorial and concurrent
validation results. Personality and Individual Differences, 40 123-133
Rieffe C, Meerum Terwogt M, Petrides KV, Cowan R, Miers AC, Tolland A. (2007). Psychometric properties of the
Emotion Awareness Questionnaire for children Personality and Individual Differences 43 95-105.
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PROPOSTA DI PROTOCOLLO DIAGNOSTICO DIFFERENZIALE NELL’ESORDIO
PSICOTICO IN ADOLESCENZA
PROPOSTA DI PROTOCOLLO DIAGNOSTICO DIFFERENZIALE NELL’ESORDIO
PSICOTICO IN ADOLESCENZA
Peloso A., Boella A., Gaudino M. L., Ruffino C., Pagana L., Germanà S., Keller R.
Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Università di
Torino
Peloso A., Boella A., Gaudino M. L., Ruffino C., Pagana L., Germanà S., Keller R.
Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Università di
Torino
La valutazione differenziale di soggetti con sintomi psicotici al fine di escludere un’eziologia neurologica o neuro
evolutiva è complessa:sebbene in letteratura siano disponibili alcune review su patologie congenite che includono la
psicosi, protocolli definiti relativi alla diagnosi differenziale in età evolutiva sono rari. Scopo:proposta di protocollo
diagnostico differenziale clinico,di laboratorio e di neuroimaging dell’esordio psicotico in adolescenza basato sui
principali segni associati e la prevalenza relativa delle patologie. Metodologia:ricerca bibliografica per patologie che
possono presentarsi con sintomi psicotici consultando il data base PubMed con le parole chiave “adolescent” o “juvenile”
“psychosis”,“schizophrenia-like”,“schizophreniform”associate
a
“genetic”,
“congenital”,
“metabolic”,
“neurodevelopmental”, “infectious diseases”, “substance abuse”. Sono stati considerati case reports,case series e reviews,
incluse le voci bibliografiche, pubblicate negli ultimi 5 anni. Sono stati consultati testi di neurologia e psichiatria dell’età
evolutiva.Dati epidemiologici sono stati ottenuti con la consultazione di Orphanet. Le patologie sono state classificate in
base alla prevalenza come molto comuni (>1/10.000), rare (1/10.000-1/50.000), estremamente rare (<1/50.000).
Risultati: 62 patologie genetiche possono essere in causa:73% presentano sintomi neurologici,29% hanno un fenotipo
facilmente riconoscibile, 27% sono associate a ritardo mentale. Globalmente il 55% può essere identificato grazie
all’associazione con caratteristiche cliniche,la restante parte con specifici esami di laboratorio e/o strumentali. Si propone
il seguente protocollo in grado di escludere patologie tossiche,metaboliche,infettive e genetiche,queste ultime con
prevalenza di almeno 1/10.000 (fenilchetonuria,porfiria acuta intermittente,sindrome dell’X-fragile, sindrome di Down,
sindrome di Gilbert, Sindrome di Klinefelter, sindrome di Turner, sindrome velocardiofacciale, sindrome XXX).
Anamnesi familiare (es: parenti affetti da porfiria: dolori addominali ricorrenti; ittero/sub-ittero: sindrome di Gilbert;
macchie caffè latte, ritardo mentale:NF1), esame obiettivo generale (fenotipo peculiare, dimorfismi, statura e massa
corporea,ittero e subittero), esame obiettivo neurologico (disordini del movimento, neuropatia periferica, crisi epilettiche,
alterazioni visive, problemi uditivi, ritardo mentale). Esami di laboratorio distinti tra quelli effettuabili anche in urgenza
(emocromo,elettroliti,indici di flogosi, glicemia, creatininemia, enzimi epatici, bilirubina totale e frazionata, esame urine,
ricerca metaboliti urinari delle sostanze di abuso, emogasanalisi per escludere intossicazione da monossido di carbonio,
test di gravidanza) e quelli, oltre i precedenti,come batteria completa (fenilalaninemia, ceruloplasmina, cupremia,
cupruria, cortisolemia, prolattinemia, omocisteina/uria, aptoglobina, acidoδ-aminolevulenico, porfobilinogeno, reuma
test, antiDNAsi, anticorpi anti-Borrelia burgdorferi, FT3,FT4,TSH, folati, B12), cariotipo, analisi molecolare del
DNA,RMN encefalo. Conclusioni: si intende offrire ai neuropsichiatri infantili un contributo per facilitare un’appropriata
valutazione diagnostico differenziale degli esordi psicotici in adolescenza secondo un modello di costo-efficacia che
tenga conto,come raccomandato dalla letteratura,della prevalenza delle patologie in causa e delle loro principali
caratteristiche neuropsichiatriche e fenotipiche.
La valutazione differenziale di soggetti con sintomi psicotici al fine di escludere un’eziologia neurologica o neuro
evolutiva è complessa:sebbene in letteratura siano disponibili alcune review su patologie congenite che includono la
psicosi, protocolli definiti relativi alla diagnosi differenziale in età evolutiva sono rari. Scopo:proposta di protocollo
diagnostico differenziale clinico,di laboratorio e di neuroimaging dell’esordio psicotico in adolescenza basato sui
principali segni associati e la prevalenza relativa delle patologie. Metodologia:ricerca bibliografica per patologie che
possono presentarsi con sintomi psicotici consultando il data base PubMed con le parole chiave “adolescent” o “juvenile”
“psychosis”,“schizophrenia-like”,“schizophreniform”associate
a
“genetic”,
“congenital”,
“metabolic”,
“neurodevelopmental”, “infectious diseases”, “substance abuse”. Sono stati considerati case reports,case series e reviews,
incluse le voci bibliografiche, pubblicate negli ultimi 5 anni. Sono stati consultati testi di neurologia e psichiatria dell’età
evolutiva.Dati epidemiologici sono stati ottenuti con la consultazione di Orphanet. Le patologie sono state classificate in
base alla prevalenza come molto comuni (>1/10.000), rare (1/10.000-1/50.000), estremamente rare (<1/50.000).
Risultati: 62 patologie genetiche possono essere in causa:73% presentano sintomi neurologici,29% hanno un fenotipo
facilmente riconoscibile, 27% sono associate a ritardo mentale. Globalmente il 55% può essere identificato grazie
all’associazione con caratteristiche cliniche,la restante parte con specifici esami di laboratorio e/o strumentali. Si propone
il seguente protocollo in grado di escludere patologie tossiche,metaboliche,infettive e genetiche,queste ultime con
prevalenza di almeno 1/10.000 (fenilchetonuria,porfiria acuta intermittente,sindrome dell’X-fragile, sindrome di Down,
sindrome di Gilbert, Sindrome di Klinefelter, sindrome di Turner, sindrome velocardiofacciale, sindrome XXX).
Anamnesi familiare (es: parenti affetti da porfiria: dolori addominali ricorrenti; ittero/sub-ittero: sindrome di Gilbert;
macchie caffè latte, ritardo mentale:NF1), esame obiettivo generale (fenotipo peculiare, dimorfismi, statura e massa
corporea,ittero e subittero), esame obiettivo neurologico (disordini del movimento, neuropatia periferica, crisi epilettiche,
alterazioni visive, problemi uditivi, ritardo mentale). Esami di laboratorio distinti tra quelli effettuabili anche in urgenza
(emocromo,elettroliti,indici di flogosi, glicemia, creatininemia, enzimi epatici, bilirubina totale e frazionata, esame urine,
ricerca metaboliti urinari delle sostanze di abuso, emogasanalisi per escludere intossicazione da monossido di carbonio,
test di gravidanza) e quelli, oltre i precedenti,come batteria completa (fenilalaninemia, ceruloplasmina, cupremia,
cupruria, cortisolemia, prolattinemia, omocisteina/uria, aptoglobina, acidoδ-aminolevulenico, porfobilinogeno, reuma
test, antiDNAsi, anticorpi anti-Borrelia burgdorferi, FT3,FT4,TSH, folati, B12), cariotipo, analisi molecolare del
DNA,RMN encefalo. Conclusioni: si intende offrire ai neuropsichiatri infantili un contributo per facilitare un’appropriata
valutazione diagnostico differenziale degli esordi psicotici in adolescenza secondo un modello di costo-efficacia che
tenga conto,come raccomandato dalla letteratura,della prevalenza delle patologie in causa e delle loro principali
caratteristiche neuropsichiatriche e fenotipiche.
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DISTURBO D’IDENTITA’ DI GENERE IN ETA’ ADOLESCENZIALE
COMORBIDITA’ PSICOPATOLOGICA: UN CASE REPORT
Petruzzelli M. G., Matera E., Notaristefano P., Campa M.G.
U.O. NPI Policlinico Bari
E
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DISTURBO D’IDENTITA’ DI GENERE IN ETA’ ADOLESCENZIALE
COMORBIDITA’ PSICOPATOLOGICA: UN CASE REPORT
Petruzzelli M. G., Matera E., Notaristefano P., Campa M.G.
U.O. NPI Policlinico Bari
E
BACKGROUND La comorbidità tra Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) e altri disturbi psicopatologici in età
adolescenziale è una condizione diffusa ma poco definita, in relazione alla limitata disponibilità di studi di confronto
condotti su gruppi di adolescenti con strumenti diagnostici standardizzati.
Alcuni studi hanno mostrato che adolescenti con DIG presentano livelli di psicopatologia generale maggiori rispetto a
controlli sani, sovrapponibili a soggetti con altre patologie psichiatriche; le dimensioni psicopatologiche maggiormente
coinvolte riguardano l’ansia, la depressione e la chiusura sociale.
Complessa è l’interpretazione del legame intercorrente tra DIG e psicopatologia generale che potrebbe trovare una
spiegazione nelle caratteristiche neurobiologiche e psicologiche dell’individuo, nella vulnerabilità familiare genetica e
ambientale, nel condizionamento sociale.
CASE PRESENTATION Presentiamo il caso di un paziente di sesso maschile di 16 anni, afferito presso l’U.O. di
Neuropsichiatria Infantile del Policlinico di Bari nel 2010.
In anamnesi familiarità per patologie di tipo psichiatrico dello spettro ansioso-depressivo.
Sin dall’età di 5 anni presenza di comportamenti indicativi di identificazione con l’altro sesso, persistenti nel tempo e
progressivamente più evidenti. Storia di ansia da separazione più evidente nei confronti della figura materna.
Durante la frequenza della scuola media iniziale compromissione del rendimento scolastico e della socializzazione.
Ha frequentato il primo anno del liceo musicale e del liceo linguistico con ripetuto abbandono scolastico; nello stesso
periodo persistenza di sintomatologia depressiva ed evitamento sociale e concomitante accentuazione delle
manifestazioni comportamentali di identificazione con il genere femminile, che hanno determinato forti contrasti
familiari, particolarmente accentuati con la figura paterna.
E’ stato sottoposto ad assessment clinico e psicodiagnostico con MMPI e K SADS, in seguito al quale è stata formulata
diagnosi di DIG e Disturbo Distimico ed ha iniziato psicoterapia di gruppo e individuale presso il centro per i DIG dello
stesso Policlinico, attualmente in corso.
DISCUSSIONE La valutazione di pazienti in età adolescenziale con possibile DIG è piuttosto complessa sia dal punto di
vista dell’inquadramento diagnostico che delle strategie di intervento terapeutico. Nel nostro caso, nonostante un quadro
clinico di DIG manifesto sin dall’età infantile, la diagnosi avviene all’età di 16 anni, fase in cui sin il paziente sta
affermando in maniera forte e manifesta il proprio ruolo di genere, senza aver ancora raggiunto una chiara definizione del
proprio orientamento sessuale. Questo complesso percorso evolutivo si accompagna, inoltre, a sintomi depressivi,
contrasti familiari e scarso adattamento sociale.
Questo caso suggerisce quanto sia importante effettuare un assessment clinico e psicodiagnostico standardizzato sia per la
valutazione del DIG sia per il riconoscimento di eventuali comorbidità psichiatriche allo scopo di definire più
adeguatamente la diagnosi, elaborare opportune strategie di intervento terapeutico integrato, selezionare i candidati per
eventuali trattamenti ormonali e chirurgici, migliorare l’outcome. La comorbidità per psicopatologia generale nel DIG
sembra essere infatti un fattore prognostico sfavorevole soprattutto per il benessere psicologico soggettivo e
l’adattamento sociale .
BACKGROUND La comorbidità tra Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) e altri disturbi psicopatologici in età
adolescenziale è una condizione diffusa ma poco definita, in relazione alla limitata disponibilità di studi di confronto
condotti su gruppi di adolescenti con strumenti diagnostici standardizzati.
Alcuni studi hanno mostrato che adolescenti con DIG presentano livelli di psicopatologia generale maggiori rispetto a
controlli sani, sovrapponibili a soggetti con altre patologie psichiatriche; le dimensioni psicopatologiche maggiormente
coinvolte riguardano l’ansia, la depressione e la chiusura sociale.
Complessa è l’interpretazione del legame intercorrente tra DIG e psicopatologia generale che potrebbe trovare una
spiegazione nelle caratteristiche neurobiologiche e psicologiche dell’individuo, nella vulnerabilità familiare genetica e
ambientale, nel condizionamento sociale.
CASE PRESENTATION Presentiamo il caso di un paziente di sesso maschile di 16 anni, afferito presso l’U.O. di
Neuropsichiatria Infantile del Policlinico di Bari nel 2010.
In anamnesi familiarità per patologie di tipo psichiatrico dello spettro ansioso-depressivo.
Sin dall’età di 5 anni presenza di comportamenti indicativi di identificazione con l’altro sesso, persistenti nel tempo e
progressivamente più evidenti. Storia di ansia da separazione più evidente nei confronti della figura materna.
Durante la frequenza della scuola media iniziale compromissione del rendimento scolastico e della socializzazione.
Ha frequentato il primo anno del liceo musicale e del liceo linguistico con ripetuto abbandono scolastico; nello stesso
periodo persistenza di sintomatologia depressiva ed evitamento sociale e concomitante accentuazione delle
manifestazioni comportamentali di identificazione con il genere femminile, che hanno determinato forti contrasti
familiari, particolarmente accentuati con la figura paterna.
E’ stato sottoposto ad assessment clinico e psicodiagnostico con MMPI e K SADS, in seguito al quale è stata formulata
diagnosi di DIG e Disturbo Distimico ed ha iniziato psicoterapia di gruppo e individuale presso il centro per i DIG dello
stesso Policlinico, attualmente in corso.
DISCUSSIONE La valutazione di pazienti in età adolescenziale con possibile DIG è piuttosto complessa sia dal punto di
vista dell’inquadramento diagnostico che delle strategie di intervento terapeutico. Nel nostro caso, nonostante un quadro
clinico di DIG manifesto sin dall’età infantile, la diagnosi avviene all’età di 16 anni, fase in cui sin il paziente sta
affermando in maniera forte e manifesta il proprio ruolo di genere, senza aver ancora raggiunto una chiara definizione del
proprio orientamento sessuale. Questo complesso percorso evolutivo si accompagna, inoltre, a sintomi depressivi,
contrasti familiari e scarso adattamento sociale.
Questo caso suggerisce quanto sia importante effettuare un assessment clinico e psicodiagnostico standardizzato sia per la
valutazione del DIG sia per il riconoscimento di eventuali comorbidità psichiatriche allo scopo di definire più
adeguatamente la diagnosi, elaborare opportune strategie di intervento terapeutico integrato, selezionare i candidati per
eventuali trattamenti ormonali e chirurgici, migliorare l’outcome. La comorbidità per psicopatologia generale nel DIG
sembra essere infatti un fattore prognostico sfavorevole soprattutto per il benessere psicologico soggettivo e
l’adattamento sociale .
BIBLIOGRAFIA
1. Zucker KJ. Gender identity disorder in Children and adolescents. Annu Rev Clin Psychol. 2005;1:467-92.
2.Shechner T. gender Identity disorder: a literature review from a developmental perspective. Isr J Psychiatry Relat Sci.
2010;47(2):132-8
BIBLIOGRAFIA
1. Zucker KJ. Gender identity disorder in Children and adolescents. Annu Rev Clin Psychol. 2005;1:467-92.
2.Shechner T. gender Identity disorder: a literature review from a developmental perspective. Isr J Psychiatry Relat Sci.
2010;47(2):132-8
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EVOLUZIONE
DELL’AUTISMO
IN
ETA’
PRESCOLARE:
DIAGNOSTICA E TRATTAMENTO A 24 MESI DALLA DIAGNOSI
STABILITA’
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EVOLUZIONE
DELL’AUTISMO
IN
ETA’
PRESCOLARE:
DIAGNOSTICA E TRATTAMENTO A 24 MESI DALLA DIAGNOSI
STABILITA’
Prosperi M., Apicella F., Igliozzi R., Narzisi A., Santocchi E., Tancredi R., Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Prosperi M., Apicella F., Igliozzi R., Narzisi A., Santocchi E., Tancredi R., Muratori F.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Partecipanti: i partecipanti allo studio, 30 pazienti di cui 26 maschi (86,7 %) e 4 femmine (13,3 %), sono stati selezionati
tra coloro che sono afferiti alla sezione DPS dell’UO3 dell’IRCCS Stella Maris di Calambrone (PI) e che hanno ricevuto
diagnosi di DPS AUT o NAS secondo i criteri DSM IV R ad un’età inferiore ai 4 anni e per i quali è stato possibile
attuare un follow-up di 24 mesi rispetto alla prima valutazione effettuata presso l’istituto. I pazienti sono stati valutati a
T0 e a T1 attraverso la somministrazione di CARS, ADOS e test psicometrici mentre i dati riguardanti i trattamenti
praticati sono stati valutati grazie alle informazioni raccolte attraverso un’intervista semi-strutturata proposta ai genitori.
Sono stati esclusi i pazienti con sindrome di Rett, Disturbo di Asperger, Disturbo Disintegrativo e DPS secondario a
cause note (genetiche, metaboliche, lesionali).
Obiettivi: gli obiettivi che ci siamo posti nell’analizzare questo campione di soggetti sono stati:
1. verificare la stabilità della diagnosi clinica e della diagnosi ADOS tra valutazione iniziale e successivo controllo,
cercando di definire fattori o indici che differenziassero alla valutazione basale l’evoluzione del disturbo
successivamente riscontrata, attraverso l’uso dei risultati dei test sulle competenze cognitive e considerando la
gravità della sintomatologia autistica
2. valutare il trattamento affrontato dal momento della diagnosi del disturbo fino ai successivi FU per indagare una
possibile relazione tra i tipi di interventi effettuati, la loro intensità e durata e l’evoluzione clinica del disturbo
Risultati: nel campione totale dei 30 bambini con diagnosi clinica di DPS a T0, si osserva una concordanza della diagnosi
clinica di DPS a T1 per 27 di essi (90%) mentre 3 bambini (10%) a T1 ricevono una diagnosi clinica di non DPS (questi
ultimi tutti DPS NAS a T1). La diagnosi clinica di Disturbo Autistico (DA) posta a T0 è stata mantenuta a T1 nell’83,3%
dei casi (10/12), mentre nel 16,7% dei casi (2/12) si è osservato un cambiamento a T1 della diagnosi clinica da DA a DPS
NAS.
Nessun bambino con diagnosi clinica di DA o con diagnosi ADOS di autismo a T0 ha ricevuto a T1 una diagnosi di non
DPS.
Dei 3 bambini del gruppo instabile, 2 avevano ricevuto a T0 una diagnosi ADOS di spettro, 1 di non-spettro.
L’outcome a T1 dei bambini con diagnosi clinica di DPS NAS a T0 si è mostrato pertanto più variabile rispetto a quello
dei bambini con diagnosi clinica di DA, con una persistenza della diagnosi di DPS NAS in 8/18 bambini (44,4%), un
cambiamento della diagnosi da DPS NAS a DA in 7/18 bambini (38,9%), una diagnosi di non DPS in 3/18 bambini
(16,7%).
Dal confronto tra gli outcome a T1 della diagnosi clinica e della diagnosi ADOS posta a T0 il nostro studio conferma i
dati presenti in letteratura secondo cui il giudizio clinico di un esperto su un soggetto in età prescolare è un predittore
migliore dell’outcome del disturbo rispetto all’utilizzo dell’algoritmo diagnostico dell’ADOS.
Per quanto riguarda la terapia oltre a tracciare un quadro sui trattamenti più frequentemente intrapresi tra i bambini in età
prescolare abbiamo potuto osservare che il sottogruppo inizialmente diagnosticato come autistico che a T1 diventa NAS è
quello in cui l’inizio del trattamento è stato più precoce e il numero di ore di trattamento individuale e di sostegno
scolastico è stato maggiore.
Di contro i soggetti inizialmente diagnosticati come DPS NAS che a T1 diventavano autistici iniziavano la terapia più
tardivamente.
Partecipanti: i partecipanti allo studio, 30 pazienti di cui 26 maschi (86,7 %) e 4 femmine (13,3 %), sono stati selezionati
tra coloro che sono afferiti alla sezione DPS dell’UO3 dell’IRCCS Stella Maris di Calambrone (PI) e che hanno ricevuto
diagnosi di DPS AUT o NAS secondo i criteri DSM IV R ad un’età inferiore ai 4 anni e per i quali è stato possibile
attuare un follow-up di 24 mesi rispetto alla prima valutazione effettuata presso l’istituto. I pazienti sono stati valutati a
T0 e a T1 attraverso la somministrazione di CARS, ADOS e test psicometrici mentre i dati riguardanti i trattamenti
praticati sono stati valutati grazie alle informazioni raccolte attraverso un’intervista semi-strutturata proposta ai genitori.
Sono stati esclusi i pazienti con sindrome di Rett, Disturbo di Asperger, Disturbo Disintegrativo e DPS secondario a
cause note (genetiche, metaboliche, lesionali).
Obiettivi: gli obiettivi che ci siamo posti nell’analizzare questo campione di soggetti sono stati:
1. verificare la stabilità della diagnosi clinica e della diagnosi ADOS tra valutazione iniziale e successivo controllo,
cercando di definire fattori o indici che differenziassero alla valutazione basale l’evoluzione del disturbo
successivamente riscontrata, attraverso l’uso dei risultati dei test sulle competenze cognitive e considerando la
gravità della sintomatologia autistica
2. valutare il trattamento affrontato dal momento della diagnosi del disturbo fino ai successivi FU per indagare una
possibile relazione tra i tipi di interventi effettuati, la loro intensità e durata e l’evoluzione clinica del disturbo
Risultati: nel campione totale dei 30 bambini con diagnosi clinica di DPS a T0, si osserva una concordanza della diagnosi
clinica di DPS a T1 per 27 di essi (90%) mentre 3 bambini (10%) a T1 ricevono una diagnosi clinica di non DPS (questi
ultimi tutti DPS NAS a T1). La diagnosi clinica di Disturbo Autistico (DA) posta a T0 è stata mantenuta a T1 nell’83,3%
dei casi (10/12), mentre nel 16,7% dei casi (2/12) si è osservato un cambiamento a T1 della diagnosi clinica da DA a DPS
NAS.
Nessun bambino con diagnosi clinica di DA o con diagnosi ADOS di autismo a T0 ha ricevuto a T1 una diagnosi di non
DPS.
Dei 3 bambini del gruppo instabile, 2 avevano ricevuto a T0 una diagnosi ADOS di spettro, 1 di non-spettro.
L’outcome a T1 dei bambini con diagnosi clinica di DPS NAS a T0 si è mostrato pertanto più variabile rispetto a quello
dei bambini con diagnosi clinica di DA, con una persistenza della diagnosi di DPS NAS in 8/18 bambini (44,4%), un
cambiamento della diagnosi da DPS NAS a DA in 7/18 bambini (38,9%), una diagnosi di non DPS in 3/18 bambini
(16,7%).
Dal confronto tra gli outcome a T1 della diagnosi clinica e della diagnosi ADOS posta a T0 il nostro studio conferma i
dati presenti in letteratura secondo cui il giudizio clinico di un esperto su un soggetto in età prescolare è un predittore
migliore dell’outcome del disturbo rispetto all’utilizzo dell’algoritmo diagnostico dell’ADOS.
Per quanto riguarda la terapia oltre a tracciare un quadro sui trattamenti più frequentemente intrapresi tra i bambini in età
prescolare abbiamo potuto osservare che il sottogruppo inizialmente diagnosticato come autistico che a T1 diventa NAS è
quello in cui l’inizio del trattamento è stato più precoce e il numero di ore di trattamento individuale e di sostegno
scolastico è stato maggiore.
Di contro i soggetti inizialmente diagnosticati come DPS NAS che a T1 diventavano autistici iniziavano la terapia più
tardivamente.
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TESTARE I SISTEMI ATTENTIVI NEI BAMBINI CON DISTURBO DA DEFICIT
DELL’ATTENZIONE CON IPERATTIVITA’
TESTARE I SISTEMI ATTENTIVI NEI BAMBINI CON DISTURBO DA DEFICIT
DELL’ATTENZIONE CON IPERATTIVITA’
Rosa C., Casagrande M., Martella D., Ruggiero M. C., Maccari L., Paloscia C., Pasini A.
NPI Policlinico Tor Vergata Roma
Rosa C., Casagrande M., Martella D., Ruggiero M. C., Maccari L., Paloscia C., Pasini A.
NPI Policlinico Tor Vergata Roma
Background: Nonostante il deficit attentivo nei bambini ADHD sia stato ben documentato, in letteratuta esistono ancora
molti risultati incoerenti, soprattutto relativi all'orientamento attenzionale ed alla capacità di risoluzione del conflitto.
Scopo: Per valutare i tipi di deficit attentivi propri dell'ADHD, noi abbiamo usato 2 versioni rivisitate dell'Attention
Network Task (ANT), che analizzano l'efficienza dei sistemi esecutivo, di allerta e di orientamento e le loro interazioni
reciproche.
Metodologie e soggetti: I risultati di 36 bambini (18 ADHD e 18 controlli) hanno rilevato che i soggetti ADHD erano
significativamente compromessi nei compiti sperimentali rispetto ai controlli. Nel primo esperimento, i bambini avevano
ricevuto un feedback rispetto all'accuratezza delle loro risposte, nel secondo esperimento non è stato dato alcun feedback.
Risultati e discussioni: I bambini ADHD hanno avuto una performance più lenta e meno accurata dei controlli, ma hanno
mostrato un danno del funzionamento esecutivo, che migliorava quando l'allerta era aumentata mediante la
somministrazione di uno stimolo uditivo (warning). Questi risultati suggeriscono che il deficit del sistema esecutivo,
osservato nei bambini ADHD, potrebbe dipendere da un basso livello di arousal piuttosto che essere un disturbo
indipendente. Solo nei bambini ADHD è stato riscontrato un deficit specifico nel disancoraggio dell'attenzione. Inoltre, la
performance di tutti i network attentivi è stata fortemente modulata dall'assenza o dalla presenza di un rinforzo positivo o
negativo.
Background: Nonostante il deficit attentivo nei bambini ADHD sia stato ben documentato, in letteratuta esistono ancora
molti risultati incoerenti, soprattutto relativi all'orientamento attenzionale ed alla capacità di risoluzione del conflitto.
Scopo: Per valutare i tipi di deficit attentivi propri dell'ADHD, noi abbiamo usato 2 versioni rivisitate dell'Attention
Network Task (ANT), che analizzano l'efficienza dei sistemi esecutivo, di allerta e di orientamento e le loro interazioni
reciproche.
Metodologie e soggetti: I risultati di 36 bambini (18 ADHD e 18 controlli) hanno rilevato che i soggetti ADHD erano
significativamente compromessi nei compiti sperimentali rispetto ai controlli. Nel primo esperimento, i bambini avevano
ricevuto un feedback rispetto all'accuratezza delle loro risposte, nel secondo esperimento non è stato dato alcun feedback.
Risultati e discussioni: I bambini ADHD hanno avuto una performance più lenta e meno accurata dei controlli, ma hanno
mostrato un danno del funzionamento esecutivo, che migliorava quando l'allerta era aumentata mediante la
somministrazione di uno stimolo uditivo (warning). Questi risultati suggeriscono che il deficit del sistema esecutivo,
osservato nei bambini ADHD, potrebbe dipendere da un basso livello di arousal piuttosto che essere un disturbo
indipendente. Solo nei bambini ADHD è stato riscontrato un deficit specifico nel disancoraggio dell'attenzione. Inoltre, la
performance di tutti i network attentivi è stata fortemente modulata dall'assenza o dalla presenza di un rinforzo positivo o
negativo.
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SOTTOTIPIZZAZIONE DEI PAZIENTI AUTISTICI MEDIANTE COMPONENTI
PRINCIPALI
SOTTOTIPIZZAZIONE DEI PAZIENTI AUTISTICI MEDIANTE COMPONENTI
PRINCIPALI
Sacco R., Curatolo P.°, Militerni R.*, Lenti C.**, Persico A. M.
Università “Campus Bio-Medico” Roma e IRCCS “Fondazione S. Lucia” Roma
°Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Università “Tor Vergata”, Roma
*Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, II Università di Napoli
**Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Università di Milano
Sacco R., Curatolo P.°, Militerni R.*, Lenti C.**, Persico A. M.
Università “Campus Bio-Medico” Roma e IRCCS “Fondazione S. Lucia” Roma
°Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Università “Tor Vergata”, Roma
*Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, II Università di Napoli
**Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Università di Milano
Background & Obiettivi: L’autismo è un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (DPS) caratterizzato da deficit a carico della
competenze linguistiche, della comunicazione e delle abilità sociali, così come da modelli di comportamento ripetitivi e
stereotipati che tendono a comparire prima dei 3 anni di età. La comprensione della patogenesi dell’autismo è ancora
incompleta a causa sia della complessità clinica della patologia che della presenza di co-morbidità e di un elevato grado di
eterogeneità a livello genetico. In questo studio ci proponiamo di replicare su un campione più ampio i risultati di una
analisi di componenti principali mirata a evidenziare i processi patogenetici sottostanti il disturbo autistico e,
secondariamente, di identificare sottogruppi di pazienti autistici caratterizzati da specifici pattern di componenti principali
e di stimare la loro frequenza.
Metodologie e soggetti: Sono stati reclutati 286 pazienti italiani con autismo idiopatico. E’ stato implementato un
approccio statistico di tipo multivariato a due stadi: 1) una analisi in componenti principali a partire da un set di variabili
relative alla storia clinica del paziente e della famiglia di provenienza e 2) una cluster analysis K-medie sullo stesso
gruppo di pazienti, usando dei fattori ricavati mediante regressione, ognuno dei quali rappresenta un punteggio
cumulativo della componente estratta. Il metodo delle K-medie costituisce un algoritmo di apprendimento non
supervisionato che assume k cluster fissati a priori e definisce k centroidi, uno per ciascun cluster.
Risultati: Sono state identificate 4 componenti principali che contribuiscono maggiormente al fenotipo autistico: (I) un
ritardo generalizzato dello sviluppo, (II) una disfunzione dei processi immunitari, (III) anomalie di tipo sensoriale e
comportamentale, e (IV) presenza di ritardo mentale associato a comportamento stereotipato. I pazienti autistici possono
essere categorizzati in 5 cluster: (a) 73 pazienti (25.4%) sono caratterizzati da ritardo mentale e dello sviluppo con poche
o nessuna anomalia di tipo immunitario; (b) 63 pazienti (22.3%) mostrano una prevalenza di anomalie sensoriali; (c) 59
pazienti (20.6%) mostrano principalmente ritardo mentale con presenza di stereotipie verbali e/o motorie, ma senza
ritardo dello sviluppo (d) 49 pazienti (17.1%) evidenziano una disfunzione immunitaria, in assenza di ritardo dello
sviluppo o mentale; e, infine, (e) 42 pazienti (14.6%) appartengono ad un cluster cosiddetto residuo perché non
caratterizzato da un pattern sintomatologico specifico; La componente “immunitaria” mostra il maggiore potere
discriminativo (F= 91.0, df= 281, P= 1.1 x 10-56), seguita dalla componente che comprende il ritardo mentale e le
stereotipie (F= 70.4, df= 281, P= 1.5 x 10-47).
Conclusioni: Questi risultati aprono interessanti prospettive circa la possibilità di identificare sottogruppi omogenei di
pazienti autistici a partire dalla distribuzione dei punteggi cumulativi di componenti principali, estratte da un semplice set
di variabili che descrivono la storia clinica del paziente e dei familiari. Se replicati in altri campioni clinici, questi cluster
potrebbero essere utilizzati per esplorare le differenze rispetto ai fattori genetici sottostanti, il decorso e la gravità della
malattia, così come la risposta agli interventi terapeutici. Inoltre, contribuiranno a delineare, in maniera più esauriente, i
diversi processi patofisiologici che determinano la sindrome autistica.
Background & Obiettivi: L’autismo è un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (DPS) caratterizzato da deficit a carico della
competenze linguistiche, della comunicazione e delle abilità sociali, così come da modelli di comportamento ripetitivi e
stereotipati che tendono a comparire prima dei 3 anni di età. La comprensione della patogenesi dell’autismo è ancora
incompleta a causa sia della complessità clinica della patologia che della presenza di co-morbidità e di un elevato grado di
eterogeneità a livello genetico. In questo studio ci proponiamo di replicare su un campione più ampio i risultati di una
analisi di componenti principali mirata a evidenziare i processi patogenetici sottostanti il disturbo autistico e,
secondariamente, di identificare sottogruppi di pazienti autistici caratterizzati da specifici pattern di componenti principali
e di stimare la loro frequenza.
Metodologie e soggetti: Sono stati reclutati 286 pazienti italiani con autismo idiopatico. E’ stato implementato un
approccio statistico di tipo multivariato a due stadi: 1) una analisi in componenti principali a partire da un set di variabili
relative alla storia clinica del paziente e della famiglia di provenienza e 2) una cluster analysis K-medie sullo stesso
gruppo di pazienti, usando dei fattori ricavati mediante regressione, ognuno dei quali rappresenta un punteggio
cumulativo della componente estratta. Il metodo delle K-medie costituisce un algoritmo di apprendimento non
supervisionato che assume k cluster fissati a priori e definisce k centroidi, uno per ciascun cluster.
Risultati: Sono state identificate 4 componenti principali che contribuiscono maggiormente al fenotipo autistico: (I) un
ritardo generalizzato dello sviluppo, (II) una disfunzione dei processi immunitari, (III) anomalie di tipo sensoriale e
comportamentale, e (IV) presenza di ritardo mentale associato a comportamento stereotipato. I pazienti autistici possono
essere categorizzati in 5 cluster: (a) 73 pazienti (25.4%) sono caratterizzati da ritardo mentale e dello sviluppo con poche
o nessuna anomalia di tipo immunitario; (b) 63 pazienti (22.3%) mostrano una prevalenza di anomalie sensoriali; (c) 59
pazienti (20.6%) mostrano principalmente ritardo mentale con presenza di stereotipie verbali e/o motorie, ma senza
ritardo dello sviluppo (d) 49 pazienti (17.1%) evidenziano una disfunzione immunitaria, in assenza di ritardo dello
sviluppo o mentale; e, infine, (e) 42 pazienti (14.6%) appartengono ad un cluster cosiddetto residuo perché non
caratterizzato da un pattern sintomatologico specifico; La componente “immunitaria” mostra il maggiore potere
discriminativo (F= 91.0, df= 281, P= 1.1 x 10-56), seguita dalla componente che comprende il ritardo mentale e le
stereotipie (F= 70.4, df= 281, P= 1.5 x 10-47).
Conclusioni: Questi risultati aprono interessanti prospettive circa la possibilità di identificare sottogruppi omogenei di
pazienti autistici a partire dalla distribuzione dei punteggi cumulativi di componenti principali, estratte da un semplice set
di variabili che descrivono la storia clinica del paziente e dei familiari. Se replicati in altri campioni clinici, questi cluster
potrebbero essere utilizzati per esplorare le differenze rispetto ai fattori genetici sottostanti, il decorso e la gravità della
malattia, così come la risposta agli interventi terapeutici. Inoltre, contribuiranno a delineare, in maniera più esauriente, i
diversi processi patofisiologici che determinano la sindrome autistica.
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VALUTAZIONE DEL BMI IN UNA POPOLAZIONE CAMPANA DI PAZIENTI
AFFETTI DA ADHD: STUDIO OSSERVAZIONALE
VALUTAZIONE DEL BMI IN UNA POPOLAZIONE CAMPANA DI PAZIENTI
AFFETTI DA ADHD: STUDIO OSSERVAZIONALE
Sarnataro E., Russo L., Cascella R., Marino M., Riccio M.P., Bravaccio C.*, Pascotto A.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatra e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
Sarnataro E., Russo L., Cascella R., Marino M., Riccio M.P., Bravaccio C.*, Pascotto A.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatra e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
BACKGROUND SCIENTIFICO: in aggiunta alle comorbidità psichiatriche, recenti studi in letteratura suggeriscono la
presenza di una associazione tra la presenza di ADHD ed obesità; è stata infatti riscontrata una prevalenza di sovrappeso
ed obesità significativamente maggiore nei pazienti con ADHD rispetto a popolazioni equiparate per sesso ed età non
affette dalla patologia (Strimas et al., 2008).
SCOPO: valutare il Body Mass Index (BMI) in una popolazione campana di pazienti affetti da ADHD. Verificare la
presenza di comorbidità associate, quali sovrappeso ed obesità.
METODOLOGIA E SOGGETTI: sono stati selezionati 56 pazienti di sesso maschile, di età compresa tra 7 e 18 anni (età
media pari a 11.27 anni), con diagnosi di ADHD di tipo combinato, di cui 13 soggetti su 56 affetti in associazione da
Disturbo Oppositivo Provocatorio, 8/56 da Disturbo Specifico dell’Apprendimento, 5/56 da Ritardo Mentale (diagnosi
conforme ai criteri diagnostici del DSM-IV-TR effettuata secondo le Linee Guida della SINPIA), afferiti presso il
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile della Seconda Università degli Studi di Napoli, in un periodo di tempo di sei
mesi, compreso tra settembre 2010 e febbraio 2011. Al momento della valutazione clinica, con rilevamento del peso
corporeo e dell’altezza, tutti i pazienti effettuavano trattamento farmacologico con Metilfenidato o Atomoxetina. Si è
proceduto per ogni paziente al calcolo del BMI (espresso in Kg/m2 di superficie corporea) e all’individuazione di quattro
diversi sottogruppi: sottopeso (BMI <20); normopeso (20<BMI<25); sovrappeso (25<BMI<30); obeso (BMI>30).
RISULTATI E DISCUSSIONE: l’elaborazione dei risultati ottenuti, ha messo in evidenza una bassissima percentuale
(pari al 3.6%, ovvero 2/56 soggetti) di pazienti con BMI superiore a 30, rientranti nel sottogruppo “Obeso” e
un’altrettanto bassa percentuale di pazienti con BMI compreso tra 25 e 30 (pari a 8.9%, ovvero 5/56 soggetti), rientranti
nel sottogruppo “Sovrappeso”. Si sottolinea, inoltre, che tutti e tre i pazienti affetti da ADHD e Ritardo Mentale rientrano
nel gruppo dei 7 pazienti individuati, che presentano comorbidità per sovrappeso/obesità. I restanti dati evidenziano la
presenza di 16 soggetti (pari al 28.6 % della popolazione in studio) con BMI compreso tra 20 e 25, sottogruppo
“Normopeso”, e la presenza di 33 soggetti (pari al 58.9% della popolazione in studio) con BMI inferiore a 20, rientranti
nel sottogruppo “Sottopeso”. I dati ottenuti, pertanto, evidenziano, nella sottopopolazione campana di riferimento, una
prevalenza di associazione tra ADHD e la presenza di sottopeso.
BACKGROUND SCIENTIFICO: in aggiunta alle comorbidità psichiatriche, recenti studi in letteratura suggeriscono la
presenza di una associazione tra la presenza di ADHD ed obesità; è stata infatti riscontrata una prevalenza di sovrappeso
ed obesità significativamente maggiore nei pazienti con ADHD rispetto a popolazioni equiparate per sesso ed età non
affette dalla patologia (Strimas et al., 2008).
SCOPO: valutare il Body Mass Index (BMI) in una popolazione campana di pazienti affetti da ADHD. Verificare la
presenza di comorbidità associate, quali sovrappeso ed obesità.
METODOLOGIA E SOGGETTI: sono stati selezionati 56 pazienti di sesso maschile, di età compresa tra 7 e 18 anni (età
media pari a 11.27 anni), con diagnosi di ADHD di tipo combinato, di cui 13 soggetti su 56 affetti in associazione da
Disturbo Oppositivo Provocatorio, 8/56 da Disturbo Specifico dell’Apprendimento, 5/56 da Ritardo Mentale (diagnosi
conforme ai criteri diagnostici del DSM-IV-TR effettuata secondo le Linee Guida della SINPIA), afferiti presso il
Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile della Seconda Università degli Studi di Napoli, in un periodo di tempo di sei
mesi, compreso tra settembre 2010 e febbraio 2011. Al momento della valutazione clinica, con rilevamento del peso
corporeo e dell’altezza, tutti i pazienti effettuavano trattamento farmacologico con Metilfenidato o Atomoxetina. Si è
proceduto per ogni paziente al calcolo del BMI (espresso in Kg/m2 di superficie corporea) e all’individuazione di quattro
diversi sottogruppi: sottopeso (BMI <20); normopeso (20<BMI<25); sovrappeso (25<BMI<30); obeso (BMI>30).
RISULTATI E DISCUSSIONE: l’elaborazione dei risultati ottenuti, ha messo in evidenza una bassissima percentuale
(pari al 3.6%, ovvero 2/56 soggetti) di pazienti con BMI superiore a 30, rientranti nel sottogruppo “Obeso” e
un’altrettanto bassa percentuale di pazienti con BMI compreso tra 25 e 30 (pari a 8.9%, ovvero 5/56 soggetti), rientranti
nel sottogruppo “Sovrappeso”. Si sottolinea, inoltre, che tutti e tre i pazienti affetti da ADHD e Ritardo Mentale rientrano
nel gruppo dei 7 pazienti individuati, che presentano comorbidità per sovrappeso/obesità. I restanti dati evidenziano la
presenza di 16 soggetti (pari al 28.6 % della popolazione in studio) con BMI compreso tra 20 e 25, sottogruppo
“Normopeso”, e la presenza di 33 soggetti (pari al 58.9% della popolazione in studio) con BMI inferiore a 20, rientranti
nel sottogruppo “Sottopeso”. I dati ottenuti, pertanto, evidenziano, nella sottopopolazione campana di riferimento, una
prevalenza di associazione tra ADHD e la presenza di sottopeso.
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QUADRO PSICOTICO ED ESORDIO PRECOCE IN UNA PAZIENTE CON EPILESSIA
PARZIALE E POCS
QUADRO PSICOTICO ED ESORDIO PRECOCE IN UNA PAZIENTE CON EPILESSIA
PARZIALE E POCS
Tedde M.R., Posar A., Parmeggiani A.
Dipartimento Scienze Neurologiche – Università di Bologna
Tedde M.R., Posar A., Parmeggiani A.
Dipartimento Scienze Neurologiche – Università di Bologna
La sindrome con punte-onda continue nel sonno (POCS) è una forma di encefalopatia epilettica con manifestazioni
cliniche eterogenee (deterioramento cognitivo e motorio, alterazioni del comportamento, crisi epilettiche con semeiologia
variabile) legate ad un particolare pattern EEG caratterizzato da un’attività epilettiforme parossistica
subcontinua/continua durante il sonno lento.
Presentiamo il caso di una bambina di 9 aa e 8 mesi che presenta un quadro EEG di punte-onda continue nel sonno
dall’età di 3 aa circa con progressivo deterioramento cognitivo associato alla comparsa di sintomatologia psichiatrica
inquadrabile nell’ambito di una psicosi. La bambina ha presentato inoltre crisi epilettiche parziali con semeiologia
variabile dall’età di 3 aa circa, di cui una di lunga durata seguita da paralisi post-critica di circa 8 ore. Nel tempo sono
stati effettuati numerosi tentativi farmacologici con parziale beneficio sul controllo delle crisi ma non sul quadro EEG
durante il sonno.
Dalla valutazione neuropsicologica emergono ritardo mentale di grado severo, atipie del linguaggio, bizzarrie
comportamentali, difficoltà di condivisione delle emozioni, condotte iterative, aggancio visivo peculiare, ecoprassia ed
ecolalia.
La paziente presenta una importante familiarità per patologia psichiatrica in linea materna.
Dalle indagini di neuroimaging sono emerse alterazioni aspecifiche a carico delle strutture talamiche e di dubbia origine
malformativa del lobo temporale di sinistra.
Gli accertamenti genetici finora effettuati (cariotipo, riarrangiamenti subtelomerici, MECP2, 22q11, ring 20) sono risultati
tutti negativi. Sono previsti l’esecuzione del CGH-array e lo studio della protocaderina-19.
Il caso clinico riportato appare di particolare interesse in quanto pone in evidenza la possibile interazione esistente tra
predisposizione genetica (familiarità per patologia psichiatrica), alterazioni strutturali (a livello talamico e temporale) e
presenza di un’attività parossistica EEG pressoché continua durante il sonno nell’eziopatogenesi di un disturbo psicotico
ad esordio precoce.
La sindrome con punte-onda continue nel sonno (POCS) è una forma di encefalopatia epilettica con manifestazioni
cliniche eterogenee (deterioramento cognitivo e motorio, alterazioni del comportamento, crisi epilettiche con semeiologia
variabile) legate ad un particolare pattern EEG caratterizzato da un’attività epilettiforme parossistica
subcontinua/continua durante il sonno lento.
Presentiamo il caso di una bambina di 9 aa e 8 mesi che presenta un quadro EEG di punte-onda continue nel sonno
dall’età di 3 aa circa con progressivo deterioramento cognitivo associato alla comparsa di sintomatologia psichiatrica
inquadrabile nell’ambito di una psicosi. La bambina ha presentato inoltre crisi epilettiche parziali con semeiologia
variabile dall’età di 3 aa circa, di cui una di lunga durata seguita da paralisi post-critica di circa 8 ore. Nel tempo sono
stati effettuati numerosi tentativi farmacologici con parziale beneficio sul controllo delle crisi ma non sul quadro EEG
durante il sonno.
Dalla valutazione neuropsicologica emergono ritardo mentale di grado severo, atipie del linguaggio, bizzarrie
comportamentali, difficoltà di condivisione delle emozioni, condotte iterative, aggancio visivo peculiare, ecoprassia ed
ecolalia.
La paziente presenta una importante familiarità per patologia psichiatrica in linea materna.
Dalle indagini di neuroimaging sono emerse alterazioni aspecifiche a carico delle strutture talamiche e di dubbia origine
malformativa del lobo temporale di sinistra.
Gli accertamenti genetici finora effettuati (cariotipo, riarrangiamenti subtelomerici, MECP2, 22q11, ring 20) sono risultati
tutti negativi. Sono previsti l’esecuzione del CGH-array e lo studio della protocaderina-19.
Il caso clinico riportato appare di particolare interesse in quanto pone in evidenza la possibile interazione esistente tra
predisposizione genetica (familiarità per patologia psichiatrica), alterazioni strutturali (a livello talamico e temporale) e
presenza di un’attività parossistica EEG pressoché continua durante il sonno nell’eziopatogenesi di un disturbo psicotico
ad esordio precoce.
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PERMEABILITA’ INTESTINALE, MICROFLORA INTESTINALE NEL DISTURBO
DELLO SPETTRO AUTISTICO (DPS)
PERMEABILITA’ INTESTINALE, MICROFLORA INTESTINALE NEL DISTURBO
DELLO SPETTRO AUTISTICO (DPS)
Tiano C., Maresca R.*, Picardi A., Sapone A., Bombace F., De Magistris L., Iardino P.,
Iovene P.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatra e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
Gastroenterologia Dipartimento Magrassi – Lanzara, Seconda Università degli Studi di Napoli
Tiano C., Maresca R.*, Picardi A., Sapone A., Bombace F., De Magistris L., Iardino P.,
Iovene P.
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Foniatra e Dermatovenerologia Seconda
Università degli Studi di Napoli
*Dipartimento di Pediatria Università Federico II di Napoli
Gastroenterologia Dipartimento Magrassi – Lanzara, Seconda Università degli Studi di Napoli
INTRODUZIONE: Il Disturbo Autistico è spesso accompagnato da differenti sintomi gastrointestinali, come dolore
addominale, stipsi o diarrea. Tale sintomatologia potrebbe essere correlata a disbiosi. Studi recenti suggeriscono che in
queste sindromi sia l’alterazione della microflora intestinale che l’aumento della permeabilità intestinale possano svolgere
un ruolo eziopatogenetico.
SCOPO: Valutare la microflora intestinale e la permeabilità intestinale in un gruppo di bambini con disturbo autistico e
determinarne le differenze. I pazienti reclutati seguono un regolare regime alimentare o una dieta senza glutine.
PAZIENTI E METODI: Sono stati esaminati 22 soggetti autistici affetti da DPS, che hanno ricevuto diagnosi secondo i
criteri diagnostici del DSM-IV mediante l’ausilio di strumenti standardizzati quali CARS, ADI-R, ADOS. I soggetti così
reclutati sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione, costituito da: questionari standardizzati, con lo scopo di
definire il profilo funzionale nell’ambito del temperamento, soglia di reattività agli stimoli, livello cognitivo, livello
comunicativo - linguistico, modulazione degli stati emotivi, livello adattivo generale e un’anamnesi gastroenterologica
dettagliata.
Per ogni paziente è stata studiata la microflora intestinale mediante esame colturale qualitativo e quantitativo
(enterobatteri, lattobacilli, anaerobi, lieviti e saprofiti) ed esame batterioscopico di un campione di feci; coltura specifica
per Clostridium spp e ricerca della tossina A e tossina B del Clostridium difficilis. Inoltre sono state valutate la
Calprotectina Fecale e la Permeabilità Intestinale (LA/MA test).
RISULTATI: Il 91% dei bambini esaminati presenta disbiosi, di cui 31,8% causata da Candida, con carica batterica pari
a 103-106 CFU/mL, e per il 72,7% determinata da Clostridium spp., carica >103 CFU/mL, rispetto ai batteri
microaerofili. Non è stato mai rilevato Clostridium difficilis. In quasi tutti i pazienti la permeabilità intestinale
(LA/MA<0.030) è risultata normale (tranne in due casi), così come la Calprotectina Fecale, eccetto un solo paziente.
CONCLUSIONI: Questi risultati preliminari sembrano dimostrare che in gruppo di bambini autistici è presente una
alterazione della microflora intestinale (disbiosi) caratterizzata da una crescita eccessiva di microrganismi nel colon
potenzialmente patogeni. E’ interessante notare che queste modifiche non sembrano correlate con le variazioni della
permeabilità intestinale. Tali risultati potrebbero fornire un utile sussidio circa il ruolo di particolari ceppi microbici
nell’eziologia dei disturbi pervasivi dello sviluppo. In questa ottica le possibilità di una terapia più appropriata potrebbe
aumentare.
INTRODUZIONE: Il Disturbo Autistico è spesso accompagnato da differenti sintomi gastrointestinali, come dolore
addominale, stipsi o diarrea. Tale sintomatologia potrebbe essere correlata a disbiosi. Studi recenti suggeriscono che in
queste sindromi sia l’alterazione della microflora intestinale che l’aumento della permeabilità intestinale possano svolgere
un ruolo eziopatogenetico.
SCOPO: Valutare la microflora intestinale e la permeabilità intestinale in un gruppo di bambini con disturbo autistico e
determinarne le differenze. I pazienti reclutati seguono un regolare regime alimentare o una dieta senza glutine.
PAZIENTI E METODI: Sono stati esaminati 22 soggetti autistici affetti da DPS, che hanno ricevuto diagnosi secondo i
criteri diagnostici del DSM-IV mediante l’ausilio di strumenti standardizzati quali CARS, ADI-R, ADOS. I soggetti così
reclutati sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione, costituito da: questionari standardizzati, con lo scopo di
definire il profilo funzionale nell’ambito del temperamento, soglia di reattività agli stimoli, livello cognitivo, livello
comunicativo - linguistico, modulazione degli stati emotivi, livello adattivo generale e un’anamnesi gastroenterologica
dettagliata.
Per ogni paziente è stata studiata la microflora intestinale mediante esame colturale qualitativo e quantitativo
(enterobatteri, lattobacilli, anaerobi, lieviti e saprofiti) ed esame batterioscopico di un campione di feci; coltura specifica
per Clostridium spp e ricerca della tossina A e tossina B del Clostridium difficilis. Inoltre sono state valutate la
Calprotectina Fecale e la Permeabilità Intestinale (LA/MA test).
RISULTATI: Il 91% dei bambini esaminati presenta disbiosi, di cui 31,8% causata da Candida, con carica batterica pari
a 103-106 CFU/mL, e per il 72,7% determinata da Clostridium spp., carica >103 CFU/mL, rispetto ai batteri
microaerofili. Non è stato mai rilevato Clostridium difficilis. In quasi tutti i pazienti la permeabilità intestinale
(LA/MA<0.030) è risultata normale (tranne in due casi), così come la Calprotectina Fecale, eccetto un solo paziente.
CONCLUSIONI: Questi risultati preliminari sembrano dimostrare che in gruppo di bambini autistici è presente una
alterazione della microflora intestinale (disbiosi) caratterizzata da una crescita eccessiva di microrganismi nel colon
potenzialmente patogeni. E’ interessante notare che queste modifiche non sembrano correlate con le variazioni della
permeabilità intestinale. Tali risultati potrebbero fornire un utile sussidio circa il ruolo di particolari ceppi microbici
nell’eziologia dei disturbi pervasivi dello sviluppo. In questa ottica le possibilità di una terapia più appropriata potrebbe
aumentare.
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LA SOCIAL RESPONSIVENESS SCALE (SRS): VALIDAZIONE ITALIANA E
POSSIBILI UTILIZZI CLINICI
LA SOCIAL RESPONSIVENESS SCALE (SRS): VALIDAZIONE ITALIANA E
POSSIBILI UTILIZZI CLINICI
Zanni R., Anchisi L., Delitala L., Melis G.*, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Cagliari
*AOU Cagliari
Zanni R., Anchisi L., Delitala L., Melis G.*, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Cagliari
*AOU Cagliari
Introduzione: La Social Responsiveness Scale (SRS) è un questionario che permette di misurare la percezione dei genitori
e/o degli insegnanti sulle modalità di comportamento sociale reciproco, sulla comunicazione e sulla presenza di
comportamenti ripetitivi e stereotipati di bambini e adolescenti tra i 4 e i 18 anni. ll questionario è composto da 65 item,
misurati su una scala Likert a 4 punti, nella versione nord-americana rappresenta uno strumento sensibile e affidabile
basato su un intervallo di gravità dei sintomi autistici così ampio da permettere di misurare anche le forme lievi o
sottosoglia di compromissione della responsività sociale.
Obiettivi: validare la versione italiana della SRS e valutarne l’adeguatezza in un contesto culturale parzialmente differente
da quello originale. Valutare inoltre la frequenza di eventuali difficoltà nella responsività sociale nei bambini non autistici
con Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD).
Metodi: Il campione normativo consiste di 4223 soggetti (età 5-12 anni). I dati sono stati raccolti all’interno di 58 scuole
primarie di due province, Cagliari e Sassari. Per la validazione è stato utilizzato inoltre un campione clinico di 100
bambini con diagnosi di PDD effettuata presso la Clinica di Neuropsichiatria infantile dell’Azienda OspedalieroUniversitaria di Cagliari e il Centro per i Disturbi pervasivi dello sviluppo dell’AO Brotzu di Cagliari. Successivamente,
85 soggetti con ADHD, di età compresa fra i 5 e i 16 anni, che non assumevano terapia farmacologica, sono stati valutati
mediante SRS e CPRS (Conners Parent Rating Scales) e i punteggi di ciascuna scala comparati con controlli sani.
Risultati: La SRS conferma, anche nel contesto italiano, di avere buone proprietà psicometriche, (consistenza interna,
alpha di Cronbach, potere predittivo positivo e negativo, curve ROC,) in entrambe le versioni genitori e insegnanti.
Specifiche alterazioni della responsività sociale sono state misurate anche in soggetti con ADHD. Si sono evidenziate
correlazioni specifiche fra sottoscale SRS e indici CPRS che sono risultate essere parzialmente modulate dalla presenza di
specifiche comorbidità (i pazienti ADHD sono stati ripartiti in due sottogruppi, sulla base della comorbidità o meno con
Disturbi Internalizzanti e dell’Aprendimento).
Conclusioni: Lo studio conferma che la SRS è in grado di misurare la compromissione nella responsività sociale anche in
psicopatologie diverse dai PDD. In un significativo gruppo di pazienti ADHD, la compromissione della responsività
sociale potrebbe rappresentare uno specifico target terapeutico.
Introduzione: La Social Responsiveness Scale (SRS) è un questionario che permette di misurare la percezione dei genitori
e/o degli insegnanti sulle modalità di comportamento sociale reciproco, sulla comunicazione e sulla presenza di
comportamenti ripetitivi e stereotipati di bambini e adolescenti tra i 4 e i 18 anni. ll questionario è composto da 65 item,
misurati su una scala Likert a 4 punti, nella versione nord-americana rappresenta uno strumento sensibile e affidabile
basato su un intervallo di gravità dei sintomi autistici così ampio da permettere di misurare anche le forme lievi o
sottosoglia di compromissione della responsività sociale.
Obiettivi: validare la versione italiana della SRS e valutarne l’adeguatezza in un contesto culturale parzialmente differente
da quello originale. Valutare inoltre la frequenza di eventuali difficoltà nella responsività sociale nei bambini non autistici
con Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD).
Metodi: Il campione normativo consiste di 4223 soggetti (età 5-12 anni). I dati sono stati raccolti all’interno di 58 scuole
primarie di due province, Cagliari e Sassari. Per la validazione è stato utilizzato inoltre un campione clinico di 100
bambini con diagnosi di PDD effettuata presso la Clinica di Neuropsichiatria infantile dell’Azienda OspedalieroUniversitaria di Cagliari e il Centro per i Disturbi pervasivi dello sviluppo dell’AO Brotzu di Cagliari. Successivamente,
85 soggetti con ADHD, di età compresa fra i 5 e i 16 anni, che non assumevano terapia farmacologica, sono stati valutati
mediante SRS e CPRS (Conners Parent Rating Scales) e i punteggi di ciascuna scala comparati con controlli sani.
Risultati: La SRS conferma, anche nel contesto italiano, di avere buone proprietà psicometriche, (consistenza interna,
alpha di Cronbach, potere predittivo positivo e negativo, curve ROC,) in entrambe le versioni genitori e insegnanti.
Specifiche alterazioni della responsività sociale sono state misurate anche in soggetti con ADHD. Si sono evidenziate
correlazioni specifiche fra sottoscale SRS e indici CPRS che sono risultate essere parzialmente modulate dalla presenza di
specifiche comorbidità (i pazienti ADHD sono stati ripartiti in due sottogruppi, sulla base della comorbidità o meno con
Disturbi Internalizzanti e dell’Aprendimento).
Conclusioni: Lo studio conferma che la SRS è in grado di misurare la compromissione nella responsività sociale anche in
psicopatologie diverse dai PDD. In un significativo gruppo di pazienti ADHD, la compromissione della responsività
sociale potrebbe rappresentare uno specifico target terapeutico.
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AUTISMO A FERRARA: STUDIO EPIDEMIOLOGICO DI UNA PROVINCIA
ITALIANA
AUTISMO A FERRARA: STUDIO EPIDEMIOLOGICO DI UNA PROVINCIA
ITALIANA
Zanotti M. C., Borini M., Ferrari G., Benazzi E., Palazzi S.
Smria-Uonpia – Ausl Ferrara & Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Ferrara
Zanotti M. C., Borini M., Ferrari G., Benazzi E., Palazzi S.
Smria-Uonpia – Ausl Ferrara & Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Ferrara
Introduzione: In questi ultimi anni i disturbi dello spettro autistico sono aumentati in modo esponenziale in diverse aree
geografiche; da una prevalenza media nel 1991 di 4,4/10.000 ad una prevalenza di 12,7/10.000 negli studi effettuati tra il
1992 e il 2001. I dati di più recente acquisizione riportano una prevalenza media di 6-9/1000.
Scopo: Lo studio si propone di stimare la prevalenza dell’autismo in provincia di Ferrara, individuando, attraverso uno
studio epidemiologico trasversale, i fattori socio-economici, i fattori perinatali ed eventuali patologie associate ai disturbi
dello spettro autistico.
Metodologia e soggetti: Sono stati considerati i bambini con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo (codice ICD10: F84) seguiti presso i servizi di Salute Mentale e Riabilitazione Infanzia-Adolescenza della provincia di Ferrara dal
1995 al 2009. La raccolta dei dati è avvenuta attraverso il sistema informatico normalmente in uso e l’analisi delle cartelle
cliniche.
Per la ricerca ci si è basati sulla selezione di diverse variabili cliniche: familiarità del disturbo, epilessia associata,
perinatalità, età alla diagnosi e grado della disabilità valutato con la Children’s Global Assessment Scale (CGAS).
Risultati e discussione: In provincia di Ferrara vi sono 87 bambini con diagnosi F84, con una prevalenza di quasi 2/1000,
comunque inferiore rispetto agli ultimi dati della letteratura internazionale (6-9/1000).
Nei fattori socio-economici sono stati inclusi l’origine, lo stato sociale e il grado di urbanizzazione.
L’origine è varia: il 65,5% dei bambini provengono dall’Emilia Romagna; 21,8% da altre regioni italiane; in 10 famiglie i
genitori provengono da paesi extra comunitari (11,5%), tra le quali 6 in cui solo la madre è un’immigrata. Un bambino
inoltre è stato adottato.
Lo stato sociale delle famiglie considerate è medio o alto nel 71,3% dei casi e basso nel 28,7%.
La percentuale di autistici nelle aree considerate rurali (<9000 abitanti) è doppia rispetto a quella delle aree urbanizzate
(>9000 abitanti), paragonata alla popolazione generale, con tempi di diagnosi più lunghi di circa un anno. Il 6,9% dei
pazienti ha familiarità per autismo o ritardi dello sviluppo.
La percentuale di epilessia è inferiore all’atteso: 11,5%, a differenza della letteratura, dove si rilevano percentuali medie
del 30%. Inoltre il 4,6% dei bambini ha avuto un evento perinatale: prematurità, asfissia, sindrome fetale alcolica.
Il grado di disabilità è risultato molto variabile, con un valore CGAS medio di 41,2.
L’epidemiologia dell’autismo nella Regione Emilia Romagna è un noto campo di interesse grazie al PRIA (Progetto
Regionale Integrato per l’Assistenza alle persone con Disturbi dello Spettro Autistico). Gli ultimi dati di questo studio,
risalenti al 2009, riportano una prevalenza di ASD in Emilia Romagna pari a 2/1000.
Indagare i fattori associati all’autismo nel proprio distretto è importante sia per una tempestiva e completa diagnosi, sia
per la pianificazione territoriale delle risorse per i servizi dell’infanzia-adolescenza e dell’età adulta.
Introduzione: In questi ultimi anni i disturbi dello spettro autistico sono aumentati in modo esponenziale in diverse aree
geografiche; da una prevalenza media nel 1991 di 4,4/10.000 ad una prevalenza di 12,7/10.000 negli studi effettuati tra il
1992 e il 2001. I dati di più recente acquisizione riportano una prevalenza media di 6-9/1000.
Scopo: Lo studio si propone di stimare la prevalenza dell’autismo in provincia di Ferrara, individuando, attraverso uno
studio epidemiologico trasversale, i fattori socio-economici, i fattori perinatali ed eventuali patologie associate ai disturbi
dello spettro autistico.
Metodologia e soggetti: Sono stati considerati i bambini con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo (codice ICD10: F84) seguiti presso i servizi di Salute Mentale e Riabilitazione Infanzia-Adolescenza della provincia di Ferrara dal
1995 al 2009. La raccolta dei dati è avvenuta attraverso il sistema informatico normalmente in uso e l’analisi delle cartelle
cliniche.
Per la ricerca ci si è basati sulla selezione di diverse variabili cliniche: familiarità del disturbo, epilessia associata,
perinatalità, età alla diagnosi e grado della disabilità valutato con la Children’s Global Assessment Scale (CGAS).
Risultati e discussione: In provincia di Ferrara vi sono 87 bambini con diagnosi F84, con una prevalenza di quasi 2/1000,
comunque inferiore rispetto agli ultimi dati della letteratura internazionale (6-9/1000).
Nei fattori socio-economici sono stati inclusi l’origine, lo stato sociale e il grado di urbanizzazione.
L’origine è varia: il 65,5% dei bambini provengono dall’Emilia Romagna; 21,8% da altre regioni italiane; in 10 famiglie i
genitori provengono da paesi extra comunitari (11,5%), tra le quali 6 in cui solo la madre è un’immigrata. Un bambino
inoltre è stato adottato.
Lo stato sociale delle famiglie considerate è medio o alto nel 71,3% dei casi e basso nel 28,7%.
La percentuale di autistici nelle aree considerate rurali (<9000 abitanti) è doppia rispetto a quella delle aree urbanizzate
(>9000 abitanti), paragonata alla popolazione generale, con tempi di diagnosi più lunghi di circa un anno. Il 6,9% dei
pazienti ha familiarità per autismo o ritardi dello sviluppo.
La percentuale di epilessia è inferiore all’atteso: 11,5%, a differenza della letteratura, dove si rilevano percentuali medie
del 30%. Inoltre il 4,6% dei bambini ha avuto un evento perinatale: prematurità, asfissia, sindrome fetale alcolica.
Il grado di disabilità è risultato molto variabile, con un valore CGAS medio di 41,2.
L’epidemiologia dell’autismo nella Regione Emilia Romagna è un noto campo di interesse grazie al PRIA (Progetto
Regionale Integrato per l’Assistenza alle persone con Disturbi dello Spettro Autistico). Gli ultimi dati di questo studio,
risalenti al 2009, riportano una prevalenza di ASD in Emilia Romagna pari a 2/1000.
Indagare i fattori associati all’autismo nel proprio distretto è importante sia per una tempestiva e completa diagnosi, sia
per la pianificazione territoriale delle risorse per i servizi dell’infanzia-adolescenza e dell’età adulta.
Bibliografia
1)
Cuccaro M.L. et al, Brief report: professional perceptions of children with developmental difficulties: the influence
of race and socioeconomic status. Journal of Autism Development Disorder,1996, 16(4), 461-469.
2)
Fombonne E., Epidemiological Surveys of Autism and Other Pervasive Developmental Disorders: An Update, J
Autism Dev Disord. 2003 Aug; 33(4):365-82
3)
Palazzi S Correlazioni clinico-epidemiologiche della disabilità intellettiva lieve, Psichiatria dell’infanzia e
dell’adolescenza (2003) 70, 725-732
a.
Susan E Levy et al Autism, Lancet 2009; 374: 1627-38
4)
Tuchman R, Rapin I., Epilepsy in autism, Lancet Neurol. 2002 Oct; 1(6):352-8
5)
F. Nardocci, M. Andruccioli, E. Frejaville, A.M. Dalla Vecchia, F. Ciceri Quaderni del PRIA, Programma regionale
integrato per l’assistenza alle persone con disturbo dello Spettro Autistico. Andamento Statistico Epidemiologico - Dati
2009, Sett 2010.
Bibliografia
1)
Cuccaro M.L. et al, Brief report: professional perceptions of children with developmental difficulties: the influence
of race and socioeconomic status. Journal of Autism Development Disorder,1996, 16(4), 461-469.
2)
Fombonne E., Epidemiological Surveys of Autism and Other Pervasive Developmental Disorders: An Update, J
Autism Dev Disord. 2003 Aug; 33(4):365-82
3)
Palazzi S Correlazioni clinico-epidemiologiche della disabilità intellettiva lieve, Psichiatria dell’infanzia e
dell’adolescenza (2003) 70, 725-732
a.
Susan E Levy et al Autism, Lancet 2009; 374: 1627-38
4)
Tuchman R, Rapin I., Epilepsy in autism, Lancet Neurol. 2002 Oct; 1(6):352-8
5)
F. Nardocci, M. Andruccioli, E. Frejaville, A.M. Dalla Vecchia, F. Ciceri Quaderni del PRIA, Programma regionale
integrato per l’assistenza alle persone con disturbo dello Spettro Autistico. Andamento Statistico Epidemiologico - Dati
2009, Sett 2010.
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NEUROPSICOLOGIA
NEUROPSICOLOGIA
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PROFILO NEUROPSICOLOGICO E DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO IN
BAMBINI AFFETTI DA DMD: DATI PRELIMINARI
PROFILO NEUROPSICOLOGICO E DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO IN
BAMBINI AFFETTI DA DMD: DATI PRELIMINARI
Astrea G., Pecini C., Gasperini F., Fiorillo C., Bruno C., Santorelli F.M., Cioni G., Battini R.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Astrea G., Pecini C., Gasperini F., Fiorillo C., Bruno C., Santorelli F.M., Cioni G., Battini R.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia ad ereditarietà X-linked che colpisce 1/3500 bambini di sesso
maschile. E’ causata da mutazioni a carico del gene codificante la proteina distrofina, una proteina strutturale della
membrana muscolare. Isoforme di distrofina sono state localizzate anche in differenti tessuti, tra cui l’encefalo, facendo
ipotizzare una loro alterazione in correlazione a differenti mutazioni genetiche.
Sin dalla prima descrizione clinica di DMD veniva riportata l’associazione di problemi cognitivi e disabilità verbali
assieme al quadro neuromuscolare. Negli anni successivi, il dato è stato confermato in diversi studi stimando
un’incidenza variabile tra il 30% ed il 50% e descrivendo un prevalente interessamento delle competenze cognitive
verbali. Ad oggi, non è stato riportato un profilo cognitivo specifico in pazienti affetti da DMD e non è chiara l’eventuale
associazione con un disturbo dell’apprendimento scolastico.
Scopo dello studio è quello di analizzare il profilo neuropsicologico in bambini affetti da DMD al fine di riconoscere
eventuali difficoltà di apprendimento della lingua scritta anche attraverso il confronto con pazienti affetti da Dislessia
Evolutiva (DE).
Sono stati valutati sei pazienti affetti da DMD di età compresa tra 7 e 12 anni e 12 pazienti affetti da DE, di pari età e
sesso, di cui 6 riportavano una storia di ritardo di linguaggio (DEL).
E’ stato somministrato un protocollo neuropsicologico con test specifici volto ad indagare le competenze cognitive
globali (WISC-III), le funzioni verbali e non verbali (test di memoria di lavoro e a breve termine, test di fluenza verbale,
di denominazione rapida automatizzata (RAN) e di integrazione visuomotoria) e le competenze di apprendimento di lettoscrittura.
Entrambi i gruppi di pazienti (DMD e DE) hanno mostrato un quoziente intellettivo globale nel range della norma;
tuttavia, i pazienti affetti da DMD hanno evidenziato prestazioni significativamente peggiori in test verbali (WISC-III
sub-test verbale, working memory fonologica, fluenza semantica) rispetto a quelli con DE senza storia di ritardo di
linguaggio, ma non rispetto ai pazienti con DEL. Il RAN test, inoltre, ha mostrato in ciascuna popolazione una lentezza di
recupero lessicale.
I risultati preliminari finora ottenuti sembrano confermare l’ipotesi di un aumentato rischio di difficoltà di apprendimento
scolastico nei bambini con DMD, verosimilmente sotteso ad una difficoltà di recupero lessicale e/o ad un deficit della
memoria di lavoro. Tale dato è di notevole rilevanza se si considera che il riconoscimento e l’intervento precoce di
difficoltà di apprendimento potrebbero permettere un trattamento riabilitativo neuropsicologico mirato ed un migliore
inserimento scolastico.
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia ad ereditarietà X-linked che colpisce 1/3500 bambini di sesso
maschile. E’ causata da mutazioni a carico del gene codificante la proteina distrofina, una proteina strutturale della
membrana muscolare. Isoforme di distrofina sono state localizzate anche in differenti tessuti, tra cui l’encefalo, facendo
ipotizzare una loro alterazione in correlazione a differenti mutazioni genetiche.
Sin dalla prima descrizione clinica di DMD veniva riportata l’associazione di problemi cognitivi e disabilità verbali
assieme al quadro neuromuscolare. Negli anni successivi, il dato è stato confermato in diversi studi stimando
un’incidenza variabile tra il 30% ed il 50% e descrivendo un prevalente interessamento delle competenze cognitive
verbali. Ad oggi, non è stato riportato un profilo cognitivo specifico in pazienti affetti da DMD e non è chiara l’eventuale
associazione con un disturbo dell’apprendimento scolastico.
Scopo dello studio è quello di analizzare il profilo neuropsicologico in bambini affetti da DMD al fine di riconoscere
eventuali difficoltà di apprendimento della lingua scritta anche attraverso il confronto con pazienti affetti da Dislessia
Evolutiva (DE).
Sono stati valutati sei pazienti affetti da DMD di età compresa tra 7 e 12 anni e 12 pazienti affetti da DE, di pari età e
sesso, di cui 6 riportavano una storia di ritardo di linguaggio (DEL).
E’ stato somministrato un protocollo neuropsicologico con test specifici volto ad indagare le competenze cognitive
globali (WISC-III), le funzioni verbali e non verbali (test di memoria di lavoro e a breve termine, test di fluenza verbale,
di denominazione rapida automatizzata (RAN) e di integrazione visuomotoria) e le competenze di apprendimento di lettoscrittura.
Entrambi i gruppi di pazienti (DMD e DE) hanno mostrato un quoziente intellettivo globale nel range della norma;
tuttavia, i pazienti affetti da DMD hanno evidenziato prestazioni significativamente peggiori in test verbali (WISC-III
sub-test verbale, working memory fonologica, fluenza semantica) rispetto a quelli con DE senza storia di ritardo di
linguaggio, ma non rispetto ai pazienti con DEL. Il RAN test, inoltre, ha mostrato in ciascuna popolazione una lentezza di
recupero lessicale.
I risultati preliminari finora ottenuti sembrano confermare l’ipotesi di un aumentato rischio di difficoltà di apprendimento
scolastico nei bambini con DMD, verosimilmente sotteso ad una difficoltà di recupero lessicale e/o ad un deficit della
memoria di lavoro. Tale dato è di notevole rilevanza se si considera che il riconoscimento e l’intervento precoce di
difficoltà di apprendimento potrebbero permettere un trattamento riabilitativo neuropsicologico mirato ed un migliore
inserimento scolastico.
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SORDITÀ E APPRENDIMENTO
SORDITÀ E APPRENDIMENTO
Bagnolo V., Maroscia E., Grelloni C., Troianiello M., Terribili M., Curatolo P.
Policlinico Tor Vergata Roma
Bagnolo V., Maroscia E., Grelloni C., Troianiello M., Terribili M., Curatolo P.
Policlinico Tor Vergata Roma
Introduzione: la sordità, di per sé, non implica e non causa deficit cognitivi; tuttavia, la minore esposizione in età
prescolare al linguaggio causa riduzione dell’apprendimento dalle esperienze non verbali e porta ad avere, in età scolare,
un’espressione verbale più concreta e meno fluida e corretta dal punto di vista sintattico. Le difficoltà nell’apprendimento
possono essere legate all’iniziale perdita della comprensione linguistica.
Scopo: confermiamo, mediante questo caso, come le difficoltà nell’apprendimento della lingua parlata e scritta, possano
condurre a problemi in alcuni ambiti dello sviluppo cognitivo ed emotivo (Marschark, 1995). Evidenziamo inoltre come
la condizione di ipoacusia possa modificare, oltre all'apprendimento, anche altri sistemi neuropsicologici, come quello
attentivo.
Caso clinico: presentiamo il caso di una bambina di 9 anni con ipoacusia del 40% e difficoltà di comprensione.
La valutazione cognitiva non verbale ha mostrato un Quoziente Intellettivo di 90. Sono state evidenziate cadute nella
comprensione morfosintattica e nella comprensione del brano letto con deficit nella memoria fonologia e nell’attenzione;
adeguata è invece risultata la memoria visuospaziale. Sono state somministrate le interviste strutturate CDI (Children
Depression Interview) e MASC (Multidimensional Anxiety Scale For Children), l’intervista semistrutturata K-SADS
(Kiddie Schedule For Affective Disorders And Schizophrenia Mania Rating Scale) dalle quali sono evidenti punteggi
elevati per l’ansia da prestazione e l’ansia sociale.
Conclusioni: la sordità induce cambiamenti nella plasticità neuronale: l’assenza di input uditivi è responsabile del
cambiamento del sistema attentivo e riorganizzazione del processo di informazione visiva.
Introduzione: la sordità, di per sé, non implica e non causa deficit cognitivi; tuttavia, la minore esposizione in età
prescolare al linguaggio causa riduzione dell’apprendimento dalle esperienze non verbali e porta ad avere, in età scolare,
un’espressione verbale più concreta e meno fluida e corretta dal punto di vista sintattico. Le difficoltà nell’apprendimento
possono essere legate all’iniziale perdita della comprensione linguistica.
Scopo: confermiamo, mediante questo caso, come le difficoltà nell’apprendimento della lingua parlata e scritta, possano
condurre a problemi in alcuni ambiti dello sviluppo cognitivo ed emotivo (Marschark, 1995). Evidenziamo inoltre come
la condizione di ipoacusia possa modificare, oltre all'apprendimento, anche altri sistemi neuropsicologici, come quello
attentivo.
Caso clinico: presentiamo il caso di una bambina di 9 anni con ipoacusia del 40% e difficoltà di comprensione.
La valutazione cognitiva non verbale ha mostrato un Quoziente Intellettivo di 90. Sono state evidenziate cadute nella
comprensione morfosintattica e nella comprensione del brano letto con deficit nella memoria fonologia e nell’attenzione;
adeguata è invece risultata la memoria visuospaziale. Sono state somministrate le interviste strutturate CDI (Children
Depression Interview) e MASC (Multidimensional Anxiety Scale For Children), l’intervista semistrutturata K-SADS
(Kiddie Schedule For Affective Disorders And Schizophrenia Mania Rating Scale) dalle quali sono evidenti punteggi
elevati per l’ansia da prestazione e l’ansia sociale.
Conclusioni: la sordità induce cambiamenti nella plasticità neuronale: l’assenza di input uditivi è responsabile del
cambiamento del sistema attentivo e riorganizzazione del processo di informazione visiva.
Bibliografia:
Discourse rules in the language production of deaf and hearing Children J. Exp. Child Psychol. 1994 Feb;57(1):89-107.
Marschark M.
Visual skills and cross modal plasticità in deaf readers Ann. N.Y. Acad. Sci. 1145: 71-82 (2008). Dye M.W.G., Hauser
P.C., Bavelier D.
Language ability and verbal and nonverbal executive functioning in deaf students communicating in spoken English J.
Deaf Stud. Deaf Educ. 2008 Fall;13(4):531-45. Remine M.D., Care E., Brown P.M.
Bibliografia:
Discourse rules in the language production of deaf and hearing Children J. Exp. Child Psychol. 1994 Feb;57(1):89-107.
Marschark M.
Visual skills and cross modal plasticità in deaf readers Ann. N.Y. Acad. Sci. 1145: 71-82 (2008). Dye M.W.G., Hauser
P.C., Bavelier D.
Language ability and verbal and nonverbal executive functioning in deaf students communicating in spoken English J.
Deaf Stud. Deaf Educ. 2008 Fall;13(4):531-45. Remine M.D., Care E., Brown P.M.
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PERCEZIONE DEL MOVIMENTO NELLA SINDROME DI DOWN E DIAGNOSI
PRECOCE DI DETERIORAMENTO COGNITIVO
PERCEZIONE DEL MOVIMENTO NELLA SINDROME DI DOWN E DIAGNOSI
PRECOCE DI DETERIORAMENTO COGNITIVO
Bargagna S., Luongo T., Tinelli F., D’Acunto G., Guzzetta A.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Bargagna S., Luongo T., Tinelli F., D’Acunto G., Guzzetta A.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Background: è ormai nota in letteratura la stretta relazione tra la Sindrome di Down (SD) e il deterioramento cognitivo
Alzheimer-like (Shin et al. 2004, Lott et al. 2006, Nistor et al. 2007). Nei soggetti Alzheimer è stata riportato tra i primi
segni di deterioramento cognitivo un deficit nel processamento visivo del movimento (Duffy 2009), Lo stesso tipo di
alterazione è stata riscontrata anche in un campione di adulti con sindrome di Down (dati non pubblicati), ma non è noto
se tale deficit rappresenti una caratteristica della sindrome o un segno precoce di deterioramento.
Obiettivi: scopo di questo studio è stato quello di studiare la percezione del flusso ottico di movimento in un gruppo di
adolescenti con SD, al fine di determinare se tale funzione, deficitaria negli adulti con SD non ancora cognitivamente
impoveriti, sia espressione precoce del deterioramento cognitivo Alzheimer-like o sia una caratteristica tipica del fenotipo
Down già presente in età evolutiva.
Soggetti e metodi: il campione studiato è composto da otto soggetti adolescenti con SD (5M), di età compresa tra i nove
e i tredici anni. La loro performance al test di percezione del movimento è stata comparata con quella di un gruppo di
undici soggetti Down adulti (età media 25,7 anni). Al fine di ottenere una sufficiente compliance ai test visivi
somministrati, sono stati selezionati, per lo studio, soggetti con capacità cognitive nell’ambito del ritardo mentale lieve,
documentato alle Wechsler Intelligence Scales e/o alla scala Vineland.
La percezione del movimento è stato studiata mediante test di psicofisica volti a valutare le capacità di ciascun soggetto
nel riconoscere il movimento di traslazione (destra/sinistra; su/giù), espansione e rotazione (Morrone et al. 2000). Gli
stimoli utilizzati sono conosciuti come “Random Dot Kinematograms” (RDK) e consistono in 100 punti, metà bianchi e
metà neri, di contrasto massimo, che compaiono su uno sfondo grigio di luminanza media per un tempo “lifetime” pari a
5 fotogrammi di animazione (ognuno della durata di 25ms) e poi si estingue. I punti si muovono in modo coerente,
seguendo una traiettoria (che sia di traslazione, o espansione o rotazione), e sono presentati insieme al rumore, generato
dal movimento random di altri punti identici ai precedenti e che hanno localmente la stessa traiettoria del segnale, ma la
direzione del loro movimento è casuale.
Risultati e conclusioni: i dati riguardanti la percezione del movimento di espansione e di rotazione, non sono
significativamente differenti tra i 2 gruppi. I dati riguardanti invece il movimento di traslazione, sono significativamente
diversi tra i 2 gruppi (t test, p=0.034), con soglie di percezione migliori per il gruppo degli adolescenti rispetto a quello
degli adulti. Questi risultati supportano l’ipotesi che la percezione del movimento di rotazione e di espansione siano
deficitari fin dall’età evolutiva, e costituiscano quindi una caratteristica tipica del fenotipo Down. Al contrario, la
percezione dei movimenti di traslazione potrebbe subire un deterioramento nella fase adulta e rappresentare
potenzialmente un indice precoce di declino cognitivo, in analogia con quanto avviene nel paziente Alzheimer.
Qualora questi risultati fossero confermati da studi longitudinali più ampi, la valutazione della percezione del movimento
di traslazione nei soggetti con SD potrebbe essere utilizzata per anticipare l’insorgenza clinica dei segni di
deterioramento, consentendo così di attuare ogni possibile piano terapeutico in grado di rallentare il declino cognitivo.
Background: è ormai nota in letteratura la stretta relazione tra la Sindrome di Down (SD) e il deterioramento cognitivo
Alzheimer-like (Shin et al. 2004, Lott et al. 2006, Nistor et al. 2007). Nei soggetti Alzheimer è stata riportato tra i primi
segni di deterioramento cognitivo un deficit nel processamento visivo del movimento (Duffy 2009), Lo stesso tipo di
alterazione è stata riscontrata anche in un campione di adulti con sindrome di Down (dati non pubblicati), ma non è noto
se tale deficit rappresenti una caratteristica della sindrome o un segno precoce di deterioramento.
Obiettivi: scopo di questo studio è stato quello di studiare la percezione del flusso ottico di movimento in un gruppo di
adolescenti con SD, al fine di determinare se tale funzione, deficitaria negli adulti con SD non ancora cognitivamente
impoveriti, sia espressione precoce del deterioramento cognitivo Alzheimer-like o sia una caratteristica tipica del fenotipo
Down già presente in età evolutiva.
Soggetti e metodi: il campione studiato è composto da otto soggetti adolescenti con SD (5M), di età compresa tra i nove
e i tredici anni. La loro performance al test di percezione del movimento è stata comparata con quella di un gruppo di
undici soggetti Down adulti (età media 25,7 anni). Al fine di ottenere una sufficiente compliance ai test visivi
somministrati, sono stati selezionati, per lo studio, soggetti con capacità cognitive nell’ambito del ritardo mentale lieve,
documentato alle Wechsler Intelligence Scales e/o alla scala Vineland.
La percezione del movimento è stato studiata mediante test di psicofisica volti a valutare le capacità di ciascun soggetto
nel riconoscere il movimento di traslazione (destra/sinistra; su/giù), espansione e rotazione (Morrone et al. 2000). Gli
stimoli utilizzati sono conosciuti come “Random Dot Kinematograms” (RDK) e consistono in 100 punti, metà bianchi e
metà neri, di contrasto massimo, che compaiono su uno sfondo grigio di luminanza media per un tempo “lifetime” pari a
5 fotogrammi di animazione (ognuno della durata di 25ms) e poi si estingue. I punti si muovono in modo coerente,
seguendo una traiettoria (che sia di traslazione, o espansione o rotazione), e sono presentati insieme al rumore, generato
dal movimento random di altri punti identici ai precedenti e che hanno localmente la stessa traiettoria del segnale, ma la
direzione del loro movimento è casuale.
Risultati e conclusioni: i dati riguardanti la percezione del movimento di espansione e di rotazione, non sono
significativamente differenti tra i 2 gruppi. I dati riguardanti invece il movimento di traslazione, sono significativamente
diversi tra i 2 gruppi (t test, p=0.034), con soglie di percezione migliori per il gruppo degli adolescenti rispetto a quello
degli adulti. Questi risultati supportano l’ipotesi che la percezione del movimento di rotazione e di espansione siano
deficitari fin dall’età evolutiva, e costituiscano quindi una caratteristica tipica del fenotipo Down. Al contrario, la
percezione dei movimenti di traslazione potrebbe subire un deterioramento nella fase adulta e rappresentare
potenzialmente un indice precoce di declino cognitivo, in analogia con quanto avviene nel paziente Alzheimer.
Qualora questi risultati fossero confermati da studi longitudinali più ampi, la valutazione della percezione del movimento
di traslazione nei soggetti con SD potrebbe essere utilizzata per anticipare l’insorgenza clinica dei segni di
deterioramento, consentendo così di attuare ogni possibile piano terapeutico in grado di rallentare il declino cognitivo.
Bibliografia:
NISTOR M, DON M, PAREKH M, SARSOZA F, GOODUS M, LOPEZ GE, KAWAS C, LEVERENZ J, DORAN E,
LOTT IT, HILL M, HEAD E. (2007) “Alpha- and beta-secretase activity as a function of age and beta-amyloid in Down
syndrome and normal brain.” Neurobiol Aging. 2007 Oct;28(10):1493-506. Epub 2006 Aug 9.
SHIN JH, LONDON J, LE PECHEUR M, HÖGER H, POLLAK D, LUBEC G.(2004) “Aberrant neuronal and
mitochondrial proteins in hippocampus of transgenic mice overexpressing human Cu/Zn superoxide dismutase 1” Free
Radic Biol Med. 2004 Sep 1;37(5):643-53.
LOTT IT, HEAD E, DORAN E, BUSCIGLIO J.(2006) “Beta-amyloid, oxidative stress and down syndrome”. Curr
Alzheimer Res. 2006 Dec;3(5):521-8. Review.
DUFFY CJ. Visual motion processing in aging and Alzheimer's disease: neuronal mechanisms and behavior from
monkeys to man. Ann N Y Acad Sci. 2009 Jul;1170:736-44.
MORRONE M C, TOSETTI M, MONTANARO D, BURR D C, FIORENTINI A, CIONI G, 2000 "A cortical area that
responds specifically to optic flow, revealed by function Magnetic Resonance Imaging." Nature Neuroscience 3 13221328.
Bibliografia:
NISTOR M, DON M, PAREKH M, SARSOZA F, GOODUS M, LOPEZ GE, KAWAS C, LEVERENZ J, DORAN E,
LOTT IT, HILL M, HEAD E. (2007) “Alpha- and beta-secretase activity as a function of age and beta-amyloid in Down
syndrome and normal brain.” Neurobiol Aging. 2007 Oct;28(10):1493-506. Epub 2006 Aug 9.
SHIN JH, LONDON J, LE PECHEUR M, HÖGER H, POLLAK D, LUBEC G.(2004) “Aberrant neuronal and
mitochondrial proteins in hippocampus of transgenic mice overexpressing human Cu/Zn superoxide dismutase 1” Free
Radic Biol Med. 2004 Sep 1;37(5):643-53.
LOTT IT, HEAD E, DORAN E, BUSCIGLIO J.(2006) “Beta-amyloid, oxidative stress and down syndrome”. Curr
Alzheimer Res. 2006 Dec;3(5):521-8. Review.
DUFFY CJ. Visual motion processing in aging and Alzheimer's disease: neuronal mechanisms and behavior from
monkeys to man. Ann N Y Acad Sci. 2009 Jul;1170:736-44.
MORRONE M C, TOSETTI M, MONTANARO D, BURR D C, FIORENTINI A, CIONI G, 2000 "A cortical area that
responds specifically to optic flow, revealed by function Magnetic Resonance Imaging." Nature Neuroscience 3 13221328.
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ARRICCHIMENTO AMBIENTALE
E
FUNZIONALITÀ VISIVA PRECOCE:
ESPERIENZA PILOTA NELLA SINDROME DI DOWN
ARRICCHIMENTO AMBIENTALE
E
FUNZIONALITÀ VISIVA PRECOCE:
ESPERIENZA PILOTA NELLA SINDROME DI DOWN
Bargagna S., Bancale A., Caponi I., Inguaggiato E., D’Acunto G.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Bargagna S., Bancale A., Caponi I., Inguaggiato E., D’Acunto G.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Backgroud: l’arricchimento ambientale (AA) nelle prime settimane di vita ha dimostrato di accelerare la maturazione
della funzione visiva, sia nel modello animale sia nell’uomo (Sale et al. 2007; Guzzetta et al. 2009). In particolare, un
intervento di arricchimento basato sul massaggio infantile, ha determinato l’accelerazione della maturazione dell’acuità
visiva, a livello comportamentale ed elettrofisiologico, in un campione di neonati pretermine (Guzzetta et al 2009).
Obiettivi: scopo di questo studio pilota è di determinare l’effetto dell’arricchimento ambientale precoce in un campione
limitato di neonati con sindrome di Down. In particolare sono state sperimentate due differenti tipologie di AA, la prima
basata sul massaggio infantile, la seconda basata su un‘esperienza di acquaticità.
Soggetti e metodi: sono stati reclutati consecutivamente 3 neonati (2M 1F) con Sindrome di Down, successivamente
randomizzati nei 3 gruppi di studio. I criteri di inclusione prevedevano: nascita a termine, eco cerebrale nella norma,
assenza di patologie internistiche di rilievo, assenza di anomalie visive periferiche alla visita oftalmologica e consenso
scritto dei genitori. Il programma di massaggio (1 volta al giorno, da 1 mese di vita, per 6 settimane) è stato effettuato
direttamente dalla mamma, dopo un corso di formazione standard secondo le linee guida dell’Associazione Italiana
Massaggio Infantile. L’esperienza di acquaticità (2 sessioni a settimana, da 1 mese di vita, per 8 settimane) è consistito in
un corso in piscina riscaldata a 37° di attività sensomotoria tra genitore e bambino. La condizione di controllo è consistita
nell’accudimento non standardizzato della famiglia. Il protocollo di studio ha previsto la valutazione dell’acuità visiva di
risoluzione (AV) a 1, 2, 3 e 4 mesi post-natali, da parte di un operatore che non era a conoscenza del gruppo di
appartenenza dei soggetti. L’ AV è stata calcolata attraverso una tecnica comportamentale (V.Durand,1992).
Risultati e discussione: il principale risultato del nostro studio è rappresentato dal riscontro di differenze tra i tre soggetti
analizzati in alcuni indici di misurazione dello sviluppo delle funzioni visive ed in particolare dai risultati dell’AV.
All’età di 1, 2 e 3 mesi i valori di AV nei 3 soggetti sono risultati sostanzialmente stabili e tra loro sovrapponibili. Alla
valutazione dei 4 mesi, i due soggetti sottoposti ad arricchimento hanno mostrato un incremento dell’AV doppio rispetto
al soggetto di controllo (fattore 3 vs fattore 1.5). Tali risultati, sebbene frutto di un campione molto esiguo, sembrano
supportare l’ipotesi che anche nei soggetti con sindrome di Down un intervento precoce di arricchimento ambientale
determina una accelerazione della maturazione dell’acuità visiva, e sono in linea con quanto riportato nei neonati
pretermine (Guzzetta et al. 2009). Questa esperienza pilota ha informato uno studio randomizzato controllato
recentemente finanziato da parte della Fondazione Mariani. Esso coinvolgerà un ampio campione di neonati con
sindrome di Down sottoposti a massaggio infantile eseguito dalla madre, i cui effetti verranno valutati a breve e medio
termine con una completa batteria di test visivi e neuropsicologici. Saranno inoltre determinati gli effetti dell’intervento
sul benessere psichico materno e sulla relazione madre bambino con questionari e scale standardizzate.
Backgroud: l’arricchimento ambientale (AA) nelle prime settimane di vita ha dimostrato di accelerare la maturazione
della funzione visiva, sia nel modello animale sia nell’uomo (Sale et al. 2007; Guzzetta et al. 2009). In particolare, un
intervento di arricchimento basato sul massaggio infantile, ha determinato l’accelerazione della maturazione dell’acuità
visiva, a livello comportamentale ed elettrofisiologico, in un campione di neonati pretermine (Guzzetta et al 2009).
Obiettivi: scopo di questo studio pilota è di determinare l’effetto dell’arricchimento ambientale precoce in un campione
limitato di neonati con sindrome di Down. In particolare sono state sperimentate due differenti tipologie di AA, la prima
basata sul massaggio infantile, la seconda basata su un‘esperienza di acquaticità.
Soggetti e metodi: sono stati reclutati consecutivamente 3 neonati (2M 1F) con Sindrome di Down, successivamente
randomizzati nei 3 gruppi di studio. I criteri di inclusione prevedevano: nascita a termine, eco cerebrale nella norma,
assenza di patologie internistiche di rilievo, assenza di anomalie visive periferiche alla visita oftalmologica e consenso
scritto dei genitori. Il programma di massaggio (1 volta al giorno, da 1 mese di vita, per 6 settimane) è stato effettuato
direttamente dalla mamma, dopo un corso di formazione standard secondo le linee guida dell’Associazione Italiana
Massaggio Infantile. L’esperienza di acquaticità (2 sessioni a settimana, da 1 mese di vita, per 8 settimane) è consistito in
un corso in piscina riscaldata a 37° di attività sensomotoria tra genitore e bambino. La condizione di controllo è consistita
nell’accudimento non standardizzato della famiglia. Il protocollo di studio ha previsto la valutazione dell’acuità visiva di
risoluzione (AV) a 1, 2, 3 e 4 mesi post-natali, da parte di un operatore che non era a conoscenza del gruppo di
appartenenza dei soggetti. L’ AV è stata calcolata attraverso una tecnica comportamentale (V.Durand,1992).
Risultati e discussione: il principale risultato del nostro studio è rappresentato dal riscontro di differenze tra i tre soggetti
analizzati in alcuni indici di misurazione dello sviluppo delle funzioni visive ed in particolare dai risultati dell’AV.
All’età di 1, 2 e 3 mesi i valori di AV nei 3 soggetti sono risultati sostanzialmente stabili e tra loro sovrapponibili. Alla
valutazione dei 4 mesi, i due soggetti sottoposti ad arricchimento hanno mostrato un incremento dell’AV doppio rispetto
al soggetto di controllo (fattore 3 vs fattore 1.5). Tali risultati, sebbene frutto di un campione molto esiguo, sembrano
supportare l’ipotesi che anche nei soggetti con sindrome di Down un intervento precoce di arricchimento ambientale
determina una accelerazione della maturazione dell’acuità visiva, e sono in linea con quanto riportato nei neonati
pretermine (Guzzetta et al. 2009). Questa esperienza pilota ha informato uno studio randomizzato controllato
recentemente finanziato da parte della Fondazione Mariani. Esso coinvolgerà un ampio campione di neonati con
sindrome di Down sottoposti a massaggio infantile eseguito dalla madre, i cui effetti verranno valutati a breve e medio
termine con una completa batteria di test visivi e neuropsicologici. Saranno inoltre determinati gli effetti dell’intervento
sul benessere psichico materno e sulla relazione madre bambino con questionari e scale standardizzate.
Bibliografia
Guzzetta A, Baldini S, Bancale A, Baroncelli L, Ciucci F, Ghirri P, Putignano E, Sale A, Viegi A, Berardi N, Boldrini A,
Cioni G, Maffei L. "Massage accelerates brain development and the maturation of visual function". J Neurosci. 2009
May 6;29(18):6042-51.
Sale A, Maya Vetencourt JF, Medini P, Cenni MC, Baroncelli L, De Pasquale R, Maffei L. "Environmental enrichment in
adulthood promotes amblyopia recovery through a reduction of intracortical inhibition." Nat Neurosci. 2007
Jun;10(6):679-81.
Atkinson J, Van Hof-van Duin. Assessment of normal and abnormal vision during the first year of life. In: Fielder A,Bax
M, eds. "Management of Visual Handicap in Childhood". London: Mac Keith Press, 1993: 9-39.
Bibliografia
Guzzetta A, Baldini S, Bancale A, Baroncelli L, Ciucci F, Ghirri P, Putignano E, Sale A, Viegi A, Berardi N, Boldrini A,
Cioni G, Maffei L. "Massage accelerates brain development and the maturation of visual function". J Neurosci. 2009
May 6;29(18):6042-51.
Sale A, Maya Vetencourt JF, Medini P, Cenni MC, Baroncelli L, De Pasquale R, Maffei L. "Environmental enrichment in
adulthood promotes amblyopia recovery through a reduction of intracortical inhibition." Nat Neurosci. 2007
Jun;10(6):679-81.
Atkinson J, Van Hof-van Duin. Assessment of normal and abnormal vision during the first year of life. In: Fielder A,Bax
M, eds. "Management of Visual Handicap in Childhood". London: Mac Keith Press, 1993: 9-39.
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DECLINO MENTALE NELLA SINDROME DI DOWN: PUNTI DI FORZA E DI
DEBOLEZZA DEL PROFILO NEUROPSICOLOGICO
DECLINO MENTALE NELLA SINDROME DI DOWN: PUNTI DI FORZA E DI
DEBOLEZZA DEL PROFILO NEUROPSICOLOGICO
Bargagna S., Dressler A., Perelli V., Bozza M., D'Acunto G.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Bargagna S., Dressler A., Perelli V., Bozza M., D'Acunto G.
IRCCS – Fondazione Stella Maris – Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva – Pisa
Background scientifico: la Sindrome di Down (SD) è la causa più frequente di ritardo mentale di origine genetica. Gli
adulti con SD (che in Italia sono circa il 60% della popolazione con SD) presentano suscettibilità genetica a sviluppare
una neuropatologia di tipo Alzheimer (AD). Studi clinici hanno dimostrato una prevalenza di demenza negli adulti con
SD tra i 40 e i 52 anni di circa il 55%. Tra i fattori che influenzano l’età di esordio della demenza in questi soggetti,
quello più significativo sembra essere la presenza dell’allele epsilon4 dell’apolipoproteinaE (ApoE). La presenza del
cromosoma 21 in triplice copia porterebbe ad una sovraespressione del gene APP nei soggetti con SD, con accumulo
prematuro del precursore della beta-amiloide e conseguente insorgenza di Malattia di Alzheimer.
Obiettivi: l’obiettivo principale di questo studio è di determinare il profilo neuropsicologico dei soggetti adulti con SD, al
fine di consentire una diagnosi precoce di declino delle funzioni mentali in questa popolazione.
Soggetti e Metodi: il campione è risultato composto da 52 persone con SD (29 M e 23 F), con un’età compresa tra 19,02
anni e 52,34 anni (età media 28,9). Le misure di valutazione comprendevano una scala per la determinazione dei segni
clinici di demenza, sul comportamento e le funzioni adattive (DSDS, ABC, VABS), una batteria neuropsicologica (CPM,
WISC-III, VABS, span verbale in avanti e digit span, memoria di prosa, memoria autobiografica, test di Rey figura
complessa, test di memoria visuospaziale Corsi, Token Test, VMI, Orientamento spazio-temporale, prove di aprassia
ideomotoria, aprassia bucco-facciale) e la valutazione del linguaggio (test di fluenza verbale per categorie, test di fluenza
fonologica, clitici, test di comprensione verbale TCGB, test di comprensione lessicale Peabody, test di denominazione
figurata INPE).
Risultati e discussione: nessuno dei partecipanti allo studio ha soddisfatto i criteri per una diagnosi di demenza. Al DSDS
non si rilevano differenze statisticamente significative tra il gruppo dei giovani (minori di 30 anni) e quello degli anziani
(maggiore di 30 anni), sebbene il numero medio di segni iniziali sia più alto nel gruppo dei più anziani. Per quanto
riguarda l’adattamento sociale (scala VABS), il campione è stato suddiviso in tre gruppi per fasce di età: gruppo A di
soggetti di età minore ai 20 anni, gruppo B tra 20 e 30 anni, gruppo C soggetti di età maggiore di 30 anni. Non si
rilevano nel confronto per età differenze significative tra i tre gruppi, ma si osserva un trend dei punteggi caratterizzato da
un incremento delle capacità adattive con l’età fino a un picco intorno ai 30 anni, seguito da un lieve decremento nelle età
successive. Rispetto all’età cronologica anche il profilo linguistico appare piuttosto stabile tra i tre gruppi di età indicati.
Per quanto riguarda i punteggi riportati dal campione nelle prove neuropsicologiche, si rileva un trend evolutivo del
profilo simile a quanto rilevato per la scala Vineland, con una prestazione che sembra migliorare fino ai 35 anni e vede un
lieve declino in età più avanzate, nelle prove di memoria a breve termine, word span, digit span, nelle prove attentive,
nelle prove di memoria di prosa immediata e differita e in quelle di orientamento spazio-temporale. Si osserva un trend
lineare verso un peggioramento delle prestazioni con l’età nelle prove di memoria autobiografica, Token, nelle prassie,
nelle prove di fluenza.
In conclusione, il nostro campione non mostra evidenti decalage per le aree indagate nei gruppi separati per l’età. Allo
stesso tempo però è costante nei soggetti più anziani la presenza di segni disfunzionali nelle varie aree. I nostri dati sul
profilo cognitivo sono in linea con quanto si trova in letteratura (Numminem 2001, Devenny 2000). Invece, a differenza
di quanto riportato da Fowler e Caltagirone, nel nostro campione il profilo linguistico appare abbastanza stabile rispetto
all’età cronologica. Il campione mostra complessivamente delle prestazioni adattive superiori a quelle cognitive, il che
indica probabilmente la relazione con la stimolazione precoce e i trattamenti precoci e continuativi.
Background scientifico: la Sindrome di Down (SD) è la causa più frequente di ritardo mentale di origine genetica. Gli
adulti con SD (che in Italia sono circa il 60% della popolazione con SD) presentano suscettibilità genetica a sviluppare
una neuropatologia di tipo Alzheimer (AD). Studi clinici hanno dimostrato una prevalenza di demenza negli adulti con
SD tra i 40 e i 52 anni di circa il 55%. Tra i fattori che influenzano l’età di esordio della demenza in questi soggetti,
quello più significativo sembra essere la presenza dell’allele epsilon4 dell’apolipoproteinaE (ApoE). La presenza del
cromosoma 21 in triplice copia porterebbe ad una sovraespressione del gene APP nei soggetti con SD, con accumulo
prematuro del precursore della beta-amiloide e conseguente insorgenza di Malattia di Alzheimer.
Obiettivi: l’obiettivo principale di questo studio è di determinare il profilo neuropsicologico dei soggetti adulti con SD, al
fine di consentire una diagnosi precoce di declino delle funzioni mentali in questa popolazione.
Soggetti e Metodi: il campione è risultato composto da 52 persone con SD (29 M e 23 F), con un’età compresa tra 19,02
anni e 52,34 anni (età media 28,9). Le misure di valutazione comprendevano una scala per la determinazione dei segni
clinici di demenza, sul comportamento e le funzioni adattive (DSDS, ABC, VABS), una batteria neuropsicologica (CPM,
WISC-III, VABS, span verbale in avanti e digit span, memoria di prosa, memoria autobiografica, test di Rey figura
complessa, test di memoria visuospaziale Corsi, Token Test, VMI, Orientamento spazio-temporale, prove di aprassia
ideomotoria, aprassia bucco-facciale) e la valutazione del linguaggio (test di fluenza verbale per categorie, test di fluenza
fonologica, clitici, test di comprensione verbale TCGB, test di comprensione lessicale Peabody, test di denominazione
figurata INPE).
Risultati e discussione: nessuno dei partecipanti allo studio ha soddisfatto i criteri per una diagnosi di demenza. Al DSDS
non si rilevano differenze statisticamente significative tra il gruppo dei giovani (minori di 30 anni) e quello degli anziani
(maggiore di 30 anni), sebbene il numero medio di segni iniziali sia più alto nel gruppo dei più anziani. Per quanto
riguarda l’adattamento sociale (scala VABS), il campione è stato suddiviso in tre gruppi per fasce di età: gruppo A di
soggetti di età minore ai 20 anni, gruppo B tra 20 e 30 anni, gruppo C soggetti di età maggiore di 30 anni. Non si
rilevano nel confronto per età differenze significative tra i tre gruppi, ma si osserva un trend dei punteggi caratterizzato da
un incremento delle capacità adattive con l’età fino a un picco intorno ai 30 anni, seguito da un lieve decremento nelle età
successive. Rispetto all’età cronologica anche il profilo linguistico appare piuttosto stabile tra i tre gruppi di età indicati.
Per quanto riguarda i punteggi riportati dal campione nelle prove neuropsicologiche, si rileva un trend evolutivo del
profilo simile a quanto rilevato per la scala Vineland, con una prestazione che sembra migliorare fino ai 35 anni e vede un
lieve declino in età più avanzate, nelle prove di memoria a breve termine, word span, digit span, nelle prove attentive,
nelle prove di memoria di prosa immediata e differita e in quelle di orientamento spazio-temporale. Si osserva un trend
lineare verso un peggioramento delle prestazioni con l’età nelle prove di memoria autobiografica, Token, nelle prassie,
nelle prove di fluenza.
In conclusione, il nostro campione non mostra evidenti decalage per le aree indagate nei gruppi separati per l’età. Allo
stesso tempo però è costante nei soggetti più anziani la presenza di segni disfunzionali nelle varie aree. I nostri dati sul
profilo cognitivo sono in linea con quanto si trova in letteratura (Numminem 2001, Devenny 2000). Invece, a differenza
di quanto riportato da Fowler e Caltagirone, nel nostro campione il profilo linguistico appare abbastanza stabile rispetto
all’età cronologica. Il campione mostra complessivamente delle prestazioni adattive superiori a quelle cognitive, il che
indica probabilmente la relazione con la stimolazione precoce e i trattamenti precoci e continuativi.
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FUNZIONAMENTO NEUROPSICOLOGICO IN BAMBINE E ADOLESCENTI CON
ANORESSIA NERVOSA DI TIPO RESTRITTIVO
FUNZIONAMENTO NEUROPSICOLOGICO IN BAMBINE E ADOLESCENTI CON
ANORESSIA NERVOSA DI TIPO RESTRITTIVO
Calderoni S.*, Leggero C.*, Urgesi C.°, Fabbro F.°, Narzisi A.*, Apicella F.*, Maestro S.*,
Muratori F.*#
*IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa, °Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di
Udine, #Università di Pisa
Calderoni S.*, Leggero C.*, Urgesi C.°, Fabbro F.°, Narzisi A.*, Apicella F.*, Maestro S.*,
Muratori F.*#
*IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa, °Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di
Udine, #Università di Pisa
Background scientifico: numerosi studi hanno messo in luce il ruolo che i deficit neuropsicologici nelle funzioni
esecutive, nell'attenzione, nelle abilità visuo-spaziali e nella memoria possono esercitare sullo sviluppo e sul
mantenimento dell'anoressia nervosa di tipo restrittivo (AN-r).
Scopo: confrontare, tramite la batteria neuropsicologica NEPSY-II (Korkman et al. 2007), il profilo di bambine ed
adolescenti con una diagnosi di AN-r secondo il DSM-IV con quello di controlli con uno sviluppo tipico.
Metodologie e soggetti: un campione di 23 bambine ed adolescenti [età media (DS): 14.0 (2.1) anni; range: 9.1-16.11
anni] con una diagnosi clinica di AN-r è stato valutato attraverso tutti i test della versione italiana della NEPSY-II. La
NEPSY-II rappresenta uno dei più completi strumenti di valutazione neuropsicologica per bambini e adolescenti fino a 16
anni e 11 mesi, esaminati con prove appropriate per l'età. E' composta da numerosi test raggruppati in sei domini:
Attenzione e Funzionamento Esecutivo, Linguaggio, Memoria ed Apprendimento, Percezione Sociale, Funzioni
Sensomotorie e Processazione Visuospaziale. I criteri di esclusione delle pazienti erano rappresentati da: sintomi
psicotici, QI totale (scale Wechsler) inferiore a 80, presenza di una patologia internistica non correlata al disturbo
alimentare, importante instabilità internistica (grave ipotensione o bradicardia, disidratazione, squilibrio elettrolitico). Per
indagare l’influenza sui risultati di alcune variabili cliniche, le pazienti sono state divise in due gruppi sulla base del BMI
(≤ 2° percentile vs > 2° percentile), della durata di malattia (≤ 12 mesi vs > 12 mesi) o della comorbidità con un disturbo
depressivo (presenza vs assenza), valutato tramite la versione italiana della Schedule for Affective Disorders and
Schizophrenia for School-Age Children/Present and Lifetime Version (K-SADS-PL; Kaufman, 1997). Per comparare i
profili neuropsicologici, è stato selezionato in maniera casuale dal campione normativo italiano (Urgesi, Campanella,
Fabbro, in press) un gruppo di controllo composto da 46 soggetti con uno sviluppo tipico, appaiati alle pazienti per età ,
sesso e QI. Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il t-Test (p < .05 è stabilito come significativo corretto
per comparazioni multiple).
Risultati e discussioni: rispetto ai soggetti di controllo, i pazienti AN-r presentano una compromissione neuropsicologica
in due test del dominio Attenzione e Funzionamento Esecutivo e in un test del dominio Processazione Visuospaziale. In
particolare, risultano compromesse le prove: a) inibizione-condizione B; b) raggruppamento di animali c) puzzle
geometrici. I punteggi in tali prove non mostrano differenze statisticamente significative tra i due gruppi di pazienti divisi
in base alla gravità del BMI, alla durata di malattia o al disturbo depressivo in comorbidità. Mentre i deficit
nell'Attenzione e nel Funzionamento Esecutivo riflettono un'alterata flessibilità cognitiva, abilità spesso compromessa
nei pazienti con AN, i deficit visuo-spaziali emersi in queste pazienti potrebbero avere un ruolo nel disturbo della
percezione dell'immagine corporea, un criterio del DSM-IV-TR per l'AN-r. Inoltre, dal momento che la durata di malattia
non interferisce con i risultati ottenuti, può essere ipotizzato che i deficit neuropsicologici siano preesistenti all'esordio
della stessa e costituiscano un fattore di vulnerabilità per l'AN-r.
Background scientifico: numerosi studi hanno messo in luce il ruolo che i deficit neuropsicologici nelle funzioni
esecutive, nell'attenzione, nelle abilità visuo-spaziali e nella memoria possono esercitare sullo sviluppo e sul
mantenimento dell'anoressia nervosa di tipo restrittivo (AN-r).
Scopo: confrontare, tramite la batteria neuropsicologica NEPSY-II (Korkman et al. 2007), il profilo di bambine ed
adolescenti con una diagnosi di AN-r secondo il DSM-IV con quello di controlli con uno sviluppo tipico.
Metodologie e soggetti: un campione di 23 bambine ed adolescenti [età media (DS): 14.0 (2.1) anni; range: 9.1-16.11
anni] con una diagnosi clinica di AN-r è stato valutato attraverso tutti i test della versione italiana della NEPSY-II. La
NEPSY-II rappresenta uno dei più completi strumenti di valutazione neuropsicologica per bambini e adolescenti fino a 16
anni e 11 mesi, esaminati con prove appropriate per l'età. E' composta da numerosi test raggruppati in sei domini:
Attenzione e Funzionamento Esecutivo, Linguaggio, Memoria ed Apprendimento, Percezione Sociale, Funzioni
Sensomotorie e Processazione Visuospaziale. I criteri di esclusione delle pazienti erano rappresentati da: sintomi
psicotici, QI totale (scale Wechsler) inferiore a 80, presenza di una patologia internistica non correlata al disturbo
alimentare, importante instabilità internistica (grave ipotensione o bradicardia, disidratazione, squilibrio elettrolitico). Per
indagare l’influenza sui risultati di alcune variabili cliniche, le pazienti sono state divise in due gruppi sulla base del BMI
(≤ 2° percentile vs > 2° percentile), della durata di malattia (≤ 12 mesi vs > 12 mesi) o della comorbidità con un disturbo
depressivo (presenza vs assenza), valutato tramite la versione italiana della Schedule for Affective Disorders and
Schizophrenia for School-Age Children/Present and Lifetime Version (K-SADS-PL; Kaufman, 1997). Per comparare i
profili neuropsicologici, è stato selezionato in maniera casuale dal campione normativo italiano (Urgesi, Campanella,
Fabbro, in press) un gruppo di controllo composto da 46 soggetti con uno sviluppo tipico, appaiati alle pazienti per età ,
sesso e QI. Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il t-Test (p < .05 è stabilito come significativo corretto
per comparazioni multiple).
Risultati e discussioni: rispetto ai soggetti di controllo, i pazienti AN-r presentano una compromissione neuropsicologica
in due test del dominio Attenzione e Funzionamento Esecutivo e in un test del dominio Processazione Visuospaziale. In
particolare, risultano compromesse le prove: a) inibizione-condizione B; b) raggruppamento di animali c) puzzle
geometrici. I punteggi in tali prove non mostrano differenze statisticamente significative tra i due gruppi di pazienti divisi
in base alla gravità del BMI, alla durata di malattia o al disturbo depressivo in comorbidità. Mentre i deficit
nell'Attenzione e nel Funzionamento Esecutivo riflettono un'alterata flessibilità cognitiva, abilità spesso compromessa
nei pazienti con AN, i deficit visuo-spaziali emersi in queste pazienti potrebbero avere un ruolo nel disturbo della
percezione dell'immagine corporea, un criterio del DSM-IV-TR per l'AN-r. Inoltre, dal momento che la durata di malattia
non interferisce con i risultati ottenuti, può essere ipotizzato che i deficit neuropsicologici siano preesistenti all'esordio
della stessa e costituiscano un fattore di vulnerabilità per l'AN-r.
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RUOLO DELL’AMBIENTE NEL PROFILO NEUROPSICOLOGICO DEI DISTURBI
SPECIFICI DEL LINGUAGGIO
RUOLO DELL’AMBIENTE NEL PROFILO NEUROPSICOLOGICO DEI DISTURBI
SPECIFICI DEL LINGUAGGIO
D'Agostini Costa C., Ferretti L., Pietrosanti G., Penge R.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma, UOC NPI B
D'Agostini Costa C., Ferretti L., Pietrosanti G., Penge R.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma, UOC NPI B
Background scientifico: i dati emersi da lunghi anni di ricerca ci permettono di sostenere che il Disturbo Specifico del
Linguaggio (DSL) è una patologia multifattoriale ed essendo l’ereditarietà in genere notevolmente inferiore al 100%, le
variabili ambientali devono svolgere un ruolo importante nel loro sviluppo.
Scopo: lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l'influenza dei fattori ambientali, con particolare attenzione allo
Status Socio Economico (SES), nei DSL.
Metodologie e soggetti: il campione preso in esame è stato tratto da una popolazione clinica afferita al “Dipartimento di
Pediatria e Neuropsichiatria Infantile” e segnalati presso il Servizio di Neuropsicologia per ritardo nell'acquisizione del
linguaggio. All’interno della raccolta anamnestica è stata rilevata la presenza di familiarità per disturbi di linguaggio nel
nucleo familiare allargato. Ogni bambino è stato sottoposto al protocollo di valutazione neuropsicologica e
psicodiagnostica per l'età prescolare che prevede: i colloqui psichiatrici con i genitori; l'esame neurologico; il disegno
spontaneo e strutturato; una batteria specifica di test volti ad esplorare la funzione cognitiva, linguistica e motorioprassica. Il campione è costituito da 186 bambini di età compresa tra i 26 ed i 78 mesi. Il campione totale è stato
suddiviso in quattro gruppi in base alla presenza o assenza di familiarità per DSL ed in base alla tipologia di disturbo del
linguaggio. Dei 186 bambini, 101 presentavano una diagnosi di Disturbo Espressivo (di cui 50 con familiarità e 51 senza
familiarità) e 85 di Disturbo Misto (di cui 45 con familiarità e 40 senza familiarità). Il SES è stato calcolato con l'indice di
Hollingshead adattato alla situazione italiana. Dall’analisi della distribuzione dei punteggi così ottenuti sono state
costruite tre classi socio-economiche: alto, medio e basso.
Risultati e discussioni: la distribuzione del SES mostra come il 49,15% appartenga ad un livello medio, il 25,42% ad un
livello basso ed altrettanti ad un livello alto. Il confronto tra le distribuzioni del campione nelle tre classi di SES e la
presenza/assenza di familiarità non ha mostrato differenze statisticamente significative, mentre appare significativa la
distribuzione per diagnosi, con una maggior frequenza di livello basso nei DSL misti. Tra le correlazioni tra SES e altri
parametri appare particolarmente interessante quella con i parametri di comprensione linguistica presente nel solo gruppo
dei non familiari. Come atteso, l’influenza ambientale sembrerebbe quindi pesare maggiormente sulla comprensione che
non sulla produzione verbale. Il SES da un lato presenta maggior relazione con le prestazioni linguistiche del gruppo dei
non familiari, dall’altro figura più basso nei DSL misti rispetto agli espressivi, ma non nei DSL non familiari rispetto ai
familiari. La comprensione (semantica e morfo-sintattica) appare la competenza linguistica più legata al SES.
Background scientifico: i dati emersi da lunghi anni di ricerca ci permettono di sostenere che il Disturbo Specifico del
Linguaggio (DSL) è una patologia multifattoriale ed essendo l’ereditarietà in genere notevolmente inferiore al 100%, le
variabili ambientali devono svolgere un ruolo importante nel loro sviluppo.
Scopo: lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l'influenza dei fattori ambientali, con particolare attenzione allo
Status Socio Economico (SES), nei DSL.
Metodologie e soggetti: il campione preso in esame è stato tratto da una popolazione clinica afferita al “Dipartimento di
Pediatria e Neuropsichiatria Infantile” e segnalati presso il Servizio di Neuropsicologia per ritardo nell'acquisizione del
linguaggio. All’interno della raccolta anamnestica è stata rilevata la presenza di familiarità per disturbi di linguaggio nel
nucleo familiare allargato. Ogni bambino è stato sottoposto al protocollo di valutazione neuropsicologica e
psicodiagnostica per l'età prescolare che prevede: i colloqui psichiatrici con i genitori; l'esame neurologico; il disegno
spontaneo e strutturato; una batteria specifica di test volti ad esplorare la funzione cognitiva, linguistica e motorioprassica. Il campione è costituito da 186 bambini di età compresa tra i 26 ed i 78 mesi. Il campione totale è stato
suddiviso in quattro gruppi in base alla presenza o assenza di familiarità per DSL ed in base alla tipologia di disturbo del
linguaggio. Dei 186 bambini, 101 presentavano una diagnosi di Disturbo Espressivo (di cui 50 con familiarità e 51 senza
familiarità) e 85 di Disturbo Misto (di cui 45 con familiarità e 40 senza familiarità). Il SES è stato calcolato con l'indice di
Hollingshead adattato alla situazione italiana. Dall’analisi della distribuzione dei punteggi così ottenuti sono state
costruite tre classi socio-economiche: alto, medio e basso.
Risultati e discussioni: la distribuzione del SES mostra come il 49,15% appartenga ad un livello medio, il 25,42% ad un
livello basso ed altrettanti ad un livello alto. Il confronto tra le distribuzioni del campione nelle tre classi di SES e la
presenza/assenza di familiarità non ha mostrato differenze statisticamente significative, mentre appare significativa la
distribuzione per diagnosi, con una maggior frequenza di livello basso nei DSL misti. Tra le correlazioni tra SES e altri
parametri appare particolarmente interessante quella con i parametri di comprensione linguistica presente nel solo gruppo
dei non familiari. Come atteso, l’influenza ambientale sembrerebbe quindi pesare maggiormente sulla comprensione che
non sulla produzione verbale. Il SES da un lato presenta maggior relazione con le prestazioni linguistiche del gruppo dei
non familiari, dall’altro figura più basso nei DSL misti rispetto agli espressivi, ma non nei DSL non familiari rispetto ai
familiari. La comprensione (semantica e morfo-sintattica) appare la competenza linguistica più legata al SES.
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NEUROIMMAGINI E PROFILO NEUROPSICOLOGICO
NELL'ADRENOLEUCODISTROFIA LEGATA ALL'X
NEUROIMMAGINI E PROFILO NEUROPSICOLOGICO
NELL'ADRENOLEUCODISTROFIA LEGATA ALL'X
D'Agostini Costa C. *, Pietricola A.*, Bonanni A.M.*, Giannini M.T.*, Cappa M.°, Leuzzi
V.*
*Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria, Università Sapienza di Roma; °U.O. di
Endocrinologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
D'Agostini Costa C. *, Pietricola A.*, Bonanni A.M.*, Giannini M.T.*, Cappa M.°, Leuzzi
V.*
*Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria, Università Sapienza di Roma; °U.O. di
Endocrinologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Background scientifico: l'adrenoleucodistrofia a trasmissione recessiva legata all'X (ALD-X) è una patologia
neurodegenerativa severa associata ad una progressiva demielinizzazione del sistema nervoso centrale e periferico,
insufficienza surrenale (malattia di Addison) ed un accumulo di acidi grassi a catena molto lunga (VLCFA) nel plasma,
nei fibroblasti e nei tessuti. Nell'8% dei casi origina da nuove mutazioni. Le forme parieto-occipitali sono le più frequenti.
Scopo: i primi sintomi consistono in difficoltà cognitive, a livello visuomotorio e visuospaziale. Il Nostro scopo è quello
di valutare se vi sia una discrepanza tra neuroimmagini e profilo neuropsicologico nell'ALD-X.
Metodologie e soggetti: riportiamo il caso di un bambino di 8,6 anni che giunge al pronto soccorso per un episodio similcomiziale insorto in apiressia, al risveglio, con perdita di urine e seguito da ipotonia generalizzata, rallentamento nei
movimenti e nell'eloquio ed amnesia retrograda. Effettuate EEGvv, TAC e RMN encefalo si sospetta ALD. Il bambino
viene inviato presso il Reparto Degenze del Nostro Dipartimento. In anamnesi presente astenia e problemi uditivi da circa
sei mesi per cui ha effettuato un videat ORL risultato nella norma. La gravidanza è normodecorsa, con sviluppo
psicomotorio normale. Genitori non consanguinei entrambi italiani. Al bambino durante il ricovero sono stati effettuati:
dosaggio degli VLCFA e dell'ACTH plasmatico, cortisolemia, esame del campo visivo centrale cromatico, EEGvv, RMN
encefalo con spettroscopia, PEV, SEP, BAER, Sensory NCS, Motor NCS. Il probando, la madre ed il fratello minore
hanno effettuato l'analisi molecolare per la ricerca delle mutazioni note del gene ABCD1. Una volta confermata la
diagnosi e valutata l’impossibilità di effettuare il trapianto di midollo osseo, a causa dello stato avanzato della patologia,
il bambino ha iniziato terapia sostitutiva con idrocortisone ed Olio di Lorenzo per circa 18 mesi e da circa sei mesi è stato
arruolato in un protocollo sperimentale con Olio di Lorenzo modificato. Il bambino ha effettuato controlli clinici seriati e
ripetute valutazioni neuropsicologiche, con un follow-up attuale di due anni.
Risultati e discussioni: si rilevano un aumento dei valori degli VCLFA e dell'ACTH. Il bambino presenta una mutazione
puntiforme de novo per il gene ABCD1 (c.346G>A); la madre ed il fratello sono sani. All'EEGvv si evidenziano
anomalie lente posteriori. Risultano nella norma: cortisolemia, PEV, SEP, BAER, Sensory NCS, Motor NCS. All'esame
del campo visivo centrale cromatico si evidenzia un restringimento irregolare della soglia differenziale visiva per tutti gli
stimoli bilateralmente, prevalente per quello rosso. Alla RMN si rileva una diffusa, simmetrica e marcata
demielinizzazione predominante a livello parieto-occipitale. Alla spettroscopia si evidenzia un'elevazione del picco di
colina, con riduzione del picco del NAA e comparsa del picco del Lattato. L'esame trattografico dimostra rarefazione
delle fibre mieliniche nella sostanza bianca occipito-parietale bilateralmente, con interessamento delle radiazioni ottiche.
Tutte queste alterazioni permangono stabili nel tempo.
Nel corso delle Nostre valutazioni abbiamo registrato oscillazioni nel profilo neuropsicologico del bambino alle varie età,
con andamento non omogeneo, soprattutto in quei test che valutano le capacità motorie, di integrazione visuomotorie e gli
apprendimenti scolastici (letto-scrittura e matematica). Queste oscillazioni, non coincidono con il quadro neuro
radiologico, rimasto invariato nei due anni di follow-up, dimostrando così una discrepanza esistente tra neuroimmagini e
profilo neuropsicologico. Tutto ciò ci porta a mettere in evidenza quanto sia importante, nei paziente affetti da ALD,
integrare le indagini neuroradiologiche con una approfondita valutazione anche a livello neuropsicologico.
Background scientifico: l'adrenoleucodistrofia a trasmissione recessiva legata all'X (ALD-X) è una patologia
neurodegenerativa severa associata ad una progressiva demielinizzazione del sistema nervoso centrale e periferico,
insufficienza surrenale (malattia di Addison) ed un accumulo di acidi grassi a catena molto lunga (VLCFA) nel plasma,
nei fibroblasti e nei tessuti. Nell'8% dei casi origina da nuove mutazioni. Le forme parieto-occipitali sono le più frequenti.
Scopo: i primi sintomi consistono in difficoltà cognitive, a livello visuomotorio e visuospaziale. Il Nostro scopo è quello
di valutare se vi sia una discrepanza tra neuroimmagini e profilo neuropsicologico nell'ALD-X.
Metodologie e soggetti: riportiamo il caso di un bambino di 8,6 anni che giunge al pronto soccorso per un episodio similcomiziale insorto in apiressia, al risveglio, con perdita di urine e seguito da ipotonia generalizzata, rallentamento nei
movimenti e nell'eloquio ed amnesia retrograda. Effettuate EEGvv, TAC e RMN encefalo si sospetta ALD. Il bambino
viene inviato presso il Reparto Degenze del Nostro Dipartimento. In anamnesi presente astenia e problemi uditivi da circa
sei mesi per cui ha effettuato un videat ORL risultato nella norma. La gravidanza è normodecorsa, con sviluppo
psicomotorio normale. Genitori non consanguinei entrambi italiani. Al bambino durante il ricovero sono stati effettuati:
dosaggio degli VLCFA e dell'ACTH plasmatico, cortisolemia, esame del campo visivo centrale cromatico, EEGvv, RMN
encefalo con spettroscopia, PEV, SEP, BAER, Sensory NCS, Motor NCS. Il probando, la madre ed il fratello minore
hanno effettuato l'analisi molecolare per la ricerca delle mutazioni note del gene ABCD1. Una volta confermata la
diagnosi e valutata l’impossibilità di effettuare il trapianto di midollo osseo, a causa dello stato avanzato della patologia,
il bambino ha iniziato terapia sostitutiva con idrocortisone ed Olio di Lorenzo per circa 18 mesi e da circa sei mesi è stato
arruolato in un protocollo sperimentale con Olio di Lorenzo modificato. Il bambino ha effettuato controlli clinici seriati e
ripetute valutazioni neuropsicologiche, con un follow-up attuale di due anni.
Risultati e discussioni: si rilevano un aumento dei valori degli VCLFA e dell'ACTH. Il bambino presenta una mutazione
puntiforme de novo per il gene ABCD1 (c.346G>A); la madre ed il fratello sono sani. All'EEGvv si evidenziano
anomalie lente posteriori. Risultano nella norma: cortisolemia, PEV, SEP, BAER, Sensory NCS, Motor NCS. All'esame
del campo visivo centrale cromatico si evidenzia un restringimento irregolare della soglia differenziale visiva per tutti gli
stimoli bilateralmente, prevalente per quello rosso. Alla RMN si rileva una diffusa, simmetrica e marcata
demielinizzazione predominante a livello parieto-occipitale. Alla spettroscopia si evidenzia un'elevazione del picco di
colina, con riduzione del picco del NAA e comparsa del picco del Lattato. L'esame trattografico dimostra rarefazione
delle fibre mieliniche nella sostanza bianca occipito-parietale bilateralmente, con interessamento delle radiazioni ottiche.
Tutte queste alterazioni permangono stabili nel tempo.
Nel corso delle Nostre valutazioni abbiamo registrato oscillazioni nel profilo neuropsicologico del bambino alle varie età,
con andamento non omogeneo, soprattutto in quei test che valutano le capacità motorie, di integrazione visuomotorie e gli
apprendimenti scolastici (letto-scrittura e matematica). Queste oscillazioni, non coincidono con il quadro neuro
radiologico, rimasto invariato nei due anni di follow-up, dimostrando così una discrepanza esistente tra neuroimmagini e
profilo neuropsicologico. Tutto ciò ci porta a mettere in evidenza quanto sia importante, nei paziente affetti da ALD,
integrare le indagini neuroradiologiche con una approfondita valutazione anche a livello neuropsicologico.
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RUOLO DEI FATTORI GENETICI E/O FAMILIARI NEI DISTURBI SPECIFICI DEL
LINGUAGGIO
RUOLO DEI FATTORI GENETICI E/O FAMILIARI NEI DISTURBI SPECIFICI DEL
LINGUAGGIO
D'Agostini Costa C., Pietrosanti G., Ferretti L., Penge R.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma, UOC NPI B
D'Agostini Costa C., Pietrosanti G., Ferretti L., Penge R.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma, UOC NPI B
Background scientifico: i dati emersi da lunghi anni di ricerca ci permettono di sostenere che il Disturbo Specifico del
Linguaggio (DSL) è una patologia multifattoriale per la quale i fattori genetici sembrano essere predominanti. La
definizione chiara e la comprensione adeguata delle relazioni tra il genotipo ed il fenotipo permetterebbero di selezionare
adeguatamente i casi da includere negli studi molecolari.
Scopo: lo scopo di questo lavoro è quello di valutare se vi siano differenze significative nel profilo neuropsicologico dei
bambini con o senza familiarità affetti da DSL ed eventualmente individuare sottogruppi familiari con profilo omogeneo
su cui effettuare una ricerca genetica.
Metodologie e soggetti: il campione preso in esame è stato tratto da una popolazione clinica afferita al “Dipartimento di
Pediatria e Neuropsichiatria Infantile” e segnalati presso il Servizio di Neuropsicologia per ritardo nell'acquisizione del
linguaggio. All’interno della raccolta anamnestica è stata rilevata la presenza di familiarità per disturbi di linguaggio nel
nucleo familiare allargato. Ogni bambino è stato sottoposto al protocollo di valutazione neuropsicologica e
psicodiagnostica per l'età prescolare che prevede: i colloqui psichiatrici con i genitori; l'esame neurologico; il disegno
spontaneo e strutturato; una batteria specifica di test volti ad esplorare la funzione cognitiva, linguistica e motorioprassica. Il campione è costituito da 186 bambini di età compresa tra i 26 ed i 78 mesi. Il campione totale è stato
ulteriormente suddiviso in due gruppi in base alla presenza o assenza di familiarità per DSL. Il gruppo dei familiari è
costituito da 95 bambini mentre quello dei non familiari da 91 bambini.
Risultati e discussioni: i Quozienti Intellettivi (QIT, QIV e QIP) dei due gruppi sono risultati statisticamente
sovrapponibili; il QIV appare significativamente inferiore al QIP, confermando quanto atteso. Per ciò che concerne le
competenze linguistiche non emergono differenze significative per la maggior parte delle prove considerate, con
l’eccezione dello Span Fonemi e delle Denominazioni Dislaliche nel Vocabolario, in entrambi i casi con prestazioni
inferiori per il gruppo dei familiari, confermando quanto riportato in letteratura sull’influenza dei fattori genetici nella
componente fonologica del linguaggio. Le competenze prassiche orali non appaiono diverse nei due gruppi, anche se il
confronto tra le distribuzioni dei punteggi ottenuti per le prassie orali mostra un andamento diverso, con un maggior
numero di soggetti del gruppo familiari che ottengono un punteggio basso. Questa tendenza potrebbe quindi indicare una
probabile influenza genetica sulla componente prassico-articolatoria del linguaggio, come riscontrato ad esempio nella
famiglia KE. Si conferma più volte la presenza di una rapporto tra familiarità e componente fonologica del linguaggio,
l’entità ed il peso delle altre relazioni appare estremamente variabile. I dati di questa ricerca sottolineano la rilevanza del
fattore familiarità nella genesi dei DSL: il 51% di una popolazione clinica non selezionata di DSL in età prescolare
presenta almeno un familiare con lo stesso problema. I dati finora raccolti non appaiono sufficienti per individuare sottogruppi di soggetti realmente omogenei, come sarebbe auspicabile per intraprendere con maggior probabilità di successo
un’analisi di tipo genetico.
Background scientifico: i dati emersi da lunghi anni di ricerca ci permettono di sostenere che il Disturbo Specifico del
Linguaggio (DSL) è una patologia multifattoriale per la quale i fattori genetici sembrano essere predominanti. La
definizione chiara e la comprensione adeguata delle relazioni tra il genotipo ed il fenotipo permetterebbero di selezionare
adeguatamente i casi da includere negli studi molecolari.
Scopo: lo scopo di questo lavoro è quello di valutare se vi siano differenze significative nel profilo neuropsicologico dei
bambini con o senza familiarità affetti da DSL ed eventualmente individuare sottogruppi familiari con profilo omogeneo
su cui effettuare una ricerca genetica.
Metodologie e soggetti: il campione preso in esame è stato tratto da una popolazione clinica afferita al “Dipartimento di
Pediatria e Neuropsichiatria Infantile” e segnalati presso il Servizio di Neuropsicologia per ritardo nell'acquisizione del
linguaggio. All’interno della raccolta anamnestica è stata rilevata la presenza di familiarità per disturbi di linguaggio nel
nucleo familiare allargato. Ogni bambino è stato sottoposto al protocollo di valutazione neuropsicologica e
psicodiagnostica per l'età prescolare che prevede: i colloqui psichiatrici con i genitori; l'esame neurologico; il disegno
spontaneo e strutturato; una batteria specifica di test volti ad esplorare la funzione cognitiva, linguistica e motorioprassica. Il campione è costituito da 186 bambini di età compresa tra i 26 ed i 78 mesi. Il campione totale è stato
ulteriormente suddiviso in due gruppi in base alla presenza o assenza di familiarità per DSL. Il gruppo dei familiari è
costituito da 95 bambini mentre quello dei non familiari da 91 bambini.
Risultati e discussioni: i Quozienti Intellettivi (QIT, QIV e QIP) dei due gruppi sono risultati statisticamente
sovrapponibili; il QIV appare significativamente inferiore al QIP, confermando quanto atteso. Per ciò che concerne le
competenze linguistiche non emergono differenze significative per la maggior parte delle prove considerate, con
l’eccezione dello Span Fonemi e delle Denominazioni Dislaliche nel Vocabolario, in entrambi i casi con prestazioni
inferiori per il gruppo dei familiari, confermando quanto riportato in letteratura sull’influenza dei fattori genetici nella
componente fonologica del linguaggio. Le competenze prassiche orali non appaiono diverse nei due gruppi, anche se il
confronto tra le distribuzioni dei punteggi ottenuti per le prassie orali mostra un andamento diverso, con un maggior
numero di soggetti del gruppo familiari che ottengono un punteggio basso. Questa tendenza potrebbe quindi indicare una
probabile influenza genetica sulla componente prassico-articolatoria del linguaggio, come riscontrato ad esempio nella
famiglia KE. Si conferma più volte la presenza di una rapporto tra familiarità e componente fonologica del linguaggio,
l’entità ed il peso delle altre relazioni appare estremamente variabile. I dati di questa ricerca sottolineano la rilevanza del
fattore familiarità nella genesi dei DSL: il 51% di una popolazione clinica non selezionata di DSL in età prescolare
presenta almeno un familiare con lo stesso problema. I dati finora raccolti non appaiono sufficienti per individuare sottogruppi di soggetti realmente omogenei, come sarebbe auspicabile per intraprendere con maggior probabilità di successo
un’analisi di tipo genetico.
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ASPETTI NEUROPSICOLOGICI E PSICOPATOLOGICI IN ADOLESCENTI CON
DIFFICOLTÀ SCOLASTICHE
ASPETTI NEUROPSICOLOGICI E PSICOPATOLOGICI IN ADOLESCENTI CON
DIFFICOLTÀ SCOLASTICHE
Del Signore S., Micucci M.V., Penge R., Vigliante M.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università “Sapienza” Roma
Del Signore S., Micucci M.V., Penge R., Vigliante M.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università “Sapienza” Roma
Background scientifico: negli ultimi anni si è riscontrato un notevole aumento di richieste di inquadramento diagnostico
per ragazzi frequentanti le Scuole Medie Superiori; quali sono le implicazioni neuropsicologiche e psicopatologiche che
ne derivano e cosa si cela dietro un disagio scolastico in adolescenza?
Scopo: caratterizzare una popolazione di adolescenti con disagio scolastico che afferisce ad un Servizio di NPI;
individuare la tipologia di disturbi neuropsicologici presenti in tale campione; valutare inoltre come il ragazzo e la
famiglia vivono il disagio e come lo percepiscono.
Soggetti Metodologia: al fine di approfondire lo studio del Disturbo Specifico d’Apprendimento (DSA) e rischio
psicopatologico in Adolescenza è stato attivato un Ambulatorio Diagnostico presso il Servizio di Neuropsicologia (UOC
B) del Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile. Dal 2009 ad oggi sono giunti in consultazione 57 ragazzi
(40 maschi e 17 femmine), di età media 16,6, ai quali è stata somministrata una batteria di prove strutturate e differenziate
per età, per esplorare il profilo neuropsicologico e psicopatologico.
Per la valutazione del profilo cognitivo sono state utilizzate le scale WISC III (Wechsler Intelligence Scale for Children)
e WAIS (Wechsler Adult Intelligence Scale). Per la valutazione del profilo degli Apprendimenti Scolastici sono state
utilizzate: le Prove M.T. avanzate per la Scuola Superiore e le Prove per la Valutazione della Dislessia - DDE II di
Sartori. Inoltre è stata valutata la comprensione di un racconto orale mediante ascolto del brano e successiva
somministrazione di domande di comprensione e la produzione orale e scritta di un testo mediante un riassunto scritto e
orale di un brano ascoltato. Per la valutazione delle Funzioni Esecutive è stata somministrata la Torre di Londra e per il
Profilo Attentivo il Test dell’Attenzione Visiva Selettiva BVN. Per la valutazione del Profilo Motorio-Prassico è stato
utilizzato il Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI); ed infine per la valutazione degli aspetti emotivocomportamentali sono stati somministrati sia ai ragazzi che ai genitori i seguenti questionari: Child Behavior Checklist 618 (CBCL) e Youth Self Report 11-18 (YSR).
Risultati e Discussioni: dai dati raccolti emerge che una richiesta di consultazione per difficoltà scolastiche di ragazzi che
frequentano la Scuola Media Superiore può nascondere disturbi molto diversi tra loro. Il 43,9% del campione presenta un
DSA, il 26,3% una Disabilità Intellettiva Lieve (DIL), il 14% presenta un Disturbo Emotivo mentre il 15,8% dei soggetti
non risulta clinico. Le difficoltà di apprendimento e le difficoltà emotive/comportamentali appaiono fortemente embricate
fra loro: i risultati ottenuti dalla somministrazione del CBCL e YSR hanno confermato che sia i genitori che i ragazzi con
diagnosi di disturbo emozionale riferiscono un maggior disagio emotivo-comportamentale rispetto alla popolazione di
controllo, anche in assenza di un DSA. Analizzando i dati del profilo neuropsicologico, emergono prestazioni deficitarie
dei ragazzi con DIL e DSA negli ambiti attesi per diagnosi, si rilevano inoltre alcune prestazioni deficitarie simili tra i due
gruppi. I soggetti con un disturbo emozionale in assenza di DSA o che sono stati segnalati ma non risultano clinici,
ottengono prestazioni cognitive adeguate, gli aspetti deficitari del loro profilo neuropsicologico sono legati a quei compiti
in cui una componente ansiosa può influenzare la loro prestazione ed in particolare nelle prove “a tempo”.
Background scientifico: negli ultimi anni si è riscontrato un notevole aumento di richieste di inquadramento diagnostico
per ragazzi frequentanti le Scuole Medie Superiori; quali sono le implicazioni neuropsicologiche e psicopatologiche che
ne derivano e cosa si cela dietro un disagio scolastico in adolescenza?
Scopo: caratterizzare una popolazione di adolescenti con disagio scolastico che afferisce ad un Servizio di NPI;
individuare la tipologia di disturbi neuropsicologici presenti in tale campione; valutare inoltre come il ragazzo e la
famiglia vivono il disagio e come lo percepiscono.
Soggetti Metodologia: al fine di approfondire lo studio del Disturbo Specifico d’Apprendimento (DSA) e rischio
psicopatologico in Adolescenza è stato attivato un Ambulatorio Diagnostico presso il Servizio di Neuropsicologia (UOC
B) del Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile. Dal 2009 ad oggi sono giunti in consultazione 57 ragazzi
(40 maschi e 17 femmine), di età media 16,6, ai quali è stata somministrata una batteria di prove strutturate e differenziate
per età, per esplorare il profilo neuropsicologico e psicopatologico.
Per la valutazione del profilo cognitivo sono state utilizzate le scale WISC III (Wechsler Intelligence Scale for Children)
e WAIS (Wechsler Adult Intelligence Scale). Per la valutazione del profilo degli Apprendimenti Scolastici sono state
utilizzate: le Prove M.T. avanzate per la Scuola Superiore e le Prove per la Valutazione della Dislessia - DDE II di
Sartori. Inoltre è stata valutata la comprensione di un racconto orale mediante ascolto del brano e successiva
somministrazione di domande di comprensione e la produzione orale e scritta di un testo mediante un riassunto scritto e
orale di un brano ascoltato. Per la valutazione delle Funzioni Esecutive è stata somministrata la Torre di Londra e per il
Profilo Attentivo il Test dell’Attenzione Visiva Selettiva BVN. Per la valutazione del Profilo Motorio-Prassico è stato
utilizzato il Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI); ed infine per la valutazione degli aspetti emotivocomportamentali sono stati somministrati sia ai ragazzi che ai genitori i seguenti questionari: Child Behavior Checklist 618 (CBCL) e Youth Self Report 11-18 (YSR).
Risultati e Discussioni: dai dati raccolti emerge che una richiesta di consultazione per difficoltà scolastiche di ragazzi che
frequentano la Scuola Media Superiore può nascondere disturbi molto diversi tra loro. Il 43,9% del campione presenta un
DSA, il 26,3% una Disabilità Intellettiva Lieve (DIL), il 14% presenta un Disturbo Emotivo mentre il 15,8% dei soggetti
non risulta clinico. Le difficoltà di apprendimento e le difficoltà emotive/comportamentali appaiono fortemente embricate
fra loro: i risultati ottenuti dalla somministrazione del CBCL e YSR hanno confermato che sia i genitori che i ragazzi con
diagnosi di disturbo emozionale riferiscono un maggior disagio emotivo-comportamentale rispetto alla popolazione di
controllo, anche in assenza di un DSA. Analizzando i dati del profilo neuropsicologico, emergono prestazioni deficitarie
dei ragazzi con DIL e DSA negli ambiti attesi per diagnosi, si rilevano inoltre alcune prestazioni deficitarie simili tra i due
gruppi. I soggetti con un disturbo emozionale in assenza di DSA o che sono stati segnalati ma non risultano clinici,
ottengono prestazioni cognitive adeguate, gli aspetti deficitari del loro profilo neuropsicologico sono legati a quei compiti
in cui una componente ansiosa può influenzare la loro prestazione ed in particolare nelle prove “a tempo”.
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IL DISTURBO DI APPRENDIMENTO IN PREADOLESCENZA: UNA DIAGNOSI
PROBLEMATICA
IL DISTURBO DI APPRENDIMENTO IN PREADOLESCENZA: UNA DIAGNOSI
PROBLEMATICA
Del Signore S., Capozzi F., Di Tucci A.R., Piedimonte C., Vigliante M., Mercanti F.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università “Sapienza” Roma
Del Signore S., Capozzi F., Di Tucci A.R., Piedimonte C., Vigliante M., Mercanti F.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università “Sapienza” Roma
Background scientifico: l’afferenza del soggetto preadolescente presso un Servizio di Neuropsichiatria per l’età evolutiva
è il tentativo della famiglia e/o della scuola di rispondere a difficoltà scolastiche che possono essere insorte
improvvisamente, ma più spesso manifestatesi fin dall’inizio della carriera scolastica del ragazzo, spesso minimizzate e
sottovalutate.
Scopo: descrivere una popolazione di soggetti con difficoltà scolastiche che afferisce ad un Servizio di Neuropsichiatria
Infantile in preadolescenza, individuare la tipologia dei disturbi, confermare la diagnosi e verificare possibili correlazioni
con fattori socio-ambientali.
Metodologie e soggetti: il campione è composto da 49 soggetti afferiti presso il Servizio di Neuropsicologia del
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “Sapienza” per difficoltà scolastiche. A
tutti i soggetti è stato somministrato il protocollo per la diagnosi di Disturbo di Apprendimento (DSA) in uso presso il
nostro Servizio. Il campione è stato inoltre suddiviso in due gruppi: gruppo 1, soggetti che hanno effettuato per la prima
volta una consultazione specialistica presso il nostro centro; gruppo 2, soggetti che hanno precedentemente effettuato una
consultazione presso altri centri specialistici. Abbiamo inoltre considerato la presenza di familiarità per disturbo di
sviluppo, lo status socio-economico, il livello di istruzione familiare e sono stati presi in considerazione i Quozienti
Intellettivi totali e fattoriali ottenuti alla Wechsler Intelligence Scale for Children III (WISC-III) ed i dati delle prove di
lettura MT.
Risultati e discussioni: nonostante il 41% dei soggetti presenti familiarità per disturbo di sviluppo, le difficoltà scolastiche
vengono riconosciute e segnalate dalle famiglie tardivamente; emerge infatti che i 3/5 dei ragazzi afferiti al nostro
servizio presentano un DSA, il 29% una Disabilità Intellettiva (DI), mentre una minima parte non soddisfa i criteri per la
diagnosi di DSA o DI secondo il DSM-IV-TR. Oltre il 70% dei soggetti affronta una prima consultazione in
preadolescenza e solo per la metà dei soggetti giunti in II consultazione è stata confermata la diagnosi precedente. Altro
dato rilevante è che solo il 14% dei soggetti appartiene ad un livello socio-culturale alto, mentre una parte consistente del
campione si attesta ad un livello basso; possiamo inoltre osservare che un’ipostimolazione culturale è presente in circa la
metà dei soggetti con DSA e caratterizza la maggior parte dei soggetti con DI. Dall’analisi dei quozienti intellettivi
fattoriali si evidenza un’ampia disomogeneità tra i soggetti con DSA e tra quelli con DI; tale dato fa ipotizzare la presenza
di sottogruppi diversi all’interno dello stesso disturbo. Esaminando i dati relativi alle prove MT viene confermata, per i
DSA, una lentezza esecutiva nella lettura e si rilevano prestazioni deficitarie nella comprensione. I soggetti con DI
dimostrano di aver acquisito una buona capacità di lettura, ma presentano una maggiore difficoltà nel comprendere ciò
che leggono. Il ritardo nell’affrontare una consultazione per DSA e l’instabilità della diagnosi sembrano riconducibili a:
1) un esordio di difficoltà scolastiche, spesso presenti già durante l’infanzia, che si manifestano o evolvono in epoche
successive;
2) una sottovalutazione iniziale delle difficoltà del soggetto da parte della scuola, della famiglia e dei servizi specialistici;
3) una percezione poco integrata tra aspetti cognitivi, neuropsicologici, affettivi e sociali.
Background scientifico: l’afferenza del soggetto preadolescente presso un Servizio di Neuropsichiatria per l’età evolutiva
è il tentativo della famiglia e/o della scuola di rispondere a difficoltà scolastiche che possono essere insorte
improvvisamente, ma più spesso manifestatesi fin dall’inizio della carriera scolastica del ragazzo, spesso minimizzate e
sottovalutate.
Scopo: descrivere una popolazione di soggetti con difficoltà scolastiche che afferisce ad un Servizio di Neuropsichiatria
Infantile in preadolescenza, individuare la tipologia dei disturbi, confermare la diagnosi e verificare possibili correlazioni
con fattori socio-ambientali.
Metodologie e soggetti: il campione è composto da 49 soggetti afferiti presso il Servizio di Neuropsicologia del
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “Sapienza” per difficoltà scolastiche. A
tutti i soggetti è stato somministrato il protocollo per la diagnosi di Disturbo di Apprendimento (DSA) in uso presso il
nostro Servizio. Il campione è stato inoltre suddiviso in due gruppi: gruppo 1, soggetti che hanno effettuato per la prima
volta una consultazione specialistica presso il nostro centro; gruppo 2, soggetti che hanno precedentemente effettuato una
consultazione presso altri centri specialistici. Abbiamo inoltre considerato la presenza di familiarità per disturbo di
sviluppo, lo status socio-economico, il livello di istruzione familiare e sono stati presi in considerazione i Quozienti
Intellettivi totali e fattoriali ottenuti alla Wechsler Intelligence Scale for Children III (WISC-III) ed i dati delle prove di
lettura MT.
Risultati e discussioni: nonostante il 41% dei soggetti presenti familiarità per disturbo di sviluppo, le difficoltà scolastiche
vengono riconosciute e segnalate dalle famiglie tardivamente; emerge infatti che i 3/5 dei ragazzi afferiti al nostro
servizio presentano un DSA, il 29% una Disabilità Intellettiva (DI), mentre una minima parte non soddisfa i criteri per la
diagnosi di DSA o DI secondo il DSM-IV-TR. Oltre il 70% dei soggetti affronta una prima consultazione in
preadolescenza e solo per la metà dei soggetti giunti in II consultazione è stata confermata la diagnosi precedente. Altro
dato rilevante è che solo il 14% dei soggetti appartiene ad un livello socio-culturale alto, mentre una parte consistente del
campione si attesta ad un livello basso; possiamo inoltre osservare che un’ipostimolazione culturale è presente in circa la
metà dei soggetti con DSA e caratterizza la maggior parte dei soggetti con DI. Dall’analisi dei quozienti intellettivi
fattoriali si evidenza un’ampia disomogeneità tra i soggetti con DSA e tra quelli con DI; tale dato fa ipotizzare la presenza
di sottogruppi diversi all’interno dello stesso disturbo. Esaminando i dati relativi alle prove MT viene confermata, per i
DSA, una lentezza esecutiva nella lettura e si rilevano prestazioni deficitarie nella comprensione. I soggetti con DI
dimostrano di aver acquisito una buona capacità di lettura, ma presentano una maggiore difficoltà nel comprendere ciò
che leggono. Il ritardo nell’affrontare una consultazione per DSA e l’instabilità della diagnosi sembrano riconducibili a:
1) un esordio di difficoltà scolastiche, spesso presenti già durante l’infanzia, che si manifestano o evolvono in epoche
successive;
2) una sottovalutazione iniziale delle difficoltà del soggetto da parte della scuola, della famiglia e dei servizi specialistici;
3) una percezione poco integrata tra aspetti cognitivi, neuropsicologici, affettivi e sociali.
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RELAZIONE TRA MISURE DELLA VARIABILITÀ DEI TEMPI DI RIPOSTA IN DUE
TEST COGNITIVI IN ADHD DRUG-NAIVE
RELAZIONE TRA MISURE DELLA VARIABILITÀ DEI TEMPI DI RIPOSTA IN DUE
TEST COGNITIVI IN ADHD DRUG-NAIVE
Esu L., Adamo N., Di Martino A.*, Johnson K.**, Castellanos F.X.*, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Cagliari & * Institute for Pediatric Neuroscience,
NYU Child Study Center, NY, NY, USA, **School of Psychology, Queen’s University Belfast,
Northern Ireland
Esu L., Adamo N., Di Martino A.*, Johnson K.**, Castellanos F.X.*, Zuddas A.
Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Cagliari & * Institute for Pediatric Neuroscience,
NYU Child Study Center, NY, NY, USA, **School of Psychology, Queen’s University Belfast,
Northern Ireland
Introduzione: la ricerca di marker obiettivi dei processi neuropsicologici sottostanti il Disturbo da Deficit Attentivo con
Iperattività (ADHD) si è recentemente focalizzata sulla struttura temporale della variabilità intra-soggettiva dei tempi di
risposta (VIS-TR). L’aumento della VIS-TR misurato come fluttuazioni lente (banda “lenta” = frequenze <0,07 Hz e
banda ”veloce” = frequenze > 0,07 Hz), ha caratterizzato i soggetti con ADHD in alcuni ma non in tutti gli studi,
verosimilmente a causa delle differenze tra i test utilizzati. Questo studio si propone di esaminare le misure della VIS-TR
attraverso due test in un campione di bambini con ADHD rispetto a dei bambini con sviluppo normale (bambini di
controllo).
Obiettivi: questo studio si propone di esaminare se le misure della VIS-TR e la sua struttura temporale, ottenute attraverso
idue diversi test, convergono in un campione di bambini con ADHD confrontati con bambini con sviluppo normale
(bambini di controllo).
Metodi: tutti i partecipanti (52 ADHD e 49 controlli) hanno completato in un'unica sessione l’Eriksen Flanker Task (EFT)
e la versione a sequenza fissa del Sustained Attention to Response Task (SART). Sono stati inclusiesclusivamente
bambini che non avevano mai assunto alcuna terapia farmacologica per l’ADHD o che avessero sospeso la terapia con
stimolanti per almeno una settimana prima delle valutazioni.
Risultati: il gruppo di pazienti affetti da ADHD ha mostrato una più alta variabilità dei Tempi di Risposta sia in termini di
deviazione standard sia delle oscillazioni lente in entrambi i test. Le misure del contributo specifico di ciascuna banda di
frequenza alla variabilità globale (controllando per la DS-TR), indicano che nel EFT sia la componente lenta sia quella
veloce della VIS differenziano i bambini ADHD dai bambini di controllo (p < 0,05). Nel SART, i due gruppi si
differenziano significativamente solo per la componente veloce (p < 0,05).
Conclusioni: lo studio del contributo relativo di specifiche bande di frequenza sulla variabilità generale dimostra che gli
aumenti nelle frequenze ultralente (banda lenta) siano maggiormente catturate dall’Eriksen Flanker Task, mentre le
frequenze relativamente veloci (banda veloce) siano catturate dal Sustained Attention to Response Task. Tali risultati
confermano che un significativo aumento della VIS-TR può essere studiato mediante i due diversi test in bambini ADHD
liberi da effetti farmacologici confondenti e suggeriscono che, sebbene grossolanamente convergenti, i due test possono
misurare differenti meccanismi alla cui base sono le oscillazioni lente e relativamente veloci nei TR.
Introduzione: la ricerca di marker obiettivi dei processi neuropsicologici sottostanti il Disturbo da Deficit Attentivo con
Iperattività (ADHD) si è recentemente focalizzata sulla struttura temporale della variabilità intra-soggettiva dei tempi di
risposta (VIS-TR). L’aumento della VIS-TR misurato come fluttuazioni lente (banda “lenta” = frequenze <0,07 Hz e
banda ”veloce” = frequenze > 0,07 Hz), ha caratterizzato i soggetti con ADHD in alcuni ma non in tutti gli studi,
verosimilmente a causa delle differenze tra i test utilizzati. Questo studio si propone di esaminare le misure della VIS-TR
attraverso due test in un campione di bambini con ADHD rispetto a dei bambini con sviluppo normale (bambini di
controllo).
Obiettivi: questo studio si propone di esaminare se le misure della VIS-TR e la sua struttura temporale, ottenute attraverso
idue diversi test, convergono in un campione di bambini con ADHD confrontati con bambini con sviluppo normale
(bambini di controllo).
Metodi: tutti i partecipanti (52 ADHD e 49 controlli) hanno completato in un'unica sessione l’Eriksen Flanker Task (EFT)
e la versione a sequenza fissa del Sustained Attention to Response Task (SART). Sono stati inclusiesclusivamente
bambini che non avevano mai assunto alcuna terapia farmacologica per l’ADHD o che avessero sospeso la terapia con
stimolanti per almeno una settimana prima delle valutazioni.
Risultati: il gruppo di pazienti affetti da ADHD ha mostrato una più alta variabilità dei Tempi di Risposta sia in termini di
deviazione standard sia delle oscillazioni lente in entrambi i test. Le misure del contributo specifico di ciascuna banda di
frequenza alla variabilità globale (controllando per la DS-TR), indicano che nel EFT sia la componente lenta sia quella
veloce della VIS differenziano i bambini ADHD dai bambini di controllo (p < 0,05). Nel SART, i due gruppi si
differenziano significativamente solo per la componente veloce (p < 0,05).
Conclusioni: lo studio del contributo relativo di specifiche bande di frequenza sulla variabilità generale dimostra che gli
aumenti nelle frequenze ultralente (banda lenta) siano maggiormente catturate dall’Eriksen Flanker Task, mentre le
frequenze relativamente veloci (banda veloce) siano catturate dal Sustained Attention to Response Task. Tali risultati
confermano che un significativo aumento della VIS-TR può essere studiato mediante i due diversi test in bambini ADHD
liberi da effetti farmacologici confondenti e suggeriscono che, sebbene grossolanamente convergenti, i due test possono
misurare differenti meccanismi alla cui base sono le oscillazioni lente e relativamente veloci nei TR.
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AGENESIA DEL CORPO CALLOSO: ASPETTI COGNITIVI, NEUROPSICOLOGICI E
COMPORTAMENTALI
AGENESIA DEL CORPO CALLOSO: ASPETTI COGNITIVI, NEUROPSICOLOGICI E
COMPORTAMENTALI
Libernini L., Silvestri P.R., Catino E., Brandoni C., Sogos C.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile - "Sapienza" Università di Roma Policlinico Umberto I
Libernini L., Silvestri P.R., Catino E., Brandoni C., Sogos C.
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile - "Sapienza" Università di Roma Policlinico Umberto I
Background: l’Agenesia del Corpo Calloso (AgCC) si presenta con un’incidenza di 1:4000 nati vivi e può derivare da
cause genetiche, infettive, vascolari o tossiche che agiscono nelle fasi precoci dello sviluppo. Il 3-5% dei bambini con
disturbi di sviluppo presentano AgCC. Studi clinici riportano uno sviluppo intellettivo da normale a lievemente in ritardo
in circa 1/3 dei pazienti con AgCC; in tutti sono presenti disturbi comportamentali. Nei soggetti “asintomatici” è evidente
un pattern specifico di deficit delle abilità sociali e delle funzioni cognitive superiori, in particolare nell’integrazione
interemisferica di informazioni sensoriali complesse, nella coordinazione motoria bimanuale, nel problem-solving, nel
processamento di aspetti semantici del linguaggio, nelle abilità psicosociali (ridotte capacità di inferire il pensiero
dell’altro -teoria della mente- e deficit nel ragionamento astratto).
Scopo: il nostro lavoro si pone l’obiettivo di approfondire i deficit neuropsicologici e gli aspetti emotivi associati
all’AgCC in soggetti apparentemente “asintomatici”, in linea con i recenti studi della letteratura.
Metodologie e Soggetti: presentiamo il caso di una bambina di 5,8 anni affetta da Agenesia del Corpo Calloso e segnalata
presso il nostro Centro per un disturbo del comportamento. Durante la consultazione diagnostica sono stati effettuati:
esame obiettivo e neurologico; test di sviluppo cognitivo (Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence),
valutazione neuropsicomotoria (livello senso motorio, prattognosico, grafico, linguistico-comunicativo), osservazione di
gioco, colloqui psicologici con i genitori, test psicologici (Child Behavior Checklist for ages 1 ½ - 5; SCL-90; Family
Assessment Device; Parenting Stress Index; Toronto Alexithymia Scale).
Risultati e Discussione: la bambina giunge alla nostra attenzione per oppositorietà, mancato rispetto delle regole a casa,
irritabilità e scarsa capacità di modulare le proprie emozioni. Viene descritta come una bambina “goffa e distratta”:
inciampa spesso, si sporca mentre mangia, fa cadere gli oggetti, ha imparato a sciare con difficoltà. Dalla valutazione
effettuata si evidenzia un livello cognitivo nella norma con un profilo disomogeneo (QIV 97, QIP 88, QIT 92), a favore
delle prove verbali. Emerge un’immaturità motoria globale, in particolare nelle prove di coordinazione fine tra i due
emilati, nella coordinazione bimanuale e nelle abilità grafo-motorie. Inoltre, la bambina presenta difficoltà nei compiti
che richiedono integrazione logica (problem solving) e visuo-motoria (VMI: p. standard 86, età equivalente 4,10 anni),
associate a ridotta capacità di inferire il pensiero dell’altro (non supera la prova della Teoria della Mente). Dalla
valutazione e dall’osservazione clinica, si evidenzia come il comportamento oppositorio della bambina si manifesti di
fronte a richieste dell’adulto che mettono in luce abilità non pienamente acquisite. Uno stile educativo rigido e una scarsa
consapevolezza da parte dei genitori delle difficoltà di sviluppo potenzialmente associate al quadro clinico possono
giocare un ruolo significativo nel determinare le difficoltà comportamentali della bambina.
Background: l’Agenesia del Corpo Calloso (AgCC) si presenta con un’incidenza di 1:4000 nati vivi e può derivare da
cause genetiche, infettive, vascolari o tossiche che agiscono nelle fasi precoci dello sviluppo. Il 3-5% dei bambini con
disturbi di sviluppo presentano AgCC. Studi clinici riportano uno sviluppo intellettivo da normale a lievemente in ritardo
in circa 1/3 dei pazienti con AgCC; in tutti sono presenti disturbi comportamentali. Nei soggetti “asintomatici” è evidente
un pattern specifico di deficit delle abilità sociali e delle funzioni cognitive superiori, in particolare nell’integrazione
interemisferica di informazioni sensoriali complesse, nella coordinazione motoria bimanuale, nel problem-solving, nel
processamento di aspetti semantici del linguaggio, nelle abilità psicosociali (ridotte capacità di inferire il pensiero
dell’altro -teoria della mente- e deficit nel ragionamento astratto).
Scopo: il nostro lavoro si pone l’obiettivo di approfondire i deficit neuropsicologici e gli aspetti emotivi associati
all’AgCC in soggetti apparentemente “asintomatici”, in linea con i recenti studi della letteratura.
Metodologie e Soggetti: presentiamo il caso di una bambina di 5,8 anni affetta da Agenesia del Corpo Calloso e segnalata
presso il nostro Centro per un disturbo del comportamento. Durante la consultazione diagnostica sono stati effettuati:
esame obiettivo e neurologico; test di sviluppo cognitivo (Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence),
valutazione neuropsicomotoria (livello senso motorio, prattognosico, grafico, linguistico-comunicativo), osservazione di
gioco, colloqui psicologici con i genitori, test psicologici (Child Behavior Checklist for ages 1 ½ - 5; SCL-90; Family
Assessment Device; Parenting Stress Index; Toronto Alexithymia Scale).
Risultati e Discussione: la bambina giunge alla nostra attenzione per oppositorietà, mancato rispetto delle regole a casa,
irritabilità e scarsa capacità di modulare le proprie emozioni. Viene descritta come una bambina “goffa e distratta”:
inciampa spesso, si sporca mentre mangia, fa cadere gli oggetti, ha imparato a sciare con difficoltà. Dalla valutazione
effettuata si evidenzia un livello cognitivo nella norma con un profilo disomogeneo (QIV 97, QIP 88, QIT 92), a favore
delle prove verbali. Emerge un’immaturità motoria globale, in particolare nelle prove di coordinazione fine tra i due
emilati, nella coordinazione bimanuale e nelle abilità grafo-motorie. Inoltre, la bambina presenta difficoltà nei compiti
che richiedono integrazione logica (problem solving) e visuo-motoria (VMI: p. standard 86, età equivalente 4,10 anni),
associate a ridotta capacità di inferire il pensiero dell’altro (non supera la prova della Teoria della Mente). Dalla
valutazione e dall’osservazione clinica, si evidenzia come il comportamento oppositorio della bambina si manifesti di
fronte a richieste dell’adulto che mettono in luce abilità non pienamente acquisite. Uno stile educativo rigido e una scarsa
consapevolezza da parte dei genitori delle difficoltà di sviluppo potenzialmente associate al quadro clinico possono
giocare un ruolo significativo nel determinare le difficoltà comportamentali della bambina.
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L’AUDIT CLINICO NEI D.S.A (DIST. SPEC. D’APPRENDIMENTO)
L’AUDIT CLINICO NEI D.S.A (DIST. SPEC. D’APPRENDIMENTO)
Mariani A., Ciuti A., Messori Ioli G., Perin S., Consolini L., Sabatini F.
S.C. N.P.I. ASL TO5 CHIERI
Mariani A., Ciuti A., Messori Ioli G., Perin S., Consolini L., Sabatini F.
S.C. N.P.I. ASL TO5 CHIERI
L’“Audit clinico” (dal latino audere: ascoltare qualcosa da qualcuno) consiste “nell’analisi critica e sistematica della
qualità dell’assistenza che valuta le procedure clinico-organizzative utilizzate per la diagnosi ed il trattamento, l’uso delle
risorse, gli outcome risultanti e la qualità di vita dei pazienti”. Costituisce un punto qualificante per la medicina basata
sulle evidenze, in quanto promuove in modo condiviso e conforme a Linee Guida, il governo clinico di una determinata
patologia là dove si individuino criticità nel percorso.
Attraverso l’analisi della pratica quotidiana in un confronto con uno standard si individuano aree di miglioramento per
implementare cambiamenti. Verrà descritto il percorso del nostro gruppo di lavoro multiprofessionale: medici npi,
psicologi, logopedisti e neuro psicomotricisti che, insieme a facilitatori, hanno individuato degli indicatori in aree
prioritarie, ed analizzato 108 cartelle cliniche. Qui, in base al confronto tra i risultati (che verranno analizzati e descritti)
dell’osservato e dell’atteso, sono state individuate caratteristiche specifiche e confrontabili della casistica i problemi e
relative cause, fatte scelte di priorità al fine di individuare aree di miglioramento da poter essere messe in atto e poi
rivalutate in un successivo re-audit.
L’“Audit clinico” (dal latino audere: ascoltare qualcosa da qualcuno) consiste “nell’analisi critica e sistematica della
qualità dell’assistenza che valuta le procedure clinico-organizzative utilizzate per la diagnosi ed il trattamento, l’uso delle
risorse, gli outcome risultanti e la qualità di vita dei pazienti”. Costituisce un punto qualificante per la medicina basata
sulle evidenze, in quanto promuove in modo condiviso e conforme a Linee Guida, il governo clinico di una determinata
patologia là dove si individuino criticità nel percorso.
Attraverso l’analisi della pratica quotidiana in un confronto con uno standard si individuano aree di miglioramento per
implementare cambiamenti. Verrà descritto il percorso del nostro gruppo di lavoro multiprofessionale: medici npi,
psicologi, logopedisti e neuro psicomotricisti che, insieme a facilitatori, hanno individuato degli indicatori in aree
prioritarie, ed analizzato 108 cartelle cliniche. Qui, in base al confronto tra i risultati (che verranno analizzati e descritti)
dell’osservato e dell’atteso, sono state individuate caratteristiche specifiche e confrontabili della casistica i problemi e
relative cause, fatte scelte di priorità al fine di individuare aree di miglioramento da poter essere messe in atto e poi
rivalutate in un successivo re-audit.
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ABILITA’ DI CALCOLO E TRATTI D’ANSIA IN BAMBINI CON DISLESSIA
EVOLUTIVA
ABILITA’ DI CALCOLO E TRATTI D’ANSIA IN BAMBINI CON DISLESSIA
EVOLUTIVA
Nacinovich R., Bomba M., Marchetti S., Broggi F., Giangreco E., Mammarella I.*, Neri F.
Clinica di Neuropsichiatria infantile, Ospedale San Gerardo, Università di Milano Bicocca,
Monza * Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo, Università di Padova
Nacinovich R., Bomba M., Marchetti S., Broggi F., Giangreco E., Mammarella I.*, Neri F.
Clinica di Neuropsichiatria infantile, Ospedale San Gerardo, Università di Milano Bicocca,
Monza * Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo, Università di Padova
Background: gravi difficoltà specifiche di calcolo interessano l’1% dei bambini in età scolare, mentre si possono
osservare con maggiore frequenza più o meno profondi problemi di calcolo associati ai disturbi specifici
dell’apprendimento (DSA); la percezione di inadeguatezza a scuola può favorire lo sviluppo di tratti ansiosi e depressivi.
Scopo:
-valutare le caratteristiche delle difficoltà di calcolo presenti in un gruppo di bambini con Dislessia Evolutiva (Disturbo
specifico verbale dell’apprendimento, DAV), confrontati con bambini con sviluppo tipico;
-misurare la presenza di tratti ansiosi e depressivi nei soggetti reclutati.
Metodologia e Soggetti: ventuno bambini (13M e 8F), di età compresa tra 8 e 12 anni, suddivisi in due gruppi: 9 soggetti
con Dislessia evolutiva che presentavano difficoltà di calcolo, e 12 controlli con sviluppo tipico.
Sono stati somministrati: Discalculia Test (strumento informatizzato) per la valutazione delle abilità di calcolo, Scale
Psichiatriche per la valutazione dell’Ansia (SAFA-A) e Children Depression Inventory (CDI). I dati sono stati analizzati
con test ANOVA.
Risultati e Discussioni: al Discalculia test i soggetti con Dislessia evolutiva hanno presentato, al confronto con i bambini
con sviluppo tipico, significative maggiori difficoltà nelle prove di Calcolo a mente, e in particolare in’Addizioni’
(p=0,001) e ‘Sottrazioni’ (p=0,046) e nella quasi totalità delle prove ‘Fatti numerici, Addizioni entro il 10’ (p=0,000),
‘Sottrazioni’ (p=0,000),’Moltiplicazioni’ (p=0.001) e ‘Divisioni’ (p=0,031).
Le performance migliori dei casi sono state osservate agli item ‘Senso del numero con prove analogiche’ e nel ‘Dettato’.
I bambini con Dislessia evolutiva hanno infine presentato punteggi significativamente superiori rispetto ai soggetti con
sviluppo tipico nelle scale che misurano ansia generalizzata (p=0,001) e ansia sociale (p=0,05). Al CDI non sono emerse
differenze significative.
I risultati del nostro studio hanno messo in luce tre aspetti principali che caratterizzano i bambini con dislessia evolutiva e
difficoltà del calcolo:
-in accordo con la letteratura corrente, questi bambini sono caratterizzati da un deficit di automatizzazione dei fatti
numerici e degli algoritmi di calcolo, come mostrato dalle scarse performance di calcolo a mente e alle prove ‘fatti
numerici’;
-conservano buone capacità di analisi visuo-percettiva, come mostrato alle prove analogiche di senso del numero;
-presentano significativi tratti ansiosi, mentre i tratti depressivi, pur essendo più rappresentati, in termini assoluti, nel
gruppo dei bambini con DAV, non sono significativamente più frequenti in questi ultimi rispetto ai controlli.
Considerata la possibile evoluzione dell’ansia verso vari quadri psicopatologici, appare utile monitorare la comparsa di
tratti depressivi nell’età adolescenziale.
Background: gravi difficoltà specifiche di calcolo interessano l’1% dei bambini in età scolare, mentre si possono
osservare con maggiore frequenza più o meno profondi problemi di calcolo associati ai disturbi specifici
dell’apprendimento (DSA); la percezione di inadeguatezza a scuola può favorire lo sviluppo di tratti ansiosi e depressivi.
Scopo:
-valutare le caratteristiche delle difficoltà di calcolo presenti in un gruppo di bambini con Dislessia Evolutiva (Disturbo
specifico verbale dell’apprendimento, DAV), confrontati con bambini con sviluppo tipico;
-misurare la presenza di tratti ansiosi e depressivi nei soggetti reclutati.
Metodologia e Soggetti: ventuno bambini (13M e 8F), di età compresa tra 8 e 12 anni, suddivisi in due gruppi: 9 soggetti
con Dislessia evolutiva che presentavano difficoltà di calcolo, e 12 controlli con sviluppo tipico.
Sono stati somministrati: Discalculia Test (strumento informatizzato) per la valutazione delle abili