La Cina - Zanichelli online per la scuola

La Cina
Unità 16
Un grande Paese
Un grande Paese
Stato e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Le dimensioni
Un bilancio
provvisorio
La Cina si estende per 9 milioni e mezzo di
km2, all’incirca 30 volte l’Italia. In tutto il
mondo essa viene superata per dimensioni
solo dalla Russia, che è di gran lunga il paese
più esteso del pianeta, e (di stretta misura)
dal Canada.
La Cina è il paese più popolato del mondo,
con oltre un miliardo e 300 milioni di abitan-
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U
ti. Il 90% circa dei cinesi vive in un territorio
corrispondente a meno della metà della superficie della Cina, chiamato «Cina propriamente detta» o «Cina delle 18 province». Si
tratta di un’area dominata dalle pianure, dai
grandi fiumi e dall’agricoltura, abitata dal
«popolo degli Han», cioè da coloro che si
considerano i cinesi veri e propri. Il resto del
territorio, chiamato Cina «esterna», è invece
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1 Unità 28
G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
Mar Cinese
Meridionale
TAIWAN
Le zone climatiche della Cina.
Foreste
Steppe e deserti
Deserti freddi
climi di alta
montagna
Clima continentale
temperato
Clima subtropicale
una zona più vasta ma molto meno popolata, dominata da steppe, deserti e altopiani, e
dalle catene di montagne più grandiose del
mondo. La Cina «esterna», terra di allevatori nomadi, è abitata da minoranze etniche di
origine turca, mongola, tibetana o altra.
Clima tropicale
Venti freddi
e secchi
Monsoni d’estate
Monsoni d’inverno
Il simbolo del WWF. Il panda è un mammifero che si nutre
soprattutto di vegetali e che vive allo stato naturale solo in Cina,
sulle montagne del Tibet e del Sichuan. I cinesi ne hanno donato
degli esemplari, in segno di amicizia, ad alcuni grandi giardini
zoologici di altri paesi. Questo simpatico animale è diventato
assai popolare anche da noi per essere stato assunto a simbolo
dal WWF, un ente mondiale per la protezione della natura, e in
particolare degli animali selvatici minacciati di estinzione. In Cina
è particolarmente amato, soprattutto dai bambini che vanno
spesso negli zoo a godere delle sue evoluzioni. La popolarità ha
però nuociuto a questo animale. Già minacciato per il ritiro delle
foreste, il panda è oggi anche oggetto dell’avidità dei bracconieri,
che sfidano la pena di morte per poterlo vendere a prezzi altissimi
fuori dalla Cina. Per tutti questi motivi, il panda è ormai a rischio
di estinzione. [Morty Stouffer Productions/Animals]
La Cina propriamente detta
La Cina «propriamente detta» si estende dal
Fiume Giallo verso est e verso sud, fino al
mare e ai confini della penisola indocinese.
In questa parte orientale del paese si trovano le pianure formate dai due grandi fiumi:
il Fiume Giallo a nord e più a sud il fiume
Chang Jiang (o Yang-tse Kiang, secondo una
vecchia trascrizione), il più lungo dell’Asia e
uno dei maggiori del mondo, con i suoi 5800
kilometri.
La parte settentrionale della Cina «propriamente detta» è la culla della civiltà cinese. È qui che sorge la capitale politica, Pechino, che si trova pressappoco alla stessa
latitudine di Napoli, ma con un clima molto
più continentale e freddo. I prodotti principali dell’agricoltura sono qui i cereali secchi:
grano, orzo, miglio, sorgo. Inoltre, cotone,
legumi e ortaggi.
A sud, il clima è tropicale, molto influenzato dal monsoni, che in primavera e in estate
portano piogge torrenziali, e a volte catastrofici tifoni. Se il grano e in generale i cereali
secchi sono tipici del nord (dal clima secco e
freddo), il riso si afferma sempre di più come
il prodotto più tipico di mano in mano che si
scende verso sud. Questo dipende dal fatto
che il riso richiede grandi quantità di acqua
(qui fornite soprattutto dal monsone) e molto lavoro fatto a mano dai contadini: i cinesi
lo chiamano la «pianta accarezzata».
Per quanto riguarda il bestiame, esso è
meno utilizzato che da noi in appoggio all’agricoltura, perché per nutrirlo occorrerebbe impiegare delle granaglie, sottraendole ai raccolti destinati agli uomini. Ci sono, certo, cavalli,
muli, asini e bufali, adoperati come animali da
tiro, ma in numero limitato. Sono invece allevati in grande quantità i suini e gli animali da
cortile, e anche il pesce, del quale è assai diffusa la coltura nelle acque interne, a volte nelle stesse risaie.
La Cina «esterna»
Se la Cina dell’est è il regno dei contadini sedentari, quella del nord e dell’ovest, la cosiddetta Cina «esterna», è tradizionalmente
il regno dei nomadi, pastori e allevatori, ma
spesso anche grandi conquistatori (come i
Mongoli di Gengis Khan che conquistarono
l’impero nel XIII secolo). Simbolo della divi-
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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
La Cina
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Stato e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
sione tra questi due mondi è la Grande Muraglia, che il primo imperatore costruì, secondo
la tradizione, nel III secolo a.C. riunendo una
serie di fortificazioni già esistenti.
La Cina «esterna» è un insieme di regioni
molto diverse fra di loro. Cominciando da sudovest, il Tibet è un immenso altopiano la cui altitudine media supera quella del Monte Bianco,
percorso da gole profonde e da alte catene in
direzione est-ovest, principale fra tutte l’Himalaya. È qui che si trova il Monte Everest, il tetto
del mondo (8846 m), che per i cinesi si chiama
Qomolangma.
A nord del Tibet si trova il Xinjiang, la più
vasta regione della Cina, che abbiamo già trattato nel capitolo sull’Asia centrale.
Le popolazioni che abitano nelle regioni di
cui abbiamo ora parlato sono costituite solo in
parte da cinesi veri e propri. Più antica è la presenza di minoranze etniche o religiose: tibetani,
hui, turchi uiguri, mongoli. Le loro religioni
sono il buddismo nel Tibet e nella Mongolia
Interna, l’Islam nel Xinjiang.
Per completare il panorama della Cina
«esterna» occorre parlare di una regione geografica che costituisce un caso particolare: è la
regione che si chiamava un tempo Manciuria, e
che oggi comprende le tre province di Liaoning,
Jilin e Heilongjiang. Qui si è sviluppata nel tempo un’agricoltura assai simile a quella esistente
nella pianura del Fiume Giallo, e la civiltà cinese
si è imposta su quella delle originarie tribù manciù di cacciatori, pescatori, allevatori di renne.
La Grande Muraglia. Il tratto più frequentemente
fotografato è quello più vicino alla capitale Pechino (dista
circa 90 km), che quindi è anche il più visitato dai turisti. In
questo tratto, la muraglia è alta circa 8 m, larga 6,5 alla base
e un po’ meno (5,8 m) alla sommità. Quest’ultima è percorsa
da un camminamento, che spesso, nei punti più ripidi,
diventa una scalinata; sui due lati ci sono merli e feritoie. A
intervalli regolari di circa 200 m sorgono fortificazioni e torri
sulle quali, in caso di pericolo, le sentinelle accendevano un
fuoco, trasmettendo così l’allarme, di torre in torre, anche a
grandissima distanza. [David Sanger Photography/Alamy]
Terrazzamenti fertili. Questo paesaggio di terrazzi è stato intagliato in anni recenti, col paziente lavoro di molti uomini, nel
fianco di una collina sull’altopiano del loess, nella provincia cinese dello Shaanxi. Questo terreno uniformemente giallastro è
il loess: una fine polvere calcarea depositata qui dal vento che l’aveva sollevata, qualche centinaio di kilometri più lontano,
nei deserti di Ordos e di Gobi. L’assenza di importanti ostacoli montuosi ha facilitato questo trasporto e il loess ricopre oggi
300 000 km2 di territorio cinese con un mantello di spessore variabile da qualche metro a trecento metri. Il loess è tenero e
facilmente erodibile: l’acqua vi intaglia gole profonde e lo convoglia fra queste colline fino al maggior corso d’acqua della
regione, che si chiama «Fiume Giallo» proprio per la gran massa di sedimenti di loess che trasporta. Il loess è abbastanza
resistente per non franare se tagliato in muri quasi verticali, come questi che seguono le ondulazioni delle curve di livello sul
pendio della collina: i terrazzi orizzontali che ne risultano tratterranno acqua e permetteranno di avere un suolo abbastanza
fertile da dare un prodotto agricolo. [M. Riboud/Magnum]
La Cina e il mare
A est e a sud la Cina è limitata da quattro
mari: il Mare di Bohai, il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale. Il
primo è un mare interno, coperto in parte dai
ghiacci d’inverno, chiuso dalle penisole del
Liaodong e dello Shandong e comunicante
col Mar Giallo: gli altri si aprono sull’Oceano
Pacifico. Più di 5000 isole grandi e piccole (le
principali sono Taiwan e Hainan) sono disseminate lungo la costa cinese, specie a sud.
La Cina ha oggi numerosi grandi porti di livello internazionale, come Shanghai,
Canton, Tianjin (Tientsin), Qingdao, o come
quello fluviale di Wuhan. La navigazione interna può usufruire di una rete gigantesca ed
efficiente di fiumi e canali navigabili: primo
fra tutti il canale costruito nel VI secolo, che
ancora collega il Fiume Giallo al Chang Jiang.
Più tardi, sotto i Mongoli, un altro Grande
Canale, o Canale Imperiale, venne costruito
più a oriente: più lungo del precedente, esso
scorreva (e scorre tuttora) da Pechino e Tianjin, a nord, fino a Hangzhou, a sud.
Dei moltissimi cinesi che nei secoli trascorsi, in ondate successive, hanno abbandonato il paese per stabilirsi altrove (oggi, più
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di 50 milioni di «cinesi d’oltremare» vivono
a Singapore, in Indocina, in Indonesia, negli
Stati Uniti), la grande maggioranza lo ha fatto per mare. Tuttavia, i cinesi non sono considerati un popolo di navigatori, e in effetti
la loro espansione è stata soprattutto terrestre. Ma non sempre. Fra il XIV e il XV secolo,
quando gli europei ancora esitavano a uscire
dal Mediterraneo, i cinesi erano già arrivati in
Africa, e secondo alcuni studiosi (ma la cosa
è oggetto di discussione) avevano già raggiunto la costa occidentale dell’America.
Stato e popolazione
La Cina politica
Politicamente la Cina si divide in 22 province, 5 regioni autonome (Mongolia Interna,
Guangxi Zhuang, Tibet, Ningxia Hui, Xinjiang) e 4 municipalità che dipendono direttamente dalle autorità centrali (Pechino,
Shanghai, Chongqing e Tianjin). All’interno
delle province e delle regioni autonome troviamo una piramide di livelli amministrativi:
prefetture, distretti, città, cantoni; alla base,
più di 5 milioni di villaggi.
Province, regioni autonome e municipalità eleggono i circa 3000 deputati dell’Assemblea popolare nazionale (il Parlamento
cinese), che si riunisce una volta all’anno per
un certo numero di giorni. Nell’intervallo
tra le sue riunioni la sostituisce un Comitato
permanente. L’Assemblea elegge il Presidente
della Repubblica e il capo del governo. Esistono, oltre al PCC, numerosi partitini «democratici», la cui presenza è però pressoché
simbolica. Di fatto, non c’è elezione, a livello
nazionale come a quello locale, che non sia il
risultato di una designazione del Partito comunista. Ed è all’interno del partito, più che
negli organismi statali, che vengono prese le
decisioni che contano.
Tuttavia, nel 2002, il XVI Congresso del
Partito Comunista Cinese ha stabilito che il
XINJIANG UYGUR
TIBET XIZANG
partito stesso deve rappresentare non più solo
il proletariato e i contadini, ma «le forze produttive più avanzate», «la cultura più avanzata», «gli interessi della schiacciante maggioranza del popolo cinese». E tra gli iscritti
al partito sono diminuiti, in percentuale, gli
operai e i lavoratori agricoli, mentre si sono
aperte le porte agli imprenditori privati.
La popolazione
Nel 1949 i cinesi erano 560 milioni; al censimento del 1990 erano diventati circa 1 miliardo e 130 milioni. Nel 2008 erano stimati
in circa 1 miliardo e 320 milioni, e si calcola che supereranno il miliardo e mezzo nel
2025.
Si ritiene che la popolazione della Cina,
storicamente, sia stata sempre, all’incirca, un
quarto dell’umanità. Ma l’esplosione dell’ultimo quarantennio si lega a un forte miglioramento delle condizioni economiche e sociali, che ha comportato soprattutto il calo
della mortalità, per il miglioramento delle
condizioni igieniche e sanitarie. Al calo della
mortalità si è accompagnato per molti anni
un tasso di natalità elevato, non ostacolato
in epoca maoista dal governo: in ogni nuovo nato si vedevano, potenzialmente, altre
due braccia destinate a servire il paese
e a lavorare per i suoi successi. Solo
dalla metà degli anni Settanta si è cominciato a attuare un controllo delle
nascite. Il tasso di incremento annuo
della popolazione è infatti calato neHEILONGJIANG
gli ultimi anni, ed è oggi dello 0,6%;
mentre l’indice di fecondità (e cioè il
JILIN
MONGOLIA
numero medio di figli per ogni donINTERNA
na), che era del 5,8 nel 1970, è sceso
LIAONING
ora all’1,7. Tuttavia le misure adottate
GANSU
Pechino
dal governo per contenere la crescita
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demografica, come per esempio l’inHUI
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la politica del figlio unico, non hanno
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dato i risultati sperati. Sono ora allo
Shanghai
studio nuovi provvedimenti, ma solo
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profonde trasformazioni culturali e soZHEJIANG
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questione demografica.
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GUANGDONG
La Cina politica.
HAINAN
Regioni
autonome
Municipalità
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Le religioni
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Stato
e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Le religioni praticate dai cinesi si possono
distinguere in religioni indigene, come il confucianesimo o il taoismo o i molti culti popolari; e religioni nate invece fuori dalla Cina
e diffuse quindi per importazione: in tempi
antichissimi il buddismo, più tardi l’Islam, in
epoca più recente le diverse confessioni cristiane.
Il confucianesimo è piuttosto un’etica sociale e un’arte del buon governo che una religione vera e propria. Il suo stesso fondatore, Kung Fu-tzu (europeizzato in Confucio),
vissuto nel VI secolo a.C., fu soprattutto un
politico; e il confucianesimo fu essenzialmente la religione della classe dirigente. Il popolo
preferiva gli insegnamenti del taoismo o del
buddismo, o di un insieme di culti e credenze
nel quale elementi confuciani, taoisti, buddisti si univano ad altri ancora più antichi. Per
questo molti studiosi parlano volentieri di
una religione dei cinesi, dai confini non ben
definiti.
Le origini del taoismo sono pressoché
contemporanee di quelle del confucianesimo.
I suoi maestri erano poco interessati alla politica e molto alla Natura, cui cercavano di
sottrarre i segreti della vita e dell’immortalità. Questo li portò a essere asceti e maghi, ma
ben presto anche scienziati: si devono soprattutto a loro gli inizi della grande tradizione
scientifica cinese, per esempio nel campo della chimica e della medicina (la stessa agopuntura si fonda su princìpi elaborati da loro).
Il buddismo, nato in India, arrivò in Cina,
portato da pellegrini, nel primo secolo della
nostra era, e anch’esso ottenne un grande seguito popolare.
In quella che abbiamo chiamato «religione dei cinesi» (e che è la più praticata), c’è
un Pantheon vastissimo di dei, a cominciare
dal Cielo, divinità suprema; o protagonisti
di antichi miti; o uomini ritenuti santi e immortali a causa delle vicende della loro vita.
Ci sono divinità protettrici dei grandi eventi della vita, dalla nascita al matrimonio; o
preposte al giudizio sui meriti e demeriti dei
defunti. Ci sono divinità che fanno piovere
sulle coltivazioni o benedicono i raccolti, che
guariscono da malattie. Il mondo dell’oltretomba è popolato di spiriti benevoli e di demoni minacciosi.
A queste religioni tradizionali si aggiunsero nell’Ottocento le varie confessioni cristiane, portate dai missionari.
In epoca contemporanea, la religione popolare venne tacciata di superstizione e combattuta in nome del progresso dell’istruzione.
Ma soprattutto dopo l’avvento al potere dei
comunisti, nel 1949, il prevalere dell’ideologia marxista-leninista comportò l’avversione del governo a ogni forma di pratica
religiosa. Ancora negli ultimi anni una dura
persecuzione si è abbattuta sui seguaci della setta Falun Gong, assai diffusa. Nel caso
delle confessioni cristiane, questa avversione
si nutriva anche della diffidenza nei confronti di una religione legata all’Occidente; e nel
caso del buddismo e dell’Islam era motivata
anche dalla preoccupazione di controllare le
tendenze autonomiste presenti nelle regioni
(rispettivamente il Tibet e il Xinjiang) in cui
esse erano più diffuse. Così, la stragrande
maggioranza dei luoghi di culto, grandi e piccoli, vennero distrutti o convertiti in musei
(quando presentavano un grande interesse
artistico), o addirittura in magazzini. Perfino
Confucio, il personaggio di maggior prestigio
dell’intera tradizione cinese, cadde in disgrazia e fu aspramente criticato come rappresentante delle vecchie classi dominanti: oggi è
tornato a essere universalmente onorato.
Gruppi etnici e lingue
Il 92% degli abitanti della Cina è Han. È questo il nome di un’antica popolazione e della
sua cultura; è anche il nome della seconda
delle dinastie dell’impero unificato, che resse
la Cina (salvo un interregno) fra il III secolo
a.C. e il III d.C. I cinesi veri e propri chiamano
se stessi han. Tutti gli han parlano il cinese,
che conosce tuttavia forti differenze regionali. La lingua ufficiale è il cinese di Pechino,
noto anche come «mandarino» o putonghua («lingua comune»). Il cinese del sud,
quello di Canton, è la lingua prevalente tra
i cinesi all’estero, per la ragione molto semplice che la maggioranza degli emigrati, in
Asia come nelle Chinatown americane o nelle comunità europee, proviene per l’appunto
dalla regione di Canton (è per la stessa ragione che la cucina cinese più nota all’estero
è quella cantonese).
Gli Han, pur costituendo la stragrande
maggioranza della popolazione, occupano
tuttavia solo il 40% del territorio. Sul rimanente 60% vivono altri gruppi etnici e linguistici. Quelli ufficialmente riconosciuti sono 55
e vengono chiamati «minoranze nazionali».
Tra le minoranze nazionali, le più importanti numericamente sono le popolazioni del
gruppo altaico come i mongoli e i turchi (in
prevalenza uiguri, ma anche kazaki, kirghizi,
gli uzbeki). Appartengono invece al gruppo
sino-tibetano non solo la lingua dei tibetani
(e ovviamente quella dei cinesi), ma anche
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quelle di numerose altre popolazioni imparentate con alcuni gruppi etnici dell’Asia
sudorientale. Tra queste, gli zhuang sono la
minoranza più numerosa.
A completare il panorama, per lo meno
delle popolazioni più importanti, troviamo
circa 2 milioni di coreani a nordest; una minoranza a parte è quella costituita dagli Hui,
che sono han, cioè cinesi a pieno titolo, ma
di religione musulmana.
In alcune delle regioni o province nelle
quali queste minoranze sono particolarmente numerose (per esempio nel Tibet e nel
Xinjiang) sono presenti da sempre rivendicazioni di maggiore autonomia nei confronti
del governo centrale.
Dopo la morte di Mao, la situazione è almeno in parte mutata, e si è reso possibile,
benché con molte limitazioni, un ritorno alla
pratica religiosa, sulla quale però il regime
esercita un controllo attraverso delle «Associazioni patriottiche», una per ogni confessione, i cui dirigenti sono nominati dal governo o devono avere il suo benestare. Così, per
esempio, ci sono due Chiese cattoliche. Una,
«patriottica», è tollerata dal governo (che si
preoccupa soprattutto di impedire i rapporti
dei cattolici cinesi con il Vaticano). L’altra,
che insiste sulla propria fedeltà a Roma, è
semiclandestina e perseguitata (spesso i suoi
vescovi vengono imprigionati).
È certo che si assiste in questi ultimi anni a
un forte ritorno a ogni tipo di pratica religiosa. Un fenomeno molto evidente, per esempio, per quanto riguarda l’islam delle regioni
dell’Ovest (che avrebbe dai 13 ai 26 milioni
di fedeli, l’1-2% della popolazione). Anche i
cristiani sono in crescita (sono il 6% circa dei
cinesi, più o meno divisi a metà tra cattolici
e protestanti).
Il Tibet
Il Tibet (che i cinesi chiamano Xizang) è il più
grande altopiano del mondo, chiuso su tre
lati da montagne altissime, cioè dalle catene
dei Kunlun, del Karakorum, dell’Himalaya.
È in buona parte un «deserto freddo», nel
senso che la natura impervia (rocce e nevi
permanenti) e soprattutto le condizioni climatiche ne ostacolano il popolamento. Su
un territorio vasto quattro volte l’Italia vivono
infatti circa 2700000 abitanti, 2 per km2, che
si addensano in alcune valli: soprattutto in
quella del Brahmaputra nella quale un clima
più favorevole offre pascoli e aree coltivabili.
La capitale Lhasa, celebre per i suoi monasteri buddisti e in particolare per il più maestoso fra essi, il Potala, sorge a 3630 m.
Nel VII secolo, arrivò qui il buddismo, e
un re ne fece la religione di stato. Il buddismo tibetano si affermò anche all’esterno
del paese, come per esempio in Nepal, in
Mongolia e nel nord della Cina.
Il buddismo tibetano è chiamato anche
lamaista, con allusione al prestigio e alla venerazione di cui sono circondati i suoi lama:
parola che vuol dire «maestri».
Al vertice della gerarchia dei maestri e
dei monaci sono il Dalai Lama e il Panchen
Lama: il primo residente nel Potala di Lhasa,
il secondo nel grande monastero di Tashilumpo. Entrambi sono considerati reincarnazioni del Buddha. In generale, il Panchen
Lama è visto come un maestro spirituale e
religioso, mentre il Dalai Lama incarna anche
la suprema autorità politica.
Nel corso della sua storia, il Tibet ha visto
alternarsi periodi di indipendenza a temporanee occupazioni: per esempio, da parte di
mongoli, turchi, cinesi (ma in qualche caso
furono i tibetani a invadere regioni della
Cina). In epoca moderna, il Tibet accettò per
qualche tempo di essere considerato dall’impero cinese come una sorta di blando protettorato, tuttavia largamente autonomo nei
fatti. Il paese fu del tutto indipendente dal
1911 (l’anno della fine dell’impero cinese)
fino al 1950-51, quando i comunisti cinesi
lo occuparono militarmente e vi avviarono
un insieme di riforme politiche e sociali, sostenendo di voler
combattere ed eliminare la teocrazia, lo strapotere
anche economico
dei monasteri e la
vecchia società feudale.
Ma il buddismo era (ed è) fortemente radicato nella cultura dei tibetani, identificandosi
nel loro senso profondo di indipendenza.
Nel 1959 ci fu una ribellione – che l’esercito cinese stroncò nel sangue – con migliaia
di morti e decine di migliaia di tibetani imprigionati. Il Dalai Lama abbandonò il paese
fuggendo in India. La persecuzione religiosa
fu molto dura, con la distruzione di migliaia di monasteri, una fortissima riduzione del
numero dei monaci e soprattutto una forte
pressione in favore dell’assimilazione degli
abitanti alla cultura degli han. Attraverso
una serie di migrazioni incoraggiate dal regime, questi ultimi hanno superato il numero dei tibetani nella popolazione totale,
o quanto meno nella capitale e nelle città
maggiori. Molte migliaia di tibetani vivono
all’estero, soprattutto in India, dove il Dalai
Lama ha formato un governo in esilio. Nel
Tibet, ci sono periodicamente movimenti di
protesta (per esempio in coincidenza con le
Olimpiadi di Pechino del 2008), repressi duramente dalle forze del regime. Il Dalai Lama
ha dichiarato più volte di non volere l’indipendenza del Tibet, ma solo una sua reale
autonomia. Ciò nonostante, il governo di
Pechino resta ostile a ogni trattativa.
Il Potala, cuore del buddismo tibetano. A un kilometro da Lhasa, la
capitale del Tibet, si leva a più di 3600 m di altitudine il Potala. È un
grande complesso di edifici: residenze, monasteri, templi, santuari,
pagode funerarie. Sul granito imbiancato delle imponenti pareti spicca il
rosso del palazzo centrale; il tetto, di forma cinese (con gli angoli rialzati),
è ricoperto di lastre dorate; grandi finestre si succedono lungo le mura.
Il Potala sorge sul luogo in cui già esisteva un antico palazzo reale. Nella
sua forma attuale, è il risultato di restauri e aggiunte fatte eseguire dal
Quinto Dalai Lama a partire dalla metà del secolo XVII, quando il capo
spirituale del buddismo tibetano divenne anche il sovrano temporale
del paese. Da allora, tutti i Dalai Lama hanno vissuto e sono stati sepolti
nel Potala, fino al 1959, quando l’attuale Dalai Lama andò in esilio, per
protesta contro l’occupazione militare cinese. [Robert Harding Picture
Library Ltd./Alamy]
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La Cina
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della storia
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I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Nel quadro geografico che abbiamo descritto si è svolta
la storia millenaria di un impero che è tra i più antichi
e certamente il più longevo del mondo: si pensi che il
primo imperatore risale, secondo la leggenda, al III millennio a.C., mentre l’ultimo venne detronizzato soltanto
nel 1911.
In realtà la prima unificazione del paese (ma entro
confini assai più ristretti di quelli attuali) risale al terzo secolo a.C. I caratteri fondamentali dell’impero cinese, che
si conservarono, con pochi mutamenti, per secoli, erano:
1. un potere centrale molto forte, rappresentato dal sovrano e da un ristretto ceto di funzionari (noti in Occidente con il termine, di origine portoghese, di «mandarini»);
2. alla base della piramide sociale, una miriade di villaggi contadini autosufficienti, il cui principale rapporto con
l’esterno era dato dal pagamento delle imposte;
3. una grande importanza dei lavori di controllo delle acque (dighe, canali ecc.), decisivi per la sopravvivenza delle
attività agricole. A incaricarsi di organizzare tali lavori erano i funzionari, e questo fatto aumentava il loro potere;
4. un dominio ideologico sull’intera società da parte della
cultura confuciana, che prendeva il nome da un filosofo
vissuto nel VI secolo a.C., Confucio appunto. Si trattava di
una cultura che teorizzava l’immobilità sociale, il primato
del lavoro intellettuale su quello manuale, l’ubbidienza
agli anziani e ai superiori nella famiglia e nella società, la
subordinazione delle donne.
La crisi, già in atto, di questa società venne accelerata
nell’Ottocento dalla penetrazione imperialistica (commerciale e militare) delle potenze europee. Caduto l’impero nel
1911, e proclamata una repubblica, la Cina conobbe decenni di sanguinosa guerra civile tra forze di destra (i nazionalisti del Guomindang) e comunisti, conclusasi nel 1949
con la vittoria di questi ultimi (capeggiati da Mao Zedong)
e con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.
Dal 1949 prese l’avvio una politica di trasformazioni
socialiste (nazionalizzazione delle industrie, collettivizzazione dell’agricoltura, diffusione di una cultura uniforme
L’esercito di terracotta. Nel
1974, scavando il terreno per
costruire un pozzo, alcuni
contadini di un villaggio
presso Xian fecero una
delle più sensazionali scoperte
dell’archeologia cinese. Sotto
di loro si trovava un intero
esercito di guerrieri in terracotta (da 6000 a 8000: non
lo si sa ancora con certezza,
perché gli scavi sono in corso),
a grandezza naturale e tutti
diversi l’uno dall’altro! Questi
guerrieri, insieme a cavalli,
carri ecc., anch’essi di terracotta, costituiscono il corredo della tomba di Qin Shi
Huang Di, il grande imperatore che unificò la Cina nel III secolo a.C. In tempi
molto antichi, i sovrani – soprattutto di alcuni popoli delle steppe asiatiche – si
facevano seppellire con la loro guardia del corpo, ancelle, cavalli ecc., tutti in carne
e ossa, perché potessero far loro compagnia nell’oltretomba. Al tempo di Qin Shi
Huang Di questa usanza, diciamo così, piuttosto barbarica era fortunatamente
tramontata: l’imperatore si contentava di sostituire persone e animali veri con dei
facsimili. [Da «Geodes», n. 9, ottobre 1983]
e controllata dall’alto, ispirata al «marxismo-leninismo»),
contrassegnata in alcuni momenti da scontri interni di
grande violenza e da una sostanziale chiusura verso il
mondo esterno.
Già decenni di guerra civile avevano prodotto migliaia
e migliaia di vittime. Altrettante, se non di più, ne vennero provocate da un regime autoritario e violento, sia
con la repressione vera e propria di ogni forma di opposizione, sia come risultato di scelte economiche sbagliate
che determinarono carestie e fame. La storia della Cina di
Mao è così la storia di un paese che da un lato riconquista
la sua indipendenza e la sua dignità, ma dall’altro si caratterizza per una totale intolleranza nei confronti di ogni
forma di dissenso. È solo qualche anno dopo la morte di
Mao (avvenuta nel 1976) che i suoi successori avviano
una serie di riforme destinate a liberalizzare l’economia e
a porre le basi per una crescita economica senza precedenti. Rimane invece sostanzialmente intatta la struttura
politica del regime, ancora caratterizzato dal rifiuto di
riforme politiche in grado di introdurre metodi democratici e un maggior rispetto dei diritti umani. Se la società
diviene più varia, e complessivamente più movimentata,
tuttavia la vita politica resta caratterizzata da un forte e
opprimente autoritarismo.
Lotta per la democrazia a Pechino. Le drammatiche vicende
che hanno insanguinato la piazza Tian Anmen ai primi di giugno
del 1989, mettendo fine a più di un mese di manifestazioni
per la democrazia, hanno trovato un loro simbolo nella breve
sequenza televisiva di cui questo fotogramma fa parte. Vi si
vedeva un giovane che fermava una colonna di carri armati.
Il comandante della colonna, colto di sorpresa, spostava
la direzione di marcia cercando di evitare il giovane. Ma
quest’ultimo si spostava a sua volta, si arrampicava sul carro
armato e si metteva a parlare con i suoi occupanti. Il giovane
si chiamava forse Wang Weilin: secondo alcune voci, sarebbe
stato arrestato e ucciso a breve distanza dal luogo poco tempo
dopo l’episodio; secondo altre, sarebbe ancora vivo. È rimasta
quest’immagine a simboleggiare l’eroismo del singolo individuo
che si offre a mani nude alla violenza armata dell’apparato
statale autoritario. [S. Franklin/Magnum, 1989]
7 Unità 28
G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
La vita politica e l’organizzazione dello stato
I successori di Mao, pur continuando a proclamare il
marxismo-leninismo ideologia ufficiale del paese, ne
hanno attenuato alcuni degli aspetti più rigidi e dogmatici. È stato stabilito un quadro di legalità, è diminuito
il ruolo del Partito comunista – che rimane tuttavia formalmente l’istituzione cui è affidata la direzione politica
del paese. Invece non ha fatto molti passi avanti la democratizzazione della vita politica. La Cina è tuttora uno
stato socialista, retto da una «dittatura democratica del
popolo» sotto la guida morale «del marxismo-leninismo
e del pensiero di Mao Zedong». Assai scarse, se non del
tutto assenti, sono le libertà di cui può godere il cittadino. La richiesta di riforme democratiche, di ampliamen-
L’economia
Le principali zone
agricole della Cina e i
principali allevamenti.
Le campagne
Aree con prevalenza
di colture secche
(grano, miglio, sorgo)
Aree con prevalenza
di colture inondate
(riso)
Aree miste
Limite settentrionale
,
del grano d inverno
Limite settentrionale
del cotone
Limite settentrionale
del tè
Limite settentrionale
del doppio raccolto
di riso
to delle libertà civili e di un maggiore riconoscimento
dei diritti umani è molto diffusa, specie tra gli studenti e
gli intellettuali, ma viene repressa in genere con durezza. Così fu, in particolare, nel 1989, quando le tensioni
sociali, il malcontento creato dalla corruzione e soprattutto il desiderio di democrazia provocarono a Pechino
la più imponente mobilitazione di protesta dalla nascita
della Repubblica Popolare Cinese. Essa passò alla storia come «la Primavera di Tian Anmen», dal nome della
piazza dove migliaia di studenti (ma anche intellettuali e
operai) furono protagonisti di una coraggiosa e pacifica
lotta schiacciata da una violenta repressione.
Assai più rilevanti, come vedremo, furono le innovazioni introdotte in campo economico.
Dopo la morte di Mao, a partire dal 1978-79,
si cominciò a smantellare l’organizzazione
collettiva del lavoro e dell’intera vita sociale,
che deprimeva eccessivamente l’iniziativa dei
contadini e interferiva nelle consuetudini familiari, turbando antiche tradizioni.
Oggi la forma di gestione prevalente nelle
campagne è la piccola conduzione familiare: lo stato resta nominalmente il proprietario della terra, ma ne concede il libero uso
ai contadini. Questi vendono in cambio una
parte dei loro prodotti allo stato (a prezzi
fissati dal Centro) e smerciano il resto sui
mercati liberi. Queste riforme hanno avuto
Soia
CAMMELLI
CAVALLI
PECORE
CAMMELLI
PECORE
Cotone
YAK
Cotone
Canna
Tè
Tè
BUFALI
Gelso
Tè
Canna
Arachidi
Canna
Il raccolto degli agrumi (arance e mandarini) in una
campagna della provincia centro-orientale del Zhejiang.
Le lontane origini degli agrumi si collocano nell’Asia meridionale
e orientale: dall’India, attraverso l’Indocina, fino alla Cina
meridionale. Quest’ultima, in particolare, fu quasi certamente
la patria del mandarino, che arrivò in Italia per la prima volta
nel 1850, suscitando pressappoco la stessa curiosità prodotta,
in tempi recenti, dall’arrivo di frutti esotici come il mango o la
papaya. Per inciso, non ha nulla a che vedere con gli omonimi
frutti il termine «mandarini», affermatosi in Europa per designare
i membri della classe dei letterati-funzionari (in cinese shenshi).
Si trattò, in questo caso, di una cattiva pronuncia portoghese
di una parola malese – derivata a sua volta dal sanscrito – che
voleva dire «consiglieri», o «conoscitori delle formule magiche».
l’effetto di stimolare lo spirito d’iniziativa dei
contadini, che hanno aumentato la produzione, accrescendo i propri redditi. Tuttavia
alcuni inconvenienti sono nati dal passaggio
alla libera iniziativa delle famiglie contadine.
La superficie coltivata si è venuta riducendo,
perché i contadini hanno via via trascurato
i terreni più improduttivi: ciò ha aumentato i fenomeni di erosione, già gravi a causa
dell’intensa attività di deforestazione. La
superficie coltivata a cereali è diminuita del
9-10% (comportando un calo della produzione), perché i contadini preferiscono ora
dedicarsi a colture più pregiate e redditizie.
Nelle città i prezzi sono aumentati, con gran-
8
G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
La Cina
Un grande Paese
Stato e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Principali risorse
del sottosuolo e zone
industrializzate della
Cina.
Regioni
industriali
Zone economiche
speciali
Oleodotti
Carbone
Petrolio
Raffinerie
U
Uranio
de disagio dei consumatori. Il governo è tuttora costretto a importare derrate alimentari
dall’estero. La legge del mercato ha provocato, con il successo dei più fortunati e intraprendenti, l’espulsione dalla terra dei più
deboli. Si calcola che la disoccupazione nelle
campagne riguardi più di 150 milioni di persone. Molti di costoro, soprattutto giovani,
si riversano disordinatamente nelle città, in
cerca di impieghi nell’industria, la cui pur rapida crescita non è tuttavia in grado di assorbire questa imponente offerta di manodopera. Soprattutto dopo la crisi del 2008-2009,
molti milioni di questi giovani emigrati nelle
città hanno dovuto compiere il cammino opposto, tornando nei loro villaggi.
E ancora, la diminuzione degli investimenti statali e della cooperazione ha comportato
a volte che venissero trascurati quei lavori infrastrutturali – argini, dighe, canali, serbatoi
e altri sistemi di irrigazione, opere di conservazione dei suoli – su cui si regge da sempre
l’agricoltura cinese.
Il nuovo sistema di gestione ha ottenuto,
nel complesso, progressi innegabili. Tuttavia,
l’agricoltura cresce a un ritmo notevolmente inferiore a quello dell’industria, e le sue
difficoltà restano gravi. Il mondo contadino
è quindi comprensibilmente percorso dallo
scontento, pronto a sfociare periodicamente
in agitazioni e tumulti.
Urumqi
U
U
Pechino
Tianjin
Shanghai
Pudong
Chongqing
U
Xiamen
U
U
Zhuhai Canton
Shantou
Shenzhen
Hainan
Geografia dell’industria
I cinesi inventarono la carta, la polvere da
sparo, la stampa a caratteri mobili, la bussola, il sismografo, l’orologio meccanico e molte altre cose, e nei secoli del nostro Medioevo
la scienza e la tecnologia cinesi furono decisamente all’avanguardia nel mondo. Tuttavia, l’industria moderna fece la sua comparsa
in Cina per opera degli Occidentali e poi dei
giapponesi, i quali investirono soprattutto
lungo la costa e in Manciuria: vale a dire, in
regioni dotate di buoni porti per il commercio e – nel caso della Manciuria – ricche di
materie prime.
Nel 1949, al momento della fondazione
della Repubblica popolare, il 90% dell’industria moderna era concentrato in Manciuria e nelle cinque città di Shanghai, Tianjin,
Qingdao, Pechino e Nanchino. Queste città
rimangono ancora tra i maggiori centri industriali. Tuttavia, negli ultimi decenni, a essi se
ne sono aggiunti altri, in qualche caso sopravanzandoli per importanza.
Non meno dell’agricoltura, l’industria cinese ha subìto grandi vicissitudini dopo la fondazione della Repubblica popolare. In pochi
anni, essa venne tolta ai privati e nazionalizzata, passando sotto la gestione dello Stato.
A partire dal 1978 venne dato uno spazio sempre maggiore all’iniziativa privata e al
libero mercato. Si introdussero nuovi criteri
di produttività e di efficienza. Inoltre, si aprì
la porta agli investimenti stranieri, all’inizio
istituendo a questo scopo delle «zone economiche speciali», aperte a esperienze capitalistiche e a investimenti stranieri. Una di esse,
Shenzhen, ha conosciuto uno sviluppo incredibile: era, nel 1979, una cittadina di 100 000
abitanti, e ne ha ora 2 milioni e mezzo, che
vivono e lavorano in una selva di grattacieli.
Tende a formare un’unica enorme conurbazione con la vicina ex colonia britannica di
Hong Kong, tornata alla Cina.
In seguito, il libero mercato e l’iniziativa
privata sono stati sempre più apertamente favoriti; a Shanghai e a Shenzhen è stata riaperta la Borsa. Si è assistito a un fiorire di iniziative imprenditoriali in ogni settore, a opera di
privati, di società miste statali-private e anche
con la partecipazione di capitali stranieri.
Dal punto di vista della geografia, lo sviluppo dell’industria è stato particolarmente
intenso e concentrato nelle zone vicine al mare
nel Sudest, da Shanghai a Canton, e lungo il
fiume Chang Jiang. Negli ultimi anni, però,
si cerca di estendere lo sviluppo industriale
anche verso l’interno, e fino a regioni lontane
come il Xinjiang.
9
G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
Che cosa produce l’industria cinese
Fino a pochi decenni fa, i prodotti cinesi conosciuti in Occidente erano quelli di un prezioso artigianato tradizionale: dalla lacca alla
porcellana, dagli ombrelli ai ventagli di carta;
e poi i tessuti, soprattutto la seta. Quando,
alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, ebbe inizio il grande sviluppo dell’industria cinese, a quegli antichi prodotti se ne
affiancarono di nuovi. Prodotti poveri, per lo
più, come i giocattoli (oggi, la Cina produce
il 70% dei giocattoli di tutto il mondo).
Negli ultimi anni, la situazione è radicalmente cambiata, grazie a una serie di fattori
che si possono così riassumere.
Q Un’apertura agli investimenti stranieri:
oggi la Cina è il paese del mondo che ne riceve di più (53,5 miliardi di dollari nel 2003,
più degli stessi Stati Uniti). Nel 2002 erano
presenti in Cina 420 000 aziende straniere.
Questi capitali vengono da Hong Kong, da
Taiwan e dalle altre ricche comunità cinesi sparse per il mondo; ma anche dagli Stati Uniti, dal Giappone, dalla Corea del Sud,
dall’Europa. A richiamarli sono sia la presenza di un vastissimo serbatoio di manodopera
a buon mercato, sia quella di un mercato potenziale immenso.
Q Un forte aumento delle esportazioni. Oggi
la Cina è il secondo esportatore dopo la Germania, seguita da Stati Uniti e Giappone.
Q Un graduale aumento del reddito pro capite anche all’interno del paese, con la formazione di un ceto sociale benestante e lo sviluppo di un mercato interno. Vale a dire che
le industrie cinesi che producevano beni da
esportare possono vendere oggi almeno una
parte della loro produzione nella stessa Cina.
Q Una grande attenzione a investire anche
in ricerca e sviluppo (che equivale a dire: in-
vestire sul futuro). Oggi, la Cina è il terzo
paese al mondo nella classifica degli investimenti in ricerca e sviluppo, dopo Stati Uniti e
Giappone, e prima della Germania.
Se si tengono presenti questi elementi,si
può capire come la Cina produca il 70% delle
macchine fotocopiatrici di tutto il mondo, il
65% delle biciclette, il 55% delle macchine
fotografiche, il 50% dei computer e delle calzature, il 40% dei televisori, il 30% delle lavatrici, il 25% dei frigoriferi. Come si vede, non
si tratta più solo di prodotti poveri (come i
giocattoli o le biciclette o le calzature), ma anche di prodotti di alta tecnologia. Si aggiunga
che l’industria cinese si sta sviluppando velocemente anche in settori come la microinformatica e le biotecnologie: tra i telefoni cellulari, il marchio Ningbo Bird ha soppiantato
da poco Motorola, Samsung e Nokia. E nel
2003, per la prima volta, un cosmonauta cinese è andato in giro nello spazio.
Ancora una trentina d’anni fa, le città cinesi erano percorse da autentiche maree di
biciclette, mentre le automobili private non
esistevano. Oggi le biciclette sono ancora numerosissime (9 milioni nella sola Shanghai),
ma si assiste anche a un boom dell’auto. I
modelli più venduti sono Volkswagen e Toyota, ma fabbricate in Cina e con nomi cinesi
(Santana, Xiali), e un terzo delle vendite del
2003 era costituito da auto di lusso (Mercedes, Audi, Maserati, Ferrari, BMW), destinate
ai nuovi ricchi.
Per alimentare l’industria, il sottosuolo
cinese possiede ingenti risorse di materie prime, fra cui carbone (la cui produzione è oggi
quasi 3 milioni di tonnellate annue), petrolio
(oggi 189 milioni di tonnellate), minerali di
ferro, manganese, tungsteno, zinco, stagno,
antimonio, rame. L’uranio e altri minera-
La febbre edilizia
a Pechino. Edifici
modernissimi, grattacieli
e larghe arterie di circolazione
sorgono rapidamente su aree
prima occupate da parchi
o da vecchi quartieri. [Da
«L’Express», n. 2194, 29
luglio 1993]
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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
La Cina
Un grande Paese
Stato e popolazione
li radioattivi abbondano nel Xinjiang, dove
hanno sede i maggiori impianti nucleari. La
produzione dell’acciaio è passata da 158 000
tonnellate nel 1949 a 513 milioni nel 2008.
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Mao e la ciminiera. In
questa foto del 1971, il
«Grande Timoniere», come il
Presidente Mao era chiamato
quando era in vita, sembra
benedire dall’alto lo sviluppo
industriale della città di
Wuhan. I cinesi erano un
tempo orgogliosi del fumo
delle loro ciminiere, simbolo
della crescita economica
del paese. Ma in molte città
industriali (a cominciare
dalla stessa capitale Pechino)
l’inquinamento atmosferico
ha raggiunto punte assai
gravi e pericolose, soprattutto
per l’uso di grandi quantità
di carbone. Solo negli
ultimi anni si è cominciato
ad affrontare anche i
problemi dell’inquinamento
e dell’ambiente, a lungo
interamente sacrificati alle
esigenze della produzione.
Contemporaneamente, si
riducono poco per volta i
ritratti e le statue di Mao, che
un tempo dominavano ogni
angolo della Cina.
[M. Riboud/Magnum, 1971]
Le contraddizioni dell’economia
Complessivamente, l’economia cinese ha conosciuto negli ultimi anni un ritmo di crescita
annua (tra l’8 e il 10%) che ha fatto gridare
al miracolo. Gli esperti hanno calcolato che il
Prodotto Interno Lordo della Cina (il suo valore globale, non quello pro capite, ovviamente)
raggiungerà e supererà quello degli Stati Uniti
entro il 2040.
Ma, se queste sono le luci, non si possono
però dimenticare le ombre di questo straordinario sviluppo economico.
Q In quello che ancora pochi decenni fa era
il paese dell’egualitarismo più rigoroso, oggi le
differenze sociali e regionali sono fortissime, e
tendono a crescere.
Malgrado gli sforzi del governo per ottenere uno sviluppo più equilibrato tra le diverse
aree del paese, lo squilibrio tra fascia costiera
e interno resta molto forte. Ci sono province
e città come Shanghai molto ricche e altre che
hanno invece un PIL pro capite da paese sottosviluppato.
Le famiglie contadine hanno condizioni di
vita più povere e culturalmente limitate; addirittura arcaiche in alcune zone più isolate.
Molti villaggi sono privi di elettricità e acqua
corrente.
Le differenze sociali si acuiscono non meno
di quelle geografiche. Si ritiene che in Cina ci
siano oggi dai 60 ai 130 milioni di ricchi (nel
senso che noi diamo a questa parola). All’opposto, sarebbero almeno 60 milioni i contadini
che hanno a malapena di che sfamarsi e vestirsi, mentre poco meno di metà della popolazione vivrebbe con meno di due dollari al giorno.
La vita quotidiana degli indigenti soffre anche
della diminuzione dei servizi sociali. Un’altra
causa dell’aggravarsi delle tensioni sociali è la
disoccupazione, che nelle città si aggirerebbe
sul 4,5%, anche se esistono valutazioni di 3 o
4 volte superiori. L’accentuarsi delle differenze
sociali è spesso aggravato dall’arroganza dei
nuovi ricchi. Questi ultimi, gli imprenditori
emersi con le riforme economiche, si identificano per lo più con lo strato tradizionalmente
dominante, e cioè i burocrati, i «quadri» del
partito e dell’amministrazione statale, e i loro
figli e nipoti.
Q Le contraddizioni dello sviluppo di questi
anni non si fermano qui. La crescita non riguarda in maniera omogenea tutti i settori, alcuni
dei quali restano arretrati e insufficienti, facendo da freno allo sviluppo. È il caso dell’energia, tuttora inadeguata e mal distribuita, malgrado gli sforzi del governo in questo campo.
Ancora più grave, forse, è il caso dei trasporti, del tutto insufficienti in rapporto alla
superficie. I grandi progetti lanciati dal governo (come quello di una linea ferroviaria ad alta
velocità da Pechino a Shanghai) sono ancora
lontani da una soluzione adeguata del problema.
Q La disordinata rapidità dello sviluppo di
questi anni produce, soprattutto nelle aree industriali, un forte inquinamento atmosferico,
sicché i problemi dell’ecologia cominciano ad
apparire all’ordine del giorno, in tutta la loro
gravità. L’abbandono di molte campagne e il
disboscamento dissennato favoriscono l’erosione dei suoli e le alluvioni. All’inquinamento
provocato dagli scarichi delle fabbriche che si
moltiplicano, si aggiunge, nelle grandi città,
quello prodotto da un traffico cittadino fino a
poco tempo fa sconosciuto.
Q La disoccupazione, gli spostamenti di masse
di persone in cerca di lavoro e spesso prive di
una casa, hanno portato con sé un aumento
della criminalità, soprattutto nelle aree urbane. L’improvviso apparire della possibilità di
facili ricchezze non stimola solo l’inventiva e
la capacità d’iniziativa dei singoli, ma anche
una corruzione sempre più diffusa, malgrado il
governo la combatta duramente, per esempio
facendo un uso frequente della pena capitale.
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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
I rapporti con l’estero
La politica estera cinese fu caratterizzata,
nei primi anni dopo la fondazione della Repubblica popolare, dall’alleanza con l’URSS
e dalla partecipazione al blocco comunista.
Truppe cinesi intervennero, in appoggio ai
comunisti coreani, nella guerra di Corea. Ma
già alla fine degli anni Cinquanta ci fu una
rottura con l’URSS, e la Cina di Mao si propose come il paese-leader della rivoluzione
mondiale e delle lotte di liberazione del Terzo
mondo. Seguirono anni di rigida chiusura e
di ostilità nei confronti sia dell’URSS, accusata di aver tradito gli ideali rivoluzionari, sia
dell’«imperialismo» occidentale. Ci furono
anche scontri armati con l’India e l’Unione
Sovietica, nei cui confronti i cinesi avanzano
tuttora annose rivendicazioni confinarie.
Risalgono al 1971 i primi segni di un «disgelo» nei confronti degli Stati Uniti, cui seguì poco per volta il ristabilimento di normali rapporti con gli altri paesi occidentali, con
il Giappone, più tardi anche con la Russia e
con l’India.
I cinesi non hanno mai cessato di rivendicare Taiwan come parte integrante del territorio nazionale. Questo ha comportato più
volte, anche di recente, momenti di tensione e
minacce militari. Ma, contemporaneamente,
i rapporti sono migliorati: cittadini di Taiwan
possono recarsi regolarmente in Cina a visitare i propri parenti o per turismo, e ci sono
anche relazioni commerciali.
Si è risolta invece, nel 1997, la questione
di Hong Kong, tornata alla Cina dopo essere
stata per più di un secolo colonia britannica. Si è attenuata anche, con la riapertura nel
1992 di regolari relazioni diplomatiche, una
lunga ostilità verso la Corea del Sud, con la
quale la Cina intrattiene ora importanti rapporti economici e commerciali.
Nel suo complesso, quella cinese è ora una
politica estera di buon vicinato con i paesi confinanti e, soprattutto, di apertura nei confronti
dell’Occidente e del Giappone, di cui si cerca
la collaborazione al proprio sviluppo economico. Ma non mancano, all’interno di queste
buone relazioni, periodici momenti di crisi.
Per esempio, dopo la sanguinosa repressione della «Primavera» del 1989, e l’incarcerazione di migliaia di oppositori politici,
i paesi occidentali hanno temporaneamente
interrotto i loro rapporti economici con la
Cina in nome della difesa dei diritti umani
e civili: un tema sul quale il governo cinese
rifiuta ogni discussione. Altre crisi fra Cina e
Stati Uniti si sono determinate per l’appoggio
degli americani a Taiwan, o per l’accusa alla
Cina (che è uno dei maggiori mercanti di armi
del mondo, soprattutto in direzione di molti
paesi africani e asiatici) di aver fornito a Iran
e Pakistan, malgrado gli accordi internazionali lo vietassero, parti di armamenti nucleari
(la Cina possiede l’atomica già dal 1964).
Momenti di crisi e di tensione contrassegnano anche i rapporti con il Giappone, nonostante gli intensi rapporti economici tra
i due paesi. Al loro vicino insulare i cinesi
rimproverano di non aver mai apertamente
condannato la politica di conquista imperialista, spesso assai dura e sanguinosa, da esso
perseguita nei confronti della Cina negli anni
Trenta dello scorso secolo; e ne temono il
possibile ritorno a tendenze espansioniste.
Nell’insieme, si può dire che i successi economici degli ultimi anni abbiano accompagnato la rinascita di un diffuso nazionalismo
cinese, e soprattutto una crescente aspirazione a recitare un ruolo sempre più importante, adeguato alle proprie dimensioni, nelle
relazioni internazionali. C’è chi prevede, per
i prossimi decenni, una crescente rivalità tra
Cina e Stati Uniti per il predominio sull’area
del Pacifico, con altre potenze (il Giappone,
la Russia, l’Indonesia) a fare da comprimari.
Un aspetto importante dell’apertura internazionale della Cina è quello rappresentato
oggi dal commercio con l’estero, il cui tasso
di aumento annuo, a partire dal 1978, è stato
sempre assai elevato: nel 2001, le importazioni sono aumentate del 39,9% e le esportazioni del 34,6% (per la prima volta meno delle
importazioni, ma sempre con una forte eccedenza commerciale della Cina nei confronti
degli altri paesi). Il principale partner commerciale sono gli Stati Uniti, seguiti da Hong
Kong e Giappone poi dalla Corea del Sud e
dai paesi della UE (Germania in testa). Nel
1993, la Cina è diventata il secondo partner
commerciale del Giappone, preceduto solo
dagli Stati Uniti. Le importazioni riguardano
soprattutto materie prime, macchinari e tecnologie avanzate, ma anche, sia pure in non
grande misura, generi alimentari. Le esportazioni principali sono rappresentate soprattutto da macchinari e veicoli, tessili, macchinari
elettrici, macchine per ufficio.
Oltre all’ingresso nel WTO, l’Organizzazione
mondiale del commercio (2001), un altro prestigioso successo internazionale della Cina è l’aver
ospitato a Pechino le Olimpiadi del 2008.
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La Cina
Le città
Un grande Paese
Stato e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Pechino o Beijing (il cui nome significa «capitale del Nord») era una città importante
già nell’antichità, ma il suo abitato si spostò
più volte, sia pure di poco. Divenne capitale
sotto i Mongoli, eredi di Gengis Khan: Marco Polo la visitò allora, quando si chiamava
Cambaluc, o meglio Khanbaliq, «La città del
Khan». La città che vediamo oggi (per essere
più precisi, la sua parte più antica) fu però
progettata e costruita dai Ming, la dinastia
cinese che cacciò i Mongoli. Si deve a loro
la costruzione, nel XIV secolo, di una specie
di gigantesca reggia lussuosa che si chiamava un tempo «la città proibita» perché solo
i privilegiati potevano entrarvi. Oggi, invece,
la «città proibita» è, insieme, un museo e un
parco pubblico, in cui gli abitanti di Pechino
vanno in gran folla nei giorni di festa ad ammirare i suoi tesori artistici.
Dove finisce la città proibita, una grande
porta, la Tian Anmen (la «Porta della pace
celeste»), immette oggi su una moderna piazza omonima, di dimensioni gigantesche: misura poco meno di 50 ettari, l’equivalente di
45 campi di calcio.
In questi ultimi anni si assiste a una nuova
febbre edilizia, la stessa che ha contagiato tutte
le principali città cinesi. Si costruiscono soprattutto grattacieli, destinati a essere la sede dei
nuovi centri dirigenziali delle imprese econo-
La pianta di Pechino. Si vedono molto bene la «Città tartara» (il quadrato), con al suo interno
la Città imperiale (o «Città proibita»), e la «Città cinese» (il rettangolo). L’ingresso meridionale
della città proibita è costituito dalla Tian Anmen, o «Porta della pace celeste», che si apre sulla
«Via della pace perpetua». Il grande parco che si vede nella parte sudorientale della Città cinese
è il «Tempio del Cielo».
miche, o dei moderni alberghi richiesti da un
turismo in espansione. E anche questa febbre
ha le sue vittime: per esempio, parchi e giardini
(ma anche le tipiche case tradizionali a un piano) che scompaiono, coperti dal cemento.
Suzhou e Hangzhou sorgono su un intrico di fiumi e canali, al punto che Suzhou
venne definita «la Venezia dell’Oriente», e
Hangzhou impressionò Marco Polo per la sua
bellezza. Anche se a poca distanza ci sono le
nuove fabbriche, in queste città, che affascinano i turisti, si producono ancora i pregiati
tessuti di seta, i ventagli dipinti, il tè, le essenze profumate, le porcellane.
Shanghai, con i suoi oltre 10 milioni di abitanti (oltre 18 nell’intera municipalità), è oggi
non solo la maggiore città cinese, ma una delle
maggiori del mondo. Insieme ai suoi sobborghi e alle sue città satelliti, Shanghai è anche la
principale concentrazione industriale e operaia di tutta la Cina. Il nome della città significa
«sul mare»: un secolo fa era solo una modesta
cittadina che sorgeva nella zona deltizia del
Chiang Jiang, nei pressi di un affluente, a una
sessantina di kilometri dal mare aperto. Era
una posizione ideale per un porto, e gli europei vi si installarono costruendovi i propri
quartieri indipendenti (le «concessioni»).
Altre città importanti sono Luoyang e Xi’an,
le più antiche capitali della Cina; Wuhan, che
Aree residenziali
Mura della Città Imperiale
Aree amministrative
e commerciali
Parchi
Ampliamento successivo
(mura della Città Cinese)
Aree industriali
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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
Mura della Città Tartara
Shanghai, capitale
economica. Grande
porto sul fiume Huangpu,
tradizionale capitale
economica della Cina,
Shanghai ha visto ribadire
tale suo ruolo negli ultimi
decenni. Sull’altro lato del
fiume, a Pudong, è sorto un
nuovo centro commerciale,
finanziario e industriale. Le
due rive dello Huangpu sono
state unite nel 1992-93 da
due ponti, uno dei quali è
lungo 7658 m. E come altre
grandi città cinesi, anche
Shanghai è stata trasformata
negli ultimi anni (e continua
a esserlo) dal diffondersi dei
nuovi grattacieli. Lo sviluppo
«verticale» rende ormai le
metropoli cinesi più simili
alle loro sorelle giapponesi,
europee o americane.
[Panorama Media (Beijing)
Ltd./Alamy]
è in realtà un insieme di tre città; Nanchino
(Nanjing, che significa «capitale del Sud»);
Chongqing. Quest’ultima ha 4 milioni di abitanti, che diventano 31 in quella che è la più
grande municipalità del mondo.
La più meridionale delle grandi città, Canton o Guangzhou (oltre 4 milioni di abitanti),
grande emporio commerciale fin dal Medioevo, sorge nel punto in cui più corsi d’acqua
confluiscono nel «Fiume delle perle», poco
sotto il Tropico del Cancro.
Vecchia Canton. La foto mostra il volto tradizionale di Canton,
che fu importante città portuale, aperta ai traffici con l’estero, fin
dai secoli del nostro Medioevo: questo spiega la sua originalità e le
molte influenze, asiatiche ed europee, presenti nell’architettura. A
Canton prevalgono le case alte, a più piani, mentre le vecchie case
delle altre città cinesi erano di solito a un piano.
Abitazioni «in via d’estinzione». In molti quartieri di Pechino,
le case tradizionali vengono oggi demolite per sostituirle con
moderni palazzi e grattacieli. La foto mostra la casa tradizionale,
bassa, a un piano. Come si vede, le case non danno direttamente
sulla strada, ma su cortili interni, ravvivati da alberi e piante.
Abitazioni di questo tipo sono oggi sempre più rare nella capitale
cinese. [Fu Zhongging/Panorama Media (Beijing) Ltd./Alamy;
rochaphoto/Alamy]
Un bilancio provvisorio
Sessant’anni fa, al termine di un lungo periodo di declino economico, di guerre civili, di
occupazioni straniere, la Cina era un paese
prostrato e assai povero, nel quale si moriva
di fame. Oggi la situazione è profondamente
mutata. La Cina è avviata a essere (o a tornare
a essere) – inevitabilmente, date le sue dimensioni – una delle maggiori potenze mondiali.
La vita media dei cinesi, che era di 36
anni prima della Liberazione, oggi è di 68,5
anni. Il reddito pro capite (nel 2007) è di
3315 dollari l’anno: più dei 1016 dell’India,
ma incomparabilmente meno dei 38972 di
Singapore, dei 38996 dell’Italia, dei 38559
del Giappone, dei 46859 degli Stati Uniti. La
Cina, insomma, è ancora in buona parte un
paese povero, caratterizzato da forti squilibri
anche dopo la forte crescita economica degli
ultimi anni, anche se questa situazione si sta
modificando abbastanza velocemente.
Si diffondono nelle famiglie beni di consumo moderni, come televisori e frigoriferi.
Taiwan e Hong Kong
Taiwan è un’isola un po’ più grande della Sicilia, di fronte alla provincia cinese del Fujian,
su cui vivono quasi 23 milioni di persone. La
densità è di 634 abitanti per km2. La capitale,
Taipei, ha 2600000 abitanti.
Quando, nel 1948, l’esercito dei nazionalisti
del Guomindang venne sconfitto dall’Armata
rossa di Mao Zedong, i suoi resti (circa 2 milioni
tra militari e funzionari) si rifugiarono a Taiwan.
Da allora, il governo cinese rivendica i
propri diritti su Taiwan, alternando minacce
militari a momenti di relativa distensione. Per
questa ragione, il governo di Taiwan è riconosciuto da pochissimi paesi, anche se gode
della protezione degli Stati Uniti. Taiwan ha
conosciuto un notevole sviluppo industriale ed è diventata uno dei territori più ricchi
dell’Asia.
Hong Kong è invece tornato alla Cina
nel 1997. Esso consta di una serie di territori,
tra cui l’isola di Hong Kong appunto, ceduti
dalla Cina agli inglesi nel corso dell’800. Conserva, rispetto al governo cinese, una certa
autonomia che gli garantisce maggiori libertà
politiche e civili. Gli abitanti sono per il 95%
cinesi. Hong Kong è uno dei maggiori centri
commerciali e finanziari dell’intera Asia.
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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA
La Cina
La Cina
Un grande paese
Stato e popolazione
Le tracce della storia
L’economia
I rapporti
con l’estero
Le città
Un bilancio
provvisorio
Per i ricchi ci sono anche i negozi e le sfilate dei più celebri creatori di moda parigini o
italiani; ci sono gli orologi digitali, il karaoke
e i telefonini cellulari; le strade sono piene di
cartelloni pubblicitari. Quello che fino a pochi anni fa era un paese austero, dominato da
una disciplina quasi militare, è oggi la preda
più recente (e potenzialmente la più gigantesca) dei consumi di massa.
È il frutto dell’apertura al mondo esterno.
Minori sono invece i cambiamenti nella vita
politica. Si è certo attenuata, col «nuovo corso», la pressione ideologica, è minore il grado
di indottrinamento politico, si è allentato il
controllo che alcuni anni fa veniva esercitato
su ogni aspetto della vita quotidiana. C’è una
maggiore possibilità di accesso a beni culturali
prima vietati, dalla musica ai libri e ai film,
anche se stampa e televisione sono interamenCINA
Capitale
Superficie (km2)
Popolazione (ab.)
TAIWAN
HONG KONG
Pechino
Taipei
–
9572900 (2008)
36188 (2008)
1104 (2008)
1321290000 (2008)
22958360 (2008)
6989000 (2008)
Densità (ab. per km2)
138 (2008)
634 (2008)
6330 (2008)
Reddito nazionale
per ab. (in dollari USA)
3315 (2008)
17040 (2008)
30755 (2008)
Consumo di energia
per ab. (in kWh)
2040 (2006)
–
5768 (2005)
Calorie (per ab./giorno)
2990 (2003-2005)
2889 (2006)
–
Speranza di vita (anni)
M 67 F 70 (2006)
M 75 F 82 (2007) M 79 F 85 (2008)
Analfabetismo %
6,7 (2007)
2,8 (2008)
Numero di medici
(per 1000 ab.)
6,5 (2008)
1,5 (2005)
1,7 (2006)
1,7 (2008)
Popolazione urbana %
43 (2008)
75 (2006)
100 (2007)
te sottomesse al regime, e la censura politica
è ancora attiva. Sono state instaurate norme
di legalità, è stato emanato un nuovo codice
penale e si è ridato potere agli organi giudiziari togliendolo ai tribunali politici. Ma la Cina
rimane ancora uno stato autoritario: si teorizza, anzi, un «neo-autoritarismo» nel quale
confucianesimo e marxismo-leninismo si danno la mano. Il regime rifiuta (ma per quanto
ancora?) ogni concessione alla «democrazia
all’occidentale». Dopo la Primavera del 1989,
le speranze in una evoluzione rapida e indolore verso la democrazia sono per il momento
messe da parte; molti oppositori del regime
restano in prigione o in esilio. In prigione si
trova, per esempio, Liu Xiaobo, un illustre
intellettuale dissidente cui nel 2010 è stato
assegnato il premio Nobel per la pace.
La Cina detiene anche il triste primato del
maggior numero di condanne a
ITALIA
morte eseguite nel mondo (almeno 5000 nel 2008). Dal 1980 a
Roma
oggi i crimini punibili con la pena
301317 (2008)
di morte sono passati da 21 a 69.
60045068 (2008)
Le esecuzioni avvengono spesso
199 (2008)
secondo barbari rituali che mirano alla mortificazione pubblica
38996 (2008)
dei condannati.
Questo uso della pena di mor5332 (2008)
te, insieme allo scarso rispetto dei
3680 (2003-2005)
diritti umani e civili, rappresenta
M 79 F 84 (2008)
una delle maggiori contraddizioni
1,1 (2007)
di questo grande paese che torna
oggi tra i protagonisti della storia
3,7 (2006)
mondiale.
68 (2008)
15
376
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