La logica considera la forma che deve avere qualsiasi tipo di

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La logica considera la forma che deve avere qualsiasi tipo di discorso che pretenda di
dimostrare qualcosa.
La logica mostra quindi:
come proceda il pensiero quando pensa
quale sia la struttura del ragionamento
come sia possibile fornire dimostrazioni
Il suo contenuto è dato dalle operazioni del pensiero, per questo Aristotele ha
considerato la logica uno studio preliminare, cioè una propedeutica generale a tutte le
scienze.
Il termine “Organon” (introdotto per indicare gli scritti di logica di Aristotele) significa
appunto “strumento”: la logica fornisce appunto gli strumenti mentali necessari per
affrontare qualsivoglia tipo di indagine.
Aristotele chiamava la logica col termine di “analitica”, dal greco “analysis”, che vuol dire
“risoluzione”: cioè la spiegazione di come, partendo da una conclusione, la risolviamo
appunto negli elementi da cui essa deriva, cioè nelle premesse da cui scaturisce e, quindi,
la fondiamo e la giustifichiamo.
In questo senso, la logica aristotelica ha una genesi squisitamente filosofica: essa segna il
momento in cui il discorso (logos) filosofico diventa capace di porre a problema se
medesimo e il proprio modo di procedere, e così diventa in grado, dopo aver imparato a
ragionare, di stabilire che cos’è la stessa ragione, ossia come si fa a ragionare, come
quando e su cosa è possibile ragionare.
Quando noi affermiamo o neghiamo qualcosa di qualcos’altro (ad es. “Socrate è un
uomo”), cioè formuliamo proposizioni, noi non ragioniamo ancora.
Noi ragioniamo, invece, quando passiamo da proposizioni semplici a proposizioni che
abbiano fra di loro determinati nessi, e che siano, in certo qual modo, le une cause di
altre, le une antecedenti, le altre conseguenti. Non c’è ragionamento se non c’è questo
nesso, questa consequenzialità.
Il ragionamento perfetto, cioè quel ragionamento in cui la conclusione cui si perviene è
effettivamente la conseguenza che scaturisce, di necessità, dall’antecedente, Aristotele lo
chiama “sillogismo”.
L’analitica è sostanzialmente la dottrina del sillogismo.
Un sillogismo è un discorso in cui, da alcune cose che sono state poste, qualcosa di
diverso segue di necessità. Ad es.
“Ogni greco è un uomo”
“Ogni uomo è mortale”
dunque, “Ogni greco è mortale”
L’esempio riportato contiene tre enunciati espressi in modo indicativo, e ciascuno di tali
enunciati è chiamato da Arisototele proposizione (protasis). La terza delle preposizioni (il
conseguente) - quella preceduta da “dunque” – è detta da Aristotele conclusione del
sillogismo. Le altre due proposizioni (antecedenti) possiamo chiamarle premesse.
L’esempio classico di sillogismo è il seguente: “Se tutti gli uomini sono mortali, e se Socrate
è uomo, allora Socrate è mortale”.
Come si vede, che Socrate sia mortale è conseguenza che scaturisce necessariamente
dall’aver stabilito che ogni uomo è mortale e che Socrate è appunto uomo. Dove ‘uomo’
è il termine su cui si fa leva per concludere. Si capisce, dunque, la celebre definizione
data da Aristotele:
Sillogismo è un discorso (cioè un ragionamento) in cui, posti alcuni dati (cioè le premesse) segue di necessità
qualcos'altro distinto da essi, per il solo fatto che questi sono stati posti. E con l'espressione 'per il fatto che
questi sono stati posti ' intendo il conseguire in forza di essi, e ulteriormente con l'espressione 'conseguire in
forza di essi' intendo il non aver bisogno di alcun termine estraneo in aggiunta perchè abbia luogo la necessità
(Analitici Primi).
Il sillogismo risulta quindi caratterizzato dal seguire di necessità del conseguente
dall’antecedente, per il solo fatto che questo è posto. In tal senso le premesse sono causa
non della verità o falsità, o in generale del contenuto, del conseguente in se stesso, ma
della sequela, sì che, assunto l’antecedente, non può non seguire da esso il conseguente.
Le premesse sillogistiche non hanno perciò valore di verità e devono quindi essere
precedute dalla congiunzione “se”. Nel sillogismo è in causa solo la coerenza del
ragionamento.
In una proposizione, dice Aristotele, qualche cosa viene predicato di qualcosa d’altro: per
esempio, in “ogni uomo è mortale”, “mortale” è predicato di “uomo”.
Gli elementi che entrano nelle predicazioni sono chiamati da Aristotele termini.
Per esempio:
“ogni uomo è mortale”
“Socrate è un uomo”
“Socrate è mortale”
il termine che compare in entrambe le premesse è il termine medio (uomo nel nostro
esempio) ossia termine che opera la mediazione1 tra “Socrate” e “mortale”.
Il sillogismo in generale mostra quale sia l’essenza stessa del ragionare, cioè quale sia la
struttura dell’inferenza, e, come tale, prescinde dal contenuto di verità delle premesse (e
quindi delle conclusioni).
Invece il sillogismo “scientifico” o “dimostrativo” riguarda, oltre che la correttezza
formale dell’inferenza, altresì il valore di verità delle premesse (e delle conseguenze).
Nella dimostrazione, essendo essa il procedimento che conduce alla scienza del
conseguente, a sapere cioè se il conseguente è veramente tale oppure no, si deve
assumere un antecedente vero, dato che solo dal vero segue necessariamente il vero.
Dunque, la scienza, oltre alla correttezza del procedimento formale, implica la verità del
contenuto delle premesse:
Riteniamo di aver scienza di ciascuna cosa […] quando riteniamo di conoscere la causa in virtù di cui è la cosa,
che essa è appunto causa di quella cosa e che non è possibile che ciò sia altrimenti. Di conseguenza è impossibile
che ciò di cui vi è scienza in senso proprio stia diveramente da come è. […] avere scienza è sapere per dimostrazione.
Dico dimostrazione il sillogismo scientifico; dico scientifico quel sillogismo in base al quale per il fatto di possederlo,
abbiamo scienza. Allora, se avere scienza è quale abbiamo posto [cioè conoscere la causa], è necessario che la scienza
dimostrativa proceda da protasi vere, prime, immediate, più note e anteriori e cause delle conclusioni. In tal modo in effetti i
princìpi saranno anche pertinenti al dimostrato. Il sillogismo infatti sussiste anche senza queste condizioni,
mentre la dimostrazione non può sussistere senza di esse, giacché non produrrebbe scienza.
Questo passo, tratto dagli Analitici secondi, rivela quale sia l’idea aristotelica di scienza.
Essa è un processo discorsivo che tende a determinare il perché o la causa delle cose.
La causa fondamentale delle cose è la loro essenza o sostanza.
Questa è la causa fondamentale perché ridà la natura della cosa.
Essa rappresenta precisamente quel medio in virtù del quale noi stabiliamo la necessaria
connessione di certe proprietà con un dato soggetto.
La scienza aristotelica è ricerca della sostanza (o essenza o forma o eidos)e di tutti i nessi che
essa implica (questo punto di vista è notevolmente distante da quello fatto proprio dalle
scienze esatte dell’età moderna, che invece è basato sulla formulazione di ipotesi e sul
loro severo controllo matematico).
Il passo tratto dagli Analitici secondi rivela un altro punto fondamentale, cioè come
devono essere le premesse del sillogismo scientifico o dimostrazione.
1Aristotele non solo ha stabilito che cos’è il sillogismo, ma ha proceduto ad una serie di complesse distinzioni
delle possibili diverse “figure” dei sillogismi e dei vari “modi” validi di ciascuna figura. Le diverse figure del sillo gismo sono determinate dalle differenti posizioni che il termine medio può occupare rispetto agli altri termini
nelle premesse: il medio può essere: prima figura: soggetto nella premessa maggiore (la prima premessa), predicato
nella minore (la seconda premessa) (è il caso dell’esempio di cui sopra che secondo Aristotele delinea la figura più
perfetta, perché la più naturale in quanto manifesta il processo di mediazione in modo più lineare );seconda figu ra: predicato sia nella premessa maggiore sia nella minore; terza figura: soggetto in tutte e due le premesse Ma siccome le proposizioni che fungono da premesse possono variare per “quantità”, cioè essere universali o particola ri, e per “qualità”, cioè essere affermative o negative, allora vi saranno molteplici combinazioni possibili per cia scuna delle tre figure. Sono questi i “modi” del sillogismo. Aristotele stabilisce che vi sono: 4 modi validi per la
prima figura; 4 per la seconda; 6 per la terza.
Come abbiamo visto, in primo luogo esse devono essere vere;
poi devono essere prime, ossia non bisognose di ulteriori dimostrazioni.
Con ciò giungiamo a un punto delicatissimo della dottrina aristotelica della scienza: come
conosciamo le premesse?
Non certo con ulteriori sillogismi, altrimenti si andrebbe all’infinito.
Il sillogismo è un processo deduttivo (deduzione) o inferenziale (inferenza), in quanto ricava
da verità universali verità particolari (le premesse devono essere più chiare delle
conclusioni).
Ma le verità universali come si colgono?
L’induzione è il procedimento attraverso cui dal particolare si ricava l’universale: non è un
ragionamento (connessione di premesse e conclusioni) ma una specie di coglimento
immediato dato dall’esperienza dei casi particolari (ad es.: il fatto che “ogni uomo è
mortale” non è frutto di una deduzione, ma è una conoscenza data dall’aver avuto
esperienza di qualche caso particolare e dal non aver mai sentito affermare il contrario);
oltre alle verità universali delle premesse vi sono poi altri presupposti che rendono il
ragionamento sillogistico applicabile, e cioè la possibilità di riferirsi a certi principi primi
del ragionamento dimostrativo che non possono essere ulteriormente dimostrati.
L’intuizione è il coglimento puro e semplice dei principi primi.
Scrive Aristotele:
Poiché degli abiti razionali con i quali cogliamo la verità alcuni sono sempre veri, mentre altri ammettono il falso,
come l'opinione o il calcolo, mentre la conoscenza scientifica e l'intuizione sono sempre veri, e poiché nessun altro
genere di conoscenza è più esatta di quella scientifica tranne che l'intuizione, e d'altra parte i principi sono più noti delle
dimostrazioni, e poiché ogni conoscenza scientifica si costituisce argomentativamente, non vi può essere
conoscenza scientifica dei princìpi, e poiché non vi può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica tranne che
l'intuizione, l'intuizione deve avere per oggetto i princìpi. Ciò risulta nella indagine non solo a chi fa queste considerazioni,
ma anche dal fatto che principio della dimostrazione non è una dimostrazione; di conseguenza principio della
conoscenza scientifica non è la conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza
vera oltre alla scienza, l'intuizione sarà principio della scienza. L'intuizione allora può essere considerata principio del
principio, mentre la scienza nel suo complesso sta nello stesso rapporto con la totalità delle cose che ha per
oggetto.
Da questo passo si evince come la conoscenza discorsiva presupponga a monte una
conoscenza non discorsiva: la possibilità del sapere mediato suppone di necessità un
sapere immediato.
Dunque, le premesse e i principi primi di ogni scienza vengono colti o per induzione (il
contenuto di verità delle premesse) o per intuizione (la validità dei principi primi del
ragionamento).
Ogni scienza assumerà, innanzi tutto, premesse e principi propri, peculiari ad essa e ad
essa soltanto:
1) In primo luogo, assumerà l’esistenza del soggetto intorno a cui verteranno tutte
le sue determinazioni. Per esempio, l’aritmetica assumerà l’esistenza dell’unità e
del numero, la geometria l’esistenza della grandezza spaziale, e così via;
e ciascuna scienza caratterizzerà il suo soggetto per via di definizione.
Che cosa vuol dire definire? Vuol dire determinare che cos’è l’oggetto che la
parola indica. La definizione, dunque, è il discorso che esprime “la natura delle
cose” o il discorso che esprime “l’essenza”. E per definire qualcosa, secondo
Aristotele, occorrono il “genere prossimo” e la “differenza specifica”.
Se vogliamo sapere cosa vuol dire “uomo”
a) dobbiamo, mediante l’analisi, individuare il “genere prossimo” in cui esso
rientra, che non è quello di “vivente” (anche le piante sono viventi), ma quello
di “animale” (l’animale ha, oltre la vita vegetativa, anche la sensitiva);
b) devo analizzare le differenze che determinano il genere animale, fino a che
troviamo la differenza ultima distintiva dell’uomo che è “razionale”.
L’uomo è dunque “animale (genere prossimo) razionale (differenza specifica)”.
L’essenza delle cose, dunque, è data dalla differenza ultima che caratterizza il genere. In
questo modo è possibile stabilire il contenuto di verità di proposizioni contenti
quel soggetto (ad es., se può esser vero che “l'uomo è musico”, non può essere
vero che “l'uomo è divisibile”).
2) In secondo luogo, ogni scienza dovrà far uso di certi assiomi, ossia di
proposizioni vere di verità intuitiva, e sono questi, i principi in forza dei quali
avviene la dimostrazione.
Tra questi assiomi ve ne sono alcuni comuni a tutte le scienze senza eccezione:
a) Il principio di non contraddizione (non si può affermare e negare dello stesso
soggetto nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto due predicati
contraddittori – ad es., non posso dire “piove e non piove”);
b) Il principio di identità (ogni cosa è se stessa e non un’altra cosa – ad es., “piove”
significa “piove” e non “qualche volta piove e qualche volta qualcosaltro”)
c) Il principio del terzo escluso (non è possibile che ci sia un termine medio fra due
contraddittori – ad es. “o piove o non piove”, una terza possibilità non si dà)
Essi sono i principi trascendentali, cioè valevoli per ogni forma di pensare in quanto tale
(perché valevoli per ogni ente in quanto tale), per sé noti, e quindi primi: sono le cause
incondizionate di ogni dimostrazione (e sono ovviamente indimostrabili, perché ogni
forma di dimostrazione strutturalmente li presuppone)
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