processo ai grandi trial Lo studio PATHWAY-2 Davide Bolignano, Carmine Zoccali CNR-IFC Epidemiologia Clinica e Fisiopatologia delle Malattie Renali e dell’Ipertensione Arteriosa, Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria Background. Nei pazienti con ipertensione resistente resta da definire quale sia il trattamento farmacologico ottimale. Scopo dello studio è stato testare l’ipotesi che l’ipertensione resistente fosse causata più frequentemente da un’eccessiva ritenzione di sodio e che pertanto lo spironolattone fosse più efficace di altri farmaci non diuretici in aggiunta alla terapia di base nel ridurre i valori pressori. Metodi. In questo studio in doppio cieco, controllato vs placebo e cross-over sono stati arruolati pazienti di età compresa tra 18 e 79 anni, provenienti da 12 centri di cure secondarie e 2 centri di cure primarie del Regno Unito, con valori di pressione arteriosa sistolica clinica ≥140 mmHg (o ≥135 mmHg se diabetici) o domiciliare ≥130 mmHg (sulla base di 18 misurazioni in 4 giorni), malgrado terapia antipertensiva di combinazione con tre farmaci alla dose massima tollerata per 3 mesi. I pazienti sono stati randomizzati a ruotare attraverso quattro cicli di trattamento di 12 settimane ciascuno con spironolattone (25-50 mg/ die), bisoprololo (5-10 mg/die), doxazosina (4-8 mg/die a rilascio modificato) e placebo, in aggiunta alla terapia antipertensiva di base. La randomizzazione è stata eseguita attraverso un sistema computerizzato centrale e tanto i ricercatori quanto i pazienti non erano a conoscenza del farmaco prescritto e della sequenza di somministrazione. Per ciascun ciclo, il dosaggio è stato raddoppiato dopo 6 settimane di trattamento. La sequenza gerarchica per l’analisi dell’endpoint primario era costituita dalla differenza dei valori medi di pressione arteriosa sistolica misurata al domicilio tra spironolattone e placebo, seguita (in caso di significatività) da quella tra spironolattone e la media degli altri due farmaci attivi e tra spironolattone e ciascuno degli altri due farmaci attivi singolarmente. L’analisi è stata condotta secondo il principio intention-to-treat. Risultati. Tra il 15 maggio 2009 e l’8 luglio 2014 sono stati screenati 436 pazienti e ne sono stati randomizzati 335. Dopo l’esclusione di 21 pazienti, 285 hanno ricevuto spironolattone, 282 doxazosina, 285 bisoprololo e 274 placebo; 230 pazienti hanno completato tutti i cicli di trattamento. Il trattamento con spironolattone induceva una riduzione media della pressione arteriosa sistolica automisurata a domicilio superiore a quella ottenuta con placebo (-8.70 mmHg [IC 95% da -9.72 a -7.69]; p<0.0001) e con gli altri due trattamenti (doxazosina e bisoprololo; -4.26 mmHg [IC 95% da -5.13 a -3.38]; p<0.0001), nonché superiore rispetto ai trattamenti individuali (-4.03 mmHg [IC 95% da -5.04 a -3.02] e -4.48 mmHg [IC 95% da -5.50 a -3.46] vs doxazosina e bisoprololo, rispettivamente; p<0.0001). Lo spironolattone risultava inoltre il trattamento più efficace nel ridurre i valori pressori indipendentemente dai valori di renina misurati al basale ma il suo margine di superiorità e la probabilità di essere il miglior farmaco per il singolo paziente risultavano nettamente maggiori nei pazienti con valori di reninemia collocati nei margini inferiori della distribuzione. Tutti i trattamenti sono stati ben tollerati. In una sola occasione sono stati osservati livelli di potassiemia sierica >6.0 mmol/l in 6 dei 285 pazienti trattati con spironolattone. Conclusioni. Lo spironolattone in aggiunta alla terapia antipertensiva di base si è dimostrato il farmaco più efficace nel trattamento dell’ipertensione resistente e la sua superiorità suggerisce che la ritenzione di sodio abbia un ruolo primario nel determinare tale condizione. [Lancet 2015;386:2059-68] G Ital Cardiol 2016;17(12):951-953 © 2016 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Carmine Zoccali CNR-IFC Epidemiologia Clinica e Fisiopatologia delle Malattie Renali e dell’Ipertensione Arteriosa, Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria, Via Vallone Petraia, 89100 Reggio Calabria e-mail: [email protected] Si definisce ipertensione resistente un controllo non ottimale della pressione arteriosa nonostante il trattamento con almeno tre classi differenti di farmaci antipertensivi alla massima dose tollerabile, incluso un diuretico1. Si tratta di una condizione associata a prognosi infausta a causa dei danni d’organo da esposizione prolungata agli elevati valori pressori e dall’eventuale associazione con altre comorbilità tra cui diabete, obesità e malattia renale cronica. La prevalenza di G ITAL CARDIOL | VOL 17 | DICEMBRE 2016 951 D Bolignano, C Zoccali questa condizione non è così bassa come si potrebbe pensare, in quanto affligge circa il 10-20% dei pazienti ipertesi trattati, il che equivarrebbe ad una stima di circa 10 milioni di persone a livello globale. L’assenza di schemi farmacologici universalmente efficaci ha condotto negli ultimi anni a strategie alternative, come la denervazione renale e la stimolazione barocettoriale. Nessuna di queste, tuttavia, ha finora fornito risposte esaustive al problema. Gli schemi attuali di trattamento consigliati dalle linee guida prevedono un approccio definito “di quarta linea”, basato cioè sull’aggiunta di una quarta classe farmacologica ad una triplice terapia costituita da un bloccante del sistema renina-angiotensina + calcioantagonista + diuretico tiazidico. Tale aggiunta, tuttavia, viene effettuata su base del tutto empirica riflettendo l’assenza di studi randomizzati di comparazione tra diversi farmaci. Del resto anche la patogenesi dell’ipertensione resistente è in gran parte sconosciuta. Numerose evidenze, tuttavia, suggeriscono che la ritenzione di sodio abbia un ruolo preponderante nel determinare e mantenere questa condizione. La scarsa tendenza a prescrivere diuretici per il trattamento di questi pazienti (rispetto ad altre classi di farmaci) giustificherebbe, in tal senso, la difficoltà nel raggiungere livelli di pressione arteriosa soddisfacenti. Una recente metanalisi di studi osservazionali e piccoli trial ha mostrato l’ottima capacità dello spironolattone nel ridurre la pressione arteriosa nell’ipertensione resistente2. Questo diuretico, infatti, grazie al meccanismo di blocco dei recettori mineralcorticoidi, dovrebbe rappresentare il farmaco di elezione per contrastare la sodio-ritenzione nei pazienti con ipertensione resistente con evidente beneficio sul controllo dei valori pressori. Lo spironolattone, tuttavia, non è stato mai direttamente confrontato con altri farmaci consigliati per il trattamento dell’ipertensione resistente. Ciò non permette di affermare con certezza che l’aggiunta di questo diuretico rappresenti la soluzione più efficace per la gestione di tutti i soggetti affetti da questa condizione o, almeno, di parte di loro. Lo studio PATHWAY-23 è stato proprio disegnato per verificare la superiorità dello spironolattone come quarta linea di trattamento dell’ipertensione resistente rispetto ad altri farmaci che hanno a bersaglio altri meccanismi fisiopatologici come la doxazosina (bloccante α1-adrenergico che riduce le resistenze periferiche) e il bisoprololo (bloccante β1-adrenergico che riduce la gittata cardiaca). Un altro obiettivo di questo studio era quello di verificare se la valutazione dei livelli di renina plasmatica potessero rappresentare un utile biomarcatore di efficacia terapeutica, considerando che più bassi livelli di renina riflettono di solito uno stato di maggiore ritenzione idrica (e quindi, in teoria, maggiore predisposizione a rispondere a questo diuretico). Nel trial (doppio cieco, randomizzato, cross-over) sono stati arruolati 335 pazienti affetti da ipertensione resistente di età compresa tra 18 e 79 anni. I partecipanti sono stati inizialmente sottoposti ad una fase di run-in con placebo in singolo cieco per 1 mese e quindi randomizzati a ruotare attraverso quattro cicli di trattamento di 3 mesi ciascuno con spironolattone (25-50 mg/die), doxazosina (4-8 mg/die a rilascio modificato), bisoprololo (5-10 mg/die) e placebo, senza washout tra le varie fasi. Al completamento di questo studio, i partecipanti hanno seguito un’ulteriore fase di 12 952 G ITAL CARDIOL | VOL 17 | DICEMBRE 2016 settimane “open-label” con amiloride 10 mg titolato a 20 mg dopo 6 settimane. Nei 230 pazienti che hanno completato tutti i cicli previsti di trattamento, il trattamento con spironolattone induceva una riduzione media della pressione arteriosa sistolica automisurata a domicilio superiore a quella ottenuta con placebo (8.70 mmHg; intervallo di confidenza [IC] 95% da -9.72 a -7.69; p<0.0001) e con gli altri due trattamenti (doxazosina e bisoprololo; -4.26 mmHg; IC 95% da -5. 13 a -3.38; p<0.0001) nonché superiore rispetto ai trattamenti individuali (-4.03 mmHg; IC 95% da -5.04 a -3.02 e -4.48 mmHg; IC 95% da -5.50 a -3.46 vs doxazosina e bisoprololo, rispettivamente; p<0.0001). Lo spironolattone risultava inoltre il trattamento più efficace per ridurre la pressione arteriosa indipendentemente dai valori di renina misurati al basale ma il suo margine di superiorità e la probabilità di essere il miglior farmaco per il singolo paziente risultavano nettamente maggiori nei pazienti con valori di reninemia collocati nei margini inferiori della distribuzione. Il profilo di sicurezza del farmaco risultava inoltre molto soddisfacente con solo 6 pazienti che sviluppavano iperpotassiemia (K >6.0 mmol/l) durante il trattamento. I risultati di questo trial sono molto interessanti per varie ragioni. PATHWAY-2 sembra intanto confermare che la ritenzione di sodio rappresenta una predominante causa fisiopatologica dell’ipertensione resistente, nonostante la presenza in terapia di un diuretico. Questa indicazione è confermata dal riscontro che la risposta allo spironolattone ha mostrato una chiara relazione inversa con i livelli di renina plasmatica. Non meno importante, lo studio sembra finalmente definire una chiara gerarchia nell’approccio terapeutico all’ipertensione resistente in cui lo spironolattone rappresenta la più efficace terapia aggiuntiva di quarta linea per la maggior parte dei pazienti. Esso suggerisce inoltre che l’ipertensione resistente è una condizione che può ancora essere trattata farmacologicamente, ridimensionando quindi la necessità di cercare trattamenti alternativi più cruenti (es. denervazione renale). Lo spironolattone si è peraltro rivelato un farmaco abbastanza sicuro e ben tollerato nella vasta maggioranza dei pazienti, anche tenuto conto delle basse dosi (25-50 mg) giornaliere che sono state impiegate. Nonostante quasi il 14% dei pazienti arruolati fosse affetto da diabete di tipo 2, solo 6 pazienti trattati con spironolattone hanno sviluppato livelli di potassio >6.0 mmol/l, senza peraltro alcuna conseguenza clinica. Anche l’incidenza di ginecomastia, un altro effetto collaterale riconosciuto a questo farmaco, è risultata globalmente bassa (solo il 6% del totale degli uomini trattati). La breve durata di esposizione al farmaco (3 mesi) potrebbe tuttavia rappresentare un limite per la corretta valutazione del profilo di sicurezza dello spironolattone in questa classe di pazienti. Il PATHWAY-2 è stato infine uno dei pochi trial ad utilizzare come endpoint clinico la pressione arteriosa misurata a domicilio anziché quella ospedaliera, minimizzando il possibile effetto placebo o, al contrario, il rischio di valori falsamente elevati dall’effetto “camice bianco”. Come detto in precedenza al completamento del protocollo principale, i partecipanti hanno seguito un’ulteriore fase di 12 settimane “open-label” con amiloride 10 mg titolato a 20 mg dopo 6 settimane. I risultati di questa estensione di studio permetteranno di stabilire se l’efficacia di questo diure- Lo studio PATHWAY-2 tico sia superiore o sovrapponibile a quella dello spironolattone nel controllare l’ipertensione resistente. Nonostante il controllo dei valori pressori rappresenti un importante surrogato di endpoint “hard” cardiovascolari, studi futuri con più estesi periodi di follow-up sono probabilmente necessari per stabilire se l’aggiunta di spironolattone come farmaco di quarta linea nell’ipertensione resistente sia effettivamente in grado di ridurre la mortalità e morbilità cardiovascolare in questi pazienti. BIBLIOGRAFIA 1. Vongpatanasin W. Resistant hypertension: a review of diagnosis and management. JAMA 2014;311:2216-24. 2. Guo H, Xiao Q. Clinical efficacy of spironolactone for resistant hypertension: a meta analysis from randomized controlled clinical trials. Int J Clin Exp Med 2015;8:7270-8. 3. Williams B, MacDonald TM, Morant S, et al.; PATHWAY Studies Group. Spironolactone versus placebo, bisoprolol, and doxazosin to determine the optimal treatment for drug-resistant hypertension (PATHWAY-2): a randomised, double-blind, crossover trial. Lancet 2015;386:2059-68. 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