O Farmaci biologici nel lupus eritematoso sistemico giovanile A. Ravelli, L. Trail, C. Malattia, G. Filocamo Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università degli Studi di Genova e IRCCS G. Gaslini, Genova I Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da decorso e prognosi assai variabili. Negli ultimi 40 anni si è verificato un notevole miglioramento del livello di sopravvivenza nei pazienti affetti da LES, sia nei casi ad esordio pediatrico che in quelli ad insorgenza in età adulta. L’allungamento dell’aspettativa di vita si è, tuttavia, accompagnato ad un considerevole incremento della morbilità, secondaria non soltanto alle lesioni d’organo inerenti l’attività di malattia, ma anche agli effetti collaterali delle terapie tradizionali, corticosteroidee e immunosoppressive, e alle patologie concomitanti, come le infezioni ricorrenti, l’aterosclerosi accelerata e l’ipertensione arteriosa. In conseguenza di questo fenomeno, si è verificata negli ultimi anni una importante modificazione dell’approccio terapeutico ai pazienti con LES, che viene oggi mirato non soltanto al prolungamento della sopravvivenza, ma anche alla prevenzione dei danni d’organo determinati dalla malattia o dal suo trattamento. A d Negli anni più recenti, grazie ai notevoli progressi della ricerca biologica, che hanno consentito di chiarire nel dettaglio molti dei meccanismi patogenetici responsabili dell’infiammazione, sono stati messi a punto nuovi farmaci capaci di bloccare in maniera selettiva e mirata alcune molecole coinvolte nell’induzione della flogosi e del danno d’organo nelle malattie autoimmuni sistemiche. Questi farmaci, denominati agenti biologici, hanno aperto una nuova prospettiva nel trattamento delle forme resistenti alle terapie convenzionali. Rispetto all’artrite reumatoide dell’adulto e all’artrite idiopatica giovanile, l’esperienza sull’impiego degli agenti biologici nel LES è ancora limitata. Inoltre, non esistono, ad oggi, studi controllati sufficientemente ampi e conclusivi. O Sono stati riportati risultati incoraggianti sull’impiego dell’antagonista del tumor necrosis factor (TNF) infliximab, associato ad azatioprina o methotrexate, in 6 pazienti con LES (3 con artrite e 4 con nefrite) refrattari alle terapie convenzionali. Tutti i pazienti con artrite hanno raggiunto la remissione clinica e i pazienti con nefrite sono andati incontro a riduzione della proteinuria. Non sono stati osservati effetti collaterali gravi, ma vi è stato aumento dei livelli degli anticorpi antiDNA e anticardiolipina. L’impiego degli anti-TNF nel LES è, tuttavia, discusso in quanto è stata riportata l’insorgenza di sindromi lupiche o di nuovi autoanticorpi in pazienti sottoposti a trattamento con questi farmaci. L’agente biologico al momento più promettente nelle forme di LES resistenti ai trattamenti tradizionali è il rituximab. Il rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro l’antigene CD20 dei Blinfociti. La sua somministrazione produce una profonda deplezione dei B-linfociti e il suo impiego è quindi teoricamente indicato nelle malattie autoimmuni in cui vi è prominente produzione di autoanticorpi patogenici, prima fra tutte il LES. In realtà, questo farmaco non appare del tutto adeguato a ridurre la generazione di autoanticorpi in quanto le plasmacellule, che ne sono la principale sorgente, non posseggono l’antigene CD20. E’ stato, in effetti, ipotizzato che il miglioramento clinico indotto dal rituximab nelle malattie immuno-mediate sia piuttosto secondario all’inibizione di altre funzioni immunologiche delle cellule B potenzialmente R implicate nel processo patogenetico, come la capacità di fungere da cellule presentanti l’antigene, di produrre citochine e di stimolare l’attivazione dei T-linfociti. Il meccanismo attraverso cui il rituximab determina distruzione delle cellule bersaglio non è chiaro, ma si presume coinvolga processi di citotossicità anticorpo-dipendente, lisi mediata dal complemento o apoptosi. Esistono segnalazioni aneddotiche di un effetto favorevole di questo farmaco, in monoterapia o in associazione ad altri immunosoppressori, in casi di LES giovanile con manifestazioni cliniche estremamente severe e refrattarie al trattamento corticosteroideo o immunosoppressivo, quali anemia emolitica, trombocitopenia, nefrite proliferativa e interessamento del sistema nervoso centrale (isolato o associato alla presenza di anticorpi antifosfolipidi). Sebbene il rituximab sia stato generalmente ben tollerato nei pochi casi sinora trattati, non devono essere trascurati i possibili effetti secondari cui possono andare incontro i pazienti con malattie autoimmuni, ad esempio le reazioni infusionali, l’ipogammaglobulinemia, lo sviluppo di anticorpi antichimerici e l’aumentata suscettibilità all’insorgenza di infezioni opportunistiche. E’ inoltre necessario tener presente che i soggetti che hanno ricevuto da poco questa terapia possono non sviluppare una risposta efficace alle vaccinazioni. 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