Massimo Capaldi LE NEOPLASIE DEL COLON RETTO Il

Massimo Capaldi
Azienda Ospedaliera “S. Camillo – Forlanini” Roma
Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica
UOC Chirurgia Generale ed Oncologica
LE NEOPLASIE DEL COLON RETTO
Il carcinoma del colon retto rappresenta una delle più frequenti cause di morte per neoplasia nei
paesi occidentali. La neoplasia è rara prima dei 40 anni, più frequente dopo i 60 anni. Nel 25-30%
dei Pazienti sono presenti metastasi epatiche al momento della diagnosi. Il 25-50% dei Pazienti
operati radicalmente presenterà una ripresa di malattia dopo un tempo variabile. Più che
l’identificazione di una precisa causa del carcinoma colo rettale sono stati identificati possibili
fattori di rischio: alimentari, come una dieta povera di fibre e ricca di grassi; genetici, come la
poliposi familiare adenomatosa; la comparsa di polipi la cui trasformazione maligna può essere
interrotta con l’asportazione endoscopica del polipo; la presenza di malattie infiammatorie
intestinali come la rettocolite ulcerosa, dove il rischio di sviluppare nel corso dell’evoluzione di
malattia un carcinoma del colon retto risulta essere circa 20 volte superiore a quello della
popolazione generale. La sintomatologia delle lesioni neoplastiche del colon retto è determinata sia
dalla sede che dallo stato di avanzamento della malattia. A livello del colon destro in genere si
osservano lesioni vegetanti, spesso di notevoli dimensioni, talvolta ulcerate e facilmente
sanguinanti. Utilissimo in questi casi si rivela la ricerca del sangue occulto nelle feci come metodo
di screening di massa. Il dolore di tipo gravativo nei quadranti addominali di destra con una vaga
dispepsia, astenia, dimagrimento ed rilievo di una massa palpabile completano il quadro clinico
nelle fasi avanzate di malattia. I tumori che interessano il colon sinistro hanno uno sviluppo
prevalentemente di tipo anulare e concentrico e favoriscono in tale modo episodi di tipo occlusivo
intestinale. Il sintomo predominante è rappresentato dall’alvo alternante (periodi di stipsi alternata
a diarrea). Nei carcinomi del retto la rettorragia sincrona alla defecazione o indipendente da essa e
la mucorrea sono presenti nella maggioranza dei casi. Uno degli errori più frequenti è attribuire ad
emorroidi tale sintomatologia ed omettere di eseguire gli opportuni esami. Gli adenocarcinomi e le
forme indifferenziate rappresentano il 95% delle neoplasie del grosso intestino. I rimanenti istotipi
comprendono carcinoidi, sarcomi e linfomi. A livello anale il tipo istologico prevalente è quello
squamocellulare. Attualmente è in uso in tutto il mondo il metodo di stadiazione secondo Dukes che
prevede quattro stadi e rappresenta il più importante fattore predittivo della sopravvivenza. Questa
risulta essere, a 5 anni, dell’85-90% per i pazienti in stadio A di Dukes e di circa il 60% per quelli
in stadio B; tale sopravvivenza si riduce al 40% in caso di coinvolgimento linfonodale ed
ulteriormente in caso di metastasi a distanza. Dopo asportazione chirurgica radicale, la
sopravvivenza globale a 5 anni dei Pazienti varia dal 55% al 75%, mentre, dopo la resezione
chirurgica presuntivamente curativa per metastasi epatiche o polmonari, è del 25-40%. L’esame
endoscopico (anorettosigmoidocoloscopia) consente all’ occhio umano di esplorare direttamente
tutti i segmenti del grosso intestino con una accuratezza e sensibilità diagnostiche assai elevate. La
possibilità di eseguire biopsie per la tipizzazione istologica preoperatoria della lesione e di asportare
completamente lesioni polipoidi sospette di piccole dimensioni, rende tale metodica fulcro
insostituibile nella gestione diagnostico-terapeutica del Paziente. L’esame Tomografico
Computerizzato total body consente di verificare l’estensione ad altri organi ed apparati della
malattia neoplastica, oltre che a stabilire il livello della sua invasività locale. Utilissime si mostrano,
pure, sia la Risonanza Magnetica che l’Ecografia Transanale. Per i tumori del retto, ambedue gli
esami forniscono informazioni dettagliate circa lo stato di interessamento linfonodale della
neoplasia a livello locale e sulla penetrazione neoplastica nella parete dell’intestino. Negli ultimi
anni si va progressivamente affermando la cosiddetta Colonscopia Virtuale, ovvero l’elaborazione
computerizzata delle immagini acquisite mediante TC attraverso un “software” ultrasofisticato e la
riproduzione di immagini del colon viste “dal di dentro”, come se fosse effettivamente un
endoscopio a rilevarle. L’impossibilità, al momento attuale, di eseguire interventi di rimozione di
polipi e/o biopsie durante la sua esecuzione, ne limita l’utilizzo riservandola ad indagine di puro
“screening”. Nel controllo a distanza dei Pazienti operati il Medico può giovarsi dell’esame
endoscopico e della Tc insieme al dosaggio ematico di markers tumorali (CEA antigene
carcinoembrionario): un valore di CEA aumentato può rivelare una ripresa di malattia. Il sesso
femminile ha generalmente una prognosi migliore in termini di sopravvivenza. La prognosi è
peggiore nei soggetti giovani al di sotto dei 30 anni, perché di solito la diagnosi è tardiva, e si ha
spesso la presenza di un adenocarcinoma mucoide di alto grado con frequenti metastasi linfonodali.
La mortalità a 5 anni dei soggetti sintomatici è del 49% contro il 79% di quelli asintomatici, specie
quando i sintomi hanno una durata di almeno 6 mesi. Rispetto alle altre localizzazioni, il carcinoma
del retto e del retto-sigma presenta una prognosi peggiore. Dal punto di vista anatomopatologico, la
forma vegetante ha una prognosi migliore rispetto a quella infiltrante. In base alle caratteristiche
istologiche, si possono distinguere diversi gradi di differenziazione e varietà tumorali. L’istotipo
mucinoso e/o il basso grado di differenziazione cellulare sono entrambi attori prognostici negativi.
L’invasione dei vasi linfatici, dei vasi venosi e delle teminazioni nervose rappresenta un fattore
prognostico negativo. La mancanza della risposta infiammatoria periferica al tumore primitivo può
diminuire la sopravvivenza. Generalmente il 70% dei Pazienti viene sottoposto ad interventi
chirurgici apparentemente radicali a scopo curativo; invece nel restante 30% dei casi, già in fase
avanzata di malattia al momento della diagnosi, viene eseguita una chirurgia a scopo palliativo. Nei
Pazienti operati in maniera apparentemente radicale, il rischio di recidiva varia con lo stadio
patologico del tumore primitivo. La chirurgia può essere inoltre utile, e talora indispensabile, nella
malattia avanzata, al fine di prevenire complicanze, come occlusioni, sanguinamenti o perforazioni,
oppure per asportare recidive locoregionali o metastasi a distanza (al fegato, polmone, ecc.), talvolta
con intento curativo. Esiste la possibilità di sottoporre ad intervento chirurgico curativo sia i
Pazienti che già , al momento della diagnosi, presentino ripetizioni metastatiche a livello epatico
(metastasi sincrone) o quando queste compaiano successivamente (metastasi metacrone).
L’indicazione chirurgica in tali casi sussiste quando le metastasi epatiche, indipendentemente dal
loro numero e localizzazione nel fegato, risultino tecnicamente asportabili e venga garantito, dopo
l’intervento, un volume di parenchima epatico residuo compatibile con la vita. L’asportazione di
metastasi epatiche recidive con ulteriore intervento è altresì possibile senza diminuzione dei tassi di
sopravvivenza. In alcuni casi le metastasi possono essere trattate localmente con radiofrequenza,
laser, alcolizzazione ed altre metodiche con successo completo. Stesso discorso anche per le
metastasi polmonari, anche se su tale argomento esistono evidenze scientifiche minori. Negli
adenocarcinomi del retto, nei quali è più frequente la recidiva locale, la radioterapia viene utilizzata
di routine a scopo adiuvante, ovvero nel periodo postoperatorio o neoadiuvante, prima
dell’intervento
chirurgico,
associata
o
meno
alla
chemioterapia.
Studi clinici condotti a livello internazionale hanno recentemente suggerito di utilizzare il
trattamento radiante neoadiuvante associato alla chemioterapia per localizzazioni rettali basse, così
da aumentarne la resecabilità, favorire il salvataggio dell’apparato sfinteriale anale e ridurre
l’incidenza di recidive locali. Questa procedura, associata alla asportazione totale del mesoretto ed
al risparmio della rete nervosa pelvica ha permesso, infatti, negli ultimi decenni una notevole
riduzione degli interventi di amputazione addominoperineale che di necessità comportano il
confezionamento di una colostomia permanente. Da circa 40 anni il 5-fluorouracile (5-FU)
rappresenta il cardine della chemioterapia adiuvante del carcinoma del colon retto. Attualmente lo
schema terapeutico che prevede l’associazione di 5-FU con acido folinico (AF) somministrati per 5
giorni al mese per 6 mesi, viene considerato il “gold standard” nel trattamento adiuvante nei
pazienti in stadio III. Con questo tipo di terapia si è osservato un incremento della sopravvivenza a
distanza
.
Di recente è stato osservato, in vari studi internazionali, comel’associazione del 5-FU/AF con
l’oxaliplatino (schema FOLFOX) sia efficace e sicura nel trattamento adiuvante dei Pazienti nei
primi stadi di malattia, con una riduzione del rischio di recidiva a 3 anni del 25%. Nel trattamento
dei Pazienti affetti da carcinoma del colon retto in fase metastatica sono state utilizzate diverse
opzioni terapeutiche. La chemioterapia sistemica, la chemioterapia locoregionale, la chirurgia da
sola od in associazione alle precedenti permettono ampia possibilità di scelta con buoni risultati.
In conclusione, negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi nel trattamento integrato del
carcinoma colo rettale. Molto frequenti sono, infatti, le guarigioni complete dei pazienti. Non sarà
mai utile abbastanza, comunque, raccomandare, oltre che una costante osservazione di sintomi o
segni spesso trascurati, la regolare esecuzione di esami di “screening”, dal sangue occulto nelle feci
alla rettocolonscopia periodica.